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PESACH/PASSAGGIO
di Laura Forti
“Ed avverrà che i vostri figli vi domanderanno: che cosa significa per voi questo rito?”
(Esodo 12, 26)
personaggi
La Madre
Nora
Betta
Giorgio
Pesach ha vinto l’edizione 2001 del Premio “Ugo Betti”
La scena si svolge in una cucina, durante la sera di Pesach, la Pasqua ebraica, e l'azione
è tutta concentrata intorno alla tavola su cui, di volta in volta, si accumulano i segni
contrastanti dello spettacolo (l'apparecchiatura per il seder - la cena rituale - la torta di
compleanno, gli oggetti di scena) e lungo la quale i personaggi si rincorrono, si cercano,
lottano, si allontanano gli uni dagli altri. Sono sempre tutti in scena anche quando
escono. Non cessano mai di spiarsi.
1. TOGLIERE LE BRICIOLE
Un canto religioso ebraico tipico di Pesach.
La Madre passa con una Menorah , il tipico candelabro ebraico, per la stanza: sta
facendo il rito di ripulitura delle briciole di pane. Mette il candelabro sul tavolo, brucia
alcune briciole recitando una preghiera. Si guarda intorno. Sospira. Tira fuori una sigaretta
e la accende con una candela. Rumore delle chiavi nella serratura della porta. Spenge la
sigaretta e se la nasconde nella tasca del grembiule. Raggiunge velocemente la sedia a
dondolo sulla destra della scena e si mette a sfogliare un grosso album di fotografie.
Entra Nora. E’ affannata e di cattivo umore. Resta a guardare la madre un istante
poi sbatte il pacco della spesa sul tavolo.
LA MADRE: Mi hai fatto paura.
NORA: Scusa il ritardo. La macchina non partiva.
LA MADRE: Che ore sono?
NORA: Quasi le sei.
LA MADRE: Mi è passato il tempo. Mi ero messa a guardare le fotografie.
(La madre continua a sfogliare l’album).
NORA: Ho fatto un po’ di spesa per stasera. Credo di aver comprato tutto. (Nota il
candelabro sul tavolo. La madre continua a sfogliare l’album) Queste sono le medicine
che mi avevi chiesto. Ma, non hai ancora acceso il forno? Dovevi accendere qui, mamma.
Un’ora fa.
LA MADRE: Stavo guardando le fotografie.
NORA: Non sarà mai pronto per cena.
LA MADRE: Non mi ricordavo più di questo vestito.
NORA: (apre il frigo) Cazzo, che disastro. E’ ancora pieno di ghiaccio.
LA MADRE: Eri una bambina carina, fino ai tre anni. Chi lo direbbe che questa sei tu?
NORA: Devi sbrinarlo. Ce l’hai un secchio?
LA MADRE: Hai messo su qualche chilo, sai Nora? Nel viso soprattutto. Sei gonfia. Ci vai
ancora in palestra?
NORA: Il secchio, mamma.
LA MADRE: Lascia stare, ci penso io.
NORA: Dovrai farlo fare a qualcuno questo lavoro, prima o poi.
LA MADRE: Ho sempre pensato io alla mia casa.
(NORA gratta il ghiaccio con un coltello).
LA MADRE: E’ buio fuori.
NORA: Quando torna papà?
LA MADRE: Domani. Meno male che me lo riaccompagnano. Non ero tranquilla se
viaggiava da solo. L’ha visto un altro medico. Pare che abbiano trovato una cura speciale
per il Parkinson. Ogni giorno ce n’è una nuova, ma nessuna che funzioni. Che ore
saranno?
NORA: Quasi le sei.
LA MADRE: Sei arrivata tardi.
NORA: Te l’ho detto, la macchina non partiva. L’ho lasciata dal meccanico.
LA MADRE: Stai attenta con quel coltello...
NORA: Nino deve averci aggeggiato.
LA MADRE: Non ci possiamo permettere un frigo nuovo.
NORA: Mette le mani dappertutto.
LA MADRE: Sei venuta in macchina?
NORA: (rassegnata) Si mamma.
(NORA gratta il ghiaccio).
LA MADRE: Quando arriva il mio Nino?
NORA: Verso le otto ha detto. Questo vuol dire che sarà qui alle nove abbondanti.
Sempre che si degni di arrivare.
LA MADRE: Ho detto a Betta di comprargli la torta.
NORA: Non importava. Alla sua età.
LA MADRE: Sedici anni non sono tanti.
NORA: Non è più un bambino.
LA MADRE: Come va con lui?
NORA: E chi lo vede? Quando esco io la mattina, lui dorme, quando torno è al lavoro.
Lavoro, si fa per dire... in quell’officina, a truccare macchine e a fare Dio solo sa cosa.
Torna a casa per cena, mangia, non dice una parola, prende il motorino e se ne va.
LA MADRE: E dove va?
NORA: Non me lo dice, chiaro. Si sciupa a parlare.
LA MADRE: Dovresti chiederglielo.
NORA: Ma se ti ho detto che non mi parla. Top secret sulla sua vita. Monosillabi da
interpretare. Le uniche cose che dice in un linguaggio comprensibile sono “dammi i soldi”,
“esco” e “vaffanculo”.
LA MADRE: Nora!
NORA: E’ la verità.
LA MADRE: Non ho mai permesso che i figli mi trattassero così. Quando tuo fratello ci ha
provato gli ho lavato la bocca col sapone.
(NORA ha finito il lavoro).
NORA: Ecco fatto! Almeno così è decente.
LA MADRE: Anche tu però non scherzi a parolacce, ti ho sentita!
NORA: E’ solo una cosa provvisoria.
LA MADRE: Dovrebbero essere i genitori a dare un esempio.
NORA: Devi chiedere a qualcuno di finire il lavoro.
LA MADRE: E a chi lo chiedo? Tuo padre con il Parkinson non sa più tenere in mano
neanche la forchetta.
NORA: Non veniva la peruviana?
LA MADRE: Non viene più. Non ce la faccio con i soldi.
NORA: Ce la faresti benissimo, è che vuoi fare tutto da sola.
LA MADRE: E poi non puliva bene. Faceva un pessimo té.
NORA: Era una santa quella donna. Certo, una santa non ebrea.
LA MADRE: No, non era ebrea.
(Nora sospira e comincia a sistemare le cose nel frigo. La Madre continua a
guardare le foto)
LA MADRE: Eccolo qui il mio Nino. Quando veniva qui da me era un bambino dolcissimo.
Mi faceva sempre tante domande. “Nonna, mi racconti della guerra”? Voleva sapere tutti i
particolari. Di quando ho fatto il partigiano, di quando mangiavamo l’erba dei campi con
l’aceto. (Nora alza gli occhi al cielo: è una vecchia storia) Non capisco come possa essere
così cambiato.
NORA: Questo dove lo metto?
LA MADRE: Non mi piace la margarina, perché l’hai comprata?
NORA: Usate troppo burro.
LA MADRE: Tu non sai cosa vuol dire avere fame.
NORA: Finirete per scoppiare.
LA MADRE: Ho già sofferto abbastanza nella mia vita (guarda la foto) Stava delle ore ad
ascoltarmi. Certo non vuol dire nulla. Anche tu eri una bambina dolcissima.
NORA: Le persone cambiano. Si chiama adattamento o crescita. Serve a sopravvivere.
LA MADRE: Da come lo dici sembra che i figli si divertano a crescere per far dispetto ai
genitori.
NORA: Non è quello che pensi?
LA MADRE: Penso che forse ci vorrebbe un po’ più di dolcezza. Lo tratti in un modo. Sei
dura Nora.
NORA: Tu non ci abiti insieme. Non sai cosa vuol dire avere un figlio che lascia la scuola
e che se ne sta tutto il giorno a non fare niente.
LA MADRE: E’ una fitta al cuore, lo so. Una grande delusione. A volte voler bene porta
dolore.
NORA: Oddio non fare quel tono
LA MADRE: Che tono?
NORA: Quel tono da film. E poi il sottotesto è “noi figli siamo stati una delusione”
LA MADRE: Non volevo dire questo.
NORA: Sembrava
LA MADRE: Come ti risenti facilmente.
NORA: Sto in guardia
LA MADRE: Sono tua madre e mi tratti come un nemico.
NORA: Mamma, sto provando a... A venirti incontro. Cerchiamo di non litigare. E’ il
compleanno di Nino, ci rivediamo tutti quanti, mangiamo l’arrosto, brindiamo e poi ognuno
torna alla sua vita. Una tregua mamma vuoi?
LA MADRE: Non sono in guerra. Se ti ricordi ho voluto farla io questa festa. Tu non ci
pensavi nemmeno.
(NORA tira fuori un avanzo dal frigo, si siede al tavolo comincia a mangiarlo).
Ma che fai, mangi prima di cena? Ci credo che poi ingrassi. Se non ti controlli un
po’.
NORA: Come mai le candele accese?
LA MADRE: Cercavo le briciole.
NORA: Che briciole?
LA MADRE: (confusa) Oggi non si può tenere il pane lievitato in casa. E neanche la
farina.
NORA: Ah. (indicando un piatto coperto da un fazzoletto che è sul tavolo) E questo?
LA MADRE: (lo sposta, con violenza) Lascia stare.
NORA: Scusa tanto.
PAUSA. Nora mangia rumorosamente.
LA MADRE: Sai che oggi è Pesach?
NORA: Me l’ha detto Betta.
LA MADRE: Sai almeno cos’è Pesach?
NORA: La pasqua ebraica mamma. Anche in me scorre il sangue del popolo eletto.
LA MADRE: Parli sempre difficile. Betta voleva fare il seder .
NORA: Il... che?
LA MADRE: La cena di Pasqua. Visto che non lo sai?
NORA: Scusa. Nel libro “Come diventare ebreo” per principianti sono rimasta al primo
capitolo.
LA MADRE: Quando ero piccola il seder era la festa dei bambini. Ci riunivamo tutti intorno
al tavolo, apparecchiato con la tovaglia più bianca, una meraviglia... io che ero la più
piccola facevo la domanda a mio nonno, “perché questa sera è diversa dalle altre sere”?
Lo sai perché è diversa questa sera? (Nora scuote la testa) “Perché usciamo dalla
schiavitù dell’Egitto”. Il mio povero nonno, se penso alla fine che ha fatto... (Nora continua
a mangiare). Sai cosa vuol dire “seder”?
NORA: No, naturalmente, mamma.
LA MADRE: (sospira) Vuol dire ordine. Perché c’è un ordine da seguire, prima si beve la
prima coppa del vino, poi si mangia l’azzima, poi ci sono le domande, le canzoni. Tutti
insieme. Ordine. La famiglia aveva un significato allora.
NORA: Festeggiamo la pasqua ebraica o il compleanno di Nino?
LA MADRE: Che vuoi dire?
NORA: Dovrò buttare via il prosciutto che ho comprato al market, recitando una formula
rituale di purificazione oppure possiamo lasciar riposare il vitello nel latte della madre?
LA MADRE: Parli di nuovo complicato! Che male c’è a festeggiare tutti e due?
NORA: Mi pare semplicemente assurdo. Festeggiare la pasqua ebraica quando non lo
abbiamo mai fatto.
LA MADRE: Vostro padre non è ebreo.
NORA: A papà non gliene è mai fregato nulla della religione. Lo spirituale non rientra nel
suo campo di interessi.
LA MADRE: Lo dici tu...
NORA: Pensa che sia una cosa da bere.
LA MADRE: Non sai quello che ho dovuto sopportare dalla sua famiglia.
NORA: Ci risiamo.
LA MADRE: Un matrimonio misto a quei tempi. Come se adesso uno sposasse una
negra.
NORA: Nera, mamma. Si dice nera. E’ più politically correct.
LA MADRE: Più che?
NORA: E’ da razzisti dire negro. E “noi” ebrei siamo tolleranti, vero?
LA MADRE: Si, insomma, ci siamo capiti. Mi vedevano come un’estranea. L’ostilità, gli
sguardi diffidenti...
NORA: E così tutto a un tratto ci scopriamo ebrei praticanti. Peccato che io non sappia
una parola d’ebraico, che Giorgio non sia circonciso e che Betta... Ah, già. Betta è l’ebrea
doc in famiglia.
LA MADRE: Come la fai lunga Nora. E’ solo una festa. Una bella festa da fare insieme.
NORA: Le ultime “feste insieme” sono state un disastro.
LA MADRE: Pensavo che per Nino potesse essere importante... Sempre solo, cresciuto
senza valori, senza un padre...
NORA: Ce l’ha un padre.
LA MADRE: Un padre che non c’è mai.
NORA: Perlomeno Giacomo non l’ha mai picchiato.
PAUSA
Io ci sono sempre stata.
LA MADRE: Certo, tu hai fatto il possibile, ma un padre vicino è un altra cosa. Gli ha
telefonato almeno oggi? (Nora tace) Figuriamoci, neanche il giorno del compleanno. E poi
ti stupisci se... Comunque, l’idea della pasqua ebraica è stata di tua sorella... Lo sai che
attraversa un brutto momento.
NORA: Quando mai Betta non attraversa un brutto momento?
LA MADRE: Dopo che ha fatto quello che ha fatto. C’è poco da scherzarci su. (Continua a
guardare le foto). Qui non sei venuta tanto bene. Eri già gonfia. Oggi non l’ho sentita. Ho
fatto squillare il telefono un’infinità di volte ma non c’era. Hai provato a chiamarla?
NORA: Si mamma. Nessuna risposta dal fronte dei suicidi. Però mi ha lasciato un
messaggio l’altro giorno. Parlava di una cosa che stava scrivendo...
LA MADRE: Il romanzo, si. Sta ricostruendo la storia della mia famiglia. La parte finita a
Auschwitz.
NORA: Argomento adatto ad una che ha tentato il suicidio sei mesi fa.
LA MADRE: Betta ha come una fame dentro, è sempre così triste, inquieta. Fin da
bambina sentiva su di sè tutti i mali del mondo.
NORA: Immagino che questo sia tipicamente ebraico no?
LA MADRE: Ti ricordi quanto scriveva? Pomeriggi interi. Zingari, indiani... Tutti i problemi
erano suoi.
NORA: Li finisse almeno i suoi romanzi.
LA MADRE: Già, non ha senso pratico. Vive in un mondo tutto suo.
NORA: E’ come Giorgio. Sono artisti.
(NORA si alza, rimette gli avanzi nel frigo).
LA MADRE: Betta è diversa da Giorgio. Giorgio è uno stupido.
NORA: Certo, è un maschio. Che ci sta a fare nel matriarcato?
LA MADRE: Ci sono anche uomini intelligenti. (Nora la guarda scetticamente) Ci saranno,
da qualche parte. No, Betta è diversa. E’ speciale.
NORA: Questo frigo è pieno di muffa.
LA MADRE: Non sai che fitta al cuore, Nora. Vedere una testa come la sua andare
sprecata. Bisogna che accetti quel posto al giornale. Che si sistemi.
NORA: Prepariamo i contorni?
LA MADRE: Voglio morire tranquilla, con Betta felice. Il pensiero di lasciarla così, senza
né arte né parte (le prende la mano) Cerca di starle vicina, è così debole. Non è come noi
due.
(NORA si libera, sposta l’album delle foto con un gesto brusco. Alcune foto cadono
a terra).
LA MADRE: Che hai?
NORA: Ho bisogno della tavola.
LA MADRE: Aspetta, faccio io...
NORA: Posso togliere queste foto?
LA MADRE: Nora, ma calmati, che modi.
(LA MADRE fa per alzarsi ma si risiede subito).
LA MADRE: Mi manca il respiro
NORA: Dove sono le pasticche?
LA MADRE: Non è nulla.
NORA: Avanti.
LA MADRE: E’ che quando parlo di Betta poi mi viene...
NORA: Dove?
LA MADRE: Al cuore, dove se no?
NORA: Devi smetterla di fumare mamma.
LA MADRE: (prende le pasticche dal grembiule) Pensare che era così... Ci avrei proprio
scommesso su di lei. A volte i figli sono una delusione.
(PAUSA. La Madre inghiotte una pasticca. Nora la osserva in silenzio).
A proposito. Tuo fratello verrà?
NORA: Si, ma non sa quanto potrà restare. Ha un meeting.
LA MADRE: Un che?
NORA: Stai meglio?
LA MADRE: Forse ci vorrebbe un goccio di té.
NORA: Subito mamma.
(NORA prende la teiera e comincia a preparare il té, di spalle).
LA MADRE: Non si fa mai vedere, e una volta che viene...Sono sua madre dopo tutto
(approfittando che Nora è di spalle si accende una sigaretta) Cosa sarebbe questo
meeting? Il mondo è diventato così difficile. Ci sono parole che per me non vogliono dire
niente. Meno té, bisogna far aprire le foglie. La nonna poi le leggeva, ti ricordi?
NORA: Faceva finta. In realtà diceva quello che voleva lei
LA MADRE: (aspira voluttuosamente) Non sarà mica una cosa politica, vero? Si caccia
sempre nei guai, quello.
NORA: E’ un incontro con il suo gruppo di meditazione.
LA MADRE: E su cosa medita?
NORA: Sono buddisti. Meditano sulla pace nel mondo e su come trovare il parcheggio per
la macchina.
LA MADRE: Non ci mancava che questo.
NORA: Dovresti essere contenta, almeno un figlio è religioso.
LA MADRE: Lo fa solo per farmi un dispetto.
NORA: Lo fa perché gli piace. Non hai considerato questa possibilità?
LA MADRE: (spenge la sigaretta) Certo è una consolazione per una vecchia madre
ebrea. Un figlio buddista e una che non crede a niente.
NORA: (voltandosi) Da quando sei una madre ebrea?
LA MADRE: Che vuoi dire?
NORA: Niente.
LA MADRE: Ti ho sempre raccontato tante cose dell’ebraismo, Nora.
NORA: So tutto dell’olocausto. Siamo esperti di sopravvivenza in questa famiglia.
LA MADRE: Non c’è nulla da scherzare. Ricordati che i miei nonni e i miei cugini sono
finiti tutti nei campi. Ti ho raccontato molte storie... Quando eri piccola ti parlavo per ore...
NORA: Ah si?
LA MADRE: Ti raccontavo dell’angelo che apparve a Abramo prima del sacrificio di
Isacco, di sua moglie Sara che ebbe figli da vecchia, di Esther e Assuero. Mi ascoltavi,
eccome. Ti piaceva la storia di Purim, soprattutto quando decapitavano Hamman.
NORA: I Grimm in versione yiddish.
LA MADRE: Ormai mi sono rassegnata. Betta è l’unica che è andata in Israele di voi.
NORA: E infatti è stato in terra santa che ha fatto la sua conoscenza biblica.
LA MADRE: Che c’entra? Chi se lo poteva immaginare che si innamorava di quel dottore
sposato? Dio mio, è la più debole.
NORA: E Giorgio è uno stupido e io sono un carabiniere.
LA MADRE: I deboli non sopravvivono, questo l’ho imparato a mie spese.
NORA: (trova la sigarette nel portacenere) Hai fumato di nuovo.
LA MADRE: Puoi essere nervosa solo tu?.
NORA: Ti sei sentita male due minuti fa.
LA MADRE: Di qualcosa si deve morire.
NORA: Non ti auguro di morire di cancro. Lungo, doloroso e soprattutto scomodo per chi ti
assiste. Meglio un colpo in testa allora.
LA MADRE: Grazie Nora!
NORA: Comunque se vuoi fumare, fuma.
LA MADRE: E’ pronto il té?
NORA: Già, il té!
(Suonano alla porta).
LA MADRE: Dove vai?
NORA: Hanno suonato.
LA MADRE: Sto diventando sorda.
NORA: Sarà Nino.
LA MADRE: Sarà lei.
NORA: Credevo avesse le chiavi.
LA MADRE: Non mi fido a darle le chiavi di casa, perde sempre tutto (con agitazione)
Dove sono le medicine? (Nora le tira fuori dalla borsa e le mette sul tavolo, la Madre
prende la confezione e la fa sparire nel grembiule) Bene. Vai ad aprire. E... Nora, Nora!
NORA: Che c’è?
LA MADRE: Mi raccomando cerchiamo di capire cosa ha in mente.
NORA: Si, mamma!
LA MADRE: Deve accettare quel posto al giornale. E, Nora...Nora!
NORA: Ehhh?
LA MADRE: Cerca di convincerla!
(NORA annuisce, poi vede LA MADRE che si sta accendendo una sigaretta).
NORA: Meglio un colpo in testa.
LA MADRE: Che rompiscatole.
(Spenge ostentatamente la sigaretta. Nora esce. La Madre va al tavolo, sospira e
spenge le candele.
Buio. Si sente un canto in ebraico tipico di Pesach)
2. LA MANO DELL’ANGELO
(La Madre è seduta sulla sedia a dondolo. Ha un libro di preghiere in mano. Ripete
un verso di una preghiera. Chiude il libro. Lo nasconde sotto il cuscino della sedia.
Guarda che non ci sia nessuno. Si accende una sigaretta e la aspira con voluttà. La
nasconde quando entra BETTA che arriva trafelata, con uno zaino sullo spalle, un
sacchetto e in mano un voluminoso fascio di appunti che poggia sul tavolo).
BETTA: Eccomi.
LA MADRE: La mia Betta, vieni qua, dammi un bacio.
BETTA: Hag sameah!
LA MADRE: Hag sameah anche a te.
(BETTA va a baciare la madre).
BETTA: Scusa il ritardo ma ho perso il treno
LA MADRE: Il treno? E dove sei stata?
BETTA: Fuori.
LA MADRE: Dove?
BETTA: Avevo delle cose da sbrigare
LA MADRE: Di solito mi chiami sempre la mattina.
BETTA: Oggi è un giorno speciale.
LA MADRE: Ah si? Perché speciale? Ti ha telefonato Uri?
BETTA: E’ Pesach no? E’ il giorno della libertà dal deserto.
LA MADRE: Che dici?
BETTA: Niente, sto scherzando. Ho solo preso una decisione.
LA MADRE: Ah! Sono sicura che sarà la cosa giusta.
(BETTA si sfila lo zaino dalle spalle. LA MADRE aspira rapidamente una boccata,
nasconde di nuovo la sigaretta e tira fuori le medicine dal grembiule).
Nora ti ha comprato le medicine.
BETTA: Non le prendo più mamma.
LA MADRE: Il medico aveva detto fino alla fine del mese (le porge il sacchetto con le
medicine)
BETTA: Sto bene adesso.
LA MADRE: Prendile.
BETTA: (gliele restituisce) Mi fanno venire il mal di testa.
LA MADRE: Mettile in borsa, su. (BETTA esita, poi le mette svogliatamente nello zaino)
Non c’è mica da vergognarsi a farsi aiutare dai farmaci. Ma dov’è finita Nora?
BETTA: E’ arrivato Nino col motorino. Si è fermata a parlare con lui.
(LA MADRE riprende trionfalmente la sigaretta che aveva tenuta nascosta).
Mamma, che fai? E’ pazzesco, fumi di nascosto.
LA MADRE: Oh, lasciami stare. Ora che quel carabiniere non c’è.
BETTA: Ti fa male.
LA MADRE: Non è facile stare tutto qui il giorno da sola, con tuo padre.
BETTA: Dovresti smetterla.
LA MADRE: Pensieri, pensieri. La vita è passata in un lampo Betta.
BETTA: (scuote la testa. PAUSA. BETTA prende un sacchetto dallo zaino) Ho fatto un
regalo a Nino.
LA MADRE: Ma se non hai una lira. A proposito la torta gliel’hai comprata?
BETTA: Veramente oggi non si dovrebbe mangiare niente di lievitato. E’ chamaz.
LA MADRE: Qualche compromesso col buon Dio si può fare Betta.
BETTA: O si è ebrei o non lo si è.
LA MADRE: Insomma l’hai presa o no?
BETTA: (sospira) Al cioccolato. E’ qui.
LA MADRE: Nora non gliela voleva comprare a quel povero bambino. Quanto hai speso?
BETTA: (tira fuori una maglia coloratissima) Ti piace?
LA MADRE: E’ un po’ piccola... (scruta la maglia)
BETTA: Ma ti piace?
LA MADRE: Certo ci si veste in un modo. Il mondo è difficile.
BETTA: Non ti piace. (BETTA si intristisce, improvvisamente assente).
LA MADRE: Non deve piacere a me. Io non sono più giovane.
(LA MADRE osserva la maglia con aria critica).
BETTA: Mi ha telefonato l’altro giorno.
LA MADRE: Uri?
BETTA: Nino. Voleva dei soldi.
LA MADRE: E per cosa?
BETTA: Lui dice per il motorino, ma...
LA MADRE: Guarda te che colori vanno di moda.
BETTA: Per me c’entra la droga.
LA MADRE: Prima che mi scordi... I soldi per la torta.
BETTA: Nino si droga.
LA MADRE: Tieni il resto.
BETTA: Hai sentito cosa ho detto?
LA MADRE: Non è possibile.
BETTA: L’ho visto anche adesso.
LA MADRE: Macché droga.
BETTA: Ha gli occhi strani.
LA MADR: E’ solo un po’ disorientato, è la sua età. Sei troppo sensibile, Betta. Ha la pelle
dura quello. Non è come noi. E’ come sua madre.
BETTA: Quest’acqua?
LA MADRE: Già, il té.
(Mentre BETTA di spalle versa il tè. LA MADRE fruga in un sacchetto che sporge
nello zaino lasciato aperto da BETTA).
BETTA: (senza voltarsi) E’l’azzima quella. Così facciamo afikhomen per il seder.
LA MADRE: (sorpresa nel gesto) Uh, l’azzima. (BETTA serve il té. LA MADRE inzuppa la
sua azzima nel té) Questo sapore mi riporta indietro nel tempo. La nonna ce le
nascondeva sempre sotto il tovagliolo. E’ la prima volta che faccio Pesach senza di lei.
Ma basta essere tristi. (La Madre scopre il piatto sul tavolo) Guarda cosa ho fatto.
BETTA: E’ una mano...
LA MADRE: E’ la mano dell’angelo...Ricorda di quando l’angelo passò e risparmiò la vita
ai primogeniti ebrei. Ti ricordi la storia? E qui ci sono le uova.
BETTA: Però non sei stata al tempio.
LA MADRE: Ho già pregato abbastanza in vita mia. Prendila, svelta, non la fare vedere a
Nora.
BETTA: Ma no lasciamola.
LA MADRE: Lei non capisce queste cose. L’ho fatta per te. Incartala e portala via.
BETTA: No, fa parte dell’apparecchiatura. Azzime e...(accenna al forno) arrosto di
maiale? Molto kashèr .
LA MADRE: Non è maiale.
BETTA: Lo sai che non lo posso mangiare.
LA MADRE: E’ vitello. Te lo giuro.
BETTA: Anche quando ero piccola giuravi e poi mi preparavi la merenda con azzime e
prosciutto!
LA MADRE: Che dici, non ho mai fatto una cosa del genere!
BETTA: L’hai fatta, l’hai fatta. Non era male, comunque.
LA MADRE: (beve con gusto il té) Ah, il té russo è un'altra cosa. Mica come me lo faceva
quella peruviana. Altri sapori. E’ inutile, siamo gente diversa noi. (BETTA scuote la testa e
sorride) Vieni. Queste sono le fotografie per te. (LA MADRE prende l’album e le mostra le
foto. BETTA si avvicina). Le avevo messe via, ho approfittato che tuo padre non c’era per
cercarle (BETTA le si siede accanto, LA MADRE gliele mostra) Il nonno Samuele, la
cugina Rachele. Guarda che treccia lunga aveva. Era magra, magra, come te. Anch’io ero
così da bambina. Nora e Giorgio no, sono sempre stati gonfi. Era bella eh, Rachele?
Suonava il violino. L’hanno sbranata i cani. Questo è il suo fratellino, Reuben. L’hanno
ucciso a colpi di remo e annegato. Il nonno e la nonna invece li hanno ammazzati subito
appena arrivati. Il primo giorno.
BETTA: Terribile.
LA MADRE: Quando qualcuno mi dice che dovremmo dimenticare, che la shoah non c’è
mai stata... Olocausto la chiamano! Macché olocausto. E’ stato uno sterminio! (BETTA
guarda le foto. LA MADRE la osserva con tenerezza). La mia Betta. Sono così fiera di te,
che tu voglia parlare di questo. Tu hai il dono della scrittura.
BETTA: Anche Giorgio.
LA MADRE: No! Giorgio è uno stupido. Non ci capisco niente nelle sue poesie.
BETTA: Io le trovavo belle.
LA MADRE: Vieni qui. (BETTA si avvicina, LA MADRE la attira sulle ginocchia). Guardami
negli occhi. Che occhi tristi. Pieni di lacrime che non vengono fuori.
BETTA: Quando vedo queste cose, i miei problemi mi sembrano così piccoli.
LA MADRE: Ci pensi ancora a Uri?
BETTA: Solo tutto il giorno.
LA MADRE: Tutti sporchi egoisti gli uomini.
BETTA: Ci sono anche uomini diversi.
LA MADRE: Hazzirùd .
BETTA: Lui non è così.
LA MADRE: Ah no? Illuderti a quel modo e poi...
BETTA: Non mi ha illuso. Sapevo che era sposato.
LA MADRE: Allora te le sei fatta tu delle illusioni che non dovevi. Hai costruito un castello
con la fantasia.
BETTA: Era un sogno.
LA MADRE: Potevi essere in Erez Israel insieme a lui, a quest’ora.
BETTA: Mamma, ti prego.
LA MADRE: Potevi avere quello che io non ho mai avuto. E invece bisogna vivere nella
realtà, in questo sporco mondo.
BETTA: Uri non mi ha mai mentito. Ha provato. Ma non riesce a stare lontano dal suo
paese, dalla sua famiglia. Credo di essermi innamorata di lui proprio per questo.
LA MADRE: Se penso a quanto ti ha fatto soffrire inutilmente.
BETTA: L’ho amato molto.
LA MADRE: Tutto tempo sprecato.
BETTA: Lo amo anche adesso (BETTA si alza, si aggira per la stanza. LA MADRE la
segue con lo sguardo).
LA MADRE: A volte voler bene porta dolore.
BETTA: Voce da film.
LA MADRE: Ma troverai, troverai! Un bel ragazzo ebreo. Invece che stare sempre a
piangere e a fare sciocchezze.
BETTA: Sembra che devo comprare un chilo di patate...
PAUSA
LA MADRE: E per il lavoro hai deciso qualcosa?
BETTA: Ma questa carne è cruda.
LA MADRE: Quando dovevi dare la risposta?
BETTA: Se è per questo avrei dovuto darla da giorni.
LA MADRE: E allora che aspetti?
BETTA: Non ne voglio parlare.
LA MADRE: Io non ti capisco. Hai lavorato così tanto, per questo.
BETTA: Non ho lavorato per “questo”. “Questo” serviva a farmi mangiare. Io voglio
scrivere. E poi... Sono successe molte cose.
LA MADRE: (tira fuori dalla tasca del grembiule dei soldi) Hai bisogno di soldi?
BETTA: No mamma.
LA MADRE: Li ho messi da parte.
BETTA: Dove li hai presi?
LA MADRE: Prendili.
BETTA: Non voglio che li rubi a papà.
LA MADRE: Sono per te.
BETTA: Non li voglio.
LA MADRE: Non puoi rinunciare al lavoro. Non è bello avere rimpianti.
BETTA: Ho bisogno di tempo.
LA MADRE: E intanto il tempo passa e tu perdi il treno
BETTA: Non so se è il treno che voglio prendere.
LA MADRE: E cosa vuoi allora?
BETTA: Al momento voglio solo sopravvivere.
(Entra NORA, scura in volto).
LA MADRE: E Nino dov’è? Non è salito?
NORA: Quello stronzo, lasciamo perdere.
LA MADRE: Nora, è tuo figlio.
NORA: Per quel che me ne importa.
BETTA: Che voleva?
NORA: Soldi, è ovvio. Soldi, soldi, soldi. Per il motorino. Non vede altro.
LA MADRE: Se si tratta di ventimila lire, gliele dò io.
NORA: Non voglio che tu gli dia niente, chiaro? Niente traffici alle mie spalle. Non mi
piace questo mercato nero.
BETTA: Nora ha ragione.
LA MADRE: Che saranno ventimila lire davanti alla serenità di un bambino.
NORA: Non è un bambino.
LA MADRE: E’ il suo compleanno. Si vive una volta sola.
NORA: No.
LA MADRE: Dargli addirittura dello stronzo, mi sembra eccessivo.
NORA: Ho detto di no.
LA MADRE: Un ragazzino di sedici anni.
NORA: Non è un ragazzino, è...uno stronzo e un criminale.
LA MADRE: Dovrei lavare anche a te la bocca col sapone.
NORA: Lasciamo perdere.
LA MADRE: I figli hanno bisogno di regole, di valori Nora.
NORA: Le ho provate tutte. A prenderlo con le buone, a prenderlo a schiaffi!
LA MADRE: Quel ragazzo è venuto su senza nessuno che gli dicesse niente, senza
disciplina. Il tuo ‘68.
NORA: Se i figli fossero il risultato degli sbagli dei genitori staremmo freschi!
LA MADRE: Ti riferisci a me? Io ho cercato di fare del mio meglio, Nora.
NORA: Si, si, va bene...
LA MADRE: Ho fatto sacrifici enormi per tirarvi su nelle condizioni che ero, con vostro
padre così. E poi sono stufa di venire sempre criticata. Ho fatto i miei sbagli, certo. Come
tu stai facendo i tuoi, mi pare.(NORA tira fuori dalla borsetta una bottiglietta di cognac). E
quello dove l’hai preso?
NORA: (se ne serve un bicchiere) L’ho rubato! Ne ho altre dieci nella borsa! (LA MADRE
la guarda interrogativamente) Comprato, mamma, comprato. Che c’è? Mi serviva per un
dolce. Io non rubo.
LA MADRE: Ti sei messa a bere come tuo padre?
NORA: Ne vuoi anche tu mamma?
LA MADRE: Ho il mio té. Lo sai che non bevo.
BETTA: Come no? Una volta ti sei anche ubriacata.
NORA: Già, non lo reggi tu l’alcol.
LA MADRE: Ma figuriamoci! E’ una bugia!
BETTA: Ti ricordi Nora, si mise a raccontare barzellette sporche davanti a tutti.
NORA: La faccia della zia!
BETTA: Il gelo, il gelo totale.
NORA: Dovevamo lavarti la bocca col sapone.
(Le due sorelle ridono e ricordano altri momenti della festa. Betta si lascia cadere
sulla sedia).
LA MADRE: Almeno vedo Betta che sorride. (Smettono subito di ridere).Questo té è
troppo forte, ormai. L’abbiamo fatto riposare troppo con le nostre chiacchiere. Vado a
stendermi dieci minuti
NORA: E noi prepariamo il banchetto!
BETTA: (toglie da sotto il cuscino il libro che la Madre ha nascosto) Questo libro da dove
viene? Non l’ho mai visto prima
LA MADRE: E’ un’Hagadà , un libro di preghiere per Pesach.
BETTA: C’è una dedica.
LA MADRE: Lascia! (cerca di riprenderglielo) E’ solo un vecchio libro.
BETTA: E’ in ebraico. Un certo Harno...Chi è?
LA MADRE: (turbata) Nessuno.
BETTA: E’ dedicata a te.
LA MADRE: Era un mio amico.
BETTA: Ginevra 1968
LA MADRE: Di tanti anni fa.
BETTA: Non era italiano.
LA MADRE: No, lui era un ebreo tedesco...
BETTA: E quando l’hai conosciuto?
LA MADRE: E’ passato molto tempo.
BETTA: E’ un libro molto bello.
NORA: (alzandosi) Non dovevi andare a riposarti mamma?
LA MADRE: Si, vado. (Si incammina, poi si volta, guarda NORA, approfittando che Betta
non vede) Nora! Nora! (sottovoce) Il lavoro... (Betta si volta) Nora... Non bere più per
favore.
(NORA fa un gesto di insofferenza e si siede al tavolo. Buio. Si sente un canto
tradizionale ebraico)
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