Il Metodo NatAliash - Consapevolezza e Maturità Spirituale

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Il Metodo NatAliash - Consapevolezza e Maturità Spirituale
Metodo NatAliash
Il Metodo NatAliash
Un approccio alternativo alla guarigione fisica, emotiva,
psichica ed animica.
Sponsorizzato dal negozio online:
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Metodo NatAliash
Come funziona il Metodo NatAliash?
Prima di rispondere, vi voglio spiegare un po' le mie esperienze professionali da counselor.
Per chi non lo sapesse, il counselor è una sorta di psicologo che facilita la comunicazione
fra le nostre parti del mondo interno, ovvero mette p.es. in comunicazione la parte emotiva
con la parte mentale, oppure si potrebbe anche dire, che il counselor facilita la
decodificazione di quello che sta realmente succedendo nella psiche.
Dal 1999 ho iniziato a dedicarmi con passione e sacrificio al mondo della psicologia e
della spiritualità. Nel primo periodo (anni) non avevo altro per la testa e persi addirittura
interesse nell'uscire con amici, praticare lo sport e tante altre attività che reputavo tempo
perso. Come succede a tutti in questi cammini interiori, avevo attraversato un lungo
periodo “new age“ o da spiritualoide, in cui giudicavo le cose materiali come un ostacolo o
un nemico per la mia evoluzione spirituale.
Per anni ero poco radicato per terra, ma per fortuna i voli pindarici verso l'alto finivano
sempre con dei dolorosi tonfi in cui soffrivo, soffrivo moltissimo, soprattutto emotivamente.
Grazie a queste cadute, sono riuscito a maturare nel tempo e a radicarmi sempre di più nel
corpo, nel mondo e con la vita mondana, stando sempre attento a non perdere troppo la
connessione con il mio profondo richiamo spirituale. E forse è proprio grazie a questo
nuovo equilibrio che ho potuto far nascere questo libro.
Fino alla fine del 2012 facevo il counselor nel mio studio privato ed ho aiutato forse
centinaia di persone a consapevolezzare i propri lati nascosti, le parti dolorose e gli
autosabotaggi, e per poterlo fare ho dovuto ovviamente studiare. Ho finito la scuola
quadriennale di Gestalt Counselling a Trieste e durante quei anni ho approfondito ed
applicato anche un sacco di altre tecniche, al di fuori della scuola, le cosìdette “tecniche
psicoenergetiche“, dai nomi più svariati come la EFT, il Metodo Sedona, la BSFF, la TAT, il
Theta Healing, il Dialogo delle Voci, Shen Qi, Ho'oponopono ed altre tecniche di cui
purtroppo non ricordo più i nomi.
Ad un certo punto della mia vita, intorno al 2010, ho smesso di ingurgitare tecniche su
tecniche, ed ho anche smesso di studiare e cercare con ansia la soluzione definitiva, o la
radice della radice di tutta la sofferenza umana. Mi sono sentito ingolfato e insoddisfatto
delle risposte che scoprivo, fino al punto di sospendere e poi chiudere tutti i miei siti web
(ne avevo cinque) e di ritirarmi dall'internet per quasi un anno....e credo che questa fosse
una delle migliori scelte che abbia mai fatto in vita mia.
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Ho deciso di ritirarmi soprattutto perché avevo io stesso delle cose irrisolte; c'erano degli
ostacoli che nonostante una vastità di tecniche a disposizione non riuscivo a risolvere.
Questo disagio mi limitava nel lavoro con le persone e ancora di più fisicamente ed
emotivamente nella vita privata.
Durante il periodo di ritiro ho potuto dedicarmi totalmente a me stesso e ho iniziato ad
ascoltare il mio intuito, il mio Sè (la nostra essenza spirituale o la nostra vera identità
individuale), che attraverso molti lavori interiori, spesso notturni, camminando su e giù per
il soggiorno, mi ha guidato piano piano verso una maggiore chiarezza e verso la soluzione
dei miei problemi, che erano soprattutto di natura stressogena.
La domanda più frequente che mi ponevo ripetutamente era:
“Perché dopo ogni lavoro interiore apparentamente efficace al momento, poi risultavo
essere sempre al punto di partenza?“
A dire il vero non ero sempre al punto di partenza, perchè dopo ogni esperienza ero più
arricchito di conoscenza e di consapevolezza, ma in sostanza il risultato finale non si
modificava granché.
Dopo un infinito numero di notti rimasto sveglio (nel mio caso ho notato che nel buio della
notte ho più facile accesso alle intuizioni) e dopo aver sperimentato molte tecniche inventate
di sana pianta, sono arrivato ad un punto di svolta. Per farla breve, ho iniziato a lavorare
sull'amigdala.
Solitamente, nel campo della psicoterapia e nel campo della psicoenergetica, si tende a
lavorare su diversi punti che si potrebbero riassumere in generale forse così:
•
rivivere il dolore del trauma, attraversarlo, perdonare e lasciarlo andare;
•
modificare le credenze limitanti negative;
•
comprendere una situazione a livello mentale (consapevolizzare) e poi elaborarlo
lentamente nel tempo (maturazione).
Personalmente ho provato tutte e tre le strade sopramenzionate (ed anche altre legate a vite
passate, ecc.), ma non sono mai riuscito a ridurre o eliminare l'ansia o l'inquitudine che
sfociava spesso in insonnia. Nonostante avessi sviluppato un considerevole livello di
consapevolezza ed accumulato molte esperienze considerate come mistiche o di
“presenza“, sistematicamente tornavo a scivolare in periodi di ansia acuta e di insonnia .
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Credo di aver pianto quasi un centinaio di volte per scopi terapeutici, ho riattraversato i
dolori più grandi della mia vita passata e ho perdonato con tutto il cuore aperto chi
reputavo mi avesse fatto del male (me incluso). Ho anche sciolto un nodo con un antenato
di cinque generazioni fa (almeno secondo la terapeuta americana linkata nel capitolo “La
Guarigione dell'Albero Genealogico“), che ebbe un blocco ed una vita simile alla mia, ma
niente.
Una notte mi arriva l'intuizione di parlare con la mia amigdala come se fosse una parte di
me, un essere cosciente, e avevo deciso di farle una sorta di sessione di counseling con
quello che è poi diventato un metodo estremamente efficace, ovvero una tecnica che ora è
parte integrante del Metodo NatAliash.
Inoltre, il dott. David Barlow del Boston Center for Anxiety and Related Disorders aveva
dichiarato nella rivista Newsweek del 24. febbraio 2003, che è possibile parlare con
l'amigdala, quindi evidentemente questa mia intuizione aveva già girato il mondo parecchie
volte prima di giungere a me.
Perché proprio l'amigdala?
Per capire il perché dobbiamo prima conoscerla meglio dal punto di vista medico.
L'amigdala è un nucleo di sostanza grigia alla base del cervello, appartenente al sistema
limbico: sono due, uno per emisfero, in tutto grande come una noce. Essa è cruciale per
certe emozioni negative, soprattutto la paura e per la nota reazione istintiva del “combatti
o fuggi“, ma può anche contribuire ad una maggiore creatività ed intelligenza. Il dott.
Richard J. Davidson, direttore del Laboratory for Affective Neuroscience e del W. M. Keck
Laboratory for Functional Brain Imaging and Behavior all'University of Wisconsin nel
Madison, Stati Uniti, ha studiato questa zona cerebrale e le sue interazioni fisiche dal 1999.
Nella sua ricerca scopre che l'amigdala gioca un ruolo chiave nell'attivazione
emotiva, mentre la parte della corteccia prefrontale gestisce la sua regolazione. In questo
articolo potete anche leggere di una donna con l'amigdala danneggiata senza alcuna
reazione fisiologica alle paure di qualsiasi natura, denotando quindi l'importante ruolo
dell'amigdala nell'attivazione emozionale negativa.
L'amigdala, l'ippocampo (una lunga struttura proprio dietro l'amigdala che sembra
responsabile della memoria) e i lobi frontali sono tutti estesamente connessi con il corpo, in
maniera particolare con il sistema immunitario, col sistema endocrino che regola gli
ormoni e con il sistema nervoso autonomo che regola il battito cardiaco, la pressione
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sanguigna e molte altre funzioni.
Il cervello gestice un complesso sistema di circuiti di feedback coinvolti nella reazione allo
stress e al trauma. Secondo gli scienziati questo processo inizia con la reale o percepita
minaccia di vita che attiva i centri superiori di ragionamento nel cervello. La corteccia
reagisce mandando un messaggio all'amigdala, che è il principale mediatore delle risposte
di tipo stressogeno. Successivamente (ovviamente il tutto il millesimi di secondi) l'amigdala
libera l'ormone di rilascio della corticotropina (CRH) per stimolare il tronco cerebrale che
attiva il sistema nervoso simpatico attraverso il midollo dorsale. Questo innesca il rilascio
dell'epinefrina e dei glucocorticoidi dalle ghiandole surrenali locate sopra i reni. Questi due
ormoni agiscono sui muscoli, sul cuore e sui polmoni per preparare il corpo alla reazione
“combatti o fuggi“.
Quando lo stress diventa cronico si soffre della cosìdetta stanchezza surrenale (come nel
mio caso e nel caso di tutti quelli che vivono costantemente con una leggera o pesante
ansia, con attacchi di panico, con l'insonnia, con l'eiaculazione precoce o con molti altri
disagi), ed i glucocorticoidi inducono il punto blu (un nucleo situato nel tronco encefalico) a
rilasciare altra epinefrina che spinge l'amigdala a produrre altro CRH e altri ormoni dello
stress creando un'escalation senza fine.
Nella mia ricerca ho scoperto che il motivo per cui non c'era mai una fine alla mia ansia
era proprio perché non avevo mai direttamente affrontato l'amigdala. Per forza, quasi
nessuno lo praticava finora.
Secondo le mie osservazioni ed esperienze personali, l'amigdala è un centro che partecipa
a tutte le nostre difese dell'ego o del nostro carattere. Visto che tutti i caratteri sono costruiti
con la funzione di proteggerci da una situazione di pericolo o di dolore, credo che quasi
tutti abbiano in parte un'amigdala cronicamente attivata.
Qualcuno ha come reazione ansia o attacchi di panico, ma un altro potrebbe essere troppo
geloso, irascibile, violento o fobico. Probabilmente anche i caratteri molto forti hanno
un'amigdala che teme p.es. la debolezza, perchè la vive come un pericolo di vita. I caratteri
perfezionisti idem: l'amigdala teme di essere giudicata, e così via all'infinito.
Sostanzialmente la differenza di approccio con l'amigdala ed il Metodo NatAliash è che qui
non andiamo a curare o eliminare la causa del trauma o della paura nel modo classico
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con dei tuffi emotivi nel passato o con delle profonde analisi mentali, bensì andiamo a
spegnere o calmare direttamente colei che attiva i nostri traumi in maniera istintiva e
protettiva: l'amigdala. Quindi con il Metodo NatAliash il trauma non sparisce, bensì non
viene più attivato, perché l'amigdala si sente rassicurata e calmata, e non percepisce più
il mondo esterno come un pericolo (tranne ovviamente le situazioni di pericolo reale!). Il
risultato finale è che ci si sente più in pace con sè stessi e con il mondo, e lo stress viene
ridotto al minimo, cosa fondamentale per la nostra salute.
Vediamo ora meglio come viene ridotto questo stress soprattutto attraverso il sistema
nervoso autonomo, e cos'altro dobbiamo conoscere e fare per migliorare ancora di più i
nostri risultati.
Il sistema nervoso si divide in:
1. sistema nervoso centrale (encefalo + midollo spinale)
2. sistema nervoso periferico (nervi cranici + nervi spinali)
Il sistema nervoso periferico si divide a sua volta in somatico e vegetativo (o autonomo).
Il sistema nervoso autonomo quindi si divide in simpatico e parasimpatico. Entrambi sono
responsabili di una vasta gamma di reazioni non volantarie che si muovono in due
direzioni complementari: inibitorio l'uno ed eccitatorio l'altro.
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Immagine di http://mente–attiva.blogspot.com
In altre parole il sistema nervoso simpatico (SNS) ha la funzione di mobilitare le risorse
energetiche nel caso di situazioni di pericolo o emergenza, esso induce per esempio una
serie di risposte fisiche tra cui:
•
aumento delle contrazioni cardiache;
•
aumento della pressione;
•
dilatazione delle pupille;
•
inibizione della produzione di saliva;
•
secrezione eccessiva delle ghiandole lacrimali;
•
inibisce la digestione;
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•
induce la ghiandola surrenale a produrre adrenalina.
Il ruolo del SNS è quindi di stimolare funzioni corporee che causano un incremento sia
della frequenza cardiaca e della gittata cardiaca (il volume di sangue che i due ventricoli
riescono ad espellere in un minuto) del cuore, sia della costrizione dei vasi sanguigni.
Questo è quello che succede quando l'amigdala suona l'allarme “combatti o fuggi“ (nella
reazione dell'amigdala è anche compresa l'immobilità, ovvero il stare contratti e fermi, tipica
situazione in chi ha difficoltà a sentire le proprie emozioni perchè ormai troppo raffreddate,
ghiacciate o contratte) e siamo poi pronti per affrontare di petto il pericolo o scappare per
salvarci la pelle. Questo riflesso potrebbe essere raffigurato come il pedale
dell'acceleratore.
In contrasto c'è il SNP (sistema nervoso parasimpatico) che serve a calmare il sistema e per
“lasciar andare“. Quando il pericolo è passato (reale o falso che sia), il SNP riduce la
frequenza cardiaca, la gittata cardiaca e dilata i vasi sanguigni. Questo a livello
raffigurativo assomiglia di più ai freni dell'auto. Sfortunatamente il SNP è spesso
compromesso nelle persone ansiose ed il SNS solitamente diventa predominante, creando
uno grave squilibrio nervoso, e quindi tonnellate di stress.
Il nervo vago o il X paio di nervi cranici, costituisce l'asse portante del SNP ed è quello che
ci interessa di più.
La ricerca scientifica ha scoperto che il neurotrasmettitore acetilcolina agisce come un freno
sull'infiammazione nel corpo1. Stimolando il nervo vago manda l'acetilcolina attraverso tutto
il corpo producendo non solo rilassamento, ma anche spegne l'infiammazione, nemico
acerriamo dei nostri capelli. Inoltre l'acetilcolina è anche responsabile per le nostre capacità
mnemoniche e di apprendimento, quindi di conseguenza è difficile studiare o guarire se
siamo cronicamente stressati, ovvero se abbiamo l'amigdala sempre attivata (stanchezza
surrenale).
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Pavlov, V.A., and K.J. Tracey. 2005. The cholinergic anti-inflammatory pathway. Brain Behav Immun 19
(6):493-99.
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Il nervo vago è il decimo nervo craniale nel nostro corpo ed è un nervo molto lungo che
corre dall'ipotalamo nel cervello, al petto, nel diaframma e dentro i nostri intestini. Si
avvolge attorno al nostro cuore e al centro Hara (sotto l'ombelico) e il plesso solare
(3°chakra) – aree tradizionalmente considerate come centro di forza e di intuizione. Nel mio
caso, avendo l'amigdala sempre attiva, nel centro Hara sentivo spesso come un pugno
molto duro, soprattutto nelle fasi acute di ansia o quando ero a digiuno per più di 24 ore.
In condizioni normali il nervo vago attiva il
sistema nervoso parasimpatico, che gestisce la
nostra risposta di rilassamento e di
conseguenza ci aiuta a controllare la salute
delle nostre cellule immunitarie, dei nostri
organi e tessuti e addirittura delle cellule
staminali (questa potrebbe essere un motivo
per cui delle persone rimangono deluse
quando cercano di attivare le cellule staminali
con terapie costose).
Il 20% delle fibre del nervo vago controllano
gli organi che mantengono funzionante il
nostro corpo in maniera autonoma (cuore,
digestione, respiro, ghiandole). Il restante 80%
delle fibre mandano informazioni dall'intestino
al cervello attraverso il cervello enterico di cui abbiamo ampiamento discusso. In definitiva i
due cervelli, il cranico e l'enterico, sono connessi dal nervo vago, e se il nervo vago è
“stressato“ dall'amigdala, si potrebbe intuire la connessione emozionale per cui si infiamma
l'intestino. Del resto, come si vede dall'immagine sopra, il nervo vago è connesso con tutti
gli organi vitali, quindo è logico capire l'importanza di un suo equilibrio.
Uno dei compiti chiave del nervo vago è di “resettarci“ dopo che il segnale d'allarme
dell'amigdala è stato spento. Il nervo poi comunica al resto del corpo che il pericolo è
passato, e che tutti gli organi interni possono tornare al normale lavoro di routine o di
guarigione/disintossicazione. Qui diventa anche evidente quanto sia importante
disintossicare i nostri organi interni a livello fisico, ma anche di ridurre la
stimolazione dell'amigdala, altrimenti saremo costretti a disintossicarci senza
fine e senza mai un risultato soddisfacente.
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La ricerca scientifica ha connesso il nervo vago al miglioramento della neurogenesi (la
creazione di nuove cellule neuronali) e ad un incrementato fattore neurotrofico derivato dal
cervello (BDNF). Il BDNF è simile ad un fantastico “supercibo“ per le cellule del nostro
cervello; aiutano a riparare il tessuto cerebrale e nella rigenerazione di tutto il corpo2.
Diversi ricercatori hanno scoperto che la crescita delle cellule staminali è direttamente
connessa all'attività del nervo vago. Attivando il nervo vago possiamo stimolare le cellule
staminali a produrre nuove cellule e addirittura per riparare e ricostruire i nostri organi.
Potrebbe valere anche per i nostri capelli?
Per noi quello che conta ricordare è che se viviamo in uno stato di stress continuo, il nostro
corpo non può disintossicarsi fino in fondo e non può guarire dall'infiammazione, dalla
calvizie, dall'eiaculazione precoce, dalla depressione, dall'insonnia, dall'essere qui e ora e
da tanti altri malanni. Gli ormoni che vengono innescati dallo stress, ovvero da
un'amigdala iperattivata, bloccano la risposta di guarigione e di riposo nel corpo.
Fortunatamente esistono diversi modi per attivare il nervo vago per rafforzare la risposta di
rilassamento, e quando si stimola correttamente il nervo vago possiamo:
2
•
attivare la neurogenesi, aiutando il nostro cervello a produrre nuove cellule neuronali;
•
ridurre rapidamente lo stress, l'ipereccitazione e la risposta “combatti o fuggi“ grazie
alla risposta di rilassamento (NOTA: chi ha un'amigdala fortemente reattiva dovrà
prima eliminare i strati di stress dall'amigdala, altrimenti i benefici del nervo vago
rilassato dureranno molto poco);
•
migliorare la nostra memoria e la capacità di apprendimento;
•
combattere l'infiammazione killer in tutto il corpo;
•
ridurre l'ipertensione;
•
incrementare o equilibrare il nostro metabolismo;
•
bloccare la produzione dell'ormone cortisolo e di altri ossidanti che deteriorano il
cervello ed il corpo;
•
superare più facilmente la depressione, l'ansia e l'insonnia;
•
aumentare i livelli dell'ormone della crescita;
Theise, N.D., and R. Harris. 2006. Postmodern biology: (adult) (stem) cells are plastic, stochastic, complex,
and uncertain. Handb Exp Pharmacol (174):389-408.
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•
ridurre la resistenza insulinica;
•
facilitare il controllo sull'eiaculazione precoce;
•
controllare le reazioni allergiche;
•
risparmiare e far crescere i nostri mitocondri, che sono la chiave per mantenere livelli
energetici ottimali evitando di danneggiare il nostro DNA e RNA;
•
incrementare la nostra possibilità di vivere più a lungo, più in salute e più felici.
Come possiamo stimolare il nervo vago?
La stimolazione può avvenire con le seguenti tecniche:
1. una lenta respirazione addominale;
2. il canto del mantra “OM“;
3. la tecnica Dive Reflex.
Forse la più pratica tecnica è quella della lenta respirazione addominale, che come
unico difetto ha che spesso ci si dimentica di farla durante la giornata, ma con la
perseveranza, con la rassicurazione dell'amigdala e con un prodotto antistress, come p.es.
Tao in a Bottle, è sicuramente fattibile.
Per praticare la lenta respirazione addominale bisogna inspirare attraverso il naso ed
espirare lentamente dal naso. Quelle che conta è che inspiriamo espandendo e portando
l'aria nell'addome, trattenere il respiro per qualche secondo e poi espirare più a lungo
rispetto all'inspirazione.
Durante l'inspirazione il diaframma si rilassa e si espande attivando il nervo vago, che di
conseguenza riduce i livelli di cortisolo nel sangue. Dopo un paio di inspirazioni i nostri
muscoli inizieranno a rilassarsi e l'ansia potrebbe adirittura scomparire.
Contemporaneamente il rifornimento di ossigeno alle cellule migliorerà e questo aiuta a
produrre endorfine, gli ormoni della felicità.
Possiamo praticare questo respiro solo pochi minuti al giorno, oppure all'occorrenza. La
pratica migliore sarebbe cercare di renderlo consapevole il più spesso possibile durante la
giornata.
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I benefici del canto dell'OM sono stati studiati e pubblicati nella rivista International
Journal of Yoga del 2011, dove il canto dell'OM è stato paragonato con il canto della
lettera “S“ ed è emerso che l'OM è più efficace nella stimolazione del nervo vago. Questo
canto viene associato con l'esperienza di una sensazione vibrazionale attorno alle orecchie
e nel corpo; sembrerebbe che questa sensazione viene trasmessa al ramo auricolare del
nervo vago.
[51]
Per cantare l'OM consiglio di cercare un video su youtube e di farlo finché non si sentono
dei benefici (solitamente bisogna cantare almeno 10 minuti).
La tecnica Dive Reflex è stato sviluppato da Steve Mensing e consiste nel raffreddare
velocemente il viso con acqua molto fredda o con ghiaccio. L'esercizio fisico, se fatto con
troppa enfasi e spirito di competizione, può causare un'attività simpatica (stress, combatti e
fuggi) ed una riduzione dell'attività parasimpatica (riposo, digestione, guarigione,
rilassamento). Studi scientifici hanno scoperto che immergere la faccia nell'acqua fredda
risulta un modo semplice ed efficace per accelerare la riattivazione parasimpatica dopo
l'attività fisica attraverso il nervo vago3. Ovviamente funziona anche quando non abbiamo
svolto esercizi fisici.
La tecnica Dive Reflex è un metodo di stimolazione del vago capace di abbassare
rapidamente ansia, panico, stress ed infiammazione diffusa nel corpo, ma di anche
migliorare l'umore. Sostanzialmente esistono due modi per praticarlo: uno consiste nel
mettere la faccia, dalle labbra fino all'attaccatura dei capelli sopra la fronte, in acqua molto
fredda dai 30 secondi ad 1 minuto. Con l'altro modo si usa un grande sacco di plastica
riempito di ghiaccio ed applicato sulla faccia come descritto precedentemente. In entrambi i
modi, mentre si applica l'acqua fredda o ghiacciata bisogna prima riempire la bocca di
saliva, perchè anche questo stimola il nervo vago. L'effetto antiansia dovrebbe durare per
40 min fino ad 1 ora e mezza circa. Si può ripetere più volte al giorno.
La pratica del Metodo NatAliash
Questo metodo ha generalmente tre obiettivi:
1. tranquilizzare l'amigdala attraverso la comprensione e la verità;
2. successivamente aiutarla a lasciar andare la paura accumulata negli anni.
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http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00421-009-1253-9
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3. guarire dall'odio
Per poter tranquilizzare l'amigdala dobbiamo innanzitutto rapportarci con essa come se
fosse un essere vivente e cosciente. Se la trattiamo solo come un pezzo di carne nel nostro
cervello, la nostra comunicazione non sarà efficace. L'amigdala ha una propria intelligenza
e non cederà le sue difese se sentirà giudizi, insicurezze o mezze verità da parte nostra,
poiché il suo compito è sempre stato e sempre sarà di proteggere la nostra vita dal dolore,
dagli incidenti e dalla morte.
Quindi dobbiamo avere rispetto per questa preziosa ghiandola e non trattarla come se
fosse la causa di tutti i nostri problemi e delle nostre sofferenze – la vera causa è solamente
la nostra ignoranza, e se per caso finora ci siamo colpevolizzati o giudicati come degli
incapaci, proprio perché impossibilitati a guarire o risolvere un nostro problema, tenete
presente che l'autore ha sudato per faticosi 14 anni per sviluppare un metodo così
semplice, banale ed efficace.
E se parlate con un qualsiasi serio psicoterapueta, vi confermerà che interpretare e sopratutto
gestire il mondo interno è la cosa più difficile e complessa al mondo. Reputiamoci quindi
fortunati di essere arrivati fino a dove siete approdati nella vita e proseguiamo con un
atteggiamento di profonda gratitudine e di fiducia verso la nostra guarigione sempre più
profonda.
Dopo aver instaurato un corretto approccio relazionale con l'amigdala, il primo passo da
fare è capire da cosa ci sta proteggendo ovvero di cosa ha paura. La paura viene definita
come una emozione spiacevole causata dal credere che qualcosa o qualcuno sia
pericoloso, che possa causare dolore o minaccia alla vita, ed è uno stato d’animo di
agitazione ed ansia causato dalla presenza di pericolo imminente.
Ma perché l'amigdala percepisce un pericolo imminente?
Perché rappresenta la nostra paura atavica del predatore presente nel nostro cervello
limbico, una parte che abbiamo in comune con tutti i mammiferi. Quando i cuccioli sono
nel nido e la mamma si allontana per andare a caccia, in caso di un avvicinamento di un
predatore, i piccoli non avendo più la protezione della mamma, percepiscono la situazione
come una minaccia di morte (reale). Solitamente in questi casi i cuccioli rimangono
immobili, impietriti di paura, in attesa che la mamma ritorni dalla caccia.
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Noi umani abbiamo lo stesso meccanismo di paura nell'amigdala, solo che il predatore è
solitamente il mondo esterno, ovvero il territorio del nostro lavoro dove siamo “a caccia“ di
risultati, carriera e clienti. Oppure il predatore può anche essere un nostro superiore che
disprezza, umilia o giudica pesantemente il nostro impegno.
Il problema più grande è che quando i nostri genitori hanno con i propri figli atteggiamenti
aggressivi o minacciosi, non adeguati alle circostanze, specialmente quando sono piccoli, e
purtroppo l'amigdala non riesce a fare distinzione fra predatore e genitore (protezione), e
vive pure un grosso conflitto interno (stress), perché da una parte il papà o la mamma o chi
si prende cura di loro, è un protettore, ma dall'altra è anche un predatore. Da piccoli, non
avendo ancora sviluppato la capacità di comprensione e di elaborazione razionale, ed
essendo completamente dipendenti da loro fino all'età maggiore, l'amigdala può sviluppare
una cronica attivazione, che poi produce lo stanchezza surrenale.
Questa attivazione cronica potrebbe essere paragonata al pensiero “ meglio essere
sempre vigili, non si sa mai quando il genitore si trasformerà nuovamente in
predatore“. Secondo me, da questa paura si origina almeno in parte la struttura del
nostro carattere (ego) per compensare tutta una serie di mancanze affettive e psicologiche:
qualcuno diventerà il figlio che dice sempre di sì a tutto e a tutti, l'altro sarà un perfezionista
e bravo (obbediente), il terzo iperprudente e paranoico, il quarto che si sacrifica per tutti, e
così via.
Una delle prime domande da porci per scoprire da cosa sia stata causata l'iperattivazione
dell'amigdala potrebbe essere:
Quali sono state le condizioni della nostra infanzia che hanno attivato la paura
nell'amigdala?
Non avendo trovato alcun materiale specifico che elenca le situazioni in cui l'amigdala si
iperattiva, possiamo dedurre che siano coinvolti tutti i traumi più importanti, ma anche
quelli più piccoli, quelli ripetuti molte volte durante l'infanzia (p.es. un genitore che spesso
alza la voce). Per facilitarvi nell'individuazione della vostra paura, vi descriverò brevemente
alcune tipiche situazioni famigliari che attivano il pericolo di morte dell'amigdala, quando
in verità la famiglia e la casa dovrebbero essere il luogo e l'ambiente più sicuro e protetto
del mondo:
•
un genitore ubriaco e violento;
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•
un genitore che abusa del figlio/a;
•
un figlio mandato via di casa per motivi di salute o di finanze;
•
un genitore irascibile, con improvvisi scatti d'ira;
•
un genitore molto severo, rigido e punitivo (emozionalmente freddo);
•
situazione di precarietà e di povertà dove il bambino si sente un peso oppure
umiliato;
•
genitori che non difendono i propri figli dal giudizio altrui;
•
genitori che non sanno ascoltare;
•
bambini che soffrono per la debolezza/insicurezza di uno o di entrambi i genitori;
•
genitore che instaura un rapporto competitivo con i figli;
•
genitore superficiale dove conta di più l'immagine e cosa dicono gli altri e le tendenze
sociali;
•
genitori che rifiutano o si vergognano consciamente o inconsciamente della propria
sessualità o del sesso del bambino;
•
genitore che non si occupa dei figli ed è indifferente o occupato sempre in cose più
importanti;
•
genitori che soffocano, si attaccano (dipendono emotivamente) o iperproteggono i
propri figli;
•
genitori ipocondriaci, paranoici o con disturbi psichiche più o meni gravi.
Questa lista di situazioni famigliari sicuramente non è esaustiva e spero che con la
collaborazione e con la condivisione di chi praticherà questo metodo, potremo completarla
affinché tutti ne possano trarre beneficio.
A tutte le situazioni sopraelencate si ha una reazione negativa, di paura, ma anche di
rabbia, di ingiustizia, di shock, di tristezza, di panico, di impotenza, ma alla fine, quello che
accomuna tutte queste reazioni negative è la paura di morire. Quando siamo piccoli
dipendiamo dal nucleo famigliare, lo adoriamo, siamo innamorati dei nostri genitori o di
chi si prendeva cura di noi, ma allo stesso tempo percepivamo la famiglia o alcuni
momenti famigliari come un pericolo per la nostra vita. Le reazioni negative, essendo molto
svariate, sono delle reazioni alla paura primaria e non sono il nocciolo del problema, bensì
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piuttosto una conseguenza.
Esiste un'altra paura molto comune alla maggior parte di noi, sempre connessa alla paura di
morire, ed è la paura di non appartenere. Quando stiamo bene in famiglia, ci sentiamo
protetti, amati, accettati e al sicuro, sentiamo di appartenere ad un nucleo famigliare, ed è
proprio quel senso di appartenenza che rilassa l'amigdala ed attiva il nervo vago.
L'appartenenza significa che abbiamo una base, una roccaforte dove ci possiamo sempre
rifugiare, chiedere aiuto e ricevere sostegno e comprensione. Dal punto di vista del
mammifero, è la mamma che torna dalla caccia con un gustoso bottino. Dalla famiglia si
riceve la forza ed il sostegno per combattere sul territorio (mondo esterno, il mondo del lavoro,
la scuola, ecc.), ma rappresenta anche un rifugio tranquillo dopo una lunga e dura battaglia.
Quando una persona ha l'amigdala troppo attivata dove predomina la sensazione che la
vita famigliare non è tanto sicura, si rimane senza rifugio, senza una base, che rappresenta
la radice della nostra forza e della nostra tranquillità emotiva. In questi casi la persona ha
una difficoltà enorme di realizzarsi una certa indipendenza economica, p.es. mettendosi in
proprio, oppure nel farsi una importante carriera lavorativa, perché nel territorio sente di
essere solo, senza la protezione della famiglia. L'ansia, l'insicurezza predominano e fanno
fare scelte o passi sempre sbagliati che portano normalmente al fallimento o al massimo
ad un semi–successo insoddisfacente. Lo stesso problema è attivo nei figli che rimangono a
casa in età avanzata e non riescono a staccarsi dai genitori per crearsi una famiglia:
perdere la protezione dei genitori e difendersi da soli nel mondo degli adulti sembra troppo
pericoloso per l'amigdala.
La stessa cosa capita in chi ha difficoltà a relazionarsi con le persone o a tirare su famiglia,
perchè troppo impegnato dalle paure dell'amigdala e non riesce ad essere sè stesso con gli
altri, non riesce ad esprimere il suo vero potenziale, la sua passione o il suo modo di
essere. Queste persone non hanno sentito sufficiente sicurezza a casa ed hanno difficoltà a
sentire sicurezza fuori casa, quindi bloccano da soli le possibilità di costruirsi una famiglia,
poiché senza stabilità emotiva è difficile creare legami stabili e duraturi.
Con il Metodo NatAliash il nostro compito è di cercare l'anello di congiunzione fra il vissuto
emotivo dell'amigdala, che è un estremo della nostra esperienza, ovvero l'esperenza di cui
siamo completamente consci (paura, panico, ansia,...), e fra la paura della morte, l'altro
estremo di cui normalmente non siamo consci (adesso sappiamo che esiste, ma non lo
stiamo vivendo con piena consapevolezza – sarebbe un'esperienza troppo forte da reggere).
Solitamente un'anello importante che lega i due opposti è proprio il senso di appartenenza
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bloccato da colpe, rabbie, dolori, credenze errate, ecc.
Ve lo spiego meglio con la mia esperienza personale.
Una mattina mi sono svegliato prima del solito con un pugno nello stomaco (un'esperienza
che ho vissuto molto spesso). Sapevo già che era connesso con l'amigdala perché stavo
preparando il lancio del mio nuovo negozio online Fitoplus, quindi mi stavo preparando
per conquistare un nuovo territorio con un investimento di denaro importante, in cui dovrò
combattere con i competitori e dimostrare ai nuovi clienti di essere uno dei migliori,
affidabile, serio, con prodotti veramente innovativi, efficaci e naturali. Avendo l'amigdala
iperattivata ed estremamente insicura, potete forse immaginare l'intensità della mia paura.
Non mi ricordo esattamente cosa avevo detto di preciso all'amigdala (non esiste un
protocollo per il dialogo uguale per tutti), però iniziavo a tranquillizzarlo sul territorio, che
andrà tutto bene, ma notavo solo un minimo beneficio passeggero. La mia paura atavica
di un predatore più grande e più forte di me era veramente tosta. Anche frasi connesse alla
“paura del fallimento“ o alla “paura dei giudizi altrui“ non avevano pressoché alcun effetto.
A quel punto avevo capito che se l'amigdala non risponde con un profondo senso di
rilassamento o con una reazione emotiva di apertura, stavo girando attorno alla verità. La
mia comunicazione a livello mentale non toccava le sue corde, perché parlavo delle
conseguenze, ma non del nocciolo del problema. Improvvisamente mi arriva come
l'intuizione (può succedere dopo che rimani in contatto per qualche minuto con l'amigdala)
la parola “appartenenza“, e subito dopo avevo percepito come da una parte avevo un
grande desiderio di appartenere alla mia famiglia, dall'altra mi creava una paura
fortissima. Questo conflitto derivava dal vivere i genitori da una parte come protettori e da
una parte come predatori.
Grazie all'intuizione inizio a spiegare all'amigdala quanto in verità i miei genitori mi
vogliono come figlio e come membro della famiglia, ed una frase in particolare che avevo
detto mentalmente era “fai conto che ogni volta che ti chiamano o che ti invitano a casa a
mangiare è perché ti vogliono come figlio“. Questa frase aveva colpito nel segno, perché
l'amigdala si è innanzitutto sentita capita, e quindi riconosciuta, e poi iniziava a
comprendere che in verità i miei genitori mi hanno sempre voluto, e che era la
sua (mia) percezione di paura a portarmi a credere di non poter appartenere
alla famiglia (per motivi di “pericolo di vita“) . Continuavo così a ricordare e a
spiegare altre situazioni all'amigdala in cui era palese che ero sempre stato parte della
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famiglia fino al punto in cui dicevo, che se i genitori si erano comportati in modo “brusco“
in passato, era perché probabilmente loro avevano dei problemi simili non risolti, ma che
non avevano mai l'intenzione di cacciarmi fuori di casa in preda ai predatori.
Quindi una delle tecniche principali (esistono due tecniche in tutto) che si dovrebbe usare è
alterare la percezione dell'amigdala della realtà passata e presente.
Come si fa?
Anche qui vi rispondo con un altro esempio, una sessione fatta su mia moglie, che aveva
per un certo periodo delle paure esagerate rispetto allo stress e agli impegni effettivi da
affrontare. Durante la sessione, che è durata forse 20 minuti, abbiamo trattato due o tre
diverse leve che iperattivavano l'amidgala, ma quella più interessante era l'ultima quando
mia moglie aveva detto a sè stessa riferendosi alla sua passata e presente situazione
famiglia: “Vergognati! Dopo tutto quello che sta gente ha fatto per te tu ancora ti lamenti,
non riconosci il loro impegno, sei così ingrata!“
A quel punto rispondo:“Se ogni reazione esagerata o negativa ha come scopo difendere la
paura dell'amigdala, e mettiamo che questa teoria fosse vera, secondo te, da quale pericolo
di vita ti sta difendendo in questo momento il giudizio nei tuoi confronti?“
Quando abbiamo capito che in verità la reazione di mia moglie era solo un meccanismo di
difesa che copriva la paura dell'amigdala, ed abbiamo poi scoperto la paura sottostante
(sempre dell'amigdala) di essere di peso, di essere inadeguata e di essere sempre in
qualche modo sbagliata, abbiamo centrato il problema. L'amigdala si è sentita riconosciuta
e compresa, e poi abbiamo iniziato a mostrare all'amigdala quanto era voluta ed accettata
dalla sua famiglia in passato. Al primo momento forse non sembrava facile calmare
l'amigdala, perché la famiglia ha vissuto nella povertà e le difficoltà erano reali, in quanto
un solo membro di una famiglia numerosa portava a casa un reddito. Mia moglie si sentiva
quindi un peso, soprattutto perché aveva vissuto con gli zii e con i nonni, e non con i
genitori, e chiedere qualcosa per lei era pressoché proibito o impossibile.
Nonostante l'apparente situazione complicata, abbiamo risolto quasi subito il problema,
mostrando all'amigdala i fatti, ovvero che se non fosse stata veramente voluta sarebbe
finita forse in un collegio o cacciata fuori da casa. Abbiamo detto all'amigdala che ogni
volta che lo zio (quello col reddito) usciva e tornava a casa dopo un lungo giorno di lavoro,
era anche per lei che lavorava e non solo per lui e per gli altri membri della famiglia. Dopo
qualche minuto, l'amigdala iniziava a tranquilizzarsi perché le abbiamo mostrato la realtà
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con i fatti, perché di fatto l'hanno nutrita, l'hanno voluta, l'hanno accettata e l'hanno
mantenuta per anni. È vero che la sua situazione non era nemmeno lontanamente
paragonabile alla tipica famiglia americana felice ed in armonia, che si vede in televisione,
ma quello che conta a livello terapeutico non era lo standard della vita, bensì l'assenza di
pericoli di vita reali, ma solo interpretati istintivamente dall'amigdala.
La tecnica quindi si basa nello spiegare all'amigdala i fatti del passato, e quando si accorge
che in verità era solo una sua percezione e non una realtà, inizia a calmarsi. Il vantaggio di
questo lavoro è che i risultati sono quasi immediati e noto che non devono essere ripetuti
molte volte per la specifica paura trattata. L'amigdala non è scema, quando ha capito e
visto giusto, si sente sicura e molla la presa. Se questo approccio non bastasse, si può
procedere con la seconda tecnica, che discuteremo a breve.
Se sentiamo ancora altre paure, significa semplicemente che ci sono altre situazioni diverse
che la attivano oppure che occorre passare alla secondo tecnica.
Tornando alla mia esperienza personale, non vi dico che liberazione profonda che provavo
dopo la liberazione dell'amigdala....lavoravo su questo punto per anni e anni, con molti
terapeuti diversi, passando notti insonni nel soggiorno a camminare su e giù, poi alla fine,
due chiacchiere con l'amigdala e tutto passa in poche ore!
Qual'era quindi il mio punto di svolta con l'amigdala?
L'aver compreso il suo bisogno di appartenenza e l'averle mostrato o spiegato la verità, cioè
quello che realmente succedeva con i miei genitori e non quello che io credevo che
succedesse. Non sono mai stato rifiutato nella mia persona e quindi “respinto“ da casa.
Passiamo ora alla tecnica n.2 per trattare l'amigdala – IMPORTANTE: questa tecnica è
molto diretta e può causare reazioni di paura o di panico imprevedibili (da parte
dell'amigdala), quindi consiglio di praticarla assieme ad uno psicologo o terapeuta di
fiducia, se possibile non via telefono, perché la presenza fisica offre una sensazione di
maggiore sicurezza.
Se con la prima tecnica abbiamo usato al comprensione, quindi una modalità più morbida
e femminile, qui confronteremo l'amigdala con la verità senza alcuna attenuante. Questo
perché a volte l'amigdala rimane agganciata ad una illusoria speranza in cui crede che se
continua a cercare la sicurezza a modo suo, che per noi risulta così devastante, limitante o
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ansioso, potrà prima o poi farcela, ovvero raggiungere quello stato di sicurezza, di
protezione, di considerezione o di amore verso cui anela.
Lo scopo di questa secondo tecnica è di distruggere la speranza, che è poi quella che
alimenta un desiderio, che non potrà mai avverarsi in quel modo. Vi passo un mio esempio
con la seconda tecnica, così sarà molto più chiaro.
Mio padre è una persona molto competitiva ed emotivamente inaccessibile. Da piccolo
probabilmente avrò cercato in tutti i modi di cercare un contatto viscerale/emotivo con lui,
ma non mi era possibile, perché il rapporto con lui potevo avvenire solo in due modi: in
modo competitivo o in modo distaccato in cui il rapporto padre/figlio assomigliava di più
ad un rapporto fra capo/dipendente. Quindi gli unici due modi che avevo per cercare un
contatto con lui era di essere bravo e/o obbediente, oppure competitivo, ma la
competizione con lui era una via che non potevo permettermi ed ecco perché: per la mia
amigdala entrare in competizione con mio padre significava rischiare anche di vincere (o di
perdere), ma se per caso lo batto, chi mi proteggerà dai predatori?
Quando ho deciso di costruirmi una mia attività indipendente nel 2004, la mia amigdala si
è iperattivata in maniera terrificante e costante, obbligandomi a procedere a piccolissimi
passi, perché la costruzione della mia attività professionale significava per la mia amigdala
andare contro l'attività di mio padre, che è un imprenditore. Ovviamente per la mia mente
razionale era falso e addirittura assurdo, ma dal punto di vista dell'amigdala aveva senso.
Quando ho iniziato a fondare l'azienda Fitoplus, con tutti i rischi del mestiere, ho fatto il
primo passo da imprenditore nel verso senso della parola, poiché fare solo il naturopata o
il counselor nel proprio studio, non rappresentava per l'amigdala una diretta sfida contro
mio padre, quindi la situazione era sì pericolosa, ma con sempre un certo margine di
sicurezza. Forse se anche mio padre fosse stato un naturopata, la situazione sarebbe stata
diversa.
Ecco quindi cosa mi creava un angoscia intensa mentre lavoravo ogni giorno per la lancio
del negozio Fitoplus: il desiderio di vivere quello che sentivo nell'anima di voler realizzare, e
dall'altra parte il terrore di battere mio padre in una competizione imprenditoriale in caso
riuscissi ad avere successo. Un paradosso, una trappola in cui l'unica via d'uscita sembrava
mollare il progetto Fitoplus, cosa che per me non era un'opzione.
Allora con la seconda tecnica ecco cosa ho detto all'amigdala:
“Non ce la farai mai a battere il padre. E lui non ti darà mai quel contatto che così
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disperatamente cerchi. Rassegnati, è inutile.“
Con questa frase ho tolto la speranza dell'amigdala di raggiungere la sicurezza tramite il
contatto col padre, che tramite la competitività era impossibile da raggiungere, anzi
avrebbe solo, prima o poi, distrutto la mia salute fisica, emotiva e psichica. Una frase così
diretta mi aveva creato una intensa paura, seguita da un lieve difficolta nel respirare (una
forma di attacco di panico).
E poi ho aggiunto:
„Se vuoi la sicurezza, io so come averla e come dartela, ma devi prima lasciar andare
questa follia in cui credi che con tutto questo pensare e fare, il cercar di esser bravo e
brillante, riuscirai ad avere sicurezza o l'approvazione di papà. Non funziona così.
Dimenticalo. Solo io posso dartela, proprio perché sono sempre presente, sono sempre qui.
Lascia andare sto meccanismo. Fermati. Fermati. Lascia stare.“
Ebbene, quella notte avrò dormito forse 1 ora, ma il giorno dopo ho dormito dalle 22.30
alle 9.00 di mattina, cosa che non mi succedeva da anni. Ho dovuto ripetere più volte
quelle frasi durante tutto il giorno, in maniera abbreviata, e forse con qualche parola
diversa, ma di fondo ho dovuto ricordare molte volte all'amigdala di smetterla, che è
inutile, di arrendersi e di calmarsi.
Qualche giorno dopo ho detto un'altra breve serie di frasi all'amigdala per me benefica:
„Ti meriti ora di riposare. Te lo meriti. Abbandonati pure, lascia andare la paura. Sei al
sicuro.“ (queste frasi fanno già parte della seconda fase del metodo descritto in seguito)
Quindi con la seconda tecnica occorre dire all'amigdala che il suo atteggiamento è un
fallimento e che non avrà mai quello che cerca in quel modo. Questo approccio
rappresenta come uno shock per l'amigdala, che poi inizia a scaricare le paure che
difendeva col suo meccanismo ansioso. Ecco perché ripeto che è meglio praticare questa
tecnica con un psicologo o terapeuta di fiducia. Qualsiasi terapeuta con sufficiente
conosconza del mondo interno e con anni di esperienza alle spalle saprà come gestire la
situazione e dovrebbe facilmente capire il funzionamento del Metodo NatAliash. Potreste
eventualmente mandargli questo metodo che è gratuitamente disponibile su questo sito.
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Metodo NatAliash
Nel Metodo NatAliash la prima parte consiste quindi nel comunicare con l'amigdala,
cercando di comprendere il suo bisogno e poi spiegare la corretta versione della realtà
successa in passato, oppure nell'affrontarla in maniera più diretta togliendole la illusoria
speranza. In questa fase dobbiamo continuare a parlare (sempre mentalmente) finché non
sentiamo un cambiamento interiore, come se dovesse cedere le difese ed aprirsi. Se non
arriviamo a questo punto e saltiamo troppo velocemente alla seconda parte del metodo,
non funzionerà.
Nella seconda fase aiuteremo ed inviteremo l'amigdala a lasciare andare tutti i strati di
paura accumulate negli anni. Gli strati sono spesso a cipolla, e di norma più siamo avanti
con l'età, più grande e stratificata è la cipolla. Per lasciar andare bene queste paure
dobbiamo prima assicurarci che siamo in sintonia con il vissuto dell'amigdala nella fase
uno, e che essa sia d'accordo nel lasciar andare. Se il lasciar andare non funziona, significa
che l'amigdala non si sente ancora sicura e non si fida (il famoso autosabotaggio), ma
ovviamente non di noi, ma perché qualcosa ancora manca alla spiegazione nella fase uno.
In verità, quando la fase uno viene fatta bene, il lasciar andare avviene automaticamente,
ma se ciò non succedesse, possiamo semplicemente porci delle domande, a cui non
dobbiamo rispondere, bensì da accogliere solo come un invito a lasciar andare.
Ecco le domande:
•
Posso accogliere questa paura?“ oppure “Posso dare il benvenuto a questo/a
__________ ?
•
Posso lasciarla andare ora?“
•
Dopo che abbiamo lasciato andare la paura possiamo eventualmente aggiungere:
“Posso accogliere il senso di appartenenza?“
Bambino interiore o amigdala?
La figura del bambino interiore è molto usato nella sfera della psicologia e rappresenta le
nostre emozioni, la nostra parte infantile, magica, quella spesso troppo ferita dal passato.
Solitamente “abita“ nello stomaco o nel 3°chakra. Molte scuole di pensiero usano diverse
tecniche per raggiungere un obiettivo principale: integrare l'adulto, ovvero l'io genitore,
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Metodo NatAliash
con il nostro bambino interiore, perchè è proprio il conflitto fra i due a creare sofferenza.
Non so voi, ma oggi quando dico affermazioni del genere sento dentro di me nascere
non una, ma più livelli di separazione. Invece di essere focalizzato su un solo “io“ mi
tocca osservare, studiare e curare molte parti di me, che secondo me rischia di ingrandire
e complicare il problema.
Anch'io ero in accordo con questa linea di pensiero, ma oggi sono fermamente convinto
che sì, quelle parti esistono, possono dare una certa spiegazione del mondo interno e
aiutano a livello terapeutico, ma non sono funzionali per guarire in maniera profonda il
mondo interno. Probabilmente avrete sentito che a quello cui più diamo attenzione, quindi
più energia, più quella cosa cresce e si rafforza?
Non sarebbe logico supporre che la stessa regola vale quando diamo troppa attenzione
alle varie parti di noi? L'ego, l'adulto, il bambino interiore, il genitore, la vittima, la
carnefice, l'adolescente, ecc.
Secondo le mie osservazioni è l'amigdala ad avere un ruolo dominante nelle emozioni e
quando si lavora sul mondo interno si hanno molti più risultati quando ci si orienta su di
essa invece che sul bambino interiore, anche perché alla fine, l'amigdala ed il 3°chakra
sono strettamente connessi.
La domanda che vi pongo quindi è: se dovreste scoprire la causa di un problema fisico,
parlereste con il vostro terapeuta/medico oppure con la sua segretaria?
Questa teoria è anche supportata dal fatto che l'amigdala è già pienamente matura alla
nascita, quindi i neonati sono già in grado di sentire una serie di emozioni intense, anche
se ancora non riescono a capire il loro contenuto. L'amigdala permette anche di
immagazzinare e di memorizzare qualsiasi evento emotivo, condizionando fortemente la
nostra vita da adulti. Essa funziona come un archivio della memoria emozionale. Il
bambino interiore lo si potrebbe identificare come tale solo dal 3°anno di età in poi,
quando sviluppa la capacità di comprendere razionalmente un evento emotivo.
L'amigdala è una sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e ogni percezione,
sempre guidata da un unico interrogativo, il più primitivo:
•
è qualcosa che odio?
•
qualcosa che mi ferisce?
•
qualcosa che temo?
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e in caso di risposta affermativa, l’amigdala scatta immediatamente, come un sorta di
grilletto neurale e reagisce telegrafando un messaggio di crisi a tutte le parti del cervello.
L’estesa rete di connessioni neurali dell’amigdala, le consente, durante un’emergenza
emozionale, di “sequestrare” gran parte del resto del cervello, compresa la mente razionale
e di imporle i propri comandi.
Quando questo succede dove sentiamo l'effetto principale di questo allarme?
Nella pancia, ma questo non significa automaticamente che quello è sempre il nostro
bambino interiore. Non potrebbe semplicemente essere un tornasole di quello che succede
nella nostra mente, nell'amigdala (e forse in altre ghiandole cerebrali)?
Allora perché focalizzarci sempre sull'identità “bambino interiore” quando siamo già
straincasinati con l'identità di un ego? Perché aggiungere nella nostra consapevolezza altre
identità quando il nostro compito dovrebbe essere chiarire la nostra mente, renderla più
limpida, più presente a ciò che siamo? Se continuiamo ad alimentare troppo tutte queste
identitè, rischiamo di rafforzare la debolezza, una sensazione di impotenza e di
frustrazione, nonché la confusione interiore, perpetuando il gioco dell'autosabotaggio e del
tenere addormentata la nostra coscienza, ma qui sto divagando troppo presto fuori tema.
Personalmente credo che nonostante ci voglia un'enorme conoscenza ed un notevole
bagaglio di esperienze a livello psicologico, emotivo e spirituale prima di arrivare al lusso
di poter scoprire risposte efficaci ai nostri ed altrui problemi, alla fine la guarigione o la
soluzione di un problema dovrebbe essere abbastanza semplice e chiara per tutti, anche
per chi non è del settore. Complicarlo con migliaia di teorie è sicuramente utile ed
affascinante (soprattutto per chi ne è appassionato), ma credo che l'umanità abbia bisogno
di un paio di indicazioni abbastanza comprensibili e tecniche velocemente apprendibili.
Visto che il parlare con l'amigdala non ha nulla di diverso rispetto al comunicare con una
persona, cosa che tutti sappiamo fare, nel mio cuore spero che questo metodo possa
essere abbastanza facile ed efficace nell'applicazione. Nel caso uno non dovesse sapere
cosa comunicare all'amigdala perché non ha una sufficiente consapevolezza del suo vissuto
interiore, consiglio di fissare qualche appuntamento con un bravo psicoterapeuta,
counselor o operatore del settore, che sappia decodificare il vostro mondo interno,
spiegandovi quali sono i vostri traumi, i vostri bisogni e gli schemi di sabotaggio. Nel
capitolo “Come Guarire il Conflitto Materno/Paterno“ ho indicato degli esperti in questo
campo che potrebbero aiutarvi.
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Metodo NatAliash
Invito anche i terapeuti a sperimentare con altre tecniche a calmare l'amigdala e sarei grato
di sentire delle esperienze in merito.
Ecco quindi un riassunto e delle istruzioni più specifiche per praticare il Metodo
NatAliash:
1. mettiamoci seduti in una posizione comoda (sconsiglio inizialmente a farlo sdraiati).
Chiudiamo gli occhi e diamo l'intenzione di comunicare con l'amigdala;
2. abbiamo un problema da trattare e dobbiamo riflettere su quale situazione famigliare
potrebbe essere connessa;
3. una volta individuata, chiedersi cosa avrebbe bisogno l'amigdala per sentirsi sicura. Le
manca forse il senso di protezione o di appartenenza nella famiglia o di un membro
della famiglia? Cerchiamo sempre la paura che sta dietro a qualsiasi emozione o
pensiero che possa venire a galla, perchè quella è la paura dell'amigdala con cui
dialogare, e che rappresenta la fonte di altre emozioni/credenze;
4. chiedersi da 0 a 10 quant'è l'intensità del problema (questo serve alla fine per attestare i
miglioramenti). Il 10 significa il massimo dell'intensità, 0 invece si è totalmente liberi dal
problema;
5. decidere quale tecnica usare (la prima o la seconda) e comunicare all'amigdala
spiegandole la verità. Questa è la fase uno del metodo e se il blocco è molto forte, a
volte dobbiamo parlare anche per 20 min o più di fila prima di arrivare alla resa o alla
rassicurazione dell'amigdala.
Se non riusciamo subito a scoprire il punto che tocca il centro del problema
dell'amigdala, non disperiamoci – adesso bisogna insistere con pazienza ed amore,
poiché spesso arrivano delle intuizioni. Se le intuizioni non arrivano, proviamo a
proporre delle spiegazioni teoriche del perchè è successo, e magari dopo si apriranno
delle porte con soluzioni inaspettate.
L'importante è non disperarsi, ma anche se così fosse, non potrebbe essere l'amigdala
così disperata? Se è disperata, allora non sente di essere capace perchè forse troppo
sola, senza sostegno, quindi è il sostegno famigliare che le manca? Quel senso di
protezione? Ed ecco che ci avviciniamo piano piano al nocciolo.
6. nella fase due, se necessaria, quando abbiamo ottenuto la collaborazione
dell'amigdala, poniamoci le domande per lasciar andare il resto della paura: posso
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Metodo NatAliash
accogliere questa paura? Posso accogliere questo bisogno di ________ ? Posso lasciarlo
andare ora?
Qui possiamo anche aggiungere una frase del tipo: “È sicuro per me lasciarla andare,
siamo completamente protetti.“
7. rivalutare l'intensità da 0 a 10 e notare i progressi.
È importante non avere fretta, non dettare i tempi, e anzi, è fondamentale permettere dei
tempi fisiologici di guarigione, non solo per lasciar andare strati e strati di antiche paure,
ma anche il corpo deve riassestarsi sia a livello fisiologico che energetico. A volte il
riassestamento può durare per giorni.
Ma non era finita...
Dopo aver trattato con successo la mia amigdala, la sera dopo uno dei miei mega
rilassamenti emotivi e fisici, mi addormento senza difficoltà nonostante percepissi qualcosa
come in fermento nel mio inconscio. Sperando che fosse solo un assestamento, mi sono
addormentato dopo pochi minuti....ma verso le 3 di notte ero improvvisamente sveglio
come un grillo e con un nodo in pancia – ancora?!!
Ma stavolta era diverso. Il nodo in pancia era un po' più esteso e non più fisso su un unico
punto sotto l'ombelico. Sentivo che la “nota“ dell'ansia era diversa, anche l'intensità era
diversa, quindi un cambiamento probabilmente è avvenuto, ma cos'era questa nuova
sensazione di sicuro non piacevole?
Ho verificato se l'amigdala era nuovamente agitata , ma tutto sembrava tranquillo ed
anche fisicamente e mentalmente mi sentivo tuttosommato, sereno. Ad un certo punto mi
appariva tutto chiaro: l'amigdala, essendo ormai molto più serena, aveva calmato le acque
del mondo interiore e questo mi aveva, piano piano, permesso di entrare in contatto diretto
con un antico, enorme e freddo serbatoio interno: l'odio.
Quel nodo disteso era odio puro.
Non essendo questo il mio primo incontro ravvicinato con il mio odio, quest'ultima
esperienza mi aveva spinto a decodificare ancora più profondamente e con maggiore
precisione il funzionamento del mondo interno, e anche se quello che sto per spiegare è
solo una teoria, dentro di me suonava, e tutt'oggi suona, molto vicino alla verità.
L'odio dentro di me, e credo dentro ciascuno di noi, in generale deriva da tre fonti primarie:
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1. dall'odio alimentato da noi stessi;
2. dai genitori e dai nostri antenati;
3. dalla nostra anima.
1. l'odio alimentato da noi stessi
E' l'odio che noi rigeneriamo e nutriamo ogni giorno dentro di noi, soprattutto a livello
inconsapevole. Ogni volta che ci arrabbiamo quando rimaniamo bloccati nel traffico,
oppure quando l'amico viene in ritardo all'appuntamento, oppure quando siamo gelosi del
nostro partner, oppure quando la mamma ci chiede sempre dove vai, cosa fai e non si fa
mai gli affari suoi, ecc. siamo vittime dell'odio. Questo non significa che dobbiamo subire
delle ingiustizie, farci calpestare i piedi ed offrire il finto sorrisino della serie “non fa nulla“,
ingoiare e proseguire col muso lungo fin per terra. In seguito spiegherò con maggiori
dettagli alcuni meccanismi interni che conosco legati all'odio.
2. dai genitori e dai nostri antenati
Ogni antenato (genitore, nonno, bisnonno, ecc.) che non ha avuto la possibilità o la
conoscenza per poter guarire sè stesso dall'odio, inevitabilmente lo passa ai propri posteri a
livello inconscio. Tutti noi portiamo un serbatoio di odio di cui la maggior parte consiste del
nostro retaggio famigliare. Proviamo a pensare alle guerre passate, alla povertà, alle
ingiustizie, alla severità ed ai rigidi comportamenti di una volta, al razzismo, ecc., tutti
motivi che generano odio.
3. dalla nostra anima
Per tutta una serie di esperienze personali e grazie all'enorme documentazione in merito
all'esistenza di qualcosa che trascende la morte fisica, credo che anche l'anima giochi un
ruolo con la quantitià di odio di cui siamo portatori. L'odio in questo caso forse non
dipende tanto dalla quantità di odio che travasiamo dalle nostre vite precedenti in questa
vita, bensì dalla qualità del nostro comportamento, che attira verso di noi genitori e
famiglie con simili vissuti da risolvere, quindi una famiglia che alimenta molto odio e con
cui avevamo già dei problemi/conflitti di odio non risolti in vite precedenti. Ovviamente
come in tutte le regole esistono anche delle eccezioni.
Come nasce l'odio?
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Sin da piccoli proviamo un grande amore ed un attaccamento affettivo profondo con i
nostri genitori o con chi ci aveva accuditi e fatti crescere. Questo amore è inevitabile, è la
nostra essenza, non possiamo da piccolo scegliere se amare o meno. Anche se siamo
stati trattati malissimo e magari oggi proviamo un odio senza fine per i nostri genitori,
prima di aver provato odio provavamo amore. Magari fosse solo per un giorno, tutto
ebbe inizio con l'amore.
Ad un certo punto dell'infanzia viviamo la nostra prima ferita d'amore: un genitore non
corrisponde il nostro affetto, ci picchia senza alcun motivo, è indifferente alle nostre
richieste di attenzione, e così via. Quella ferita è per noi qualcosa di insopportabile e
mantenerla aperta per lottare con rabbia contro i genitori per avere quello che vogliamo
comporterebbe il rischio di perdere tutto: la sicurezza, l'affetto, la casa, la protezione, il
cibo, l'amore (ecco che si attiva l'amigdala con il pericolo di vita o di morte).
L'unico modo per sopravvivere e per convivere con queste ferite, che con gli anni si
accumulano sempre di più, è nel raffreddarle. L'odio nasce quando si comprime e si
reprime la rabbia, il dolore e la paura tutta insieme in un grande e buio magazzino interno
che soventemente viene chiamato l'inconscio. Grazie al raffreddamento ed alla
compressione possiamo togliere dalla nostra consapevolezza e dal nostro sentire il dolore o
almeno gran parte del dolore, della paura o della rabbia. In definitiva, l'odio è un
eccezionale strumento di sopravvivenza in un mondo come il nostro, che purtroppo è
ancora pieno di ignoranza, di difficoltà e di dolore.
Questo odio poi diventa la fonte primaria di energia per la costruzione e per lo sviluppo del
nostro carattere (ego). Nonostante il carattere abbia moltissime manifestazioni diverse, tutti
hanno la stessa fonte di “forza“ e finché non viene trattata questa parte, avremo sempre
pochi e piccoli benefici a lungo termine da qualsiasi lavoro interiore a cui ci sottoponiamo.
Infatti nel lavoro della psicoterapia generalmente si tende a dare più importanza alle
emozioni, alle credenze e alle loro interazioni fra di esse. Questo tipo di lavoro è
sicuramente efficace e necessario, ma quello che secondo me manca è la consapevolezza o
la conoscenza, che quando e se sciogliamo o risolviamo o gestiamo con successo un
evento traumatico, e magari l'emozione di base è stata ridotta, accettata ed elaborata,
quello che succede è che l'odio non si scioglie assieme all'emozione che viene a galla.
Personalmente credo di aver lavorato molto e con successo sui miei vissuti interiori, e credo
di aver sviluppato una buona capacità di sentire, attraversare o stare nell'emozione,
elaborarla e lasciarla andare. Questi passaggi appena menzionati li avevo compiuti negli
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anni attorno alle 50 volte se non più, con lacrime, paure, dolori, ricordi rimossi che
tornavano a galla, ecc. Ogni volta sentivo come una liberazione, un alleggerimento, un
piccolo cambiamento, ma mai qualcosa di più profondo o di più “pieno“ a lungo termine.
Credo che possiamo guarire o trattare tutte le nostre emozioni traumatiche, ma l'odio,
avendo probabilmente ormai una sua autonomia energetica, persiste e resiste con una
forza ed intensità straordinaria, anche senza le emozioni che sono state la causa o la
concausa iniziale per la nascita dell'odio in noi. Non sarei sorpreso se un giorno gli
psicologi e la medicina scoprissero che uno dei motivi principali che sabotano, rallentano o
limitano la guarigione emotiva, psichica o fisica è propria la presenza dell'odio. Credo che
anche l'odio sia legato alla nostra genetica e alle informazioni genetiche ed energetiche che
ci vengono passate avanti tramite gli antenati alla nascita, quindi secondo me guarire
dall'odio è un punto fondamentale per recuperare i propri capelli e per cercare di offrire ai
nostri futuri figli una testa più folta e sana. Ovviamente la stessa cosa vale per tutte le altre
malattie fisiche e psichiche.
Come funziona l'odio?
L'odio è lo stimolatore della nostra sofferenza e noi tutti siamo molto più in contatto con
essa quotidianamente, più di quanto ne siamo consapevoli. Purtroppo tutt'oggi è l'energia
che domina la nostra economia, la politica, la sessualità, le case farmaceutiche ed
alimentari, le guerre e purtroppo anche gli esseri umani in generale.
Quante volte ci capita di guardare un programma televisivo e giudichiamo l'attore, il
presentatore o il partecipante come uno stupido?
Quante volte ci arrabbiamo col computer o col cellulare?
Da dove pensate che derivi la pubblicità ingannevole? Chi è che ispira dentro di noi la
manipolazione?
Chi dentro di noi ispira la violenza nei film Hollywoodiani o nei videogiochi che stimolano ed
alimentano la stupidità, sangue e irrealtà?
Cosa spinge l'uomo ad uccidere? La gelosia, la disperazione? Sì, anche, ma chi c'è dietro la
gelosia e la disperazione?
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Cosa spinge l'uomo a dire bugie sapendo di mentire?
Cosa dentro di noi vuole vendetta?
Chi è arrabbiato quando la propria squadra perde e distrugge la città o picchia i tifosi
avversari?
L'odio è il re degli autosabotaggi, è quello che sta dietro a tutti i meccanismi di superficie
del nostro ego, spesso confusi con l'autosabotaggio principale. Questa confusione nasce
proprio dall'abilità dell'odio di manipolarci in maniera subdola, veloce ed efficace.
L'odio ha una caratteristica unica in cui è imbattibile: è bravo a nascondersi, a mascherarsi
dietro delle facciate, spesso anche in quelle più angeliche. Per forza, DEVE essere bravo,
perchè l'abbiamo creato noi per sopravvivere durante l'infanzia – se non avesse funzionato,
forse oggi non saremmo vivi o saremmo messi molto peggio!
Come posso riconoscere l'odio dentro di me?
Se l'odio è bravo a nascondersi e noi non riusciamo a vederlo è perché siamo identificati
con una parte del nostro ego. Quando siamo identificati con l'ego siamo convinti che l'odio
non c'è, perché il carattere è solo una manifestazione dell'ego che offusca la nostra
consapevolezza, ovvero la nostra capacità di vedere la verità in noi.
Quindi l'antidoto migliore in assoluto è essere sinceri con sè stessi. Il nostro compito
principale dovrebbe essere diventare spietatamente sinceri con sè stessi, cercando di
mettere sotto una lente d'ingrandimento i nostri atteggiamenti e le nostre credenze,
mettendoli in discussione. La sincerità è l'anticamera della verità, è l'interruttore che
permettere di accendere la luce sul buio, sul nascosto dentro di noi.
Il modo più veloce per diventare sinceri con sè stessi, e attenzione, non sto dicendo l'essere
sinceri con tutti e dire sempre la verità. Per carità! Intendo la sincerità dei propri intenti,
pensieri, emozioni, azioni, desideri e scelta di vita – tutto quello che ci definisce come
persona. Bene, quindi il modo più veloce per diventare sinceri è ammettere ed accettare
che abbiamo dell'odio dentro di noi. Se non partiamo da qui e diciamo tipo “mah, forse ce
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l'ho, vedremo, ho dei dubbi“ iniziamo già a fare il gioco del nascondino dell'odio.
E' anche vero che esistono alcuni caratteri che hanno una maggiore difficoltà a riconoscere
e a consapevolizzare l'odio rispetto ad altri; questi caratteri di solito sono persone con una
forte tendenza al sacrificio, all'essere molto buoni e servizievoli e mettono spesso da parte i
propri bisogni. Questa forte repressione di sè stessi ha in qualche modo anche represso la
consapevolezza del proprio odio.
Il secondo passo è scegliere di voler vedere la verità in noi. Questo deve essere un passo
cosciente e non una cosa scontata solo perché abbiamo letto queste righe. L'odio farà di
tutto per non farsi scoprire – potrebbe p.es. mettersi a ridere mentre legge queste parole,
oppure ci farà sentire improvvisamente sonno, oppure ci farà venire una voglia di
mangiare o di uscire. Sarete sorpresi nel scoprire quanto l'odio condiziona la nostra mente,
le nostre scelte ed infine la nostra vita.
ATTENZIONE:
Scoprire di essere più o meni pieni di odio NON significa essere delle persone
spregevoli, ingrate e non meritevoli di vivere. Significa che c'è stato molto, ma molto
dolore nell'infanzia, nella vostra famiglia d'origine e soprattutto nella storia dei vostri
antenati. Per questo è da portare rispetto a sè stessi per esser stati finora capaci di
reggerlo al meglio delle proprie forze, poichè l'odio veramente ci succhia via la vita, la
gioia, la passione, l'energia e crea danni innenarrabili – basta accendere la TV o
leggere i quotidiani.
Adesso che abbiamo le conoscenze di base sull'odio, vediamo come possiamo trasformarlo
ed annullare i suoi effetti nocivi.
La trasformazione dell'odio
Premetto che il lavoro sull'odio è più lungo rispetto al lavoro sull'amigdala, ma non tanto
per la sua complessità, bensì perché è un'energia molto, molto densa, antica ed
abbondante in molti di noi. Quando la si inizia a sciogliere o trasformare, è utile farlo a
piccoli pezzi alla volta, altrimenti il corpo non riesce a integrare il grande e profondo
cambiamento energetico.
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Ricordiamoci che siamo in un corpo che necessita di tempi fisiologici per qualsiasi tipo di
cambiamento. Nel mio caso, mi è successo più volte di aver scaricato troppo odio in una
volta e dopo non dormivo per quasi tutta la notte (di nuovo!), proprio perché avevo rilasciato
troppa energia densa che rimaneva come bloccata dentro di me – praticamente avevo
ingolfato la mia capacità di eliminazione/trasformazione dell'energia negativa (i chakra).
Dopo bisogna attendere dalle 24 alle 48 ore per smaltire il tutto; in questi casi è utile fare
una camminata in bosco in una giornata di sole e così scaricare l'energia ingolfata.
La trasformazione dell'odio avviene con una tecnica simile a quello per l'amigdala, ovvero
bisogna riconoscere la verità. L'odio è infine un'amore deluso, un tradimento d'amore,
un'ingiustizia d'amore, ecc., insomma nasce sempre da qualcosa legato all'amore, quindi
possiamo sintetizzare che l'odio è amore raffreddato. L'odio è sempre amore, solo
trasformato, polarizzato, gelato, ma resta sempre amore – questo è il punto cruciale da
comprendere. Finché siamo convinti che l'odio è un nemico da combattere o da trattare
perché lavora contro di noi, non potremo mai guarire, anzi rafforzeremo l'odio, che poi è il
problema dell'umanità sintetizzato in poche parole.
Per chi ha visto la trilogia dei film Matrix, si ricorderà nel terzo episodio la scena finale
quando Neo intraprende la battaglia finale con l'agente
Smith di fronte ad un esercito di altri agenti uguali. Quando
l'agente Smith affonda la mano nel cuore di Neo per
trasformarlo in un altro agente Smith (l'agente nella trilogia
Matrix rappresenta sempre l'odio) e si rende conto che è
finita, è perché Neo (rappresenta l'Iniziato) realizza che
l'agente Smith e lui sono la stessa cosa. Neo capisce che
l'odio è amore e quindi si lascia trasformare dall'agente con
serenità, non combatte, non resiste più, perchè conosce e
vede la verità. Per chi non ha visto il film, non rovino il
finale, e mi fermo qui.
Gli antichi saggi simboleggiavano questa realizzazione di Neo con Uroboro, il serpente che
si morde la coda. Esso è presente nella tradizione gnostica, ermetica ed alchemica e le sue
origini sembrano essere ancora più lontane. Il serpente in generale è il simbolo dell'odio e
finché non riusciamo a far sì che si morda la coda, significa che siamo ancora vittime del
suo morso velenoso.
Quando invece si morde la propria coda, attraverso un nostro lavoro di unione degli
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opposti come appena descritto nella scena di Neo, esso rappresenta la natura ciclica delle
cose, la teoria dell'eterno ritorno, e tutto quello che è rappresentabile attraverso un ciclo
che ricomincia dall'inizio una volta che ha raggiunto la propria fine. In alcune
rappresentazioni il serpente è rappresentato mezzo bianco e mezzo nero e richiama il
simbolo dello Yin–Yang, che illustra la natura dualistica di tutte le cose ed il concetto che gli
opposti non sono in conflitto tra loro.
Riconoscere che l'odio è amore rappresenta l'atto del serpente che si morde la
coda e ci permette di sciogliere il nostro antico serbatoio di odio.
Inoltre in italiano suona veramente bene, perché quando togliamo la lettera “o“ di fronte
alla parola “odio“ ci ritroviamo con la frase “dio è amore“, e guarda caso la lettera “o“ è
un cerchio, quindi proprio il simbolo di Uroboro.
Vediamo ora un esempio per capire come mettere in pratica la verità della frase “l'odio è
amore“. Prima dobbiamo individuare qualcosa verso cui proviamo odio, ed in questo caso
mettiamo che sia verso il sentirsi obbligati. Una volta individuato dobbiamo trovare chi dei
nostri genitori o chi ci ha tirato su nell'infanzia, porta in sè lo stesso odio. Se non abbiamo
conosciuto i nostri genitori, dovremo immaginare che uno dei due, o entrambi, avevano lo
stesso problema e fare finta durante l'esercizio che sia veramente così.
Nel nostro caso diciamo che è la mamma che ha o che ha avuto questo stesso odio verso il
sentirsi obbligati. Mentalmente dobbiamo poi riconoscere che noi stiamo perpetuando
lo stesso schema per amore e per fedeltà verso il genitore, perché il legame
dell'odio con la madre è pur sempre un legame di famiglia – è meglio un
legame di odio che niente, e visto che l'odio è amore, questo legame è in verità
amore. Appena riconosciamo questo, riusciremo a riconoscere e a vedere che il nostro
odio in verità è amore. Subito dopo dovremmo sentire che qualcosa inizia a muoversi o a
sciogliersi nel corpo. La più tipica reazione di inizio guarigione è lo sbadiglio, ed in alcuni
casi brividi freddi (l'odio che sta attraversando il corpo per poi uscire), tensione nelle
mascelle oppure emozioni connesse e represse insieme all'odio.
Questa procedura va ripetuta tante volte, anche con parole diverse, finché non siamo
soddisfatti del risultato o finché sentiamo che sia necessario, ma quello che non deve mai
cambiare è la verità che unisce gli opposti “l'odio è amore“. In sostanza dobbiamo
collegare il nostro legame d'odio con uno o con entrambi i genitori avendo lo stesso tipo di
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odio, e poi riconoscere e vedere la verità.
Per agganciarci al nostro serbatoio di odio per poi trasformarlo in amore, basta pensare a
delle scene del passato in cui c'era odio presente: di solito c'è quando tiriamo fuori il peggio
del nostro carattere, ma spesso può assumere atteggiamenti molti subdoli, quindi può
essere più difficile cogliere il meccanismo dell'odio. Una semplice tecnica è chiedersi cosa ci
infastidisce dei nostri genitori/partner/figli/amici/colleghi di lavoro o di chi ci sta intorno.
Da quel fastidio potrete poi arrivare dritti all'odio.
La stessa procedura viene eseguita quando scopriamo o intuiamo che l'odio è connesso
anche con gli antenati (direi che sarebbe una rarissima eccezione se così non fosse), tranne
che per due passaggi:
1. se stiamo lavorando sempre p.es. sull'odio verso l'obbligo, dobbiamo collegarci con gli
antenati (nonni, bisnonni, ecc.) e non più con i genitori, anche se consiglio sempre di
includerli. In questo caso riconosciamo che il legame dell'odio verso l'obbligo, che è
stato tramandato di generazione in generazione, esiste proprio perchè è comunque un
legame famigliare, un legame di appartenenza. Infine, lo trasformiamo in quello che è:
un legame d'amore;
2. evitare di lavorare con tutti i livelli generazionali di antenati insieme in un colpo solo.
Questo è stato il mio più comune errore all'inizio e consiglio di lavorare su una
generazione per volta. Dopo aver concluso con i genitori, passare ai nonni, poi ai
bisnonni, fino alla settima o decima generazione. Dopodiché possiamo provare a
trattare tutto il resto delle generazioni insieme.
In questo modo evitiamo di essere investiti da un treno di odio, anche perché gli antenati,
consciamente o inconsciamente, non aspettano altro, e vi saranno, prima o poi,
infinitamente grati per questo vostro importante lavoro.
E come usare il Metodo NatAliash se scopriamo di avere odio verso noi stessi?
L'obiettivo è sempre creare “l'effetto Uroboro“, ovvero l'unione degli opposti – l'odio con
l'amore. Uno dei miei blocchi di odio più profondi e intensi era l'intolleranza che scaturiva
quando la vita, nelle sue piccole cose, non andava per il verso giusto.
Ecco un esempio di lavoro praticato su di me: pochi giorni dopo aver iniziato a praticare il
Metodo NatAliash (applicato sull'odio), “casualmente“ inizio ad imbattermi in un susseguirsi
di piccoli e fastidiosi ostacoli, soprattutto legati al mio lavoro, i quali mi facevano perdere
un mucchio di tempo prezioso. L'apice dell'odio che provavo verso queste incombenze l'ho
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Metodo NatAliash
vissuto verso la fine di questi giorni “bui“, quando mi rendo conto di aver lasciato un
importante pezzo del libro “Riprendiamoci la Vita per i Capelli“ a casa, e visto che dovevo
consegnarlo ad una persona, non potevo aspettare fino al giorno dopo. Esco e mi avvio
verso casa, che per mia fortuna, dista solo pochi minuti a piedi. Ritiro i fogli mancanti del
libro e appena mi riaffaccio davanti al mio ufficio, mi rendo conto di aver lasciato le chiavi
nella serratura della porta di casa.
Per una disattenzione del genere una volta sarei andato fuori di testa per la rabbia, tirando
giù almeno tre porchi in 20 secondi, ma questa volta, reduce già di precedenti lavori
sull'odio, la rabbia era diminuita, ma l'odio era ancora fermamente presente!
(la riduzione dell'odio grazie al lavoro su di me fatto in precedenza, mi ha permesso di
consapevolizzare questo livello di odio ancora più profondo).
Approfittando del tempo per fare il secondo giro ufficio–casa e casa–ufficio, mentre
camminavo mi sono detto mentalmente qualcosa del genere:
“Questo odio verso la mia disattenzione, verso i miei errori, deriva dall'aver subito
atteggiamenti di intolleranza e di irascibilità, che hanno bloccato e represso il mio desiderio
di essere amato e di esprimere e contraccambiare amore, quindi questo odio altro non è che
amore non espresso, raffreddato, un amore ferito, quindi in definitiva questo odio è amore,
è un amore che non ho potuto esprimere verso di me e verso chi era intollerante con me.
Questo odio è solo amore che desidera fluire liberamente dentro di me.“
Il flusso dell'amore in me era bloccato dall'odio che proiettavo, in questo caso, soprattutto
su di me.
Spesso l'odio si proietta verso una persona e verso noi stessi, quindi da tenere sempre
presente entrambe le possibilità.
Arriva la sera dopo aver formulato la frase sopra (e dopo averla ripetuta in varie forme nel
tardo pomeriggio), e finalmente l'odio inizia a scemare, lasciandomi fisicamente un po'
stanco. Nuovamente speranzoso che sia finita – almeno per quel giorno – mi preparo per
andare a dormire quando sento qualcosa di diverso emergere proprio dal mio punto
debole: la zona attorno all'ombelico.
La mia sensazione era come se una parte dell'odio si fosse scaricato dal mio essere ed ora
era come se avessi l'accesso ad un angolo di me finora completamente messa da parte e
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Metodo NatAliash
difesa appunto dall'odio. Era una parte che definirei ferita, vulnerabile, ma ancora irrigidita
e bloccata a causa degli anni in “esilio“, ovvero lontana dalla mia consapevolezza e
presenza. Lavorare sull'unione degli opposti non funzionava più e non aveva senso
praticarlo in quel momento, perché l'odio era appena appena percettibile. Forse per la
prima volta ero in diretto contatto con il mio sentire profondo, che non è da scambiare col
bambino interiore, perché sembra qualcosa legato all'essere un essere umano ed al suo
lungo percorso evolutivo come specie.
Dopo un po' di indagine interiore, scopro che l'unica cosa che funzionava per proseguire col
processo di guarigione era lo stare in contatto con quella parte.
Il semplice stare in contatto, senza applicare alcuna tecnica, produceva un effetto balsamo
naturale, come se dicesse alla parte ferita “ora ti vedo, ti riconosco, hai il tuo spazio dentro
di me e te lo meriti, ti amo, fai parte della famiglia, sono con te“. È stato qui che avevo
compreso che il mio odio derivava da un mancato desiderio di contatto, quel contatto
viscerale, forse un po' animalesco, ma quel contatto che da ad un cucciolo sicurezza,
comprensione, accettazione, radicamento, appartenenza, calore e protezione.
Nonostante l'aver centrato nel segno, l'aver sbadigliato decine di volte e l'aver sentito un
netto miglioramento, non ero ancora arrivato alla fine. Quel punto sotto l'ombelico
rimaneva sempre un po' duro...finché la mattina seguente mi sveglio verso le cinque di
mattina, anzi, quel punto mi sveglia! Per l'ennesima volta mi metto seduto sul letto, chiedo
all'Universo di essere ispirato e guidato in questa sessione di guarigione, e dopo pochi
minuti mi arriva un altro, più profondo collegamento fra odio e amore.
Credo che questo tipo di ferite siano le più profonde che possiamo incontrare dentro di noi,
e secondo me, non essendo ancora guarite, permettono all'odio di autorigenerarsi. La ferita
non guarita produce dolore, e noi per non sentirlo e per sopravvivere (l'antico schema di
sopravvivenza creato sin da piccoli spiegato prima) usiamo inconsciamente l'odio per
difenderci e per allontanarci dall'enorme sofferenza interiore.
Ecco quindi come avevo connesso l'odio con l'amore: ho capito che l'odio mi difendeva e
mi teneva lontano dal risentire la mia sofferenza, quella vissuta nell'infanzia, quindi se
l'odio mi protegge per non soffrire significa che è un mio alleato, è al servizio dell'amore
perchè sta proteggendo la Vita!
Allora anche questo odio è amore, perché proteggermi dal dolore è un atto di amore.
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E poi avevo scoperto un altro passaggio interessante: se l'odio mi protegge così tanto,
è perché ho un grande, immenso valore. Quello che io sento di essere dentro, quello
che io sono ha un valore inestimabile e ora posso sentirlo senza giudizi e paura, ma con
accettazione e amore. In questo passaggio secondo me si trova la radice del problema più
diffuso nell'umanità: la bassa autostima. Come possiamo sentirci di valore se ci odiamo
costantemente, spesso a livello inconscio?
Dopo queste ultime rivelazioni sull'odio sono entrato nella fase definitiva della guarigione
dove iniziano lentamente ad arrivare a galla diversi antichi dolori “primari“, ovvero i dolori
più profondi che abbiamo vissuto nell'infanzia. Ad un certo punto sentivo salire
dall'ombelico un “dolore iper contratto“, che subito non ho percepito come un'emozione,
ma solo come una parte contratta. Dopo alcune ore in cui ero in contatto con questa parte
capisco che non c'era più alcun lavoro da fare sull'amigdala o sull'odio, ma dovevo gestire
un dolore emotivo (una serie di dolori).
Era sera, mi metto in una posizione fetale o a metà fetale sul letto ed inizio a comprendere
quanto questa parte è stata esiliata, rifiutata, giudicata ed odiata ferocemente per oltre 30
anni nel mio subconscio, e ora finalmente sta tornando a “casa“, nel mio cuore – si stava
integrando nel mio essere.
Avendolo definito come una parte di me profondamente ferita, inizio a dirle mentalmente e
col cuore le seguenti parole:
•
“Mi dispiace“
•
“Perdonami“
Queste parole hanno creato un contatto diretto con il dolore, e ovviamente sono scese
lacrime, e poi iniziavano i sbadigli a ripetizione. Nonostante abbia usato queste parole
molte volte in passato, solamente questa volta hanno funzionato in maniera veramente
efficace – credo perché ero consapevole dell'intero processo psicoemotivo, e soprattutto
perché avevo sciolto l'odio che creava una sorta di barriera interiore fra il mio “voler
amare, accettare, contattare“ questa parte ed appunto il dolore. Finché abbiamo odio, la
comunicazione col nostro dolore più profondo risulta limitato, se non a volte impossibile.
Dopo ho continuato con:
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Metodo NatAliash
•
“Ti amo“
•
“Grazie“ e poi “Grazie, perché non era scontato che tu ci fossi ancora per me.“
Forse avrai riconosciuto questa tecnica come Ho'oponopono, anche se in verità queste
parole vengono usate anche in altri approcci terapeutici. Il Metodo NatAliash non è
appunto una vera tecnica psicoenergetica, bensì offre una comprensione ed un
approccio al mondo interiore in cui qualsiasi tecnica risulta efficace. Una volta
che individui l'odio, lo sciogli (eliminando così il re degli autosabotaggi e delle resistenze) e
riesci ad entrare in contatto col dolore, qualsiasi tecnica funziona, anche semplicemente
respirare profondamente con accettazione e amore verso di sè.
L'integrazione del cervello rettiliano
Dopo aver ridotto i meccanismi di sabotaggio cronico del mio odio represso e dopo aver
gestito i miei dolori primari, arriva finalmente il turno della mia parte rettiliana. Secondo il
neurologo, il dott. Paul MacLean, il nostro cervello è costituito da tre componenti distinte,
ognuna delle quali rappresenta un momento evolutivo ben preciso della specie umana:
•
il cervello rettiliano, costituito dal cervelletto e dal bulbo spinale (istinti);
•
il sistema limbico (del mammifero, emozioni);
•
la neocorteccia, costituito dagli emisferi cerebrali (pensieri complessi).
Secondo MacLean (1973a, trad. it. 1984, p.7) “il cervello di tipo rettiliano che si trova nei
mammiferi è fondamentale per le forme di comportamento stabilite geneticamente, quali
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scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in vari tipi di
parata [comportamenti dimostrativi], cacciare, ritornare alla propria dimora, accoppiarsi,
[procreare], subire l’imprinting, formare gerarchie sociali e scegliere i capi”.
In definitiva il cervello rettiliano è quello più egoista, freddo, che non tiene in minima
considerazione la sofferenza degli altri. È istintivo, è interessato solo alla sopravvivenza, alla
riproduzione ed alla sicurezza, che potremmo anche tradurre in potere e territorio.
La nostra parte rettiliana non è da confondere con l'odio, poiché il rettile non ha opposti – è
semplicemente freddo, di natura spietato, e non conosce il calore, l'affetto del mammifero.
Non è programmato per amare. Il problema nasce quando unisce le forze con il nostro
odio e produce incontrollabili desideri di potere, di controllo e di egoismo distruttivo.
Questa sfortunata unione è secondo me l'energia che ancora oggi guida l'economia, la
politica e tutte quelle forze che stanno portando distruzione sociale ed ambientale.
L'aspetto positivo del cervello rettiliano è che non ha paura dei giudizi, delle critiche, delle
sfide e nemmeno dei confronti. Quando usato nella maniera giusta, il rettile in noi ci aiuta
(anzi, è fondamentale) a conquistare i nostri successi nel lavoro, nella conquista del partner
e nella protezione della propria famiglia e dei propri beni. Il rettile è una grande risorsa di
forza ed è strettamente connessa con la nostra energia sessuale (se fortemente repressa,
può causare eiaculazione precoce, impotenza, problemi di erezione, frigidità, anorgasmia).
Un rettile interiore represso porta un sacco di guai psichici, emotivi e fisici. Il modo più
efficace usato nella storia per reprimere e manipolare questa immensa forza interiore è
stata la religione, o almeno quella religione che ha condannato la sessualità come peccato,
come qualcosa di sporco e vergognoso. Oggi invece vediamo una proliferazione di
pornografia, di continui stimoli sessuali pubblicitari, di canzoni volgari e di film violenti
poco educativi, che stimolano l'aggressività di un rettile represso da molte, troppe
generazioni, pronto ad esplodere, e che oggi si manifesta sempre più spesso in abusi
sessuali, omicidi e suicidi, grazie anche ad un odio e un grandissimo dolore represso.
Un altro comportamento che massacra il rettile interiore è imporre o imporsi regole troppe
rigide e severe di comportamento. Soprattutto quando siamo bambini e stiamo esplorando
e sviluppando tramite l'espressione il nostro mondo interiore, i seguenti atteggiamenti
possono bloccare l'energia rettiliana in noi:
•
regole rigide, punitive, di natura cattiveriosa;
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Metodo NatAliash
•
vergognarsi della sessualità, deriderla o giudicare negativamente la masturbazione;
•
sgridare in maniera non proporzionale all'evento e senza una spiegazione
comprensibile, violenza psicologica;
•
violenza fisica o atteggiamenti aggressivi corporei con o senza contatto fisico (p.es
genitori con dipendenza da alcol);
•
altri comportamenti che in cui il bambino è obbligato a reprimere il rettile per
mantenere la protezione e la sicurezza della famiglia (motivi di sopravvivenza – qui
interviene l'amigdala e l'odio per reprimere il rettile per tenerlo represso).
Tornando alla mia situazione personale e al Metodo NatAliash, improvvisamente sento che
stavo per affrontare la mia parte istintiva. Noto la totale assenza di amigdala attivata, di
odio, e di pensieri o di emozioni negative, ma la presenza di una contrazione forte nella
zona ombelicale. L'accettare, perdonare e tutti metodi finora discussi con il rettile non
funzionavano – per forza, a un rettile cosa interessa essere accettato, perdonato o amato?
E non ha nemmeno degli opposti perché non è odio...quindi come liberarlo, come farlo
fluire dentro di me (e dentro di tutti noi)?
Ad un certo punto intuisco che l'unico modo per iniziare ad integrarlo è di identificarmi in
lui, e dico la seguente semplice frase a livello mentale:
“Io sono rettile“
Dopo questa frase inizio a sentire un dolore parecchio intenso e duraturo, sempre sotto
l'ombelico, come delle profonde fitte che iniziano a muoversi, e dopo a sciogliersi (avevo
già vissuto parecchie esperienze simili con lo scioglimento dell'odio, ma mai così forti come
col rettile interiore). Mi sono ripetuto la frase “io sono rettile“ decine e decine di volte per
alcune ore per sciogliere la prima serie di contrazioni. Durante questi lavori è sempre
importante respirare profondamente e con l'addome per facilitare lo
scorrimento dei blocchi energetici.
Dopo il lavoro iniziale con la parte rettiliana, il giorno dopo emergono altre contrazioni,
che continuo a risolvere con l'identificazione. Intuisco di avere represso un dolore del rifiuto
e mi dico “Io sono rifiuto“, sento di avere violenza repressa e mi dico “Io sono violenza“ e
così via tutto quello che avevo nascosto e represso dentro di me.
Il lavoro di identificazione permette, anche in questo caso, di unire gli opposti, perché
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Metodo NatAliash
quando dico p.es. “Io sono rifiuto“ ho accettato l'opposto dell'accettazione in me. Dire “io
sono“ toglie immediatamente qualcosa altra “parte di noi“ che solitamente interferisce nel
processo di guarigione. Spesso pensiamo di essere colui che guarisce, che gestisce, che
controlla la guarigione, che è anche corretta come considerazione, ma non più in queste
profonde fasi di lavoro interiore. In queste profondità ho notato che dire “io sono _____“ mi
crea un contatto diretto con il vissuto rimosso, ma ovviamente dirlo p.es. adesso
probabilmente non funzionerà, perchè bisogna prima arrivare a quello stato interiore
(tramite la pratica del metodo finora descritto) affinché avvenga poi il contatto profondo.
Credo che il Metodo NatAliash sia anche uno strumento o un modo per ridurre il senso
di separazione in noi, perché tende costantemente verso l'unione degli opposti. Ad un
certo punto del lavoro ti ritrovi a dire “Io sono morte“, “Io sono dolore“, “Io sono
abbandono“, ecc. proprio perché inizi a renderti conto di essere dentro il “Tutto“, integro, e
che non c'è nulla da separare o rifiutare dentro di noi.
Spesso nella psicoterapia o con le tecniche psicoenergetiche si rafforza l'identità di un
adulto o di un “io“ che gestisce, che sceglie, che risolve, e qui ripeto, va bene, ed è un
passo fondamentale durante il cammino verso la nostra essenza, ma prima o poi credo sia
necessario abbandonare tutte queste parti interiori (adulto, genitore, bambino interiore, il
controllore, il manipolatore, ecc.), altrimenti rischiano di ostacolare il cammino.
Come?
Quando c'è una parte dentro di noi che crede che deve guarire un'altra parte, dentro c'è la
credenza “io sono giusto, quello è sbagliato“ oppure “Io sono la soluzione a quella parte“
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ed in entrambe le considerazioni sussiste e si alimenta un senso di separazione. La
situazione peggiora se poi veniamo spinti ad usare tutta la nostra volontà per andare
contro il nostro “male“ per trasformarlo, guarirlo, risolverlo, ecc., creando in verità altro
male, altra sofferenza, o nel migliore dei casi uno stato di stallo evolutivo. La stessa cosa
vale quando usiamo la nostra volontà per andare contro il male del mondo, ed è anche
per questo motivo per cui stiamo assistendo a così tanta sofferenza, violenza, ingiustizia nel
mondo – perché in verità la stiamo creando e resistendo dentro di noi involontariamente
perché inconsapevoli, e ancora più o meno addormentati nella coscienza.
In definitiva, col Metodo NatAliash, dobbiamo diventare dei bravi alchimisti, capaci di
interpretare correttamente il mondo interiore a nostro vantaggio tramite l'uso della verità e
dell'intuizione. Spero che le chiavi di lettura o la mappa del mondo interno offerti ed usati
nel Metodo NatAliash possano accorciare un po' i tempi per arrivare al “nocciolo del
problema“, che è secondo me sempre connesso con un'odio, che a sua volta si alimenta e
rafforza grazie ad una o più ferite aperte.
Credo che il lavoro interiore sull'amigdala e sull'odio siano di gran lunga il più importante
compito di ogni essere umano sulla terra, e non credo che arriveremo a nessun “risveglio di
massa“ se non ci assumeremo la responsabilità del nostro bagaglio di odio e se non ci
metteremo seriamente d'impegno per guarirlo. Sono anche convinto che tutte le previsioni
dell'anno 2012, sul risveglio delle coscienze, sia in teoria corretto, ma l'averci creduto
significa probabilmente aver peccato di ingenuità, soprattutto se prendiamo in
considerazione come vere le nozioni finora discusse.
Come possiamo pensare di risvegliarci se siamo noi stessi i portatori del male del mondo e
se creiamo costantamente separazione in noi?
Quante persone conosciamo che sono veramente risvegliate, illuminate libere dall'odio?
Spesso nel campo del risveglio al proprio Sè si parla dell'esperienza dell'Uno, ovvero del
vivere e percepire un mondo, dentro e fuori di noi, come se „tutto fosse una cosa sola“. Se
questa descrizione dell'Uno è strettamente legata al risveglio al Sè, come possiamo pensare
di risvegliarci se ci stiamo ancora separando dentro di noi?
Purtroppo il perdono, il pensiero positivo, la visualizzazione e la meditazione spesso non
bastano, anzi, spesso sono presentati in maniera sbagliata o incompleta per mantenerci
involontariamente nell'illusione, nell'ignoranza e sotto controllo. Non si può eliminare il
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negativo solo pensando o agendo in positivo, bisogna unire gli opposti dentro di sè e
guarire dalla follia dell'odio e dell'amigdala, e solo dopo inizieremo forse a vedere e a
vivere la verità sia dentro che fuori di noi. Se non prendiamo in considerazione questo
punto, purtroppo stiamo ancora girando attorno al nocciolo del problema, e continueremo
ad essere vittime dell'odio con il suo multisfaccettato inganno.
Solo quando uniamo gli opposti, la falsità con la verità, e guariamo il nostro dolore,
possiamo spontaneamente produrre la Presenza in noi, ovvero lo “spazio“ necessario
affinché possa un giorno manifestarsi in noi, con tutto il suo splendore e pienezza, il nostro
vero Sè.
Per concludere questa parte essenziale del Metodo NatAliash, desidero sottolineare che è
nuovissimo e al momento non ho ancora testimonianze ed esempi di altre persone trattate
col Metodo NatAliash come succede di leggere con tutte gli altri approcci psicologici o con
le tecniche psicoenergetiche, ma spero che con il contributo di tutti, ognuno con le proprie
esperienze e tecniche, potremo un giorno aprire un sito dedicato a questo metodo, ricco di
testimonianze, di suggerimenti e di conoscenze utili, ed offrirlo gratuitamente a tutti.
Fortunatamente posso almeno aggiungere di non essere l'unico svitato a lavorare
sull'amigdala: successivamente ho scoperto questo metodo che probabilmente sarà simile
al mio – evidentemente la conoscenza viene „pescata dallo stesso contenitore cosmico!
Questo metodo è ancora in fase di sviluppo. Chi desidera diffondere questo approccio, chi
vuole approfondire, commentare o condividere esperienze personali sul Metodo NatAliash,
può visitare il blog dov'è pubblicato gratuitamente il metodo: www.nataliash.com!
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