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DAVID CRONENBERG
DIVORATI
Traduzione di Carlo Prosperi
I GRANDI TASCABILI
BompIANI
Cronenberg, David, Consumed
Copyright © 2014 by David Cronenberg
All rights reserved
ISBN 978-88-452-8133-4
© 2014/2016 Bompiani / RCS Libri S.p.A. - Milano
I edizione Tascabili Bompiani marzo 2016
a Carolyn
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Naomi era nello schermo. Più esattamente: era nell’appartamento nella finestra di QuickTime nello schermo, il minuscolo, trasandato appartamento da accademici di Célestine
e Aristide Arosteguy. Era lì, di fronte a loro seduti uno accanto
all’altra su un vecchio divano – bordeaux? di velluto? – a dialogare con un intervistatore fuori campo. E grazie agli auricolari bianchi di plastica che aveva nelle orecchie, era nella casa
degli Arosteguy anche acusticamente. Percepiva la profondità
della stanza e la tridimensionalità delle teste di questa coppia, teste sagaci dai visi sensuali, una coppia che si somigliava
come fratello e sorella. Sentiva l’odore dei libri stipati negli
scaffali alle loro spalle, avvertiva il feroce calore intellettuale
che emanavano. Tutto nell’inquadratura era a fuoco – con il
video è così, sono quei piccoli sensori CCD o CMOS; la natura del mezzo, rifletté Naomi – e di conseguenza il senso di
profondità che proiettava verso la stanza, verso i libri e i visi
era accentuato.
Stava parlando Célestine, una Gauloise accesa tra le dita.
Aveva le unghie smaltate di un rosso violaceo – o erano nere?
(lo schermo aveva la tendenza a virare sul magenta) – e i capelli
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raccolti in uno chignon raffinatamente scompigliato, con riccioli randagi intorno al collo. “Be’, certo, quando non hai più
alcun desiderio sei morto. Persino il desiderio di un prodotto,
di un bene di consumo, è meglio dell’assenza di desiderio. Il
desiderio di una macchina fotografica, per esempio, anche scadente, anche da quattro soldi, è sufficiente a tenere a bada la
morte.” Un sorriso malizioso, poi aspirava dalla sigaretta con
quelle labbra. “Se il desiderio è reale, naturalmente.” Espirava
il fumo felina, poi un risolino.
Una donna di sessantadue anni, Célestine, ma nella versione
intellettuale europea di una sessantaduenne, non quella americana da centro commerciale nel Midwest. Naomi era sbalordita dalla sua voluttuosità, dall’alone di eleganza e di carisma,
da come quei cinetici gioielli sembravano combinarsi col suo
provocante abbandono su quel divano. Non l’aveva mai sentita
parlare prima, solo adesso qualche intervista aveva cominciato
a saltare fuori in rete, e solo, ovviamente, a causa dell’omicidio.
La voce di Célestine era roca e sensuale, il suo inglese sicuro e
giocoso, e al tempo stesso letalmente preciso. Naomi era intimidita dalla morta.
Célestine si girava languidamente verso Aristide. Il fumo si
riversava dalla bocca e dal naso scivolando verso di lui, come il
passaggio di un evanescente testimone. Aristide prendeva fiato
per parlare, inalando il fumo, approfondendo il concetto della
moglie. “Anche se poi non la compri, o, una volta che ce l’hai,
non la usi. Basta desiderarla. Lo vedi nei bambini più piccoli.
Il loro desiderio è feroce.” Pronunciando quelle parole cominciava a lisciarsi la cravatta, infilata in un elegante maglione di
cachemire a V. Era come se stesse accarezzando uno di quei
feroci bambini, e il gesto sembrava spiegare il sorriso beato che
gli pervadeva il volto.
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Célestine lo osservava per qualche istante, e dopo aver
aspettato che le carezze cessassero tornava a rivolgersi all’ignoto intervistatore. “Ecco perché sosteniamo che la sola letteratura autentica dell’era moderna è il manuale di istruzioni.”
Svelando un décolleté piacevolmente lentigginoso, si allungava
verso l’obiettivo per cercare qualcosa fuori campo, adagiandosi poi di nuovo contro lo schienale con un corposo libriccino bianco nella mano che reggeva la sigaretta. Lo sfogliava, il
viso miopemente vicino alle righe – o stava forse annusando la
carta, l’inchiostro? – finché non trovava la pagina e iniziava a
leggere. “Flash automatico senza riduzione occhi rossi. Usare
questa modalità per scattare foto senza persone o se si desidera
scattare immediatamente.” Rideva quella risata roca, pastosa,
e ripeteva, stavolta con grande enfasi: “Usare questa modalità per scattare foto senza persone.” Una scrollata del capo, gli
occhi chiusi per apprezzare appieno la ricchezza delle parole.
“Quale autore del secolo scorso ha prodotto una scrittura più
intensa e stimolante di questa?”
La finestra contenente gli Arosteguy si rimpiccioliva e andava a occupare l’angolo in basso a sinistra della finestra di
un notiziario. Gli ora minuscoli Aristide e Célestine, ancora rilassati e loquaci, riprendevano il filo della conversazione l’uno
dall’altra come esperti giocatori di pallamano, ma Naomi non
sentiva più quello che dicevano. Sentiva invece le parole del fin
troppo accorato giornalista nella finestra principale. “Proprio
in questo appartamento, di Célestine e Aristide Arosteguy, nei
pressi della Sorbonne, la celebre università parigina, sono stati
rinvenuti i resti orrendamente dilaniati di una donna, in seguito identificata come la stessa Célestine Arosteguy.” Nella
finestra più piccola, la camera zoomava su Aristide, il quale
continuava a chiacchierare amabilmente. “Non è stato al mo9
mento possibile sentire il marito, il noto filosofo e saggista francese Aristide Arosteguy, tuttora irreperibile.” Con uno stacco
brutale Aristide scompariva, sostituito da riprese effettuate,
con camera a mano e illuminazione crudamente frontale, nella cucina del piccolo appartamento, apparentemente di notte.
Subito le immagini passavano a schermo pieno, mentre la finestra con il conduttore del telegiornale si ritirava nell’angolo in
alto a destra.
Uomini della scientifica, muniti di guanti sterili neri, tiravano fuori dal frigo buste di plastica congelate, fotografavano pentole e padelle sudicie sui fornelli, rovistavano fra piatti
e posate. Il giornalista miniaturizzato proseguiva: “Secondo
quanto appreso da fonti che desiderano restare anonime, le
tracce rinvenute nell’appartamento avvalorerebbero l’ipotesi
che alcune parti del corpo di Célestine Arosteguy siano state
cucinate su quei fornelli e mangiate.”
Stacco sul campo lungo di un imponente edificio pubblico,
con la scritta in sovrimpressione “Préfecture de Police, Parigi”.
“Queste le dichiarazioni del questore di Parigi Auguste Vernier sulla possibile fuga dal paese di Aristide Arosteguy.” Stacco sull’intervista all’occhialuto, stranamente delicato questore
in quello che sembrava un ampio corridoio gremito di reporter. La sua voce francese, emotivamente sfaccettata e profonda,
scemava rapidamente per essere sostituita da un asettico, cavernoso inglese americano. “Il signor Arosteguy è un patrimonio
nazionale. Così come lo era Madame Célestine Moreau. Erano
un ideale francese, quei due, la coppia di filosofi. Questa morte
è una tragedia nazionale.” Inserto con le immagini della caotica
ressa di giornalisti che urlavano domande dallo schieramento
di telecamere e registratori, poi di nuovo quelle del questore.
“Aristide Arosteguy ha lasciato la Francia tre giorni prima che
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fossero rinvenuti i resti della moglie, per tenere una serie di
conferenze in Asia. Non abbiamo, al momento, motivi fondati
per ritenerlo coinvolto nel delitto, ma ovviamente si pongono
degli interrogativi. È vero che non sappiamo con certezza dove
si trovi. Lo stiamo cercando.”
Il segnale acustico del nastro trasportatore trascinò via
Naomi dalla Préfecture per riportarla nella zona di ritiro bagagli dell’aeroporto Charles de Gaulle. Mentre il nastro si metteva in movimento, la calca dei passeggeri in attesa cominciò a
premere. Qualcuno urtò il laptop facendoglielo scivolare lungo
gli stinchi, strappandole gli auricolari dalle orecchie. Si era seduta sul bordo del nastro e l’aveva scontata. Riuscì per un pelo
a salvare l’amato MacBook Air, tirando su i piedi e bloccandolo con la punta delle scarpe da tennis. Il servizio proseguiva
imperterrito nella sua finestra, ma Naomi richiuse il portatile e
mise per il momento a dormire gli Arosteguy.
Nathan sentì squillare l’iPhone e capì che era Naomi dalla suoneria, il gracidio di una raganella africana che lei aveva
scoperto e gli aveva girato per email, trovandolo piuttosto erotico. Era accovacciato in un umido corridoio di servizio della
clinica Molnár, tutto cemento faccia a vista, cercando nella
borsa con l’attrezzatura fotografica qualcosa che secondo lui
aveva preso Naomi, per cui era logico che gli telefonasse proprio ora, con quel suo radar extrasensoriale che funzionava
alla solita, inquietante maniera. Mentre con una mano continuava a rovistare, con l’altra rispose alla chiamata. “Naomi,
ehi. Dove sei?”
“A Parigi finalmente. Su un taxi diretta al Crillon. Tu dove
sei?”
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“In un viscido corridoio della clinica Molnár a Budapest,
sto cercando quel macro da 105 che ho comprato all’aeroporto
di Francoforte.”
Una pausa quasi impercettibile, che, come Nathan sapeva,
non riguardava il possibile senso di colpa di Naomi per l’obiettivo ma il fatto che stesse mandando un messaggino a qualcuno dal BlackBerry intanto che parlava con lui. “Uhm… non lo
troverai nella tua borsa perché è nella mia. Me l’hai prestato a
Milano, ricordi? Eri sicuro che tanto non ti sarebbe servito.”
Nathan fece un bel respiro e maledisse il momento in cui
l’aveva convinta a passare dalla Canon alla Nikon in modo da
poter mettere in comune l’attrezzatura; la passione per una
specifica marca è colla emotiva per le coppie di fanatici dell’elettronica. Che errore. Smise di rovistare. “Già. Proprio come
pensavo. Per un attimo ho sperato che fosse un’allucinazione,
invece te l’ho passato davvero. Faccio un sacco di sogni in cui
ti passo la mia roba.”
Uno sbuffo da parte di Naomi. “E così sei impiccato? Hai
scoperto adesso che ti serve un macro?”
“Sto per fotografare un intervento chirurgico. Non immaginavo che mi avrebbero lasciato entrare e invece sono contenti,
anzi entusiasti, di farmi documentare tutto quanto. Volevo il
macro per il secondo corpo. Sono sicuro che ci saranno un
mucchio di bizzarre strumentazioni mediche ungheresi di cui
fare grandi primi piani. Magari non per il pezzo ma per consultazione. Per i nostri archivi.”
Pausa multitasking, un’imponderabile interruzione del ritmo
della conversazione che mandava Nathan su tutte le furie. Ma
era Naomi, e allora ingoiavi il rospo. “Scusami. Chi poteva saperlo?”
“Fa niente. Ne avrai senz’altro più bisogno di me.”
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