BourdieuLOpinione pubblnon esiste

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BourdieuLOpinione pubblnon esiste
L’opinione pubblica non esiste
25/05/2009
.
Premessa
di Mario Ricciardi
Ho ripreso in mano questo breve saggio di Bourdieu, dopo averlo presentato a un editore prima di
una
recente
tornata
elettorale.
Allora
non
se
ne
fece
nulla.
Il saggio è troppo breve!
Ripreso in mano mi è sembrato di respirare un’aria così ricca e stimolante da costringermi al
confronto tra quel momento in cui fu scritto, 1976, quel ruolo della sociologia (così come la vede
Bourdieu) e il tempo presente. Ho pensato che era un’occasione da non perdere: il modo migliore
per inaugurare MOSAIC, cioè un ambiente di pubblicazione e di collaborazione in Rete grazie alla
disponibilità e alla partecipazione di un editore.
Il tema mi sembra decisivo e Bourdieu è un compagno di viaggio per scrollarci di dosso questa
atmosfera plumbea e rassegnata, che è prima di tutto crisi di idee e di passioni, cioè intellettuale e
poi della sfera politica.
La prima considerazione critica è per le scienze sociali. Hanno fallito al loro compito di applicarsi a
un tema decisivo per l’immagine della società al presente quale quello del formarsi delle opinioni,
delle idee e quindi dell’opinione pubblica. La conseguenza è l’evaporazione della sfera pubblica,
oggi quasi scomparsa nella riflessione e nella pratica comune.
Abbiamo un grande bisogno di riprendere le fila di quel discorso e di quelle idee.
La pubblicazione in MOSAIC ha lo scopo di favorire la discussione, il confronto, l’emergere nelle
forme più varie che la comunicazione multimediale ci offre: sono le tessere del mosaico che
vogliamo concorrere a costruire e ri-costruire.
L’opinione pubblica non esiste
di Pierre Bourdieu[1]
Io dico che opinare significa parlare e che l’opinione consiste in un discorso esplicitamente
pronunciato.
Platone, Teeteto, 190 a.
Desidero innanzi tutto precisare che il mio proposito non è quello di denunziare in modo
meccanico e sbrigativo i sondaggi d’opinione. Se è indubbio che i sondaggi d’opinione non sono ciò
che si vuol far credere, essi non sono nemmeno ciò che comunemente si dice quando si intende
demistificarli. I sondaggi possono dare un contributo utile alla scienza sociale a condizione di
essere trattati in modo rigoroso, cioè con particolari precauzioni. In altre parole, non è mia
intenzione mettere sotto accusa chi si occupa dei sondaggi d’opinione: costoro fanno un certo
mestiere che, se non è riducibile ad una pura e semplice vendita di prodotti, non è nemmeno del
tutto identificabile con una vera e propria ricerca scientifica.
I tre postulati impliciti
Dopo questo preambolo, vorrei enunciare i postulati che dobbiamo esaminare per poter giungere a
un’ analisi rigorosa e fondata dei sondaggi d’opinione.
Questi postulati sono tre:
Innanzi tutto, ogni ricerca d’opinione presuppone che tutti possono avere un’opinione; oppure, in
altre parole, che la produzione di un’opinione è alla portata di tutti. Pur sapendo di urtare un
sentimento ingenuamente democratico, intendo contestare questo primo postulato.
Secondo postulato: si presuppone che tutte le opinioni si equivalgano: ritengo di essere in grado di
dimostrare che le cose non stanno cosi, e che il fatto di accumulare delle opinioni che non hanno
per nulla la medesima forza reale porta ad una distorsione assai marcata.
Terzo postulato implicito: nel semplice fatto di porre a tutti la stessa domanda è implicita l’ipotesi
che esista un consenso sui problemi; in altre parole, che esista un accordo sulle domande che
meritano di essere poste.
Questi tre postulati implicano, mi sembra, tutta una serie di distorsioni che si
possono osservare anche quando tutte le condizioni del rigore metodologico sono
state rispettate nella raccolta e nell’analisi dei dati.
Si muovono spesso rimproveri tecnici ai sondaggi d’opinione.
Per esempio, si mette in dubbio la rappresentatività dei campioni. Penso che, dato lo stato attuale
dei mezzi utilizzati dagli uffici di produzione dei sondaggi, l’obiezione non sia davvero fondata. Si
rimprovera loro anche di porre domande indirette, o meglio, di truccare le domande nella loro
formulazione: questo è già più vicino alla verità e capita spesso, infatti, che si suggerisca la risposta
attraverso il modo di porre la domanda. Cosi, per esempio, trasgredendo al precetto elementare che
deve guidare la compilazione di un questionario, cioè quello di lasciare a tutte le risposte possibili
la stessa probabilità, si omette spesso nelle domande, o nelle rispose proposte, una delle opzioni
possibili, oppure, ancora, si propone parecchie volte la stessa opzione sotto formulazioni diverse.
Non si è mai del tutto sicuri, salvo quando si fa un’inchiesta preliminare, d’aver previsto tutto
l’universo delle possibili risposte, e quelle solamente. Si può anche prevedere più volte la stessa
risposta, ciò che dà una maggiore probabilità alla risposta che è stata proposta più spesso; oppure e
ancora, tra le risposte previste può capitare di omettere una risposta particolarmente importante
togliendole così probabilità di comparizione.
Le problematiche obbligate
Penso, dunque, che esistano possibilità di errori di questo tipo e sarebbe interessante chiedersi
quali siano le condizioni sociali che determinano la comparsa di tali errori. Il sociologo suppone
che nulla è dovuto al caso e che questi errori si possono spiegare. Il più delle volte essi sono dovuti
alle condizioni in cui lavorano le persone che preparano i questionari. Ma vi sono anche altri
ostacoli: c’è il fatto che le problematiche proposte dagli istituti di sondaggi d’opinione sono
subordinate ad una richiesta di tipo particolare. Chiedersi quali sono i principi generatori di queste
problematiche significa domandarsi chi è in grado di pagarsi un sondaggio d’opinione.
Avendo cominciato ad analizzare una grande inchiesta nazionale sull’opinione che hanno i francesi
del sistema di insegnamento, e poiché avevamo a che fare con un campione spontaneo di risposte
suscitate da un questionario diffuso da tutta la stampa francese, abbiamo voluto controllare la
validità del nostro campione, e abbiamo rilevato negli archivi di un certo numero di istituti
specializzati, tra cui l’IFOP, la SOFRES, ecc., tutte le domande riguardanti l’insegnamento. Questa
ricerca ci ha fatto notare che più di duecento domande sul sistema di insegnamento sono state
poste dopo il maggio 1968, mentre meno di una ventina tra il 1960 e il 1963. Ciò significa che le
problematiche che si impongono a questo tipo di organismo sono profondamente legate alla
congiuntura e sono dominate da un certo tipo di richiesta sociale. In altre parole, i problemi che
vengono posti sono problemi che si impongono come problemi politici. La questione
dell’insegnamento, per esempio, può essere posta da un istituto d’opinione pubblica soltanto
quando diventa un problema politico. Si nota immediatamente la differenza che divide queste
istituzioni dai centri di ricerca, i quali concepiscono le loro problematiche, se non proprio in un
cielo puro, in ogni caso con un distacco molto maggiore rispetto alla domanda sociale nella sua
forma diretta e immediata.
Un’analisi statistica sommaria delle domande poste ci ha fatto notare che la maggior parte di esse
era direttamente legata alle preoccupazioni politiche del «personale politico». La domanda: «Si
deve introdurre la politica nei licei?» (o le sue varianti) è stata posta molto spesso, mentre invece la
domanda: «Si devono modificare i programmi?», oppure: «Si deve cambiare il modo di trasmettere
i contenuti?» è stata posta molto raramente. Cosi pure: «Si devono riciclare gli insegnanti?». Si
tratta, come si può vedere di domande altrettanto importanti, perlomeno da un altro punto di vista.
Le funzioni del sondaggio
Le problematiche che vengono proposte dai sondaggi d’opinione sono problematiche interessate.
Ogni problematica è interessata ma, nel caso specifico, gli interessi che sostengono queste
problematiche sono interessi politici e ciò impone che ci si chieda, con gran forza e nello stesso
tempo, sia il significato delle risposte sia il significato che viene dato alla pubblicazione delle
risposte. Il sondaggio d’opinione è, allo stato attuale, uno strumento di azione politica; la sua
funzione più importante consiste forse nel creare l’illusione che esista un’opinione pubblica come
pura addizione di opinioni individuali. L’«opinione pubblica» che è manifestata sulle prime pagine
dei giornali sotto forma di percentuale (il 60% dei francesi sono favorevoli a … ), questa opinione
pubblica è un artificio pure e semplice la cui funzione consiste nel dissimulare il fatto che lo stato
dell’opinione, in un determinato momento, è un sistema di forze, di tensioni e non vi è nulla di più
inadeguato di un calcolo percentuale per rappresentare lo stato dell’opinione.
Si sa che i rapporti di forza non si riducono mai soltanto a meri rapporti di forza: ogni esercizio
della forza è accompagnato da un discorso che mira a legittimare la forza di colui che lo esercita; si
può addirittura affermare che la particolarità di ogni rapporto di forza consiste nel dissimularsi
come rapporto di forza e di esprimere tutta la sua forza soltanto nella misura in cui riesce a
dissimularsi come tale. In breve, per dirla in modo semplice, l’uomo politico è colui che dice: «Dio
è con noi». L’equivalente di «Dio è con noi» è oggi «l’opinione pubblica è con noi».
L’effetto fondamentale del sondaggio d’opinione è questo: si costruisce l’idea che esiste un’opinione
pubblica unanime per legittimare una politica e rafforzare i rapporti di forza che ne stanno alla
base o la rendono possibile.
Le non-risposte
Poiché ho espresso all’inizio quanto volevo dire alla fine, proverò ad indicare molto rapidamente
quali sono le operazioni per cui si produce questo effetto di consenso. La prima operazione, che ha
come punto di partenza il postulato secondo il quale tutti devono avere un’opinione, consiste
nell’ignorare le non-risposte. Da qualche tempo a questa parte, invece di dire: il 50% dei francesi
sono per la soppressione delle ferrovie, i giornali dicono il 50% dei francesi sono per, il 40 % sono
contro e 10% non hanno un’opinione. Ma questo non basta. Per esempio, chiedete alla gente:
«Siete favorevoli al governo Pompidou? ». Registrate un 30% di non-risposte, 20% si, 50% no.
Quindi potete affermare: la parte della gente contraria è superiore a quella favorevole e poi c’è quel
residuo di 30%. Oppure, potete anche calcolare di nuovo i favorevoli e gli sfavorevoli escludendo le
non-risposte. Questa semplice scelta è un’operazione teorica di straordinaria importanza e sulla
quale desidererei soffermarmi.
Eliminare le non-risposte è fare ciò che si fa in una consultazione elettorale quando ci sono delle
schede bianche o nulle; è imporre al sondaggio d’opinione la filosofia implicita nel sondaggio
elettorale. Se guardiamo più da vicino, possiamo osservare che il tasso delle non-risposte è
generalmente più elevato tra le donne che tra gli uomini, che lo scarto tra le donne e gli uomini è
tanto più alto quanto più i problemi posti sono di ordine propriamente politico, a tal punto che in
un elenco di domande varie, per determinare se una domanda poteva essere considerata come
politica o non politica ci è bastato successivamente valutare l’importanza dello scarto delle nonrisposte tra uomini e donne. Un altro indice: più una domanda verte su problemi del sapere, della
conoscenza, maggiore è lo scarto tra le non-risposte delle persone più istruite e quelle meno
istruite. Un’altra osservazione: quando le domande vertono sui problemi etici, lo scarto delle nonrisposte tra le classi sociali è minimo (per esempio: «Dobbiamo essere severi con i bambini?»).
Altra osservazione ancora: tanto più una domanda propone problemi conflittuali, si riferisce cioè a
un nodo di contraddizioni (per esempio, una domanda sulla situazione in Cecoslovacchia per le
persone che votano comunista), tanto più quella domanda è generatrice di tensioni per una
determinata categoria, tanto maggiore è la frequenza delle non-risposte in questa categoria. In altre
parole, la semplice analisi statistica delle non-risposte ci offre un’informazione su ciò che significa
la domanda e, allo stesso tempo, anche sulla categoria presa in considerazione, essendo
quest’ultima definita tanto dalla probabilità di avere un’opinione che le viene attribuita quanto
dalla probabilità condizionale di avere un’opinione favorevole o sfavorevole.
L’imposizione della problematica
L’analisi scientifica dei sondaggi di opinione mostra che, praticamente, non esiste un problema
omnibus; non esiste cioè domanda che non sia reinterpretata in funzione degli interessi o dei noninteressi delle persone a cui è stata posta, perciò il primo imperativo è chiedersi a quale domanda le
diverse categorie degli intervistati hanno creduto di rispondere. Uno degli effetti più dannosi del
sondaggio di opinione consiste proprio nel mettere gli individui in condizione di rispondere a
domande che essi non si sono mai posti o, ancora, di rispondere a una domanda diversa dalla
risposta avanzata, poiché l’interpretazione non fa altro che registrare l’equivoco.
All’inizio, dicevo che i sondaggi d’opinione potevano essere riutilizzati scientificamente: ma ciò
presuppone delle precauzioni che le condizioni sociali nelle quali lavorano gli uffici di studio
escludono. I giornalisti che cercano soluzioni semplici semplificano i dati già semplificati che sono
stati loro trasmessi, e quando si arriva al pubblico il risultato è questo: «50% dei francesi sono per
la soppressione delle ferrovie». Una interpretazione rigorosa dei sondaggi di opinione supporrebbe
un quesito epistemologico su ognuna delle domande fatte e, in più, sul sistema di tali domande,
poiché soltanto l’analisi del sistema completo di risposte può permettere di rispondere alla
richiesta di sapere a quale domanda gli intervistati hanno risposto.
Così accade per le domande che riguardano problemi di morale, sia che si tratti di domande sulla
severità dei genitori, sia sui rapporti tra insegnanti e studenti o sulla pedagogia direttiva o nondirettiva ecc., problemi che sono maggiormente considerati problemi etici quanto più si scende
nella scala sociale ma che, per le classi superiori, possono essere problemi politici: uno degli effetti
di distorsione dell’indagine consiste nel trasformare, mediante la semplice impostazione della
problematica, risposte etiche in risposte politiche.
I due principi di produzione delle opinioni
Esistono molti principi sulla cui base si può concepire una risposta. C’è, prima di tutto, ciò che si
può definire la competenza politica in riferimento a una definizione della politica arbitraria e
legittima nello stesso tempo, cioè dominante e dissimulata come tale. Questa competenza politica
non è universalmente diffusa; varia, grosso modo, come livello d’istruzione. In altre parole, la
probabilità di avere un’opinione su tutte le domande che presuppongono una conoscenza della
politica è abbastanza simile alla probabilità di visitare un museo; vale a dire che essa è in funzione
del livello di istruzione. Si notano delle varianti straordinarie: là dove uno studente impegnato in
un movimento di estrema sinistra scorge quarantacinque separazioni a sinistra del PSU, per un
quadro amministrativo medio, invece, non c’è nulla. Nelle elezioni si pensa sempre alla scala
politica, estrema sinistra, sinistra, centro-sinistra, centro, centro-destra, destra, estrema destra,
ecc. Uno dei dati importanti messo in rilievo da un nostro test è che tutto si svolge come se le
diverse categorie sociali utilizzassero in modo molto diverso questa scala che le ricerche di «scienza
politica» usano abitualmente. Certe categorie sociali utilizzano intensamente un piccolo settore
dell’estrema sinistra; altre utilizzano soltanto il centro, altre ancora utilizzano tutta la scala; infine
risulta che un’elezione è l’aggregazione di spazi del tutto differenti; si sommano individui che
misurano in centimetri con altri che misurano in chilometri o meglio individui che contano da 0 a
20 con individui che contano da 9 a 11. La competenza si misura, tra l’altro, dal grado di acutezza di
percezione (lo stesso avviene nel campo estetico, in cui certe persone sono in grado di distinguere
le cinque o sei maniere successive di un solo pittore). Questo paragone può essere spinto più
lontano. Anche per la percezione estetica esiste una condizione permissiva: la gente deve
immaginare un’opera d’arte come tale; poi, dopo averla intesa come opera d’arte, deve possedere
alcune categorie di percezione per costruirla, strutturarla, ecc.
Immaginiamo una domanda cosi concepita: «Siete per un’educazione direttiva o per un’educazione
non-direttiva?». Questa domanda può essere costruita come domanda politica poiché la
rappresentazione dei rapporti genitori-figli si integra in una visione sistematica della società. Da
alcuni la domanda può essere intesa come politica; per altre persone si tratta di una pura questione
morale. Nel questionario, di cui vi ho parlato, noi chiediamo alla gente: «Considerate politico o no
fare uno sciopero, portare i capelli lunghi, partecipare ad un festival pop, ecc.?» per vedere come le
persone utilizzano questa dicotomia; e, naturalmente, si possono notare profonde variazioni a
seconda delle classi sociali.
La prima condizione è, dunque, quella di essere capaci di costruire una domanda come una
domanda politica; la seconda è di essere capaci, dopo averla costruita come tale, di applicare ad
essa delle categorie propriamente politiche, che possono essere più o meno adeguate, più o meno
raffinate ecc. Queste sono le condizioni specifiche della produzione delle opinioni, condizioni che il
sondaggio d’opinione presuppone come universalmente e uniformemente assolte mediante il
primo postulato secondo il quale tutti possono produrre un’opinione.
Il secondo principio che sta alla base della produzione di un’opinione è quello che io definisco
l’«ethos di classe» (per non dire l’«etica di classe»), vale a dire un sistema di valori impliciti che gli
individui hanno interiorizzato sin dall’infanzia e che genera le loro risposte ai più disparati
problemi. Per esempio: sono convinto che la coerenza e la logica delle opinioni che le persone
potrebbero scambiarsi al termine di una partita di calcio tra il Roubaix e il Valenciennes sia dovuta
in parte all’ethos di classe. È molto probabile che giudizi come: «È stato un bel gioco ma troppo
duro» oppure «È stato un gioco efficace ma brutto», giudizi che sembrano arbitrari come gusti e i
colori, sono generati in realtà da quel principio del tutto sistematico che è l’ethos di classe.
Il dirottamento del senso
Una quantità di risposte che sono considerate risposte politiche sono prodotte in realtà dall’ethos
di classe e, allo stesso tempo, possono essere rivestite di tutt’altro significato quando vengono
interpretate sul terreno politico. Cercherò di spiegare ciò che intendo e vedrete che quanto ho
appena detto non è per nulla astratto e irreale. A questo punto devo riferirmi ad una tradizione
sociologica diffusa soprattutto tra alcuni sociologi della politica negli Stati Uniti, i quali parlano
spesso di un certo conservatorismo e autoritarismo delle classi popolari. Queste tesi si fondano sul
confronto internazionale dei risultati di sondaggi o di elezioni, che tendono a dimostrare che in
qualsiasi paese le classi popolari danno sempre risposte più autoritarie di quelle delle altre classi
sociali quando le si interroga su problemi riguardanti i rapporti d’autorità, la libertà individuale, la
libertà di stampa ecc.; e se ne conclude che esiste un conflitto tra i valori democratici (per Lipset, si
tratta di valori democratici americani) e quelli che le classi popolari hanno interiorizzato, ossia
valori di tipo autoritario e repressivo. Da tutto ciò risulta una sorta di visione escatologica: poiché
la propensione alla repressione, all’autoritarismo ecc. è legata agli introiti bassi e ai bassi livelli di
istruzione, elevando il tenore di vita e il livello dell’istruzione potremo formare i buoni cittadini
della democrazia americana; e non avremo più quei partiti comunisti come ce ne sono in Italia e in
Francia. A mio avviso il problema sta proprio nel significato delle risposte a un certo tipo di
domande. Immaginiamo un insieme di domande di questo genere: «Siete favorevoli all’eguaglianza
fra i sessi? Siete favorevoli a un’educazione non repressiva? Siete favorevoli alla nuova società?»
ecc. Supponiamo anche domande del tipo: «i professori devono scioperare quando il loro posto di
lavoro è minacciato? Gli insegnanti devono essere solidali con gli altri funzionari nei periodi di
conflitti sociali?» ecc. Questi due gruppi di domande producono risposte di struttura strettamente
inversa rispetto alla classe sociale: il primo gruppo, che riguarda un certo tipo di innovazioni nei
rapporti sociali, per così dire nella forma simbolica delle relazioni sociali, suscita risposte tanto più
favorevoli quanto più ci si eleva nella gerarchia sociale e in quella del livello d’istruzione, al
contrario, invece, le domande che vertono sulle reali trasformazioni dei rapporti di forza tra le
classi generano risposte sempre più sfavorevoli man mano che si sale nella gerarchia sociale.
In breve, la definizione: «Le classi popolari sono repressive» non è né vera né falsa. Essa è vera
nella misura in cui le classi popolari tendono ad assumere verso un insieme di problemi come
quelli riguardanti l’etica dei rapporti tra genitori e figli, o dei rapporti tra i sessi, un atteggiamento
molto più rigido e autoritario rispetto alle altre classi sociali. Per quanto riguarda invece i problemi
che investono la struttura politica, problemi che mettono in gioco la conservazione o la
trasformazione dell’ordine sociale, e non soltanto la conservazione o la trasformazione dei modi di
relazione tra individui, le classi popolari sono molto più favorevoli a un rinnovamento, vale a dire a
una trasformazione delle strutture sociali. Si può osservare come certi problemi proposti nel
maggio 1968 (e spesso malamente espressi), durante il conflitto tra il partito comunista e l’estrema
sinistra, si riallaccino direttamente al problema centrale che ho tentato di esporre, e cioè al
problema della natura delle risposte che la gente fornisce alle domande proposte, vale a dire il
problema del principio in base al quale la gente produce delle risposte. Infatti, l’opposizione che ho
creato tra questi due gruppi di domande si ricollega all’opposizione esistente tra i due principi di
produzione delle opinioni: un principio fondamentalmente politico e uno etico, poiché il problema
del conservatorismo delle classi popolari è il prodotto dell’ignoranza di questa distinzione. Pertanto
ciò che ho definito come l’effetto dell’imposizione di una problematica, effetto che viene esercitato
da ogni sondaggio d’opinione e da ogni consultazione politica (incominciando da quella elettorale),
risulta dal fatto che le domande che vengono proposte in un sondaggio di opinione non vengono
poste in realtà a tutte le persone interrogate e le risposte non vengono interpretate in funzione della
problematica rispetto alla quale le diverse categorie degli intervistati hanno effettivamente
risposto. Così avviene che la problematica dominante di cui fornisce un’immagine l’elenco delle
domande proposte nel giro di due anni dagli istituti di sondaggio - vale a dire la problematica che
interessa in modo particolare coloro che detengono il potere e che vogliono essere informati sui
mezzi di cui possono avvalersi per organizzare la loro azione politica - è controllata in modo
diseguale dalle diverse classi sociali e, fatto importante, queste diverse classi sociali sono più o
meno capaci di produrre una contro-problematica. A proposito del dibattito televisivo tra ServanSchreiber e Giscard d’Estaing un istituto di sondaggi d’opinione aveva proposto domande del
genere: «Il successo è dovuto ai doni di natura, all’intelligenza, al lavoro, al merito?». Le risposte
raccolte non rivelano nulla sulla verità oggettiva ma rispondevano invece alla domanda: «In che
grado le differenti classi sociali hanno coscienza che esistono leggi obiettive per mezzo delle quali
viene trasmesso il capitale culturale?». Grosso modo si può affermare che la non-coscienza di
queste leggi cresce man mano che si scende nella gerarchia sociale e, che allo stato attuale delle
cose, sono le classi popolari ad essere particolarmente mistificate dal sistema scolastico. Si
comprende così per quali motivi nelle classi popolari è molto forte l’adesione al mito della virtù
innata, a quello dell’ascesa per mezzo della scuola, al mito della giustizia scolastica, a quello
dell’equità della distribuzione degli impieghi in base ai titoli di studio ecc. Non c’è una controproblematica: questa può esistere per pochi intellettuali ma non possiede una vera forza sociale
nonostante sia stata sostenuta da un certo numero di partiti e gruppi politici. Le classi popolari non
hanno, dunque, coscienza della realtà dei meccanismi e non sono in grado di produrre questa
contro-problematica; l’insieme stesso delle condizioni sociali ne vieta addirittura la diffusione. Ciò
significa che non basta che un partito inserisca nel suo programma la lotta contro la trasmissione
ereditaria del capitale culturale: «la verità scientifica» è sottoposta alle medesime regole di
diffusione dell’ideologia. Una definizione scientifica del tipo: «Il capitale culturale viene trasmesso
attraverso la scuola e la famiglia» è simile a una bolla papale sulla regolamentazione delle nascite:
non predica che ai convertiti. Il capitale culturale si diffonde seguendo certe leggi; la probabilità
che ciò venga recepito da alcuni e rifiutato da altri può essere determinato sociologicamente.
L’opinione mobilitata
In un sondaggio d’opinione si è portati ad associare l’idea di obiettività con il fatto di porre una
domanda nei termini più neutri possibile in modo da dare a tutte le risposte tutte le probabilità. In
realtà possiamo chiederci se un sondaggio d’opinione veramente rigoroso non sarebbe quello che
trasgredisce totalmente gli imperativi della neutralità e dell’obiettività scientifica, una ricerca che,
invece di dire, per esempio: «Ci sono persone favorevoli alla regolamentazione delle nascite, altre
sono sfavorevoli; e voi? …», enunciasse una serie esplicita di prese di posizione dei gruppi deputati
a costruire le opinioni e a diffonderle, in modo che si potessero situare gli individui non secondo
una domanda - davanti alla quale essi devono inventare non soltanto la risposta ma la stessa
problematica - ma secondo delle problematiche e delle risposte già precostituite. In altre parole, il
sondaggio d’opinione sarebbe più vicino alla realtà se si trasgredissero completamente le regole
dell’obiettività e si desse alla gente i mezzi per potersi collocare come avviene nella realtà pratica,
vale a dire in base a delle opinioni già formulate. Faccio l’ipotesi che ad un dato momento su di un
problema come quello dell’insegnamento tutti gli aspetti siano previsti. Vale a dire che un’analisi di
contenuti della stampa d’informazione, della stampa sindacale, della stampa politica ecc., permette
di disegnare una specie di mappa delle posizioni previste. Colui che propone una posizione non
prevista sulla mappa è considerato un eclettico o un incoerente. Ogni opinione è situata
obiettivamente in rapporto a una serie di posizioni già segnate. Comunemente si dice «una presa di
posizione» ma la parola va intesa nel senso lato; esistono posizioni già previste e uno le prende. Ma
non le prende a caso. Si prendono le posizioni che si è predisposti a prendere a seconda della
posizione che si occupa in un certo campo. Per esempio, nel campo intellettuale, si può affermare
che ogni individuo porta in sé una certa probabilità di prendere una posizione piuttosto che
un’altra. Evidentemente esiste un piccolo margine di libertà ma vi sono posizioni che si
propongono con maggiore o minore urgenza e un’analisi rigorosa delle ideologie mira a spiegare le
relazioni tra la struttura delle prese di posizione e la struttura del campo delle posizioni occupate
oggettivamente.
Giungo cosi al problema se i sondaggi di opinione valgano come predizione. Sappiamo che i
sondaggi, salvo qualche caso accidentale come quello della campagna elettorale inglese, hanno una
grande capacità di previsione quando si tratti di consultazioni elettorali, ma sappiamo anche che i
sondaggi di opinione sembrano naufragare quando si confronta ciò che esse affermavano con ciò
che è accaduto quando, nel frattempo, sia sopravvenuta una crisi. In altri termini, i sondaggi
interpretano abbastanza bene la struttura delle opinioni in un determinato momento, in una
situazione di equilibrio, ma interpretano con difficoltà le condizioni virtuali dell’opinione e, più
precisamente, i mutamenti d’opinione; questo accade perché i sondaggi interpretano le opinioni in
una situazione che non è quella realmente esistente al momento in cui le opinioni si costituiscono,
e perché essi temono le opinioni stesse e non le situazioni durevoli che le producono. Si nota,
infatti, uno scadimento considerevole tra l’opinione che la gente esprime in una situazione
artificialmente prodotta come è quella del sondaggio, e l’opinione che la gente esprime in una
situazione che rispecchi più da vicino la vita quotidiana in cui le opinioni si confrontano e si
confermano come avviene per i pettegolezzi che si scambiano le persone dello stesso ambiente. In
una situazione psicologica di questo tipo si sollecita un certo numero di persone ad esprimere la
propria opinione sul confronto della lunghezza di due pezzi di ferro. Si scelgono nove persone su
dieci e si chiede loro di affermare che i pezzi di ferro non sono del tutto uguali. Le si riinterroga e la
decima incomincia col dire che da principio li riteneva uguali ma che in effetti i pezzi non sono
proprio uguali, ecc. La situazione nella quale si forma l’opinione, e particolarmente nei momenti di
crisi, è la stessa; vale a dire che la gente si trova davanti a opinioni precostituite, opinioni sostenute
da gruppi, opinioni tra le quali si deve scegliere perché si deve scegliere tra i gruppi. Questo è il
principio dell’effetto di politicizzazione che provoca la crisi: si deve scegliere tra gruppi che si
definiscono politicamente, e esprimere, sempre di più, delle prese di posizione rispetto a principi
esplicitamente politici. In realtà, ciò che mi sembra importante è che il sondaggio d’opinione
considera l’opinione pubblica come fosse una semplice somma di opinioni individuali che
sarebbero state raccolte in una situazione che è, in fondo, quella della cabina elettorale dove
l’individuo esprime furtivamente un’opinione isolata. Nelle situazioni reali, le opinioni sono delle
forze e i rapporti di opinione sono conflitti di forza. Prendere posizione su questo o quel problema
significa scegliere tra gruppi realmente esistenti e perciò il terzo postulato, che afferma che tutte le
opinioni si equivalgono, è del tutto privo di fondamento.
Da questa analisi emerge un’altra legge: si hanno tante più opinioni su di un problema quanto più
si è interessati al problema stesso, vale a dire quanto più il problema ci interessa. Per esempio, per
quanto riguarda il problema della scuola, il tenore delle risposte è strettamente connesso al grado
di vicinanza della persona con il sistema d’insegnamento, sia come professore, sia come genitore di
uno scolaro, o come ex-allievo o impiegato scolastico, e la probabilità di avere un’opinione varia in
funzione della probabilità di avere un certo potere nell’ambito di ciò su cui si ha un’opinione.
L’opinione mobilitata è quella della gente la cui opinione, come si dice, ha un peso. Se un ministro
dell’Istruzione agisse in funzione dei risultati di un sondaggio d’opinione (o almeno partendo da
una lettura superficiale del sondaggio) non agirebbe come agisce nella realtà in quanto uomo
politico, vale a dire in base alle telefonate che riceve, alla visita del direttore della Scuola normale
superiore, o alla visita del docente tal dei tali, ecc. Nella realtà, il ministro agisce assai di più in
funzione delle forze d’opinione effettivamente costituite che affiorano alla sua percezione nella
misura in cui esse hanno una forza di influenza e nella misura in cui esse sono forti perché sono
mobilitate.
Disposizioni e opinioni
Poiché si tratta di prevedere, per esempio, come sarà l’Università nei prossimi dieci anni, penso che
l’opinione mobilitata è essenziale; ma, nello stesso tempo, un certo tipo di lettura dei sondaggi di
opinione permette di scoprire qualcosa che non esiste ancora allo stato di opinione ma che, invece,
può emergere brutalmente in una situazione di crisi. Qualcosa che non esiste come opinione se per
tale si intende un insieme di proposizioni che vengono formulate in un discorso che si pretende
coerente. La gente che non risponde, o che dice di non avere un’opinione, è priva realmente di
un’opinione? Penso che prendere sul serio le non-risposte sia prendere sul serio il fatto che le
disposizioni di certe categorie non possono accedere allo statuto di opinioni, vale a dire a un
discorso precostituito che ha la pretesa di essere coerente, di essere compreso, di imporsi, ecc.
Quando, nelle situazioni di crisi, si manifesteranno le opinioni costituite, le persone che non
avevano alcuna opinione non sceglieranno a caso: se per loro il problema è costituito politicamente
(problema di salario, di ritmi di lavoro per gli operai), sceglieranno in termini di competenza
politica; se, invece, il problema non è costituito in termini politici, o se è in via di costituzione come
tale, (per esempio, la repressione all’interno dell’azienda), faranno la loro scelta in nome di un
principio che si chiama istinto di classe, ma che con l’istinto non ha nulla a che fare: si tratta,
invece, di un sistema di disposizioni profondamente inconscio che sta alla base di una gran
quantità di scelte in campi estremamente diversi che vanno dall’estetica fino alle scelte economiche
quotidiane. Il sondaggio d’opinione tradizionale produce questo strano effetto che consiste nel
distruggere allo stesso tempo da un lato gli studi dei gruppi di pressione in materia d’opinione,
dall’altra lo studio delle disponibilità virtuali che possono non esprimersi sotto forma di un
discorso esplicito. Per questo motivo il sondaggio d’opinione, cosi com’è utilizzato attualmente,
non può produrre nessuna ragionevole previsione su quanto potrebbe accadere in situazione di
crisi.
Il sondaggio e l’elezione
Supponiamo un problema come quello del sistema d’insegnamento. Si può domandare: «Che cosa
ne pensate della politica di Edgar Faure?». Questa è una domanda molto vicina a un sondaggio
elettorale, nel senso che si tratta della notte in cui tutte le vacche sono nere: tutti sono grosso modo
d’accordo senza sapere su che; sappiamo tutti che cosa ha significato il voto unanime sulla legge
Faure all’Assemblea nazionale. Domandiamo poi: «Siete favorevoli all’introduzione della politica
nei licei?». A questo punto si nota una spaccatura molto netta; ma, malgrado tutto, all’interno delle
classi superiori le cose sono più complicate; le frazioni intellettuali di queste classi sono favorevoli
con riserve mentali. Successivamente si può fare una domanda di questo genere: «I professori
possono scioperare?»; a questo punto tra le risposte c’è un divario nettissimo. Per quanto riguarda
le classi popolari interviene una specie di transfert della competenza politica specifica e non si sa
che cosa rispondere. Un’altra domanda: «Bisogna modificare i programmi? siete favorevoli al
controllo permanente? siete favorevoli all’inserimento dei genitori nel consiglio degli insegnanti?
siete favorevoli alla soppressione dell’aggregazione? ecc.». Nella domanda «siete favorevoli a Edgar
Faure?» tutte queste domande erano già implicite e la gente ha preso posizione in un colpo solo su
qualcosa che un buon questionario non avrebbe potuto prendere in considerazione se non
impiegando almeno sessanta domande a proposito delle quali si sarebbero potute notare delle
varianti in tutti i sensi. In un caso le opinioni sarebbero positivamente collegate alla posizione
occupata all’interno della gerarchia sociale, in un altro, invece, negativamente, in altri casi poco, o
fino ad un certo limite, oppure affatto. Dunque, quando si pone una domanda come «siete
favorevoli a Edgar Faure?», si accumulano dei fenomeni che dipendono in modo molto diverso
dalla classe sociale. Il fatto interessante è che gli specialisti di sociologia politica notano come la
correlazione che si può osservare abitualmente in quasi tutti i campi della realtà sociale fra la classe
sociale e le opinioni, sia molto debole quando si tratta di fenomeni elettorali, a tal punto che alcuni
non esitano a concludere che non esiste nessuna correlazione tra la classe sociale e il fatto di votare
per la destra o la sinistra.
In realtà, se avete in mente quello che ho appena detto, capirete che una consultazione elettorale
pone in un’unica domanda sincretica ciò che non si potrebbe ragionevolmente comprendere se non
con duecento domande; se per voi è chiaro che gli uni misurano in centimetri, gli altri in
chilometri, e tante altre difficoltà, potrete concludere che l’atto del voto è aleatorio e che,
probabilmente, bisogna rovesciare la domanda tradizionale del rapporto tra il voto e la classe
sociale: com’è possibile che, nonostante tutto, ci sia una sia pur debole relazione? Come è possibile
che non risulti semplicemente una curva a campana? Tra le opinioni elettorali esiste un’elasticità
molto ampia: l’opinione che si esprime con un voto è essenzialmente definita in maniera negativa;
esistono dei paraurti, cioè dei punti oltre i quali non si può andare, ma anche nei limiti cosi definiti
i voti circolano. Ciò si vede ancora di più quando la strategia delle campagne elettorali consiste nel
porre male le domande e nel puntare al massimo sulla dissimulazione delle fratture per guadagnare
i voti incerti. Tutto ciò porta a domandarsi qual è la funzione del sondaggio di opinione che ha
esattamente le stesse caratteristiche del sistema elettorale. Per dire le cose in modo molto
grossolano, io penso che il sistema elettorale sia uno strumento che, per la sua stessa logica, tende
ad attenuare i conflitti e le fratture e che, per questo, tende naturalmente a servire la
conservazione. Ci si può chiedere che cosa si fa quando si accetta di servirsi di questo strumento. Si
può, per esempio, arrivare alla conclusione che non si sapeva in che cosa consistesse, che bisogna
continuare a servirsene ecc. Un partito rivoluzionario che voglia accrescere la propria forza nel
quadro dei rapporti di forza, può, partendo da questa analisi assumere come strategia principale
quella di fornire delle contro-problematiche, di utilizzare sistematicamente il procedimento che
viene usato istintivamente da generazioni (vale a dire la contro-strategia del «berretto bianco-
bianco berretto» come rifiuto della problematica). Per un partito che ha definito i propri obiettivi, il
problema non è quello di fornire delle risposte ma di dare alla gente i mezzi di essere i produttori,
non delle proprie risposte, ma delle proprie domande e di essere, nello stesso tempo, i produttori di
strumenti di difesa contro le domande che vengono imposte per il semplice fatto che essi non ne
hanno altre.
Sotto un altro punto di vista, si potrà concludere che, come per mandare la gente a visitare un
museo, occorre insegnargli un certo numero di cose a scuola, così, se si vuole che il gioco elettorale
sia meno assurdo, bisogna che la differenza tra i postulati impliciti nel sistema elettorale e la realtà
sia la più piccola possibile: in altre parole occorrerà, per esempio, che la gente sia in possesso dei
mezzi di produzione delle opinioni; si dovrà, dunque, dargli il modo di appropriarsene. Ciò
significa che già nelle classi elementari si dovrà impartire una vera educazione politica.
Si può anche affermare: io non desidero partecipare al gioco elettorale perché, allo stato attuale
della struttura della società, della distribuzione del capitale culturale, del quale ho appena detto che
è uno dei fattori che formano l’attitudine a produrre delle opinioni, ecc., è assolutamente illusorio
che si possa arrivare all’uguaglianza davanti alle urne. Si può, quindi, concludere che soltanto le
minoranze attive sono capaci di mobilitare l’opinione. Si può trarne tutte queste conclusioni, molto
diverse, senza essere tuttavia esclusive. Ciò che è certo è che, studiando il funzionamento di un
sondaggio di opinione, ci si può formare un’idea del modo in cui funziona quel tipo particolare di
sondaggio che è il sondaggio elettorale e quale effetto produce.
In breve, ho proprio voluto dimostrare che l’opinione pubblica non esiste, almeno nella forma che
le attribuiscono coloro che hanno interesse ad affermare che essa esiste. Ho detto che ci sono, da
un lato, opinioni mobilitate, opinioni costituite, gruppi di pressione mobilitati attorno a un sistema
di interessi; e, dall’altro lato, delle disposizioni, cioè l’opinione allo stato implicito che, per
definizione, non è l’opinione se per essa s’intende qualcosa che si può formulare con una certa
pretesa di coerenza. La definizione dell’opinione che ho preso in considerazione è la definizione che
è usata allo stato implicito nei sondaggi di opinione. Non è questa la mia opinione sull’opinione. È
semplicemente l’esplicitazione della definizione dell’opinione che praticano coloro che producono
sondaggi di opinione domandando agli intervistati di formulare opinioni o di prendere posizione su
opinioni già formulate. Io dico semplicemente che l’opinione nel senso della definizione sociale
implicitamente ammessa da coloro che fanno sondaggi d’opinione, o da coloro che utilizzano i
risultati di questi sondaggi, non esiste.
[1]Il testo è comparso in “Problemi dell’informazione”, n°1, gennaio-marzo 1976, Il
Mulino, Bologna, pp. 71-88.
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Mario Ricciardi says:
22 May 2009 at 08:02
I tre postulati di Bourdieu
Il
primo
la
produzione
di
postulato:
un’opinione
è
alla
portata
di
tutti.
La risposta di Bourdieu: non è così. Occorre analizzare le dinamiche di produzione delle idee
e
quindi
la
formazione
di
un’opinione
pubblica
o
almeno
di
opinioni
visibili.
Il sondaggio, invece, presenta le idee come dati fissi. Le opinioni sono dati quindi possono
essere trattati come dati. Le idee, al contrario, sono prodotti di esseri umani in relazione tra
di loro e fanno parte di uno dei campi decisivi per la democrazia e i diritti di cittadinanza.
A
cosa
servono
le
domande?
Per
avere
risposte.
Sono domande le cui risposte devono essere facilmente utilizzate dalla televisione (talk
show)
o
dalla
stampa
quotidiana,
cioè
dai
massmedia.
Ciò che viene pubblicizzato è risposta elementare, povera, per domande elementari e
povere. Ma questo risultato concorre a definire lo stato attuale delle opinioni e quindi una
forma “povera” e statica di opinione pubblica.
Il
secondo
l’opinione
Le
pubblica
opinioni
sono
non
delle
è
forze
una
e
i
postulato:
semplice
rapporti
somma
di
di
opinione
opinioni
sono
conflitti
individuali.
di
forza.
La formazione dell’opinione pubblica è determinata dall’attuale deriva tra media e politica:
l’idea
di
pubblico
è
cambiata,
non
c’è
spazio
pubblico.
Invece di guardare alla superficie, Bourdieu vuole guardare alla genesi, alle forze, ai
condizionamenti e alle dinamiche che concorrono a formare quel consenso e quell’opinione
resa visibile. La forma pubblica si riduce a una visibilità condivisa secondo le forme di un
messaggio che si fonda sui sondaggi e sulle percentuali e su un insieme di cittadini che
l’accetta.
Un campo che non è fatto di pure relazioni umane, ma è sempre più caratterizzato e
implementato dalle dinamiche dei media di massa e dal mescolarsi di questi con le
tecnologie della comunicazione e con i network. Oggi il dato rilevante è l’intreccio tra una
forma di comunicazione di massa con le caratteristiche e i linguaggi propri dei media di
massa e una forma di comunicazione
attraverso le Reti che usa un linguaggio
completamente diverso proprio per il tipo di rapporto che stabilisce con il destinatario e/o
l’utilizzatore del medium: mass è un mondo; personal è un altro mondo; ma al presente
sono attivi e in evoluzione entrambi e entrambi sono fortemente condizionati dalla
convergenza con le tecnologie di comunicazione. Di tutto questo negli attuali sondaggi non
c’è
I
traccia:
mediatori
tutto
e
è
divulgatori
immobile
dei
sondaggi
e
sono
codificato.
i
giornalisti.
I giornalisti che cercano soluzioni semplici semplificano i dati già semplificati che sono stati
loro
trasmessi.
Domandiamoci in che modo un medium può agevolare il formarsi di opinioni libere e
competenti.
Le domande immediate che richiedono risposte in real time derivano fondamentalmente dai
massmedia e dalla politica attuale che così fa il suo mestiere e realizza i suoi obiettivi
politici. Rimane da domandarsi se allora non ci sia un’omologazione di tutte le parti politiche
in gioco che ragionano tutte allo stesso modo e attendono ansiosamente tutte i risultati di
sondaggi fatti allo stesso modo, ma soprattutto originati dalle stesse domande senza
nessuna
interrogazione
preliminare
sul
perché
vengono
fatte
certe
domande.
Si potrebbe dedurre da questo meccanismo che il risultato dei sondaggi premia la parte
politica che richiede le risposte secondo il proprio modello “mentale” e politico. Gli italiani si
abituano a rispondere immediatamente e senza riflettere.
Il
il
terzo
sondaggio
afferma
che
tutte
postulato:
le
opinioni
si
equivalgono.
Al contrario: si hanno tante più opinioni su di un problema quanto più si è interessati al
problema
stesso.
Rendere pubbliche le proprie opinioni comporta un impegno. Nel sondaggio questa difficoltà
o questa volontà di espressione e di comunicazione con gli altri viene cancellata. La frizione
che può esistere nel manifestare idee che sono o possono essere contraddette si liquefa
come pure il formarsi di idee giuste, e l’esprimere soltanto luoghi comuni o stereotipi viene
messo sullo stesso piano. Scompare il campo della formazione delle opinioni personali e
condivise e scompare anche la ricchezza e la complessità della sfera pubblica così come era
intesa dai grandi ricercatori delle scienze sociali: la sfera pubblica è piatta, quasi inesistente
se non nella forma costruita rapidamente e consumata immediatamente dai media di
massa.
Bourdieu introduce il concetto di “interesse”: per produrre opinioni o per esprimere opinioni
nella società occorre provare interesse per quelle stesse opinioni: l’opinione fa già parte
della nostra presenza pubblica nella società, non è un luogo neutrale! O asettico. Dunque
occorre rendere conto delle dinamiche “attive” contraddittorie conflittuali di relazione.
Politica
piatta
Il meccanismo del sondaggio con la sua presunta obiettività che semplifica e fa sparire la
complessità della dinamica sociale da cui nascono le opinioni, le domande e le risposte, si
sposa perfettamente con l’uso massmediatico che è anch’esso “neutrale” e non discute mai
il sondaggio, al massimo lo commenta. Questo meccanismo può spiegare la reciproca,
profonda dipendenza dell’attuale sistema politico dai media di massa e le tecniche che da
questi derivano o a questi si adeguano, in cui il falso bipolarismo è in realtà fondato su una
comune piattaforma di convinzioni, di modi di essere e di vivere pre-politici - cioè prima
della politica spettacolo o della visibilità. Esiste un retroterra dinamico, reale, pieno di vita
ma è del tutto oscurato da questo modo di comunicare le opinioni. Quando si dice che non
c’è più destra o sinistra si dice una verità profonda che sta nella mente nelle opinioni e nelle
emozioni di una larga parte dei cittadini italiani. La scelta politica richiede un’aggiunta
consapevole, un di più di idee e opinioni “impegnate” e uno sforzo –per la sinistra– per
affermarsi come tale (ma in questa fase rivelando immancabilmente tutte le sue debolezze
e
inconsistenze).
Questo schieramento non riesce a suscitare la mobilitazione dei suoi potenziali elettori
puntando sull’interesse e l’impegno per una causa, per dei valori che sono del tutto
misconosciuti. Applicando l’analisi di Bourdieu sulle minoranze interessate si può capire
bene perché questo schieramento non ottiene consenso, anzi lo perde. Non ha sostenitori
spinti da vero “impegno”. L’altro schieramento ha felicemente bypassato questo problema e
riproduce sia in forma blanda (blanda democrazia) sia in forma dura (razzismo ad esempio)
la
tipica
deriva
plebiscitaria
indicata,
a
suo
tempo,
da
Max
Weber.
La scomparsa del voto come scelta e la sua sostituzione con semplici meccanismi di
conferma o approvazione di scelte altrui, è la più evidente conferma. Qui si assume che
l’opinione è già formata secondo i desideri di chi comanda la politica e quindi l’elettore va
solo
a
ratificare.
Possiamo concludere: siamo invitati a non pensare molto, a riflettere poco e a rispondere
immediatamente e possibilmente secondo il senso comune (che può essere uno stereotipo
anche
ben
confezionato).
I sondaggi e soprattutto l’uso mediatico -e in coerenza con esso l’uso politico dei sondaggiha concorso a distruggere l’opinione pubblica.
La
responsabilità
delle
scienze
sociali
Le scienze sociali hanno mancato a quello che era il loro compito all’origine: far pensare in
profondità, riflettere sulla genesi dei processi e non soltanto reagire al momento in cui ci si
imbatte direttamente nei problemi o nelle questioni già confezionate. Il debito delle scienze
sociali rispetto alla comunità è diventato troppo alto; allo steso modo degli economisti, che
pure dovrebbero avere un certo rapporto con la società e le sue diverse componenti.
Loretta Napoleoni (Tutto Libri, 25 aprile 2009) alla domanda ovvia ma “riflessiva” sulla
genesi dei processi dominanti l’attuale crisi economica: “Ma è possibile che gli economisti
non avessero nessuna capacità di prevedere la bolla finanziaria smisurata che stava
crescendo e i meccanismi finanziari che ne seguivano?”. La risposta è: alcuni ne erano ben
consapevoli, ma come l’intervistata, lavoravano per le banche…quelle stesse banche che
alimentavano
il
processo.
Ne dobbiamo dedurre che i sociologi che fanno i sondaggi formulano in quel modo le
domande per essere in sintonia coi desideri di chi ordina quegli stessi sondaggi, cioè di chi li
paga?
•
Guglielmo Rinzivillo says:
27 May 2009 at 05:02
Avendo studiato, prima di laurearmi in Sociologia, Scienze e tecniche dell’Opinione pubblica,
non posso che ribadire con Bourdieu la prevalente inaffidabilità sia dell’opinione pubblica sia
dei sondaggi d’opinione.In particolare, ricordo che i francesi hanno molta dimestichezza con
i sondaggi e, si pensi non solo all’IFOP ma anche ai sondaggi Gallup etc., nei quali dal punto
di vista della metodologia e delle tecniche della ricerca sociale, sono riscontrabili parecchi
limiti.Ora, il saggio di Bourdieu, credo riguardi l’affermazione scientifica dell’impossibilità di
misurare l’opinione entro un campo affidabile di percentuali e, quindi,con dei risultati
controllabili ma soprattutto ripetibili, nonché soggetti ad una ‘pubblicità’ delle procedure.Un
altro limite dell’opinione pubblica sembra essere la sua mancanza di criticità, nonostante
venga spacciata come una sorta di supervisore della criticità. In realtà, soprattutto nelle
logiche di mercato, i sondaggi cercano di misurare ciò che può essere utilizzato
dall’offerente per accaparrarsi il consenso dell’acquirente.Rilevare opinioni è quindi
falsificazione contingente della realtà effettiva nella quale e, per causa di molte forze
concorrenti, l’opinione viene a formarsi, in modo transitorio e mai permanente. La risposta
è data proprio dai francesi, quando sconfessano con i dati i risultati dei sondaggi e
mostrano che anche il proprio ‘nazionalismo’ fa acqua da tutte le parti, così come il nostro
mancato ‘nazionalismo’ (parlo dell’Italia)si contraddice nell’opinione pubblica e nel consenso
verso chi, invece, rappresenta politicamente soltanto i propri interessi. Ben venga la lezione
di Bourdieu a ribadire anche che la sociologia come scienza ha il potere demistificante delle
‘grandi occasioni’ storiche.
•
Paolo Ferri says:
27 May 2009 at 08:55
Caro
Mario,
davvero sei uno sperimentatore di vaglia, forse non raggiungerai la terra promessa, ma hai
indicato la strada a molti, neanch’io la raggiungerò, ma ti ringrazio per avermi messo in
cammino
Paolo
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