star wars la minaccia fantasma

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star wars la minaccia fantasma
Catanzaro, 28 aprile 2016.
Anna Mastromarino
“E’ così che muore la libertà sotto scroscianti applausi”: forme di stato e
trasformazioni costituzionali
Il presente testo non è destinato alla riproduzione e alla diffussione, né può essere citato
senza espressa autorizzazione dell’autrice, che si riserva ogni diritto in proposito
Soffermandoci sull’idea di TRASFORMAZIONE, bisogna sottolineare che è nella
forma della TRANSIZIONE che negli ultimi vent’anni il diritto ed in particolare il
diritto costituzionale si sono interessati al concetto di trasformazione
assumendolo come oggetto di studio a se stante. Prima effettivamente
l’attenzione della dottrina si era concentrata più che altro sul momento costituente
e sugli aspetti connessi all’idea di potere costituito.
L’anno zero degli studi in tema di transizione è rappresentato dal 1989 con la
caduta del muro di Berlino. Si arriva persino a coniare il neologismo Transitology
per indicare quella branca del diritto dedita a studiare i processi di transizione
costituzionale che si succedono in quegli anni in Europa (ma non solo, si pensi
alla fine delle grandi dittature del sud America implose intorno alla metà degli anni
Ottanta).
Vi è senza dubbio più di una ragione all’assenza di studi sistematici sul tema della
transizione nel passato. Sicuramente fra queste la banale convinzione che la
trasformazione è insita nel concetto stesso di diritto costituzionale e come tale
non necessità di uno studio particolare.
In realtà trasformazione e transizione non sono sinonimi. Direi piuttosto che il
secondo termine appartiene al genus del primo ma non ne esaurisce la categoria.
La transizione è un tipo di trasformazione, forse la più intrigante per il
costituzionalista perché implica una riflessione sulle grandi evoluzioni
istituzionali.
Parlando di transizioni siamo soliti partire da una presunzione, tutt’altro che
dimostrata e che tende ad assimilare l’idea di transizione costituzionale a quella
di transizione democratica, così da indurci nell’inganno di ritenere che ogni fase
di transizione costituzionale debba condurre necessariamente ad una
implementazione del tasso di democrazia di un ordinamento.
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Questa visione escatologica delle transizioni non trova riscontro nella realtà, che
mostra come nella maggioranza dei casi - inclusi quelli compresi nelle grandi
ondate di trasformazione costituzionale che hanno interessato l’Europa dell’Est
negli anni Novanta, dopo l’implosione del blocco sovietico - le transizioni non
sfociano affatto in un consolidamento dello Stato democratico genuino. A volte si
arenano in zone grigie; talvolta danno origine a democrazie di facciata; non
mancano occasioni in cui le transizioni conducono all’instaurarsi di veri e propri
regimi autocratici.
Torneremo sul punto. Intanto ci basti sottolineare come partire dal presupposto
che la transizione implichi sempre un passaggio da una condizione peggiore ad
una situazione migliore significa, dunque, presupporre troppo.
Più asetticamente con de Vergottini possiamo definire la transizione come un
processo dinamico di formazione di un nuovo ordine costituzionale attraverso
revisioni parziali o totali della Costituzione o addirittura a Costituzione invariata,
dal momento che carattere indefettibile dei processi di transizione è
l’affermazione di una concezione del diritto e dello Stato inconciliabile con quella
anteriore, che presuppone l’introduzione di un diverso fondamento della validità
dell’ordinamento positivo.
O’ Donnell e Schmitter descrivono la transizione come un intervallo fra un regime
politico e l’altro.
Invero questa definizione mi piace meno perché sembrerebbe ricondurre la
transizione ad un momento di sospensione, mentre essa si presenta piuttosto
come un periodo ambiguo e intermedio in cui l’ordinamento ha abbandonato
alcuni caratteri determinanti del precedente assetto istituzionale senza aver
acquisito ancora tutti quelli del nuovo regime, ma non per questo meno degno di
interesse da parte del giurista: al di là della sua natura incerta, indefinita,
transeunte, la transizione non è un tempo morto del diritto.
Vi è alla base un’idea di passaggio. Da un punto di partenza ad un punto di arrivo
che però non è ancora raggiunto, né potrebbe essere altrimenti, dal omento che
se quel punto di arrivo fosse stato raggiunto la transizione si sarebbe conclusa.
Se come è stato detto la direzione della transizione non è predeterminata a priori
(abbiamo parlato di transizioni democratiche, ma anche di quelle autoritarie),
parimenti anche il punto di partenza può essere dei più diversi dal momento che
una transizione può generarsi a partire da
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Una sconfitta militare
Un atto rivoluzionario o comunque violento (golpe)
Un sovvertimento dell’ordine costituito con atti formali e legittimi
Un processo di decolonizzazione
Il punto di partenza non è un fattore indifferente rispetto allo sviluppo della
transizione. Esso al contrario condiziona il processo fino al punto da influire sugli
stessi strumenti giuridici con cui la transizione avanza:
1. Revisione della costituzione, totale o parziale
2. Costituzione invariata
3. Approvazione di una nuova costituzione.
Il che ci conduce a soffermarsi su alcune riflessioni.
Ad esempio in merito alla differenza che intercorre fra Transizione costituzionale
o Costituzione di transizione.
O sulla rinnovata validità del concetto di transizione costituzionale, che
sembrerebbe essere messo in crisi nella sua sostanza, come processo di
rinnovamento endogeno delle istituzioni, dalle interazioni del contesto
sovranazionale.
O ancora sui diversi iter attraverso i quali può prendere vita una nuova
costituzione frutto di un intervento internazionale (Bosnia), o del potere
costituente nazionale, o della riabilitazione di una vecchia costituzione
precedentemente sospesa.
O sulle ragioni che possono rendere opportuna o meno, in tempo di transizione,
l’assunzione di una nuova costituzione, che può essere presentata ad esempio
come un atto di rottura con il passato o come atto di pacificazione se vi sono
tensioni fra le parti del corpo sociale (rif. Federalismo disaggregativo)
Ma veniamo all’occasione del nostro incontro: la saga Star Wars.
Essa si presenta come un emblematico esempio di transizione involutiva.
La frase scelta a titolo della nostra lezione (So this is how liberty dies. With
thunderous applause, Episodio I scena 34)) diviene paradigmatica non solo per
evidenziare la contrazione di uno stato democratico verso una condizione
autocratica, ma anche per sottolineare come questo passaggio possa avvenire
anche attraverso il ricorso a strumenti democratici, come il voto, anche se in
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questo caso si dovrebbe parlare più specificatamente di voto per acclamazione
che a dire il vero non dovrebbe essere annoverata fra i più garantisti strumenti di
decisione, ma bene rappresenta uno dei passaggi cardini delle transizione
autocratiche attuate per mezzo di istituti democratici. Il fattore “consenso” infatti
costituisce un elemento essenziale come sottolineano anche gli studi di Mosse
sulla nazionalizzazione delle masse, che mettono in luce altresì come il carattere
involutico o evolutivo di una transizione possa genuinamente essere valutato solo
ex post.
Il sistema-mondo lungo cui si sviluppa la saga di George Lucas si fonda
chiaramente su alcuni concetti chiave a volte impliciti: guerra, dittatura, ribellione,
genocidio, ma anche federazione, democrazia, repubblica, resistenza.
È chiaro, d’altra parte, che in nessuno degli episodi, compreso l’ultimo, il settimo,
questi concetti sono approfonditi. Non è una lezione di diritto, va da sé. E
nonostante ciò senza neppure leggere la Costituzione galattica possiamo ben
ricostruire un quadro organizzativo della Repubblica/Impero dal punto di vista
istituzionale.
Si tratterebbe mi pare di un ordinamento fortemente accentrato, in cui la
separazione dei poteri è assente o nei migliore dei casi inattuata.
Esso conta su un organo decisionale monocamerale, il Senato, formato da
delegati (che non è dato intendere come siano selezionati) che eleggono fra le
loro fila un Cancelliere supremo, che sembrerebbe chiamato a svolgere la
funzione esecutiva.
La salita al potere di Palpatine evidenzia un meccanismo di sfiducia, o
quantomeno di rimozione, che può essere attivato a iniziativa di uno dei membri
(per esempio, si pensi alla mozione contro Valorum della regina Amidala del
pianeta di Naboo – Episodio I, scena 29).
Non è dato al contrario individuare alcuna traccia di potere giudiziario.
Già durante la Repubblica l’unico organismo dotato di autonomia appare essere
il Consiglio dell’ordine dei Jedi (va sottolineato che è facoltà del Cancelliere
nominare un membro del Consiglio e la nomina di Anakin Skywalker metterà in
luce il carattere piuttosto consuetudinario di questa pratica).
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D’altra parte si tratta di un’organizzazione profondamente quiescente rispetto al
Senato stesso e al Cancelliere, in tempo di pace così come durante i periodi di
crisi.
Infine, andrà detto che, nonostante, come ricordato, risulti fra i concetti cui
rimanda implicitamente il sistema, nella saga il federalismo appare di fatto
sostanzialmente assente. Nonostante le sue dimensioni e nonostante una
ostentata allegoria federale, ad esempio evidente nella struttura stessa del
Senato, la Galassia della Repubblica e ancor più dell’Impero si presenta come
una struttura priva di enti decentrati. Quelle prerogative che paiono essere forme
di autonomia concesse ad alcuni pianeti, ad un’analisi più approfondita, risultano
piuttosto falle del sistema, il frutto di un’assenza di controllo: si pensi allo stupore
di Padme quando nel I episodio (la minaccia fantasma), scesa su Tatooine
scopre che qui si pratica la schiavitù nonostante essa sia stata dichiarata illegale
dalla Repubblica; o al ruolo ambiguo ricoperto dalla Federazione dei mercanti
che non è dato definire con certezza. E’ evidente che il controllo della Repubblica
non arriva ovunque e non stupisce dunque che negli episodi II e III, durante la
guerra ingaggiata dai sith, si assista al susseguirsi di una serie di secessioni e
conseguenti annessioni alla cosiddetta “Confederacy of Indipendent States”.
Dal punto di vista della ripartizione verticale del potere, effettivamente, la saga di
Star Wars racconta di un sistema federale, che se anche è nato federale, è
andato fuori controllo. Da qui il frequente riferimento alla necessità di riportare
ordine nell’universo. Il richiamo alla forza, immanente all’universo ma non
coincidente con i poteri del sistema.
Siamo anni luce lontani dalla rappresentazione del bene che della federazione è
offerta da Star Trek. Qui il dubbio imperversa. Voglio richiamare due dialoghi che
si svolgono in due momenti diversi fra Anakin e Padme. Nel II episodio, scena
21, Anakin manifestando diffidenza per il sistema politico della Repubblica
manifesta una preferenza per uno schema dittatoriale con a capo un solo uomo
capace di obbligare gli altri a giungere ad un accordo; nell’episodio III, scena 19,
Padme è colta dal timore che la democrazia per cui lei come senatrice e Anakin
come jedi operano possa aver cessato di esistere e che la Repubblica stessa
possa essere divenuta il male stesso che essi vogliono distruggere. Separatista!
È in questo contesto, tutt’altro che consolidato, che si assiste alla transizione
dalla Repubblica all’Impero: una transizione costituzionale che sancisce il
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passaggio da un sistema a vocazione democratica ad uno chiaramente
autocratico.
Non è mancato chi si sia cimentato nella ricerca delle ragioni che hanno
contribuito a rendere possibile questa involuzione. Masket, ad esempio, individua
nella scarsa opposizione del Senato e nella sua incapacità di intercettare e
fermare l’ascesa di Palpatine le ragioni che hanno portato all’instaurarsi della
dittatura dell’Impero.
Si è ritenuto altrove (Matt Ford, del The Atlantic) che il punto debole del sistema
andrebbe ricercato non tanto in corrispondenza di singoli organi (il Senato
secondo Masket), bensì in carenze strutturali del sistema. In particolare nella riorganizzazione accentrata che consente a Palpatine di acquistare il potere in un
momento di crisi e di conservarlo successivamente, non essendo presente alcun
organo in grado di contrastare il cancelliere. Egli proclamerà la riorganizzazione
della Repubblica in Impero attraverso un atto di personalizzazione dello Stato
(quello ad essere stato attaccato è Palpatine, non la Repubblica) per garantire
sicurezza e durevole stabilità, e dunque una società più salda e più sicura.
La personificazione del potere avviata da Palpatine è ben rappresentata dalla
frase pronunciata dallo stesso Cancelliere al maestro Windu che dichiarava di
procedere al suo arresto in nome del Senato galattico della Repubblica. Senza
scomporsi Palpatine risponderà “Il Senato sono io” (episodio III, scena 27). Il “non
ancora” pronunciato da Windu convince poco. La chiusura “E’ tradimento allora”
del cancelliere la dice lunga.
E dunque: se Star Wars è un eloquente caso di studio per quel che concerne i
processi di transizione, che cosa ci insegna Star Wars sui processi di transizione?
Ci insegna innanzitutto che se è vero che le transizioni possono essere evolutive
o involutive rispetto ad un ipotetico processo di consolidamento della
democrazia, l’esistenza di alcuni elementi possono rappresentare di per sé un
valido antidoto a frenare involuzione in senso autoritario del sistema.
Fra questi sicuramente:
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La presenza di una genuina opposizione al potere
La presenza di autorità indipendenti
Un valido sistema di protezione dei diritti umani
La presenza di un potere giudiziario indipendente.
Un sistema decentrato.
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Non è possibile in questa sede soffermarsi su ognuno di essi.
Permettetemi di sottolinearne due in particolare. Non perché più essenziali di altri.
Ma perché a mio parere centrali nella riflessione contemporanea.
1) Il ruolo delle corti sovranazionali e della giustizia costituzionale. È indubbio
il ruolo fondamentale giocato dalle corti costituzionali, tanto nella fase di
contenimento (rispetto ad una involuzione democratica) che in quella di
impulso (nei periodi di transizione veri e propri). Mentre per quel che
riguarda le corti sovranazionali basterà qui richiamare il ruolo giocato dalla
Corte IDH in latino America dopo la caduta delle grandi dittature degli anni
Settanta/Ottanta. Un ruolo giocato in transizione, ma che continua ad
essere esercitato con forza ancora oggi quando molti stati di fatto sono
usciti dalla transizione. Il concetto di giustizia di transizione. Le amnistie e
il diritto alla verità, l’epurazione, la lustrazione, la riconciliazione. Il richiamo
è al concetto di giustizia di transizione e ad istituti quali amnistia,
epurazione, lustrazione; e a principi quali il diritto alla verità e la
riconciliazione.
2) La rilevanza del tipo di stato ed in particolare l’importanza del
decentramento nei processi di consolidamento democratico. Il filone
utopico-progressista della filmografia a partire dalla fine degli anni
Sessanta sembra particolarmente legata al tema del federalsimo quale
strumento per tenere insieme le diversità. Per qual che riguarda i tempi
più recenti, si pensi al caso bosniaco, iracheno, la Libia, la Siria. La
dirompente portata del federalismo: si chiede il permesso alla Russia per
la Siria. Si pensi alla Germania dopo la II GM.
Ma vi è dell’altro. Qualcosa che ha a che fare con le tempistiche. Vi sono
tempi entro cui i processi di transizione possono o devono esaurirsi? Non
sembrano esserci punti fermi in tal senso. Neppure Star Wars ci è d’aiuto in
questo caso. Anzi li là transizione non sembra finire mai.
Nessun punto fermo. Nessuna consequenzialità predeterminata.
Il vero rischio in questo senso è la zona grigia. Il pantano in cui cade
quell’ordinamento in cui l’incertezza e l’instabilità si fanno regola.
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Transizioni non guidate, non preparate, perché troppo complesse, perché il
punto di arrivo e troppo distanze o totalmente estraneo al sistema
Esistono senza dubbio fattori condizionanti.
La struttura costituzionale di partenza
Il senso dello Stato vissuto dalla popolazione
Il contesto internazionale
Le influenze (per esempio nei processi di decolonizzazione)
L’economia (in questo senso Haggar e Kauffman hanno ben sottolineato le
differenze che intercorrono in termini di chance tra transizioni in tempo di crisi
economica e transizioni che avvengono in un momento di buona performance
economica del paese).
Perché un processo di transizione possa dirsi concluso è necessario che esso
approdi ad uno stato di consolidamento:
Definizione: non vi è accordo su cosa si debba intendere per consolidamento.
Esso rimanda probabilmente ad uno stato di stabilità, routinizzazione. Un
passaggio dalla forma alla sostanza.
Se la transizione è cambio di regime; il consolidamento è funzionamento di
quel regime.
Se la transizione è comparsa di un nuovo regime, il consolidamento è
persistenza di regime.
Appare valida in tal senso la nota affermazione di Linz che ritiene giunto a
consolidamento l’ordinamento in cui il regime in vigore è “The only game in
town”.
Attenzione: come ricorda Schmitter non necessariamente si deve trattare di
un consolidamento della democrazia. Piuttosto un consolidamento
dell’ordinamento in sé.
Spesso, infatti, siamo portati a giudicare come fallite certe transizioni perché
non hanno condotto ad un risultato considerato predeterminato: il
consolidamento di un sistema di liberal-democrazia, senza considerare che
1) non necessariamente la democrazia deve declinarsi nelle forme della
democrazia liberale
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2) non tutti i paesi, sono culturalmente predisposti all’instaurarsi di una
democrazia di tipo liberare.
Le tradizioni culturali tendono a riemergere a condizionare il presente. I
crittotipi contaminano il modello di base. Capita così che ordinamenti
apparentemente votati al sistema democratico liberare finiscono con
l’approdare a soluzioni assai diverse nell’applicazione pratica. È possibile,
dunque, un consolidamento virtuoso di altro che non sia la democrazia
liberale. Altrimenti detto: se una transizione può consistere in un atto di
evoluzione democratica o in un atto di involuzione, è possibile immaginare
soluzioni alternative alla democrazia liberale fra le ipotesi di consolidamento
democratico.
L’esempio è quello del costituzionalismo andino, del costituzionalismo
partecipato.
Ma non ci si illuda. È a questo punto, giunti al consolidamento di un nuovo
ordine costituzionale che il sistema è già pronto per una nuova
trasformazione.
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