dinamica della struttura in un suolo
Transcript
dinamica della struttura in un suolo
Indice New approaches for land evaluation - J. Bouma 3 Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. - P. Adamo, S. Vingiani, P. Violante 15 Le sostanze umiche nello scheletro del suolo - A. Agnelli. L. Celi., A. Degl’Innocenti, G. Corti, F.C. Ugolini 29 Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati” - R. Barberis, A. Pugliese 43 Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna e in batch - E. Beccaloni, L. Musmeci 49 Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la tecnica ICP-AES - G.M. Beone, C. Baffi, S. Silva 57 Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I - F.A. Biondi, C. Di Dio, S. Socciarelli, A. Figliolia 63 Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico - S. Canali, S. Dell’Orco, G. Roccuzzo, A. Benedetti 71 Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica multivariata - A. Castrignanò, R. Colucci, D. Ferri, P. La Cava, N. Martinelli, M. Stelluti 81 Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica del suolo - G. Convertini, M. Maiorana, D. Ferri 103 Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica - G. Convertini, M. Maiorana, D. Ferri 113 Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia - E.A.C. Costantini, F. Castelli, M. Iori, S. Magini, P. Lorenzoni, S. Raimondi 125 Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta - suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L:) in rotazione- D. De Giorgio, G. Convertini, D. Ferri, V. Rizzo, F. Montemurro, P. La Cava 133 “No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un terreno coltivato a mandorlo - D. De Giorgio, D. Convertini, F. Montemurro, P. La Cava 145 Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate - P. Ferrazza, C. Beni, R. Aromolo, A. Marcucci, A. Figliolia 153 Ruscellamento sub-superficiale in pianura - R. Marchetti, P. Spallacci 165 Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno - M. Mazzoncini, R. Risaliti, A. Coli, M. Ginanni, N. Silvestri 177 Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione - G. Mecella, R. Francaviglia, P. Scandella, A. Marchetti 185 La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta Valle del Tevere - G. Mecella, P. Scandella, G. Raspa, L.H. Gomez 195 Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a Quercus cerris - O. Miciulla, M.T. Dell’Abate, A. Alianello 205 Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia - R. Papini, A. Panichi, P. Bazzoffi, S. Pellegrini, G. Montagna, L. Natarelli 215 Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche - B. Pennelli, G. Rossi, V. Giacomi, A. Figliolia 227 Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete diverse - D. Pizzeghello, G. Nicolini, S. Nardi 237 Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (Pa) - S. Raimondi, M. Lupo 245 Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN) - S. Raimondi, M. Lupo, D. Tusa 261 La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia - S. Raimondi, A. Mirabella, S. Screpis 269 Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di cadmio - E. Rea, M. Bragaloni, M. Tullio 283 Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non agricoli - P. Scandella, C. Piccini, N. Di Blasi, G. Mecella 289 Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamento d’uso del suolo - E. Sessi, D. Pizzeghello, C. De Siena, M. Tomasi, G. Nicolini, P. Frosi, S. Nardi 297 Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali - M. Spadoni, A. Panusa, P. Lorenzoni, C. De Simone 307 Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse modalità di gestione - N. Vignozzi, S. Pellegrini, M. Pagliai 319 Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni di materiali organici nel sistema suolo-pianta - P. Zaccheo, L. Crippa, G. Ricca, G. Cabassi 329 Società Italiana della Scienza del Suolo Atti del Convegno annuale SISS 1999: La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo Gressoney-Saint Jean (Aosta) 22-25 giugno 1999 3 NEW APPROACHES FOR LAND EVALUATION Bouma J. Scientific Council for Government Policy in the Netherlands and Soil Dept. Wageningen University, Netherlands Abstract Changing land use is one of the major issues in the next century and application of soil expertise is crucial here to: (i) use available soil data effectively and define needs for new basic soil research by analysing holistic and interdisciplinary projects that interact with stakeholders; (ii) use different types of simulation models and develop pedotransferfunctions to feed them using available soil data; (iii) demonstrate that field soils and landscapes are heterogeneous and that idealized modelling concepts have limited validity. Soil scientists are needed to provide representative data; (iv) use the soil series concept (soil genoform) and phenoforms of a given genoform, as formed by management, as cartiers of dynamic information, obtained by modelling, for strategic application, and (v) facilitate and help develop participatory and interactive procedures in land use studies at different scales, refiecting what was learned during one hundred years of soil research. Riassunto Il cambiamento d’uso dei suoli sarà una delle principali questioni da dibattere nel futuro secolo e l’applicazione delle competenze sul suolo diventa quindi cruciale per : i) usare in modo efficiente le informazioni disponibili sul suolo e definire le necessità delle nuove ricerche di base analizzando progetti olistici e interdisciplinari che interagiscano con gli utilizzatori finali; ii) usare diversi tipi di modelli di simulazione e sviluppare funzioni pedotransfer in grado di alimentarli usando i dati disponibili; iii) dimostrare che suolo e territorio nella relatà sono eterogenei e che i concetti derivati da una modellizzazione idealizzata hanno una validità limitata: chi studia il suolo deve fornire dati rappresentativi; iv) usare i concetti di serie di suoli (genoforma del suolo) e fenoforme e genoforme date, derivanti dalla gestione, vettore di informazioni dinamiche, ottenute dalla modellizzazione, per applicazioni strategiche, e v) facilitare e aiutare lo sviluppo di procedure partecipative e interattive negli studi di uso del territorio a differenti scale, riflettendo ciò che si è appreso in cento anni di ricerca sul suolo. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 3-14 (2001) 4 Bouma Introduction Land evaluation has been defined as: “the assessment of the performance of land when used for a specified purpose”. In the forties and fifties, agricultural production was the key area of concern when dealing with land use. Increasingly, however, environmental concerns became more important as well as expressed by evaluations for non-agricultural applications. This occurred while measurement and information technologies developed strongly and users of soil information became more demanding and professional. In soil science, as in many other sciences, new technological developments changed the discipline: remote sensing and GIS technologies, including digital terrain modelling, strongly increased possibilities for soil characterization and flexible presentation of data. For instance, neutron probes and, later, TDR and transducer tensiometry allowed quantification of soil water regimes and its automatic measurement. Comparable developments occurred in soil chemistry and soil biology. The introduction of simulation modeling of water- and nutrient regimes as a function of soil management allowed quantitative assessments of water-, nutrient and energy fluxes in landscapes, forming the basis for the exploration of alternative land-use scenarios. Modern users of soil information increasingly desire alternative options to choose from, rather than judgments by soil specialista: interactive learning experiences between scientists and stakeholders are most effective in stimulating real-world applications of soil expertise. When dealing with issues of land use, the soil scientist is - or should be!- a member of an interdisciplinary team, rather than a solo player. The change from a disciplinary specialist to an interdisciplinary team player with still a solid disciplinary knowledge, has not been easy for many. For example, surveyors and specialista involved in soil survey felt uneasy as they became alienated when reading “their” soil literature which contained many new issues and techniques with, at first sight, little relevance for their work. Even activities of related working groups of the Interna-tional Union of Soil Science, such as the ones on:” Moisture variability in space and time” and “Pedometrics” were restricted to a relatively small group of soil survey connected scientists (Bouma and Bregt, 1989; Wagenet and Bouma, 1993; Wagenet and Bouma, 1996; Finke et al., 1998; De Gruijter et al., 1994; De Gruijter et al., 1997; De Gruijter, 1999). Now, however, the picture appears to be changing. Raw, fancy technology gets its turn to lose its shine. Automated measuring- and monitoring equipment, new remote sensing data and user-friendly software for simulation models and expert systems tends to New approaches for land evaluation 5 change the perceived “data -crisis” of the past into a “data-avalanche” for the future, burying scientists and stakeholders alike. More then ever, insight and wisdom is needed to formulate the essence of problems to be studied and to select the proper methods to allow effective research processes. But more importantly, soil-related research is increasingly performed in close association with stakeholders, be it farmers, other land users or planners. This requires communication skills combined with technical abilities because stakeholders are well trained and well informed these days and, just like everybody else, hate to lose time. I am certainly not suggesting that insight and wisdom and the ability to work in an effettive, interactive mode are qualities that are the exclusive domain of a given category of scientists. But I do suggest that soil survey specialista, who are the traditional land-evaluators, have been well trained on-the-spot “to see the trees in the forest as well as the forest itself”. By defining soil patterns and soil behavior in the field, they have analysed flows of energy, water and solutes in landscapes, be it often in a rather qualitative manner. They have had frequent contacts with users of the land, with politicians, lawyers and planners, sometimes to the level of nausea and exhaustion. This type of experience is very much needed now when establishing effective communication between science and society and this general conclusion applies to soil science as well. What was often seen as side-activities that distracted the soil surveyor from finishing his maps and databases in time according to the agreed- upon format (the “real” work in the viewpoint of many) is now a major asset. Again, there will be many soil scientists, other than soil survey specialista, who are effective ambassadors for our profession but I am prepared to defend the statement that soil survey specialista are eminently suitable to fill the role of knowledge brokers in the area of soil scienee and land evaluation. This, of course, is particularly attractive now that the soil survey program has been completed in many countries and increasing emphasis can be given to use and application of our immense quantity of soil data. The remainder of this paper will be focussed on ways in which we can effectively use our soil expertise for land evaluation in future, emphasizing: (i) relations between applied (holistic) research and basic (reductionistic) research as expressed by knowledge chains; (ii) application of soil data in terms of pedotransferfunetions in dynamic simulation models to express land-use options; (iii) heterogenity of field soils that do not fit most model representations; (iv) use of functional data , derived by modelling, for soil series and important phenoforms for strategie applications, and (v) need for participatory and interactive approaches. Descriptions will be brief as reference is made to papers published elsewhere. 6 Bouma Basic and applied research An unfortunate gap exists between basic and applied research in soil science. Basic, reductionistic studies in soil physics, -chemistry and biology, as reported in our Journals, often do not have obvious links with practical problems. Some “disciplinary circuits” appear to have dynamics of their own with conferences, symposia and workshops with frequentlyattending core-groups of researchers. There certainly is room for curiosity-driven basic research, but I also make a plea for basic research that results from a thorough, comprehensive and systematic analysis of soil systems , taking a holistic approach starting from a practical problem that has been identified in consultation with stakeholders. Land evaluators can give important contributions to such analyses because of the character of their work. This analysis, which presents an alternating cycle of holistic and reductionistic approaches, the HRH approach, (Bouma, 1997a) allows cutting-edge basic research, but then with a defined place in a research chain which includes stakeholder expertise and expert knowledge. This approach can also be put in a broader context, as a vehicle for setting research agenda’s in a more general way. An important issue here is the need for a thorough analysis of the problem to be studied. In many cases we can - after a hundred years of research- solve problems by applying available data and expertise. We may not need fancy computer models or data generating methodology and we should have the courage to acknowledge this. The reader is referred to other publications for a more detailed discussion of this important issue (Bouma, 1993; 1997b, 1998). Dynamic versus static characterization. Traditionally, land evaluation and soil characterization had a rather static character, which can, perhaps, be explained by the slow rate of processes of soil genesis: an Alfisol has formed over periods of thousands of years and what we see today from a genetic point of view will not be too different from what we will see in a hundred years from now. Texture, organic matter - and carbonate content do, for instance, not change overnight. When using soil information in modern land evaluation we are, however, interested in dynamic processes to not only characterize actual behaviour but also potential behaviour as a function of different forms of management. Not only do we express our evaluations in terms of static “suitabilities” for a given use, but also in terms of options following various types of different management New approaches for land evaluation 7 practices. Different management can change soil properties overnight. Actual dynamic soil behavior can be characterized by modern monitoring techniques, as mentioned in the introduction. But future conditions cannot be monitored! Here, use of simulation techniques for water and solute flow in soils has been quite effective to explore the possible effects of proposed management measures. We have started this work in the seventies (e.g. Bouma et al., 1980) and I regret that this type of work has not been more widely adopted in land evaluation studies. Of course, models cover only a small part of the complete system but this can have an important function in the broader context. Modeling and use of compatable software and data is now internationally being discussed and coordinateci by ICASA (International Consortium of Agriculturel Systems Applications) which is chaired by Prof. Jim Jones from the University of Florida in Gainesville and by the author. This covers work of the former IBSNAT group in the USA, of the Wageningen group in the Netherlands and of the APSRU group in Australia. Outsiders indeed experience a rather statie image when considering soil survey and land evaluation. When discussing use of soil data for precision agriculture, the National Resources Council (1997) concluded that few relevant data could be derived from the massive databases of the Cooperative National Soil Survey. This is most unfortunate as we have attempted to point out (Bouma et al., 1999a). Statie data, as such, may not be useable, but they can be applied in pedotransferfunctions (e.g. Bouma, 1989; Batjes, 1996, Vereecken et al., 1989 and many others) to derive other useable soil characteristics or parameters for simulation models (e.g. Breeuwsma et al, 1986). Wosten et al. (1998 ) have developed pedotransferfunctions for predicting hydraulic conductivity and moisture retention, using texture, density and organic matter contents, covering major soils in Europe. In view of natural variability, such predictions are as good as real measurements (Wosten et al, 1990 ). This is an important conclusion that might - in time- apply to other soil characteristics as well. Thus, available data are used to the extent that new measurements are not necessari any more. The functioning of real soils, out there in the field Use of models and databases to feed models, runs the risk of becoming a self-fulfilling activity. At all times, it should be clear that models are only highly schematized representations of reality. Assumptions of soil homogenuity and isotropy, underlying the water-flow models based on Richard’s equation, do not apply in many field soils. Many examples have 8 Bouma been given: (1) Bypass flow (flow of free water along macropores through an unsaturated soil mass), (e.g. Hendriks et al., 1999); (2) internal catchment (accumulation of free water at some depth in the soil when bypass water is trapped in dead-end pores) (e.g. Van Stiphout et al., 1987); (3) hydrophobicity (irregular infiltration of water due to local repulsion at the soil surface) (e.g. Ritsema et al., 1998) and (4) accessibility of water (water within large peds that may be “available” but not accessible because roots at the surface of the peds cannot extract it) (Droogers et al., 1997). Soil survey specialista have observed irregular infiltration patterns in the field, they have seen wilting crops on coarse structured soils with, theoretically, enough “available water” or thriving crops on, theoretically, very dry soils where bypass flow led to accumulation of free water at some depth in the soil where it was accessible to roots. They have observed unexplainable runoff in sandy soils with high infiltratrion rates but with hydrophobic properties. We should not get carried away with model representations of reality that are inherently unrealistic and soil-models and their results should always be compared with conditions in the field. Of particular concern is independent use of soil data by agronomists and engineers. Their models all too often consider soils in terms of texture only which is correlated with crop behaviour in ways that does no justice to the major impact that soil conditions have on crop growth. Again, soil survey specialista and land evaluators are in an excellent position to make sure that modelrepresentations are acceptable and that validation with real field data is part of the process. Aside from being weary about unrepresentative representations of soils in models, we should also be alert to the “reactive” character of much of our input into broader studies. For instance, we are used to characterize effects of compaction and of leaching of agrochemicals. Rather than supply basic soil data for models to define such effects of management, we can also use models to define “ideal” conditions in a given soil and use these conditions’ to define the necessari type of management: a “pro-active” approach. Bouma et al. (1999b) defined the “ideal” soil structure of a fine, mixed, mesic Typic Haplaquent by simulating the water supply capacity and nitrate leaching for a series of prepared soil structures. They defined an “ideal” structure, occurring at a given site with defined weather conditions, that combined relatively low leaching of nitrates with a relatively high water supply capacity and presented that structure to tillage experts, asking them to define tillage practices that would allow preparation of such a structure.We can more effectively use our soil expertise by defining specific conditions to be realized by management in any given soil, rather than spend much time on characteri- New approaches for land evaluation 9 zing the effects of management: a pro-active rather than a reactive approach. Strategic applications Modern land-use questione in Europe deal with multifunctionality of land as farming becomes less important and many conflicting interests try to affect future land use patterns. Then, it is crucial to be able to quickly present options for land use that reflect the natural potentials of the land as there is general agreement that future land use should be sustainable and in harmony with nature. The old assumption that any problem can be solved by technology (wetness by drainage; drought by irrigation, poor fertility by chemical fertilization etc) is being replaced by a feeling that management practices should be adapted to be more in tune with natural geochemical cycles, in landscapes and in separate soils. At this point in time we do not present our expertise effectively. Data are presented by soil series that are, in turn, represented by mapping areas on soil maps. But standard interpretations for soil series in terms of relative limitations for a variety of land uses, is inadeguate for modern questione. Besides, management can have such strong effects on soil properties of a given soil series that sometimes soils beloriging to different soil series, but with identical management, show rather identical behavior while soils belonging to the same soil series, with different management, function quite differently. Droogers and Bouma (1997) proposed therefore to make a distinction between genoforms (Taxonomic units) and phenoforms (variants of a given phenoform formed by different types of management). Using simulation modelling for a period of 30 years, they calculated yields of wheat for a wide range of fertilization scenarios and expressed results as probability graphs. Three phenoforms were distinguished for the genoform fine, mixed, mesic, Typic Fluvaquent: CONV (Conventional arable land; org. matter 1.7%) BIO (Biological farming; org. matter 3.3%) and PERM (Permanent grassland; org.matter 5.0%). Results were significantly different for the three phenoforms. Potential yield was, of course, the same for all phenoforms. Yields for BIO were highest, but, more importantly, the risks for nitrate leaching were clearly the lowest. A median yield with a risk of 3% of exceeding the nitrate threshold was appr.5000 kg for BIO, 4000 kg for CONV and 4500 kg for PERM. The latter had such a high organic matter content that the threshold was always exceeded, whereas this was not the case for the other two treatments even though yields would have to go down strongly to assure that the threshold is never exceeded (BIO: 3800 kg and CONV: 2000 kg). BIO 10 Bouma clearly has a more efficient intemal mechanism to balance nitrogen dynamics. Results were also used to suggest a land quality indicator consisting of the ratio between potential production and a production with a given probability of being exceeded and of being associated with a certain probability of nitrate leaching exceeding the threshold established by law (Bouma and Droogers, 1998). In all cases, data should be obtained on spatial variabilitywithin mapping units named after a given soil series to present some idea as to the accuracy and reliability of results obtained. Here, (geo) statistics can play an important role. Participatory and interactive approaches Research used to be rather dominated by scientists and was, therefore, rather supply oriented. As a reaction, emphasis is increasingly being given to demand orientation (Campbell, 1994). However, a more realistie approach is one where researchers and stakeholders work together in formulating the problem to be studied, in choosing the methods and in executing joint research as a mutual learning experience (e.g. Bouma, 1998). Clearly, not all stakeholders are interested to be closely involved, nor are all researchers. There is a clear “niche” here for knowledge brokers which effectively communicate with various stakeholders while they remain in touch with their colleague scientists. Here, again, soil survey specialista and land evaluators can make a special contribution. In the area of land evaluation we see different developments at different spatial scales. At farm level the principles of precision agriculture become increasingly important (NRC, 1997). Much research on precision agriculture focuses on data obtained in past growing seasons. The farmer, however, needs forward-looking approaches. A study now in progress (e.g. Bouma, 1999a) uses real-time simulation modelling of water regimes and plant growth to determine moments for optimal fertilization, which is associated with absence of visible stress symptoms in the plant. Also, conditions can be indicated (“hot-spot” analysis) when pests and diseases are likely to occur as they often correlate with moisture status of the soil, weather conditions, above-ground biomass and nutrient status of the soil, all of which are part of the data used or generated by the model. This work is done in continuous interaction with the modern farmer, who nowadays communicates by email and world-wìde-web. Running the model implied that a modern soil inventarisation was available and that pedotransferfunctions were generated for hydraulic and soil chemical characteristics, the latter mainly relating to New approaches for land evaluation 11 N-transformations. But this is only a starting point. As the study evolves, it is important to stay alert as to possible soil-inputs on the operational level when solving problems that arise. Alternative forms of management can be explored with the farmer on the strategic level using data for phenoforms, studied elsewhere, of the soil series (genoforms) that occur within the farm. Thus, it becomes possible to explore what the effects would be on yield and nitrate leaching, for instance, if organic farming practices would be followed in future leading to higher organic matter contents. To make such analyses possible we should go out again in the field and establish major phenoforms of established genoforms (soil series) by talking to farmers and by making selective measurements on locations defined by the available soil map. Stakeholders on the regional and higher levels are land-use planners, regulators of various kinds and politicians. Inereasingly, the role of the scientist is to fill a “Toolbox” with a large set of methods and models which allow exploration of a wide range of possible land-use alternatives. Emphasis is increasingly on interactive: “Land Use Negotiation” rather than top-down: “Land Use Planning” which belongs in another era. The scientists, or at least some scientists, play the role of facilitators and knowledge brokers as discussed earlier. Questions being raised are quite diverse, as is explored in detail by Bouman et al., 1999, for the Atlantic Zone in Costa Rica, leading to a set of projectory, exploratory and predictive tools and tools for decision support, all very much in an interdisciplinary context. The reader is referred to this detailed study for specifica. Only one aspect will be discussed here. Initially a reconnaissance soil survey was made for the Atlantic Zone at scale 100000. The map contained some 80 well defined soil types. Interdisciplinary discussione increasingly focussed attention on economic aspects and running of complicated interdisciplinary models of land use required simplifications by all disciplines to reduce data bases to a level that still could be handled by the computers. After all, only 8 major soil types were distinguished in the final analysis. Whether this is acceptable or whether different results would have been obtained when more soil differences had been represented cannot be ascertained at this time as it has not been the object of study. What I intend to illustrate is that continuous involvement is necessari when taking part in interdisciplinary research to make sure that soil input is provided at a level which is in equilibrium with objectives and with input of other discíplines which evolve over time. Not being part of the process means that soils-input may not evolve along. Many regional and global models use only soil texture as input. What then, one may ask, is the input from soil scientists? Any lay person can pick a texture value for a given grid using existing databases. I would expect that we all agree that soil behavior is crucial for land use and that soil texture by itself is a 12 Bouma rather limited proxy to serve for soil characterization. Of course, weather and the climate are important as well, but we can do little about it. Agronomy is importanti but crops come and go while the soil remains. I believe that we have a special responsibility as soil scientists when dealing with the future of the land. When we intemalize our land evaluation experience on the basis of soil survey expertise and extend and sharpen it with cutting-edge research, we are in a unique position to deal with the problems of land use in the next century. Indeed: by using our experience of the past we have a unique key to the future. Conclusions • Now that soil mapping has been completed in many countries, more emphasis can be given to use of generated information in modern land evaluation. New ways have to be found to interact with various stakeholders in the context of creating joint learning experiences rather than top-down advice. This requires interdisciplinary research approaches where the land evaluator in a member of a team. • Soil survey specialista and land evaluators have observed soils in a field- and landscape setting while interacting with stakeholders and they are therefore in an excellent position to act as “knowledge brokers” between demanding and well-informed stakeholders on the one hand and scientists of various disciplines on the other. Such knowledge brokers are very much needed in future. • Simulation modeling has an important role to play in exploring possible effects of future types of land management and is therefore indispensible in modern land evaluation. Pedotransferfunctions should be developed and used to transform static soil data abundantly available in existing very large databases) into model parameters. • Links between reductionistic, disciplinary research and holistic, interdisciplinary research should become clearer in land evaluation. Excellent basic research can be done in the context of studying a practical land-evaluation problem. Again, those having been involved with holistic soil survey are in a good position to shape so called “knowledge chains”. • Field soils hardly ever behave in an “ideal” manner. Soil data used in many policyoriented models should reflect realistic conditions as expressed by bypass flow, internal catchment, inaccessibility of water, hydrophobicity, occurrence of irregular soil horizons etc. There is a clear danger that soil in- New approaches for land evaluation 13 put into large interdisciplinary models, to be used for land evaluation, is taken for granted. Assuring an acceptable degree of soildisciplinarity in any interdisciplinary research approach for land evaluation should be a top priority of soil research in the future. • Distinction of genoforms and phenoforms of a given soil series is important to acknowledge the major effects of management on soil properties. Simulation techniques can be used to express dynamie properties of such phenoforms in probabilistic terms, which is attractive to stakeholders who like to be offered documented choices between options for land use rather than judgements. Cited literature BATJES N.H., 1996. Development of a world data set of soil water retention properties using pedotransfer rules. Geoderma 71: 31-52. BOUMA J. 1989. Using soil survey data for quantitative land evaluation. Advances in Soil Science, Vol.9. B.A.Stewart (Ed.): Springer Verlag, New York: 177-213. BOUMA J. 1993. Soil behaviour under field conditions: differences in perception and their effects on research. Geoderma: 60; l- I 5. BOUMA J. 1997a. Soil environmental quality. A European Perspective. Journ. of Environm. Quality 26: 26-31. BOUMA J. 1997b. Role of quantitative approaches in soil science when interacting with stakeholders. Geoderma 78: 1-12. BOUMA J. 1998. Realizing basic research in applied research projects. Journal of Environmental Quality 27: 742-749. BOUMA J. and A.K. BREGT (Eds.). 1989. Land Qualities in Space and Time. Pudoc Wageningen. BOUMA J. and P. DROOGERS. 1998. A procedure to derive land quality indicators for sustainable agricultural production. Geoderma 85: 103-1 1 0. BOUMA J., P.J.M. de LAAT, R.H.C.M. AWATER, H.C. van HEESEN, A.F. van HOLST & Th.J. van de NES. 1980. Use of soil survey data in a model for simulating regional soil moisture regimes. Soil Sci. Soc. Am. J. 44 (4): 808-814. BOUMA J., J. STOORVOGEL, B.J. van ALPHEN and H.W.G. BOOLTINK. 1999a. Pedology, precision agriculture and the changing paradigns of agricultural research. Soil Sci. Soc. Amer. J. (in press). BOUMA J., P. DROOGERS and P. PETERS. 1999b. Defining the “Ideal” soil structure in surface soil of a Typic Fluvaquent in the Netherlands. Soil Sci. Soc. Amer. J. (in press). BOUMAN B.A.M., H.P. JANSEN, R.A. SCHIPPER, H. HENGSDIJK and A.N. NIEUWENHUYSE. 1999. Tools for land-use analysis at different scales. Kluwer Acad. Publishers. Dordrecht, Netherlands (in press). BREEUWSMA A., J.H.M. WÖSTEN, J.J. VLEESHOUWER, A.M. van SLOBBE and J. BOUMA, 1986. Derivation of land qualities to assess environmental problems form soil surveys. Soil Sci. Soc. Amer. J. 50 (1): 186-190. CAMPBELL A. 1994. LAND CARE. Communities shaping the land and the future. Allen and Unwin Ltd. St-Leonards. NSW Australia. LANDCARE Australia. DROOGERS P. and J. BOUMA. 1997. Soil survey input in exploratory modeling of sustainable soil management practices. Soil Sci. Soc. Amer. J. 61: 1704-1710. DROOGERS P., F.B.W. van der MEER and J. BOUMA. 1997. Water accessibility to plant roots in different soil structures occurring in the same soil type. Plant and Soil 188: 83-91. 14 Bouma FINKE P.A., J. BOUMA and M.R. HOOSBEEK (Eds). 1998. Soil and water quality at different scales. Nutrient Cycling in Agroecosystems 50: 5- 324. Also: Developments in Plant and Soil Sciences. Vol. 80. Kluwer Publishing Comp. Dordrecht, Netherlands. GRUIJTER J.J. de, R. WEBSTER and D.E. MYERS (Eds). 1994. Pedometrics-92: Developments in spatial statistics for soil science. Geoderma 62: 1-326. GRUIJTER J.J.de, Mc BRATNEY A.B. and K. Mc SWEENEY. 1997. Fuzzy sets in soil science. Geoderma 77: 85-339. GRUIJTER J.J. de (Ed) .1999. Pedometrics “97. Geoderma 89: 1-175. HENDRIKS R.F.A., K. OOSTINDIE and P. HAMMINGA. 1999. Simulation of bromide tracer and nitrogen transport in a cracked clay soil with the FLOCR/ANIMO model combination. J. of Hydr. 215: 94-115. National Research Council. 1997. Precision Agriculture in the 21th Century. National Academy Press. Washington, D.C. USA. RITSEMA C.J., L.W. DEKKER, J.L. NIEBER and T.S. STEENHUIS. 1998. Modeling and field evidence of finger formation and finger recurrence in a water repellent sandy soil. Water Resources Res. 34: 555-567. STIPHOUT T.J.P. van, H.A.J. van LANEN, O.H. BOERSMA and J. BOUMA. 1987. The effect of bypass flow and internal catchment of rain on the water regime in a clay loam grassland soil. J. of Hydrol. 95: 1-11. VEREECKEN H., J. MAES, J. FEYEN and P. DARIUS. 1989. Estimating the moisture characteristic from texture, bulk density and carbon content. Soil Sci. 148: 389-403. WAGENET R.J., and J. BOUMA (Eds). 1993. Operational methods to characterize soil behaviour in space and time. Geoderma 60: 1-382. WAGENET R.J. and J. BOUMA (Eds.) 1996. The role of soll science in interdisciplinary research. SSSA Special Publication 45. Soil Sci. of Amer. Madison, Wisc. USA. WOSTEN J.H.M., C.H.J.E. SCHUREN, J. BOUMA and A. STEIN. 1990. Comparing four methods to generate soil hydraulic functions in terms of their effect on simulated soil water budgets. Soil Sci. Soc. Amer. J. 54: 827-832. WOSTEN J.H.M., A. LILLY, A. NEMES and C.le BAS. 1998. Using existing soil data to derive hydraulic parameters for simulation models in environmental studies and in land use planning: final report on the European funded project. SC-DLO report 156. Wageningen, Netherlands. 15 BIOALTERAZIONE DI UN BASALTO DELL’ETNA (SICILIA) OPERATA DAI LICHENI STEREOCAULON VESUVIANUM PERS. E LECIDEA FUSCOATRA (L.) ACH. E DAL MUSCHIO GRIMMIA PULVINATA (HEDW.) SM. Adamo Paola, Vingiani Simona, Violante Pietro Dipartimento di Scienze Chimico-Agrarie, Università di Napoli «Federico II» Via Università, 100 - 80055 Portici (NA) Riassunto Si riportano i risultati di un’indagine condotta per il riconoscimento e la caratterizzazione dei processi di bioalterazione di un baslto, che costituisce le colate laviche presenti sulle pendici dell’Etna ad un’altitudine di 1550 m s.l.m., operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. Con l’impiego della spettroscopia a fluorescenza X, è stata determinata la composizione chimica della roccia non alterata, dei materiali raccolti all’interfaccia roccia-organismi vegetali e dei tessuti dei licheni e del muschio. La diffrattometria a raggi X ha consentito di avere informazioni dettagliate sulla mineralogia della matrice rocciosa alterata dai processi biogeochimici. Osservazioni al microscopio elettronico a scansione ed indagini microanalitiche condotte su frammenti di roccia colonizzata dai licheni e dal muschio hanno evidenziato una notevole disgregazione della roccia e la presenza della whewellite, calcio ossalato monoidrato, e di cristalli con abito tabulare, contenenti Cu e Fe, allineati tangenzialmente sulle superfici dei rizoidi di Grimmia pulvinata. Sono state determinate le proprietà fisiche e chimiche del «protosuolo» coperto dal muschio. Con l’impiego della spettroscopia infrarossa sono stati caratterizzati gli acidi umici separati dal materiale organico umificato presente nel materiale terroso e dal cuscinetto muscinale di Grimmia pulvinata. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 15-27 (2001) 16 Adamo et al. Introduzione Licheni e muschi, organismi vegetali pionieri, colonizzano per primi le superfici rocciose ed avviano i meccanismi biogeofisici e biogeochimici di degradazione della roccia. La zona di contatto matrici litologiche-crittogame rappresenta un ambiente semplificato per lo studio dei meccanismi di bioalterazione che definiscono, in molti casi, le fasi iniziali del processo di pedogenesi (Syers e Iskandar, 1973; Jones et al., 1985; Adamo e Violante, 1989, 1991; Adamo et al., 1993, 1997). I processi biogeofisici si esplicano attraverso la penetrazione nel substrato roccioso delle parti della struttura degli organismi vegetali preposte all’adesione determinando la disgregazione del materiale originario. I processi biogeochimici, invece, agiscono sulla stabilità chimica delle rocce e dei minerali che le costituiscono. Acidi organici a basso peso molecolare, con proprietà solubilizzanti e chelanti, e, nel caso dei licheni, acidi organici di natura polifenolica, definiti acidi lichenici, sono capaci di formare complessi metallici per reazione con i minerali primari. Indagini sul potere di alterazione degli acidi organici hanno evidenziato una stretta relazione fra composizione mineralogica della matrice rocciosa e natura dei composti organici caratterizzati da limitata solubilità, in particolare ossalati, che si accumulano entro o immediatamente al di sotto del tallo lichenico e dei rizoidi muscinali (Jones et al., 1981, 1986). In particolare, Graustein et al. (1977) hanno messo in evidenza che la presenza di cristalli di calcio ossalato, weddellite e whewellite, a contatto con la fase liquida percolante, può esercitare notevole influenza sui processi di alterazione biogeochimica dello sfatticcio derivante dai substrati litici colonizzati da licheni. Infatti: • i cristalli costituiscono riserva di calcio per l’ecosistema; • la presenza anche se limitata di ioni ossalato in soluzione, conseguente alla scarsa solubilità di CaC2O4 (prodotto di solubilità ≈ 10-8,5), contribuisce a mantenere in soluzione (induce aumento della solubilità del) ferro ed alluminio; • gli ioni ossalato, a debole carattere acido e chelatori di ferro e alluminio, modificano il pH della soluzione; • la chelazione di ferro e alluminio aumenta il contenuto delle forme di fosforo disponibili per le piante, tenuto conto che il nutriente non viene immobilizzato dagli ossidi di ferro e alluminio precipitati. Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 17 In questa Nota vengono riportati i risultati di un’indagine condotta per la caratterizzazione dei processi di alterazione di un basalto indotti da crittogame in ambiente montano. Materiali e metodi Campioni di un basalto, colonizzato dal lichene fruticoso Stereocaulon vesuvianum Pers., dal lichene crostoso Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata, sono stati raccolti sulle pendici dell’Etna, ad un’altitudine di 1550 m s.l.m., sulle colate laviche del XX secolo (Figura 1). La roccia è composta prevalentemente da una massa vetrosa con abbondanti fenocristalli e microfenocristalli di plagioclasio calcico, clinopirosseno, olivina e titanomagnetite (Tanguy e Clocchiatti, 1984). Sono stati analizzati: • frammenti di roccia non alterata, • parti della superficie litica ricoperta dai licheni e dal muschio, • materiale amminutato separato dalle superfici minerali nella zona di contatto roccia-lichene, • materiale terroso (protosuolo) intimamente associato ai rizoidi di Grimmia pulvinata, • campioni dei talli lichenici, • campioni del cuscinetto muscinale. La composizione chimica dei diversi campioni è stata determinata mediante spettroscopia a fluorescenza (XRF). Dai valori ottenuti è stato calcolato il fattore di arricchimento, Enrichment Factor (Bargagli, 1989), che esprime il rapporto tra la concentrazione di un metallo (x) nei tessuti di licheni e di muschi, riferita alla concentrazione dell’alluminio, e la concentrazione dello stesso metallo nel substrato roccioso, sempre riferita alla concentrazione dell’alluminio. Il contenuto dei diversi metalli nei tessuti degli organismi vegetali e nel materiale litico viene riferito alla concentrazione dell’alluminio tenuto conto che questo elemento, di limitato significato metabolico nelle piante, è il terzo in ordine di abbondanza nella composizione elementare della crosta terrestre. Enrichment Factor = Cx/CAl (licheni-muschio) Cx/CAl (roccia) Cx= concentrazione di ciascun metallo; CAl = concentrazione dell’Al. 18 Adamo et al. Figura 1 - LEGENDA MODIFICATA b a Colate laviche (a) e piroclastiti (b) recenti, prevalentemente non datate. Alcali basalti, hawaiiti, tefriti fonolitiche e mugeariti basiche b a Colate laviche (a) e piroclastiti (b) recenti, prevalentemente datate dal XVII al XII secolo. Alcali basalti, hawaiiti, tefriti fonolitiche e mugeariti basiche a Colate laviche (a) del XX secolo fino al 1974. Hawaiiti, tefriti fonolitiche e mugeariti basiche Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 19 Il calcolo del valore dell’Enrichment Factor consente di accertare accumulo preferenziale nei tessuti vegetali dei metalli che caratterizzano la composizione chimica del substrato roccioso e di mettere in evidenza possibili fenomeni di inquinamento. Il materiale roccioso amminutato presente all’interfaccia rocciaentità vegetale ed il materiale terroso, intimamente associati al tallo lichenico e ai rizoidi del muschio, sono stati trattati con H2O2, al fine di rimuoverne i residui organici. Successivamente, i costituenti minerali, dispersi in acqua per trattamento con ultrasuoni, sono stati suddivisi nelle frazioni granulometriche con diametro delle particelle compreso tra 200 e 20 µm, 20 e 2 µm e inferiore a 2 µm. La composizione mineralogica della roccia non alterata e della frazione più sottile separata dai materiali considerati è stata determinata mediante diffrattometria X-polveri (XRD). E’ stato utilizzato un diffrattometro Rigaku Geigerflex D/Max IIIC e la radiazione Co-kα ferro-filtrata. I diffrattogrammi sono stati ottenuti sommando quattro volte il segnale. Su frammenti di roccia colonizzata dai licheni e dal muschio sono state condotte osservazioni al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) ed indagini microanalitiche (EDXRA). I campioni sono stati fissati su supporti di alluminio, ricoperti con oro o carbonio ed esaminati con un Cambridge Stereoscan 250 Mk2 fornito di Analizzatore EDXR Link System AN 1000. Le caratteristiche fisiche e chimiche del «protosuolo» coperto da Grimmia pulvinata, sono state determinate applicando i metodi italiani normalizzati (MiRAAF, 1992). Gli acidi umici (HA) che definiscono la composizione del materiale organico umificato sono stati separati dal «protosuolo» e dal cuscinetto muscinale di Grimmia pulvinata con l’impiego della metodologia IHSS (1985). La resa in HA è risultata pari al 5% del carbonio organico nel «protosuolo» ed inferiore allo 0,001% dei tessuti dei protonemi lavati con H2O ed essiccati in stufa a ventilazione a 40 °C. Gli acidi umici sono stati caratterizzati per spettroscopia FT-IR utilizzando apparecchiatura Perkin-Elmer 1720 X. Risultati e discussione Nella Tabella 1 viene riportata la composizione chimica dei diversi materiali sottoposti ad analisi e, in parentesi, i valori dell’Enrichment Factor. 20 Adamo et al. Tabella 1 - Composizione chimica dei diversi materiali analizzati e (in parentesi) valori del fattore di arricchimento (Enrichment Factor). Roccia Si Ti Al Fe Mn Mg Ca Na K P Grimmia pulvinata Stereocaulon vesuvianum Lecidea fuscoatra Superficie Interfaccia Muschio Superficie Interfaccia Tallo Superficie Interfaccia Tallo roccia roccia roccia g kg-1 22,8 23,2 25,0 n.d. 24,5 25,3 n.d. 22,8 23,3 n.d. 1,0 1,0 1,1 n.d. 1,1 1,1 n.d. 1,0 1,0 n.d. 9,2 9,7 10,2 5,1 10,3 10,4 1,3 9,3 9,6 3,2 7,9 7,9 8,6 5,0 (1,1) 8,2 8,8 1,2 (0,7) 7,8 7,7 2,5 (0,9) 0,2 0,2 0,2 0,09 (0,8) 0,2 0,2 0,02 (0,8) 0,2 0,1 0,05 (0,7) 3,2 3,2 3,0 2,1 (1,2) 3,1 3,2 0,3 (0,8) 3,4 3,0 0,7 (0,6) 7,3 7,3 7,1 2,5 (0,6) 7,7 7,4 0,4 (0,4) 7,3 7,1 6,0 (2,4) 3,0 2,8 2,8 4,3 2,8 3,2 3,3 3,0 3,4 5,7 1,3 1,3 1,7 5,0 1,4 1,7 2,8 1,3 1,3 4,1 0,3 0,2 0,3 n.d. 0,2 0,3 n.d. 0,3 0,2 n.d. Rispetto alle quantità determinate nel basalto non alterato, il contenuto di Si ed Al risulta sempre abbastanza più elevato nei campioni raccolti dalle superfici litiche ricoperte dai licheni e dal muschio e all’interfaccia roccia-talli lichenici e roccia-rizoidi muscinali. Il contenuto di questi metalli è risultato più basso nei tessuti degli organismi vegetali. Il ferro è presente in concentrazione maggiore nei campioni separati dalla zona di contatto basalto-Grimmia pulvinata e basaltoStereocaulon vesuvianum, in quantità più ridotta nei tessuti delle crittogame, in particolare in quelli dello Stereocaulon. Le quantità di magnesio e di calcio restano praticamente costanti nei campioni in cui sono prevalenti i costituenti minerali. Sodio e potassio risultano più concentrati nella struttura dei talli lichenici e del cuscinetto muscinale, confermando il loro coinvolgimento nel metabolismo vegetale. I valori dell’E.F., di poco superiori all’unità, mettono in chiara evidenza accumulo preferenziale di Fe e Mg nei tessuti di Grimmia pulvinata e di Ca in quelli di Lecidea fuscoatra. La diffrattometria a raggi X (XRD) ha evidenziato all’interfaccia roccia-entità vegetali la presenza di minerali con d = 1.430, 1.002 e 0.717 nm, riferibili a fillosilicati, e con d = 0.426 e 0.334 nm caratteristici del quarzo di sicuro apporto eolico (Figura 2). Nel tallo della Lecidea fuscoatra e dello Stereocaulon vesuvianum sono stati evidenziati effetti di diffrazione a 0.593, 0.355 e 0.297 nm, Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 21 caratteristici del calcio ossalato monoidrato (whewellite). Il minerale risulta presente anche nei tessuti di Grimmia pulvinata. Questo dato è riconducibile alla capacità di secrezione di acido ossalico da parte dei muschi, anche se non può essere esclusa la possibilità che il calcio ossalato sia da riferire all’attività metabolica di un preesistente lichene. Figura 2 – Effetti di diffrazione ai raggi-X (radiazione Co-kα , ferro-filtrata) dei diversi materiali sottoposti ad indagine analitica. Wh = whewellite; Q = quarzo; Pl = plagioclasio; Au = augite; Mg = magnetite. Q Wh QQ Wh+Pl 55 orientato Tallo di Lecidea fuscoatra orientato Tallo di Stereocaulon vesuvianum orientato Cuscinetto muscinale di Grimmia pulvinata orientato Interfaccia muschio-roccia random Roccia 22 Adamo et al. Dalle osservazioni al microscopio elettronico a scansione e dalle indagini microanalitiche (SEM/EDXRA) risulta che: - nella zona di contatto roccia-Lecidea fuscoatra, notevole disgregazione dei costituenti litici (Figura 3) e presenza di cristalli tabulari di whewellite (Figura 4); - all’interfaccia basalto-Grimmia pulvinata sono allineati, tangenzialmente alla superficie dei rizoidi (Figura 5a), cristalli caratterizzati da ben sviluppata morfologia piana (Figura 5b), da diametro compreso tra 2 e 5 µm e da composizione chimica definita dalla presenza di Cu e Fe (Figura 5c). Figura 3 - Micrografia (SEM) della zona di contatto basalto-Lecidea fuscoatra. E’ evidente la notevole disgregazione dei costituenti litici. In Tabella 2 vengono riportate le caratteristiche chimico-fisiche e chimiche del «protosuolo» coperto da Grimmia pulvinata. Nel materiale terroso raccolto immediatamente al di sotto del cuscinetto muscinale si accerta prevalenza di particelle con diametro compreso tra 200 e 20 µm. La reazione è tendenzialmente subacida. Il valore elevato del rapporto C/N indica presenza di residui vegetali caratterizzati da elevata resistenza al processo di mineralizzazione. Per il limitato contenuto Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 23 percentuale di particelle ad elevata attività di superficie, il valore della capacità di scambio cationico risulta pari solamente a 6,4 cmol(+) kg-1. Il complesso di scambio è insaturo, il grado di saturazione in basi, infatti, risulta inferiore al 30%. Particolarmente ridotta è la presenza del calcio scambiabile (circa il 14% della CSC) mentre relativamente elevata è la percentuale di potassio utilizzabile dai vegetali (circa il 9% della CSC). Figura 4 - Micrografia (SEM) (a) e microanalisi (EDXRA) (b) di cristalli tabulari di whewellite, presenti nella zona di contatto basalto-Lecidea fuscoatra. a) * b) 24 Adamo et al. Figura 5 - Micrografia (SEM) della zona di contatto protosuolo - Grimmia pulvinata. Sulle pareti del rizoide (a), allineati tangenzialmente, appaiono evidenti cristalli a morfologia piana, ben sviluppati (b), con composizione chimica definita dalla presenza di Cu e Fe (c). a) b) * c) Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 25 Tabella 2 - Caratteristiche fisiche e chimiche del protosuolo coperto da Grimmia pulvinata Frazioni granulometriche 2 µm-200 µm g kg-1 200 µm-20µm " 20 µm-2µm " < 2µm " pH (H2O) 69 752 80 99 5,75 CO N totale g kg-1 g kg-1 26,7 0,5 C/N CSC cmol(+) kg-1 53,4 6,4 " " " " mg kg-1 0,3 0,5 0,88 0,22 40 Basi di scambio Na K Ca Mg P2O5 assimilabile Le consistenti quantità di fosforo assimilabile (40 mg kg-1di P2O5) confermano i risultati e le osservazioni riportati in letteratura relativi alla possibilità che le briofite costituiscano una importante riserva temporanea di fosforo e, in ambienti particolari, possano svolgere un ruolo significativo nella definizione del ciclo biogeochimico del nutriente (Graustein et al., 1977; Chapin et al., 1987; Brown e Bates, 1990). Lo spettro FT-IR degli acidi umici separati dal «protosuolo» (Figura 6b) è molto simile a quelli comunemente accertati per gli acidi umici dei suoli. Si rilevano, in ogni caso, differenze significative con lo spettro FT-IR degli acidi umici separati dal muschio (Figura 6a). In particolare, nella zona dello spettro compresa tra 3700 e 2200 cm-1, la banda asimmetrica con massimo a 3400 cm-1 appare più larga per probabile più elevata presenza di OH carbossilici. Meno intensi sono i picchi a 2920 e 2852 cm-1, riferibili a vibrazioni di stretching di gruppi alchilici. La migliore definizione della banda a 1716 cm-1 conferma l’incremento di gruppi COOH. Maggiore è l’assorbimento intorno a 1534 cm-1 da ascrivere alla seconda banda del legame ammidico e da attribuire, in modo plausibile, a più elevato contenuto della componente azotata La banda compresa tra 1100 e 1000 cm-1, da assegnare all’assorbimento di gruppi C-O dei carboidrati, risulta meno intensa in conseguenza della degradazione enzimatica dell’amido, sostanza di riserva che caratterizza il metabolismo delle briofite. 26 Adamo et al. Figura 6 - Spettri FT-IR degli acidi umici separati: (a) dai tessuti di Grimmia pulvinata e (b) dal protosuolo. a) b) cm-1 Conclusioni Il valore dell’Enrichment Factor, calcolato utilizzando i dati accertati per la composizione chimica del basalto alterato e delle crittogame considerate, ha consentito di individuare accumulo preferenziale di alcuni metalli nei tessuti vegetali e di mettere in evidenza probabili fenomeni d’inquinamento. I diversi organismi vegetali non hanno determinato differenze significative in termini di intensità di disgregazione dei materiali rocciosi e di corrosione delle superfici colonizzate. I risultati ottenuti hanno confermato il ruolo svolto dall’acido ossalico nella decomposizione biogeochimica di matrici rocciose colonizzate da crittogame. Il materiale terroso coperto dal cuscinetto muscinale della Grimmia pulvinata presenta le caratteristiche chimiche e fisiche proprie dei suoli poco pedogenizzati. Il valore elevato del rapporto C/N è da riferire alla presenza di residui vegetali con elevata resistenza al processo di mineralizzazione. Le consistenti quantità di fosforo assimilabile hanno confermato la possibilità che le briofite costituiscano importante riserva temporanea di fosforo svolgendo, in ambienti particolari, un ruolo significativo nella definizione del ciclo biogeochimico del nutriente. Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm. 27 Lo studio FT-IR comparato degli acidi umici separati dal «protosuolo» e dal muschio ha consentito di evidenziare solamente limitate differenze, relative, in particolare, al diverso contributo quantitativo dei gruppi funzionali che caratterizzano l’organizzazione molecolare di carboidrati, acidi organici e costituenti azotati. Ringraziamenti Gli autori ringraziano il Sig. Gennaro Cafiero del CIRUB-Napoli per la preziosa assistenza nel corso delle osservazioni condotte al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) e delle indagini microanalitiche (EDXRA). Lavoro svolto con i fondi del Progetto cofinanziato PRIN 98-99, dal titolo «Crittogame come biomonitors in ecosistemi terrestri». Bibliografia ADAMO P., VIOLANTE P., 1989. Bioalterazione di roccia dolomitica operata da una specie lichenica del genere Lepraria. Agricoltura Mediterranea, 119: 460-464. ADAMO P, VIOLANTE P., 1991. Weathering of volcanic rocks from Mt. Vesuvius associated with the lichen Stereocaulon vesuvianum. Pedobiologia, 35: 209-217. ADAMO P., MARCHETIELLO A., VIOLANTE P., 1993. The weathering of mafic rocks by lichens. Lichenologist, 25: 285-297. ADAMO P., COLOMBO C., VIOLANTE P., 1997. Iron oxides and hydroxides in the weathering interface between Stereocaulon vesuvianum and volcanic rock. Clay Minerals 32, 250-256. BARGAGLI R., 1989. Determination of metal deposition patterns by epiphytic lichens, Toxicological and Environmental Chemistry, 35: 249-256. BROWN D.H., BATES J.W., 1990. Bryophites and nutrient cycling. Botanical Journal of the Linnean Society, 104: 129-147. CHAPIN F.S., OECHEL W.C., VAN CLEVE K., LAWRENCE W., 1987. The role of mosses in the phosphorus cycling of an Alaskan black spruce forest. Oecologia (Berlin), 74: 310-315. GRAUSTEIN W.C., CROMACK K., SOLLINS P., 1977. Calcium oxalate: occurrence in soils and effect on nutrient and geochemical cycles. Science, 198: 1252-1254. IHSS, 1985. Outline of humic and fulvic acids extraction procedure. Communications of the International Humic Substances Society, Colorado School of Mines, Golden, CO. ISKANDAR I.K., SYERS J.K., 1972. Metal-complex formation by lichen compounds. Journal of Soil Science, 23, JONES D., WILSON M.J., McHARDY W.J., 1981. Lichen weathering of rock forming minerals; applications scanning electron microscopy and microprobe analysis. Journal of Microscopy, 124, 95-104. JONES D., WILSON M.J., McHARDY W.J., 1985. Chemical activity of lichens on mineral surfaces; a review. International Biodeterioration, 21: 99-104. JONES D., WILSON M.J., McHARDY W.J., 1986. Biomineralization in crustose lichens. In Biomineralization in Lower Plants and Animals (ed. B.S.C. Leadbeater and R.Riding). pp. 91-105. Clarendon Press, Oxford. MiRAAF (Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali), 1992. Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo. Osservatorio Nazionale Pedologico e per la qualità del suolo. Roma 1994, pp. 1-207. SYERS J.K., ISKANDAR I.K., 1973. Pedogenetic significance of lichens. In The Lichens, (ed. V. Ahmadjian and M.E. Hall) pp. 225-248, Academic Press, London. TANGUY J.C., CLOCCHIATTI R., 1984. The etnean lavas, 1977-1983: petrology and mineralogy, Bull. Volcanol., 47: 497-516. 29 LE SOSTANZE UMICHE NELLO SCHELETRO DEL SUOLO Agnelli A.1, Celi L.2, Degl’Innocenti A.3, Corti G.1, Ugolini F.C.1 1 Dipartimento di Scienza del Suolo e Nutrizione delle Piante, Firenze; 2 DI.VA.P.R.A., Chimica Agraria, Torino; 3 Dipartimento di Chimica Organica, Firenze. Introduzione La sostanza organica è un importante costituente del suolo e il concetto che la fertilità dipenda dal contenuto in humus è noto da lungo tempo (Liebig, 1840). La frazione umificata ha inoltre effetti sul pH e sulla capacità di scambio cationico, nonché su proprietà fisiche del suolo quali la stabilità degli aggregati, la capacità di ritenzione idrica e la permeabilità. Come per altre caratteristiche chimico-fisiche del suolo, gli studi sulla sostanza organica sono generalmente rivolti alla terra fine, mentre la frazione grossolana o scheletro (> 2 mm) non è mai stata presa in considerazione sotto questo aspetto. Recenti studi hanno però evidenziato che tale frazione presenta proprietà, come il contenuto di C organico e di N, paragonabili a quelle della terra fine (Ugolini et al., 1996). Inoltre, è stato dimostrato che l’espressione di queste proprietà dipende dal grado di alterazione dei clasti (Corti et al., 1998). Infatti, l’alterazione produce un aumento della porosità (Ugolini et al., 1996) favorendo gli scambi tra l’interno dei clasti ed il suolo circostante. In questo lavoro sono stati caratterizzati gli acidi umici (AU) e fulvici (AF) estratti da terra fine e scheletro di un suolo forestale, al fine di valutare l’evoluzione della sostanza organica e avanzare ipotesi sui processi di umificazione che avvengono in questa frazione del suolo. Materiali e metodi La ricerca è stata condotta nella Foresta di Vallombrosa (Comune di Reggello, FI), i cui suoli si sono sviluppati da un’arenaria risaAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 29-41 (2001) 30 Agnelli et al. lente all’Oligocene (Arenaria del Falterona), costituita da banconi di arenaria intercalati da sottili strati di siltite. L’area di studio, Cavalla, si trova a 1100 m s.l.m., su una pendice esposta a N-NE, con pendenza di circa il 5%. La vegetazione è costituita da un impianto di abete bianco (Abies alba Mill.) dell’età di 75 anni. Il suolo è stato classificato Humic Dystrudept (Soil Survey Staff, 1998). Il campionamento è stato effettuato su base di volume (Corti et al., 1998) ed i campioni suddivisi in terra fine (< 2 mm) e scheletro (> 2 mm) tramite setacciatura a secco e ad umido. Dalla setacciatura ad umido si è ottenuta un’altra frazione, la “lavatura dello scheletro” (che qui chiameremo lavatura), costituita dal materiale fine aderente ai clasti. Lo scheletro è stato poi suddiviso in classi di alterazione (Corti et al., 1998). In questo lavoro sono stati analizzati: terra fine, lavatura, scheletro alterato e scarsamente alterato degli orizzonti A1 e A2. Sui campioni, macinati a 0.5 mm, si è determinato il contenuto di C organico e di N totale con un analizzatore Carlo Erba NA 1500, previo trattamento con HCl 0.2M. Gli acidi umici (AU) e fulvici (AF) sono stati estratti e purificati seguendo la procedura illustrata in Fig. 1. La composizione elementare (N, C, S, H) degli AU e AF è stata determinata con un Carlo Erba NA 1500. I valori sono stati corretti per il contenuto in umidità e ceneri. L’acidità totale ed il contenuto di gruppi COOH sono stati determinati secondo il metodo di Schnitzer e Gupta (1965). I gruppi OH acidi (OH-fenolici ed –enolici) sono stati calcolati per differenza. Il rapporto E4/E6 è stato determinato, secondo il metodo di Chen et al. (1977), con uno spettrofotometro Carlo Erba Spectracomp 602. Gli spettri FT-IR sono stati registrati con uno spettrofotometro 16F PC FT-IR Perkin Elmer, utilizzando pastiglie di KBr, preparate pressando sotto vuoto una miscela costituita da 0.5 mg di sostanze umiche e 200 mg di KBr. Gli spettri sono stati acquisiti con una risoluzione di 4 cm1 e come media di 64 scansioni. Gli spettri 13C NMR allo stato liquido sono stati registrati in NaOH 0.5M (100 mg di AU o AF in 2 mL) a 50.3 MHz con uno spettrometro Varian Gemini 200, alle condizioni indicate da Schnitzer e Preston (1986). Risultati e discussione Il contenuto di C organico e di N totale diminuisce dall’orizzonte A1 all’A2 e dalla terra fine allo scheletro scarsamente alterato (Fig. 2). 31 Le sostanze umiche nello scheletro del suolo Fig. 1. Procedura di estrazione e purificazione degli acidi umici e fulvici. campione estrazione, in atmosfera di N2, con una soluzione di NaOH 0.1M : Na4P2O7 0.1M (rapporto solido:liquido 1:10); centrifugazione e filtrazione a 0.45 mm sostanza organica estratta acidificazione con HCl 6M acidi fulvici grezzi (solubili) acidi umici grezzi (precipitati) trattamento con etanolo e acidificazione con HCl 6M passaggio su PVP lavaggi con H2O del precipitato eluizione della fase ritenuta con NaOH 0.1M dialisi (SpectraPor 6, MWCO 1000) passaggio su amberlite IR 120 H+ trattamento con HF 1M : HCl 0.5M (ca. 1 settimana) lavaggi con acqua solubilizzazione con NaOH 0.1M dialisi (SpectraPor 6, MWCO 1000) passaggio su amberlite IR 120 H+ liofilizzazione liofilizzazione acidi fulvici acidi umici 32 Agnelli et al. Fig. 2. Contenuto di C organico ed N totale 50 3 2.5 40 2 30 1.5 20 1 10 0.5 0 0 A1 A2 A1 orizzonti horizons A2 orizzonti horizons Terra fine Lavatura Scheletro alterato Scheletro scarsamente alterato Sebbene la terra fine mostri i maggiori contenuti in entrambi gli orizzonti, è evidente la notevole presenza di C organico nella lavatura e nello scheletro alterato. Lo scheletro scarsamente alterato mostra valori più bassi. La lavatura presenta un contenuto di C organico e di N totale simile a quello dello scheletro alterato. Acidi umici Gli AU dello scheletro presentano una composizione elementare (Tab. 1) comune di AU di suoli di climi temperati. Rispetto alla terra fine hanno un più alto contenuto in C e in N e un più basso rapporto C/N. Ciò farebbe supporre un maggiore grado di incorporazione dell’N nella struttura umica e potrebbe essere considerato come indice di buona attività biologica (Kononova, 1966). Inoltre il più alto contenuto in H, cui consegue un più alto rapporto H/C, osservato nello scheletro di entrambi gli orizzonti, indicherebbe la presenza di materiale a carattere più alifatico rispetto a quello ritrovato nella terra fine. Il contenuto in O è leggermente inferiore a quello della terra fine così come l’acidità totale, dovuta totalmente a gruppi COOH nell’A1. Nell’A2 si nota invece una rilevante concentrazione di OH fenolici. 33 Le sostanze umiche nello scheletro del suolo Tabella 1. Composizione elementare e rapporti atomici degli AU A1 terra fine N C H % S O C/N H/C O/C 3.90 60.26 4.62 2.38 28.84 18.05 0.92 0.36 lavatura 4.89 64.41 4.51 0.45 25.73 15.38 0.84 0.30 schel. alt. 5.77 62.73 4.76 0.35 26.38 12.69 0.91 0.32 schel. scar. alt. 6.16 60.81 5.00 1.10 26.93 11.52 0.99 0.33 A2 terra fine 3.78 58.10 4.17 3.86 30.08 17.93 0.86 0.39 lavatura 5.94 66.84 4.22 0.52 22.47 13.13 0.76 0.25 schel. alt. 5.78 61.18 4.33 0.40 28.30 12.35 0.85 0.35 schel. scar. alt. 5.03 61.80 4.48 1.29 27.40 14.35 0.87 0.33 schel. alt. = scheletro alterato; schel. scar. alt. = scheletro scarsamente alterato. La lavatura presenta un contenuto in C e N simili a quello dello scheletro mentre l’O, basso in entrambi gli orizzonti, è però accompagnato da alti valori di acidità totale e gruppi carbossilici, indicando che questi sono i gruppi funzionali contenenti O maggiormente rappresentati nel materiale umico. Il rapporto E4/E6 (Tab. 2) decresce andando dalla terra fine allo scheletro scarsamente alterato in entrambi gli orizzonti, seguendo l’andamento dei gruppi COOH (Chen et al., 1977). Tabella 2. Acidità totale, gruppi COOH e -OH acidi, e rapporto E4/E6 degli AU Acidità totale A1 terra fine lavatura schel. alt. schel. scar. alt. A2 terra fine lavatura schel. alt. schel. scar. alt. 545 639 463 414 693 548 636 909 COOH -OH acidi cmol kg-1 527 18 553 86 446 17 411 3 608 85 540 8 466 170 460 449 E4/E6 6.09 5.70 5.60 4.40 5.33 5.27 5.20 4.66 Gli spettri FT-IR di tutti gli AU (Fig. 3) mostrano un’ampia banda centrata a 3400 cm-1 dovuta ai gruppi OH. Negli AU della lavatura e dello scheletro scarsamente alterato sono evidenti bande a 2920 e 2856 cm-1 (stretching dei -CH- e dei -CH2-), meno pronunciate nelle altre due frazioni. Le bande a 1720 e a 1200 cm-1 (stretching del C-O di C=O e COOH) sono di minore intensità negli AU dei clasti rispetto a quelli della terra fine, confermando i dati dell’analisi chimica, mentre la spalla attorno a 1500 cm-1 (C=C di anelli aromatici o C=O di amidi II) è marcata solo nella lavatura e nello scheletro. 34 Agnelli et al. Le sostanze umiche nello scheletro del suolo 35 36 Agnelli et al. Un’ampia banda da 1260 a 1200 cm-1 (stretching asimmetrico del C-O e dell’OH di gruppi carbossilici, deformazione del C-OH di fenoli e alcoli terziari) è presente in tutti gli spettri così come quella a 1150-1050 cm-1 seppur più pronunciata nella terra fine e, in minor misura, nello scheletro scarsamente alterato. Questa banda può essere attribuita allo stretching di C-O di alcoli e polisaccaridi (Piccolo and Stevenson, 1982), ma non si può escludere la possibilità di stretching di Si-O, causato dalla presenza di impurezze minerali. Gli spettri 13C NMR allo stato liquido degli AU (Fig. 4) mostrano segnali nella zona del C alifatico più pronunciati per la lavatura e per le due classi di scheletro che per la terra fine. Sono evidenti segnali a 16-32 ppm, attribuibili a (CH2)n di lunghe catene alifatiche e segnali a 40-105 ppm dovuti a C alifatici legati ad atomi di O e N, attribuibili alla presenza di aminoacidi e carboidrati (Schnitzer e Preston, 1986). Negli spettri della lavatura e dello scheletro si osservano segnali molto ampi e complessi nella zona del C aromatico (105-150 ppm), mentre in quelli relativi alla terra fine sono evidenti segnali ben definiti a 120 e 127 ppm, dovuti ad anelli aromatici altamente protonati (Hatcher et al., 1980). Negli spettri degli AU dello scheletro alterato e scarsamente alterato sono presenti segnali tra 150 e 165 ppm, dovuti a C fenolici. I segnali dovuti al C dei carbossili (165-185 ppm) sono comparabili in tutti gli spettri. Questi risultati mettono in evidenza che gli AU estratti dallo scheletro sono caratterizzati da un più alto contenuto in N e H, catene paraffiniche, OH alifatici e aromatici, rispetto a quelli della terra fine, indicando una maggiore presenza di residui di carboidrati, lipidi e proteine legati al core della struttura umica e solo parzialmente degradati (Schulten e Schnitzer, 1993; Stevenson, 1994). La modesta componente aromatica potrebbe essere correlata ad una limitata capacità di penetrazione di materiale ligninico all’interno dei clasti. Si potrebbe ipotizzare che il materiale organico dello scheletro vada incontro ad un processo di trasformazione meno intenso rispetto a quanto avviene nella terra fine, in quanto fisicamente e selettivamente protetto dall’attacco microbico. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che queste caratteristiche sono ancora più evidenti nei clasti scarsamente alterati. Un fenomeno simile è stato osservato in suoli argillosi (Verberne et al., 1990) dove la sostanza organica, intrappolata all’interno dei micropori degli aggregati, è inaccessibile ai microrganismi (Elliot e Coleman, 1988) e subisce una minore degradazione rispetto a quella di suoli sabbiosi. D’altra parte non è da escludere che, al contrario, le sostanze umiche dello scheletro siano soggette ad un turnover più rapido rispetto a quello che si verifica nella terra fine, vista la presenza di materiale facilmente decomponibile nella struttura degli AU dello scheletro. Questa ipotesi sarebbe suffragata dal 37 Le sostanze umiche nello scheletro del suolo fatto che AU estratti da paleosuoli sono caratterizzati dall’assenza di polisaccaridi e materiali proteici e praticamente privi di strutture alifatiche (Calderoni e Schnitzer, 1984). Gli AU della lavatura, con bassi rapporti H/C e O/C ed un alto contenuto di COOH, OH-acidi e anelli aromatici sostituiti, appaiono essere molto più simili a quelli dello scheletro che a quelli della terra fine. Acidi fulvici La composizione elementare degli AF (Tab. 3) mostra un contenuto in N simile in tutte le frazioni con valori inferiori nell’orizzonte A2. Gli AF dello scheletro sono costituiti da un contenuto più alto in C e più basso in H, cui corrispondono bassi valori in H/C. A differenza degli AU, gli AF dello scheletro sono quindi più aromatici di quelli della terra fine. I più alti valori di C si ritrovano nella lavatura in entrambi gli orizzonti. Il rapporto C/N degli AF dei clasti è simile a quello della terra fine e con valori maggiori nell’orizzonte A2. Tabella 3. Composizione elementare e rapporti atomici degli AF A1 terra fine lavatura schel. alt. schel. scar. alt. A2 terra fine lavatura schel. alt. schel. scar. alt. N C 1.95 1.73 1.83 1.75 1.46 1.56 1.67 1.56 54.92 58.44 58.21 57.01 54.53 56.49 55.69 55.11 H % 4.39 3.78 3.53 3.46 3.64 3.68 3.35 3.09 S O C/N H/C O/C 1.83 0.99 0.37 0.53 1.82 1.29 0.38 0.69 36.91 35.06 36.05 37.26 38.55 36.98 38.91 39.55 32.96 39.38 37.05 38.13 43.67 42.14 39.00 41.18 0.96 0.78 0.73 0.73 0.80 0.78 0.72 0.67 0.50 0.45 0.46 0.49 0.53 0.49 0.52 0.54 L’acidità totale (Tab. 4) è dovuta, anche in questo caso, in gran parte a gruppi COOH, sebbene il contributo degli OH-acidi sia superiore a quello riscontrato negli AU. Tabella 4. Acidità totale, gruppi COOH e -OH acidi, e rapporto E4/E6 degli AF A1 A2 Acidità totale COOH -OH acidi cmol kg-1 terra fine 1253 1196 57 lavatura 1457 1231 226 schel. alt. 1608 1281 327 schel. scar. alt. 1694 1261 433 terra fine 1503 1208 295 lavatura 1662 1345 317 schel. alt. 1608 1300 309 schel. scar. alt. 1652 1003 649 E4/E6 8.46 13.39 13.88 12.68 15.15 10.48 10.52 8.26 38 Agnelli et al. Le sostanze umiche nello scheletro del suolo 39 40 Agnelli et al. I contenuti maggiori di COOH si ritrovano negli AF della lavatura e dello scheletro alterato dell’orizzonte A2, mentre le più alte concentrazioni di OH-acidi si ritrovano nei clasti scarsamente alterati dello stesso orizzonte. Gli spettri FT-IR (Fig. 5) mostrano poche differenze tra le frazioni nei due orizzonti. Le deboli bande a 2920 e 2856 cm-1 e quelle molto pronunciate a 1720 e 1200 cm-1 indicano un minore grado di alifaticità ed un maggiore contenuto di gruppi COOH rispetto agli AU. Gli spettri 13C NMR degli AF (Fig. 6), mostrano segnali più deboli nella regione del C alifatico (0-105 ppm) rispetto agli AU. La complessità del segnale nella zona del C aromatico (105-150 ppm) aumenta andando dalla terra fine allo scheletro e decresce dall’orizzonte A1 all’A2. I segnali dovuti al C aromatico negli AF dello scheletro alterato sono però più definiti rispetto a quelli degli AU, indicando una maggior presenza di anelli aromatici non sostituiti. Conclusioni Lo scheletro contiene una quantità non trascurabile di C organico ed N, accumulati durante la formazione del suolo (Corti et al., 1995: Ugolini et al., 1996). I processi di umificazione nei clasti conducono a sostanze umiche con differenti caratteristiche rispetto a quelle della terra fine. In particolare, gli acidi umici dello scheletro sono caratterizzati dalla presenza di residui polisaccaridici, lipidici e proteici, solo parzialmente degradati. Questo potrebbe essere dovuto ad una protezione fisica dall’attacco microbico offerta dalla struttura stessa dei clasti o, al contrario, ad un più veloce turnover della sostanza organica nello scheletro. Gli acidi umici della lavatura hanno mostrato caratteristiche più vicine a quelle dello scheletro che a quelle dalla terra fine suggerendo che questa frazione potrebbe essersi originata in gran parte dalla disgregazione delle superfici dei clasti, più che da fenomeni di illuviazione. Quindi, la lavatura rappresenterebbe la fase intermedia tra lo scheletro del suolo e la terra fine. Gli acidi fulvici delle quattro frazioni mostrano una maggior omogeneità rispetto agli acidi umici, probabilmente grazie alla loro mobilità nella soluzione del suolo. Lo scheletro del suolo non rappresenta quindi solo un reservoir di C organico e di N fino ad oggi poco considerato, ma anche una frazione attiva dal punto di vista chimico e biologico. Le sostanze umiche nello scheletro del suolo 41 Bibliografia CALDERONI G., M. SCHNITZER. 1984. Effect of age on the chemical structure of paleosol humic acids and fulvic acids. Geochim. Cosmochim. Acta 48: 2045-2051. CHEN Y., N. SENESI, M. SCHNITZER. 1977. Information provided on humic substances by E4/E6 ratios. Soil Sci. Soc. Am. J. 41: 352-358. CORTI G., F. PICCARDI, A. AGNELLI, F.C. UGOLINI. 1995. Carbonio e azoto nella frazione grossolana (> 2 mm) del suolo: quali le implicazioni? In Atti XII Convegno Nazionale Società Italiana Chimica Agraria, pp. 81-88. Patron Edizioni, Bologna, Italia. CORTI G., F.C. UGOLINI, A. AGNELLI. 1998. Classing the soil skeleton (greater than two millimeters): proposed approach and procedure. Soil Sci. Soc. Am. J. 62: 1620-1629. ELLIOTT E.T., D.C. COLEMAN. 1988. Let the soil work for us. In Ecological implications of contemporary Agriculture. H. Ejjsackers and A. Quispel (eds.). Proc. 4th European Ecology Symposium, Wageningen. Ecol. Bull. 39: 23-32. HATCHER P.G., R. ROWAN, M.A. MATTINGLY. 1980. 1H and 13C NMR of marine humic acids. Org. Geochem. 2: 77-85. KONONOVA M.M. 1966. Soil organic matter. Pergamon, Oxford, UK. LIEBIG J. 1840. Organic chemistry in its application to agriculture and physiology. Taylor and Walton, London, UK pp. 200. PICCOLO A., F.J. STEVENSON. 1982. Infrared spectra of Cu2+, Pb2+ and Ca2+ complexes of soil humic substances. Geoderma 27: 195-208. SCHNITZER M., C.M. PRESTON. 1986. Analysis of humic acids by solution and solid-state Carbon-13 Nuclear Magnetic Resonance. Soil Sci. Soc. Am. J. 50: 326-331. SCHULTEN H.-R., M. SCHNITZER. 1993. A state of the art structural concept for humic substances. Naturwissenschaften 80: 29-30. SOIL SURVEY STAFF. 1998. Keys of to Soil Taxonomy. 8th edition. United States Department of Agriculture & Natural Resources Conservation Service, Washington D.C., USA. 326 pp. STEVENSON F.J. 1994. Humus chemistry: genesis, composition and reactions. John Wiley & Sons, New York, NY, USA. pp. 496. UGOLINI F.C., G. CORTI, A. AGNELLI, F. PICCARDI. 1996. Mineralogical, physical, and chemical properties of rock fragments in soil. Soil Sci. 161: 521-542. VERBERNE E.L.J., J. HASSINK, P. DE WILLIGEN, J.J.R. GROOT, J.A. VAN VEEN. 1990. Modelling organic matter dynamics in different soils. Neth. J. Agric. Sci. 38: 221-238. 43 LE ATTIVITÀ DEL CENTRO TEMATICO NAZIONALE “SUOLO E SITI CONTAMINATI” Renzo Barberis 1, Antonio Pugliese 2 1 Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte – Torino 2 Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale - Roma Riassunto Il CTN SSC si propone la definizione, la raccolta e l’organizzazione dei dati e delle informazioni sul suolo che sono ritenuti utili per descrivere questa matrice ambientale a livello nazionale e per indirizzare correttamente le politiche di salvaguardia ambientale ed utilizzo del territorio secondo i criteri dello sviluppo sostenibile. Le attività del CTN comprendono dunque l’esame della domanda di conoscenza sul suolo derivante da atti di indirizzo, convenzioni, leggi e norme a livello europeo e nazionale, l’individuazione di indicatori e indici utili a descrivere la matrice suolo, le linee guida per la costruzione di questi indicatori e indici, il censimento delle sorgenti dei dati necessari per la formulazione di indicatori e indici e l’acquisizione dei dati disponibili, la qualificazione e l’integrazione di questi dati; il CTN si occupa inoltre di molte altre attività correlate, legate ad esempio agli standard di qualità ambientale o alle guide tecniche sui metodi di analisi. Nella prima fase di lavoro sono stati individuati gli indicatori e gli indici prioritari per tutte le tematiche considerate, seguendo lo schema siglato DPSIR (Driving forces, Pressure, State, Impact e Response), ed è stato svolto un capillare lavoro di ricerca delle informazioni esistenti a livello nazionale. Introduzione In attuazione del decreto del Ministro dell’ambiente del 29 ottobre 1998, che contiene le disposizioni e le modalità attuative del trasferimento del programma SINA dal Ministero all’ANPA, così come previsto dalla legge 21 gennaio 1994. n.61, l’ANPA sta organizzando il nuovo sistema nazionale conoscitivo e dei controlli ambientali. Nell’ambito di tale sistema (Figura 1), i CTN (Centri Tematici Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 43-48 (2001) 44 Nazionali) rappresentano il principale strumento di supporto operativo dell’ANPA per l’espletamento di quelle attività di formazione delle regole generali per favorire l’integrazione territoriale e tematica delle informazioni ambientali e di coordinamento generale delle attività di alimentazione della base conoscitiva a livello nazionale. • Figura 1- Collocazione del CTN nell'ambito dello schema SINANET ISTAT 1 ASS. CONSORTILI TRA ARPA/APPA 2 ORG. TECNICO-TEMATICI 3 ASS. CONSORTILI TRA 1 E 2 cooperano seleziona e incarica ANPA CTN • m (1 x tema) dà consulenza e supporto a cooperano con dà direttive e vigila su • • • • • ATMOSFERA, QUALITÀ ARIA ED EMISSIONI ATMOSFERICHE ACQUE INTERNE E MARINO-COSTIERE SUOLO E SITI CONTAMINATI RIFIUTI AGENTI FISICI CONSERVAZIONE DELLA NATURA • • ARPA/APPA STRUTTURE REGIONALI cooperano con m (var) IPR MAMB PFR designa e coordina • AUT. BACINO • AUT. PARCO • ENEA • CNR • DSTN • UNIONCAMERE • UNCEM • ISS REGIONI PROV. AUTONOME Il CTN SSC si propone la definizione, la raccolta e l’organizzazione dei dati e delle informazioni sul suolo che sono ritenuti utili per descrivere questa matrice ambientale a livello nazionale e per indirizzare correttamente le politiche di salvaguardia ambientale ed utilizzo del territorio secondo i criteri dello sviluppo sostenibile. Le attività del CTN Le attività del CTN comprendono l’esame della domanda di conoscenza sul suolo derivante da atti di indirizzo, convenzioni, leggi e norme a livello europeo e nazionale, l’individuazione di indicatori e indici utili a descrivere la matrice suolo, le linee guida per la costruzione di questi indicatori e indici, il censimento delle sorgenti dei dati necessari per la formulazione di indicatori e indici e l’acquisizione dei dati disponibili, la qualificazione e l’integrazione di questi dati; il CTN si occupa inoltre di molte altre attività correlate, legate ad esempio agli standard di qualità ambientale o alle guide tecniche sui metodi di analisi. Per facilitare l’approccio ad una matrice così complessa come il Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati” 45 suolo, pur essendo perfettamente consci della unicità della matrice stessa, sono state definite quattro diverse tematiche che vogliono rappresentare quattro aspetti particolari, ampiamente correlati tra di loro, del suolo: Ø qualità dei suoli (Tema 18) – riguarda la rappresentazione del suolo attraverso le sue caratteristiche intrinseche, che meglio lo caratterizzano come matrice naturale in grado di svolgere le numerose e ben note funzioni; Ø degradazione fisica e biologica del suolo (Tema 19) – considera gli aspetti di degradazione della matrice suolo che, soprattutto nell’ultimo secolo, hanno portato o rischiano di portare ad una perdita di parte del suolo o delle sue funzionalità a causa del verificarsi di fenomeni degradativi o di utilizzo del suolo che possono considerarsi irreversibili, almeno nella scala temporale umana; Ø contaminazione dei suoli da fonti diffuse (Tema 20) – considera quegli aspetti qualitativi del suolo che possono risultare progressivamente compromessi da un utilizzo dello stesso, soprattutto da parte dell’uomo, con modalità tali da non rispettare i naturali tempi di riequilibrio, ovvero tali da compromettere la funzione del suolo come filtro biologico; Ø contaminazione puntuale del suolo e siti contaminati (Tema 21) – considera uno dei fenomeni più preoccupanti degli ultimi decenni, cioè il moltiplicarsi di situazioni di forte contaminazione di superfici ben definite di suolo da parte di attività antropiche, con necessità di interventi di bonifica che spesso non sono in grado di restituire al suolo la sua piena funzionalità. Lo schema DPSIR La definizione di indicatori ed indici che siano in grado di rappresentare una determinata matrice ambientale, sia nell’ambito di processi di valutazione della matrice stessa, sia come reporting dello stato dell’ambiente, avviene generalmente attraverso l’utilizzo di schemi in grado di mettere in relazione le pressioni esercitate sulla matrice, lo stato della matrice stessa e le risposte che già ci sono o che sono ipotizzabili per il futuro. Nel caso specifico, lo schema di riferimento è quello siglato DPSIR, cioè Driving forces, Pressure, State, Impact e Response. Lo schema è stato adottato dalla EEA (European Environmental Agency), in modo da proporre con esso una struttura di riferimento generale, un approccio integrato nei processi di reporting sullo stato dell’ambiente, effettuati a qualsiasi livello europeo o nazionale. Esso permette di rappresentare l’insieme degli elementi e delle relazioni che caratterizzano un qualsiasi tema o fenomeno ambientale, mettendolo in relazione con l’insieme 46 Barberis e Pugliese delle politiche esercitate verso di esso. Lo schema (Figura 2), applicato al tema del suolo e dei siti contaminati, fornisce delle utili interpretazioni delle singole voci del DPSIR, e precisamente: • Figura 2- Schema DPSIR applicato al tema "suolo" Sviluppo di politiche di protezione del suolo Industria Agricoltura Popolazione Turismo Trasporti Direttiva sui nitrati Riforma della PAC Direttiva sullo spandimento di liquami Responses Driving Forces Urbanizzazione Deforestazione Incendi boschivi Impact Pressures Cambiamento del clima Stress idrico Desertificazione Perdita di biodiversità State Contaminazione, acidificazione, salinizzazione del suolo Carico di nutrienti Ø Compattamento ed erosione del suolo D – Driving forces – Determinanti o Forze determinanti popolazione umana, sviluppo del territorio, agricoltura, turismo, trasporti, industria/energia, miniere, eventi naturali, cambiamenti climatici, utilizzo risorsa idrica e stress idrico Ø P – Pressures – Pressioni emissioni nell’aria, nell’acqua e sul suolo, espansione urbana (consumo di suolo), costruzione di infrastrutture, de-forestazione, incendi boschivi Ø S – States – Stati degradazione del suolo – contaminazione locale e diffusa, acidificazione del suolo, salinizzazione, carico di nutrienti (eutrofizzazione del suolo), degradazione fisica perdita di suolo – erosione dall’acqua e dal vento, grandi movimenti di terra per opere di diversa natura Ø I – Impacts – Impatti diretti – cambiamenti nelle funzioni del suolo, desertificazione Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati” 47 indiretti (effetti su altre matrici ambientali) – cambiamenti nel numero e nella distribuzione della popolazione, perdita di biodiversità, cambiamenti nelle rese colturali, cambiamenti climatici, stress idrico Ø R – Responses - Risposte protezione primaria – convenzione sulla desertificazione, sviluppo della politica comunitaria europea di protezione del suolo protezione secondaria – riforma del CAP, direttiva nitrati, direttiva sull’utilizzo agricolo dei fanghi, direttiva quadro sulle acque Un lavoro analogo è stato condotto, anche questo a livello di draft, per i siti contaminati dall’apposito gruppo di lavoro dell’ETC Soil (Figura 3). • Figura 3- Schema DPSIR applicato al tema "siti contaminati" Industrie Discariche Siti militari Reponses Driving Forces Rilascio di sostanze tossiche nell'aria, acqua e suolo Pressures Impact Piani di bonifica Normative ed incentivi sull'uso del suolo Cambiamenti nelle funzioni dell'ecosistema State Stato e qualità del suolo (contaminazione) Lo stato attuale dei lavori La scelta degli indicatori per definire la qualità del suolo in tutte le sue componenti, chimica, fisica e biologica, nonché delle pressioni, diffuse o puntuali, che su di esso sono esercitate, deve necessariamente accompagnarsi ad un set di informazioni accessorie in grado di descrivere, nel modo più esauriente possibile, la continua variazione dei caratteri principali del suolo, legando il valore dell’indicatore a precisi riferimenti topografici territoriali (es.: caratteristiche morfologiche, pedologiche, del paesaggio, uso del suolo, ecc.). 48 Barberis e Pugliese Sulla base di questi criteri, è stato definito un ampio elenco di indicatori all’interno del quale si stanno scegliendo quelli prioritari sui quali puntare l’attenzione sia per la redazione delle linee guida per la loro compilazione, sia per la ricerca ed il reperimento dei dati necessari. Contemporaneamente è stato predisposto un osservatorio sulla domanda di informazione ed è in fase di realizzazione il catalogo delle sorgenti dei dati. Tra le altre attività del CTN merita un accenno particolare la collaborazione alla redazione di linee-guida e guide tecniche relative alle metodologie analitiche e di monitoraggio sia in campo chimico fisico, sia in campo biologico. Una prima necessità già individuata ed attualmente in fase di valutazione riguarda la predisposizione di una guida tecnica per le metodiche analitiche sui suoli contaminati, riferita agli analiti compresi nelle Tabelle di cui agli allegati tecnici dell’emanando regolamento ministeriale sulle bonifiche. Altre necessità potrebbero essere individuate dagli esami che si stanno conducendo sulle caratteristiche biologiche dei suoli, comprese le metodiche ecotossicologiche e quelle basate su matrici biotiche. I lavori del CTN-SSC sono in piena fase di svolgimento, per cui ogni considerazione che voglia assumere un carattere in qualche modo conclusivo risulta essere assolutamente prematura; appare comunque chiaro che i molti “dati” esistenti sono in grado di dare poche “informazioni” effettivamente utilizzabili e che i controlli sul suolo sono attualmente pochi, disomogenei, molto spesso legati a fenomeni di contaminazione, vera o presunta, del suolo stesso. Il CTN-SSC vuole fornire il proprio contributo per una migliore gestione delle conoscenze sul suolo, basata sui dati indispensabili per la costruzione di alcuni indicatori ed indici condivisi a carattere nazionale ed in grado di fornire quelle “informazioni” indispensabili per una corretta programmazione degli interventi che interessano il suolo nell’ottica dello sviluppo sostenibile. 49 SUOLI CONTAMINATI: BIODISPONIBILITÀ DI ELEMENTI TOSSICI ACCERTATA TRAMITE TEST DI ELUIZIONE IN COLONNA E IN BATCH Beccaloni E., Musmeci L. Laboratorio Igiene Ambientale – Reparto Igiene del Suolo Istituto Superiore di Sanità Riassunto Il problema dei siti dismessi o in generale dei siti da bonificare, in quanto inquinati da attività industriali o da smaltimento abusivo di rifiuti, da sversamenti accidentali o da altre cause, è esploso in Italia solo nell’ultimo decennio. In altri paesi europei ed extraeuropei tale problematica è stata già affrontata da molti anni, elaborando specifiche normative/linee guida tecniche tese sia all’individuazione dei criteri di valutazione dei suoli contaminati, sia all’individuazione delle migliori tecniche di bonifica e risanamento. Attualmente anche in Italia è in corso di definitiva stesura un Regolamento che in base all’art. 17 del D.Lgs5/02/97 n. 22, fissa i criteri di valutazione dei suoli contaminati, di campionamento ed analisi, di valutazione del rischio ed in ultimo di bonifica. Uno dei problemi che sono ancora di non facile risoluzione sia a livello nazionale che internazionale, è la messa a punto di idonei sistemi atti a valutare non tanto il contenuto totale dei microinquinanti, in special modo quelli inorganici e metallici, quanto la frazione “biodisponibile” degli stessi. Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di dare un contributo in tal senso . E’ stato esaminato un suolo agricolo contaminato da Pb per cause non perfettamente note, sottoponendolo sia a prove in colonna sia in batch sotto agitazione magnetica. Come eluente è stata utilizzata sia acqua deionizzata, sia acqua deionizzata acidulata con acido nitrico e solforico (pH circa 4) al fine di riprodurre le condizioni di dilavamento delle acque piovane definite “acide”. Introduzione Il problema dei siti dismessi o in generale dei siti da bonificare, in quanto inquinati da attività industriali o da smaltimento abusivo di rifiuti, da sversamenti accidentali o da altre cause, è esploso in Italia solo nell’ultimo deAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 49-56 (2001) 50 Beccaloni e Musmeci cennio. In altri paesi europei ed extraeuropei tale problematica è stata già affrontata da molti anni, elaborando specifiche normative/linee guida tecniche tese sia all’individuazione dei criteri di valutazione dei suoli contaminati, sia all’individuazione delle migliori tecniche di bonifica e risanamento (1). Attualmente anche in Italia è in corso di definitiva stesura un Regolamento che in base all’art. 17 del D.Lgs5/02/97 n. 22, fissa i criteri di valutazione dei suoli contaminati, di campionamento ed analisi, di valutazione del rischio ed in ultimo di bonifica (2). Uno dei problemi che sono ancora di non facile risoluzione sia a livello nazionale che internazionale, è la messa a punto di idonei sistemi atti a valutare non tanto il contenuto totale dei microinquinanti, in special modo quelli inorganici e metallici, quanto la frazione “biodisponibile” degli stessi (3). La biodisponibilità degli elementi inquinanti risulta essere un parametro essenziale in special modo in relazione alla effettuazione di una corretta valutazione del rischio ambientale e sanitario associabile al fenomeno di contaminazione dei suoli. Tale valutazione del rischio sanitario ed ambientale, in base ai criteri riportati nell’art.17 del D.Lgs 22/97, è un requisito fondamentale ove non sia possibile raggiungere neanche con le migliori tecnologie possibili a costi sopportabili gli obiettivi fissati per la bonifica. Pertanto si deve procedere a delle semplici “misure di messa in sicurezza definitiva” del sito contaminato. E’ dunque evidente che le modalità con cui condurre i tests di eluizione al fine di valutare la biodisponibilità degli inquinanti presenti nel sito contaminato, sono di primaria importanza. Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di portare un contributo in tal senso, paragonando due tipologie di tests di eluizione condotti sullo stesso tipo di suolo: un test condotto in colonna ed un test condotto in batch (4). Materiali e metodi Materiali Un’area dell’azienda agricola da cui è stato prelevato il campione di suolo su cui condurre la sperimentazione, è risultata contaminata da piombo inorganico a seguito di alcuni lavori condotti nell’azienda agricola stessa. Pertanto i tests di eluizione riportati di seguito sono stati eseguiti sul campione di terreno contaminato da Piombo inorganico, utilizzando come campione di “bianco” lo stesso terreno agricolo non contaminato da Piombo inorganico. Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna e in batch Le caratteristiche chimico – fisiche del terreno agricolo utilizzato sono riportate nella tab.1. Il campione di terreno è stato preventivamente vagliato al vaglio di 2 mm di luce netta. Il coefficiente di ritenzione del terreno (capacità di campo) è pari all’82 % del peso del terreno. Il contenuto totale di Piombo inorganico è il seguente: 51 Tab. 1 pH in H2O 7,10 pH in KCl 6,22 Peso Specifico g/cm3 2,61 Umidità Residua g/kg 140,20 CEC meq/100 grpeso secco 20,20 Ntot mg/kgpeso secco 28,40 Ptot mg/kgpeso secco 8,30 TC % 0,66 TIC % 0,66 TOC % 0,00 • Campione terreno contaminato 300 mg/Kg ss • Campione terreno non contaminato 120 mg /Kg ss Metodi Dissoluzione del campione per il contenuto totale di Piombo Al fine di determinare il contenuto totale di Piombo inorganico sono stati mineralizzati 300 mg di terreno in triplo, tramite forno a microonde ad alta pressione, utilizzando una soluzione di acqua regia (6 ml HCl + 2 ml HNO3) e acido fluoridrico (5 ml). La soluzione ottenuta viene neutralizzata con 30 ml di soluzione satura di acido borico e il volume finale viene portato a 50 ml con acqua demineralizzata (5). Al fine di valutare la validità del risultato per la ricerca del contenuto totale di Piombo è stato analizzato anche un materiale di riferimento BCR n. 142. I risultati sono: • Valore certificato 37.8 ± 1.9 mg/Kg ss • Valore ritrovato 36.3 ± 0.8 mg/Kg ss Test di eluizione in batch Il test di eluizione in batch è stato condotto in triplo sia sul terreno di bianco (campione A) sia sul terreno contaminato (campione B, C e D), utilizzando due tipi di soluzione estraente: acqua deionizzata e acqua deionizzata acidula a pH 4 per aggiunta di acido solforico e di acido nitrico. Quest’ultima soluzione estraente è stata utilizzata per simulare le piogge acide. 52 Beccaloni e Musmeci Il test in batch è stato condotto per entrambe le soluzioni estraenti per 24 ore e sotto continua agitazione magnetica. Il rapporto solido/liquido è di 100 g/l per entrambe le soluzioni estraenti. Le soluzioni ottenute sono state centrifugate e filtrate su filtro di acetato di cellulosa da 47 mm di diametro con porosità 0.45 µm ed infine acidificate per l’analisi strumentale con HNO3 1% v/v. Test di eluizione in colonna Per ognuna delle due soluzioni estraenti utilizzate sono state allestite tre colonne (lisimetri) con il terreno inquinato ed una colonna con il terreno di bianco, per un totale di 8 colonne. A partire dal basso verso l’alto, ogni colonna era così costituita: • un primo strato di materiale inerte con funzione di filtro; • uno strato intermedio di ghiaia preventivamente lavata; • un secondo strato di materiale inerte; • terreno. Per ogni colonna è stato utilizzato 1Kg di terreno, distribuito in un cilindro di altezza di 30 cm; la parte terminale della colonna presenta forma conica in modo da facilitare la raccolta di percolato verso il rubinetto di chiusura. Sono state utilizzate come soluzioni estraenti le stesse due soluzioni utilizzate nel test in batch: acqua deionizzata e acqua deionizzata acidula a pH 4 per aggiunta di H2SO4 e HNO3. I volumi di acqua deionizzata e di acqua deionizzata acidula aggiunti sono stati calcolati sulla base del superamento della capacità di campo al fine di avere sempre un quantitativo di eluente, eluito alla base della colonna di suolo. La prima raccolta è stata effettuata subito dopo aver superato la capacità di campo, mentre la seconda raccolta è stata effettuata a seguito di ulteriore aggiunta di eluente, dopo 24 ore, al fine di poter paragonare il dato in colonna con quello in batch. Le ulteriori raccolte sono state eseguite ogni 20 giorni. Al momento sono state effettuate in tutto 5 raccolte di eluato per un periodo di tempo complessivo di studio di circa due mesi e mezzo. Il contenuto di Piombo negli eluenti è stata determinato tramite Spettrofotometro Varian A.A. con correttore di fondo al Deuterio e fornace di grafite GTA 96, con autocampionatore, utilizzando dove è stato necessario un modificatore di matrice. Il limite di rivelabilità strumentale sulla soluzione eluita è di 0.8 µg/l calcolato su 3σ. Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna e in batch 53 Risultati e discussione In tab. 2 vengono riportati i risultati delle prove in batch con entrambi gli eluati. Da tale tabella si evince che le tre prove effettuate per ogni tipo di eluente esibiscono una buona riproducibilità. Inoltre si evidenzia che i due tipi di eluente, ancorchè uno a pH 4 quindi relativamente aggressivo, non dimostrano comportamenti differenti in termini di Piombo eluito. Tab. 2. Test in batch: conc. di Pb nei due eluenti. Eluente H2O deion. H2O deion. Acid. Concentrazioni in ng/ml A B C 63,60 175,00 179,00 57,60 225,00 260,00 D 150,00 217,00 Nelle tabb. 3 e 4 vengono riportati rispettivamente i risultati di ognuna delle 5 raccolte di eluato effettuate per il test in colonna dei 4 lisimetri in cui, nella prima tabella, i dati riportati si riferiscono all’eluente acqua deionizzata e nella seconda, all’eluente acqua deionizzata acidula a pH 4. Tab. 3. Test in colonna: conc. di Pb in acqua deionizzata. Data 29/03/99 30/03/99 16/04/99 06/05/99 26/05/99 SOMMA Concentrazioni in ng/ml A B C 18,80 102,00 102,50 19,50 39,40 31,20 1,67 7,97 4,14 0,80 5,33 6,40 0,80 10,64 5,50 41,57 165,34 149,74 D 126,00 43,30 33,00 12,50 11,00 225,80 Tab. 4. Test in colonna: conc. di Pb in acqua deionizzata acidula Data 29/03/99 30/03/99 16/04/99 06/05/99 26/05/99 SOMMA Concentrazioni in ng/ml A B C 7,00 74,20 99,20 25,40 39,60 15,80 1,70 6,10 2,00 0,80 0,80 0,80 0,80 2,90 0,80 35,70 123,60 118,60 D 80,00 36,20 9,00 3,00 8,71 136,91 Legenda: A= terreno di riferimento; B,C,D=terreno contaminato; SOMMA=concentrazione di Pb totale eluito nelle cinque raccolte Nelle figure 1 – 3 vengono riportati gli andamenti della percentuale di Piombo eluito in ogni singola raccolta rispetto a quello complessivamente eluito nelle 5 raccolte effettuate, rispettivamente per: • 2 colonne con terreno di riferimento (A); • 3 colonne di suolo contaminato (B,C,D) eluito con acqua deionizzata; 54 Beccaloni e Musmeci • 3 colonne di suolo contaminato (B,C,D) eluito con acqua deionizzata acidula. Fig. 1. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno di riferimento (A) Tempo Conc Pb % 21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99 100,00 80,00 60,00 40,00 20,00 0,00 -20,00 Acqua Deionizzata Acqua Deionizzata Acidula Fig. 2. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno contaminato in Acqua Deionizzata Tempo 21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99 Conc Pb % 100,00 80,00 60,00 40,00 B C D 20,00 0,00 -20,00 Fig. 3. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno contaminato in Acqua Deionizzata Acidula Tempo Conc Pb % 21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99 100,00 80,00 60,00 40,00 20,00 0,00 -20,00 B C D A = TERRENO DI RIFERIMENTO; B,C,D = TERRENO INQUINATO; CONC. Pb % = % DI Pb CALCOLATA RISPETTO ALLA CONCENTRAZIONE TOTALE DI Pb ELUITO NELLE CINQUE RACCOLTE PER OGNI COLONNA. Da tali figure è possibile evidenziare che anche per i test in colonna i due eluenti presentano un andamento analogo rispetto al contenuto di Piombo eluito e che il massimo di eluizione si ha nelle prime 24 h (circa 50% (80%). Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna e in batch 55 A conferma che i due eluenti hanno comportamenti analoghi nelle figure 4 e 5 si riportano i dati ottenuti interpolando i risultati tramite una curva di regressione polinomiale di 2°, dell’andamento delle concentrazioni di Piombo nel tempo, rispettivamente per il terreno di riferimento e il terreno contaminato. Da tali figure infatti, è evidente che vi è praticamente una sovrapposizione completa delle curve appartenenti alle due famiglie di dati. Fig. 4. Andamento delle concentrazioni di Pb eluito dal terreno di riferimento Tempo 21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99 150,00 130,00 110,00 Conc in ppb 90,00 70,00 50,00 30,00 10,00 -10,00 -30,00 A in acqua deionizzata A in acqua deionizzata acidula Poli. (A in acqua deionizzata) Poli. (A in acqua deionizzata acidula) Fig. 5. Andamento delle concentrazioni di Pb eluito dal terreno contaminato Tempo Conc. in ppb 21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 150,00 130,00 110,00 90,00 70,00 50,00 30,00 10,00 -10,00 -30,00 B in acqua deionizzata C in acqua deionizzata D in acqua deionizzata B in acqua deionizzata acidula C in acqua deionizzata acidula D in acqua deionizzata acidula Poli. (B in acqua deionizzata) Poli. (C in acqua deionizzata) Poli. (D in acqua deionizzata) Poli. (B in acqua deionizzata acidula) Poli. (C in acqua deionizzata acidula) Poli. (D in acqua deionizzata acidula) 30/05/99 56 Beccaloni e Musmeci Conclusioni Dallo studio di cui si presentano i primi dati, si può dedurre che: • il Piombo inorganico eluito è direttamente proporzionale a quello contenuto nel campione di partenza in entrambi i tests utilizzati; • l’eluente che simula le piogge acide sembra non influenzare in modo evidente l’eluibilità del Piombo inorganico nel campione di terreno in studio, sia contaminato che non contaminato; • il test in colonna, che in generale viene ritenuto maggiormente rappresentativo della situazione reale, ha dimostrato, nelle condizioni operative dello studio, che nelle prime 24 h eluisce circa il 50% (80% del totale di Piombo eluito nell’arco di due mesi e mezzo; • il contenuto di Piombo eluito complessivamente è paragonabile a quello eluito nel test in batch a 24 h. Tale studio, benché abbia evidenziato interessanti risultati per la scelta dei più idonei tests di eluizione per i suoli contaminati, va ritenuto preliminare poiché si deve ancora testare sia per altri contaminanti che per altre tipologie di suoli. Bibliografia de FRAJA FRANGIPANE E. et al. Terreni contaminati. Identificazione-Normative-Indagini-Trattamento, Collana Ambiente, vol. 5 CIPA Editore, Milano (1994). D.Lgs 5 febbraio 1997, n.22, recante “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi”. Supplemento G.U. 28 novembre 1997, n.278. PRESTININZI A., ROMAGNOLI C. “La vulnerabilità degli acquiferi negli studi a scala regionale”. Atti del Congresso biennale ANDIS ’91, Roma, 11-13 dicembre (1991). Progetto di Norma UNI 10802 ( dicembre 1998 ) “Rifiuti liquidi, granulari, pastosi e fanghi. Campionamento manuale e preparazione ed analisi degli eluati”. GIORDANO R., BECCALONI E. et al. 1995. “ Problematiche connesse con la determinazione di elementi nei sedimenti marini. Risultati preliminari su campioni prelevati nella baia di Terranova”. Atti del 4° Convegno Nazionale “Contaminazione Ambientale”, Venezia (1995) pp.123-128. 57 INTERFERENZE NELLA DETERMINAZIONE DI CADMIO IN CAMPIONI DI SUOLO E SEDIMENTO CON LA TECNICA ICP-AES Beone G.M., Baffi C., Silva S. Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale, Facoltà di Agraria, Università Cattolica del Sacro Cuore, via Emilia Parmense 84, 29100 Piacenza Riassunto Si descrive la messa a punto di un metodo per la determinazione di cadmio solubile in acqua regia e totale in campioni di suolo e sedimenti usando la tecnica ICPAES. Lo studio è stato condotto su campioni certificati. I campioni sono stati mineralizzati con forno a microonde utilizzando acqua regia, per la determinazione della quota solubile in acqua regia, e una miscela acida HF-acqua regia (1:4) per la determinazione del Cd totale. Lo studio degli interferenti è stato condotto su tre lunghezze d’onda di emissione tipiche dell’elemento: λ1=214,438 nm, λ2=226,502 nm e λ3=228,802 nm. E’ stato osservato che la lunghezza d’onda meno interferita è quella a 228,802 nm. I risultati ottenuti mostrano valori di recovery per il Cd compresi fra il 90% e il 104% per entrambi i metodi di digestione. Introduzione Nella determinazione degli elementi in traccia in campioni ambientali di origine geologica (suoli, sedimenti, etc.) si ricorre sempre più frequentemente all’impiego della digestione con forno a microonde (Nieuwenhuize et al., 1991; HueyMeei et al., 1997; Skip Kingston et al., 1997) associata a tecniche analitiche (ICP-AES, ICP-MS, GF-AAS) (Krishnamurti et al., 1994; Carlosena et al., 1996; Pyle et al., 1996) che permettano di ottenere migliori livelli di accuratezza e precisione rispetto a sistemi tradizionali meno innovativi. Scopo del presente lavoro è stato quello di indagare e stimare possibili interferenti durante la determinazione del cadmio in suoli e sedimenti con la tecnica ICP-AES, per evitare sovrastime nelle valutazioni analitiche successive. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 57-62 (2001) 58 Beone et al. Materiali e metodi Standard certificati I campioni utilizzati per il presente lavoro, della Community Bureau of Reference Samples, sono: Calcareous Loam Soil CRM 141 R, Sewage Sludge Amended Soil CRM 143 e Estuarine Sediment CRM 277. I campioni sono stati seccati e omogeneizzati, in accordo con le istruzioni dei fornitori. Apparecchiature Per la mineralizzazione è stato utilizzato un forno a microonde CEM 2000 con potenza regolabile 0-100% ad incrementi dell’1% (potenza massima: 600 W) e controllo di pressione. Le digestioni sono avvenute in sistema chiuso con contenitori in PTFE da 110 ml previamente lavati con 2 ml di HNO3 conc. a caldo (irraggiamento per 10 min in forno a microonde alla potenza massima). Lo studio degli interferenti e l’analisi del Cd è avvenuta con ICP-AES sequenziale, modello Jobin Yvon 24, con nebulizzatore crossflow (camera Scott) o ultrasuoni (Cetac U-5000 AT). Reagenti e calibrazione Sono stati utilizzati i seguenti acidi superpuri (Merck, Darmstadt, Germany): acido cloridrico al 32%, acido nitrico al 65% e acido fluoridrico al 40%. La soluzione satura di acido borico è stata preparata partendo da reagente RPE (BDH, Poole, England). La calibrazione è avvenuta impiegando soluzioni ottenute per diluizione di uno standard alla concentrazione di 1000 mg l-1 (Merck, Darmstadt, Germany). Nelle determinazioni si è utilizzata la tecnica analitica delle aggiunte tarate. Procedure Lo studio degli interferenti è stato eseguito su tre lunghezze d’onda di emissione fra quelle riconosciute essere (Varma, 1991) le più utilizzate per la determinazione del cadmio: 214,438 nm, 226,502 nm e 228,802 nm. I. solubile in acqua regia Aliquote di 250 mg di campione sono state pesate in contenitore PTFE da 110 ml. Un totale di 4 campioni, incluso un bianco con acidi superpuri, sono stati posti in un carosello del forno a microonde. Si sono addizionati 2 ml di acqua bidistillata e 8 ml di acqua regia. In Tabella 1 viene riportato il programma di mineralizzazione adottato. Dopo ogni serie di dige- Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la tecnica ICP-AES 59 stione i campioni sono stati filtrati, con filtri Whatman 42, e quindi portati ad un volume finale di 50 ml con acqua distillata. Tabella 1. Condizioni operative del forno a microonde Parametri Potenza (%)* Pressione (kPa) Tempo (min) Tempo ai parametri (min) Stage 1 2 40 60 270 550 10 10 2 2 3 80 825 20 10 *Potenza massima = 600 W. II. totale Aliquote di 250 mg di campione sono state pesate in contenitore PTFE da 110 ml. Un totale di 4 campioni, incluso un bianco con acidi superpuri, sono stati posti in un carosello del forno a microonde. Si sono addizionati 2 ml di acido fluoridrico e 8 ml di acqua regia. Le condizioni operative alle quali si è lavorato per mineralizzare i campioni sono le stesse adottate per la determinazione della frazione solubile in acqua regia (vedi Tabella 1). Una volta raffreddati si sono aggiunti 3 ml di soluzione satura di acido borico per spegnere l’acido fluoridrico in eccesso. Dopo aver richiuso i provettoni in PTFE si è eseguito un’ulteriore irraggiamento con forno a microonde per 5 min alla potenza di circa 300 W. Successivamente i campioni sono stati filtrati, con filtri Whatman 42, e quindi portati ad un volume finale di 50 ml con acqua distillata. Risultati e discussione Nella determinazione del cadmio nei suoli e nel sedimento sono state osservate interferenze di tipo additivo alle lunghezze d’onda di 214,438 nm e 226,502 nm da parte di Fe e Al (Figura 1a,b) e, alla lunghezza d’onda di 228,802 nm, da parte di Co e As (Figura 1c). Tali interferenze sono di due tipi: a) di background, facilmente eliminabili strumentalmente e b) di sovrapposizione, eliminabili con la più complessa “correzione dell’elemento interferente” (Tabella 2). L’interferenza da Fe è stata stimata essere per CMR 141 R di circa il 13% a 214,438 nm e del 30% circa a 226,505 nm. Per il CRM 143 l’interferenza da Fe è risultata essere del 4% a 214,438 e dell’ 11% a 226,505 nm mentre per il CRM 277 è del 26% circa a 214,438 e del 64% a 226,505 nm. 60 Beone et al. Figura 1. Profili di emissione del Cd e degli elementi interferenti alle lunghezze d’onda di: (a) 214,438 nm; (b) 226,502 nm; (c) 228,802 nm. a ∆=0,01 nm ∆=0,01 nm Cd 100 µg l-1 Al 500 mg l-1 Fe 500 mg l-1 Cd 100 µg l-1 -1 Al 500 mg l Fe 500 mg l-1 b ∆=0,01 nm ∆=0,01 nm c Cd 100 µg l-1 As 4 mg l-1 Co 5 mg l-1 ∆=0,01 nm Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la tecnica ICP-AES 61 Tabella 2. Quadro riassuntivo delle interferenze osservate alle diverse lunghezze d’onda per il Cd Lunghezza d'onda Interferenze nm Background Sovrapposizione 214,438 Al Fe 226,505 Al Fe 228,802 As, Co L’interferenza da Al può essere eliminata con la “correzione di background”. A 228,802 nm per il Co la stima di interferenza è sempre minore dello 0,1%, mentre per l’As è intorno a 1,3% per i suoli e del 9% per il sedimento. A seguito dello studio eseguito, per la determinazione del cadmio in campioni di suoli e sedimento, la lunghezza d’onda di 228,802 nm è risultata essere la meno interferita. I risultati ottenuti a seguito sia di digestioni con acqua regia che con acqua regia e HF, mostrano valori di recovery per il Cd compresi fra il 90% e il 104% (Tabella 3). Tabella 3. Valori di Cd nei campioni certificati di suolo e sedimento (µg g-1) BCR CRM CRM CRM CRM CRM 141 R 141 R 143 143 277 Tipo di campione suolo suolo suolo suolo sedimento Tipo di digestione Valore osservato* Valore certificato acqua regia 13,2±0,2 14,6±0,5 acqua regia + HF 13,2±0,9 14,0±0,4 acqua regia 30,3±0,6 31,1±1,2 acqua regia + HF 31,8±1,4 31,5±1,9 acqua regia + HF 12,3±1,1 11,9±0,4 * valore medio di quattro determinazioni e 95% CI. Nei campioni presi in esame si nota che la quota estraibile con acqua regia coincide con quella totale ad indicare che tutto il Cd presente viene estratto dalla sola acqua regia. Il metodo che prevede la dissoluzione totale con acido fluoridrico e acqua regia richiede una procedura analitica più laboriosa e, data la maggior complessità della matrice, fornisce dati meno precisi di quelli ottenibili con il metodo che prevede la dissoluzione con la sola acqua regia. Conclusioni La tecnica a microonde si conferma una tecnica rapida e affidabile per la preparazione di campioni geologici rispetto alle procedure di dis- 62 Beone et al. soluzione convenzionali. Nell’analisi del Cd con ICP-AES, in campioni di suolo e sedimento, fra le varie lunghezze d’onda comunemente utilizzate (214,438 nm; 226,502 nm e 228,802 nm), quella meno interferita è risultata essere la λ3=228,802 nm. Lavorando a questa lunghezza d’onda, prove condotte su campioni di suolo e sedimento certificati hanno mostrato ottimi valori di recovery (valori compresi fra il 90% e il 104%). Limitatamente ai campioni esaminati appare consigliabile nell’estrazione dell’elemento la sola acqua regia per la maggiore semplicità operativa e la più ridotta dispersione dei dati. Bibliografia CARLOSENA A., PRADA D., ANDRADE J.M., LOPEZ P., MUNIATEGUI S. 1996. Cadmium analysis in soil by microwave acid digestion and grafite furnace atomic absorption spectrometry. Fresenius Journal of Analytical Chemistry, 355, 289-291. HUEYMEEI., JOEHUANG-KUNLOG, WEI Y.L., SHYU H.M., JOEHUANG K.L. 1997. Comparison of microwave vs. hot-plate digestion for nine real-world river sediments. Journal of Environmental Quality, 26, 764-768. KRISHNAMURTI G.S.R., HUANG P.M., VAN REES K.C.J., KOSAK L.M., ROSTAD H.P.W. 1994. Microwave digestion technique for the determination of total cadmium in soils. Commun. Soil Sci. Plant Anal., 25, 615-625. NIEUWENHUIZE J., POLEY-VOS C.H., VAN DER AKKER A., VAN DELFT 1991. Comparison of microwave and conventional extraction techniques for the determination of metals in soils, sediment and sludge samples by atomic spectrometry. Analyst, 116, 187-192. PYLE S.M., NOCERINO J., DEMING, S.N., PALASOTA J.A., PALASOTA J.M., MILLER E.L., HILLMAN D.C., KUHARIC C.A., COLE W.H., FITZPATRICK P.M., WATSON M.A., NICHOLS K.Y. 1996. Comparison of AAS, ICP-AES, PSA, and XRF in determining lead and cadmium in soil. Environmental Science & Technology, 30, 204-213. SKIP KINGSTON H.M., WALTER P.J., CHALK S., LORENTZEN E., LINK D. 1997. Environmental microwave sample preparation: fundamentals, methods, and applications. In: Microwave-Enhanced Chemistry (eds H.M Skip Kingston & S.J. Haswell, pp.223-340. American Chemical Society, Washington, USA. VARMA A. 1991. Instrumental parameters for elemental analysis. Cadmium. In Handbook of iductively coupled plasma atomic emission spectroscopy. pp.48. CRC Press, Inc., Florida, USA. 63 EFFETTO DELLA LISCIVIAZIONE DI UN SUOLO AGRARIO CON ACQUE ACIDULATE. NOTA I Biondi F.A., Di Dio C., Socciarelli S., Figliolia A. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante (Roma) Introduzione E’ stato calcolato che l’immissione nell’atmosfera dei gas di combustione dei combustibili fossili è tra le principali cause delle piogge acide, con conseguente aumento della CO2, SOx e NOx e quindi dei rispettivi acidi in soluzione acquosa. E’ noto che le piogge acide provocano sensibili alterazioni nel topsoil, sia fisiche che chimiche; in merito a queste ultime si inserisce questa ricerca al fine di portare un contributo di maggiore conoscenza su determinate dinamiche che si hanno in un terreno agrario caratterizzato da specifiche condizioni pedoclimatiche. Tra le caratteristiche considerate nella valutazione dello “stato di fertilità” di un suolo agrario, spesso non viene valutata in giusta maniera l’aggressività espletata dall’ambiente, in particolare non viene tenuto in considerazione il grado di lisciviazione reale e potenziale dei principali cationi presenti nel suolo per effetto delle piogge acide. Scopo del lavoro Questo studio si propone di verificare la lisciviazione delle principali basi di scambio del suolo ad opera delle “piogge acide”. In questa prima nota vengono riportati i risultati della lisciviazione effettuate dalle acque acidulate con due componenti delle piogge acide; più precisamente: l’acido carbonico e l’acido solforico, impiegati in forma separata ed in ambiente controllato. E’ in corso di svolgimento la prova con l’acido nitrico. Sono previste tre fasi di studio, in questa prima fase si vuole vedere e quantizzare l’effetto della lisciviazione operata da ogni elemento acidificante usato separatamente in ambiente controllato, nella seconda fase saranno condotte prove, sempre in ambiente controllato con acque acidificate con tutti e tre i componenti opportunamente miscelati, nella terza saranno eseguite prove in campo con lisimetri e con acque piovane. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 63-70 (2001) 64 Biondi et al. Inoltre è stata monitorata anche la lisciviazione di alcuni metalli pesanti, quali Cu e Zn, che vengono introdotti nelle comuni pratiche agricole attraverso l’uso di fertilizzanti, ammendanti e pesticidi. Materiali e metodi Per questo studio è stato preso in esame un suolo agrario della provincia di Roma (Biondi, Mecella, 1985), formatosi su detrito di falda di rocce calcaree con apporto di materiale vulcanico, classificato secondo la FAO come Mollic Calcic Cambisol (FAO/UNESCO, 1974) le cui caratteristiche principali vengono riportate nella tabella 1. Tabella 1. Caratteristiche dell'orizzonte Ap ad inizio e fine esperienza. Parametri Inizio esperienza Fine esperienza Terreno non trattato Terreno trattato con soluzione A pH (H2O) 7,8 7,8 CaCO3 (%) 2,0 1,7 Sost. org. (%) 2,3 2,3 CSC (meq 100g -1) 24,20 22,29 Ca++ (meq 100g -1) 21,90 20,40 ++ -1 Mg (meq 100g ) 1,50 1,40 Na+ (meq 100g -1) 0,70 0,40 K+ (meq 100g -1) 0,10 0,09 Tessitura F.A. F.A. sabbia (%) 27,5 27,5 limo (%) 45,0 45,0 argilla (%) 27,5 27,5 Fine esperienza Terreno trattato con soluzione B 7,8 1,8 2,3 22,89 21,00 1,50 0,30 0,09 F.A. 27,5 45,0 27,5 Con l’orizzonte Ap di tale suolo, sono state allestite due serie di colonnine di “lisciviazione” (h = 40 cm; 3 cm ∅ dotate di rubinetto per la percolazione, contenenti ognuna 100 g di campione di suolo e 150 g di materiale inerte (palline di vetro di 1 mm ∅ al fine di creare le adatte condizioni di drenaggio. Tale sistema è stato sottoposto a lavaggi mensili con due tipi di soluzioni acquose acidulate. La prima serie è stata sottoposta a lavaggi con 100 ml di H2O + CO2 a pH 4,9 (soluzione A); la seconda serie è stata sottoposta a lavaggi con 100 ml di H2SO4 0,005N a pH 5,0 (soluzione B). Ogni tesi è stata ripetuta in triplo. Negli eluati ottenuti dalla lisciviazione con le due soluzioni considerate, è stato determinato il contenuto di Ca, Mg, K e Na, nonché di Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I 65 Cu e Zn. Le concentrazioni dei cationi alcalino ed alcalino-terrosi sono state determinate mediante lettura allo spettrofotometro ad assorbimento atomico, mentre quelle degli ioni metallici Cu e Zn, mediante spettrofotometria al plasma (ICP) (Martin et al., 1987). E’ stata inoltre determinata secondo i metodi ufficiali (MIRAAF, 1994), la variazione di: pH, CaCO3, e CSC al termine dell’esperienza. Il tipo di associazione argillosa presente in tale suolo è stata determinata mediante l’analisi termodifferenziale (TG e DSC) integrata con analisi ai Raggi X. Risultati e discussione Dall’analisi risulta che la frazione argillosa è costituita da una associazione di argille del gruppo delle “smectiti”, dove i cationi di coordinamento sono il magnesio e il ferro bivalente. La presenza di queste argille smectitiche, formatesi in una situazione morfologica particolare (versante), è giustificata dall’apporto di materiale ferro-magnesiaco da parte delle ceneri vulcaniche di tipo basaltiche ad alto contenuto di vetro provenienti dal Vulcano Laziale (Albano); inoltre la loro presenza giustifica i valori di CSC lievemente elevati che sono stati riscontrati. Prendendo in esame i singoli cationi, presenti nei percolati, ottenuti per mezzo delle soluzioni acidulate, il Ca, è risultato essere maggiormente lisciviato dalla soluzione A. Tale elemento risulta avere mediamente, nel corso dei lavaggi, un trend decrescente delle rette di regressione per entrambe le soluzioni estraenti, ovvero proseguendo con i cicli di lavaggio si nota la tendenza a lisciviare sempre meno questo elemento (figure 1a e 1b). Entrambe le curve presentano un andamento sinusoidale, ma per la soluzione A, la retta di regressione risulta più inclinata; probabilmente tale fenomeno è collegato ad una maggiore dissoluzione iniziale dei carbonati da parte dell’HCO3-. Anche per il Mg, la soluzione A è risultata possedere una maggiore forza estrattiva rispetto alla soluzione B. Entrambe le serie di percolati, presentano un trend nella lisciviazione di questo catione leggermente positivo, con un coefficiente angolare della retta di regressione di poco maggiore, anche in questo caso, nei percolati ottenuti con la soluzione A (figure 2a e 2b), ciò sta ad indicare che le soluzioni acidulate tendono a portare in soluzione con il corso dei cicli di lavaggio aliquote sempre maggiori di Mg. 66 Biondi et al. Figure 1a - 1b. Andamento del rilascio dello ione Ca nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 300 300 Soluzione A y = -24,757x + 209,73 250 200 mg kg-1 200 mg kg-1 Soluzione B y = -9,5228x + 118,4 250 150 150 100 100 50 50 (lavaggi) (lavaggi) 0 I II III IV V 0 VI Ca 108,45 273,88 167,67 29,73 79,29 79,49 I II III IV V Ca 108,26 122,24 81,50 52,71 62,46 VI 83,23 Figure 2a -2b. Andamento del rilascio dello ione Mg nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 25 25 Soluzione A y = 0,4167x + 12,594 15 10 Soluzione B y = 0,3573x + 5,5014 20 mg kg-1 mg kg-1 20 5 15 10 5 (lavaggi) (lavaggi) 0 I II III Mg 11,15 19,63 IV 6,85 V 0 VI 17,11 14,42 15,15 Mg I II III IV V VI 7,68 6,53 3,50 6,21 7,57 9,02 Figure 3a - 3b. Andamento del rilascio dello ione Na nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 80 80 Soluzione A y = 0,1802x + 43,35 70 60 60 50 50 mg kg-1 mg kg-1 70 40 30 20 10 0 40 30 Soluzione B y = 8,7301x + 16,232 20 10 (lavaggi) I II III IV V VI Na 29,66 55,93 47,24 49,28 44,22 37,55 0 (lavaggi) I Na 10,92 II III 33,32 57,08 IV V VI 62,07 65,75 51,57 67 Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I Figure 4a - 4b. Andamento del rilascio dello ione K nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 0,70 0,70 Soluzione A y = -0,0352x + 0,5956 0,60 0,50 0,50 mg kg-1 mg kg-1 Soluzione B y = 0,0167x + 0,2732 0,60 0,40 0,30 0,40 0,30 0,20 0,20 0,10 0,10 (lavaggi) (lavaggi) 0,00 0,00 K I II III IV V VI 0,46 0,64 0,46 0,51 0,46 0,31 K I II III IV V VI 0,30 0,24 0,37 0,39 0,35 0,35 Figure 5a - 5b. Andamento del rilascio dello ione Cu nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 120 120 Soluzione A y = 1,1802x + 48,651 100 80 80 mg kg-1 mg kg-1 Soluzione B y = -0,2421x + 76,048 100 60 60 40 40 20 20 (lavaggi) 0 I II III IV V (lavaggi) 0 VI Cu 43,43 52,96 55,08 52,96 70,96 41,31 I II III IV V VI Cu 60,37 100,62 72,02 65,67 80,50 72,02 Figure 6a - 6b. Andamento del rilascio dello ione Zn nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 80 80 70 60 50 mg kg-1 mg kg-1 60 40 30 20 50 40 30 20 10 0 Soluzione B y = -0,4359x + 28,404 70 Soluzione A y = 1,3699x + 22,011 10 (lavaggi) I II III IV V VI Zn 26,81 1,09 51,21 5,45 75,19 1,09 0 (lavaggi) I II III IV V VI Zn 18,52 43,59 29,42 11,99 31,60 26,15 68 Biondi et al. Nel corso dei lavaggi, il Na presenta nei percolati trattati con la soluzione B un trend nettamente positivo della retta di regressione, mentre tale andamento risulta pressoché costante per i percolati ottenuti con la soluzione A. Inoltre quest’ultima soluzione ha estratto alla fine dei lavaggi meno della soluzione B (figure 3a e 3b) a differenza di quanto è accaduto per le altre basi di scambio. Per quanto riguarda il K, che rappresenta uno dei maggiori elementi di fertilità del suolo, il coefficiente angolare della retta di regressione relativa alla percolazione di questo catione nel corso dei lavaggi, risulta appena positivo per i percolati trattati con la soluzione B, mentre lievemente negativo per i percolati trattati con la soluzione A. Quest’ultima soluzione ha inoltre mostrato una maggiore forza estrattiva rispetto all’altra soluzione acidulata (figure 4a e 4b), in quanto ha estratto molto all’inizio dei cicli di lavaggio. In generale, considerando la sommatoria dei cationi (figure 7a, 7b e 8) rilasciata alla fine dei lavaggi, la soluzione A è risultata essere più lisciviante rispetto alla B. Il coefficiente angolare della retta di regressione del trend di lisciviazione della sommatoria dei cationi è minore per i lavaggi con la soluzione B rispetto all’altra soluzione. Ciò è riferibile all’effetto che ha l’acido carbonico sui carbonati che tende a spostare l’equilibrio verso le forma più solubili dello ione calcio nella soluzione circolante. Valutando inoltre separatamente il rilascio di Cu e Zn in seguito alla lisciviazione con le due soluzioni, è stato rilevato che per entrambi i metalli si hanno rette di regressione praticamente orizzontali (figure 5a, 5b. 6a e 6b). Tuttavia lo Zn, nei valori dei percolati ottenuti con la soluzione A, presenta un trend dei rilasci con andamento sinusoidale, che tende ad aprirsi. Figure 6a - 6b. Andamento del rilascio dello ione Zn nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. 80 80 70 60 50 mg kg-1 mg kg-1 60 40 30 20 50 40 30 20 10 0 Soluzione B y = -0,4359x + 28,404 70 Soluzione A y = 1,3699x + 22,011 10 (lavaggi) I II III IV V VI Zn 26,81 1,09 51,21 5,45 75,19 1,09 0 (lavaggi) I II III IV V VI Zn 18,52 43,59 29,42 11,99 31,60 26,15 69 Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I Figure 7a - 7b. Sommatoria delle basi di scambio nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B. Trend somma basi di scambio (Ca+Mg+Na+K) in H2SO4 0,005N Trend somma basi di scambio (Ca+Mg+Na+K) in H2O + CO2 2 2 y = -0,1196x + 1,3444 1,5 1 (meq/100g) (meq/100g) 1,5 c 1 0,5 0,5 0 0 y = -0,0065x + 0,7094 I II III IV V VI Serie1 0,7659 1,7789 1,1029 0,5077 0,7109 0,6884 I II III IV V VI Serie1 0,6538 0,8118 0,6869 0,5873 0,6634 0,7174 Dalla tabella 1, si nota che nel suolo, monitorato a fine esperienza, non sono variati i valori di pH, come si attendeva per l’effetto tampone del suolo, mentre sono diminuiti i carbonati e modestamente i valori di CSC. Tali risultati confermano sostanzialmente quanto riscontrato dall’analisi dei percolati. Figura 8. Sommatoria delle singole basi di scambio alla fine dei 6 cicli di lavaggio, presenti nei percolati delle soluzioni A e B. mg kg-1 700 600 500 400 300 200 100 0 sommat K (A) K (B) Na (A) Na (B) Ca (A) Ca (B) Mg (A) Mg (B) 2,83 1,99 263,89 280,72 738,51 510,40 84,32 40,51 70 Biondi et al. Bibliografia BEGON M., HARPER J.H., TOWNSEND C.R. 1997. Ecologia. Individui, popolazioni, comunità. Zanichelli. Bologna. BIONDI F.A., MECELLA G. 1995. Carta dei suoli della Valle del Fiume Sacco. In: Produttività potenziale e classificazione dei terreni. Annali Istituto Sperimentale Nutrizione Piante. Roma. FAO/UNESCO. 1974. Soil map of the World. Vol.1-10, UNESCO, Paris. MACKENZIE C. 1957. Differential Thermal Investigation of Clays. Mineralogical Society, London MARTIN T.D., E.R. MARTIN, G.D. MCKEE. 1987. Inductively Coupled Plasma Atomic Emission Spectrometric Method for Trace Element Analysis. EPA Method 200.7 Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali. 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo. Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo. Roma. 71 EFFETTO DI DIFFERENTI SOVESCI SULLA FERTILITÀ AZOTATA DI SUOLI CONDOTTI CON METODO BIOLOGICO Canali S., Dell’Orco S., Roccuzzo G., Benedetti A. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Via della Navicella 2-4, 00184 ROMA, Italy Riassunto Il lavoro è stato realizzato al fine di valutare l’effetto di differenti specie da sovescio sulla fertilità di suoli situati in zone interne del Lazio, con particolare attenzione alla dinamica delle forme minerali dell’azoto e all’effetto sulla successiva coltura del girasole (Helianthus annuus). In due differenti aziende agricole biologiche situate in zone 5b del Lazio è stata realizzata una prova di coltivazione mettendo a confronto, con uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre replicazioni, l’effetto di differenti sovesci. Al fine di stabilire l’apporto di azoto al terreno dei sovesci e l’asportazione dell’elemento del girasole, sia per colture interrate che per il rinnovo, è stata determinata la biomassa vegetale prodotta e la sua composizione. Per seguire la dinamica delle forme minerali dell’azoto nel terreno sono stati analizzati campioni si suolo prelevati ogni 15 giorni, a partire dalla data dell’interramento dei sovesci sino alla fine del ciclo biologico del girasole. I risultati ottenuti hanno mostrato che i differenti sovesci hanno consentito di apportare al suolo, anticipatamente alla semina della coltura principale, quantità molto differenti di N e che nei casi nei quali gli apporti sono stati alti, assicurano una disponibilità di N per la coltura principale simile a quella dei suoli fertilizzati secondo gli itinerari tecnici convenzionali. Introduzione La conservazione ed il miglioramento della fertilità globale dei suoli è uno dei principali obiettivi che vengono perseguiti con l’applicazione del metodo agricolo biologico. Tale obiettivo può essere raggiunto promuovendo tutte le pratiche che concorrono al mantenimento o all’aumento Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 71-79 (2001) 72 Canali et al. del tenore in sostanza organica dei terreni (Canali, 1997). Nello specifico contesto un ruolo strategico riveste la pratica del sovescio, definita in passato da alcuni Autori come la “concimazione verde”. Il sovescio è realizzato con il fine principale di arricchire il terreno in sostanza organica e in elementi della fertilità. Inoltre, le colture da sovescio possono svolgere anche il ruolo di colture di copertura per la riduzione dei rischi di inquinamento delle acque di falda da nitrati (catch crops) o di erosione (cover crops) (AA.VV., 1989). Talvolta, inoltre, vengono coltivate al fine di controllare lo sviluppo di erbe infestanti, insetti e crittogame dannose (Altieri et al., 1996). Durante il proprio ciclo vegetativo la coltura da sovescio immagazzina elementi della fertilità, tra i quali il più importante è certamente l’azoto, per restituirli al terreno dopo che la biomassa prodotta viene interrata. Nel caso delle specie leguminose, a seguito dell’azotofissazione, si ottiene un guadagno netto di azoto del sistema suolo-pianta. Con l’interramento i residui della coltura da sovescio vengono in parte mineralizzati ed in parte contribuiscono alla formazione delle sostanze umiche del suolo. Appare rilevante prevedere quale potrà essere la dinamica nel suolo della trasformazione dei residui della coltura da sovescio, in quanto da essa dipende come ed in quale quantità l’azoto verrà reso disponibile per la coltura principale seguente e per quelle successive (Atallah e Lopez-Real, 1991; von Fragstein, 1995). Scopo del lavoro è stato quello di determinare l’effetto di differenti specie da sovescio sulla fertilità di suoli, con particolare attenzione alla dinamica delle forme minerali dell’azoto e all’effetto sulla successiva coltura del girasole (Helianthus annuus). Materiali e metodi La prova è stata effettuata in due differenti aziende agricole biologiche situate in zone 5b del Lazio (Reg. CEE 2081/93), rispettivamente nel territorio dei comuni di Acquapendente (VT) (campo 1) e di Palombara Sabina (RM) (campo 2). Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco randomizzato con tre replicazioni e parcelle elementari di m 3x2. Le tesi a confronto sono state: 1) controllo non concimato; 2) concimazione del girasole con urea in copertura; 3) sovescio di favino (Vicia faba var. minor); 4) sovescio di veccia (Vicia sativa) e avena (Avena sativa); 5) sovescio di colza (Brassica napus var. oleifera); 6) sovescio di favino e concimazione al girasole con sangue fluido Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico 73 (concimazione fogliare alla levata). Le specie da sovescio coltivate sono state scelte tra quelle più diffusamente utilizzate nella Regione con l’eccezione del colza, il cui impiego è risultato di interesse anche in relazione alla sua capacità di controllare lo sviluppo delle erbe spontanee ed i fitofagi del terreno (AA. VV., 1994). E’ stato poi previsto l’impiego del sangue fluido in quanto mezzo tecnico ausiliario compreso tra quelli ammessi per la fertilizzazione in agricoltura biologica. Questo concime risulta infatti elencato nell’Allegato IIA del Reg. CEE n. 2092/91 e previsto al punto 3 della voce 5.1.1 (concimi organici azotati fluidi) dell’Allegato 1B (Concimi nazionali o concimi) della normativa nazionale per la disciplina dei fertilizzanti (Legge n. 748/84). Deve essere inoltre precisato che il metodo di coltivazione biologica non consente l’impiego dell’urea per la concimazione azotata dei terreni (cfr. Allegato IIA Reg. CEE 2092/91). Tuttavia, la tesi che prevede la distribuzione del fertilizzante di sintesi è stata prevista al fine di poter operare un confronto diretto tra gli itinerari tecnici biologici e quello più frequentemente utilizzato nel convenzionale. Le colture da sovescio sono state seminate nell’autunno 1997, sono state sfalciate nella primavera del 1998 e successivamente interrate. Allo sfalcio sono stati prelevati campioni per la determinazione della biomassa prodotta e della sua composizione. Dopo la preparazione del terreno è stato seminato il girasole, poi raccolto nell’estate del 1998. Anche in questo caso è stata determinata la biomassa totale prodotta ed il relativo contenuto di N, calcolando le asportazioni totali dell’elemento da parte della coltura da rinnovo. Per seguire la dinamica delle forme minerali dell’azoto nel terreno sono stati effettuati prelievi di terreno nello strato interessato dalle lavorazioni (0-25 cm) prima della semina delle colture da sovescio e ogni 15 giorni, a partire dalla data del loro interramento sino alla fine del ciclo biologico del girasole. La determinazione dell’azoto totale del materiale vegetale dei sovesci e della coltura da rinnovo è stata eseguita per combustione a secco (tecnica Dumas) mediante analizzatore automatico LECO. Le forme minerali dell’azoto del terreno sono state misurate, dopo estrazione con KCl 2N (1:10), mediante analizzatore a flusso continuo (autoanalyzer) ) in accordo con Wall et al. (1975) per l’N-NH4, con Kampshake et al. (1967) per l’NNO3 e con una modifica della procedura di Griess-Ilosvay (Griess, 1879; Ilosvay, 1889) per l’N-NO2 (Keeney e Nelson, 1982). I dati sono stati elaborati e sottoposti all’analisi della varianza (test multiplo di Duncan). 74 Canali et al. Risultati e discussione Nella tabella 1 sono riportate le principali caratteristiche fisicochimiche dei suoli dei due campi sperimentali. I suoli del campo 1 sono Haploxeralf (Biondi et al., 1998) e quelli del campo 2 sono Xerochrept (Biondi, comunicazione personale). Tabella 1 - Caratteristiche fisico-chimiche dei suoli. Parametro Sabbia Limo Argilla Tessitura pH Conducibilità elettrica Calcare attivo Sostanza organica N totale P assimilabile Fe assimilabile Mn assimilabile Cu assimilabile Zn assimilabile Ca scambiabile Mg scambiabile K scambiabile Na scambiabile C.S.C. Ca Mg K Na H Classificazione (Soil taxonomy,USDA) % % % USDA mS cm-1 % % % mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 mg kg-1 meq 100 g-1 meq 100 g-1 meq 100 g-1 meq 100 g-1 meq 100 g-1 meq 100 g-1 Campo 1 40 24 36 FA 6.5 0.065 Assente 1.52 0.12 6 24.8 21.2 3.4 1.2 3100 655 328 64 26.64 15.50 5.46 0.84 0.28 4.56 Campo 2 53 21 26 FAS 6.5 0.1 Assente 1.62 0.123 21 16.4 6.0 4.8 3.0 3500 740 176 175 28.03 17.50 6.17 0.45 0.76 3.15 Haploxeralf Xerochrept I risultati relativi alla produzione di biomassa e al contenuto in N delle specie da sovescio sono stati differenti nelle due aziende (tabelle 2 e 3). Nel campo 1 (tabella 2) la produzione di sostanza secca è stata maggiore per le due tesi di favino e per il miscuglio veccia + avena rispetto a quella del colza. Il contenuto in azoto totale delle biomasse (favino > colza > veccia + avena) ha portato alla differenziazione degli apporti di N secondo l’ordine decrescente favino > veccia + avena > colza, con differenze significative per p≤0,05. Nel campo 2 (tabella 3) si è registrata una produzione di sostanza sec- Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico 75 ca significativamente maggiore per il miscuglio veccia + avena rispetto alle altre tesi, mentre il contenuto in azoto totale ha avuto andamento opposto. Gli apporti stimati di N sono stati maggiori per veccia + avena rispetto a quelli del colza, mentre sono stati registrati valori intermedi per il favino. Tabella 2 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed apporti di N dei sovesci nel campo 1. tesi 3. 4. 5. 6. Sostanza secca N t ha-1 % Favino 5.07 by 2.56 b Veccia e avena 4.24 b 1.87 a Colza 0.95 a 2.11 ab Favino + sangue fluido 5.32 b 2.43 b N kg ha-1 130.51 c 79.38 b 18.69 a 129.08 c y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti al livello di probabilità del 5% in base al test multiplo di Duncan. Tabella 3 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed apporti di N dei sovesci nel campo 2. tesi 3. 4. 5. 6. Sostanza secca t ha-1 Favino 3.34 Ay Veccia e avena 9.60 B Colza 1.19 A Favino + sangue fluido 2.76 A N % 2.89 b 1.64 a 3.61 b 3.08 b N kg ha-1 96.47 ab 158.66 b 42.50 a 86.22 ab y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti al livello di probabilità del 5% (lettere minuscole) o dell'1% (lettere maiuscole) in base al test multiplo di Duncan. Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati i valori medi e delle forme minerali dell’azoto nei suoli. Le uniche differenze significative sono state rilevate nel campo 1, nel quale i contenuti medi di N-NO3 nelle parcelle in cui erano stati sovesciati colza e veccia + avena sono risultati inferiori (tabella 4). Le figure 1 e 2 riportano, invece, la dinamica nel tempo dell’azoto minerale nei due campi. Tabella 4 - Contenuto medio e speciazione dell'N minerale nel suolo nel campo 1. tesi 1. 2. 3. 4. 5. 6. N-NH4 N-NO3 N (NO3 + NH4) mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo Controllo 12.8 8.6 by 21.4 Urea 13.1 9.0 b 22.1 Favino 14.1 8.6 b 22.7 Veccia e avena 14.9 6.3 a 21.2 Colza 14.3 6.5 a 20.8 Favino + sangue fluido 15.3 7.3 b 22.6 y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti al livello di probabilità del 5% in base al test multiplo di Duncan. 76 Canali et al. Tabella 5 - Contenuto medio e speciazione dell'N minerale nel suolo nel campo 2. tesi N-NH4 N-NO3 N (NO3 + NH4) mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo 1. Controllo 11.7 12.5 24.1 2. Urea 12.3 14.0 26.4 3. Favino 12.2 13.3 25.4 4. Veccia e avena 12.1 14.6 26.7 5. Colza 10.8 13.4 24.2 6. Favino + sangue fluido 11.4 13.1 24.5 N-(NO3-+NH4+) mg kg-1 suolo Figura 1 - Dinamica delle forme minerali dell'N nel campo 1. 50 1 40 2 30 3 20 4 5 10 6 0 t0 t1 t2 t3 N-(NO3-+NH4+) mg kg-1 suolo Figura 2 - Dinamica delle forme minerali dell'N nel campo 2. 50 1 40 2 30 3 20 4 5 10 6 0 t0 t1 t2 t3 77 Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico Nelle due diverse condizioni pedoclimatiche sia per il contenuto medio delle forme minerali di N che per la loro dinamica sono stati rilevati valori differenti. Tali differenze sono attribuibili, in particolare, alla componente N-NO3, come evidenziato dal valore medio più basso rilevato per tutte le tesi nel campo 1. Tuttavia, in entrambi i campi, le maggiori disponibilità medie di N minerale sono state osservate nelle tesi in cui la quantità di N interrata con i sovesci risultava maggiore e, in tali tesi, la concentrazione di N minerale nel suolo risultava comparabile a quella delle tesi fertilizzate con urea. Più precisamente, nel campo 1 i valori più alti sono stati rilevati nelle tesi in cui era stata somministrata urea e sovesciato il favino (tesi 2, 3 e 6, rispettivamente), mentre nel campo 2 sono stati rilevati per l’urea e per il sovescio di veccia + avena (tesi 2 e 4 rispettivamente). Nei due campi, come evidenziato nelle tabelle 6 e 7, non sono state registrate differenze statisticamente significative tra le tesi per quanto riguarda la produzione di biomassa della coltura principale del girasole. Analogamen te, non sono stati evidenziati effetti dovuti alla presenza o al tipo di sovescio in precessione colturale né all’impiego del sangue fluido. Il differente livello di fertilità chimica riscontrato nei due campi, come precedentemente evidenziato, congiuntamente alle scarse precipitazioni nella zona di Acquapendente (campo 1) ha portato a registrare valori produttivi non paragonabili. Tabella 6 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed asportazioni di N del girasole nel campo 1. tesi 1. 2. 3. 4. 5. 6. Sostanza secca t ha-1 Controllo 5.02 Urea 8.34 Favino 3.36 Veccia e avena 4.61 Colza 3.22 Favino + sangue fluido 4.34 N % 0.87 0.74 0.89 0.87 0.71 0.90 N kg ha-1 44.55 63.92 29.44 39.99 22.79 38.53 Tabella 7 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed asportazioni di N del girasole nel campo 2. tesi 1. 2. 3. 4. 5. 6. Sostanza secca t ha-1 Controllo 11.26 Urea 10.84 Favino 12.28 Veccia e avena 9.63 Colza 12.32 Favino + sangue fluido 12.43 N % 1.02 1.06 1.19 1.02 1.03 1.06 N kg ha-1 116.92 112.58 148.18 100.23 122.66 132.06 78 Canali et al. Conclusioni La misura dell’azoto minerale, pur fornendo risultati caratterizzati da una estrema variabilità spaziale e temporale, se ben interpretata ha fornito indicazione utili per comprendere la dinamica delle forme più mobili dell’azoto nel sistema suolo – pianta e per valutare la reale disponibilità delle forme assimilabili dell’elemento per le colture. I differenti sovesci hanno consentito di apportare al suolo, anticipatamente alla semina della coltura principale, quantità molto differenti di N, con i valori minimi (20 – 40 kg ha-1) nel caso del colza e valori più alti (130 – 150 kg ha-1) nel caso delle leguminose, in coltura pura od in associazione con graminacee. I valori di azoto minerale misurati nei terreni nei quali i sovesci avevano apportate le più alte quantità di azoto risultano paragonabili a quelli misurati nel terreno della tesi concimata con urea. Tuttavia, non è stata evidenziata alcuna relazione tra le differenti disponibilità di azoto a livello del terreno, le asportazioni dell’elemento e la produzione della coltura da rinnovo. Ringraziamenti Si ringraziano i tecnici dell’AIAB - CEDA per la conduzione agronomica dei campi sperimentali, ed in particolare il coordinatore, Dr. Leandro Dominicis. Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto “La razionalizzazione della fertilizzazione organica del suolo con particolare riguardo alle pratiche del sovescio in agricoltura biologica” finanziato dalla Regione Lazio (Reg. CEE n. 2052/88 e Reg. CEE n. 2081/93. DOCUP Obiettivo 5/b Lazio 1994/99. Avviso pubblico allegato alla DGR n. 5037/95. Asse I – Sottoprogramma 1 – Misura 1. Annualità 1996. Progetto n. 11106001). Bibliografia AA.VV. 1989. Covercrops for California Agriculture. University of California, Division of Agriculture and Natural Resources. Publication N. 21471. AA.VV. 1994. Perché coltivare le cover crops? Il sovescio: una tecnica antica per l’agricoltura moderna. Provincia di Pordenone, Servizio Agricoltura. ALTIERI M.A., NICHOLLS C.I., WOLFE M.S. 1996. Biodiversity - a central concept in organic agriculture: restraining pests and diseases. In: Fundamentals of Organic Agriculture, Proceedings of 11 th IFOAM International Scientific Conference, Copenhagen, (ed T.V. Østergaard), Vol. 1, pp. 91-112. ATALLAH T., LOPEZ-REAL J.M. 1991. Potential of green manure species in recycling nitrogen, phosphorus and potassium. Biological Agriculture and Horticulture, 8, 53-65. BIONDI F.A, DOWGIALLO G., DI DIO C., AVENA G.C. 1998. Carta dei suoli della Riserva Naturale di monte Rufeno. Università “La Sapienza” Roma, Regione Lazio, Riserva Naturale di monte Rufeno (In cor- Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico 79 so di pubblicazione). CANALI S. 1997. Aspetti tecnici e normativi della fertilizzazione in agricoltura biologica. In Atti del Seminario internazionale sull’agricoltura biologica e sostenibile nel Mediterraneo. Acireale (CT), 12-16 maggio (curatore F. Ancona). Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero, Catania, pp. 319-331. FRAGSTEIN von P. 1995. Manuring, manuring strategies, catch crops and N-fixation. In: Nitrogen Leaching in Ecological Agriculture, pp. 275-287. A B Academic Publishers, UK. GRIESS P. 1879. Benerkungen zuder abhandlung der HH. Weselski und Benedikt “Ueberieinige hzoverbindun”. Chem. Ber., 12, 426-428. ILOSVAY M.L. 1889. L’acide azoteux dans la salive et dans l’aire exhale. Bullettin de la Societé de Chimie, 2, 388-391. KAMPSHAKE L.J., HANNAH S.A., COMEN J.M. 1967. Automated analysis for nitrate by hydrazine reduction. Water Resource Research, 1, 205-216. KEENEY D.R., NELSON D.W. 1982. Nitrogen - Inorganic forms. In Methods of Soil Analysis: Part 2, Chemical and Microbiological Properties, 2nd edn (eds A.L. Page et al.), pp. 682-687. American Society of Agronomy, Madison, WI. LAURETI D., PIERI S. 1999. Fertilizzazione biologica del girasole. Supplemento a L’Informatore Agrario, 55 (10), 23-25. Legge n.748/84. Nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti. Supplemento ordinario n. 64 alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 6 novembre 1984. Regolamento CEE n. 2092/91, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari. Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. L 198 del 22 luglio 1991. Regolamento CEE n. 2081/93, che modifica il regolamento CEE n. 2052/88 relativo alla missione dei Fondi a finalità strutturali, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti. Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. L 193 del 31 luglio 1993. WALL L.L., GEHRKE C.W., NEUNER J.E., LATHEY R.D., REXNORD P.R. 1975. Cereal protein nitrogen: evaluation and comparison of four different methods. Journal Association Official Analitical Chemists, 58, 811-817. 81 VALUTAZIONE E DESCRIZIONE DELLA FERTILITÀ DI TERRENI MERIDIONALI MEDIANTE LA GEOSTATISTICA MULTIVARIATA Castrignanò A., Colucci R., Ferri D., La Cava P., Martinelli N., Stelluti M. Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani n.5 – 70125 Bari Riassunto La variazione spaziale, sempre presente nelle proprietà del suolo, causa una mancanza di omogeneità nella fertilità per cui, per garantire un livello accettabile di produttività, è necessario che le pratiche agronomiche siano adattate alle reali necessità locali sia del suolo che della coltura. In questo lavoro viene presentato un nuovo approccio, basato sulle più recenti tecniche geostatistiche multivariate, finalizzato alla descrizione, valutazione e mappatura della fertilità del suolo. L’area in studio ha riguardato una superficie di ~ 10000 ha, sita nell’agro di Foggia e vocata tradizionalmente alla coltivazione del frumento duro, che è stata fatta oggetto di un campionamento pedologico secondo una griglia a maglie approssimativamente quadrate di lato pari a ~ 1000 m. Al centro delle celle della griglia sono stati prelevati sia campioni indisturbati che disturbati, a due profondità 0-25 cm e 25-50 cm. I punti di prelievo sono stati georeferenziati utilizzando un sistema GPS palmare. I campioni sono stati quindi analizzati in laboratorio al fine di determinare i seguenti parametri: densità apparente, scheletro, tessitura, capacità di campo, punto di appassimento, conducibilità elettrica, pH, N-NO3, N-NH4 scambiabile, C organico, P assimilabile come P2O5, K scambiabile come K2O, Na, Mg e Ca. Per determinare e modellare la correlazione spaziale alcune variabili (scheletro, argilla, limo, riserva d’acqua disponibile, pH, C, N-NO3, P2O5, K e Ca), ritenute più influenti nel determinare la fertilità del territorio, sono state fatte oggetto di un’elaborazione di tipo geostatistico multivariato. Un modello lineare di coregionalizzazione, comprendente un nugget (componente casuale della variabilità spaziale, per distanze < 800 m), una struttura spaziale sferica (per distanze comprese fra 800 m e 4700 m) e un’altra struttura spaziale anch’essa sferica (per distanze comprese fra 4700 m e 7500 m), è stato adattato a tutti i semivariogrammi diretti e incrociati delle precedenti 10 variabili, opportunamente standardizzate a media 0 e varianza unitaria. Il kriging fattoriale (Factor kriging) è stato quindi applicato al fine di separare le diverse cause di variabilità della fertilità in funzione della scala spaziale. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 81-102 (2001) 82 Castrignanò et al. Il metodo precedente ha consentito di stimare un indice multivariato (I fattore regionalizzato), sufficiente a descrivere circa il 90% della variabilità spaziale complessiva per distanze superiori ai 4700 m. Alla definizione di questo indice influivano significativamente e positivamente l’argilla, la riserva idrica disponibile, il C, il pH e il Ca e negativamente lo scheletro, la P2O5 e il K, il che ha consentito di delimitare aree a diversa fertilità agronomica. I risultati di questo studio si rivelano interessanti per le implicazioni sulle strategie di conservazione della fertilità del suolo da adottare nelle aziende agricole ricadenti nell’area di studio. Parole chiave: agricoltura di precisione, fertilità, variabilità spaziale, geostatistica, kriging fattoriale Abstract - Fertility assessment and description of some soils in South Italy using multivariate geostatistics Spatial variability associated with all soil properties causes a loss of soil homogeneity. So, profitability in agriculture is related to how well agricultural inputs and practices are matched to localised conditions. In this paper we propose a new approach based on the most recent multivariate geostatistical techniques, aimed at the assessment, description and mapping of soil fertility. The study site covers a 10000-ha area, located in the countryside of Foggia (south Italy) and traditionally cropped with durum wheat. The area was submitted to systematic sampling, where points were located at quite regular intervals (~ 1000 m). At the nodes of sampling grid, soil samples were collected to two depths (25 and 50 cm) and analysed in laboratory to measure the following parameters: gravel, texture, field capacity, wilting point, electric conductivity, pH, N-NO3, N-NH4, organic carbon, available P (expressed as P2O5), exchangeable K (expressed as K2O), Na, Mg and Ca. The sampling points were georeferenced by GPS. Ten variables (gravel, clay, silt, AWC, pH, Organic carbon, N-NO3, P2O5, K2O and Ca) were standardised to 0 mean and 1 variance and used to fit a Linear Model of Coregionalization (LMC). Three spatial structures: were used: a nugget effect, a shortrange spherical structure (range=4700 m) and a long-range spherical structure (range = 7500 m). Factor kriging was used to estimate regionalized factors. The first longrange factor, in particular, which explained more than 90% of total variance, proved very useful in dividing the whole area in zones of different agronomic fertility. The proposed approach may be then applied successfully in soil fertility management. Key words: Precision agriculture, fertility, spatial variability, geostatistics, factor kriging. Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 83 1.0 Introduzione L’agricoltura di precisione e la sua implementazione in operazioni agronomiche variabili spazialmente rappresenta un argomento di grande interesse, sia per l’industria agricola che per il mondo della ricerca. L’idea forza è che la variabilità spaziale è presente in tutti i campi agricoli e di questo già da molto tempo gli scienziati del suolo e gli agricoltori ne erano a conoscenza. Nonostante ciò la concimazione, per esempio, dei principali macro-elementi nutritivi delle piante, azoto, fosforo e potassio, viene ancora praticata essenzialmente in modo empirico, senza tener conto delle reali necessità della coltura e della effettiva disponibilità di elementi nutritivi da parte del suolo. I servizi regionali di divulgazione agricola basano le loro indicazioni di fertilizzazioni su analisi di campioni compositi di suolo, ciascuno dei quali consiste in un certo numero di prelievi, all’interno di un’area ritenuta omogenea, che vengono poi mescolati insieme per produrre un’unica misura. Di conseguenza, per ciascun campo, si può fornire soltanto un’indicazione media relativa all’utilizzo dei fertilizzanti. Un tale modo di operare crea inevitabilmente problemi di vario tipo, con conseguenze negative sia a livello della coltura (carenze nutritive della pianta, riduzione della produzione) che dell’ambiente (lisciviazione dei soluti, rischio di inquinamento della falda freatica). Tra le colture erbacee estensive la barbabietola da zucchero, per esempio, è una che risente maggiormente degli apporti non adeguati di fertilizzanti, evidenziando perdite produttive di saccarosio o peggioramenti della qualità industriale. Attualmente l’introduzione dei computer in agricoltura, l’implementazione di software sofisticato sui comuni PC da tavolo o portatili e soprattutto la disponibilità di GPS (Global Positioning System) per la georeferenziazione dei dati hanno reso possibile l’applicazione dell’agricoltura di precisione, consistente essenzialmente nel modulare gli input alle colture agrarie, in funzione delle loro reali esigenze definite localmente. Per la realizzazione di operazioni agronomiche variabili spazialmente, quattro sub-sistemi sono essenziali: 1) un sistema di campionamento e analisi del suolo; 2) un sistema di posizionamento in campo; 3) un sistema di mappatura dell’area esaminata e, infine, 4) un meccanismo di applicazione di precisione dei vari input (acqua, diserbante, fertilizzante) con controllo automatico. Alla fase di rilievo dei dati spaziali dovrebbero seguire quindi quelle di analisi e di interpretazione delle misure, con successiva modellizzazione al fine di realizzare un valido strumento di supporto all’attività decisionale dell’agricoltore o del politico preposto alla tutela e pianificazione dell’ambiente. I risultati finali di un tale complesso processo conoscitivo saranno delle mappe 84 Castrignanò et al. di trattamento, che dovrebbero indirizzare le diverse operazioni agricole. Si può giustamente discutere sull’effettivo vantaggio economico derivabile, tuttavia un fatto indiscutibilmente positivo è che la conoscenza del territorio è un’idea chiave nell’agricoltura di precisione, che deve pertanto basarsi su un approccio razionale all’elaborazione dei dati. Tecniche geostatistiche sono state diffusamente utilizzate nella scienza del suolo per descrivere la struttura spaziale di determinate proprietà fisiche, chimiche e idrologiche del suolo (Mc Bratney e Webster, 1986; Goovaerts e Webster, 1994; Dobermann et al., 1995; 1997; Castrignanò et al., 1995; 1998; 1999a,b; Castrignanò et al., in corso di stampa). Una caratteristica fondamentale del paesaggio naturale è che esso mostra una variabilità spaziale che è l’effetto combinato di differenti processi, ciascuno dei quali agisce a determinate scale spaziali e temporali. Noi abbiamo applicato una tecnica particolare della geostatistica multivariata, il kriging fattoriale (FKA), in modo da separare le diverse sorgenti di variazione in funzione della scala spaziale a cui operano. Lo scopo di questo studio è stato appunto quello di ottenere dettagliate mappe di fertilità del suolo, il che rappresenta una premessa indispensabile alla definizione di piani ottimali di fertilizzazione. Il kriging fattoriale è stato anche impiegato per formulare ipotesi sui possibili processi responsabili della variabilità spaziale osservata della fertilità del suolo. 2.0 Materiale e Metodi 2.1 Descrizione del sito L’area di studio ha riguardato una estensione di circa 10000 ha situata in agro di Lucera (Foggia), ricadente in una zona del Tavoliere pugliese, che formatosi nel Quaternario si estende ad ovest della valle dell’Ofanto a separare le masse calcaree del Gargano e delle Murge. Essa si caratterizza per la presenza di ampi tavolati costituiti di depositi marini terrazzati del Pleistocene medio, che verso l’interno si addossano alle Argille subappenniniche del Pleistocene inferiore corrispondenti ai paesaggi collinari a morfologia piuttosto dolce e regolare, con quote non elevate e clima piuttosto arido. Per quanto riguarda il pedoclima, il regime di umidità dei suoli è generalmente di tipo Xerico, mentre quello termico è classificato come Thermic. Per la caratterizzazione pedologica si è fatto riferimento alla carta pedo-paesaggistica della regione Puglia, in cui le unità paesaggistiche risultano omogenee essenzialmente per geolitologia, geomorfologia, altimetria relativa, pendenza, uso del suolo, forma e densità del reticolo di drenaggio, Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 85 erosione e deposizione e solo in misura più limitata, a causa dell’esiguità delle informazioni, per tipologie pedologiche. L’area in studio ricade nel sistema di paesaggio del Tavoliere delle Puglie, in particolare nel sottosistema dell’alto Tavoliere, e le unità di paesaggio riguardano aree sommitali a morfologia pianeggiante o subpianeggiante. Le quote variano fra i 100 e i 350 m s.l. e l’uso del suolo è principalmente a seminativi e subordinatamente a oliveti. Il substrato geolitologico comprende conglomerati poligenici incoerenti o ciottolame incoerente del Pleistocene. I suoli variano da scarsamente calcarei a calcarei, da moderatamente profondi a molto profondi, la tessitura da moderatamente fine a fine, lo scheletro da abbondante a molto abbondante negli orizzonti profondi, mentre la pietrosità superficiale generalmente è scarsa e solo occasionalmente diviene più elevata. Si registra talora anche la presenza di orizzonti di accumulo di carbonati o di un orizzonte petrocalcico, seppure di spessore alquanto limitato (1-3 cm). I suoli sono stati generalmente classificati come Haploxeralfs, Argixerolls e Haploxerolls (USDA, 1995). 2.2 Campionamento e misure Una griglia approssimativamente regolare di 1 km x 1 km è stata stabilita sul campo, producendo 118 punti di campionamento (fig. 1). Al centro di ciascuna cella sono stati prelevati campioni indisturbati (7 cm x 5 cm) e disturbati, a due profondità 0-25 cm e 25-50 cm nel novembre 1997. A ciascuna profondità i campioni disturbati prelevati in punti diversi, nel raggio di circa 1 m, furono quindi mescolati insieme per produrre un unico campione composito. I punti di prelievo sono stati georeferenziati utilizzando un sistema GPS palmare del tipo GeoExplorer II della Trimble e la registrazione è stata effettuata, per un periodo continuato di almeno 15 min., solo quando 5 o più satelliti erano visibili (più di 15° al di sopra dell’orizzonte), e il PDOP (Position Dilution of Precision), che è un’indicazione della geometria dei satelliti, era inferiore a 6. I dati sono stati quindi elaborati con il software Pathfinder Office della Trimble, che fa riferimento come ellissoide matematico al WGS-84 (World Geodetic System - 1984) e converte da coordinate geografiche a coordinate locali UTM, che utilizzano il sistema di proiezione trasversale Mercatore. I dati sono stati quindi mediati e le deviazioni standard sono variate fra 12 e 81 m. I campioni di suolo sono stati quindi analizzati in laboratorio al fine di determinare i seguenti parametri: scheletro (% vol) (SCHEL), sabbia grossa (0.2-2 mm, % ) (SG), sabbia fine (0.050.2 mm, %) (SF), limo grosso (0.02-0.05 mm, %) (LG), limo fino (0.0020.02 mm, % ) (LF), argilla (< 2 µm, %) (ARG), capacità di campo (% p.s.) (CC), punto di appassimento (% p.s.) (PA), conducibilità elettrica (dSm-1) (CE), pH, N-NO3 (mg kg-1) (NO3), N-NH4 scambiabile (mg kg-1) (NH4), car- 86 Castrignanò et al. bonio organico (mg kg-1) (CO), P assimilabile come P2O5 (mg kg-1) (P2O5), K scambiabile come K2O (mg kg-1) (K), Na (mg kg-1) (NA), Mg (mg kg-1) (MG), Ca (mg kg-1) (CA). Fig.1 - Schema di campionamento. Fig. 1 - Sampling design 96000 95000 94000 93000 92000 91000 90000 89000 88000 87000 86000 85000 84000 18000 19000 20000 21000 22000 23000 24000 25000 26000 27000 28000 29000 30000 31000 32000 33000 34000 Per quanto riguarda le metodiche adottate sono state quelle ufficializzate dal D.M. dell’11 maggio 1992 (G.U. n° 121, 25 maggio 1992) per i metodi di analisi chimica del suolo e del D.M. del 1 agosto 1997 (G.U. n° 204 del 2 settembre 1997) per quelli di analisi fisica. I dati analitici sono stati quindi elaborati secondo le procedure della statistica classica per la caratterizzazione della variazione spaziale campionaria. 2.3 Analisi di coregionalizzazione Si è svolta un’analisi geostatistica multivariata limitatamente allo strato più superficiale su un numero più ristretto di 10 proprietà fisicochimiche del suolo: scheletro, limo totale (LIMO), argilla, acqua disponibile (AWC), carbonio organico, P, K, Na, Mg e Ca. La scelta è ricaduta sulle precedenti variabili in quanto ritenute più influenti a caratterizzare la fertilità fisico.chimica di questi suoli, principalmente di tipo limoso-argilloso, con elevati contenuti di argilla e conseguentemente significative concentrazioni di cationi adsorbiti sul complesso di scambio. Si è voluto anche includere lo scheletro, in quanto in alcuni suoli si è registrata una notevole presenza di 87 Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata pietre sia in superficie che in profondità. Sono state considerate anche le principali componenti della fertilità agronomica (P, K e carbonio organico), mentre si sono omessi il pH, in quanto è risultato sufficientemente omogeneo, N-NO3 e N-NH4, per la loro natura estremamente dinamica e la conducibilità elettrica per i suoi valori generalmente molto bassi. Quattro variabili (scheletro, P, Na e Mg) sono state trasformate ai logaritmi naturali (LSCHEL; LP2O5, LNA, LMG) ed inoltre tutte le 10 variabili sono state standardizzate a media zero e varianza unitaria. Sono stati quindi calcolati i coefficienti di correlazione ed è stata svolta un’analisi alle componenti principali, seguita da una rotazione VARIMAX, sulla matrice di varianza-covarianza. Questo approccio della statistica classica trascura però le relazioni spaziali fra le variabili, mentre l’esame dei variogrammi diretti e incrociati ha mostrato come la correlazione fra le suddette variabili non sia di tipo intrinseco (Wackernagel, 1994), ovvero con tutti i variogrammi proporzionali ad una stessa funzione di correlazione di base. Si è applicata pertanto la procedura del kriging fattoriale (FKA), al fine di distinguere i vari processi spaziali sulla base delle strutture di correlazione delle variabili in studio. I principi teorici alla base della FKA e di altre procedure geostatistiche multivariate sono state ampiamente descritte in pubblicazioni specifiche (Matheron, 1982; Wackernagel, 1995; Goovaerts, 1997) e ad esse il lettore interessato può fare riferimento per ulteriori approfondimenti. Qui ci limiteremo ad indicare le fasi principali dell’analisi di coregionalizzazione come è stata applicata ai nostri dati. Sia [zi(xα ); i=1,. . . , p; (=1, . . . , N] l’insieme delle p variabili del suolo (p=10 nel nostro caso) zi misurate alle stesse N (N=118) postazioni. Questo insieme di valori misurati georeferenziati costituisce una particolare “realizzazione” delle p funzioni casuali [Zi(x), i=1,. . . ,p]. Analizzare la coregionalizzazione delle p variabili comprende le seguenti fasi: • Calcolo della matrice dei variogrammi sperimentali. La matrice dei va) riogrammi sperimentali Γ (h) è una matrice simmetrica pxp, in cui gli elementi diagonali e quelli non diagonali rappresentano, rispettivamente, i variogrammi diretti e incrociati calcolati per un dato vettore distanza h (lag) fra coppie di postazioni: γˆ11 (h ) LLLL γˆ1 p (h ) ) Γ (h ) = M M γˆ p1 (h ) LLLL γˆ pp (h ) [1] ove i variogrammi sperimentali diretti e incrociati sono calcolati in base alla formula seguente: 88 γˆij (h ) = Castrignanò et al. { } 1 Nh ∑ {zi (xα ) − zi (xα + h )} z j (xα ) − z j (xα + h) 2 N h α =1 [2] ove h è il lag , Nh il numero delle coppie di valori corrispondenti ad un dato modulo e ad una data direzione del vettore h ed i e j sono due indici che individuano le variabili. • Modello della matrice dei variogrammi. Tutti i variogrammi diretti e incrociati vengono quindi modellati sotto forma di combinazioni lineari di uno stesso insieme di NS funzioni di base di variogramma gu(h) (u-ma struttura): Ns γ ij (h ) = ∑ biju g u (h ) [3] u =1 ove u è un indice che si riferisce ad una particolare scala spaziale. Il cosiddetto modello lineare di coregionalizzazione (LMC) può essere espresso sotto forma matriciale: Ns Γ (h ) = ∑ B u g u (h ) [4] u =1 ove Γ(h) è la matrice pxp dei variogrammi e Bu è una matrice semi-definita positiva dei coefficienti buij, detta matrice di coregionalizzazione (Goovaerts, 1992). Adottare il modello lineare di coregionalizzazione equivale ad assumere l’ipotesi che tutti i processi fisici e chimici nel suolo agiscano additivamente alle loro scale spaziali caratteristiche e che i coefficienti buij costituiscano una misura dell’influenza delle variabili considerate sul particolare processo spaziale. L’adattamento matematico del LMC procede nel modo seguente: 1. Scegliere il più piccolo insieme di strutture di base che definiscano le principali caratteristiche dei variogrammi sperimentali. Generalmente solo alcune funzioni di base gu(h) (un effetto di nugget e una o due funzioni matematiche consentite) sono sufficienti. Questa fase si avvale delle conoscenze degli esperti del fenomeno in studio (geologi, pedologi, agronomi, ambientalisti) ed è in un certo senso abbastanza intuitiva. 2. Stimare il contributo (sill) delle strutture di base a ciascun modello sotto la condizione fondamentale che le matrici di coregionalizzazione Bu siano semi-definite positive. Il modello LMC fu adattato usando una procedu- Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 89 ra iterativa, sviluppata da Goulard e Voltz, (1992). La somma pesata dei residui al quadrato è stata usata come criterio di confronto fra i numerosi tentativi di adattamento del modello. • Analizzare le matrici di coregionalizzazione. Ciascuna matrice di coregionalizzazione Bu descrive le relazioni fra le p variabili alla scala spaziale u, definite sulla base delle funzioni elementari di variogramma gu(h). Una misura adimensionale delle correlazioni fra le variabili Zi e Zj alla scala spaziale u è il coefficiente di correlazione strutturale ρuij, così definito: ρ = u ij biju biiu ⋅ b ujj [5] Mentre il coefficiente classico di correlazione misura globalmente le relazioni fra le variabili, i coefficienti di correlazione strutturali si focalizzano su una scala spaziale specifica, filtrando l’effetto delle altre scale di variazione. I coefficienti ρuij, comunque, dipendono dall’inferenza del modello di coregionalizzazione e, pertanto, contengono già implicitamente delle assunzioni sul processo in studio. Per esprimere sinteticamente le relazioni fra le variabili alle diverse scale spaziali u, si è applicata un’analisi alle componenti principali (PCA) a ciascuna matrice di coregionalizzazione Bu (Wackernagel, 1989). L’applicazione classica della PCA alla matrice di varianza-covarianza, indipendentemente dalla scala spaziale, consente di estrarre dei fattori che esprimono le principali caratteristiche dei dati, ma mediate su tutte le scale spaziali. Nel caso in cui le strutture spaziali cambino con la scala, la PCA, applicata singolarmente a ciascuna matrice di coregionalizzazione, produce un insieme di fattori regionalizzati per ciascuna scala, consentendo così di distinguere fra i processi che causano variazione a corto e a lungo raggio. L’interpretazione dei fattori regionalizzati si basa su: 1) la loro correlazione con le variabili originarie; 2) le conoscenze degli esperti sui processi genetici del suolo e 3) l’insieme delle mappe dei fattori ottenute con il cokriging. 3.0 Risultati e Discussione 3.1 Misura della variabilità spaziale L’area in studio mostrava una elevata eterogeneità nelle sue proprietà fisiche e chimiche ad eccezione del pH (tab. 1). Solo ARG, CC, PA, 90 Castrignanò et al. CO, la sabbia totale (SAB), LIMO, AWC risultavano normalmente distribuite, secondo il test di Shapiro-Wilk (1965) al livello di probabilità p>0.90. Le variabili SCHEL, SF, CE, NH4, NA, MG e P2O5 furono trasformate nei logaritmi naturali, in quanto risultavano positivamente asimmetriche. Tale trasformazione, tuttavia, non è risultata sufficiente a centrare la distribuzione di NH4 e ha normalizzato solamente le distribuzioni di SF e MG. Lo strato più superficiale del suolo presentava una eccezionale variabilità nelle componenti più grossolane della granulometria e nei costituenti chimici della fertilità (N-NO3, N-NH4, P2O5). In particolare per i composti azotati concentrazioni particolarmente alte furono misurate in alcune locazioni. Tabella 1 - Statistica descrittiva delle proprietà del suolo. Table 1: Simple statistics of the soil properties Variabile Media Min Max STDV Skweness CV SCHEL (% Vol) SG (%) SF (%) SAB (%) LG (%) LF (%) LIMO (%) ARG (%) CE dSm-1 CC (% p.s.) PA (% p.s.) AWC (% p.s.) pH NO3 (mg kg -1) NH4 (mg kg -1) CO (mg kg -1) P2O5 (mg kg -1) K (mg kg -1) NA (mg kg -1) MG (mg kg -1) CA (mg kg -1) 6.18 4.98 14.76 19.74 12.15 26.45 38.60 41.59 0.29 33.39 19.59 13.79 8.00 114.12 3.22 1.36 44.05 78.67 4.37 58.98 619.96 0.02 0.34 5.27 6.32 4.38 15.63 25.31 19.96 0.16 19.38 12.37 7.01 7.19 1.32 0 0.68 2.90 22.50 1.25 32.75 298.75 35.79 13.89 34.25 39.96 22.92 41.41 54.94 62.63 0.86 46.35 26.33 22.37 8.57 569.57 35.62 2.17 172.67 152.25 23.25 113.25 939.00 8.47 2.62 4.82 6.06 3.44 5.57 6.39 8.23 0.96 3.92 2.78 2.49 0.25 107.51 3.84 0.28 28.04 24.33 3.10 16.43 170.74 1.85 0.77 1.14 0.53 0.80 0.27 0.12 0.06 2.46 -0.04 -0.26 0.31 -0.83 2.05 6.28 0.14 1.60 0.61 3.06 1.06 -0.41 136.93 52.57 32.64 30.70 28.35 21.07 16.55 19.78 32.66 11.75 14.20 18.07 3.17 94.21 119.20 20.88 63.65 30.92 71.03 27.86 22.70 -3.91 1.66 5.09 -0.40 0.22 3.49 1.06 3.58 3.53 6.76 3.57 3.15 4.73 5.15 1.82 0.32 0.28 0.59 0.54 0.27 0.75 -0.41 0.01 0.94 1.25 0.67 0.26 -0.98 272.72 11.93 4.88 60.23 41.35 6.56 21.03 Trasformate logaritmiche LSCHEL 0.66 LSF 2.64 LCE 5.64 LNH4 0.97 LNA 1.31 LMG 4.04 LP2O5 3.56 Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 91 3.2 Modello di coregionalizzazione Molto verosimilmente due sono le cause principali che determinano la variabilità spaziale delle proprietà studiate del sito in esame: 1) una a più corto raggio, legata alla gestione agronomica del suolo (tipo di lavorazioni; concimazioni azotata, fosfatica e potassica; rotazioni) e 2) l’altra a raggio maggiore, più propriamente correlata ai fattori che hanno contribuito alla formazione dei suoli (materiale genetico, topografia, tessitura, classe di drenaggio, contenuto in sostanza organica, pendenza, classificazione tassonomica). Allo scopo di separare queste diverse fonti di variazione e caratterizzarle più approfonditamente, è stata svolta un’analisi multivariata di coregionalizzazione. I variogrammi diretti e alcuni dei 45 variogrammi incrociati delle 10 variabili standardizzate in studio, unitamente al modello lineare adattato di coregionalizzazione (linea continua), sono mostrati in figg. 2 e 3. Eccetto CO e LP2O5 tutti i variogrammi diretti presentano effetti di nugget variabili fra il 20 e il 60% della varianza campionaria. Possiamo distinguere essenzialmente due tipi di variogrammi: 1) ARG, CO, LP2O5 e CA presentano generalmente 3 distinte strutture: l’effetto di nugget, più o meno accentuato, una componente a corto raggio che raggiunge un sill a circa 3000 m e un aumento più o meno pronunciato e continuo fino a distanze maggiori, rivelando l’esistenza di una struttura a più lungo raggio, che raggiunge il sill a circa 7500 m; 2) le rimanenti variabili sono semplicemente caratterizzate da un effetto nugget e da una sola struttura spaziale a corto raggio (range ~ 3000 m). Tutti i variogrammi sperimentali, sia diretti che incrociati, furono pertanto modellati come la somma di tre strutture spaziali: 1) un effetto nugget; 2) una struttura sferica a corto raggio con range uguale a 3000 m e 3) una struttura sferica a lungo raggio con range uguale a 7500 m: 3 h 1 h 3 2 3 h 1 h 3 γ ij (h ) = bij0 + bij1 − + bij − 2 7500 2 7500 2 3000 2 3000 3 h 1 h 3 γ ij (h ) = bij0 + bij1 + bij2 − 2 7500 2 7500 γ ij (h ) = bij0 + bij1 + bij2 per h > 7500 per 0 < h ≤ 3000 per 3000 < h ≤ 7500 [6] dove b0ij è la varianza di nugget; b1ij e b2ij le varianze di sill, rispettivamente della struttura sferica a corto e a lungo raggio; gli apici (0, 1, 2) indicano le diverse scale spaziali. 92 Castrignanò et al. Fig. 2 - Variogrammi sperimentali diretti (punti) e modello lineare di coregionalizzazione (linea continua). Fig. 2 - Experimental Auto-variograms (dots) and fitted Linear Modell of coregionalization (continuos line) LP2O 5 L S C H EL 1.2 1.2 1 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 K LIMO 1.2 1.2 1 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 ARG LNA 1.4 1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 1.4 1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 LMG AWC 1.2 1.4 1.2 1 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 CA CO 1.4 1.4 1.2 1 1.2 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 0 2000 4000 lag ( m ) 6000 8000 0 2000 4000 lag (m ) 6000 8000 Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 93 Fig. 3 - Variogrammi sperimentali incrociati (punti) e modello lineare di coregionalizzazione (linea continua). Fig. 3 - Experimental Cross-variograms (dots) and fitted Linear Modell of coregionalization (continuos line) L S H EL - LIMO K - ARG 0.4 0.5 0.3 0.4 0.3 0.2 0.2 0.1 0.1 0 0 A R G - LSC H EL K - CO 0 0.5 -0.1 0.4 0.3 -0.2 0.2 -0.3 0.1 -0.4 0 -0.5 -0.1 A W C - ARG LNA - K 0.3 0.6 0.25 0.5 0.2 0.4 0.15 0.3 0.1 0.2 0.05 0.1 0 0 C O - ARG LMG - K 0.3 0.35 0.3 0.2 0.25 0.1 0.2 0 0.15 -0.1 0.1 -0.2 0.05 -0.3 0 LP2O 5 - C O C A - LNA 0.5 0.2 0.15 0.1 0.05 0 -0.05 -0.1 -0.15 0.4 0.3 0.2 0.1 0 -0.1 0 2000 4000 lag ( m ) 6000 8000 0 2000 4000 lag (m) 6000 8000 94 Castrignanò et al. In base alle nostre ipotesi precedenti, la struttura a corto raggio dovrebbe derivare essenzialmente dall’estrema variabilità del materiale pietroso mostrata dai suoli in esame e dalla fertilizzazione agronomica. Ciò sembra confermato dal notevole contributo di questa struttura nei variogrammi diretti di LSCHEL e di LNA, LMG e K, che rappresentano i cationi derivanti in parte dalle fertilizzazioni e che vengono adsorbiti sul complesso di scambio. La struttura a più lungo raggio, d’altra parte , è presente nella variazione di ARG, CO, LP2O5 e CA e sembra pertanto più legata alle caratteristiche tassonomiche dei suoli. 3.3 Coefficienti di correlazione strutturali Per la struttura spaziale relativa all’effetto nugget (distanze< 800 m), le correlazioni fra molte coppie di variabili sono risultate elevate e significative al livello di probabilità p<0.05 (tab. 2). Tabella 2 - Coefficienti strutturali relativi alle 3 strutture spaziali e coefficienti di correlazione. Table 2: Structural coefficients relative to the three spatial structures and Pearson correlation coefficients Struttura 1 LSCHEL LIMO LSCHEL LIMO ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA Struttura 2 1 0.90 1 LSCHEL LIMO LSCHEL LIMO ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA 1 -0.41 1 ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA -0.85 -0.94 1 -0.11 -0.23 0.06 1 0.76 0.89 -0.81 -0.50 1 0.03 -0.22 0.44 -0.21 -0.03 1 -0.43 -0.42 0.56 -0.60 1E-3 0.65 1 0.21 -1E-3 0.29 -0.44 0.07 0.87 0.49 1 -0.70 -0.81 0.87 -0.13 -0.50 0.65 0.84 0.38 1 -0.31 -0.55 0.63 0.43 -0.74 0.50 0.01 0.49 0.42 1 ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA -0.22 -0.31 1 0.09 0.22 0.28 1 0.25 -0.52 0.54 0.23 1 0.07 -0.16 0.02 -0.01 0.34 1 0.02 -0.10 0.13 0.62 0.61 0.39 1 -0.44 -0.09 0.33 0.53 0.11 -0.18 0.36 1 -0.27 0.39 3E-4 0.27 -0.09 -0.23 -0.14 0.52 1 0.36 -0.26 0.32 0.28 0.84 -0.10 0.49 0.01 0.04 1 95 Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata Struttura 3 ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA LSCHEL 1 0.56 0.46 LIMO 1 -0.23 ARG 1 AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA Coefficienti di correlazione LSCHEL LIMO -0.74 -0.94 -0.12 1 0.68 -0.11 0.95 -0.22 1 0.11 0.51 0.29 -0.62 0.12 1 -0.58 -0.14 0.13 0.11 -0.18 0.71 1 -0.58 0.31 -0.91 0.01 -0.97 0.11 0.28 1 -0.64 -0.17 -0.92 0.50 -0.89 -0.56 -0.16 0.75 1 0.90 0.29 0.80 -0.58 0.92 0.26 -0.30 -0.82 -0.89 1 LSCHEL LIMO LSCHEL LIMO ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA 1 0.05 1 ARG AWC CO LP2O5 K LNA LMG CA -0.39 -0.66 1 -0.03 0.01 0.19 1 0.35 -0.07 0.13 0.07 1 0.15 -0.04 -0.03 -0.09 0.23 1 -0.12 -0.26 0.31 0.11 0.30 0.42 1 -0.21 0.02 0.18 0.15 -0.17 0.06 0.41 1 -0.37 -0.14 0.32 0.16 -0.27 -0.16 0.19 0.48 1 0.24 -0.31 0.48 0.27 0.58 -0.06 0.16 3E-3 0.06 1 La variabile LSCHEL è risultata positivamente correlata con il LIMO, ma negativamente con l’ARG; LIMO negativamente correlato con ARG e MG, ma negativamente con CO; ARG, contrariamente a LIMO, negativamente con CO e positivamente con MG. L’AWC è risultata poco correlata con tutte le variabili, fatta eccezione della correlazione negativa con K: molto probabilmente ciò è dovuto alla sua variabilità essenzialmente di tipo casuale, senza la presenza di chiare strutture spaziali. CO oltre alle citate correlazioni con ARG e LIMO è risultato negativamente correlato con CA; LP2O5 in generale poco legato alle altre variabili, ad eccezione di NA, con cui è correlato positivamente ; lo stesso vale anche per K correlato significativamente e positivamente solo con MG; NA è poco correlato con gli altri cationi del complesso di scambio, mentre risulta correlato, come già osservato, con il P; MG, oltre ad essere legato alle componenti granulometriche della matrice solida del suolo, è correlato a K e, infine, CA è risultato anch’esso poco correlato ad eccezione della citata correlazione negativa con CO. Tutto questo complesso insieme di correlazioni sembra essere collegato alla diversa gestione agronomica dei vari campi, in particolare alle concima- 96 Castrignanò et al. zioni e alla presenza di residui colturali che producono aree circoscritte di materiale organico ricco in P, K , Ca e Mg. Filtrando l’effetto di nugget, diminuisce drasticamente il numero delle correlazioni significative e la correlazione CA-CO cambia di segno e diviene più intensa. Questo fatto può essere imputato a variazioni nella sostanza organica a fungere da riserva di Ca potenzialmente assimilabile dalle piante. A distanze superiori ai 3000 m aumentano nuovamente il numero e l’intensità delle correlazioni: le componenti granulometriche risultano fortemente correlate, rispettivamente, LSCHEL positivamente con CA, LIMO negativamente con AWC e ARG positivamente con CO. Per quanto riguarda l’argilla essa risulta negativamente correlata con i cationi del complesso di scambio Na e Mg, ma positivamente con Ca, il che sta ad indicare una certa competizione fra i vari cationi relativamente alla loro presenza sul complesso di scambio. La quantità di acqua disponibile appare negativamente influenzata dal contenuto in limo e dalla presenza di scheletro; per quanto riguarda CO si intensifica la sua correlazione positiva con CA e negativa con LNA e LMG. Anche in questo caso, pertanto, si osservano proprietà antagoniste fra il Na e Mg da una parte e il Ca dall’altra. P e K come al solito appaiono poco correlati, mentre sussiste una certa correlazione fra di loro (0.71). Le intense correlazioni negative LNA-CA e LMG-CA confermano le già citate proprietà antagoniste fra questi cationi. Le numerose e intense correlazioni, sia positive che negative registrate alle distanze maggiori, stanno ad indicare l’esistenza di ben definite strutture di correlazione, molto probabilmente legate alla natura geologica e morfologica dell’area in esame. L’analisi dei coefficienti di correlazione strutturali ha mostrato chiaramente come le strutture di correlazione varino in funzione della scala spaziale. In casi quindi di correlazione non-intrinseca il coefficiente di correlazione classico, che media su tutte le scale spaziali, non può fornirci delle informazioni precise sui processi in atto; esso, inoltre, risulta fortemente influenzato dalle correlazioni contenute nell’effetto di nugget. Quest’ultimo, d’altra parte, comprende sempre una componente non nota di varianza attribuibile agli errori di misura, per cui l’uso del coefficiente di correlazione classico rischia di mascherare in parte le effettive relazioni fra le variabili. Dall’esame della tab. 2 si nota infatti che la maggior parte delle correlazioni, stimate sulla base dei valori del coefficiente di correlazione classico, sono risultate di scarso rilievo. Le uniche degne di una qualche considerazione sono: ARG-LIMO (-0.66), che nell’analisi strutturale è risultata significativa solo a livello di nugget, per poi diminuire progressivamente a distanze maggiori; LNA-LMG (0.48), che nell’analisi strutturale aumentava progressivamente in funzione della scala (0.38; 0.52; 0.75); CA-CO (0.58), che nell’analisi strutturale cambia addirittura di segno, intensificandosi al cre- Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 97 scere della distanza. Questo variegato schema di correlazioni ci può far intuire la complessità dei processi fisici, chimici e biologici che avvengono nel suolo. A rendere più difficile il compito di interpretazione dei risultati ottenuti contribuisce il fatto che tutte le procedure di misura, dal campionamento alla stima, sono affette da errore, come si evidenzia dai valori generalmente elevati di nugget dei variogrammi diretti (figg.2 e 3). La tecnica FKA, filtrando le diverse componenti spaziali, consente di rimuovere questo tipo di rumore e di concentrare la nostra attenzione sui reali processi che causano differenze nelle proprietà fisiche e chimiche del suolo, piuttosto che limitare la nostra analisi ad un’uscita che deriva da un processo di mediazione su numerosi processi, così come si è fatto in passato. 3.4 Fattori regionalizzati Un’analisi alle componenti principali è stata svolta sia sulla matrice classica di correlazione che su ciascuna matrice di correlazione (B0, B1, B2) e per ciascun caso le correlazioni fra i primi due fattori regionalizzati e le variabili originarie sono state illustrate in cerchi di raggio unitario, detti cerchi di correlazione (fig. 4). I primi due fattori spiegano più dell’82% della varianza di nugget e sono altamente correlati: il primo all’argilla e al magnesio e negativamente al limo e in minor misura al carbonio organico; il secondo negativamente al contenuto di acqua disponibile e in minor misura e positivamente al potassio. Rappresentano principalmente la variazione a livello di campo, causata da differenze nella gestione agronomica delle concimazioni, del diserbo, delle lavorazioni, dell’interramento dei residui colturali o degli avvicendamenti colturali. Essa abbraccia anche una parte della variazione naturale legata alla diversa composizione granulometrica e la varianza d’errore, inevitabilmente associata a tutte le procedure di misura, sia in campo che in laboratorio, e di stima. Per quanto riguarda la componente a corto raggio (800-3000 m), i primi due fattori spiegano solo il 55% della varianza a questa scala: il primo fattore è fortemente correlato con CO e K e in minor misura con CA; il secondo, invece, con LNA e LMG. Data l’ortogonalità dei due fattori, possiamo affermare che anche l’analisi FKA ha confermato l’alta affinità fra CO e CA, contrapposta al ruolo svolto dagli altri due cationi del complesso di scambio, Na e Mg, nel definire la fertilità chimica del suolo a questa scala spaziale. Il primo fattore comprende quindi gli effetti positivi su carbonio organico, potassio e calcio, derivanti dalle concimazioni e dall’interramento dei residui colturali. La mappa del 1 fattore, ottenuta con il cokriging (fig. 5a), mostra numerose aree di estensione limitata, soprattutto nella fascia trasversale mediana, caratterizzate da elevati valori di carbonio organico e del- 98 Castrignanò et al. le basi estraibili K e Ca. Il fattore 2 (fig. 5b) mostra anomalie locali nel contenuto di Na e Mg ed è caratterizzato da una estrema variabilità, con zone ad alta e bassa concentrazione dei due cationi spesso molto ravvicinate. Fig. 4 - Cerchi di correlazione calcolati dalle 3 matrici di coregionalizzazione e dalla matrice di varianza-covarianza. Fig. 4 - Correlation circles estimated from the three coregionalizated matrices and from the variance-covariance matrix. Struttura sferica (3000 m) Nugget effect PC2 (24.25%) PC2 (25.07%) LMG LNA K CO LNA LP2O5 LIMO LSCHEL AWC LIMO ARG LMG PC1 (57.31%) K CA CO ARG PC1 (30.53%) LP2O5 CA LSCHEL AWC Matrice di correlazione Struttura sferica (7500 m) PC2 (34.53%) PC2 (13.89%) LP2O5 LIMO CO LSCHEL K CA LNA LSCHEL LP2O5 CA ARG CO LMG K PC1 (75.82%) LIMO PC1 (45.62%) AWC ARG LNA LMG AWC A differenza del primo fattore, che mostra anche una maggiore continuità spaziale, le aree ad alta concentrazione sembrano disporsi alla periferia di un’ampia zona centrale, quindi approssimativamente in maniera simmetrica rispetto a quelle ad alti valori del 1 fattore. Generalmente una variazione a corto raggio di questo tipo deriva dalla sovrapposizione di più processi naturali di differenziazione dei suoli, che possono essere meglio evidenziati analizzando le strutture spaziali a più lungo raggio. A questa scala i primi due fattori spiegano circa il 90% della varianza: il primo fattore è fortemente e positivamente correlato con l’argilla, lo scheletro, il carbonio organico e negativamente col Na e il Mg. Anche questa volta emerge l’affini- Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 99 tà fra carbonio organico e Ca e l’antagonismo di quest’ultimo con Na e Mg. Il secondo fattore è invece positivamente correlato con il P, ma negativamente e in minor misura con l’acqua disponibile. Fig. 5 - Mappe di cokriging del primo (a) e del secondo (b) fattore regionalizzato associati alla struttura spaziale a corto raggio (3000 m). Fig. 5 - Cokriging maps of the first (a) and the second (b) regionalized factor related to short-range variation. 94000.00 2.50 2.00 92000.00 1.50 1.00 90000.00 0.50 (a) 0.00 -0.50 88000.00 -1.00 -1.50 86000.00 -2.00 -2.50 84000.00 18000.00 -3.00 22000.00 26000.00 30000.00 94000.00 2.20 1.76 1.32 0.88 0.44 92000.00 (b) 90000.00 -0.00 -0.44 -0.88 -1.32 -1.76 -2.20 88000.00 86000.00 84000.00 18000.00 22000.00 26000.00 30000.00 La mappa del 1 fattore (fig. 6a) evidenzia la presenza di una ben definita struttura spaziale nel settore N-W, caratterizzata dai più alti contenuti in argilla, sostanza organica e Ca, che potremmo quindi classificare come più fertile. La distribuzione spaziale cambia completamente quando si esamina la mappa del fattore 2 (fig. 6b), caratterizzata da una maggiore variabilità anche su brevi distanze. E’ ancora possibile, tuttavia, evidenziare una struttura spaziale ben differenziata nella parte orientale del campo, caratterizzata dai più alti valori di P assimilabile ma dai più bassi contenuti di acqua disponibile. Colture cresciute in questa parte del campo, pur avvantaggiandosi di una maggiore dotazione di P, possono andare soggette a stress idrici in corrispondenza ai frequenti periodi di siccità estiva. I bassi valori di AWC sono da imputarsi alla notevole presenza di materiale pietroso, sia in superficie che in profondità, o all’esistenza talora di un orizzonte di accumulo di carbonati an- 100 Castrignanò et al. che a profondità abbastanza superficiali. Si noti come nella parte occidentale del campo, proprio in corrispondenza della citata struttura a maggiore fertilità chimica (fig. 6a), si registrino i valori più bassi del fattore 2. Fig. 6 - Mappe di cokriging del primo (a) e del secondo (b) fattore regionalizzato associati alla struttura spaziale a lungo raggio (7500 m). Fig. 6 - Cokriging maps of the first (a) and the second (b) regionalized factor related to long-range variation. 94000.00 2.00 1.50 92000.00 1.00 0.50 90000.00 0.00 (a) -0.50 88000.00 -1.00 -1.50 86000.00 -2.00 -2.50 84000.00 18000.00 -3.00 22000.00 26000.00 30000.00 94000.00 0.80 0.61 92000.00 0.42 (b) 0.23 90000.00 0.04 -0.15 88000.00 -0.34 -0.53 86000.00 -0.72 -0.91 84000.00 18000.00 -1.10 22000.00 26000.00 30000.00 Data la correlazione negativa di questo fattore con AWC, si può dire che questa struttura è caratterizzata anche da una maggiore disponibilità di acqua alle colture, che vanno soggette pertanto a minori rischi di stress idrici. Concludiamo, quindi, affermando che le componenti a lungo raggio dei due fattori hanno ben evidenziato l’esistenza di due estese strutture spaziali, con proprietà chiaramente differenziate: esse ci aiutano pertanto nella comprensione della genesi del suolo, correlandone il comportamento superficiale alle diverse proprietà delle rocce che ne costituiscono il substrato. I risultati dell’analisi classica alle componenti principali, basata sulla matrice di correlazione (fig. 4), non permettono di distinguere fra i processi spaziali che si manifestano alle diverse scale spaziali. I primi due Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata 101 fattori, pur spiegando ~ 80% della varianza totale, non descrivono appieno le relazioni fra le variabili. Il primo fattore è correlato positivamente con ARG e negativamente con LIMO. Potrebbe quindi essere definito come un fattore della tessitura, influenzato principalmente dalla distribuzione dell’argilla. Una mappa di kriging del tenore in argilla (fig.7) mostra la presenza di due chiare strutture spaziali centrali, caratterizzate da valori elevati. Lo spostamento di tali strutture spaziali rispetto a quelle evidenziate con l’analisi multivariata, deriva dal fatto che le prime sono state ottenute semplicemente con un’analisi univariata, che non tiene conto delle relazioni con le altre variabili e che media su tutte le scale (processi) spaziali. Il fattore 2 dell’analisi classica appare più correlato a variazioni di Na e Mg, caratterizzate da estrema variabilità essenzialmente di tipo casuale, ed è quindi più legato a condizioni locali che a estesi processi genetici. Fig. 7 - Mappa di kriging del contenuto in argilla. Fig. 7 - Kriging maps of the clay content. 94000.0 0 92000.0 0 90000.0 0 88000.0 0 86000.0 0 84000.0 0 18000.0 0 22000.0 0 3.0 Conclusioni 26000.0 0 30000.0 0 34000.0 0 All’interno di una tipica area del Tavoliere pugliese, tradizionalmente vocata alla produzione del grano duro, la variabilità delle proprietà di fertilità dei suoli sono il risultato della sovrapposizione di più processi fisici, chimici e biologici, agenti a differenti scale spazio-temporali. Alcuni di essi rappresentano fattori intrinseci alla genesi del suolo, altri invece sono più legati al differente utilizzo del suolo. Una conoscenza della loro distribuzione spaziale è essenziale quando si vogliano ottimizzare talune procedure agricole o nella pianificazione del territorio. 102 Castrignanò et al. Tecniche geostatistiche, come l’FKA, sono particolarmente adatte a differenziare i vari processi che causano la variabilità spaziale alle diverse scale. Il metodo si rivela interessante in quanto consente di combinare in maniera vantaggiosa le tecniche numeriche della geostatistica con l’insostituibile e valida conoscenza degli esperti. Rispetto alle tecniche della pedologia tradizionale, tuttavia presenta il vantaggio di fornire una misura quantitativa delle complesse interazioni fra le proprietà del suolo e può risultare particolarmente utile a formulare ipotesi sui processi che hanno portato alla formazione dei suoli. Bibliografia CASTRIGNANÒ A., CONVERTINI G., LOSAVIO N., HOXHA I., 1995. Studio delle relazioni tra le proprietà fisicochimiche di un suolo argilloso del litorale ionico-lucano mediante la geostatistica multivariata. Atti del 13 Convegno della Società Italiana di Chimica. Firenze, 2-4 ottobre 1995: 61-70. CASTRIGNANÒ A., MAZZONCINI M. GIUGLIARINI L., 1998. Spatial Characterisation of Soil Properties. Advances in GeoEcology, 31: 105-11. CASTRIGNANÒ A., GIUGLIARINI L., RISALITI R., MAZZONCINI, M., 1999a. An approach to soil management decision making. Italian Journal of Agronomy, 2, 2: 133-140. CASTRIGNANÒ A., STELLUTI M., 1999b. Fractal Geometry and Geostatistics for Describing Field Variability of Soil Aggregation. Journal of Agricultural Engineering Research, 73, 1: 13-18. CASTRIGNANÒ A., GIUGLIARINI L., N. MARTINELLI P., RISALITI R., 1998. Study of spatial relationships among soil physical-chemical properties using Multivariate Geostatistics. Geoderma, in corso di stampa. DOBERMANN A., GOOVAERTS P., GEORGE T., 1995. Sources of soil variation in an acid Ultisol of the Philippines. Geoderma, Vol. 68: 173-191. DOBERMANN A., GOOVAERTS P., NEUE H.U., 1997. Scale-Dependent Correlations among Soil Properties in Two Tropical Lowland Rice Fields. Soil Sci. Soc. Am. J., 61: 1483-1496. GOOVAERTS P., 1992. Factorial kriging analysis: a useful tool for exploring the structure of multivariate spatial soil information. J. Soil Sci., 43: 597-619. GOOVAERTS P., WEBSTER R., 1994. Scale-dependent correlation between topsoil copper and cobalt concentrations in Scotland. Europ. J. Soil Sci., 45: 79-95. GOOVAERTS P., 1997. Geostatistics for Natural Resources Evaluation. Oxford Univ. Press, New York, 512 pp. GOULARD M., VOLTZ M., 1992. Linear Coregionalization Model: Tools for Estimation and Choice of CrossVariogram Matrix. Mathematical Geology, Vol. 24, No. 3: 269-286. MATHERON G., 1982 Pour une analyse Krigeante des données regionalisées in Report 732. Centre de Geostatistique, Fontainebleau. McBRATNEY A.B., WEBSTER R., 1986. Choosing Functions for Semi-Variograms of Soil Properties and Fitting them to Sampling Estimates. J. Soil Sci., Vol. 37: 617-639. SHAPIRO S.S., WILK M.B., 1965. An Analysis of Variance Test for Normality (complete samples). Biometrika, 52: 591-611. Soil Survey Staff 1995 Soil Taxonomy. A basic system of soil classification for making and interpreting soil surveys. Handbook 436. United States Department of Agriculture, Washington, DC. WACKERNAGEL H., et al. 1989 Overview of methods for coregionalization analysis. In Geostatistics. Ed. M Amstrong. pp 409-4201. Kluwer, Dordrecht. WACKERNAGEL H., 1994 Cokriging versus Kriging in regionalized multivariate data analysis in Geoderma 62, 83-92. WACKERNAGEL H., 1995. Multivariate Geostatistics: An Introduction with Applications. Springer-Verlag, Berlin, 256 pp. 103 BRUCIATURA ED INTERRAMENTO DEI RESIDUI COLTURALI: INFLUENZA SUL CONTENUTO DI AZOTO MINERALE E SULLA BIOMASSA MICROBICA DEL SUOLO Convertini G., Maiorana M., Ferri D. Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani, 5 - 70125 Bari Riassunto Con lo scopo di valutare gli effetti determinati da diverse modalità di interramento dei residui vegetali di una monocoltura di frumento duro sui contenuti nel suolo di biomassa microbica (carbonio ed azoto) e di azoto minerale (N-NO3 + NNH4), sono stati posti a confronto i seguenti trattamenti sperimentali: T1 = bruciatura dei residui vegetali del frumento; T5 = interramento dei residui + 150 kg ha-1 di azoto sugli stessi; T8 = come T5 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui; T9 = interramento dei residui senza azoto su paglie e stoppie e sul frumento (testimone). I campioni di terreno sono stati prelevati a due profondità, 0-10 e 11-30 cm. L’esame dei risultati ottenuti nel periodo 1992-1997 ha evidenziato, per la biomassa microbica, un sostanziale equilibrio tra le tesi considerate, tra le quali solo T5 si differenzia negativamente. Per l’azoto minerale, i contenuti maggiori sono stati, invece, rilevati nei trattamenti T5 e T8, quelli più bassi in T9. Le due profondità di campionamento del terreno non hanno determinato una significativa differenziazione nei contenuti di carbonio ed azoto della biomassa e di azoto minerale (nitrati + ammonio scambiabile), per i quali, tuttavia, i valori migliori sono stati rilevati nello strato 11-30 cm. Parole chiave: residui vegetali; azoto, acqua; biomassa microbica; azoto minerale. Introduzione I residui vegetali riciclati, anche se richiedono dosi supplementari di N per essere umificati, a causa dell’alto rapporto C/N che li caratterizza, possono ugualmente costituire un’importante risorsa in grado di mantenere e reintegrare la fertilità del suolo. Questi effetti positivi non possono Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 103-111 (2001) 104 Convertini et al. essere trascurati nel momento in cui lo sfruttamento intensivo dei terreni ha causato un loro depauperamento in sostanza organica, non compensato dalla somministrazione di livelli più alti di fertilizzanti minerali, se non a costi economici ed ambientali sempre maggiori. Per questi motivi l’Istituto Sperimentale Agronomico sta conducendo a Foggia dal 1977 una ricerca a lungo termine, tuttora in corso, che ha lo scopo di confrontare bruciatura ed interramento dei residui colturali di frumento duro in monosuccessione e di valutare, tra gli altri, gli effetti esercitati da queste due tecniche sulla fertilità del suolo. In questa nota si riportano i risultati di un monitoraggio effettuato dal 1992 al 1997 sulla biomassa microbica e sull’azoto minerale del suolo. Materiali e metodi La ricerca è condotta a Foggia nell’azienda dell’Istituto, su un vertisuolo tipico del “Tavoliere” pugliese, classificato come fine, mesic, Typic chromoxerert, in un ambiente caratterizzato da un clima del tipo “termomediterraneo accentuato”. La prova prevede il confronto tra quattro dei nove trattamenti previsti dal protocollo sperimentale (Rizzo et al., 1985), applicati su parcelle elementari di 80 m2, distribuite secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati, con cinque ripetizioni: T1 = bruciatura dei residui colturali del frumento; T5 = interramento dei residui + 150 kg ha-1 di azoto somministrati a paglie e stoppie; T8 = come T5 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui; T9 = interramento dei residui senza alcun apporto di azoto sugli stessi e sul frumento (test). Ogni anno, sull’intero campo di prova, sono distribuiti 100 kg ha-1 di P2O5, al momento dell’aratura principale e 100 kg di N ha-1 (NH4NO3) sul frumento, in copertura, tranne come si è appena detto, sul testimone T9. Nel corso di ciascuna annata agraria vengono valutati gli effetti determinati dalle quattro tesi in esame sulla biomassa microbica C e N (Jenkinson e Powlson, 1976; Jenkinson, 1988) e sull’azoto minerale (N-NO3 + N-NH4 - estrazione in KCl 1M e determinazione colorimetrica), mediante prelievi parcellari realizzati a due profondità (0-10 e 11-30 cm). I prelievi di Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica del suolo 105 terreno per la determinazione della biomassa microbica sono effettuati una settimana dopo l’interramento della paglia, in quanto il valore più elevato di biomassa viene rilevato circa sette giorni dopo l’interramento dei residui (Ocio e Brookes, 1990; Ocio et al., 1991). Risultati I risultati rilevati durante il periodo di prova (1992-1997) evidenziano, per tutti e quattro i trattamenti dei residui, un andamento della biomassa C ed N abbastanza costante negli anni, tranne che nel primo, che presenta i valori più elevati in assoluto (Fig. 1); in questa stessa annata, le tre tesi di interramento di paglie e stoppie (T5,T8,T9) hanno determinato i più alti contenuti sia di Bc che di Bn, sebbene la quantità media di paglia incorporata nel suolo non fosse significativamente diversa da quella bruciata. Altrettanto evidente appare la superiorità della bruciatura nel 1996, anche se con differenze non significative; in quest’ultimo caso sembrerebbe, quindi, che, anche quando i residui delle piante vengono bruciati, le masse radicali rimaste nel terreno forniscono un apporto di materiale organico sufficiente per favorire l’attività dei microrganismi (Powlson et al., 1987). Nelle restanti quattro annate, le differenze tra i diversi trattamenti si attenuano, anche se in alcune (1994, 1995 e 1996) è possibile osservare un effetto depressivo dell’azoto somministrato alle paglie senza l’aggiunta di acqua (T5). La variabilità nel tempo dei contenuti di biomassa C e N è probabilmente legata alle variazioni di temperatura dell’aria e del terreno e di umidità del suolo e alla quantità di pioggia caduta prima e dopo l’interramento e la bruciatura dei residui; potrebbe dipendere, inoltre, dall’accumulo graduale nel terreno di paglia non trasformata, nel corso degli anni, dai microrganismi, a causa di sfavorevoli condizioni di temperatura e di umidità del suolo stesso (Federico-Goldberg e Nannipieri, 1989; Badalucco, 1995). Per quanto riguarda il contenuto di azoto minerale (Fig. 2), i suoi livelli sono sempre più elevati nelle parcelle in cui l’incorporazione nel suolo di paglie e stoppie avviene con l’aggiunta del concime azotato sui residui, senza (T5) o con (T8) l’ulteriore somministrazione di acqua sugli stessi. In caso di interramento, quindi, la carenza di azoto e di umidità nel terreno sembrerebbe rallentare la liberazione di N minerale, mentre in condizioni ottimali viene favorito l’incremento di nitrati e di ammonio scambiabile, la cui disponibilità è però influenzata dal grado di saturazione basica e dalla temperatura del suolo, oltre che dalla quantità di C solubile associata alla sostanza organica (Jenny, 1980; Mann, 1986; Radaelli, 1989). Discreti appaiono i risultati conseguiti con la bruciatura dei residui. 106 Convertini et al. Fig. 1 - Influenza delle quattro tesi in prova sulla biomassa microbica (Bc e Bn) del suolo. 600 Bc µg/g terreno 500 400 T1 T5 300 T8 T9 200 100 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni 100 90 Bn µg/g terreno 80 70 T1 60 T5 50 T8 40 T9 30 20 10 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica del suolo 107 Fig. 2 - Effetto dei quattro trattamenti in prova sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo. N-NO3 mg/kg terreno 70 60 50 T1 40 T5 30 T8 20 T9 10 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni N-NH4 mg/kg terreno 6 5 T1 4 T5 3 T8 2 T9 1 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni Un effetto positivo del tutto analogo è stato determinato dalle tesi T5 e T8 sul contenuto di N-NO3 del terreno in tutti gli anni, mentre per l’ammonio scambiabile non sono state osservate differenze rilevanti né tra le diverse annate, ad eccezione del 1996 che ha presentato i valori più alti di N-NH4, né tra i quattro trattamenti in esame. Ponendo a confronto le risposte ottenute con i trattamenti di interramento che prevedono la distribuzione sui residui di 150 kg ha-1 di azoto e dell’acqua (media di T5 e T8) con quelle del testimone T9, si osserva 108 Convertini et al. che i contenuti in biomassa microbica (Fig. 3) sono quasi simili negli anni, tranne che nel primo; in questa stessa annata ed in quella successiva, i risultati migliori sono stati conseguiti nelle parcelle in cui l’interramento dei residui era accompagnato dall’incorporazione nel suolo anche di azoto ed acqua. Nei restanti quattro anni, invece, si è manifestato il prevalere del testimone senza azoto, che è risultato minimo in tre dei sei anni considerati (1994, 1996 e 1997), più netto nel 1995. Fig. 3 - variazione della biomassa microbica (Bc e Bn) per effetto delle tesi interramento e del testimone in prova. 600 Bc µg/g terreno 500 400 Int 300 Test 200 100 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni 90 Bn µg/g terreno 80 70 60 50 Int 40 Test 30 20 10 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica del suolo 109 Fig. 4 - Influenza dell’interramento di residui colturali e del testimone sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo. N min. mg/kg terreno 70 60 50 40 Int 30 Tes 20 10 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni N-NO 3 mg/kg terreno 60 50 40 Int 30 Test 20 10 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni N-NH 4 mg/kg terreno 6 5 4 Int 3 Test 2 1 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 110 Convertini et al. Contrariamente a quanto appena osservato per la biomassa C ed N, l’azoto minerale del suolo è stato positivamente influenzato dall’aggiunta di azoto ed acqua sulle paglie e stoppie (Fig. 4), con valori sempre significativamente più elevati rispetto a quelli del testimone, a dimostrazione del fatto che azoto ed acqua agevolano la decomposizione della paglia e stimolano i processi di mineralizzazione. In altre parole, l’enorme quantità di microrganismi presente nel suolo è in una condizione di continua carenza alimentare, per cui la somministrazione di azoto ed acqua sui residui ne favorisce l’attività. L’esame della stessa figura 4 conferma, per i nitrati, quanto appena detto per l’azoto minerale (prevalere dell’interramento), mentre per l’ammonio scambiabile i valori rilevati nelle parcelle sono ancora una volta pressoché è equivalenti. Infine, la diversa profondità di campionamento del terreno non sembra aver determinato, per tutti i caratteri sinora considerati - biomassa N e C, azoto minerale, nitrati ed ammonio scambiabile -, alcuna influenza, anche se i contenuti più alti sono stati misurati nello strato 11-30 cm. Conclusioni Le diverse modalità di trattamento dei residui colturali del frumento non hanno determinato, nei sei anni di prova considerati, una significativa differenziazione nei contenuti di biomassa microbica del terreno, con valori più o meno simili che, peraltro, hanno mostrato di risentire in misura maggiore dell’influenza esercitata dagli andamenti climatici. Più evidenti sono apparsi, per contro, gli effetti dei trattamenti in studio sull’azoto minerale, per il quale si è manifestata la superiorità dell’interramento delle paglie e delle stoppie, soprattutto quando viene effettuato con l’aggiunta di concime azotato, con o senza acqua, sulle stesse; in questo caso, infatti, viene favorita la proliferazione dei microrganismi responsabili della decomposizione del materiale organico incorporato nel terreno e, quindi, i processi di immobilizzazione e di mineralizzazione dell’azoto. Se si considera che la bruciatura dei residui vegetali contribuisce all’inquinamento dell’atmosfera, aumenta i rischi di incendio, determina lo spreco di materiale riciclabile e la volatilizzazione dell’azoto contenuto nelle paglie, mentre l’interramento di paglie e stoppie può contribuire all’arricchimento della dotazione organica del suolo e al riciclo delle biomasse vegetali, è possibile concludere affermando che il bilancio “costi-benefici” è più favorevole a quest’ultima tecnica agronomica. Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica del suolo 111 Ringraziamenti Si ringrazia il P.a. Francesco Fornaro per la registrazione e l’elaborazione statistica dei dati. Bibliografia BADALUCCO L. 1995. Significato biologico della biomassa microbica del suolo e metodologie chimiche di determinazione. Atti Convegno PANDA: Tecnologie chimiche avanzate per l’agricoltura, 109-116. FEDERICO-GOLDBERG L., NANNIPIERI P. 1989. I cicli biogeochimici dei principali elementi nutritivi. In: Chimica del suolo (ed P. Sequi), pp. 293-328. Patron. JENKINSON D.S., POWLSON D.S. 1976. The effects of biocidal treatments on metabolism in soil. V. A method for measuring soil biomass. Soil Biology & Biochemistry, 8, 209-213. JENKINSON D.S. 1988. Determination of microbial carbon and nitrogen. In: Advances in nitrogen cycling (ed J.B. Wilson), pp. 368-386. CAB International, Wallingford. JENNY H. 1980. The soil resource. Springer-Verlag, New York. MANN L.K. 1986. Changes in soil carbon storage after cultivation. Soil Science, 142, 279-288. OCIO J.A., BROOKES P.C. 1990. An evaluation of methods for measuring the microbial biomass in soils following recent additions of wheat straw and the characterization of the biomass that develops. Soil Biology & Biochemistry, 22, 685-694. OCIO J.A., BROOKES P.C., JENKINSON D.S. 1991. Field incorporation of straw and its effects on soil microbial biomass and soil inorganic N. Soil Biology & Biochemistry, 23, 171-176. POWLSON D.S., BROOKES P.C., CHRISTENSEN B.T. 1987. Measurement of soil microbial biomass provides an early indication of changes in total soil organic matter due to straw incorporation. Soil Biology & Biochemistry, 19, 159-164. RADAELLI L. 1989. Le proprietà fisiche. In: Chimica del suolo (ed P. Sequi), pp. 335-355. Patron. RIZZO V., DI BARI V., MAIORANA M. 1985. Confronto tra bruciatura e interramento dei residui vegetali del frumento (Triticum durum Desf.). I. Aspetti agronomici. Monografie Genetica Agraria, VII, 285-298. 113 EFFETTI DI MODALITÀ DI LAVORAZIONE DEL TERRENO E DI GESTIONE DEI RESIDUI COLTURALI SUL CONTENUTO DI AZOTO MINERALE E SULLA BIOMASSA MICROBICA Convertini G., Maiorana M., Ferri D. Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani, 5 - 70125 Bari Riassunto La ricerca, condotta a Foggia (Tavoliere pugliese) dal 1991 e tuttora in corso, ha lo scopo di valutare gli effetti determinati sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione e sulle più importanti caratteristiche fisiche e chimiche del suolo da due profondità di lavorazione del terreno (L1 = aratura sino a 40-45 cm; L2 = aratura ridotta, a 20-25 cm) e da quattro modalità di trattamento dei residui vegetali di frumento duro in monosuccessione (T1 = bruciatura di paglie e stoppie, con 100 kg N ha-1 distribuito in copertura sul frumento; T2 = interramento dei residui, con 100 kg N ha-1 in copertura sul frumento; T3 = interramento dei residui con 50 kg di N sulle paglie e 50 kg ha-1 sul frumento, in copertura; T4 = interramento dei residui con 100 kg di N sugli stessi). In questa nota è presa in esame l’influenza esercitata dalle tesi in studio sulla biomassa microbica (carbonio ed azoto) e sul contenuto in azoto minerale (N-NO3 + NNH4). I risultati ottenuti hanno evidenziato che le due lavorazioni, soprattutto quando interagiscono con l’interramento di paglie e stoppie, portano ad un incremento della biomassa microbica e dell’azoto minerale, rispetto ai valori rilevati prima dell’avvio dell’esperienza; in particolare, le risposte migliori sono state conseguite con l’aratura a 20-25 cm di profondità. I diversi trattamenti dei residui non sembrano, invece, aver determinato differenze di rilievo per la biomassa microbica e l’azoto minerale, anche se è stato osservato il prevalere della tesi T4. Parole chiave: residui colturali; lavorazioni; biomassa microbica; azoto minerale. Introduzione La riduzione della profondità di lavorazione del terreno e l’incorporazione nel suolo dei residui colturali appaiono da tempo tecniche agronomiche la cui applicazione è giustificata non solo da motivi economici (riAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 113-124 (2001) 114 Convertini et al. duzione dei costi di aratura e di concimazione), ma anche dal bisogno di preservare la risorsa “suolo”, salvaguardandone la fertilità. Con riferimento a queste problematiche, l’Istituto Sperimentale Agronomico di Bari ha realizzato, nel corso degli anni, numerose ricerche. Tra queste, è attualmente in corso un’indagine avviata nell’autunno del 1991, che si pone come obiettivo quello di valutare, su una monosuccessione di frumento duro, l’influenza esercitata da diverse profondità di lavorazione del terreno e modalità di trattamento dei residui vegetali del frumento (paglie e stoppie) sia sugli aspetti quantitativi e qualitativi della produzione, che sulle principali caratteristiche fisiche e chimiche del terreno. In questa nota sono esaminati gli effetti determinati nei primi sei anni di prova (1992-1997) dai trattamenti sperimentali in studio sulla biomassa microbica e sul contenuto in azoto minerale (nitrati + ammonio scambiabile) del suolo. Materiali e metodi La ricerca viene effettuata nell’azienda sperimentale dell’Istituto, sita in Foggia, su un vertisuolo argillo-limoso di origine alluvionale, di medio impasto, discretamente dotato di fertilità (2,07% di sostanza organica). Il clima è del tipo “termomediterraneo accentuato”, con temperature estive che spesso superano i 40 °C, temperature invernali che talvolta scendono al disotto di 0 °C e piogge scarse (566,5 mm, per il periodo di riferimento 1952-1991) e per lo più concentrate nei mesi invernali. Su parcelle elementari di 230 m2, distribuite in campo secondo uno schema sperimentale a split-plot, con tre ripetizioni, sono posti a confronto due profondità di lavorazione del suolo (L1 = aratura sino a 40-45 cm; L2 = aratura ridotta, a 20-25 cm) e quattro trattamenti dei residui colturali, derivanti dall’interazione tra modalità di gestione degli stessi e momento di distribuzione di un’unica dose di concime azotato, 100 kg N ha-1 (T1 = bruciatura di paglie e stoppie, con 100 kg N ha-1 distribuito in copertura sul frumento; T2 = interramento dei residui, con 100 kg N ha-1, in copertura sul frumento; T3 = interramento dei residui con 50 kg di N sulle paglie e 50 kg ha-1 sul frumento, in copertura; T4 = interramento delle paglie, con 100 kg N ha-1 sulle stesse). Oltre la concimazione azotata somministrata nei tempi e nei modi su indicati, sull’intero campo di prova sono distribuiti ogni anno anche 100 kg ha-1 di P2O5, al momento dell’aratura principale. Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica 115 La biomassa microbica (biomassa C e biomassa N) è stata misurata con il metodo Jenkinson (Jenkinson e Powlson, 1976; Jenkinson, 1988), l’azoto minerale (N-NO3 + N-NH4) mediante estrazione in KCl 1M e determinazione colorimetrica. Il prelievo dei campioni di terreno viene effettuato ogni anno circa una settimana dopo l’interramento delle paglie e delle stoppie, in quanto è stato osservato che è il momento in cui si ottiene il valore più elevato in biomassa microbica (Ocio e Brookes, 1990; Ocio et al., 1991). Le profondità di campionamento sono comprese fra 0 e 45 cm per la lavorazione tradizionale (L1) e tra 0 e 25 cm per quella più superficiale (L2). Risultati Nella figura 1 sono riportati i valori medi di biomassa C e N (espressi in µg C e N per g di terreno secco) contenuti nelle parcelle sottoposte alle due modalità di lavorazione del suolo (L1 e L2) durante il periodo di prova. I risultati ottenuti evidenziano, seppure con una variabilità dei valori negli anni, come la lavorazione più superficiale a 20-25 cm di profondità abbia determinato quasi sempre un aumento di C e di N della biomassa; infatti, solamente nel primo anno di prova (1992, in maniera più netta) e nel quarto (1995, in misura minore) i valori più elevati in biomassa microbica sono stati rilevati nelle tesi con la lavorazione tradizionale a 40-45 cm. La presenza di maggiori contenuti di Bc e Bn nelle parcelle con aratura a 20-25 cm di profondità è, quasi certamente, da attribuirsi al fatto che in un terreno non lavorato, o con interventi ridotti al minimo, si possono determinare condizioni tali da favorire una composizione stabile e pressoché costante nel tempo dei microrganismi presenti, mentre lavorazioni del suolo più complesse (per profondità di aratura e tipo di intervento) possono provocare conseguenze negative sulle popolazioni microbiche (Carter, 1991; Toderi, 1991; Matowo et al., 1999) e quindi sui contenuti di biomassa. Le variazioni riscontrate negli anni per il contenuto in azoto minerale del suolo (Fig. 2) per effetto delle due modalità di lavorazione del terreno sono di segno opposto a quelle della biomassa C e N, con valori di azoto quasi sempre più alti negli anni in cui quelli della biomassa sono risultati più bassi, a prescindere dal tipo di lavorazione effettuata (Federico-Goldberg e Nannipieri, 1989; Ocio et al., l.c.); oltre l’azoto organico del terreno, infatti, viene mineralizzato, seppure con ritmi diversi, anche quello della biomassa, con conseguente diminuzione dei contenuti di Bc e Bn ed aumento della mineralizzazione. 116 Convertini et al. Fig. 1 - Variazioni della biomassa (Bc e Bn) del suolo per effetto delle due lavorazioni in prova. 450 Bc µg/g terreno 400 350 L1 L2 300 250 200 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni 70 Bn µg/g terreno 65 60 55 L1 50 L2 45 40 35 30 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica 117 N min.mg/kg terreno Fig. 2 - Influenza delle lavorazioni in prova sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo. 35 30 25 20 15 10 5 0 L1 L2 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NO 3 mg/kg te rreno Anni 30 25 20 L1 15 L2 10 5 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NH4 mg/kg te rreno Anni 8 6 L1 4 L2 2 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 118 Convertini et al. Prendendo in considerazione gli effetti determinati dalle due profondità di lavorazione sui livelli di N minerale del terreno, è possibile osservare il prevalere dell’aratura a 20-25 cm nel primo, quarto, quinto e sesto anno; tenuto conto che in queste annate la quantità media di paglia interrata non è risultata significativamente diversa nelle parcelle sottoposte alle due lavorazioni, si potrebbe supporre che la velocità di mineralizzazione sia stata più elevata con la lavorazione superficiale, in quanto quella profonda distribuisce la paglia, diluendola, in uno strato arabile più profondo (40-45 cm). Fig. 3 - Influenza delle quattro modalità di trattamento delle paglie sulla biomassa (Bc e Bn) del suolo. 500 Bc µg/g terreno 450 400 T1 350 T2 300 T3 T4 250 200 150 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni 70 Bn µg/g terreno 65 60 T1 55 T2 50 T3 45 T4 40 35 30 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica 119 Se si considerano separatamente i contenuti di N-NO3 e di NNH4 (Fig. 2), si può osservare che l’azoto minerale del suolo è costituito prevalentemente dalla forma nitrica, che sicuramente perviene al terreno in seguito ad una vera e propria azione di intercettazione da parte dei residui vegetali (Bonciarelli, 1991). N min. mg/kg terreno Fig. 4 - Influenza delle quattro modalità di trattamento delle paglie sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo. 50 40 T1 30 T2 20 T3 10 T4 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NO 3 mg/kg terreno Anni 40 T1 30 T2 20 T3 10 T4 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NH 4 mg/kg terreno Anni 10 T1 8 T2 6 T3 4 T4 2 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 120 Convertini et al. Per quanto riguarda l’influenza esercitata dai quattro trattamenti dei residui (T1, T2, T3, T4) sulla variazione nel terreno della biomassa microbica (Fig. 3), in linea generale si può affermare che l’interramento influisce positivamente sui suoi contenuti (Schnurer et al., 1985), anche perché al momento dell’interramento di paglie e stoppie non è presente ancora alcuna coltura e quindi non c’è competizione tra microrganismi e piante. In particolare, tra le tre tesi di interramento esaminate – T2, T3 e T4 – è quest’ultima, cioè quella che prevede la distribuzione del concime azotato al 100% sui residui colturali al momento della loro incorporazione nel suolo, a presentare i contenuti più elevati e stabili nel tempo sia in biomassa C che N. Interessanti appaiono anche i risultati ottenuti con la bruciatura (T1) che, infatti, evidenziano come non possa essere considerato nullo l’input della biomassa bruciata, tenuto conto che il materiale carbonizzato derivato dalla bruciatura delle paglie e delle stoppie viene trattenuto nel suolo insieme alle radici (Powlson et al., 1987). I risultati relativi all’azoto minerale (Fig. 4) confermano l’andamento osservato in precedenza per effetto delle lavorazioni (cfr. Fig. 2), in quanto negli anni intermedi (1994, 1995 e 1996) il suo contenuto è apparso più elevato (con maggiore immobilizzazione di N che potrebbe rendersi disponibile per la coltura successiva), in coincidenza dei più bassi livelli di biomassa microbica. Il trattamento T4 è risultato il migliore anche per l’azoto minerale, per l’effetto positivo che ha avuto sulla immobilizzazione dell’azoto in seguito all’interramento dei residui vegetali del frumento. Le variazioni del contenuto in nitrati del suolo (Fig. 4) sono simili, ancora una volta, a quelle dell’azoto minerale, mentre l’ammonio scambiabile ha presentato un andamento più costante nel tempo (Fig. 4). Si è voluto, infine, porre a confronto la tesi bruciatura (T1) con l’interramento (il cui valore è rappresentato dalla media di tutti gli altri trattamenti). Dall’esame della figura 5 appare evidente che la biomassa microbica non sempre risulta più elevata nelle parcelle in cui i residui organici vengono incorporati nel terreno, ma varia, probabilmente in funzione dell’umidità e della temperatura del suolo, oltre che della temperatura dell’aria (Radaelli, 1989; Badalucco, 1995). Questi parametri influiscono, infatti, sulla velocità di decomposizione della paglia, anche in presenza di biomassa vegetale bruciata rimasta nel suolo con le radici (Powlson et al., l.c.). Un dato interessante è l’incremento del contenuto in N minerale (N-NO3+N-NH4, Fig. 6) negli anni intermedi della prova (1994, 1995 e 1996), indipendentemente dai trattamenti sperimentali. Se una parte dell’azoto è stata immobilizzata, si avrà in seguito un vero e proprio processo di rimineralizzazione. Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica 121 Fig. 5 - Influenza della bruciatura e dell’interramento dei residui colturali sulla biomassa (Bc e Bn) microbica del suolo. 500 450 Bc µg/g terreno 400 350 300 250 Bru 200 Int 150 100 50 0 1992 1993 1994 1995 Anni 1996 1997 80 Bn µg/g terreno 70 60 50 Bru 40 Int 30 20 10 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni Fig. 5 - Influenza della bruc iatura e dell'interramento 122 Convertini et al. N m in.mg/kg terreno Fig. 6 - Influenza della bruciatura e dell’interramento dei residui colturali sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo. 40 30 Bru 20 Int 10 0 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NO 3 mg/kg terreno Anni 35 30 25 20 15 10 5 0 Bru Int 1992 1993 1994 1995 1996 1997 N-NH 4 mg/kg terreno Anni 35 30 25 20 15 10 5 0 Bru Int 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Anni Fig. 6 - Influenza della bruciatura e dell'interramento Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di azoto minerale e sulla biomassa microbica 123 Conclusioni I risultati conseguiti in sei anni di studio consentono di trarre le seguenti conclusioni: - la lavorazione superficiale determina, in generale, la presenza di maggiori quantità di biomassa microbica e di azoto minerale, risultando, nel complesso, più conveniente anche per i suoi minori costi di esecuzione; - l’interramento dei residui colturali sembra preferibile, nel lungo periodo, alla bruciatura degli stessi, sia perché contribuisce ad arricchire la dotazione organica del suolo, sia perché impedisce lo spreco di materiale organico riciclabile; - tra le modalità di incorporazione nel terreno di paglie e stoppie, quello che prevede la distribuzione dell’azoto solo su queste ultime (T4) è risultato il migliore; in questo caso, infatti, i microrganismi del suolo vengono favoriti in quanto, ricevendo il concime azotato in un momento in cui le piante di frumento non sono ancora presenti in campo, non risentono della probabile competizione che potrebbe instaurarsi nel terreno, a carico del fertilizzante, tra di loro e le piante stesse. Ringraziamenti Gli autori ringraziano il P.a. Francesco Fornaro per aver effettuato l’elaborazione statistica dei dati sperimentali. Bibliografia BADALUCCO L. 1995. Significato biologico della biomassa microbica del suolo e metodologie chimiche di determinazione. Atti Convegno PANDA: Tecnologie chimiche avanzate per l’agricoltura, 109-116. BONCIARELLI F. 1991. Azoto e ambiente: orientamenti per una concimazione azotata compatibile. In: Azoto Agricoltura Ambiente, Federchinica Assofertilizzanti, 6, 1-19. CARTER M.R. 1991. Influence of tillage on the proportion of organic carbon and nitrogen in the microbial biomass of medium textured soils in a humid climate. Biology Fertility of Soils, 11, 135-139. FEDERICO-GOLDBERG L., NANNIPIERI P. 1989. I cicli biogeochimici dei principali elementi nutritivi. In: Chimica del suolo (ed P. Sequi), pp. 293-328. Patron. JENKINSON D.S., POWLSON D.S. 1976. The effects of biocidal treatments on metabolism in soil. V. A method for measuring soil biomass. Soil Biology & Biochemistry, 8, 209-213. JENKINSON D.S. 1988. Determination of microbial carbon and nitrogen. In: Advances in nitrogen cycling (ed J.B. Wilson), pp. 368-386. CAB International, Wallingford. MATOWO P.R., PIERZYNSKI G.M., WHITNEY D., LAMOND R.E. 1999. Soil chemical properties as influenced by tillage and nitrogen source, placement and rates after 10 years of continuous sorghum. Soil & Tillage Research, 50, 11-19. 124 Convertini et al. OCIO J.A., BROOKES P.C. 1990. An evaluation of methods for measuring the microbial biomass in soils following recent additions of wheat straw and the characterization of the biomass that develops. Soil Biology & Biochemistry, 22, 685-694. OCIO J.A., BROOKES P.C., JENKINSON D.S. 1991. Field incorporation of straw and its effects on soil microbial biomass and soil inorganic N. Soil Biology & Biochemistry, 23, 171-176. POWLSON D.S., BROOKES P.C., CHRISTENSEN B.T. 1987. Measurement of soil microbial biomass provides an early indication of changes in total soil organic matter due to straw incorporation. Soil Biology & Biochemistry, 19, 159-164. RADAELLI L. 1989. Le proprietà fisiche. In: Chimica del suolo (ed P. Sequi), pp. 335-355. Patron. SCHNURER J., CLARHOLM M., ROSSWALL T. 1985. Microbial biomass and activity in an agricultural soil with different organic matter contents. Soil Biology & Biochemistry, 17, 611-618. TODERI G. 1991. Problemi conservativi del suolo in Italia. In: Agricoltura e Ambiente, pp. 50-99. Edagricole. 125 REGIME TERMICO DEL SUOLO IN ALCUNI CAMPI SPERIMENTALI DEL NORD, CENTRO E SUD ITALIA Costantini E.A.C.1, Castelli F.2, Iori M.1, Magini S.1, Lorenzoni P.3, Raimondi S.4 1 Ist. Sperimentale Studio e Difesa Suolo - Piazza M. D’Azeglio, 30 - 50121 Firenze 2 Ist. Sperimentale per il Tabacco - Via Canton, 14 - 37051 Bovolone (VR) 3 Ist. Sperimentale Studio e Difesa Suolo - Via Casette, 1 - 02100 Rieti 4 Ist. di Agronomia dell’Università - Viale delle Scienze - 90128 Palermo Abstract Soil classification according to Soil Taxonomy include the estimation of soil temperature regime. However, measured data are generally scarce and even model which are commonly used to classify pedoclimate have not been adequately tested in Italy. This research provided a first evaluation of some Italian soil temperature regimes, based upon medium-time measured data, and a comparison between some estimation models. A five years set of observations, which has been carried out on soils sited at different latitudes, highlighted that the Soil Taxonomy methodgives correct estimations, while Newhall method is not equally suitable. Epic could run daily estimations, nevertheless gave uncertain results in terms of pedoclimatic classification. Finally, the comparison between the soil water capacity, and the difference between mean multi-annual air and soil temperatures, permitted to find a significative linear relationships between these two parameters. Such relationships can be utilised for a better estimation of the temperature regime, on the basis of the mean air temperature value, when soil hydrological characteristics are known. Riassunto La classificazione dei suoli secondo la Soil Taxonomy richiede, tra l’altro, la determinazione del loro regime termico. Raramente però sono disponibili dati rilevati, e anche i metodi di stima del regime termico del suolo attualmente in uso non sono stati adeguatamente validati in Italia. Questa ricerca pertanto propone una prima valutazione di alcuni regimi termici presenti nel nostro Paese basata su misurazioni di medio periodo e una comparazione tra alcuni metodi di stima. Dalle osservazioni quinquennali condotte su suoli situati a latitudini diverse, emerge che il metodo proposto dalla Soil Taxonomy fornisce stime corrette, mentre quello di Newhall non è altrettanto efficace. Epic è in grado di effettuare stime giornaliere, ma non sempre dà risultati migliori in termini di classificazione pedoclimatica. Infine, il confronto tra la capacità idrica di campo, e la differenza media pluriennale tra temperatura delAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 125-132 (2001) 126 Costantini et al. l’aria e del suolo, ha permesso di evidenziare una relazione lineare significativa tra questi due parametri. Tale relazione può essere utilizzata per una migliore stima del regime di temperatura, a partire dal valore medio di temperatura dell’aria, quando siano conosciute le caratteristiche idrologiche del suolo. Introduzione I pedologi che utilizzano la classificazione dei suoli americana (Soil Taxonomy, Soil Survey Staff, 1975) si trovano a dover affrontare la difficoltà di determinare correttamente il regime termico dei suoli. Il problema è generalmente risolto affidandosi a stime basate sulla temperatura dell’aria, presupponendo una certa uniformità nel potere di “trattenuta” del calore da parte del suolo. Nella Soil Taxonomy la temperatura media annua del suolo si considera più elevata di quella dell’aria di un grado, mentre nel caso del metodo Newhall (Newhall, 1972) questo divario è valutato in due gradi e mezzo. In realtà, tutti coloro che hanno esperienza di suolo sanno che, a parità di condizioni climatiche, la temperatura del terreno può variare notevolmente in funzione del livello e del tipo di copertura vegetale del suolo, e della sua natura fisica, chimica e morfologica. Allo scopo di approfondire queste tematiche, nell’ambito del progetto PANDA - Produzione Agricola nella Difesa dell’Ambiente (Sequi, 1994), è stata realizzata un’esperienza di monitoraggio della temperatura del suolo in alcuni campi sperimentali situati nel Nord, nel Centro e nel Sud Italia. Gli obiettivi erano quelli di fornire utili indicazioni sui reali regimi termici dei suoli italiani e di valutare, mettendoli a confronto, alcuni metodi di stima già in uso o di possibile applicazione (Calì et al., 1996; Costantini et al., 1997). Materiali e metodi Le misure sono state rilevate nelle stazioni sperimentali PANDA di Bovolone (VR), Cesa (AR), Rieti e Sparacia (AG), alle quali sono stati aggiunti, per maggior completezza del quadro nazionale, i dati forniti dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN) (Tab. 1). Tutti i suoli presi in esame rispondono alle caratteristiche considerate standard per questo tipo di rilievi: giacitura pianeggiante, buona permeabilità, buona riserva idrica, falda idrica superficiale assente, fenomeni vertici trascurabili. Inoltre, le superfici interessate erano tutte investite a prato stabile. I dati geotermome- 127 Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia trici sono stati rilevati con cadenza giornaliera a S. Michele all’Adige, a Bovolone, a Cesa, e a Rieti, e quindicinale a Sparacia. Tutti le stazioni prese in esame erano dotate di capannina meteorologica per il rilievo dei dati climatici. Ulteriori specifiche riguardanti i campi sperimentali sono riportate in Costantini et al., (1996). Tab. 1 - Regimi di temperatura del suolo delle stazioni sperimentali considerate, classificati secondo la Soil Taxonomy in base ai dati misurati e ad alcuni metodi di stima. Località S. Michele a.A. Bovolone Caratteristiche periodo di osservazione 1959-88 1991-98 latitudine 46° N 45° N altitudine (m s.l.m.) 210 24 Classificazione in base ai dati misurati mesico mesico Soil Taxonomy (t dell'aria +1 °C) mesico mesico Newhall (t dell'aria +2,5 °C) mesico termico Epic n.d. mesico Cesa Rieti Sparacia 1994-98 1995-97 1993-97 43° N 42° N 37° N 350 405 385 mesico mesico termico mesico termico termico termico mesico termico termico termico termico Sono stati considerati i dati di temperatura del suolo alle profondità di 0,1, 0,2 e 0,5 m a S. Michele all’Adige, di 0,05, 0,1, 0,2, 0,5 e 1 m a Bovolone, di 0,2 e 0,4 m a Cesa, di 0,15 e 0,45 m a Rieti, di 0,05, 0,15, 0,5, 0,75 e 1 m a Sparacia. In ogni località è stata misurata la temperatura media dell’aria giornaliera. La classificazione dei regimi termometrici dei suoli è stata eseguita adottando i seguenti metodi: sulla base dei dati rilevati, utilizzando la metodologia proposta dall’ICOMMOTR (International Committee on Soil Moisture and Temperature Regimes, 1994), secondo la Soil Taxonomy, seguendo le indicazioni di Newhall e, infine, utilizzando il modello EPIC (Erosion-Productivity Impact Calculator; Williams et al., 1989). Risultati e conclusioni Lo scostamento tra temperatura dell’aria e temperatura del suolo varia da suolo a suolo e differisce lungo l’arco dell’anno, con uno sfasamento temporale tra i due andamenti e una più contenuta escursione della temperatura tellurica. In Figura 1 e 2 sono riportati, come esempio, i dati rilevati a Bovolone e Cesa. Il regime termometrico dei suoli studiati, valutato utilizzando i dati misurati (Tab. 2), è risultato: mesico a San Michele all’Adige (11.8 °C a 0,5 128 Costantini et al. m, valore medio di 40 anni), a Bovolone (14 °C a 0,5 m, media di 8 anni), a Cesa (14,7 °C a 0,4 m, media di 5 anni) e a Rieti (17.8 °C a 0,45 m, media di 3 anni); termico a Sparacia (17.3 °C a 0,5 m, media di 5 anni) (Tab. 1). Confrontando i diversi metodi di classificazione esaminati con i risultati ottenuti in base ai dati misurati, quello proposto dalla Soil Taxonomy appare in grado di classificare in modo corretto i suoli di tutte le stazioni, mentre il sistema proposto da Newhall porta a classificare erroneamente i suoli di Bovolone e Cesa. Figura 1 - Temperature medie dell’aria e del suolo rilevate nella stazione di Bovolone nel periodo 1991-98. Figura 2 - Temperature medie dell’aria e del suolo rilevate nella stazione di Cesa nel periodo 1994-98. 129 Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia Con Epic è possibile avere una stima giornaliera, quindi più accurata, anche se a Rieti la classificazione non corrisponde esattamente a quella reale in quanto il modello sembra sottostimare la temperatura del suolo. Questo diverso comportamento risulta evidente anche osservando gli andamenti riportati nelle Figure 3, 4, 5 e 6, dove sono messi a confronto, per il periodo di osservazione, i dati misurati e quelli stimati con Epic delle stazioni PANDA. Tabella 2 - Temperature medie stagionali del suolo e dell’aria osservate nelle stazioni sperimentali considerate. Parametro Aria Suolo a 0,2 m Suolo a 0,5 m Aria Suolo a 0,2 m Suolo a 0,5 m Aria Suolo a 0,2 m Suolo a 0,4 m Aria Suolo a 0,15 m Suolo a 0,45 m Aria Suolo a 0,15 m Suolo a 0,5 m Medie stagionali primavera estate autunno S. Michele all'Adige 15.0 21.3 8.2 14.7 21.3 9.2 13.4 19.7 10.3 Bovolone 15.9 22.9 10.1 15.5 22.4 11.7 14.5 21.9 13.1 Cesa 13.8 21.2 10.2 15.5 23.7 13.0 14.9 23.0 13.1 Rieti 15.8 22.7 12.6 16.4 29.1 9.9 17.7 22.6 16.9 Sparacia 15.7 24.3 14.8 16.5 25.5 14.3 17.2 25.8 16.0 inverno Media annuale 3.7 2.3 3.2 12.2 12.0 11.8 5.2 5.2 6.6 13.7 13.8 14.0 5.6 7.5 7.6 13.1 15.3 14.7 8.3 4.5 14.1 14.8 15.0 17.8 9.2 9.3 10.4 16.4 16.3 17.3 Figura 3 - Stazione di Bovolone: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,5 m di profondità, misurati e simulati con Epic. 130 Costantini et al. Più in dettaglio, la differenza media pluriennale tra la temperatura dell’aria e del suolo a 0,5 m circa di profondità sotto prato stabile è risultata variare considerevolmente a seconda della stazione: 0,4 °C più bassa in Trentino, 0,5 °C più alta a Bovolone, 1,7 °C più alta a Cesa, 3 °C più alta a Rieti e 0,9 °C più alta a Sparacia. Figura 4 - Stazione di Cesa: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,4 m di profondità, misurati e simulati con Epic. Figura 5 - Stazione di Rieti: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,45 m di profondità, misurati e simulati con Epic. 131 Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia Figura 6 - Stazione di Sparacia: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,5 m di profondità, misurati e simulati con Epic. Figura 7 - Relazioni lineari tra c.i.c., rilevata nel suolo a 0,15 m e a 0,75 m, e la differenza tra le temperature misurate nell’aria e nel suolo a 0,5 m. 60 0,15 m ) y = 7 . 8 x + 20.9 R2 = 0.94 50 Cesa C.i.c. (% in volume) 0,75 m ) y = 8 . 4 x + 2 4 . 3 2 R = 0 . 79 40 Rie ti B o v o lo n e 30 0,15 m S p a r a c ia 20 0,75 m 0,15 m 10 S.M ich e le 0,75 m 0 -0.5 0 0.5 1 1.5 °C 2 2.5 3 3.5 Il diverso comportamento del suolo nei confronti della temperatura è stato messo in relazione con la capacità idrica di campo, evidenziando una relazione diretta tra questi due parametri (Fig. 7). Le equazioni riportate in figura possono essere utili per fornire un prima grossolana stima della temperatura media del suolo, a partire da quella dell’aria, quando sia- 132 Costantini et al. no note le sue caratteristiche idrologiche. È interessante, infatti, notare che a valori di c.i.c. di circa il 28 % e di circa il 40 % corrispondono differenze tra temperature medie dell’aria e del suolo, a 0,5 m di profondità, di 1 e 2,5 °C, parametri, come abbiamo visto, utilizzati rispettivamente dalla Soil Taxonomy e da Newhall per la stima della temperatura del suolo. Riconoscimenti Progetto Finalizzato PANDA, Sottoprogetto 1, Serie 1, Pubblicazione n. 53. Responsabili dei campi sperimentali: S. Michele a/A, Istituto Agrario; Bovolone, F. Castelli; Cesa, E. Costantini; Rieti, P. Lorenzoni; Sparacia, S. Raimondi. Ricerca coordinata da E. Costantini. Elaborazioni condotte da M. Iori, S. Magini, E. Costantini e F. Castelli. Testo redatto da E. Costantini e F. Castelli. Bibliografia CALÌ A., CEOTTO E., COSTANTINI E.A.C. e DONATELLI M. - 1996. Applicazione del modello Epic per la classificazione del pedoclima e confronto con altri metodi e con indici climatici. Boll. Soc. It. Scienza del Suolo, 6: 61-86. COSTANTINI E.A.C., CALÌ A., CASTELLI F., LORENZONI P., RAIMONDI S. e RUSTICI L. - 1996. Esperienze di applicazione e validazione di alcuni modelli tradizionali ed innovativi per la classificazione del pedoclima. Agricoltura Ricerca, XVlll, 164-165-166 p.7-24. COSTANTINI E.A.C., CASTRIGNANÒ A., LORENZONI P., CALÌ A., RAIMONDI S. e CASTELLI F. - 1997. 1. Il pedoclima e il suo ruolo di indicatore di sensibilità ambientale. In: Sensibilità e vulnerabilità del suolo. Metodi e strumenti di indagine. A cura di P.Sequi e G.Vianello. Ed. Franco Angeli, Milano, 29-94. ICOMMOTR - 1995. Circular Letter 4, National Soil Survey Center, Soil Conservation Service, USDA, Lincoln, Nebraska, USA NEWHALL F. - 1972. Calculation of Soil Moisture Regimes from Climatic Record. Rev. 4 Mimeographed, Soil Conservation Service, USDA, Washington DC. SEQUI P. 1994. Il progetto finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell’Ambiente “PANDA”, Agricoltura e Ricerca, 154: 151-192. SOIL SURVEY STAFF - 1975. Soil Taxonomy: A basic system for making and interpreting soil surveys. USDA Handbook, 436, pp. 754, Washington DC. WILLIAMS J.R., JONES C.A., KINIRY J.R. e SPANEL D.A. - 1989. The Epic crop growth model. Trans. ASAE, 32: 497-511. 133 MODIFICHE DELLE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA PIANTA - SUOLO INDOTTE DALLA RIDUZIONE DELLE LAVORAZIONI DEL TERRENO COLTIVATO A FRUMENTO (TRITICUM DURUM DESF.) E FAVA (VICIA FABA L.) IN ROTAZIONE De Giorgio D., Convertini G., Ferri D.,. Rizzo V, Montemurro F., La Cava P. Istituto Sperimentale Agronomico – MiPA Via C. Ulpiani, 5 70125 Bari Riassunto Nel Tavoliere pugliese, tipica zona cerealicola del sud Italia, è in corso una ricerca volta a studiare la possibilità di ridurre il numero e le intensità delle lavorazioni del terreno in una rotazione biennale frumento-fava. Dal 1993 vengono a tal fine esaminati i caratteri fisici, chimici e biologici del suolo ed i parametri produttivi delle colture in un tipico ambiente mediterraneo (Foggia). In uno schema sperimentale a parcelle suddivise di 1.600 m2, sono messe a confronto le seguenti modalità di lavorazione del terreno: A) lavorazione tradizionale; B) lavorazione a due strati; C) lavorazione superficiale; D) lavorazione minima. Prima della differenziazione delle lavorazioni ed alla fine del ciclo colturale vengono determinati, nello strato 0-70 cm, le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del suolo. Alla fine del ciclo, su un’apposita area di saggio, viene determinata la produzione ed i suoi componenti. I risultati ottenuti hanno evidenziato come le diverse modalità di lavorazione abbiano influenzato significativamente la produzione e gli indici di resa sia per il frumento che per la fava. Nel secondo anno di prova è stato anche rilevato un incremento produttivo del frumento attribuibile al quantitativo di N asportato dalla pianta e dovuto all’effetto residuo della coltura precedente (fava). Durante il periodo della prova, i diversi trattamenti hanno modificato nel terreno la dinamica dell’N minerale, il contenuto in C organico ed il grado e tasso di umificazione. In definitiva sembra configurarsi una lenta evoluzione del suolo verso un nuovo stato stazionario per effetto delle diverse lavorazioni. Parole chiave: lavorazioni, rotazione, caratteristiche chimiche del suolo. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 133-143 (2001) 134 De Giorgio et al. Introduzione Le nuove esigenze in termini di economicità delle colture e di salvaguardia ambientale impongono nuovi indirizzi agrotecnici tesi all’incremento della sostenibilità della produzione e al mantenimento della fertilità del suolo. In questo ambito assumono notevole importanza la gestione delle lavorazioni ed il ricorso ad opportune rotazioni adatte allo specifico ambiente pedo-climatico. La profondità di lavorazione ed il numero di interventi possono determinare variazioni della produttività, dei costi energetici e, di conseguenza, dell’economia aziendale. Particolare attenzione va riservata al turnover della sostanza organica del terreno (s.o.), anche se sono molteplici i fattori che ne influenzano quantità e composizione. Tra questi vanno considerati i processi pedogenetici, l’incorporazione o meno nel suolo dei residui colturali, l’impiego di diverse modalità di lavorazione del terreno (Odell et al., 1984; Tiessen et al., 1982) e l’effetto del compattamento dello stesso (Soane, 1990). Lo stato fisico del terreno (rapporto aria/terreno, compattezza, ecc.) influenza lo sviluppo delle radici e le ife fungine (organismi viventi), i residui vegetali indecomposti presenti, il letame, i compost, i fanghi o altro materiale in via di decomposizione ed, infine, l’humus. Di conseguenza, qualsiasi approfondimento a livello di s.o. del terreno va effettuato indagando, oltre che sul contenuto in C organico, anche sullo stato di umificazione dello stesso, soprattutto per comprendere l’incidenza che un determinato trattamento sperimentale può avere sulla fertilità del terreno. Questo approccio sperimentale assume un significato ancora più importante quando si studiano le possibilità di ridurre le lavorazioni del terreno, in interazione con gli avvicendamenti, su alcuni suoli meridionali. Nell’Italia meridionale molti di questi terreni a causa delle temperature estive elevate presentano velocità di decomposizione del materiale organico piuttosto sostenute. Il presente studio è stato condotto su un Vertisuolo del Tavoliere pugliese al fine di indagare sui processi chimico-fisici che condizionano la disponibilità dei nutrienti per le piante ed il turnover della s.o. Materiali e Metodi La ricerca è stata condotta a Foggia su un suolo argillo-limoso (USDA, Gee et al., 1986), del quaternario antico, profondo e con profilo non molto differenziato, classificato come Vertisuolo cromico, secondo la FAOUNESCO (1960) e come Typic Chromoxerert secondo la Soil Taxonomy Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione 135 (1975), dotato di discreta fertilità agronomica (N totale = 0,122%; P2O5 assimilabile = 41 ppm; K2O scambiabile = 1598 ppm; pH (acqua) = 8,33; s.o. = 2,07%; C/N = 10). Su uno schema sperimentale a parcelle suddivise, in parcelloni di 1600 m2, sono state messe a confronto 4 diverse modalità di lavorazione del terreno: A - tradizionale (aratura a 40 cm con bivomere, 1 frangizollatura a 20 cm, fresatura a 10 cm); B - a due strati (attrezzo combinato - ripuntatore a 60 cm + fresa a 10 cm, fresatura a 10 cm; C - superficiale (aratura a 25 cm con pentavomere, fresatura a 10 cm); D - minima (fresatura a 10 cm). La prova è stata condotta su una rotazione frumento (senza concimazione azotata per valutare l’effetto rotazione)-leguminosa da granella, a semina autunnale. Prima della differenziazione delle lavorazioni, ad iniziare dall’autunno del ’93, ed alla raccolta sono stati prelevati campioni di terreno, per caratterizzarlo nei suoi aspetti chimici, determinando il Carbonio organico totale (TOC), il Carbonio organico estratto (TEC) ed umificato (C[HA+FA]), l’azoto nitrico (N-NO3) e l’ ammonio scambiabile (N-NH4). Le profondità di campionamento sono state di 0-10, 10-20, 2050, 50-70 cm per i trattamenti A, B e C e di 0 e 10, 10 e 20, 20 e 70 cm per il trattamento D. Le determinazioni chimiche sul suolo sono state effettuate secondo i metodi del MIRAAF (1994); per la valutazione dello stato di umificazione della s.o. del terreno, sono stati invece impiegati i metodi specifici che consentono il dosaggio del C organico (TOC), del C organico estratto (TEC) ed umificato (C[HA+FA]) (Sequi et al., 1986). I dati rilevati hanno consentito di calcolare i seguenti coefficienti: a) Grado di umificazione (DH%) = C[HA + FA]/TEC*100; b) Tasso di umificazione (HR%)= C[HA + FA]/TOC*100; c) Carbonio organico estratto e non umificato (NH) = TEC - C[HA+FA]; d) Indice di umificazione (IU) = NH/ C[HA + FA]. Alla raccolta, su campioni prelevati da tutte le tesi poste a confronto, sono state determinate la resa in granella e la produzione dei residui colturali espresse in peso secco, ed il contenuto di azoto totale (CHN Fison elemental analyzer - modello EA 1108); infine è stato calcolato l’azoto totale asportato (kg ha-1) moltiplicando il contenuto totale di azoto (%) per la biomassa secca raccolta (Kg ha-1). Sono stati calcolati inoltre i seguenti parametri: a) indice di raccolta (HI) = rapporto fra la produzione ed il totale di peso secco prodotto dalla pianta (%); b) indice di utilizzazione dell’azoto (NHI) = rapporto fra il 136 De Giorgio et al. contenuto di azoto nella granella ed il totale di azoto presente nella pianta alla maturazione (%); c) efficienza di utilizzazione dell’azoto (NUE) = rapporto fra la produzione ed il totale di azoto asportato (kg kg-1) (Delogu et al., 1998; Raun e Johnson, 1998). L’analisi statistica è stata effettuata usando le procedure del pacchetto statistico SAS (SAS Institute, 1990). Il test statistico di Tukey è stato utilizzato per valutare la significatività delle differenze fra le medie. Risultati e discussione Dall’esame della tabella 1 è possibile notare che, nel secondo anno di prova (1996), c’è stato un significativo incremento della produzione di granella attribuibile sia all’azione miglioratrice della coltura precedente (fava nel 1995), sia alla maggiore piovosità rispetto al ‘94 registrata nei mesi invernali, più importanti per la coltura. Questo sostanziale incremento (da 220,3 a 300,8 Kg ha-1) è probabilmente attribuibile al diverso quantitativo di N assorbito dalla coltura che è passato da 57,50 kg ha-1 del 1994 a 80,43 kg ha-1 del 1996. Tabella 1 Produzione, N asportato e parametri di efficienza (frumento). Resa in granella (Kg ha-1) Anno 94 220,3 b 96 300,8 a Lavorazione(*) A 294,9 a B 251,7 ab C 261,7 ab D 233,7 b N asportato HI NHI NUE (Kg ha-1) (%) (%) (Kg Kg-1) 57,50 b 80,43 a 29,14 b 34,97 a 61,34 b 71,26 a 38,41 a 37,65 a 77,40 a 66,24 ab 68,89 ab 63,31 b 33,21 32,54 31,77 31,91 66,27 67,33 66,56 64,05 37,86 38,32 38,02 37,93 a a a a a a a a a a a a Nota: i valori indicati con la stessa lettera non sono significativamente differenti per P<0.05 secondo il test di Tukey. (*)valori medi dei due anni di prova; A -tradizionale; B - a due strati C-superficiale; D - minima Anche gli indici di resa (HI e NHI) sono significativamente incrementati, mentre la NUE è leggermente diminuita (differenza statisticamente non significativa), a conferma del maggiore quantitativo di N disponibile per la coltura. Infatti, molti autori hanno messo in evidenza che la NUE decresce con l’incremento della fertilizzazione azotata (Delogu et al., 1998; Koutrobas et al., 1998; Guillard et al., 1995). Anche l’intensità delle lavorazioni ha avuto un effetto sulla produzione di frumento. In particolare, Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione 137 il risultato produttivo ha subìto un significativo decremento, passando dalla lavorazione di tipo tradizionale alle altre modalità di preparazione del terreno. Anche in questo caso il diverso risultato produttivo può essere attribuito alla differente intensità di assorbimento dell’N. La modalità classica di preparazione del letto di semina ha probabilmente favorito la mineralizzazione ed incrementato la disponibilità di N; questo ha certamente influenzato la risposta produttiva del frumento in assenza di fertilizzante azotato. Anche per la fava (Tab. 2) è stata riscontrata una differenza significativa nella produzione, sia fra le annate che fra le modalità di lavorazione. In particolare, similmente a quanto riscontrato per il frumento, anche per la fava la lavorazione tradizionale ha fatto registrare un risultato produttivo significativamente più elevato rispetto alle altre modalità semplificate di preparazione del terreno. In questo caso, invece, non è stata riscontrata una significativa differenza per la quantità di azoto assorbito, probabilmente perché trattasi di una coltura azotofissatrice e l’N viene assorbito dalla pianta secondo le necessità. D’altra parte, una significativa differenza è stata riscontrata nell’indice di raccolta e nell’efficienza di utilizzazione dell’N. Queste risposte agronomiche trovano un parziale riscontro nelle variazioni rilevate a livello di parcelle sperimentali di terreno. Tabella 2. Produzione, N asportato e parametri di efficienza (fava). Resa in granella (Kg ha-1) Anno 95 167,9 b 97 272,3 a Lavorazione(*) A 240,6 a B 205,3 b C D 207,9 b 226,6 ab N asportato HI NHI NUE (Kg ha-1) (%) (%) (Kg Kg-1) 120,98 a 125,67 a 27,77 b 51,79 a 52,38 b 73,72 a 13,45 b 22,91 a 117,45 a 127,05 a 42,04 a 37,37 b 63,09 a 61,28 a 20,62 a 16,39 b 130,11 a 118,69 a 36,90 b 42,81 a 61,95 a 65,88 a 16,27 b 19,45 a Nota: i valori indicati con la stessa lettera non sono significativamente differenti per P<0.05 secondo il test di Tukey. (*)valori medi dei due anni di prova; A -tradizionale; B - a due strati C-superficiale; D - minima Dopo 5 anni di prova (1998) i contenuti in N-NO3 (Fig. 1) diminuiscono soprattutto sotto i 50 cm nelle tesi B, C e D, mentre risultano pressoché costanti con la lavorazione tradizionale. Questo potrebbe essere attribuito, allorquando si effettua la lavorazione a due strati (B), ad una lisciviazione preferenziale lungo l’asse della ripuntatura, che trasporta i nitrati negli strati più profondi, ma non è pienamente giustificato negli altri casi (trattamenti C e D). Sembrerebbe, in definitiva che, con la lavorazione tra- 138 De Giorgio et al. dizionale, la dinamica dell’N nel terreno subisca un’alterazione molto modesta che non influisce negativamente sui valori produttivi. Il contenuto in N-NH4 scambiabile del terreno (Fig. 1) presenta una variazione significativa ma opposta con il passare degli anni (1993 – 98) solo nelle parcelle di terreno con la lavorazione ordinaria (A) e a 2 strati (B). Fig.1 - Variazioni nel contenuto di nitrati e ammonio scambiabile del terreno in funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova. Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione 139 I valori dell’umidità del terreno, determinati per via gravimetrica, al momento del campionamento autunnale (Fig. 2), si differenziano nel periodo di prova solo nelle parcelle interessate al trattamento B. Gli strati di terreno più superficiali (0-10, 10-20 cm) sono risultati più umidi con la lavorazione ordinaria (A) e quella minima (D), mentre negli strati compresi tra 20 e 50 e tra 50 e 70 cm, i valori massimi si registrano per la lavorazione D nel 1° anno e per la B nell’ultimo. Fig.2 - Variazione dell'umidità e del C organico totale (TOC) del terreno in funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova. 140 De Giorgio et al. Le differenze riscontrate tra il 1993 ed il 1998 sul contenuto in C organico totale (TOC - Fig.2), mettono in evidenza, come tendenza, soltanto una maggiore stabilità del TOC in tutto il profilo colturale delle parcelle interessate alla lavorazione superficiale (C). Fig.3 - Variazione del contenuto in carbonio totale estratto (TEC) e di quello umificato [C(HA+FA)] del terreno in funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova. Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione 141 Ad un andamento piuttosto costante lungo tutto il profilo rilevato per il Carbonio totale estratto del terreno (TEC – Fig. 3), nel 1° anno, si contrappone l’elevata variabilità osservata nel 1998. Ciò indica che la frazione “estraibile” della s.o. che nel corso degli anni tende mediamente ad aumentare (nel 1993 il rapporto TEC/TOC è in media del 50%, mentre nel ’98 è del 77%), è influenzato dalle tecniche di lavorazione del terreno. Fig.4 - Variazione del grado (DH) e del tasso (HR) di umificazione del terreno per effetto delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova. 142 De Giorgio et al. I valori di C [HA + FA] (Fig. 3) nello strato superficiale di terreno (0–10 cm) risultano più elevati con i trattamenti B e D sia nel ’93 che nel ’98, rispetto agli altri trattamenti, evidenziando come queste due modalità di lavorazione non turbano sostanzialmente il turnover della s.o. in questo strato di terreno. Al contrario, nello strato immediatamente successivo (10–20 cm) si osserva nell’ultimo anno un incremento più significativo in C [HA + FA] con il trattamento A (+ 128%) ed una diminuzione altrettanto marcata con quello D (-52%). Al di sotto dei 20 cm le variazioni riscontrate in C [HA + FA] sono invece più contenute ed i valori medi risultano pressoché costanti fino a 70 cm, con andamenti analoghi in tutti i trattamenti. Nel 1998, il grado di umificazione (DH %, Fig. 4) presenta differenze significative solo negli strati superficiali di terreno: è più elevato nelle tesi B e D (ca. 90%), rispetto al valore medio rilevato in A e C (ca. 38%). Tale differenza tra i due gruppi si attenua nello strato di terreno più profondo (rispettivamente 64,5 % per B e D e 67% per A e C). A profondità maggiori ( 20 – 50, 50 – 70 cm) i valori di DH sono costanti nel tempo per tutti i 4 trattamenti, attestandosi intorno al 70%. Il tasso di umificazione (HR , Fig. 4) presenta nel corso degli anni un andamento analogo a DH, in quanto nel 1998 i valori rilevati negli strati superficiali per la coppia di trattamenti B e D e A e C sono significativamente diversi (rispettivamente 70 e 30%) e tendono ad attenuarsi negli strati più profondi. Conclusioni Il confronto fra diverse modalità di lavorazione in un Vertisuolo del Tavoliere pugliese, ha evidenziato che con la lavorazione ordinaria i valori produttivi, sia del frumento senza apporto di fertilizzanti azotati che della fava in avvicendamento biennale, tendono ad essere più elevati. Nelle lavorazioni diverse dalla tradizionale si osservano variazioni molto marcate nel contenuto in nitrati del terreno, determinate dall’allontanamento dalla rizosfera dell’N mineralizzatosi durante il ciclo colturale. Il contenuto in s.o. del terreno rispecchia solo parzialmente gli andamenti produttivi e la dinamica dell’N minerale del suolo. La perturbazione provocata dagli interventi agronomici al terreno si manifesta con: a) valori piuttosto costanti di TOC nel profilo colturale con la lavorazione superficiale; b) aumento medio di TEC nel tempo; c) incremento del C umificato nelle parcelle trattate con A; d) comportamento pressoché simile di DH Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione 143 e HR nelle coppie di parcelle A e C, B e D. I risultati della ricerca mettono comunque in evidenza che il sistema è in fase di transizione e che lentamente, per effetto delle diverse lavorazioni del terreno, si sta evolvendo verso un nuovo stato stazionario. Ringraziamenti Gli AA. ringraziano F. Fornaro e N. Martinelli per la collaborazione nella realizzazione della ricerca. Bibliografia DELOGU G., CATTIVELLI L., PECCHINI N., DE FALCIS D., MAGGIORE T., STANCA A.M. 1998. Uptake and agronomic efficiency of nitrogen in winter barley and winter wheat. European Journal of Agronomy, 9, pp.11-20. FAO-UNESCO, 1960. Etude écologique de la zone méditerraneenne. Carte Bioclimatique de la zone méditerraneenne. GEE G.W., BAUDER J.W. 1986. Particle-size analysis. p.383-411. In: A. Klute (ed.) Methods of soil analysis. Part 1. 2nd ed. Agron. Monogr. 9. ASA and SSSA, Madison, WI., pp.383-411. GUILLARD K., GRIFFIN G.F., ALLISON D.W., RAFEY M.M., YAMARTINO W.R., PIETRZYK S.W. 1995. Nitrogen utilization of selected cropping system In U.S. Northeast: I. Dry matter yield, N uptake, apparent N recovery, and N use efficiency. Agronomy Journal, 87: pp.193-199. KOUTROBAS S.D., PAPACOSTA D.K., GAGIANAS A.A. 1998. The importance of early dry matter and nitrogen accumulation in soybean yield. European Journal Agronomy, 9: pp.1-10. MiRAAF 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo. ISMEA-Roma. ODELL R.T., MELSTED S.W., WALKER W.M. 1984. Changes in organic carbon and nitrogen of morrow plot soils under different treatments. Soil Science, 137,pp.160-171. RAUN W.R., JOHNSON G.V.1998. Increasing nitrogen use efficiency in cereal production. Oklahoma State University, Stillwater OK. SAS Institute 1990. SAS/STAT Software SAS Insitute Inc, Cary, NC. SOANE B.D. 1990. The role of organic matter in soil compactibility: a review of some pratical aspects. Soil & Tillage, 16: pp.179-201. SEQUI P., DE NOBILI M., LEITA L., CERCIGNANI, G. 1986. A new index of humification. Agrochimica, 30, pp. 175-179. TIESSEN H., STEWART J.W.B., BETTANY J.R. 1982. Cultivation effects on the amounts and concentration of carbon, nitrogen and phosphorus in grassland soils. Agronomy Journal, 74, pp.831-835. U.S. Soil Survey Staff, 1975. Soil Taxonomy A basic system soil classification for making and interpreting soil survey. U.S. Dept. Of Agriculture. Handbook n. 436. 145 “NO-TILLAGE”, PACCIAMATURA VEGETALE E SOVESCIO: EFFETTI COMBINATI RILEVATI IN UN VENTIQUATTRENNIO SU DI UN TERRENO COLTIVATO A MANDORLO De Giorgio D., Ferri D., Convertini G., Montemurro F., La Cava P. Istituto Sperimentale Agronomico (MiPA) Via C. Ulpiani, 5 – 70125 Bari Riassunto In un terreno franco argilloso (Ruptic-Lithic), è in corso una ricerca sul confronto tra tecniche agronomiche (lavorazioni del terreno e controllo delle infestanti). La prova è stata realizzata presso il campo sperimentale del germoplasma del mandorlo (Bitetto -BA) ove sono presenti 205 cv di mandorlo e prevede il confronto di cinque tesi: A) “No-tillage” e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) “No-tillage” e impiego di diserbo disseccante (gramoxone); D) Sovescio; E) Sarchiatura (controllo). Da ogni parcella sperimentale si prelevano sistematicamente campioni di terreno sui quali vengono determinate le principali caratteristiche (pH, N, P, basi di scambio, ecc.) nonché i principali parametri collegati all’evoluzione quali-quantitativa della sostanza organica (carbonio organico totale, estraibile ed umificato, grado, tasso ed indice di umificazione). Gli effetti sul suolo dei diversi metodi di preparazione del terreno e di controllo delle infestanti hanno evidenziato che le due tecniche con caratteristiche di minore impatto (trattamenti B e D) conservano meglio la fertilità agronomica del suolo. Infatti, nelle parcelle su cui ha luogo la pacciamatura (B) si osservano i valori più alti di N, Pass., K scamb., Mg, di carbonio organico totale ed estraibile. Le variazioni dei parametri di umificazione presentano andamenti più complessi, ma comunque abbastanza indicativi sul migliore intervento agronomico (trattamento D). Pertanto ai fini della sostenibilità della coltura e della fertilità del suolo le tesi che prevedono il sovescio e la pacciamatura con residui vegetali sono da preferire rispetto alle altre tesi poste a confronto. Parole chiave: “no-tillage”, pacciamatura, sovescio, caratteristiche chimiche del suolo, mandorlo. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 145-152 (2001) 146 De Giorgio et al. Introduzione Fra le tecniche agronomiche che consentono il miglior compromesso tra produttività e conservazione della fertilità del suolo, il “minimum tillage” sta riscuotendo crescenti consensi, in particolare negli U.S.A., in Australia e, in modo più limitato, anche in Europa. E’ una tecnica che se da un lato consente di ottenere una riduzione dei costi produttivi ed è meno invasiva rispetto alle lavorazioni tradizionali, dall’altro crea la necessità di un maggior controllo della flora avventizia, che sottrae elementi nutritivi e acqua. La scelta della tecnica agronomica più idonea ad un determinato ecosistema non risulta facile, in quanto vi sono numerosi fattori che interagiscono, come quelli di natura economica, ambientale ed edafica (Abdewahed and Albisu, 1983). Le variazioni della fertilità del terreno sono molto complesse a causa dell’interazione tra la natura intrinseca del suolo e l’operato dell’uomo. Infatti, la presenza, la quantità e la tipologia della biomassa vegetale, i diversi trattamenti adoperati (asportazione, interramento o distribuzione superficiale) sono i principali fattori che determinano variazioni sulle trasformazioni biochimiche di molti elementi biogeni come C, N, P, S (Dommergues and Mangenot, 1970; Alexander, 1977; Nannipieri, 1984; Streeter, 1987; Nuti et al., 1989). Il ciclo del carbonio, che comprende processi di organicazione e mineralizzazione, può essere modificato in funzione della natura chimica della sostanza organica apportata. Poiché il ciclo dell’azoto è legato a quello del carbonio, i processi di azotofissazione, ammonificazione e nitrificazione (Nuti e Lepidi, 1983, Nuti e Lepidi, 1985, Haynes, 1986) vengono interessati dalle trasformazioni della sostanza organica. Peraltro, quando si accumula in superficie uno strato di materiale vegetale, possono determinarsi forme di immobilizzazione dell’N minerale con riduzione di nitrificazione, denitrificazione e dilavamento (Gosz e Fischer, 1984). In base a tali considerazioni su un mandorleto, coltura tipica dell’Italia meridionale, è stata avviata una ricerca in cui vengono esaminati gli effetti dei trattamenti agronomici sui nutrienti del terreno. In questa nota vengono esaminati gli effetti nel tempo dei trattamenti sui nutrienti del terreno e fa seguito a una precedente lavoro (De Giorgio e Macchia, 1989) dove sono stati esaminati gli aspetti agronomici. “No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un terreno coltivato a mandorlo 147 Materiali e metodi La ricerca è stata condotta su un appezzamento del campo del “germoplasma del mandorlo” dell’ISA. Il campo, ubicato in agro di Bitetto (BA), comprende 205 cv di diversa provenienza (nazionali, nuove costituzioni ed estere). Su uno schema sperimentale a blocco randomizzato con 5 ripetizioni e con parcella elementare di 3 piante, cv Filippo Ceo e sesto di impianto m 7x7, nel 1976 è stato avviato uno studio che confronta le seguenti tesi: A) “no-tillage” e diserbo antigerminello; B) “no-tillage” con sfalcio della flora avventizia; C) “no-tillage”con impiego di disseccante chimico delle infestanti; D) sovescio di favino; E) sarchiato (testimone). Nella tesi A, fino al 1990, sono stati utilizzati 4 diversi principi attivi a rotazione (Bromacile, Propyzamide + Simazina, 2,6 Diclhorenil tio bezamide, Chlorprophandiuron), successivamente, per il ritiro dal commercio di alcuni di questi, è stato effettuando un diserbo precoce, in post-emergenza. Nelle tesi “no-tillage”, B e C, le parcelle vengono lasciate inerbite ed a metà primavera la flora infestante viene falciata (B) e trattata con disseccante (C), in entrambe la biomassa viene lasciata sul terreno con effetto pacciamante. Per il trattamento D in autunno è prevista la semina del favino e in primavera, al momento della fioritura, l’interramento della coltura. Nel testimone (E) vengono effettuate le operazioni colturali normalmente eseguite nell’ambiente di prova per mantenere il terreno privo di infestanti e ben coltivato. Nelle tesi B, C e D, prima di effettuare i trattamenti o l’interramento, vengono prelevati campioni di massa vegetale per determinare i quantitativi di sostanza secca per ettaro. L’andamento climatico dell’ambiente di prova, nel ventiquattrennio, è stato caratterizzato da una piovosità media annua di 446 mm e da una temperatura con valori minimi intorno allo zero in inverno e valori massimi d’estate sui 35-38 °C (clima meso-mediterraneo attenuato). Il terreno di prova è prevalentemente argilloso e classificato Ruphtic-Lithic secondo la classificazione USDA (Gee et al., 1986). Lo strato arabile è di circa 30 cm, molto ricco di scheletro di origine calcarea, e poggia su una roccia fessurata che consente all’apparato radicale del mandorlo di esplorare strati profondi. Nel 1999, dopo 24 anni di trattamenti ripetuti, è stato effettuato il campionamento del terreno alla profondità di 0-30 cm. Le determinazioni analitiche riguardano gli aspetti chimici del terreno (carbonio organico totale-TOC, ed estratto-TEC, N-NO3, N-NH4, C/N, P assimilabile, K scambiabile, pH, calcare attivo, C.S.C.; - MIRAAF 1994). I dati rilevati hanno consentito di calcolare i seguenti coeffi- 148 De Giorgio et al. cienti: a) Grado di umificazione = DH% = C[HA + FA]/TEC*100; b) Tasso di umificazione = HR% = C[HA + FA]/TOC*100; c) Carbonio organico estratto e non umificato = NH = TEC - C[HA+FA]; d) Indice di umificazione = HI = NH/ C[HA + FA]. I dati rilevati sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo la procedura SAS (SAS Institute, 1990) e per valutare la significatività delle differenze fra le medie è stato utilizzato il Duncan Multiple Range Test. Risultati e discussione Nelle tesi del “no-tillage” B e C, che prevedevano lo sviluppo della flora infestante e successiva falciatura e disseccamento, è stata prodotta e utilizzata come pacciamatura una quantità di biomassa rispettivamente di 325 e 360 Kg ha-1 di sostanza secca. Nelle tesi con sovescio mediamente sono stati interrati 410 Kg ha-1. Le principali caratteristiche chimico-agrarie delle parcelle sperimentali in studio sono riportate in tabella 1. Tabella 1 - Principali caratteristiche delle parcelle sperimentali in prova, dopo 24 anni di trattamenti (Bitetto 1999). N totale N-NO3 N-NH4 P ass. K Na Ca Mg pH Calcare CSC % H20 totale meq/100g Trattamento mg/kg terreno A 0,194 a 3,31 a 2,71 a 150 c 310 b 67,6 a 2904 b 342 b 7,73 tracce 28,77 B 0,076 b 0,61 c 0,50 c 190 c 566 a 50,8 b 3380 b 396 a 7,54 tracce 30,55 C 0,115 a 0,63 c 0,51 c 220 c 382 b 53,6 b 3404 b 330 b 7,45 tracce 28,77 D 0,091 b 0,59 c 0,48 c 320 b 276 b 66,8 a 3484 b 246 c 7,69 tracce 31,80 E 0,199 a 1,77 b 1,45 b 540 a 504 a 46,8 b 4100 a 336 b 7,84 tracce 29,14 A) "no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego di diserbo disseccante (gramoxone); D) Sovescio di favino; E) Sarchiatura (test). Nota: i valori indicati con lettere diverse sono significativamente differenti per P<0.05 secondo il test di Duncan. Nelle parcelle con sovescio (D), i contenuti in N totale ed in N organico (differenza tra N totale ed N minerale) sono minimi a fronte di rapporti C/N massimi (Tabella 2). In queste parcelle, i processi di mineralizzazione dell’N organico hanno prevalso sull’immobilizzazione a seguito dell’incorporazione nel terreno di materiale vegetale costituito da frazioni orga- “No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un terreno coltivato a mandorlo 149 niche facilmente decomponibili. Poiché rispetto al testimone (E), i contenuti in N totale ed N minerale del terreno sono all’incirca la metà, si potrebbe dedurre che l’aggiunta al terreno di materiale organico abbia favorito i microrganismi nitrificanti che, non solo hanno mineralizzato l’N organico presente nel materiale vegetale introdotto, ma anche quello presente originariamente nel terreno. Un andamento a sé stante viene registrato nelle parcelle trattate con “disseccante” che presentano, per quanto riguarda l’N, valori intermedi. Le parcelle “no-tillage” con pacciamatura (B) e diserbo antigerminello (A) presentano gli stessi contenuti in N organico (del quale non viene favorita la mineralizzazione), ma una evidente differenza in quello totale e minerale: quest’ultimo è infatti molto più elevato in (A) che in (B) probabilmente perché l’azione diserbante che impedisce la presenza di piante e quindi di assorbire nitrati ed ammonio dal terreno, e consente un maggiore accumulo nello strato arabile rispetto alle parcelle (B), in cui le piante prima dello sfalcio sottraggono elementi nutritivi al suolo. Il contenuto in P assimilabile (Olsen) del terreno è più elevato nelle parcelle testimoni in confronto alle altre. Negli altri trattamenti vi è certamente una maggiore asportazione di fosfato da parte delle piante e di conseguenza, una quantità minore residua nel terreno. Tra le basi di scambio, il K e il Mg del trattamento (D) sono significativamente più bassi del controllo a causa di una maggiore efficienza assimilatoria da parte delle piante determinata, in questo caso, dalla fertilizzazione organica che ha la suddetta tesi (D). Nelle tabelle 2 e 3 sono riportate le variazioni rilevate nelle parcelle sperimentali per effetto dei trattamenti in prova su C organico e parametri di umificazione. Tabella 2 - Contenuti in Carbonio organico totale, estraibile, umificato e non, dopo 24 anni di trattamenti (Bitetto, 1999) Trattamento A B C D E TOC 12,57 c 18,42 a 17,10 b 18,20 a 12,88 c TEC C(HA+FA) g/kg terreno 8,48 c 3,08 b 13,84 a 4,57 a 10,20 b 3,64 b 10,11 b 5,05 a 12,24 ab 2,65 b NH C/N 5,40 b 9,27 a 6,56 b 5,06 b 9,59 a 6,5 24,2 14,8 20,0 6,5 A)"no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego di diserbo disseccante (gramoxone) D) Sovescio di favino; E) Sarchiatura (test). Nota: i valori indicati con lettere diverse sono significativamente differenti per P<0.05 secondo il test di Duncan. 150 De Giorgio et al. Tabella 3 - Grado, tasso ed indice di umificazione del terreno sede della prova, dopo 24 anni di trattamenti (Bitetto, 1999) Trattamento A B C D E DH 36,30 33,00 35,70 50,00 21,70 HR % 24,50 24,80 21,30 27,70 20,60 HI 1,75 2,03 1,80 1,00 3,62 A) "no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego di diserbo disseccante (gramoxone) D) Sovescio di favino; E) Sarchiatura (test). Il carbonio organico totale (TOC) è massimo nelle tesi B e D; intermedio in C; minimo in A ed E, perché è influenzato dall’aggiunta al terreno di sostanza organica tramite sovescio di favino (D) o dallo sfalcio e pacciamatura (B) della flora avventizia. Il carbonio organico estraibile (TEC) risulta invece più elevato solo nelle parcelle trattate con B ed E, e valori simili hanno fatto registrare anche C e D. Va rilevato infine il valore minimo riscontrato in A. Tali risultati sembrano confermare che il TEC è essenzialmente condizionato dal materiale organico incorporato nel terreno (B= pacciamatura) che è diverso da A (diserbo precoce). Le parcelle interessate ai trattamenti B e D presentano inoltre contenuti statisticamente più elevati in C(HA+FA), rispetto alle altre tesi, evidenziando, in definitiva, che l’aggiunta al terreno di materiale organico induce anche un aumento di sostanze umificate. E’ interessante rilevare al riguardo che, sia con il sovescio che con la pacciamatura, il terreno presenta un contenuto in C umificato quasi doppio dei valori rilevati nel testimone (E). Per converso i quantitativi di C non umificato (NH) sono minimi in (D) ma elevati sia nelle parcelle sarchiate (E) che in quelle con lo sfalcio della biomassa avventizia (B). La differenza in “NH” fra i trattamenti (D) e (B), potrebbe dipendere dalla diversa evoluzione del materiale organico. La valutazione dei parametri di umificazione (Tab. 3) conferma che il grado ed il tasso di umificazione del terreno sono stati influenzati dall’aggiunta del materiale vegetale per 24 anni: infatti le parcelle in cui ha avuto luogo il sovescio (D) presentano grado e tasso di umificazione più elevati degli altri trattamenti in studio. Questi risultati dimostrano che la fertilizzazione organica effettuata con materiale vegetale fresco incorporato nel terreno non solo arricchisce la sostanza organica del terreno ma modifica anche i ritmi di umificazione e/o decomposizione della stessa, aumentando in definitiva l’humus stabile che, in determinate condizioni agronomiche e micrometeorologiche, migliora le proprietà fisiche del terreno, la regimazione idrica, “No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un terreno coltivato a mandorlo 151 il rapporto aria-terreno, l’habitat della microflora e della microfauna, favorisce l’attività enzimatica e migliora anche lo stato nutrizionale (Sequi, 1989). Conclusioni I risultati della ricerca, condotta su un mandorleto allevato in ambiente mediterraneo, evidenziano che i trattamenti agronomici sul terreno hanno modificato sostanzialmente alcune caratteristiche del suolo. In particolare, nelle parcelle in cui ha luogo il sovescio da 24 anni è stata favorita la mineralizzazione dell’N organico del materiale vegetale e del suolo depauperando, in definitiva, il terreno in N. Anche se non statisticamente significative le tesi con pacciamatura e con sovescio dei residui vegetali (B e D) hanno mostrato un incremento di carbonio totale nel suolo, del rapporto fra C/N e del grado e tasso di umificazione. I risultati della ricerca indicano che con le tesi B e D si ha una migliore conservazione della fertilità del suolo rispetto all’impiego di prodotti chimici di sintesi ed al testimone sarchiato. Tale risultato appare particolarmente importante e significativo se si considera che la ricerca è stata condotta in un ambiente pedo-climatico caratterizzato da temperature estive molto elevate, scarsa piovosità e da terreni poco profondi, indici di una minore sostenibilità della coltivazione. Ringraziamenti Gli AA. ringraziano Nicola Martinelli e Franco Fornaro per la collaborazione nella realizzazione della ricerca. Bibliografia ABDEWAHED M., ALBISU L.M. 1993. I costi di produzione del mandorlo: possibilità e alternative con le innovazioni tecniche. Rivista di frutticoltura, 12, pp.17-21. ALEXANDER M. 1977. Organic matter decomposition. In “Introduction to soil microbiology”, J. Wiley and Sons Publ. pp.128-147. DE GIORGIO D., MACCHIA M. 1989. Dodici anni di confronto fra diversi metodi di preparazione del terreno e controllo delle infestanti su mandorlo allevato in una zona dell’Italia meridionale a particolare vocazione mandorlicola. Annali Istituto Sperimentale Agronomico, 20, pp.67-80. DOMMERGUES Y., MANGENOT F. 1970. Ecologie microbienne du sol. Ed. Masson et. C. ie., pp., 92-289. GEE G. & W., BAUDER J.W. 1986. Particle-size analysis. In: A. Klute (ed.) Methods of soil analysis. Part 1. 2nd ed. Agron. Monogr. 9. ASA and SSSA, Madison, WI., pp.383-411. GOSZ J.R., FISCHER F.M. 1984. Influence on selected processes in forest soils. In: “Current perspective in microbial ecology”, M.J. Klug and C.A. Reddy Eds., Amer. Soc. Microbiol. Publ. pp. 509-530. HAYNES R.J. 1986. Mineral nitrogen in the plant-soil system. Academic Press, pp.483. 152 De Giorgio et al. NANNIPIERI 1984. Microbiol biomass and activity measurements in soil; ecological significance. M.J. Klug and C.A. Reddy Eds., Amer. Soc. Microbiol., Washington, pp. 515-521. NUTI M.P., LEPIDI A. 1983. La fertilizzazione biologica del suolo: fissazione dell’azoto atmosferico. Piccin Ed., Padova, pp. 1-68. NUTI M.P., LEPIDI A. 1985. Nutrient avalability to the plants as function of microbial activities. L’Agricoltura Italiana, 114, pp.99-116. NUTI M.P, SQUARTINI A., CASELLA S. 1989. Gestione delle attività microbiche che controllano le trasformazioni dell’azoto nel terreno e nella pianta. Rivista di Agronomia, 23, 1, pp.23-29. SAS Institute, 1990. SAS/STAT Software SAS Institute Inc. Cary, NC. STREETER J. 1987. Carbon mrtabolism and the exchange of metabolites between symbionts in legum nodules. In “Symbiotic nitrogen fixation”, F. O’Gara and J.J.Decrevon Eds.. SEQUI P. 1989. Chimica del suolo. Patron Editore. 153 BIODISPONIBILITÀ DEL CD IN UN SUOLO INQUINATO CON DIVERSE DOSI DELL’ELEMENTO E INOCULATO CON MICORRIZE SELEZIONATE Ferrazza P., Beni C., Aromolo R., Marcucci A., Figliolia A. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Roma Sommario E’ stata studiata la biodisponibilità del Cd a seguito di inquinamento artificiale di un suolo in vasche lisimetriche, coltivato ad orzo, stimando la quantità nel suolo e quella asportata dalla coltura, localizzando gli eventuali siti di accumulo dell’inquinante nel vegetale. Il suolo è stato inquinato con Cd (nelle dosi di 0, 1, 10 e 100 ppm), allestendo quattro repliche, metà delle quali è stata inoculata con due endofiti micorrizici. A fine coltura, sono state valutate le quote di Cd totale ed assimilabile nel suolo e le concentrazioni nelle diverse parti della pianta. Tutti i risultati sono stati sottoposti ad analisi di regressione lineare e della varianza associata (ANOVA). Mettendo in relazione le concentrazioni di Cd assimilabile sia con quelle totali del suolo, che con le quantità rilevate nei tessuti vegetali, per tutte le tesi, ne è risultata una relazione lineare altamente significativa. Nell’orzo si evidenziano elevati accumuli di Cd nella radice, scarsissime quantità nel fusto e soprattutto nella granella. Le piante risulterebbero dotate di un efficiente sistema di barriera radicale, che impedisce la migrazione del Cd verso la parte aerea. Per quanto riguarda la capacità di assorbimento del metallo, tra le piante micorrizate e quelle non inoculate, non sono state rilevate differenze sulle quantità assorbite e sul loro destino. La produttività (dati non pubblicati) è rimasta invariata tra le tesi, pur manifestandosi sulle piante alcuni visibili sintomi di fitotossicità. Le quantità di Cd asportate risultano infine correlate col grado di inquinamento del suolo. Introduzione La presenza di cadmio nel terreno, e in particolare nei suoli coltivati, è di estremo interesse soprattutto in considerazione della possibilità del suo ingresso nella catena alimentare (Burgatsacaze et al. 1996 – Rauser Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 153-164 (2001) 154 Ferrazza et al. 1995). Come molti altri metalli pesanti presenti nel terreno (Tyler 1981), l’elemento viene assorbito dall’apparato radicale e traslocato agli altri organi della pianta in misura diversa, a seconda del tipo di coltura e delle caratteristiche del suolo (Herren & Feller 1997 – Kabata & Pendias 1992). Il cadmio è presente nel suolo generalmente in concentrazioni al di sotto di 1 ppm e, al contrario di molti altri metalli “micronutrienti”, esso non sembra indispensabile per le piante (Kookana & Naidu 1998 – Kabata & Pendias 1992). Il problema principale, che rende importante lo studio dell’inquinamento da cadmio, è dato dalla sua estrema tossicità per l’organismo umano, anche in concentrazioni molto basse, mentre la tossicità a livello vegetale si manifesta a concentrazioni discretamente alte (Aery & Jagetiiya 1997 - Allinson & Dzialo 1981 – Geuns et al. 1997). Per tale motivo, la presenza dell’elemento nel terreno non può essere rilevata attraverso fenomeni evidenti di fitotossicità, con conseguenti rischi per la catena alimentare. Il metallo si accumula nell’uomo in vari organi, prevalentemente nei reni, nella zona corticale, inducendo stati di insufficienza funzionale (Burgatsacaze et al. 1996); tale localizzazione è stabile, in quanto il cadmio non viene eliminato attraverso i meccanismi metabolici, con conseguenti fenomeni di accumulo nel tempo. La pericolosità dell’elemento, inoltre, è accentuata dal fatto che il cadmio in forma assimilabile è percentualmente elevato rispetto al totale presente nel terreno, arrivando anche a valori superiori al 50% (Vassilev et al. 1998), con possibilità di essere assorbito in notevoli quantità; questa caratteristica lo pone in una posizione di tipo “preferenziale” per l’assorbimento da parte della pianta, rispetto agli altri metalli (Gardiner et al. 1995).Nei vegetali, il cadmio si localizza prevalentemente a livello dell’apparato radicale (Rauser & Meuwly 1995 – Seregin & Ivanov 1998), chelato dalle fitochelatine; è la stessa quantità di cadmio disponibile a stimolare la sintesi di fitochelatine e il trasporto vacuolare (Rauser 1995 – Sheller et al. 1987 – Keltjens & van Beusichem 1998 – Howden et al. 1995). L’elevata quantità di cadmio assimilabile determina inoltre, una maggiore mobilità lungo il profilo del suolo, con possibilità di inquinamento delle falde acquifere (Breslin 1999 - Kookana & Naidu 1998). Le maggiori quote di assimilabile si riscontrano in genere nei suoli inquinati da apporti antropici. Tra questi, è bene ricordare l’inquinamento industriale (Dudka et al. 1996), le deposizioni atmosferiche (Eliksson et al. 1996 – Perdikaki & Mason 1999), la somministrazione di fertilizzanti fosfatici (Breslin 1999 – Eriksson et al. 1996) e di biomasse di risulta delle attività civili e agricole (fanghi di depurazione, compost, reflui agricoli, ecc.) Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate 155 (Breslin 1999 – Otabbong et al. 1997). La capacità di assorbimento da parte delle piante varia, oltre che in funzione della fisiologia delle diverse specie, anche in relazione ad alcuni parametri fisico-chimici del suolo (Naidu et al. 1997).L’assorbimento viene favorito da condizioni di pH sub-acido e acido (Eriksson et al. 1996), da elevati contenuti in sostanza organica (Vassilev et al. 1998) (in particolare per le quote non umificate o quelle umificate a più basso peso molecolare) (Sposito et al. 1982) e influenzato in maniera variabile dalla capacità di scambio cationico e dalla tipologia di sali presenti nella soluzione circolante (Kookana & Naidu 1998 – Gagnon et al. 1998). Lo scopo della presente indagine è lo studio della variazione di biodisponibilità del Cd a seguito di diversi livelli di inquinamento di un suolo avente reazione sub-acida e coltivato ad orzo. Si è voluta inoltre valutare la relazione esistente tra il contenuto dell’elemento in forma assimilabile nel suolo e la localizzazione dell’inquinante nel vegetale, stimando la quantità di Cd asportata dalle parti aeree. E’ stata esaminata, infine, la variazione dell’assorbimento radicale ponendo a confronto piante trattate con endomicorrize di un ceppo selezionato, con altre non trattate (Joner & Leyval 1997). Materiali e metodi L’esperienza è stata condotta in vasche lisimetriche del volume di 1 m3, all’interno delle quali era contenuto un suolo mantenuto alla capacità di campo; nelle vasche è stato coltivato orzo (Hordeum vulgare L., cv Robur) nell’annata agraria 1997/98. La densità di semina era pari a 400 semi per m2. Prima della semina, il suolo, le cui caratteristiche sono riportate in tabella 1, è stato inquinato con Cd (sottoforma di solfato), in dosi di 0, 1, 10 e 100 ppm, riservando un testimone non trattato. Contemporaneamente, il terreno di metà delle quattro repliche utilizzate per ogni tesi è stato inoculato con gli endofiti micorrizici Glomus constrictum e Glomus mosseae, mediante un inoculo contenente circa 70 spore/seme ugualmente ripartite tra le due specie fungine. Dopo dieci giorni dalla semina per ogni vasca è stata somministrata una quantità di 10 g di concime minerale azotato (urea, titolo 46%). E’ stato allestito un disegno sperimentale di 8 trattamenti (4 fattori e 2 livelli): micorrizati C+, 1+, 2+, 3+ e non micorrizati C-, 1-, 2- e 3-. 156 Ferrazza et al. Disponendo di 32 vasche, ogni trattamento è stato ripetuto su quattro di esse. In seguito il suolo è stato lasciato a riposo ed esposto all’azione degli agenti atmosferici per tre mesi, in modo da uniformare il più possibile la distribuzione dell’inquinante e l’infezione micorrizica. A fine coltura, su tutte le tesi compreso il testimone, sono state valutate: le quote di Cd assimilabile nel suolo dopo estrazione in DTPA, secondo il metodo Lindsay & Norwell (1969) (O’Connor 1988); le concentrazioni dell’elemento in forma totale nel suolo, con una miscela nitroperclorica; la concentrazione nelle diverse parti della pianta (radici, granella, fusto e foglie) utilizzando acido nitrico per l’estrazione (Izza et al., 1993). Le determinazioni sono state eseguite mediante spettrometria di emissione al plasma induttivo (ICP). I dati delle concentrazioni di Cd nel suolo (totale e assimilabile) e nei vegetali sono stati sottoposti ad analisi di regressione lineare e della varianza associata (ANOVA). Nella tab. 1 sono stati riportate le caratteristiche chimico-fisiche del terreno utilizzato con a confronto i limiti e valori medi dei metalli pesanti. Nella tab. 2 sono stati riportati i valori di produzione di biomassa riferiti al peso secco della parte aerea. Tab. 1. Caratteristiche chimico-fisiche del terreno ad inizio prova. Chimico-fisiche PH CSC meq/100g TOC % N tot P (Olsen) mg/kg Granulometria % Sabbia Limo Argilla Tessitura Conducibilità mS Metalli pesanti (ppm) Totali 6,7 Cadmio 0,8 30,05 Piombo 85 0,25 Nichel 21 Tracce Zinco 59 20 Rame 43 Limiti per assimilabili Assimilabili (ppm) 0,05 0,2-1,1 4,5 0,5-1,8 0,03 1,0-10,0 1,3 2,0-9,0 2,5 6,0-13,0 51,4 30,4 18,2 F 0,37 *I limiti riportati sono quelli indicati per i terreni agrari non inquinati, legge 748/84, gruppo di lavoro "Metalli Pesanti". Tab. 2. Produzione di biomassa. Valori medi del peso secco della parte aerea (kg). Anova: F=1.28 per 7/14 g.l., N.S. Trattamento Mic Non Mic Produzione media (kg di peso secco parte aerea) Ctr 1 2 3 0,50 +/- 0,09 0,53 +/- 0,04 0,58 +/- 0,07 0,46 +/- 0,08 0,60 +/- 0,08 0,59 +/- 0,19 0,46 +/- 0,09 0,54 +/- 0,05 Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate 157 Risultati e discussione La concentrazione di Cd in forma assimilabile (DTPA), presente nel suolo, micorrizato e non, è risultata correlata linearmente con la forma totale (R2 = 99 e 92% rispettivamente). L’analisi della varianza (ANOVA), riferita alle due rette di regressione, ha dato risultati significativi ad un livello di probabilità dello 0.1% (Figg. 1a-1b). Lo studio è stato condotto sui valori riferiti sia ai trattamenti micorrizati che a quelli non micorrizati. Fig. 1a: Relazione tra Cd totale e assimilabile nei terreni non micorrizati 80 70 Cd assimilabile (ppm) 60 50 y = 0,6038x - 1,0775 40 2 R = 0,9247 30 20 10 0 0 20 40 60 80 100 120 -10 Cd totale (ppm) Fig. 1b: Relazione tra Cd totale e assimilabile nei terreni micorrizati 100 90 Cd assimilabile (ppm) 80 70 y = 0,5074x + 0,3127 60 2 R = 0,9986 50 40 30 20 10 0 0 20 40 60 80 100 Cd totale (ppm) 120 140 160 180 200 158 Ferrazza et al. Si è osservato inoltre che la percentuale dell’elemento presente in forma assimilabile aumenta progressivamente con l’incremento della dose inquinante, nei trattamenti micorrizzati e non (Figg. 4a-4b), passando da una percentuale prossima al 6-7% nei controlli, a valori di 25-19% nella tesi a 1 ppm, al 39-19% nella tesi inquinata con 10 ppm e 44-49% in quella a 100 ppm. Questo andamento conferma l’ipotesi di uno spostamento del Cd verso le frazioni più mobili e biodisponibili in seguito all’apporto di questo elemento al suolo. Le concentrazioni di Cd rilevate nelle tre sezioni vegetali esaminate (radice, fusto e foglie, granella), sono state poste in relazione con le concentrazioni di Cd assimilabile presenti nelle corrispondenti parcelle di terreno, considerando i due raggruppamenti: micorrizato e non micorrizato. Anche in questo caso è stata rilevata una stretta correlazione lineare e l’ANOVA ha dato risultati altamente significativi; infatti, ad eccezione della retta di regressione della granella micorrizata (P: 1%, R2: 53%), tutte le rette sono risultate significative ad un livello di probabilità dello 0.1% (R2 per radici e fusto: 99 e 92%), pur presentando valori di pendenza molto differenti (Figg. 2a-2b). La differente pendenza è spiegata dalla variazione della ripartizione percentuale dei contenuti di Cd nelle tre sezioni vegetali considerate. Infatti, come si osserva nella figura 5, nel controllo il 91% dell’elemento si concentra nella radice, mentre soltanto il 9% si accumula in fusto e foglie; nella granella, invece, non si rileva la presenza dell’inquinante. Fig. 2a: Distribuzione del Cd nelle piante non micorrizate 45 y = 0,5749x + 1,6232 40 2 R = 0,9189 35 radici fusto granella Lineare (radici) Lineare (fusto) Lineare (granella) Cd (ppm) 30 25 20 15 y = 0,0578x + 0,1691 10 2 R = 0,9265 5 y = 0,0056x + 0,0211 2 R = 0,6646 0 0 10 20 30 40 50 60 Cd in forma assimilabile nel terreno (ppm) 70 80 Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate 159 Fig. 2b: Distribuzione del Cd nelle piante micorrizate 45 40 y = 0,439x + 0,784 2 R = 0,99 35 Cd (ppm) 30 radici fusto granella Lineare (radici) Lineare (fusto) Lineare (granella) 25 20 15 10 y = 0,0345x + 0,3233 2 R = 0,9218 y = 0,0235x - 0,0711 5 2 0 R = 0,5325 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 -5 Cd in forma assimilabile nel terreno (ppm) Nelle tesi con la concentrazione del metallo inferiore a 10 ppm (19-39% Cd assimilabile), si riscontra una stabilizzazione della percentuale di Cd nella parte ipogea (85-88%) e un aumento nella parte aerea, ad esclusione della granella, nella quale non è stato rilevato il metallo. Nella tesi a più elevata concentrazione (100 ppm con ~50% di Cd assimilabile), pur mantenendosi stabile la percentuale nella radice, si riduce la quota relativa a fusto e foglie, che torna ai livelli del controllo, mentre la quota rimanente si rileva nella granella. Dal confronto tra i grafici delle Figg. 4a e 4b, si può notare che l’accumulo di Cd nei tessuti vegetali dipende in misura maggiore dalle frazioni assimilabili, piuttosto che dai quantitativi totali di Cd nel suolo. Le quantità di Cd asportate in assoluto dalle piante (parte aerea) sono risultate direttamente correlate al grado di inquinamento del suolo; non ci sono tuttavia differenze significative dovute alla micorrizazione, come si rileva dalla Figura 3. Esaminando il grafico, inoltre, appare evidente l’esistenza di una notevole dipendenza della quantità asportata dall’aumento della quota assimilabile. Relativamente all’esistenza di fenomeni di fitotossicità, va detto che, pur essendo stati riscontrati sulle piante gli stessi sintomi identificati da altri autori (Vassilev et al., 1998) (differenti gradi di clorosi sui tessuti fogliari e di inbrunimenti della parte basale del culmo), la produttività dell’orzo è rimasta invariata all’aumentare dell’inquinamento da Cd. I suddetti sintomi so- 160 Ferrazza et al. no apparsi solo nelle fasi iniziali della crescita, unitamente ad un rallentamento della germinazione, evidente nelle tesi a media e massima concentrazione. Fig. 3. Percentuale di asportazione del Cd nei trattamenti (valori medi). Il parametro è calcolato per rapporto del Cd nelle parti aeree, in peso, con la biomassa delle stesse. Percentuali di Cd rilevate nelle parti aeree (peso secco) 0,2 0,18 0,16 0,14 0,12 % 0,1 0,08 0,06 0,04 0,02 0 c+ c- 1+ 1- 2+ 2- 3+ 3- Trattamenti Percentuali di cadmio assimilabile nel suolo Controllo D o se 1 N o n A s s im ila b ile 93% N o n A s s imilabile 81% As s im ila bile A s s i milabile 7% 19% Dose 3 D o se 2 N o n A s s i m ilabile 81% A s s im ilabile 49% As s im ila bile N o n a s s im ila bile 19% 51% Fig. Fig. 4a: il contenuto di cadmio in forma assimilabile aumenta percentualmente all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo inoculato con micorrize. micorrize. Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate 161 Percentuali di cadmio assimilabile nel suolo Dose 1 Controllo Non A s s i m ilabile Non A s s im ila b i l e 94% 75% A s s i m ilabile 25% A s s i m i la b i l e 6% Dose 2 Dose 3 A s s imilabile A s s im ilabile No n A s s i m ililab i l e 44% Non A s s imilabile 39% 61% 56% Fig. Fig. 4b: il contenuto di cadmio in forma assimilabile aumenta percentualmente all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo NON inoculato con micorrize. micorrize. Percentuali di cadmio nelle sezioni vegetali Dose 1 C o n trollo G r a n e lla Granella Fusto e foglie Fusto e foglie 0% 9% Radic i Radici 91% 88% Dose 3 Dose 2 Fusto e foglie 15% 0% 12% Granella Granella F u s t o e f o g lie 0% 4% 9% Radic i Radic i 85% 87% Fig. 5: il contenuto di cadmio nelle diverse sezioni vegetali varia percentualmente all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo 162 Ferrazza et al. Fig. 6a: Andamento della distribuzione del Cd nei vegetali 200 180 terreno (totali) radici fusto granella 160 Cd (ppm) 140 120 100 80 60 40 20 0 orzo non micorrizato orzo micorrizato Fig. 6b: Andamento della distribuzione del Cd nei vegetali 200 180 terreno (assimilabile) 160 radici fusto Cd (ppm) 140 granella 120 100 80 60 40 20 0 orzo non micorrizato orzo micorrizato Le piante di orzo risulterebbero quindi dotate di un efficiente sistema di barriera a livello radicale, che riduce la migrazione del Cd verso la parte aerea; la radice quindi manifesta una capacità portante che varia in percentuale dall’85 al 91%. La quota di metallo in esubero rispetto a tale capacità, viene traslocata in fusto e foglie, da dove può migrare verso la granella solo se viene superato un ipotetico “effetto soglia”, legato ad elevate quantità di Cd in forma assimilabile nel suolo. Per quanto riguarda la capacità di Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con micorrize selezionate 163 assorbimento del metallo, tra le piante inoculate con micorrize e quelle non inoculate, non si rilevano differenze né sulle quantità assorbite, né sul destino all’interno della pianta. Esaminando i quantitativi assorbiti dall’orzo in funzione delle concentrazioni dell’elemento nel terreno (totali e assimilabili), appare evidente che sono soprattutto le quote biodisponibili di Cd ad influenzare l’assorbimento e la conseguente ripartizione nei vegetali (fig. 6). Si evidenzia quindi che il Cd apportato dagli inquinamenti induce una maggiore pericolosità in quanto va a incrementare la quota assimilabile. Bibliografia AERY N.C., JAGETIYA B.L. 1997. Relative toxicity of cadmium, lead and zinc on barley. Communication soil science plant analysis, 28(11&12), 949-960. ALLINSON D.W., DZIALO C. 1981. The influence of lead, cadmium and nickel on the growth of ryegrass and oats. Plant and soil, 62, 81-89. BRESLIN V.T. 1999. Retention of metals in agricultural soils after amending with MSW and MSW-biosolids compost. Water, Air & Soil Pollution, 109, 163-178. BURGATSACAZE V., CRASTE L., GUERRE P. 1996. Cadmium in the food chain – a review. Revue de Medecine Veterinaire, 147, 671-680. CANDELARIA L.M., CHANG A.C., 1997. Cadmium activities solution speciation and solid phase distribution of Cd in Cadmium Nitrate and Sewage Sludge treated soil systems. Soil Science, 162, 722-732. DUDKA S., PIOTROWSKA M., TERELAK H. 1996. Transfer of cadmium lead and zinc from industrially contaminated soil to crop pants: a field study. Environmental pollution, 94(2), 181-188. ERIKSSON J., OBORN I., JANSSON G., ANDERSSON A. 1996. Factors influencing Cd-content in crops – Results from Swedish field investigations. Swedish Journal of Agricultural Research, 26, 125-133. GAGNON C., VAILLANCOURT G., PAZDERNIK L. 1998. Influence of water hardness on accumulation and elimination of cadmium into aquatic mosses under laboratory conditions. Archives of environmental contamination and toxicology, 34, 12-20. GARDINER D.T., MILLER R.W., BADAMKIAN B., AZZARI A.S., SISSON D.R. 1995. Effects of repeated sewage sludge applications on plant accumulation of heavy metals. Agriculture, Ecosystems and Environment. 55, 1-6. GEUNS J.M.C., CUYPERS A.J.F., MICHIELS T., COLPAERT J.V., VAN LAERE A., VAN DEN BROECK K.A.O., VANDECASTEELE C.H.A. 1997. Mung been seedlings as bio-indicators for soil and water contamination by cadmium. The science of the total environment, 203, 183-197. HERREN T., FELLER U. 1997. Transport of cadmium via xylem and phloem in maturing wheat shoots – Comparison with the translocation of zinc, strontium and rubidium. Annals of Botany, 80, 623-628. HOWDEN R., ANDERSEN C.N., GOLDSBROUGH P.B., COBBETT C.S. 1995. A cadmium-sensitive, glutathionedeficient mutant of Arabidopsis thaliana. Plant physiology, 107, 1067-1073. HOWDEN R., GOLDSBROUGH P.B., ANDERSEN C.N., COBBETT C.S. 1995. Cadmium-sensitive, Cad1 mutants of Arabidopsis thaliana are phitochelatin-deficient. Plant physiology, 107, 1059-1066. IZZA C., MANGIONE D., INDIATI R., FIGLIOLIA A. 1994. Heavy metal pollution: role of the soil organic matter in the dynamics of Cd, Pb, Cu and Zn. Proceedings of the XXIV ESNA annual meeting. Varna. JONER E.J., LEYVAL C. 1997. Uptake of Cd-109 by roots and hyphae of a glomus mosseae trifoliumsubterraneum mi- 164 Ferrazza et al. corrhiza from soil amended with high and low concentrations of cadmium. New Phytologist, 135, 353-360. KABATA-PENDIAS A., PENDIAS H., 1992. Trace elements in soil and plant. II edition, Boca Raton, CRC Press, 5166, 109-116. KELTJENS W.G., van BEUSICHEM M.L. 1998. Phytochelatins as biomarkers for heavy metal stress in maize (Zea mais L.) and wheat (Triticum aestivum L.): Combined effects of copper and cadmium. Plant & Soil, 203, 119-126. KOOKANA R.S., NAIDU R. 1998. Effects of soil solution composition on cadmium transport through variable charge soils. Geoderma, 84(1-3), 235-248. LINDSAY W.L., NORWELL W.A., 1969. Equilibrium relationships of Zn, Fe, Ca and H with EDTA and DTPA in soils. Soil Science American Proceedings, 33, 62-68. McBRIDE M.B. 1998. Growing food crops on sludge-amended soils: Problems with the US Environmental Protection Agency method of estimating toxic metal transfer. Environmental Toxicology & Chemistry, 17, 2274-2281. Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali. 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo. MiRAAF, Roma. NAIDU R., KOOKANA R.S., SUMNER M.E., HARTER R.D., TILLER K.G. 1997. Cadmium sorption and transport in a variable charge soils – a review. Journal of Environmental Quality, 26, 602-617. O’CONNOR G.A. 1988. Use and measure of DTPA soil test. J. Environ. Qual. 17, 715-718. OTABBONG E., SADOVNIKOVA L., IAKIMENKO O., NILSSON I., PERSSON J. 1997. Sewage sludge: Soil conditioner and nutrient source – II. Availability of Cu, Zn, Pb and Cd to barley in a pot experiment. Acta Agriculturae Scandinavica Section B-Soil & Plant Science, 47, 65-70. PERDIKAKI K., MASON C.F. 1999. Impact of road run-off on receiving streams in Eastern England. Water Research, 33, 1627-1633. RAUSER W.E. 1995. Phytochelatins and related peptides. Plant physiology, 109, 1141-.1149. RAUSER W.E., MEUWLY P. 1995. Retention of cadmium in roots of maize seedlings. Plant physiology, 109, 195-202. SCHELLER H.V., HUANG B., HATCH E., GOLSBROUGH P.B. 1987. Phytochelatin synthesis and glutathione levels in response to heavy metals in tomato Cells. Plant physiology, 85, 1031-1035. SEREGIN I.V., IVANOV V.B. 1998. The transport of cadmium and lead ions through root tissues. Russian Journal of Plant Physiology, 45, 780-785. SPOSITO G., HOLTZCLAW K.M., LeVESQUE C.S., JOHNSTON C.T., 1982. Trace metal chemistry in arid zone field soils amended with sewagw sludge: II. Comparative study of the fulvic acid fraction. Soil Science Society American Journal, 46, 265-270. TYLER G. 1981. Heavy metals in soil biology and biochemistry. Soil Biochemistry, 5, 371-414. VASSILEV A., TSONEV T., YORDANOV I. 1998. Physiological response of barley plants (Hordeum vulgare) to cadmium contamination in soil during ontogenesis. Environmental Pollution, 103, 287-293. 165 RUSCELLAMENTO SUB-SUPERFICIALE IN PIANURA Marchetti R., Spallacci P. Istituto Sperimentale Agronomico Sezione Ricerche agronomiche applicate all’ambiente settentrionale Viale Caduti in Guerra, 134, I-41100 Modena Riassunto L’entità delle perdite per ruscellamento in pianura merita di essere stimata per le conseguenze agronomiche e ambientali cui tali perdite possono dar luogo. Obiettivo di questo lavoro è stato la valutazione quantitativa delle perdite per ruscellamento da un suolo argilloso-limoso della bassa pianura modenese rappresentativo di una tipologia di suoli diffusa nella pianura emiliana. Su parcella coltivata a mais è stata misurata l’entità del ruscellamento superficiale e sub-superficiale per eventi piovosi prodotti mediante simulatore di pioggia. Il suolo (Camurana Vertic Ustochrept, fine, mixed, mesic) tende a formare crepacciature ma non croste superficiali; è caratterizzato inoltre da presenza di suola d’aratura. La parcella di prova (5 x 5 m2, pendenza media: 2.8%) era situata al bordo di un appezzamento coltivato a mais. Sono stati effettuati 3 cicli di simulazioni, di cui uno in luglio 1997 (mais alla fioritura), uno in novembre 1997 (dopo la raccolta e prima della lavorazione) e uno a fine marzo 1998 (terreno lavorato e affinato per la semina successiva). Ogni ciclo ha incluso 3 simulazioni (distanziate 24 ore l’una dall’altra) per un totale di 9 eventi piovosi (intensità media di pioggia: 32 mm). Sia per il ruscellamento superficiale, sia per quello sub-superficiale, si è misurata l’altezza di pioggia necessaria per l’inizio del deflusso (Vlag). Il monitoraggio dell’idrogramma di deflusso superficiale e sub-superficiale ha avuto durata diversa in relazione all’entità di Vlag. Il deflusso sub-superficiale è stato monitorato solo nei cicli di novembre e marzo. Il collettore di deflusso sub-superficiale era collocato tra -0.5 e -0.6 m di profondità. In genere il deflusso superficiale o non ha avuto luogo o si è verificato dopo l’afflusso cumulato di molti mm di pioggia. Il deflusso sub-superficiale è cominciato prima, o anche in assenza, di quello superficiale. Le condizioni di stazionarietà, nel caso del deflusso sub-superficiale, sono state raggiunte più precocemente, e per valori di deflusso inferiori, nelle simulazioni del ciclo autunnale rispetto a quelle della primavera successiva. La dinamica del processo è stata interpretata alla luce della formazione in autunno di una falda pensile, presumibilmente prodotta dalla presenza di suola di aratura, e della risalita invernale della falda ipodermica. Nelle simulazioni di pioggia estive, assimilabili a irrigazioni, le perdite per deflusso sub-superficiale hanno ridotto considerevolmente l’efficienza di adacquamento. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 165-176 (2001) 166 Marchetti e Spallacci Si conclude pertanto che l’entità delle perdite idriche per deflusso sub-superficiale verso le scoline può essere cospicua, almeno nei terreni di pianura come quello oggetto di indagine. La presenza di suola d’aratura, che frequentemente li caratterizza, può essere determinante sull’entità del fenomeno. Introduzione Le indicazioni reperibili in letteratura sull’entità del ruscellamento superficiale in pianura sono abbastanza contraddittorie. Se ci si limita a quelle dove il ruscellamento misurato è quello prodotto da eventi piovosi naturali (non simulati) il rapporto tra ruscellamento e afflusso (coefficiente di deflusso, CD) è in genere contenuto. Acutis et al. (1992), ad esempio, riportano CD mediamente compresi fra il 5 e il 9% degli afflussi naturali, per rilievi effettuati a scala di campo, in parcelle di 150 x 7,5 m, nella pianura piemontese, su terreni franchi e franco-sabbiosi. Silvestri et al. (1996), confrontando sistemi di conduzione agronomica diversi, hanno rilevato, per parcelle di piccole dimensioni (0,7 m2) valori massimi di CD pari a 19,8%. A scala territoriale, invece, secondo una valutazione del Consorzio di Bonifica del Canale Emiliano-Romagnolo (CER, 1997) relativa a terreni limoso-argillosi compresi in un’area di quasi 90 km2 servita dalla Bonifica Renana, la percentuale di ruscellato rispetto agli afflussi (piogge + irrigazioni), variabile mensilmente e a seconda della coltura, si è aggirata nel biennio 1994-95 fra il 28 e il 45%. Il contrasto fra dati ottenuti in prove parcellari e dati provenienti da stime a scala territoriale può derivare dal fatto che, nei due casi, si valutano processi diversi a scale diverse. In genere infatti nelle prove parcellari si misura il ruscellamento superficiale da unità di piccole e medie dimensioni (da meno di un m2 ad alcune decine) mentre a livello territoriale la stima del ruscellamento è basata sulla portata delle scoline e dei canali collettori delle acque di deflusso in un’area di diversi km2. La stima a scala territoriale include quindi non solo l’acqua che defluisce dal campo per ruscellamento superficiale, ma anche quella che arriva alle scoline per infiltrazione sub-superficiale in occasione sia di eventi piovosi, sia di irrigazioni. Anche qualora, a livello di comprensorio, si considerino non rilevanti le perdite d’acqua per colatura dal singolo appezzamento in quanto l’acqua può essere riutilizzata altrove, a scala di campo tuttavia queste perdite possono incidere sulla disponibilità idrica per le colture. Inoltre le acque che escono dal campo trasferiscono ai corsi d’acqua il loro contenuto di nutrienti e di residui di fitofarmaci. Obiettivo di questo lavoro è stato pertanto la valutazione quantitativa delle perdite per ruscellamento sub-superficiale 167 Ruscellamento sub-superficiale in pianura da un suolo argilloso-limoso della bassa pianura modenese rappresentativo di una tipologia di suoli diffusa nella pianura emiliana. Materiali e metodi Il ruscellamento superficiale e sub-superficiale durante la crescita e dopo la raccolta del mais è stato monitorato per eventi piovosi prodotti mediante simulatore di pioggia. Il suolo è un Vertic Ustochrept, fine, mixed, mesic, serie Camurana, tendente a formare crepacciature ma non croste superficiali; è caratterizzato inoltre da presenza di suola d’aratura e di uno strato meno permeabile per accumulo di limo a profondità compresa tra 0,8 e 1,2 m (Tabella 1). Tabella 1. Valori assunti da alcuni parametri descrittivi del suolo di prova, località S. Prospero (MO). ρa, massa volumica apparente; θ-1,5 MPa, contenuto idrico a 1,5 MPa; θCIC, contenuto idrico a capacità di campo; θmax, contenuto idrico massimo dello strato. Strato del Argilla Limo C profilo organico /m /% /% / g kg-1 0-0,20 45 47 13,7 0,20-0,40 46 44 13,9 0,40-0,60 46 48 11,4 0,60-0,80 41 49 7,8 0,80-1,00 35 55 5,7 1,00-1,20 36 57 5,2 1,20-1,40 47 47 5,6 a Stimati mediante pedofunzioni b nd: non determinato N Kjeldahl / g kg-1 / 1,65 1,68 1,43 1,03 0,74 0,67 0,80 ρa θ-1,5 MPa a Mg m-3 / m3 m-3 1,37 0,30 1,44 0,29 1,44 0,29 1,46 0,27 1,38 0,26 1,38 0,27 1,56 0,28 θCIC a θmax / m3 m-3 / m3 m-3 0,46 0,51 0,45 0,55 0,44 0,50 0,43 0,54 0,41 0,55 0,39 ndb 0,41 nd Il contenuto idrico a –1,5 MPa e a capacità di campo è stato stimato mediante pedofunzioni di trasferimento a partire da massa volumica apparente, ρa, contenuto di C organico e tessitura; le altre proprietà sono state misurate. I valori attribuiti a ρa sono da considerarsi indicativi in quanto afferiscono a misure effettuate in passato (col metodo dei cilindretti) per la caratterizzazione del suolo del sito di prova. La porosità occupata dall’aria (AFPS, air filled pore space) in ognuno dei 5 strati di profilo in cui è stata misurata l’umidità, fino a -1 m, è stata calcolata come differenza tra porosità e quantità d’acqua presente negli strati, espresse in mm. Anziché il valore di porosità teorico, θs (θs = 1- ρa/ρw, dove ρw è la massa volumica reale), è stato assunto come corrispondente a saturazione per un dato strato del profilo il valore più elevato di contenuto idrico, θmax, misurato nell’arco del- 168 Marchetti e Spallacci la durata della prova. La scelta si è resa necessaria in quanto i livelli di umidità misurati erano talora superiori a quelli della saturazione teorica. La conducibilità idrica satura, misurata in campo in prove precedenti col metodo dei piezometri, era stata di 37 mm h-1, a 0,6 m; e di 1 mm h-1, a 1,2 m di profondità. Il mais è stato seminato il 7 aprile del 1997 e raccolto l’8 settembre. Il terreno è stato lavorato a metà gennaio del 1998 per uno spessore di 20 cm. Sono stati effettuati 3 cicli di simulazioni, di cui uno “estivo”, in luglio 1997 (mais alla fioritura); uno “autunnale”, in novembre 1997 (dopo la raccolta e prima della lavorazione del terreno); e uno “primaverile”, a fine marzo 1998 (terreno lavorato). Ogni ciclo ha incluso 3 simulazioni, per un totale di 9 eventi piovosi (Tabella 2). A eccezione che nel ciclo estivo, la parcella è stata coperta, tra un evento e il successivo, per contenere le perdite per evaporazione. Tabella 2. Calendario delle simulazioni, caratteristiche degli eventi piovosi e condizioni iniziali. P, altezza di pioggia; Ιp, intensità di pioggia; σs, indice di rugosità; θ e AFPS, rispettivamente contenuto idrico medio e porosità occupata dall'aria fino a 1 m di profondità. N.ro Data P Ιp CV di Ιp σsa θ AFPS evento / mm / mm h-1 / % / cm / m3 m-3 / mm Estivo 1 14/07/97 142 32b 3,52 0,34 188 2 15/07/97 164 32 0,44c 48c 3 16/07/97 129 32 0,47c 30c Autunnale 1 17/11/97 61 30 34 3,14 0,38 153 2 20/11/97 50 33 9 0,41 114 3 24/11/97 29 30 56 0,43 101 Primaverile 1 30/03/98 117 29 25 4,79 0,44 87 2 31/03/98 80 34 16 0,51 23 3 01/04/98 90 35 13 0,49 43 a La scabrezza della superficie della parcella è stata misurata alle seguenti date: 04/07/1997 (ciclo estivo); 03/11/97 (ciclo autunnale); 26/02/98 (ciclo primaverile). b Nel ciclo estivo è stato attribuito ad Ι il valore medio realizzato nelle simulazioni degli p altri cicli. c Per gli eventi n.ro 2 e 3 del ciclo estivo i valori sono riferiti ai primi 0,6 m. Ciclo Il simulatore di pioggia, messo a punto da Panini et al. (1993), è del tipo a pioggia continua, dotato di 4 ugelli a 6 m di altezza. A ogni evento piovoso è stata misurata l’intensità di pioggia, Ip (4 repliche per evento), ad eccezione che nel ciclo estivo, in cui era presente la coltura. In questo caso l’Ip è stata stimata come media degli altri eventi piovosi (32 mm h-1). La parcella di prova, di forma romboidale e di area pari a 25,5 Ruscellamento sub-superficiale in pianura 169 m2, era situata in un appezzamento coltivato a mais. Durante il periodo di prova, da luglio 1997 ad aprile 1998, la pendenza media longitudinale (rispetto alle file del mais) è stata del 3,3 % (d.s.=1,18); quella trasversale, dell’1,1% (d.s.=0,09). La parcella è stata isolata idraulicamente su tre lati mediante lamiera, inserita nel terreno per uno spessore di 15 cm; sul quarto lato, perpendicolare alle file del mais, è stata scavata una trincea, collegata alla scolina di testata dell’appezzamento. Sulla parete verticale della trincea sono stati disposti i collettori di deflusso: appena sotto lo spigolo tra la superficie della parcella e la parete verticale della trincea, quello per la raccolta delle acque di ruscellamento superficiale; a 0,5 m di profondità (poggiante sul fondo della trincea), il collettore delle acque di drenaggio sub-superficiale. I collettori erano di lamiera, a sezione trasversale triangolare, infissi nel terreno perpendicolarmente alla parete della trincea mediante lamina laterale larga 8 cm. Essi sono stati dotati di lieve pendenza (2%), per agevolare lo scorrimento delle acque di ruscellamento. La continuità fra il terreno e il collettore di deflusso superficiale, per impedire la formazione di percorsi preferenziali, è stata assicurata mediante sigillamento del collettore al terreno con impasto di terra. Il dispositivo è stato controllato regolarmente per il mantenimento dell’efficienza di funzionamento. Un ulteriore collettore di plastica infisso perpendicolarmente alla parete della trincea appena sotto lo sbocco del collettore superiore ha consentito di deviare il ruscellato impedendogli di mescolarsi con quello del collettore inferiore. La scolina è stata approfondita di una ventina di centimetri, subito a valle della trincea, per consentire sia la collocazione del contenitore di raccolta dei campioni, sia un rapido allontanamento degli afflussi. La trincea è stata coperta con un tettino di plastica, per impedire alla pioggia, incidente fuori parcella sul lato di raccolta dei deflussi, di cadere nei collettori. Sia per il ruscellamento superficiale, sia per quello sub-superficiale, è stata misurata l’altezza di pioggia necessaria per l’inizio del deflusso (Vlag). Il monitoraggio degli idrogrammi di deflusso superficiale e sub-superficiale ha avuto durata diversa in relazione all’entità di Vlag e all’obiettivo, peraltro non sempre raggiunto, di ottenere un deflusso stazionario. L’altezza di deflusso sub-superficiale è stata monitorata solo nei cicli autunnale e primaverile. Il monitoraggio è stato fatto mediante prelievo di campioni di acqua di deflusso, a intervalli di tempo e per tempi differenziati a seconda dell’entità del deflusso stesso, con prelievi più frequenti in caso di deflusso più elevato. Il peso secco del terreno eroso è stato determinato e sottratto a quello del campione per la determinazione del peso dell’acqua. Poiché ogni evento piovoso ha avuto durata diversa, per rendere uniforme il confronto tra eventi il coefficiente di deflusso, CD, è stato calcolato per uno stes- 170 Marchetti e Spallacci so periodo di pioggia (la prima ora). Il deflusso nella prima ora è stato determinato geometricamente, come area sottesa dagli idrogrammi di deflusso. Prima dell’inizio di ogni simulazione e dopo l’ultimo evento di ogni ciclo sono stati effettuati campionamenti di terreno, fino a un metro di profondità e per strati di 0,2 m, per la determinazione gravimetrica dell’umidità. I prelievi sono stati effettuati in 4 punti della parcella (4 repliche), situati nella fascia di bordo della stessa per evitarne il calpestamento. Prima di ogni ciclo di simulazione è stata misurata la rugosità del profilo della superficie della parcella, mediante profiligrafo ad aghi. Il profiligrafo era largo 125 cm e dotato di 73 aghi di lunghezza pari a 42,5 cm. Sono state misurate le quote del terreno in due sezioni della parcella trasversali alle file del mais e distanti tra loro 1,5 m (4 misure, a coprire la larghezza di ogni sezione), con quote di riferimento mantenute costanti per tutte le simulazioni. Come indice di rugosità (ordinata + random), σs, è stata assunta la deviazione standard delle 8 serie di misure delle quote. Risultati e discussione Distribuzione dell’acqua nel profilo In Figura 1 è riportato il contenuto idrico fino a 1 m di profondità, per strati di 0,2 m, al tempo 0 e dopo ogni evento piovoso dei tre cicli di simulazioni. Poiché il campionamento per la misura dell’umidità è stato eseguito dopo un certo tempo dalla fine dell’evento piovoso (tempo variabile da 24 a 96 ore, a seconda del ciclo e dell’evento), una quota dell’acqua di afflusso è nel frattempo drenata, e il profilo di umidità non coincide con quello della fine dell’evento. Tuttavia è stato possibile osservare un modello di distribuzione analogo, in estate e in autunno: il terreno si è bagnato di più in superficie e nello strato da 0,6 a 0,8 m di profondità; è rimasto più asciutto da 0,8 a 1 m. Se si esamina l’andamento della porosità occupata dall’aria (Figura 2), complementare a quello dell’umidità, nelle simulazioni estive e autunnali il profilo è rimasto più arieggiato, tra 0,2 e 0,4 m; più saturo, tra 0,4 e 0,8 m. Nei cicli estivo e autunnale pertanto l’infiltrazione verticale dell’acqua è stata rallentata dalla presenza di suola di aratura, con formazione di una faldina pensile e parziale allontanamento laterale dell’acqua dallo strato di terreno più poroso soprastante la suola. Nel ciclo primaverile, a causa della risalita invernale della falda, situata a un metro di profondità all’epoca della simulazione, gli eventi piovosi hanno portato tutto il profilo a saturazione. Ruscellamento sub-superficiale in pianura 171 172 Marchetti e Spallacci 173 Ruscellamento sub-superficiale in pianura Entità del ruscellamento In genere il deflusso superficiale o non ha avuto luogo o si è verificato dopo l’afflusso cumulato di molti mm di pioggia (Tabella 3); e raramente sono state raggiunte condizioni di stazionarietà (Tabella 3 e Fig. 3). Tabella 3. Entità del ruscellamento superficiale (SUR) e sub-superficiale (SUB) sotto mais. Vlag, altezza di pioggia (mm) che precede l'inizio del deflusso. VQmax, altezza di pioggia necessaria per raggiungere Qmax, deflusso stazionario; CD, coefficiente di deflusso. Ciclo Estivo Autunnale Primaverile N.ro evento 1 2 3 1 2 3 1 2 3 Vlaga / mm SUR SUB >142 38 >164 12 9 0 10 10 4 3 3 3 >117 22 18 8 4 5 VQmax / mm SUR SUB nd nd nd 23 41 26 20 10 53 49 43 52 Qmax / mm h-1 SUR SUB -c nd d nd nd 2,7 10,9 12,8 7,8 5,5 18,0 25,0 9,5 20,4 CDb /% SUR SUB nd nd 0,6 nd 1,7 4,0 11,5 22,1 16,1 14,8 1,8 0,6 18,0 9,8 16,5 a Al lordo dell'altezza d'acqua ristagnante nelle microdepressioni superficiali b Riferito alla prima ora di pioggia. c il trattino indica che non c'è stato deflusso o che, comunque, la fase stazionaria non è sta- ta raggiunta nel tempo di simulazione. d nd: non determinato. D’altra parte è stato possibile osservare, per il deflusso superficiale da terreno lavorato a file, un andamento a scalini: il deflusso infatti cominciava non appena, in seguito a pressione dell’acqua a monte e per effetto dell’azione erosiva della pioggia, si rompeva a valle l’arginello (anche appena abbozzato) che impediva all’acqua accumulatasi tra le file rincalzate del mais di defluire. A mano a mano che si vuotavano le pozzanghere dell’interfila, il deflusso si stabilizzava, per aumentare di nuovo in seguito a rottura di un altro arginello; e così via, fino ad eventuale rottura di tutti gli arginelli degli spazi interfila (le simulazioni sono state interrotte prima che ciò accadesse). La maggior precocità osservata per il deflusso superficiale nel ciclo autunnale, rispetto a quelli estivo e primaverile, può essere attribuita a una minore rugosità del terreno, e quindi alla ritenzione di una minor quantità d’acqua nelle microdepressioni superficiali; in autunno peraltro il terreno era più bagnato che a luglio (Tabella 2). Il deflusso sub-superficiale è cominciato prima, o anche in assenza, di quello superficiale (Tabella 3). Le condizioni di stazionarietà sono state raggiunte più precocemente, e per valori di deflusso inferiori, nelle si- 174 Marchetti e Spallacci mulazioni del ciclo autunnale (Fig. 4a) rispetto a quelle della primavera successiva (Fig. 4b). L’equilibrio, in fase stazionaria, tra infiltrazione, I, e ruscellamento complessivo (superficiale + sub-superficiale, Q, in mm h-1), con I = Ip - Q, in mm h-1, si è verificato per valori del rapporto I/Q compresi tra 1,3 e 10,1 (infiltrazione da poco a molto superiore al ruscellamento); in quello primaverile il rapporto è stato compreso tra 0,2 e 0,6 (ruscellamento superiore all’infiltrazione). Figura 3. Idrogrammi di deflusso superficiale nel ciclo di simulazioni a) autunnale e b) estivo. a) 1° evento 2° evento 3° evento 40 30 20 10 0 0 100 200 b) 40 2° evento 3° evento 30 20 10 0 0 100 200 T e mpo dall'inizio dell'evento / min Questo risultato è da imputarsi alla diversa capacità d’invaso del terreno nei due periodi: nel ciclo autunnale una parte dell’acqua è defluita lateralmente, a causa dell’ostacolo alla percolazione costituito dalla suola d’aratura; ma una parte ha continuato a infiltrarsi in profondità, essendo ancora disponibile una quota della porosità drenabile; nel ciclo primaverile la falda Ruscellamento sub-superficiale in pianura 175 freatica, risalita a un metro di profondità, ha saturato il terreno, impedendo ogni ulteriore percolazione profonda dell’acqua. Per il deflusso sub-superficiale è stata osservata, nel ciclo autunnale, una riduzione di intensità, col procedere della simulazione di pioggia (Fig. 4a). Questa riduzione potrebbe essere stata provocata dal rigonfiamento delle argille del terreno. Lo stesso fenomeno potrebbe essere stato causa, nella terza simulazione del ciclo autunnale, di un deflusso più ridotto che nella seconda. Figura 4 Idrogrammi di deflusso sub-superficiale nel ciclo di simulazioni a) autunnale e b) estivo. I valori di CD dopo un’ora di pioggia (per un’altezza media di pioggia compresa tra 29 e 35 mm) per il deflusso sub-superficiale sono stati in genere superiori a quelli per il deflusso superficiale (Tabella 3). Se assimiliamo le simulazioni di luglio a irrigazioni possiamo determinare l’efficienza di applicazione dell’acqua in campo come rapporto 176 Marchetti e Spallacci tra altezza dell’acqua conservata nello strato prevalentemente esplorato dalle radici (0,6 m) e altezza dell’acqua applicata. Alla prima simulazione, effettuata su terreno asciutto e con un afflusso di 142 mm, tale efficienza è stata pari a 0,54. Il dato, pur non estrapolabile in quanto non linearmente dipendente dall’altezza di pioggia distribuita, è indicativo dell’importanza agronomica del ruscellamento sub-superficiale. Conclusioni Poiché l’entità del drenaggio in scolina dipende dalle caratteristiche del sistema drenante in relazione alle caratteristiche del suolo (Cavazza, 1987), i valori di ruscellamento sub-superficiale misurati in questa prova non sono direttamente estrapolabili a realtà differenti. Tuttavia in questa esperienza è stato possibile evidenziare che l’entità delle perdite idriche per deflusso sub-superficiale verso le scoline può essere cospicua, almeno nei terreni di pianura come quello oggetto di indagine. La presenza di suola d’aratura, che frequentemente li caratterizza, può essere determinante sull’entità del fenomeno. L’individuazione di procedure di calcolo numerico per la stima quantitativa delle perdite a scala di campo potrebbe consentire di valutare da un lato le conseguenze agronomiche (minor efficienza d’uso dell’acqua irrigua) e ambientali (dilavamento di nutrienti) delle perdite idriche sottosuperficiali; dall’altro, l’efficienza del sistema di sgrondo degli eccessi idrici invernali nelle scoline. Ringraziamenti Gli autori devono al prof. Cavazza (Università di Bologna) e al dott. Pagliai (ISSDS, Firenze) preziosi suggerimenti a supporto dell’interpretazione dei risultati. Si ringraziano inoltre il signor R. Ghelfi per l’assistenza nella conduzione delle prove di campo; e le signore A. Orsi e L. Sghedoni per la collaborazione tecnica di laboratorio. Bibliografia ACUTIS M., ALLAVENA L., CAVALLERO A., FERRARIS S.A. 1992. Deflusso per scorrimento superficiale da terreni sistemati a spianata e coltivati a mais (Zea mays L.). Primi risultati. Riv. di Agron., 26, 4 Suppl., 685-689. CAVAZZA L. 1987. Aspetti agronomici del drenaggio. Irrigazione e drenaggio, 34, 31-36. CER, 1997. Studio sulla circolazione ed accumulo nei suoli agricoli nonché rilascio nelle acque di superficie e di falda di fertilizzanti, fitofarmaci e diserbanti. Rapporto di sintesi. CER, Bologna. PANINI T., SALVADOR SANCHIS M.P., TORRI D. 1993. A portable rain simulator for rough and smooth morphologies. Quaderni di scienza del suolo, V, 47-58, CNR- Soil Genesis Res. Centre, Firenze. SILVESTRI N., GINANNI M., PAMPANA S. 1996. Impatto ambientale e riduzione degli input nella omosuccessione di mais. L’importanza dei fenomeni di superficie. In: Sistemi colturali alternativi in maiscoltura (eds E. Bonari & M. Pagliai), pp. 173-197. CNR, Pisa. 177 EFFETTO DELLA NON LAVORAZIONE SU ALCUNE CARATTERISTICHE MICROBIOLOGICHE DEL TERRENO Marco Mazzoncini, Rosalba Risaliti, Antonio Coli, Marco Ginanni, Nicola Silvestri Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi” Università degli Studi di Pisa Introduzione E’ ormai noto che nel lungo periodo il ripetuto ricorso alle tecniche convenzionali di lavorazione del terreno può determinare un peggioramento della fertilità fisica e chimica del suolo. Le tecniche semplificate di lavorazione possono rappresentare, in molti casi, una valida alternativa a quelle convenzionali, sono infatti in grado di conservare o migliorare alcune caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei terreni. In particolare, il ricorso alla non lavorazione ha sovente determinato effetti positivi sulle principali caratteristiche chimiche e segnatamente sulla conservazione della sostanza organica alla quale spesso è associata una maggiore presenza e/o attività dei microrganismi (Doran, 1980; Powlson e Jenkinson, 1981; Dick e Daniel, 1987; Smith e Blevins, 1987; Unger e Cassel, 1991; Karlen et al., 1994a; Tebrügge et al., 1994; Alvarez et al., 1995). In questo contesto, assumono un interesse particolare le informazioni relative alla biologia del terreno ed agli aspetti biochimici in particolare, sia per integrare le notizie relative ai parametri fisico-chimici e valutare quindi complessivamente la fertilità del terreno, sia per il loro significato di “indicatore biologico” della qualità del suolo. La risposta della microflora del suolo ai cambiamenti indotti dal tipo di tecnica colturale adottato ed alle condizioni di “stress” è infatti più rapidamente quantificabile rispetto alla variazione delle caratteristiche fisiche e chimiche, come per esempio quelle della sostanza organica. Tra i parametri biochimici, la respirazione del terreno ed il C della biomassa microbica sono stati proposti come indicatori di base per la qualità del suolo (Doran e Parkin, 1994). Questi parametri rispondono ai requisiti di semplicità ed universalità; riguardando infatti larga parte dei microrganismi, possono assumere il significato di indici globali della presenza e dell’attività della microflora del suolo (Alef, 1995). Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 177-184 (2001) 178 Mazzoncini et al. In questa nota vengono riportati i risultati relativi ad una prova sperimentale di lungo periodo che poneva a confronto, a partire dal 1986, la convenzionale aratura del terreno (LC), e la semina diretta (NL), nell’ambito di una rotazione soia-frumento tenero. Le determinazioni analitiche relative alla microflora del suolo, sono state effettuate dopo dieci anni, un periodo di sperimentazione che fa supporre la raggiunta “maturità” dei due sistemi colturali a confronto e rende possibile l’utilizzo delle informazioni per la comprensione dei fenomeni legati al mantenimento della fertilità del suolo. Materiali e metodi La ricerca si inserisce in una esperienza di lungo periodo avviata nel 1986 e tuttora in corso presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “Enrico Avanzi” dell’Università degli Studi di Pisa, su un terreno sabbio-limoso rappresentativo dei suoli della bassa valle dell’Arno, caratterizzati da falda freatica superficiale. Le principali caratteristiche fisico-meccaniche e chimiche del terreno rilevate a 10 anni dall’inizio della prova sono riportate in tabella 1. Tabella 1. Principali caratteristiche fisiche e chimiche del terreno nel 1996 (dopo 10 anni dall’inizio della prova) nell’orizzonte 0-10 cm. LC Frumento Tipo di suolo (*) Scheletro Sabbia (%) Limo (%) Argilla (%) Sostanza organica (%) (1) pH Azoto totale (%) (2) Fosforo assimilabile (ppm) (3) C/N 38.6 42.5 18.9 1.92 8.4 0.12 29.39 9.71 NL Soia Frumento Typic Xerofluvent Assente 32.8 29.0 47.1 51.8 20.1 19.2 1.81 2.69 8.4 7.9 0.12 0.19 19.75 56.32 8.73 8.32 Soia 32.6 50.7 16.7 3.25 8.1 0.20 45.28 9.61 LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; (*) classificazione USDA; (1) metodo Lotti; (2) metodo Kjeldhal; (3) metodo Olsen. Sono state poste a confronto due tecniche di lavorazione del terreno, l’aratura convenzionale a 30-35 cm di profondità (LC) e la non lavorazione (NL), in un avvicendamento biennale soia-frumento tenero, realizzato sia nel tempo che nello spazio. Le parcelle non arate sono state “gestite” diversamente per la soia e per il frumento in rotazione. Per la soia, la pre- Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno 179 senza sul mercato di idonee seminatrici da sodo, ha permesso la semina diretta già dal 1986. Questo tipo di seminatrice per il cereale autunno-vernino è stato disponibile sul mercato solo a partire dal 1989, nei primi anni è stata quindi utilizzata una tecnica conservativa, consistente in una lavorazione minima realizzata con erpice a dischi operante alla profondità di 7-10 cm. I residui colturali sono stati lasciati sulla superficie del terreno nel caso della non lavorazione ed interrati nel sistema arativo. Lo schema sperimentale adottato è stato quello a blocco randomizzato con tre replicazioni. Al fine di valutare le differenze statisticamente significative tra le medie dei trattamenti, i risultati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza (Gomez e Gomez, 1984). Campionamento e preparazione dei campioni di terreno - A dieci anni dall’inizio della prova, nell’ottobre del 1996, nelle parcelle precedentemente investite a frumento tenero, sono stati prelevati, nell’orizzonte 015 cm, 3 campioni di terreno per ogni replicazione per un totale di 9 campioni per tesi. I campioni, setacciati a 2 mm, sono stati conservati in cella frigorifera a 4 °C in assenza di luce; al momento dell’analisi sono stati trasferiti in recipienti di vetro ed imbibiti con acqua deionizzata fino al raggiungimento del 60% della capacità idrica massima (fase di equilibratura). Successivamente i campioni sono stati incubati per 5 giorni alla temperatura di 20-22 °C, in assenza di luce, in recipienti chiusi, in accordo con quanto proposto da Isermeyer (1952). Analisi della respirazione - Dopo la fase di “equilibratura” si è passati alla fase di stima della respirazione del terreno utilizzando il metodo descritto da Isermeyer (1952). In ciascun recipiente è stata inserita una “trappola” per la CO2 contenente NaOH. Le trappole sono state periodicamente sostituite, per consentire la misurazione della CO2 svolta nei primi 5 giorni dall’equilibratura (t0) e nei seguenti 7, 15 e 30 giorni (t7, t15 e t30 rispettivamente). Parallelamente, sono stati preparati i “bianchi”, recipienti chiusi contenenti soltanto NaOH. La quantificazione dell’anidride carbonica svolta dal terreno è stata effettuata titolando con HCl una aliquota di NaOH, in presenza di cloruro di bario e timoftaleina. I valori ottenuti sono stati confrontati con quelli relativi ai bianchi ed il valore è stato espresso in mg CO2 kg-1 di suolo secco. Analisi della biomassa microbica del terreno - Per la determinazione della biomassa microbica è stato utilizzato il metodo della fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987). Con tale metodo la stima indiretta della presenza della comunità microbica nel suolo, avviene misurando la concentrazione di C nelle cellule microbiche. Il carbonio solubile viene quindi misurato sia su campioni di terreno sottoposti a fumigazione con clorofor- 180 Mazzoncini et al. mio, sia sui campioni tal quali; dal confronto del parametro misurato sui campioni fumigati e non fumigati si è ricavato il valore del carbonio della biomassa microbica. La determinazione del carbonio solubile è stata effettuata a distanza di 7 (t7), 15 (t15) e 30 (t30) giorni dal periodo di “equilibratura”. La concentrazione di carbonio è stata espressa in mg kg-1 di suolo, riferito al peso secco. Risultati e discussione La quantità di carbonio della biomassa microbica è risultata in ciascuna epoca di misurazione (t7, t15 e t30) significativamente maggiore nel terreno non lavorato rispetto a quello arato (+262% al t7; +244% al t15 e +72% al t30) (tabella 2). Tabella 2. Effetto della tecnica di lavorazione (LC e NL) e dell’epoca di misurazione (t7, t15 e t30) sul C della biomassa microbica (mg di C kg-1 di terreno secco). t 7 t 15 t 30 Medie lavorazione LC 39.8 44.0 66.4 50.1 b NL Medie epoche 144.2 92.0 151.4 97.7 114.5 90.5 136.7 a Significatività Effetto medio lavorazione ** Effetto medio epoca ns Interazione * LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; t7, t15 e t30 indicano rispettivamente l’epoca di misurazione dopo 7, 15 e 30 giorni dalla fine del periodo di equilibratura; d.m.s. per comparare due medie all’interno di una stessa colonna = 25.9 per P≤0.05; d.m.s. per comparare due medie all interno di una stessa riga = 42.2 per P≤0.05. Tale risultato sembra connesso alla maggior concentrazione di sostanza organica venutasi a determinare nei primi 10 cm di profondità dopo 10 anni di ripetuta applicazione della semina su sodo sia per il frumento che per la soia (tabella 1). Al tempo stesso, lo sviluppo della microflora può esser messo in ralazione con le più stabili condizioni di strutturazione, umidità e temperatura che si verificano in genere in un terreno indisturbato, come già osservato da diversi Autori, soprattutto in prove di lungo periodo (Doran, 1980; Carter e Rennie, 1982; Dick, 1983; Anderson e Domsch, 1989; Campbell et al., 1991; Rasmussen e Collins, 1991; Carter, 1992; Karlen et al., 1994a e 1994b; Campbell et al., 1995; Hu et al., 1997; Wardle, 1998; Mazzoncini et al., 1999). L’incremento del contenuto in C organico degli strati di terreno più superficiali rappresenta uno dei principali vantaggi della non lavorazione; questo parametro viene frequentemente posto in relazione con il C della biomassa microbica (Anderson e Domsch, 1989) e ritenuto responsabile del- Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno 181 la sua stabilizzazione Wardle (1998). L’accumulo di sostanza organica nello strato superficiale del terreno (prodotto da una maggiore concentrazione dei residui colturali e da un tasso di mineralizzazione più lento e costante) può aver determinato sul terreno sodo maggiori disponibilità energetiche per lo sviluppo della biomassa microbica, anche in virtù di una diversa composizione della sostanza organica, più ricca di componenti facilmente utilizzabili come substrato di crescita, quali ad esempio i carboidrati (Hu et al., 1997). Un parametro utile a valutare la effettiva disponibilità di substrati, utili allo sviluppo della biomassa microbica è rappresentato dal rapporto tra C microbico (Cmic) e C organico (Corg), meglio ancora dal rapporto tra C da carboidrati e C microbico che fornisce indicazioni anche sulla natura della sostanza organica del terreno (Hu et al., 1997); bassi rapporti del Cmic/Corg sono ritenuti indice di scarsa disponibilità di substrati. Tale rapporto, calcolato sulla base delle misure effettuate a 7 giorni dalla stabilizzazione, è risultato pari a 0,39 nel caso della lavorazione convenzionale e a 0,87 nel caso della semina su sodo, a conferma dell’ipotesi precedentemente formulata in merito alla minore disponibilità di substrati energetici rilevabile nei terreni arati. Alla maggiore presenza di biomassa microbica nel terreno non lavorato, è corrisposta anche una maggiore emissione di anidride carbonica, risultata significativamente superiore a quella del terreno arato, in ciascuna epoca di misurazione considerata (tabella 3). Tabella 3. Effetto della tecnica di lavorazione (LC e NL) e dell’epoca di misurazione (t0, t7, t15 e t30) sulla “respirazione” del terreno (mg di CO2 kg-1 di terreno secco). t 0 t 7 t 15 t 30 Medie lavorazione LC 44.4 33.7 31.2 17.6 31.7 b NL Medie epoche 142.0 93.2 a 116.6 75.1 b 127.0 79.1 b 70.9 44.2 c 114.1 a Significatività Effetto medio lavorazione ** Effetto medio epoca ** Interazione * LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; t0, t7, t15 e t30 indicano rispettivamente l’epoca di misurazione dopo 0, 7, 15 e 30 giorni dalla fine del periodo di equilibratura; d.m.s. per comparare due medie all interno di una stessa colonna = 19.3 per P≤0.05; d.m.s. per comparare due medie all interno di una stessa riga = 22.5 per P≤0.05; La quantità di CO2 emessa da terreno sodo, nelle condizioni di laboratorio, è risultata superiore di circa il 220% rispetto a quella del terreno arato al t0, del 246% al t7, del 307% al t15 e del 302% al t30. Prendendo in considerazione la variabilità dei risultati ottenuti nei giorni successivi alla stabilizzazione (figura 1), nei terreni arati è stato 182 Mazzoncini et al. osservato un incremento significativo della biomassa microbica durante il periodo di analisi (39.8 mg kg-1 di suolo a t7, 44.0 a t15 e 66.4 a t30) mentre nei terreni sodi non sono state osservate differenze significative tra i valori misurati al t 7 e quelli al t30 (144.2 mg kg-1 di suolo al t7, 151.4 al t15 e 114.5 al t30). Confrontando i risultati relativi all’emissione di CO2 dal terreno, tra le diverse epoche di misurazione è emersa, per entrambe le tecniche, una progressiva riduzione del tasso di respirazione che si è manifestata con ritmi decisamente più sostenuti nel caso del terreno non arato (figura 1). Nel complesso i due parametri analizzati hanno seguito, nel tempo, andamenti diversi. Nel caso del terreno non lavorato, le variazioni della biomassa microbica sono state seguite da analoghe variazioni delle emissioni di CO2 (r = 0.99*); il terreno arato ha fatto registrare un andamento sostanzialmente divergente. In quest’ultimo, all’aumento della biomassa microbica col procedere dell’incubazione si è accompagnata una riduzione della CO2 emessa (r = -0.99*) (figura 1). 120 120 80 80 40 40 0 0 di suolo secco) 160 -1 160 0 7 15 C biomassa (mg kg -1 CO 2 (mg kg di suolo secco) Figura 1. Emissione di CO2 (mg kg-1 di terreno secco) e contenuto di C (mg kg-1 di terreno secco) della biomassa microbica. 30 giorni dalla stabilizzazione C-microbico NL C-microbico LC CO2-emessa NL CO2-emessa LC Questo fenomeno potrebbe essere imputabile alla diversa carica microbica iniziale dei due terreni; sembra lecito ipotizzare, che nel terreno sodo la maggiore attività dei microrganismi abbia condotto, nelle condizioni ottimali di laboratorio, ad un rapido esaurimento del substrato nutrizionale e ad una conseguente riduzione del metabolismo microbico e della Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno 183 biomassa microbica stessa. Nel caso del terreno arato, invece, l’incubazione in condizioni di umidità e temperatura ottimali per la moltiplicazione dei microrganismi potrebbe aver stimolato il loro sviluppo durante il periodo di osservazione in laboratorio. Conclusioni La continua applicazione di due tecniche di lavorazione così diverse tra loro come l’aratura a media profondità e la non lavorazione, ha determinato, nel lungo periodo, la differenziazione di numerose caratteristiche chimiche e fisiche del terreno. La modificazione dell’ambiente edafico e la diversa sorte dei residui colturali, ha avuto effetti non trascurabili a carico della componente biotica, come risulta evidente, almeno in termini di microflora, dai risultati ottenuti. Avendo effettuato questo tipo di osservazioni a distanza di 10 anni dall’inizio della ricerca, risulta difficile individuare nel tempo, l’inizio della differenziazione della componente biotica, che, nel suo evolversi, ha contribuito al miglioramento di numerose caratteristiche fisiche e chimiche del terreno oggetto della ricerca (dati non pubblicati). A corredo di queste informazioni, sarebbe interessante estendere lo studio alla componente biologica del suolo, l’incremento delle attività biotiche nei campi sperimentali non arati non si limita infatti alla microflora, ma interessa anche macro e mesofauna terricola (Mazzoncini et al., 1996). In prove sperimentali di lungo perodo, riguardanti i sistemi colturali in generale e le lavorazioni in particolare, il monitoraggio periodico dei parametri biologici, biochimici e microbiologici del terreno, potrebbe fornire indicazioni utili per la valutazione della fertilità del terreno considerata “in divenire”. Bibliografia ALEF K., 1995. Soil respiration. In Alef K. e Nannipieri P., (eds.). Methods in applied soil microbiology and biochemistry. Academic Press London, 214-219. CAMPBELL C.A., BIEDERBECK V.O., ZENTNER R.P., LAFOND G.P., 1991. Effect of crop rotations and cultural practices on soil organic matter, microbial biomass and respiration on a thin Black Chernozem. Can. J. Soil Sci., 71, 363-376. CAMPBELL, C.A., McCONKEY, B.G., ZENTNER, R.P., SELLES, F., CURTIN, D., 1995. Carbon sequestration in a Brown Chernozem as affected by tillage and rotation. Can. J. Soil Sci., 75: 449-458. CARTER M.R. e RENNIE D.A., 1982. Changes in soil quality under zero-tillage farming systems: distribution of microbial biomass and mineralizable C and N potentials. Can. J. Soil Sci., 62, 587-597. CARTER M.R., 1992. Influence of reduced tillage systems on organic matter, microbial biomass, macro-aggregate dis- 184 Mazzoncini et al. tribution and structural stability of the surface soil in a humid climate. Soil Tillage Res., 23, 361-372. DICK W.A., 1983. Organic carbon, nitrogen and phosphorus concentrations and pH in soil profiles as affected by tillage intensity. Soil Sci. Soc. Am. J., 47: 102-107. DICK W.A., DANIEL T.C., 1987. Soil chemical and biological properties as affected by conservation tillage: Environmental implications. In: Logan, T.J. et al. (Eds), Effects of conservation tillage on groundwater quality: nitrates and pesticide. Lewis Pub., Chelsea, MI., pp. 125-147. DORAN J.W. e PARKIN T.B., 1994. Defining and assessing soil quality, Soil Science Society of America, 677. Sogoe Rd., Madison WI 53711, USA. In Defining soil quality for a Susteinable Environment, SSS Special Publication n. 35. DORAN J.W., 1980. Soil microbial and biochemical changes associated with reduced tillage. Soil Sci. Soc. Am. J., 44: 765-771. GOMEZ A.K. e GOMEZ A.A., 1984. Statistical procedures for agricultural research. Second edition. J. Wiley & Sons, New York. HU S., COLEMAN D.C., CARROLL C.R., HENDRIX P.F., BEARE M.H., 1997. Labile soil carbon pools in subtropical forest and agricultural ecosystems as influenced by management practices and vegetation types. Agriculture, Ecosystems and Environment, 65: 69-78. ISERMEYER H., 1952. Eine Einfache Methode sur Bestimmung der Bodenatmung und der Karbonate im Boden. Z. Pflanzanernah Bodenk 56: 26-38. KARLEN D.L., WOLLENHAUPT N.C., ERBACH D.C., BERRY E.C., SWAN J.B., EASH N.S., JORDAHL J.L., 1994a. Crop residue effects on soil quality following 10-years of no-till corn. Soil Tillage Res., 31: 149-167. KARLEN D.L., WOLLENHAUPT N.C., ERBACH D.C., BERRY E.C., SWAN J.B., EASH N.S., JORDAHL J.L., 1994b. Long-term tillage effects on soil quality. Soil Tillage Res., 32: 313-327. MAZZONCINI M., BONARI E., GINANNI M., MENINI S., SANCARLO S., 1996. Earthworms presence as affected by tillage system in clay soil. Atti 4th ESA Congress, 684-685. MAZZONCINI M., CROCÈ L., BÀRBERI P., MENINI S., BONARI E., 1999. Crop management systems to conserve soil fertility after long-term setaside in southern Italy. Proceeding of the Conference on “Sustainable Management of Soil Organic Matter”, 15-17 September 1999, Edimburgh POWLSON D.S. e JENKINSON D.S., 1981. A comparison of the organic matter, biomass, ATP and mineralizable N contents of ploughed and direct-drilled soil. J. Agric. Sci., 97, 713-721. SMITH M.S.e BLEVINS R.L., 1987. Effect of conservation tillage on biological and chemical soil conditions: regional and temporal variability. In: Logan, T.J., Davidson, J.M., Baker, J.L., Overcash, M.R., (Eds), Effects of conservation tillage on groundwater quality: nitrates and pesticide. Lewis Pub., Chelsea, MI., pp. 149-168. TEBRÜGGE F., BÖRHRNSEN, A., GROSS U., DÜRING R.A, 1994. Advantages and disadvantages of no tillage compared to conventional plough tillage. In: Jensen, H.E., Schjonning, S.A., Mikkelsen, S.A., Madsen, K.B. (Eds.), Soil Tillage for Crop Production and Protection of the Environment. Proc. 13th ISTRO Conf., Aalborg, DK, pp. 737-744. UNGER P.W., CASSEL D.K., 1991. Tillage implement disturbance effects on soil properties related to soil and water conservation: a literature review. Soil Tillage Res. 19, 363-382. VANCE E.D., BROOKES P.C., JENKINSON D.S., 1987. An extraction method for measuring soil microbial biomass C. Soil Biol. Biochem. 19: 703-707. WARDLE D.A., 1998. Controls of temporal variability of the soil microbial biomass: a global-scale synthesis. Soil Biol. Biochem., 13: 1627-1637. 185 CONFRONTO DI MODELLI MATEMATICI NELLA GESTIONE DELL’IRRIGAZIONE Mecella G., Francaviglia R., Scandella P., Marchetti A. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Via della Navicella 2-4, 00184 Roma Introduzione L’irrigazione in Italia costituisce uno strumento fondamentale di progresso, in quanto l’agricoltura, non potendosi ormai espandere su nuovi territori, è costretta a puntare su mezzi tecnici in grado di aumentare la produttività e quindi la competitività. Nelle aree mediterranee, caratterizzate da peculiari situazioni climatiche e pedologiche, nonché da carenze delle risorse idriche, in particolare nei lunghi periodi di siccità estiva, nei quali le richieste idriche delle colture aumentano, è fondamentale disporre di esatte valutazioni dei deficit idrici, per programmare la gestione computerizzata dell’irrigazione. Considerate le caratteristiche intrinseche dei fenomeni che regolano i movimenti dell’acqua nel suolo a seguito di irrigazione e le difficoltà operative nell’ottenere dati reali sui flussi idrici dei suoli, si sono andati sempre più diffondendo i modelli e i programmi di simulazione con approcci spesso molto diversi tra loro e sempre con notevoli problemi di validazione dei risultati ottenuti. I modelli disponibili non sempre sono in grado di simulare alcuni processi importanti per la realtà italiana (es. infiltrazione dell’acqua nel suolo a seguito di modificazioni dello strato superficiale del suolo, effetto delle vie di deflusso preferenziali, ecc.) e sono validi in alcune aree, meno in altre, questo soprattutto in rapporto alla loro capacità previsionale. La precisione nelle risposte (aderenza alle realtà sperimentali) costituisce una condizione essenziale per l’adozione di un modello rispetto ad un altro. Non sempre modelli elaborati in un particolare contesto pedologico e climatico o con scopi specifici possono essere adottati, senza opportune modifiche, in ambienti diversi o per finalità differenti da quelle “di nascita”. Progetto Finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell'Ambiente (PANDA) Sottoprogetto I, Serie 2, Pubblicazione n. 48 Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 185-193 (2001) 186 Mecella et al. Nel presente lavoro vengono confrontati e discussi gli udogrammi relativi allo strato di suolo 0-50 cm registrati sperimentalmente e simulati attraverso tre modelli: CropSyst, EPIC e il modello semideterministico B.Idr.A.S. messo a punto dagli Autori e tarato per le caratteristiche pedoclimatiche tipiche degli ambienti mediterranei, nei quali è sempre di primaria importanza il problema delle risorse idriche. Materiali e metodi Nel lavoro si sono messi a confronto le stime dei bilancio idrico elaborato da tre modelli, il modello CropSyst, il modello EPIC ed il modello B.Idr.A.S., nati con finalità tra loro diverse, al fine di valutarne le possibilità di utilizzo per la gestione dell’irrigazione in ambienti pedoclimatici caratteristici di aree agricole italiane. Il modello EPIC (Erosion Productivity Impact Calculator), sviluppato negli USA per studi sull’erosione in funzione della produttività dei suoli (Williams et al., 1984; Sharpley e Williams, 1990), è in grado di simulare giornalmente il clima, le condizioni idrologiche, la temperatura del terreno, l’erosione idrica ed eolica, il ciclo dei nutrienti, le operazioni colturali, il movimento di fitofarmaci e degli elementi nutritivi nelle acque e nei sedimenti erosi. La previsione della distribuzione di acqua nel profilo si fonda su un metodo capacitivo, che simula il flusso da uno strato di terreno verso quello sottostante quando il contenuto idrico supera la capacità di campo. Data la natura dei fenomeni in studio, da qualche anno il modello ha trovato applicazione più in generale nella simulazione di sistemi colturali e delle ricadute ambientali delle scelte tecniche effettuate. CropSyst (Cropping Systems Simulation Model) nasce invece come strumento per la valutazione dell’effetto della gestione dei sistemi colturali sulla produttività e l’ambiente (Stockle e Nelson, 1994). Il modello simula con cadenza giornaliera il bilancio idrico e quello dell’azoto, la fenologia, la crescita delle colture e dell’apparato radicale, la formazione di biomassa, la produzione e la decomposizione di residui colturali ed infine l’erosione idrica. La ridistribuzione dell’acqua nel terreno viene simulata o mediante un semplice sistema a cascata o con un metodo che utilizza una soluzione numerica dell’equazione di Richards per la stima dei flussi idrici nel profilo del suolo. Il modello B.Idr.A.S. è stato elaborato per monitorare nello spazio e nel tempo il ristagno idrico (Mecella e Scandella, 1995; Mecella et al., Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione 187 1996). Con l’integrazione gornaliera, combinata con la suddivisione dei profilo in strati di 10 cm, B.Idr.A.S. consente di simulare i movimenti dell’acqua nel suolo, evidenziando l’eventuale fenomeno di idrosaturazione nello strato di suolo ed il tempo di permanenza dell’acqua nello strato stesso. Poiché le relazioni che intercorrono tra il suolo, considerato come sistema colloidale, e l’acqua si verificano sempre in termini energetici, sia per la simulazione della dinamica dell’acqua nel suolo che per la stima dell’evapotraspirazione reale in funzione del contenuto, idrico ci si è espressi in termini di potenziale Ψ. Per quanto attiene il suolo, i criteri seguiti sono: • calcolo, per ogni orizzonte del profilo, della regressione più idonea a rappresentare matematicamente la curva tensione/umidità del suolo; • suddivisione di ogni orizzonte interessato al bilancio in strati virtuali di 10 cm nei quali le caratteristiche fisiche ed idrologiche sono considerate omogenee; • stima dei mm di pioggia utile che penetrano nel primo strato di suolo al netto del runoff e dei quantitativi che, attraverso le crepacciature, bagnano gli strati sottosuperficiali; • stima della quantità di acqua che entra nello strato in funzione della velocità di infiltrazione e della sorptività, dipendente dal grado di saturazione idrica dello strato; • stima, nell’intervallo tra capacità idrica massima e capacità di campo, della quantità di acqua che percola nello strato successivo in funzione della sua velocità di infiltrazione e del rapporto di saturazione idrica; • confronto fra tasso di percolazione dello strato sovrastante e tasso di infiltrazione in quello sottostante: quando questo è inferiore la percolazione si dimensione sul tasso di infiltrazione e lo strato sovrastante rimane in condizioni di ristagno idrico; se lo strato è interessato da una rete di drenaggio, l’eccesso idrico va ad alimentare la rete di scoline con un tasso di deflusso proporzionale alla permeabilità laterale; • quando, secondo le procedure descritte, tutta l’acqua gravitazionale si è ripartita tra gli strati, tra quelli con contenuto idrico inferiore alla capacità di campo si instaura un equilibrio sulla base dei potenziali ( con cui l’acqua è trattenuta al suolo; in altri termini, i movimenti dell’acqua capillare vengono rappresentati mettendo in equilibrio, per strati contigui, i potenziali presenti in quelle particolari situazioni di umidità; • stima della risalita capillare in presenza di falda, simulando un flusso di 188 Mecella et al. umidità, sempre mediante l’equilibrio dei potenziali per strati contigui, considerando lo strato che sovrasta la falda a potenziale corrispondente alla capacità idrica di campo (CIC); • stima delle crepacciature sulla superficie del suolo, in funzione dei tipo di suolo e del potenziale idrico degli strati: se presenti gli apporti idrici bypassano gli strati crepacciati. La validazione dei modelli è stata effettuata ponendo a confronto le misure di campo delle umidità del suolo (metodo gravimetrico con almeno tre repliche) con le previsioni generate dai modelli per lo strato di terreno interessato agli apporti irrigui (0-50 cm di profondità). Le misure sperimentali derivano da un monitoraggio dello stato idrico del suolo, effettuato per due anni (1987-88) ai fini della gestione automatizzata dell’irrigazione su colture estive, in campi sperimentali ubicati in aree rappresentative di un’agricoltura intensiva ed in pedoambienti tipici dell’Italia (Tombesi et al. 1987; I.S.N.P. 1988). In particolare si tratta di un ambiente semiumido della Pianura Padana (Mantova) sul quale sono state allevate una coltura di mais da granella ed una coltura di soia. I suoli, derivati da sedimenti olocenici, sono classificati come fluvisuoli calcici, con l’orizzonte di superficie limoso argilloso e gli orizzonti di profondità franco limosi. Tra 50 e 90 cm di profondità è presente un orizzonte di accumulo calcareo, con permeabilità molto bassa, che causa la formazione di stati di saturazione idrica negli orizzonti sovrastanti. Le acque in eccesso non riescono a percolare attraverso di esso, ma defluiscono lateralmente in una rete di drenaggio, che mantiene il livello di una falda superficiale a circa 200 cm di profondità. Il secondo è un ambiente semiarido dell’Italia centrale (Paliano - FR), con caratteristiche mediterranee, nel quale sono state allevate le colture di silomais e di barbabietola da zucchero. I suoli sono classificati come luvisuoli vertico-ferrici, derivano da cineriti micropomicee rossicce dei sistema vulcanico dei Colli Albani, presentano tessitura franco argillosa in superficie ed argillosa in profondità. L’irrigazione delle colture veniva effettuata in entrambi i pedoambienti con volumi medi di adacquamento di 40 mm quando l’umidità del suolo per lo strato 0-50 cm superava di poco la soglia limite del punto di intervento irriguo (pF = 3.2). Le caratteristiche granulometriche ed idrologiche che sono state utilizzate nelle simulazioni sono riportate nella Tabella 1. 189 Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione Tabella 1. Principali input idropedologici dei terreni richiesti dai modelli Strato cm Sabbia Limo % % Argilla Punto di Capacità Densità Conducibilità % appassimento di campo apparente idrica % Vol. % Vol. g cm-3 mm h-1 Mais da granella (Mantova) 0-50 19 53 28 50-75 16 55 29 75-100 13 63 24 100-125 9 70 21 125-165 5 55 40 165-180 13 57 30 180-200 14 66 20 Soia (Mantova) 0-50 19 57 24 50-75 22 57 21 75-100 28 58 14 100-130 33 59 8 130-155 6 57 37 155-200 3 59 38 Silomais (Paliano) 0-50 23 40 37 50-75 14 36 50 75-100 13 37 50 100-145 13 38 49 145-175 15 37 48 175-200 20 44 36 Barbabietola da zucchero (Paliano) 0-50 23 40 37 50-75 16 34 50 75-100 14 37 49 100-150 15 35 50 0.213 0.190 0.151 0.155 0.212 0.170 0.155 0.276 0.255 0.241 0.253 0.277 0.254 0.261 1.16 1.12 1.08 1.13 1.06 1.13 1.28 40 48 64 37 23 17 14 0.216 0.161 0.119 0.076 0.239 0.229 0.261 0.251 0.199 0.146 0.297 0.289 1.15 1.20 1.22 1.23 1.11 1.10 43 43 43 15 24 20 0.209 0.242 0.253 0.258 0.253 0.274 0.343 0.348 0.355 0.370 0.351 0.361 1.12 1.09 1.09 1.08 1.06 1.04 37 63 63 84 78 202 0.196 0.244 0.244 0.236 0.308 0.343 0.343 0.329 1.10 1.07 1.07 1.08 47 58 75 75 Risultati e discussione Dall’esame dei risultati ottenuti e riportati negli udogrammi di Figura 1 e negli scatterplots di Figura 2, si evidenzia come i modelli presi in considerazione danno risposte significativamente diverse nei due ambienti considerati. Nell’ambiente semiumido della Pianura Padana le simulazioni mostrano una buona aderenza con i dati sperimentali anche se, per tutti i modelli, gli andamenti ottenuti con le simulazioni anticipano di qualche giorno le umidità reali dei suolo (Figura 1). Va inoltre sottolineata una tendenza alla sottostima dei valori di umidità da parte dei modelli EPIC e CropSyst, leggermente più accentuata per EPIC (Figura 2). 190 Mecella et al. Mantova 50 45 Paliano Mais da granella 1987 35 umidità % vol umidità % vol 40 30 25 20 15 10 5 0 130 50 170 190 210 230 250 50 45 Soia 87 40 40 35 35 umidità % vol umidità % vol 45 150 50 45 Silomais 1987 40 35 30 25 20 15 10 5 0 130 150 30 25 20 15 10 190 210 230 250 Silomais 1988 30 25 20 15 10 5 0 130 170 150 170 190 210 230 5 0 150 250 170 190 210 230 250 270 giorno giuliano sperimentale B.Idr.A.S. CropSyst EPIC giorni di crescita p p 50 45 Barba88 40 umidità % vol Figura 1 Udogrammi delle simulazioni per le colture considerate nei due ambienti pedoclimatici. 35 30 25 20 15 10 5 0 140 160 180 200 220 240 260 giorno giuliano sperimentale B.Idr.A.S. CropSyst EPIC Queste “imprecisioni” nei risultati sono probabilmente da ascriversi alla difficoltà dei modelli ad interpretare correttamente la permeabilità dell’orizzonte di accumulo calcareo. La presenza di tale strato infatti provoca un rallentamento nella velocità di percolazione dell’acqua, che viene sottostimato da entrambi i modelli. Nell’ambiente di Paliano, in clima subarido, i modelli B.Idr.A.S. ed EPIC presentano una buona aderenza ai valori misurati; il modello CropSyst invece, a partire dalla seconda metà dell’estate, tende a sovrastimare i contenuti idrici del suolo, Tale deriva dovrebbe imputarsi alla particolare natura dei minerali argillosi delle cineriti vulcaniche, che caratterizzano questi suoli, conferendo loro una tessitura argillosa apparente, che non corrisponde ad un analogo comportamento idrologico (Francaviglia et al., 1999). 191 Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione Mantova Paliano 50 50 B.Idr.A.S. 40 umidità simulata % vol umidità simulata % vol B.Idr.A.S. 30 20 10 40 30 20 10 0 0 0 10 20 30 40 0 50 umidità sperimentale % vol 30 40 50 EPIC 40 30 20 10 40 30 20 10 0 0 0 10 20 30 40 0 50 10 20 30 40 50 umidità sperimentale % vol umidità sperimentale % vol 50 50 CropSyst CropSyst 40 umidità simulata % vol umidità simulata % vol 20 50 EPIC umidità simulata % vol umidità simulata % vol 50 10 umidità sperimentale % vol 30 20 10 40 30 20 10 0 0 0 10 20 30 40 umidità sperimentale % vol 50 0 10 20 30 40 50 umidità sperimentale % vol Figura 2 Scatterplots delle umidità simulate per tutte le colture nei due ambienti considerati. 192 Mecella et al. Conclusioni I risultati del confronto tra le umidità del suolo elaborate dai modelli B.Idr.A.S., EPIC e CropSyst e i valori sperimentali derivati da prove irrigue devono intendersi ancora preliminari in quanto riferibili a pochi ambienti pedoclimatici e solo ad alcune colture. Possono comunque essere fatte alcune considerazioni di carattere generale sulle capacità previsionali dei modelli considerati. Gli esiti di queste simulazioni, relativamente al bilancio idrico, sembrano indicare come tutti i modelli sovrastimino in tutti gli ambienti e per tutte le colture considerate le perdite di acqua anticipando di qualche giorno i reali contenuti idrici del suolo. Particolarmente importante risulta la sovrastima delle umidità elaborata da CropSyst nell’ambiente pedoclimatico di Paliano nel periodo di massimo intervento irriguo. Ne deriva che l’utilizzo generalizzato di questi modelli per la gestione computerizzata dell’irrigazione appare al momento ottimistica, in quanto le discrepanze evidenziate che nel caso specifico per EPIC e B.Idr.A.S. risultano di poco conto, indicano comunque la necessità di validare e tarare al meglio i modelli per ciascuna zona di intervento. Ciò comporta l’ausilio di consistenti banche dati soprattutto in ambienti nei quali la variabilità climatica e pedologica è elevata, come nel caso dell’Italia e dei Paesi mediterranei. La difficoltà di tali validazioni resta sempre infatti quella di reperire dati sperimentali attendibili, in particolare di umidità del suolo per differenti colture e per lunghi periodi. Diversamente, l’utilizzo di modelli per la gestione computerizzata dell’irrigazione rimane inficiato da errori, che possono riflettersi negativamente sia nei confronti dell’ambiente che nel consumo di acqua. Bibliograria FRANCAVIGLIA R., MECELLA O., SCANDELLA P., MARCHETTI A. 1999. Model Comparison to evaluate the soil moisture content in different pedoclimatic regions. International Symposium “Modelling Cropping Systems” ESA, Lleida (Spagna), Giugno 1999. MECELLA G., SCANDELLA P., 1995. B.Idr.A.S. Il Bilancio Idrico per le Aree Sensibili. In “Il Ruolo della PEDOLOGL4 nella Pianificazione e Gestione del Territorio”. Atti del Convegno della Società Italiana della Scienza del Suolo. Cagliari 6-10 giugno 1995. Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione 193 MECELLA G., SCANDELLA P., FRANCAVIGLIA R., COSTANTINI A. 1996. B.Idr.A.S. - Un modello per la stima dei contenuti di acqua nel suolo ai fini della valutazione della sensibilità delle aree. Agricoltura Ricerca 164, 165-166, 45-54, luglio-dicembre 1996. SHARPLEY A.N., WILLIAMS J.R., 1990. EPIC - Erosion Productivity Impact Calculator. Model Documentation, U.S. Department of Agriculture Technical Bulletin n. 1768, 235pp. STOCKLE C.O., NELSON R.L., 1994. CropSyst, Cropping Systems Simulation Model. User’s manual. Department of Biological Systems Engineering, Washington State University, Pullman, Washington. TOMBESI L., MECELLA G., FRANCAVIGLIA R., COSTANTINI A., SCANDELLA P., MORETTI R., DI BLASI N., PIERANDREI F. 1987. L’informatica applicata alla gestione idrica delle colture. Nota 1 - Confronto tra il metodo proposto dall’Istituto e quelli derivati dalla formula di Penman. Supplemento Annali Ist. Sper. Nutr. Piante. Roma. WILLIAMS J.R., JONES C.A., DYKE P.T., 1984. A modeling approach to determine the relationship between erosion and soil productivity. Transaction of the ASAE. 27 (1): 129-144. I.S.N.P. 1988. L’informatica applicata alla gestione idrica delle colture. Nota II - Confronto tra il metodo proposto dall’Istituto e quelli derivati dalla formula di Penman. Supplemento Annali Ist. Sper. Nutr. Piante. Roma. 195 LA GEOSTATISTICA APPLICATA ALLO STUDIO DELLA VARIABILITÀ TERRITORIALE DELLA PERMEABILITÀ DEI SUOLI: ALTA VALLE DEL TEVERE 1 Mecella G.*, Scandella P.*, Raspa G.**, Gomez L.H.** * Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante **Dipartimento I.C.M.M.P.M.- Università di Roma “La Sapienza” Premessa Per una efficace pianificazione della pratica irrigua, al fine di limitare i fenomeni degenerativi del suolo e delle acque sottosuperficiali e profonde, l’attenzione deve essere concentrata soprattutto sugli strati superficiali del suolo, dove ha luogo la ripartizione degli apporti meteorici e da dove hanno origine i fenomeni di infiltrazione, deflusso superficiale, deflusso sotterraneo, evaporazione e traspirazione. L’elaborazione di carte di isovalori di permeabilità, strumento indispensabile per la pianificazione di una irrigazione sostenibile ed ecocompatibile, risulta spesso compromessa dalla limitata disponibilità di dati sperimentali relativi alle proprietà idrauliche dei suoli e dall’elevato costo in termini economici e di tempo che le relative misure richiedono. Inoltre nelle problematiche di interesse pratico, la validità delle indispensabili interpolazioni a cui si perviene è subordinata alla conoscenza della variabilità nello spazio delle caratteristiche idropedologiche dei suoli e all’affidabilità delle tecniche di interpolazione necessarie per ottenere stime attendibili per punti in cui non sono disponibili informazioni. Nel lavoro si è evidenziato come, attraverso i metodi geostatistici, sia possibile utilizzare al meglio l’informazione disponibile ai fini della ricostruzione spaziale delle caratteristiche idrauliche dei suoli (Wackernagel, 1995). L’informazione è costituita da misure della variabile diretta, conducibilità idraulica, e da misure di variabili con essa correlate. 1 Progetto Finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell'Ambiente (PANDA) Sottoprogetto 1, Serie 2, Pubblicazione n. 49 Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 195-203 (2001) 196 Mecella et al. Materiali e metodi Area in studio e caratteristiche fisico-idrologiche Lo studio ha interessato il territorio dell’Alta Valle del Tevere (Città di Castello) della superficie di circa 23.000 ha, già oggetto di precedenti indagini condotte negli anni ‘80. I suoli presenti nel territorio sono Fluvisuoli eutrici, Regosuoli calcici, Luvisuoli ortici, talvolta gleyci e calcici (Mecella et al., 1986). In particolare nel precedente studio, che aveva come fine primario la redazione di una carta di classificazione dei terreni ai fini irrigui, erano stati rilevati dei profili e su 52 di essi erano state effettuate le determinazioni analitiche necessarie per la caratterizzazione fisico-idrologica del suolo. La valutazione della permeabilità media di ciascuna unità di suolo derivava sia da misure di infiltrazione superficiale in situ che da misure di conducibilità idraulica effettuate in laboratorio sui campioni di suolo prelevati da ciascun orizzonte. Nella Tabella 1 sono riportati, per classi di tessitura, i valori medi e le deviazioni standard delle caratteristiche fisicoidrologiche dei suoli suddivise nei tre orizzonti normalmente intercettati entro la profondità di investigazione di 120 cm. Tabella 1 Valori delle caratteristiche fisico-idrologiche medie e Deviazioni Standard per gli orizzonti compresi entro i 120 cm di profondità Variabili analitiche superficiale media D.S. Tessitura equilibrata-argillosa profondità superiore cm 0 0 profondità inferiore cm 40 9 sabbia grossa % 6.9 3.9 sabbia fine % 16.7 6.7 limo % 57.3 5.9 argilla % 19.1 6.3 pF = 2.0 (10 kPa) 32.1 5.5 pF = 2.5 (33.3 kPa) 24.0 4.0 pF = 3.0 (100 kPa) 19.1 3.8 pF = 4.2 (1500 kPa) 12.9 3.4 conducibilità idraulica mm/h 12.8 3.2 Tessitura equilibrata-sabbiosa profondità superiore cm 0 0 profondità inferiore cm 40 9 sabbia grossa % 14.5 5.9 sabbia fine % 23.7 6.9 limo % 43.9 3.6 argilla % 17.9 5.1 pF = 2.0 (10 kPa) 28.7 3.5 pF = 2.5 (33.3 kPa) 22.1 3.4 pF = 3.0 (100 kPa) 17.3 3.0 pF = 4.2 (1500 kPa) 11.8 2.7 conducibilità idraulica mm/h 27.1 3.0 Orizzonti medio media D.S. profondo media D.S. 40 80 5.5 16.0 56.5 22.0 32.7 25.8 21.1 13.8 11.1 9 25 4.1 8.7 6.4 8.5 6.4 4.8 4.9 4.2 4.0 80 120 5.5 15.0 54.8 24.7 34.4 27.1 22.1 14.2 11.1 25 23 5.3 9.5 7.4 9.0 5.9 5.0 4.7 4.3 8.6 40 80 15.0 24.2 42.8 18.0 29.2 22.5 17.8 11.8 25.0 9 16 6.0 7.9 5.9 5.2 4.5 3.2 3.3 3.3 8.1 80 115 13.6 30.2 40.0 16.2 26.8 20.0 15.4 9.8 24.8 16 25 6.9 11.2 5.3 6.6 3.9 3.5 3.2 3.2 6.8 La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta Valle del Tevere 197 Modellizzazione geostatistica Per la ricostruzione del campo di permeabilità è stata impiegata la metodologia del cokriging, che è basata sulle auto e mutue correlazioni delle variabili. In termini quantitativi tali correlazioni sono descritte dall’insieme dei variogrammi sperimentali, diretti ed incrociati, le cui analisi ed interpretazione sono tese ad evidenziare le differenti scale di variabilità del processo (Raspa & Bruno, 1993). Aggiustato in forma matematica opportuna, l’insieme dei variogrammi costituisce il “modello di corregionalizzazione”. Risultati e discussione Analisi della variabilità Le variabili prese in considerazione sono sabbia grossa, sabbia fine, limo, argilla, curva di ritenzione idrica (pF = 2.0, pF = 2.5, pF = 3.0, pF = 4.2) e conducibilità idraulica. L’analisi ha messo in evidenza la presenza, per ognuno dei tre orizzonti, di due strutture spaziali di variabilità, descritte quantitativamente da due variogrammi isotropi di tipo sferico, uno avente un “range” 1.5 Km e l’altro 20 Km. Sull’insieme delle variabili di ciascun orizzonte è stato aggiustato un modello lineare di corregionalizzazione. Nella Figura 1 si riportano a titolo d’esempio i variogrammi sperimentali ed il modello di uno dei tre orizzonti considerati (orizzonte medio). Come si può osservare anche macroscopicamente, le due strutture sono presenti, con peso diverso, in tutte le variabili. E questo avviene in maniera diversa per ognuno degli orizzonti. Figura 1 Variogrammi diretti ed incrociati delle variabili considerate in ordine di sequenza: sabbia grossa, sabbia fine, limo, argilla, curva di ritenzione idrica (pF = 2.0, pF = 2.5, pF = 3.0, pF = 4.2) e conducibilità idraulica. 198 Mecella et al. Nella Tabella 2 si riportano, relativamente a tutti e tre gli orizzonti e per entrambe le strutture di variabilità e per quella complessiva, i sills dei variogrammi diretti delle variabili prese in esame. Si ricorda che i sills delle strutture di un variogramma rappresentano le dispersioni delle componenti spaziali delle variabili e la somma dei sills corrisponde alla dispersione complessiva delle variabili. Tabella 2 Dispersione delle componenti spaziali delle variabili risultanti dall’aggiustamento del modello Variabile Struttura 1.5 Km Struttura 20 Km Somma strutture Or sup Or med Or prof Or sup Or med Or prof Or sup Or med Or prof sabbia grossa sabbia fina limo argilla conducibilità idraulica pF = 2.0 pF = 2.5 pF = 3.0 pF = 4.2 22.5 38.3 60.3 28.9 41.5 13.8 6.7 5.7 5.2 13.3 65.6 51.0 47.6 45.9 14 4 10.6 12.9 11.0 28.4 132.5 111.7 78.6 41.3 26 4 24.1 21.5 17.3 12.5 23.2 16.9 11.3 15.7 19 5 2.3 11.5 10.0 45.1 24.2 46.4 12.0 48.1 29.4 13.6 11.9 6.4 31.0 34.8 34.0 12.3 80.0 22.0 11.9 9.8 5.9 35.0 61.5 77.2 40.2 57.2 33.3 19.0 17.2 15.2 58.4 89.8 97.4 59.6 94.0 43.8 24.3 24.8 17.4 59.4 167.3 145.7 90.9 131.3 48.5 36.0 31.3 23.2 Osservando le ultime tre colonne si constata come la dispersione globale di tutte le variabili aumenta con la profondità. In particolare, passando dall’orizzonte superficiale a quello profondo, la dispersione complessiva aumenta da un minimo del 50 % per le ritenzioni idriche ad un massimo del 170 % per la sabbia fina. Se si passa invece a considerare le strutture spaziali, si nota che, ad eccezione della conducibilità idraulica, l’aumento della dispersione con la profondità si riscontra solo per la componente a piccola scala dove l’aumento è molto più accentuato che non per la variabilità complessiva. Alla grande scala la dispersione non mostra tendenza all’aumento. La variabilità complessiva del fenomeno è dominata quindi dalla struttura a piccola scala. Questi risultati confermano quanto rilevato durante l’indagine di campo, durante la quale si è evidenziato come le pratiche agronomiche di monocoltura utilizzate per anni nell’area hanno omogeneizzato le caratteristiche fisiche dei suoli, limitatamente all’orizzonte superficiale. Per quanto riguarda la conducibilità idraulica, caratteristica prevalentemente dipendente dalla successione degli orizzonti, che come già detto ha un comportamento opposto alle altre variabili, l’esame variografico conferma come, alla grande scala, le condizioni strutturali dei suoli risultino prevalenti sulle modificazioni imposte alle condizioni fisiche dalla conduzione agronomica. La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta Valle del Tevere 199 Un altro aspetto dell’analisi multivariata riguarda i legami tra le variabili, che risultano fortemente correlate fra loro, denunciando un’informazione ridondante. In particolare: • i valori relativi alla curva di ritenzione idrica ed al contenuto di argilla sono direttamente e fortemente correlati tra di loro, sia alla grande che alla piccola scala, con coefficienti di correlazione che vanno da 0.7 a 0.9, al variare della struttura e dell’orizzonte; • alla grande scala, la curva di ritenzione idrica presenta una forte correlazione inversa con la sabbia grossa, la sabbia fine e la permeabilità, con coefficienti di correlazione che vanno da -0.74 a -0.97. Alla piccola scala invece, mentre le correlazioni tra lo stesso gruppo di variabili con la sabbia fine si mantengono come nella grande scala, le correlazioni con la sabbia grossa e la permeabilità sono pressocchè inesistenti nei primi due orizzonti, mentre sono presenti nel terzo, con coefficienti di correlazione che vanno da -0.5 a -0.7; • il limo mostra un comportamento simile a quello del gruppo ritenzione idrica-argilla, con una differenza particolare: alla grande scala il limo, come le variabili del gruppo citato, con le quali è in forte correlazione diretta (coefficienti di correlazione da 0.78 a 0.98), presenta un forte legame inverso con sabbia grossa, sabbia fine e permeabilità (coefficienti di correlazione da -0.75 a -0.98). Alla piccola scala, il limo, analogamente alle variabili del gruppo ritenzione idrica-argilla, non ha correlazione con sabbia grossa e sabbia fine (se non lievemente nel terzo orizzonte), mentre mostra una buona correlazione inversa con la conducibilità idraulica. I relativi coefficienti di correlazione sono di -0.56, -0.37 e -0,68 rispettivamente negli orizzonti superficiale, medio e profondo. L’esistenza di una correlazione inversa tra limo e conducibilità idraulica anche alla piccola scala distingue il limo dall’argilla ed evidenzia come la componente limosa sia la responsabile della debole struttura dei suoli e quindi della moderata permeabilità. L’ACP (Analisi in Componenti Principali), applicata alle due matrici di correlazione, risultanti dal modello lineare aggiustato, consente di osservare più facilmente i legami statistici tra le componenti delle variabili sopra descritti. Per le componenti a grande scala i primi due fattori spiegano il 96.3%, il 92.6% ed il 98.7% della variabilità complessiva, rispettivamente per il primo, secondo e terzo orizzonte. Il solo primo fattore ne spiega rispettivamente l’89.2%, l’83.2% ed il 90.1%, mentre il secondo fattore ha una 200 Mecella et al. incidenza trascurabile. Il primo fattore è fortemente correlato in maniera inversa con la ritenzione idrica, l’argilla ed il limo e in maniera diretta con sabbia grossa, sabbia fina e conducibilità idraulica. Tale fattore rappresenta chiaramente la granulometria. Per le componenti a piccola scala i primi due fattori spiegano per i tre orizzonti rispettivamente il 72.7%, l’80.3% e l’87.6%, mentre il primo ne spiega il 47.2%, il 58.8% ed il 74.0%. In questo caso la presenza consistente di un secondo fattore, essenzialmente legato al contenuto di limo, rende il fenomeno diverso rispetto al caso delle componenti a grande scala. Si ricorda che la conducibilità idraulica della componente a piccola scala, almeno negli orizzonti superficiali e mediamente profondi è scarsamente correlata con le altre variabili: solo con il limo presenta una discreta correlazione di tipo inverso. Ricostruzione della permeabilità Come è noto l’impiego del cokriging, che costituisce la metodologia di stima principale della geostatistica multivariata, è particolarmente vantaggioso in due situazioni: • quando si devono stimare variabili che devono soddisfare relazioni lineari di coerenza; • quando nei punti dove non è disponibile la misura della variabile di interesse sono invece disponibili misure di variabili ausiliarie. In tal caso, se le variabili ausiliarie sono ben correlate con quella di interesse, si può migliorare notevolmente la precisione della stima. Nel caso oggetto del presente studio ricorrono le condizioni per trarre i vantaggi offerti dal cokriging. La prima situazione riguarda la stima delle percentuali delle variabili che definiscono la tessitura del terreno, cioè sabbia fina, sabbia grossa, limo e argilla. Le loro misure danno come somma 100 e questo legame deve continuare a valere anche per i valori stimati. Se le stime sono effettuate a mezzo dei cokriging questo vincolo è rispettato; non lo è invece se si è utilizzato il kriging. La seconda situazione si riferisce alla opportunità di utilizzare, per la ricostruzione della carta della conducibilità idraulica, anche le percentuali di sabbia grossa, sabbia fina, limo e argilla, in quanto esse, come è risultato dallo studio di corregionalizzazione, sono ben correlate con essa. Questo consente di elaborare una carta di conducibilità idraulica (permeabilità) con poche determinazioni (determinazioni di controllo) ed elaborare le La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta Valle del Tevere 201 linee di isovalori attraverso le determinazioni di tessitura normalmente più numerose negli studi territoriali. Una prima ricostruzione della permeabilità è stata effettuata tramite kriging utilizzando esclusivamente le misure dirette della variabile in numero di 52. La carta ottenuta è riportata in Figura 2(a). Se si fossero utilizzate, tramite cokriging, anche le quattro variabili tessiturali misurate nei 52 punti campionati non si sarebbe ottenuto alcun miglioramento nella precisione della stima, poiché le variabili ausiliarie, essendo note negli stessi punti in cui è nota la variabile diretta, non costituiscono un supplemento di informazione. Figura 2 Ricostruzione della permeabilità: solo con i 52 valori della misura diretta (a); con 25 valori della misura diretta e le variabili della tessitura (b) a) b) Se invece si prova a fare a meno di alcune misure di conducibilità idraulica, ed al loro posto si utilizzano le percentuali di sabbia grossa, sabbia fine, limo e argilla, il contenuto informativo, date le correlazioni viste sopra, non diminuisce di molto e la carta risultante, ottenuta mediante cokriging, si avvicina a quella ottenuta con i soli 52 valori di conducibilità idraulica. Nella Figura 2(b) si può osservare come la carta della permeabilità ottenuta avendo rimosso più della metà (27) dei valori diretti e avendoli sostituiti con le quattro variabili relative alla tessitura non differisce di molto dalla carta di Figura 2(a). 202 Mecella et al. Non facendo intervenire le variabili relative alla tessitura nei punti in cui la permeabilità è stata rimossa, ma effettuando la stima con le sole 25 misure residue, la carta che si ottiene è sensibilmente diversa. L’aumento di precisione che si ottiene nella stima della permeabilità impiegando anche le misure di tessitura appare ancora più evidente osservando la Figura 3. In essa il grafico (a) rappresenta lo scatterplot tra i 52 valori della permeabilità misurati e quelli stimati negli stessi punti tramite kriging a partire, ognuno, dagli altri 51. Il grafico (b) rappresenta lo scatterplot tra i 52 valori misurati ed i corrispondenti stimati, tramite cokriging, a partire dagli altri 51 valori con l’aggiunta, nei punti di stima, dell’informazione relativa alla tessitura. 40 40 35 35 Conducibilità idraulica stimata mm/h Conducibilità iraulica stimata mm/h Figura 3 Cross-validazione con 52 campioni: (a) kriging, (b) cokriging 30 25 20 15 10 5 0 30 25 20 15 10 5 0 0 5 10 15 20 25 30 35 Conducibilità idraulica misurata mm/h a) Conclusioni 40 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Conducibilità idraulica misurata mm/h b) La procedura di studio adottata (modello di corregionalizzazione) è di notevole interesse applicativo, in quanto con poche misure di permeabilità e numerose determinazioni granulometriche, è possibile redigere carte di isopermeabilità confrontabili con quelle elaborate con studi più lunghi e complessi (Figura 4). Naturalmente tale procedura non può, come qualità e precisione, essere sostitutiva del rilevamento di campo, ma può consentire di meglio pianificare il grado di dettaglio necessario negli studi per reperire le informazioni indispensabili ad una approfondita conoscenza delle caratteristiche idropedologiche del territorio. La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta Valle del Tevere Figura 6 Carta della permeabilità derivata dallo studio di Land Classification Permeabilità mm/h < 20 ≥ 20 203 La redazione di tali cartografie mediante elaborazioni geostatistiche, che utilizzano grandezze fisiche facilmente reperibili, diviene propedeutica per la progettazione e la realizzazione degli interventi irrigui; inoltre essendo la permeabilità dei suoli un indice di sensibilità delle aree fortemente condizionato dagli interventi antropici, l’applicazione della geostatistica diventa di notevole ausilio per la pianificazione del territorio. Bibliografia MECELLA G., SCANDELLA P., DI BLASI N., PIERANDREI F., BIONDI F.A. 1986. Land classification ed aspetti climatici del territorio dell’Alta Valle del Tevere, Annali Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante. Vol XIII. I.S.N.P. Roma. RASPA G., BRUNO R. 1993. Integration between geostatistical methodologies and GIS environments geo-data: then factorial kriging. Conference Proceedings EGIS 93. WACKERNAGEL H. 1995. Multivariate geostatistics, Springer, New York. 205 COMPARAZIONE DEI FLUSSI DI MINERALIZZAZIONE DELL’AZOTO E DEL CARBONIO IN DUE SUOLI FORESTALI A QUERCUS CERRIS Orietta Micciulla, Maria Teresa Dell’Abate, Alberto Alianello Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante di Roma Riassunto Nel presente lavoro vengono presentati i risultati di uno studio effettuato in due siti forestali dell’Italia centrale, situati in aree caratterizzate da clima temperato e copertura dominante a Quercus cerris, mirato a seguire la dinamica dell’azoto, che rappresenta una parte importante del ciclo dei nutrienti nell’ecosistema forestale. E’ stato applicato un metodo sperimentale tarato sul suolo agrario, che permette di determinare la mineralizzazione potenziale dell’azoto organico, verificando inoltre l’idoneità delle condizioni di incubazione per i suoli forestali. Le dinamiche microbiche, che governano i processi di degradazione della sostanza organica del suolo, sono state investigate determinando la respirazione del terreno, il carbonio della biomassa microbica e gli indicatori microbiologici correlati (Cb/TOC e qCO2) I risultati hanno mostrato che la comunità microbica presente tende ad essere recalcitrante all’innesco della mineralizzazione: le quantità di azoto mineralizzato in condizioni potenziali sono risultate infatti piuttosto basse (non superiori al 4% dell’azoto totale) e simili alle diverse profondità. L’andamento dei flussi del carbonio attraverso la biomassa microbica del terreno, indicati dai parametri Cb/TOC e qCO2, hanno evidenziato una condizione di instabilità del sistema, la cui possibile causa è stata individuata nelle cure selvicolturali: in un caso per l’intervento di conversione a bosco ad alto fusto e nell’altro a causa del processo di invecchiamento a cui il bosco è soggetto. Introduzione Lo studio della qualità del suolo negli ecosistemi naturali viene generalmente affrontato seguendo un approccio olistico, ed il concetto di “qualità del suolo”, definito tuttora in modo non univoco, è stato descritto come “l’abilità che il suolo ha di seguire le naturali successioni delle biocenosi in esso presenti” (Doran & Parkin,1994). Essa è una componente fondamentale della stabilità dell’intero ecosistema ed una sua alterazione porta nel tempo al degrado dello stesso. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 205-214 (2001) 206 Miciulla et al. Studi condotti hanno messo in evidenza che la qualità di un suolo può dipendere dal turnover della sostanza organica del suolo, a sua volta controllato dalla biomassa microbica e da parametri fisici, quali l’umidità, la temperatura, la salinità ed il pH, dall’intensità di illuminazione, dalla presenza di sostanze chimiche prodotte dalle piante o dai microrganismi, che a loro volta influenzano l’efficienza dei microrganismi tellurici nel degradare e trasformare la sostanza organica del suolo (Anderson & Domsch, 1990). In questo lavoro ci si è posti l’obiettivo di studiare la dinamica dell’azoto, che rappresenta una parte importante del ciclo dei nutrienti nell’ecosistema forestale, applicando un metodo sperimentale tarato sul suolo agrario, che permette di determinare la mineralizzazione potenziale dell’azoto organico (Stanford & Smith, 1972) ed è ampiamente utilizzato per i suoli agrari (Benedetti & Sebastiani, 1997). Le condizioni di incubazione di tale metodo sono considerate infatti ottimali per l’attività microbica, tuttavia non è mai stato verificato se nei suoli forestali possano indurre una situazione di stress. A tal fine, al termine della prova di mineralizzazione potenziale dell’azoto, è stata allestita una prova di mineralizzazione del carbonio in presenza di un substrato facilmente metabolizzabile dalla biomassa del suolo, che ha consentito inoltre di valutare comparativamente i flussi di mineralizzazione potenziale dell’azoto e del carbonio. I campioni di suolo utilizzati provengono da due siti forestali dell’Italia centrale situati in aree caratterizzate da clima temperato e copertura dominante a Quercus cerris. La scelta è caduta su questi due siti in quanto presentavano i valori maggiori di pH, buona dotazione di calcio e magnesio nel complesso di scambio e quindi condizioni favorevoli alla mineralizzazione: è noto infatti che la nitrificazione è inibita da bassi valori di pH, mentre non è chiara la dipendenza dal pH dei processi globali di mineralizzazione della sostanza organica del suolo (Curtin et al., 1998). I due siti, con caratteristiche pedologiche diverse, sono stati inoltre comparati sulla base dei parametri microbiologici già utilizzati nei sistemi agrari (quoziente metabolico, rapporto carbonio biomassa su carbonio organico totale), che possono evidenziare eventuali situazioni di disturbo e descrivere lo stato del sistema nel suo complesso. Materiali e metodi Aree di studio Il presente lavoro è stato effettuato in due aree forestali dell’Italia centrale. I suoli sono stati classificati adottando la classificazione FAO del Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a Quercus cerris 1990: nel primo sito (Marche) è risultato essere un Haplic il sito dell’Umbria un Eutric CAMBISOLS (tabella 1). LUVISOLS 207 mentre Tabella 1. Descrizione delle aree di studio. Sito Quota Temperatura media Esposizione Substrato Erosione annua (°C) Pedologico Precipitazioni Pendenza medie annue (mm) Marche 775 m 10 SSE Calcari Forte s.l.m. marnosodiffusa 1250 46% arenacei Umbria 725m 11 NE Flisch Forte s.l.m. argilloso- diffusa 1250 22% arenaceo incanalata Biocenosi Bosco ceduo invecchiato a Quercus cerris Bosco ceduo in conversione a Quercus cerris Il campionamento è stato effettuato secondo i metodi adottati dall’ICP-Forests (International Co-operative programme on assessment and monitoring of air pollution effects on forest, 1994). In particolare il prelievo dei campioni è stato effettuato all’interno di un’area omogenea, in cinque punti scelti in prossimità di altrettanti alberi di Quercus cerris. Dopo aver rimosso la lettiera si è proceduto al prelievo dei campioni dello strato minerale secondo 3 profondità fisse (0-10, 10-20, 20-40 cm). Lo strato organico superiore (orizzonte O) è stato campionato separatamente. I cinque campioni di suolo, prelevati per ciascuna profondità, sono stati poi uniti in modo da ottenere un campione medio rappresentativo. Tutti i campioni sono stati successivamente seccati all’aria e setacciati a 2 mm. In tabella 2 sono riportati i principali parametri chimici relativi ai campioni medi. Tabella 2. Valori di pHH2O, azoto totale (Ntot%), carbonio organico totale (TOC %) e rapporto C/N (Alianello et al., 1996). Sito Marche Umbria Strato Orizzonte O 0-10 10-20 20-40 Orizzonte O 0-10 10-20 20-40 pH 6,7 6,6 6,6 6,8 6,6 6,7 7,2 7,1 Ntot % 0,76 0,18 0,15 0,12 0,74 0,38 0,28 0,22 TOC % 15,4 2,7 2,6 2,4 14,5 4,3 2,5 1,5 C/N 20 15 17 20 19 11 9 7 La mineralizzazione potenziale dell’azoto è stata determinata seguendo il metodo biochimico di Stanford e Smith modificato da Benedetti (1983): i campioni di suolo sono stati incubati in condizioni idriche e termiche ottimali (30 °C, 100% WHC) per 32 settimane e sottoposti a lisciviazione ad intervalli prefissati (2, 4, 8, 12, 16, 20 e 32 settimane) dell’azoto mineralizzato dalla sostanza organica del suolo. Le forme minerali in solu- 208 Miciulla et al. zione sono state poi determinate mediante analizzatore automatico a flusso continuo secondo Wall et al. (1975) per l’ammonio, secondo Kamshake et al. (1967) per i nitrati e secondo Keeney, Nelson (1982) per i nitriti. La valutazione della mineralizzazione del carbonio è stata condotta seguendo la respirazione del terreno con il metodo descritto da isermayer (1995) sia sul tal quale che in presenza di substrato; il metodo si basa sulla determinazione della CO2 che si libera durante l’incubazione del suolo in un sistema chiuso, in condizioni di umidità e temperatura controllate. La respirazione indotta da substrato è stata utilizzata per evidenziare la parte della biomassa del suolo ancora attiva nella sua globalità (Anderson, Domsch 1978; 1990) al termine della prova di mineralizzazione potenziale. Il glucosio è stato aggiunto al terreno nella misura di 2 mg di carbonio⋅g-1 suolo; il sistema così preparato è stato incubato a 30 °C, analizzando per 25 giorni ad intervalli giornalieri la CO2 prodotta, fino al raggiungimento di valori costanti di respirazione. La CO2 svolta, raccolta su una soluzione di soda a titolo noto, è stata determinata per titolazione della soda in eccesso con acido cloridrico dopo l’aggiunta di cloruro di bario per far precipitare sotto forma di carbonati la CO2 presente. E’ stato calcolato il quoziente di mineralizzazione (qmC = CCO2/TOC) che esprime la frazione di carbonio totale respirato durante il periodo di incubazione ed indica la capacità di degradare/ conservare la sostanza organica labile (Raich, Schlesinger 1992). Il carbonio della biomassa microbica (Cb) è stato determinato secondo il metodo della fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987; Wu et al., 1990), il calcolo del quoziente metabolico (qCO2) è stato eseguito secondo Anderson, Domsch (1978). Queste analisi sono state effettuate sul terreno portato al 100% della ritenzione idrica calcolata a pF 2,5 (-33KPa) la capacità di campo e condizionato per 10 giorni a 30 °C. E’ stato infine calcolato il rapporto (Cb/TOC %) che da Brookes (1995) è stato definito come un controllo interno alla comunità microbica del terreno, utile a definire lo stato di equilibrio nei confronti della sostanza organica in esso presente. Tutti i risultati ottenuti sono riferiti a terreno secco a 105°C e sono la media di tre misure. Risultati e discussione Azoto L’andamento delle curve cumulative di mineralizzazione potenziale dell’azoto sono riportate in figura 1: da esse si evidenzia che nei suoli Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a Quercus cerris 209 del sito dell’Umbria le percentuali di mineralizzazione lungo tutto il profilo, a trentadue settimane, raggiungono valori che sono compresi tra un massimo di 4,0 % ad un minimo di 2,1 %; molto vicini tra loro sono invece i valori ottenuti nel suolo delle Marche, dove variano dal 3,1 al 3,9%. Per entrambi i siti la percentuale di mineralizzazione non segue un andamento decrescente lungo il profilo: infatti nella località delle Marche la mineralizzazione è stata maggiore alla profondità di 10 – 20 cm, mentre per l’Umbria il valore più alto è stato rilevato alla profondità 0 – 10 cm. Figura 1: Curve cumulative dell’azoto potenzialmente mineralizzabile. 4 3,9 3,5 3,3 3,1 Marche % Min 3 2 1 0 2 8 14 O 0 -10cm 20 settimane 26 32 10 -20cm 20 - 40cm % Min Umbria 4 4 3 3,2 3,1 2 2,1 1 0 2 8 O 14 20 settimane 0 -10cm 10 -20cm 26 32 20 - 40cm Per terreni agrari, dove il metodo è stato tarato, le percentuali di mineralizzazione possono arrivare alla fine del periodo di incubazione al 10% dell’azoto totale presente (Benedetti e Sebastiani, 1996). I dati cumulativi della quantità di azoto mineralizzato sono sta- 210 Miciulla et al. ti elaborati secondo tre modelli cinetici (ordine zero, esponenziale di primo ordine e ordine misto). Dal confronto dei risultati ottenuti con i singoli modelli cinetici (dati non mostrati) è stato possibile evidenziare che ogni singola funzione non è in grado di rappresentare le cinetiche di mineralizzazione dell’azoto in tutti gli strati. E’ probabile che, trattandosi di suoli naturali, al loro interno esista una situazione di climax della comunità microbica presente che tende ad essere recalcitrante all’innesco della mineralizzazione: ciò spiegherebbe anche perché per tutte le profondità si abbiano percentuali di mineralizzazione tra loro molto simili. C’è da considerare inoltre che il pH dei due suoli non può essere considerato un fattore limitante alla mineralizzazione dell’azoto, avendo in tutti gli strati valori prossimi alla neutralità (Curtin et al., 1998). Carbonio Respirazione indotta da substrato (SIR) dopo incubazione. I risultati della prova di respirazione indotta da substrato, condotta sui campioni provenienti dalla prova di mineralizzazione potenziale dell’azoto, mostrano valori che decrescono con la profondità, caratteristica comune ad entrambi i siti, con valori maggiori negli orizzonti organici. I valori massimi raggiunti, dopo 25 giorni di incubazione, sono dell’ordine di circa 2000 ppm di C-CO2. Nella figura 2 sono riportate le curve cumulative della C-CO2 evoluta. Figura 2. Curve di respirazione dei terreni tal quali e SIR a fine incubazione Stanford. Marche (SIR) Marche respirazione 12000 C-CO2 (ppm) C-CO2 (ppm) 2000 1500 1000 500 10000 8000 6000 4000 2000 0 0 0 5 10 15 20 25 0 10 20 30 giorni Oriz. O 0 - 10 cm 40 50 60 giorni 10 - 20 cm Oriz. O 10 - 20 cm 20 - 30 cm 0 - 10 cm 20 - 30 cm Umbria respirazione Umbria (SIR) 2000 18000 15000 C-CO2 (ppm) C-CO2 (ppm) 1500 1000 500 12000 9000 6000 3000 0 0 0 5 Oriz. O 10 0 - 10 cm giorni 15 10 - 20 cm 20 25 20 - 30 cm 0 10 Oriz. O 20 30 0 - 10 cm giorni 40 50 10 - 20 cm 60 70 20 - 30 cm Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a Quercus cerris 211 I due sistemi, provenienti da 32 settimane di incubazione, non sembrano mostrare condizioni di stress, visto che in essi è presente una biomassa capace di produrre, dopo solo 24 ore dall’aggiunta di glucosio, una quantità di C-CO2 (flush) paragonabile a quella ottenuta nella prova di respirazione sul terreno tal quale; questo valore di C-CO2 dovrebbe pertanto essere correlato all’attività di una popolazione microbica capace di metabolizzare preferenzialmente gli zuccheri semplici. Respirazione. Nella prova di respirazione allestita sui terreni tal quali si osserva che la biomassa microbica del suolo alle diverse profondità risponde prontamente al riumettamento, mineralizzando quote di carbonio che diminuiscono passando dall’orizzonte organico allo strato più profondo. Carbonio biomassa. I dati relativi al Carbonio biomassa mostrano poche differenze tra i due siti (Figura 3): per entrambi i valori di respirazione seguono quelli di C-biomassa, diminuendo progressivamente con la profondità ed inoltre la biomassa è quantitativamente doppia nell’Umbria in tutti gli strati, tranne che in quello organico dove i valori dei due siti sono della stessa grandezza. Figura 3. Andamento del carbonio della biomassa microbica alle diverse profondità. 8000 7502 750 6000 500 4000 250 2000 1314 1121 0 O 0 - 10 cm C-CO2 totale 10000 10 - 20 cm Cb 651 (ug/g s.s. al 25 giorno) 1000 (ug/g s.s.) Carbonio biomassa Marche 0 20 - 40 cm C-CO2 10000 8000 750 6000 500 4000 3540 250 2000 848 0 O 0 - 10 cm Cb 10 - 20 cm C-CO2 628 20 - 40 cm 0 C-CO2 totale 9268 (ug/g al 25 giorno) 1000 (ug/g s.s.) Carbonio biomassa Umbria 212 Miciulla et al. Per l’Umbria il C-biomassa risulta decrescere lungo il profilo a partire da 950 µg/g dello strato organico fino ad arrivare a 132 µg/g nello strato 20 – 40cm; nel sito delle Marche valori di C-biomassa passano da 818 µg/g nell’orizzonte organico fino a i valori di 40 µg/g. Indicatori microbiologici. L’andamento del quoziente metabolico (qCO2) verso il Cb/TOC, è rappresentato in figura 4: i due parametri riflettono i flussi del carbonio attraverso la biomassa microbica del terreno e forniscono indicazioni sullo sviluppo delle comunità microbiche e delle biocenosi del suolo. I valori di qCO2 sono più elevati nel sito delle Marche. I valori indicano maggiore stabilità dello strato 0 – 10cm per l’Umbria e 10 – 20 per le Marche. Figura 4. Quoziente metabolico e Cb/TOC a diverse profondità nel suolo. qCO2 0,08 Cb/TOC 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 10 - 20cm 20 - 40cm Marche 0,06 0,04 0,02 0 O 0 - 10cm qCO2 Cb/TOC Umbria qCO2 0,04 0,03 0,02 0,01 0 O 0 - 10cm qCO2 Cb/TOC 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 10 - 20cm 20 - 40cm Cb/TOC I valori di Cb/TOC utilizzati come controllo interno (Brookes, 1995) sono complessivamente bassi e sembrano indicare una condizione di squilibrio della biomassa microbica. Probabilmente la comunità microbica Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a Quercus cerris 213 nei due siti non è in equilibrio: in un caso per l’intervento forestale di conversione a bosco ad alto fusto (Umbria) e nell’altro a causa del processo di invecchiamento a cui il bosco è soggetto (Marche) (vedi tabella 1). Conclusioni Dai risultati ottenuti sulla dinamica dell’azoto si è evidenziato come il metodo biochimico di Stanford e Smith, tarato per suoli agrari, riesca a rappresentare anche la dinamica nel sistema forestale: il sistema a fine incubazione ha dimostrato di non aver subito condizioni di stress in quanto la biomassa microbica ha risposto prontamente all’aggiunta di un substrato facilmente metabolizzabile come il glucosio. Tuttavia, è emersa la necessità di prolungare l’incubazione per poter effettuare una elaborazione cinetica dei dati. Le percentuali di azoto mineralizzato in condizioni potenziali sono risultate infatti piuttosto basse (non superiori al 4% dell’azoto totale). Per quanto riguarda la mineralizzazione del carbonio le curve di respirazione hanno evidenziato la presenza di una biomassa microbica attiva. I parametri qCO2 ed il rapporto Cbiom./TOC, calcolati per verificare l’attività della biomassa microbica nel suo complesso, hanno invece evidenziato una possibile condizione di instabilità. Le possibili cause possono essere individuate nelle cure selviculturali, il cui obiettivo è di portare l’ecosistema ad un certo grado di stabilità, ma che durante le diverse fasi di esecuzione provocano un certo grado di disturbo. Nel caso dell’Umbria la conversione ad alto fusto e nelle Marche il processo di invecchiamento a cui il bosco è soggetto possono esserne le cause. Dal punto di vista metodologico, bisogna sottolineare come la pratica di campionamento per profondità fisse, piuttosto diffusa anche in programmi internazionali di monitoraggio (ICP-Forests, 1994), non sempre risulta idonea agli studi di ecologia forestale, principalmente perché si può incorrere nella mancata sovrapposizione con gli orizzonti pedologici. Infatti i due siti studiati, con la stessa copertura vegetale a Quercus cerris, sono risultati all’analisi geo-pedologica differenti per alcuni fattori quali la morfologia, il substrato, l’esposizione e la pendenza (tabella 1); è inoltre emerso che le profondità prescelte per il campionamento non coincidono con quelle degli orizzonti individuati dal profilo pedologico. Non si può pertanto escludere un effetto di “diluizione” del campione tra i diversi orizzonti. Soprattutto lo studio della sostanza organica e della biomassa microbica potrebbero risentire di un tale effetto. 214 Miciulla et al. Bibliografia ALIANELLO F., RIPA C., FERRARI C., MARCHI G., MOSCATELLI C., MARINARI S. (1997). Profili enzimatici in suoli forestali a Quercus cerris. Atti XIV Convegno Nazionale della Società Italiana di Chimica Agraria, Patron Editore, Bologna, 35-42. ANDERSON J.P.E., DOMSCH K.H. (1978). A physiological method for quantitative measurement of microbial biomass in soil. Soil Biol. Biochem. 10, 215-221. ANDERSON T.H., DOMSCH K.H. (1990). Application of eco-physiological quotients (qCO2 and qD) on microbial biomass from soils of different cropping histories. Soil Biol. Biochem. 10, 251-255. BENEDETTI A. (1983). Fertilità biologica del terreno e concimi ad azoto lento. Annali dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante. Roma, XII 3, 1-14. BENEDETTI A., SEBASTIANI G. (1996). Determination of potentially mineralizable nitrogen in agicultural soil. Biol. Fertil. Soils 21, 114-120. BROOKES P.C. (1995) The use of microbial parameters in monitoring soil pollution by heavy metals. Biol. Fert. Soils, 19: 269-279. CURTIN D., CAMPBELL C.A., JALIL A.. (1998) Effect of acidity on minaralization: pH- dependence of organic matter mineralizazion in weakly acidic soils. Soil Biol. Biochem. 30, 57-64. Doran J.W., Parkin B., (1994). Defining and assessing soil quality. In: Doran J.W., Coleman D.C., Bezdicek D.F., Stewart B.A. (Eds.). Defining soil quality for a sustanable environment. SSA Special Publication n°35, pp 3-21. FAO (1990). Guidelines for soil profile description (third edition revised). Foof and Agriculture Organization of the United Nations. Soil Resources, Management and Conservation Service. Land and Water Development Division. Rome, Italy. INTERNATIONAL CO-OPERATIVE PROGRAMME ON ASSESSMENT AND MONITORING OF AIR POLLUTION EFFECTS ON FOREST (1994). Manual on methods and criteria for harmonized sampling, assessment, monitoring and analysis of air pollution on forests. Programme Coordinatin Centres Hamburg and Prague (Eds.), pp.35-67. ISERMAYER H.(1995). Estimation of soil respiration in closed jars. In: Methods in Applied Soil Microbiology and Biochemistry. (Alef K. and Nannipieri P., Eds) Academic Press, London, pp.214. KAMSHAKE L.J., HANNAH S.A., COMEN J.M. (1967). Automated analysis for nitrate by hydrazine reduction. Water Resour. 1, 205-216. KEENEY D.R., NELSON D.W. (1982). Nitrogen inorganic forms, In: Methods of soil analysis Part. 2 (Black C.A., Evans D.D., White J.L., Ensminger L.E., Clark F.E., Eds.). Agronomy 9, Am. Soc. Agron., Madison W.I., USA, pp. 682-687. RAICH J.W., SCHLESINGER W.H. (1992). The global carbon dioxide flux in soil respiration and its relationship to vegetation and climate. Tellus 44B, 81-99. STANFORD G., SMITH S.J. (1972). Nitrogen mineralization potentials of soils. Soil Sci. Soc. Am. Proc. 36, 465-472. VANCE E.D., BROOKES P.C., JENKINSON D.S. (1987). An extraction method for measuring microbial biomass C. Soil Biol. Biochem. 19, 703-707. WALL L., GEHRKE C.W., NEUNER J.E., LATHEY R.D., REXNORD P.R. (1975). Cereal protein nitrogen: evolution and comparation of four different methods. Assoc. Off. Anal. Chem .58, 811-817. WU J., JOERGENSEN R.G., POMMERENING B., CHAUSSOD R., BROOKES P.C. (1990). Measurement of soil microbial biomass C by fumigation-extraction - an automated procedure. Soil Biol. Biochem. 22. 215 INFLUENZA DEL DIVERSO USO DEL SUOLO SULL’IMPATTO AMBIENTALE E SULL’EVOLUZIONE DELLA FERTILITÀ IN UNA ZONA COLLINARE DEL CENTRO ITALIA Papini R., Panichi A, Bazzoffi P., Pellegrini S., Montagna G., Natarelli L. Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo Piazza D’Azeglio, 30 - 50121 Firenze Riassunto Si riportano risultati di una prova triennale sulle perdite di nutrienti per ruscellamento superficiale in 8 unità parcellari localizzate nella collina argillosa del Volterrano, ove si sono messe a confronto 4 tesi: Cereale (orzo e frumento), Fresato continuo, Erba medica e Set aside con arbusti pascolabili (Atriplex halimus L). Per ogni evento di deflusso sono stati determinati: i nitrati e il fosforo solubile nelle acque; l’azoto totale, il fosforo totale ed il fosforo biodisponibile nei sedimenti. All’inizio ed alla fine della prova sono stati determinati negli strati 0-20 e 20-40 cm il contenuto di sostanza organica e di azoto totale. Dai risultati della ricerca è emerso che l’Atriplex protegge molto bene il suolo dall’erosione e migliora le sue condizioni di fertilità chimica; l’erba medica, una volta impiantata, ha perdite vi di nutrienti per erosione molto basse che si innalzano al momento della rottura del prato, il suolo risulta comunque arricchito in azoto e sostanza organica alla fine del triennio. Il cerale ha elevate perdite di nutrienti per erosione nei mesi in cui lascia nudo il suolo, il terreno però non risulta impoverito in sostanza organica poiché la paglia viene interrata con l’aratura; la tesi a fresato continuo perde una elevata quantità di suolo a causa dell’intensa erosione, e in tre anni ciò causa una sensibile riduzione di sostanza organica nel terreno. In questa tesi inoltre, si hanno anche elevate perdite di nitrati nelle acque di ruscellamento, a causa degli intensi fenomeni di mineralizzazione della sostanza organica. Introduzione Nell’ultimo decennio la ricerca in agricoltura si è dovuta occupare spesso di ridurre l’impatto ambientale provocato dall’espandersi dell’agricoltura intensiva. Lo sfruttamento massiccio della risorsa suolo, abbinato all’impiego di elevate quantità di concimi e diserbanti, ha provocato fenomeAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 215-226 (2001) 216 Papini et al. ni di inquinamento a carico delle acque di falda (Borin, 1997), eutrofizzazione dei corsi d’acqua (Baker e Laflen, 1982) ed un costante peggioramento della qualità del suolo (Lal, 1997). In Italia in particolare si è assistito ad una continua diminuzione del contenuto in sostanza organica del suolo (Toderi, 1991). Tale diminuzione nelle zone collinari è spesso dovuta ad una intensificazione dei fenomeni erosivi, causata dall’abbandono delle tradizionali pratiche agrarie (De Simonie et al., 1995). E’ stato infatti ampiamente dimostrato che l’erosione riduce nel lungo periodo la produttività dei terreni agrari provocando una diminuzione del contenuto di sostanza organica ed un rilascio di nutrienti nell’ambiente (Ulèn, 1997, Choudhary et al., 1997). Allo scopo di quantificare l’impatto ambientale di diversi usi del suolo è stata condotta una ricerca nell’ambiente collinare del centro Italia, sull’influenza di diversi sistemi colturali sulle perdite di nutrienti per erosione e sulla evoluzione dei principali parametri chimici di fertilità del suolo. Materiali e metodi La prova sperimentale si è svolta dal ‘94 al ‘96 presso il Centro Sperimentale “S. Elisabetta” (Vicarello di Volterra - Pisa), su un suolo a tessitura argilloso-limosa classificato come Vertic Xerorthent, le cui principali caratteristiche chimico fisiche sono riportate in tabella 1. Il clima della zona è mesotermico, umido, mediterraneo, con temperatura media annua di 12,7°C, piovosità media annua di 678 mm e precipitazioni concentrate in autunno e primavera. Tabella 1 – Principali caratteristiche fisico-chimiche dello strato 0-40 cm del suolo Sabbia (0-0,02 mm) Limo (0,02-0,002 mm) Argilla (<0,002 mm) pH (H2O) S.O. CaCO3 attivo N totale P assimilabile P totale K2O 20 % 38 % 42 % 8,2 1,1 % 8,4 % 0,1 % 5,8 ppm 0,06 % 173,7 ppm Il disegno sperimentale era costituito da due blocchi randomizzati di 4 parcelle (75 x 15 m, pendenza 25%), isolate idraulicamente e attrezzate con unità elettroniche di misura e campionamento del deflusso superficiale (Bazzoffi P., 1993). Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia 217 Le tesi a confronto sono state le seguenti: 1-cereale (Hordeum vulgare L. nel ‘94 Triticum durum L. nel ‘95 e ‘96); 2-superfice nuda mantenuta in condizioni di letto di semina (fresato continuo); 3-arbusti pascolabili (Atriplex halimus L.) con trasemina iniziale di sulla (Hedysarum coronarium L.); 4-erba medica (Medicago sativa L.). Le parcelle a cereale sono state arate ogni estate con interramento delle stoppie, ed hanno ricevuto 350 kg ha-1 di fosfato biammonico alla semina e 100 kg ha-1 di nitrato ammonico in copertura; le parcelle fresate sono state tenute prive di vegetazione con frequenti lavorazioni; le parcelle ad Atriplex non sono state mai né arate né concimate; le parcelle di medica hanno ricevuto 300 kg di fosfato biammonico alla semina. Dato che lo schema agronomico prevedeva la rotazione grano-medica, le parcelle a medica sono state arate nell’agosto 1996 e seminate a grano nel successivo ottobre, mentre nelle parcelle a grano è stata seminata la medica. I campioni di torbida, raccolti per ogni evento che dava deflusso, sono stati conservati in bottiglie di vetro (da 1 litro) in frigorifero a 4°C fino al trasferimento in laboratorio. Sul campione tal quale è stato misurato il pH, mentre una aliquota (250 ml) è stata filtrata a 0,45 µm e congelata sino al momento dell’analisi. Il sedimento è stato ottenuto seccando in stufa a 40°C il rimanente campione. Sul campione tal quale di acqua sono stati determinati: i nitrati e gli ortofosfati solubili mediante reazione colororimetrica utilizzando un Autoanalyzer II Techincon. Quest’ultima è avvenuta per i nitrati mediante riduzione a nitriti su colonna di cadmio ramato e successiva reazione con sulfanamide (Keeney e Nelson, 1982) e per il fosforo tramite reazione con il blu fosfomolibdico (Murphy e Riley, 1962). Nei campioni di sedimento sono stati determinati: l’azoto totale Kjeldhal; il fosforo totale previa digestione in forno a microonde con acido solforico concentrato e perossido di idrogeno ed il fosforo potenzialmente biodisponibile con estrazione in soluzione di soda 0,1M (Dorich et al., 1985; Sharpley et al., 1991). La determinazione delle concentrazioni di fosforo nelle varie forme è stata ottenuta con la metodica già descritta per il fosforo solubile. Su campioni di terreno prelevati a 0-20 cm e 20-40 cm all’ini- 218 Papini et al. zio della prova (ottobre ’93) ed alla fine della stessa (ottobre ’96), seccati all’aria e setacciati per ottenere la frazione <2mm, sono stati eterminati il contenuto di sostanza organica, secondo il metodo Walkley-Black e l’azoto totale Kjeldhal, (Gazzetta Ufficiale 21/10/1999). L’elaborazione riguardanti le perdite di nutrienti con i deflussi, è stata effettuata mediante analisi della varianza in uno schema fattoriale 4 x 3, su due blocchi randomizzati, ove il primo fattore è costituito dalle tesi, mentre il secondo è costituito dagli anni (Cochran e Cox,1968). I contenuti di azoto e sostanza organica misurati nel 1993 e nel 1996 in ogni sistema culturale sono stati testati statisticamente con il t di student, e nel grafico sono state riportate le variazioni percentuali fra i contenuti di azoto e sostanza organica dell’anno iniziale e di quello finale. Risultati e discussione Andamento della piovosità- L’ammontare totale della pioggia è stato di 668, 691 e 1030 mm rispettivamente nei tre anni. Le prime due annate sono state caratterizzate da una piovosità che non si discosta di molto dalla piovosità media della zona, mentre nel terzo anno la quantità di pioggia caduta è stata nettamente superiore. Osservando la distribuzione mensile della piovosità (Figura 1), si può notare come, in tutti gli anni, i mesi più piovosi risultino aprile, maggio, settembre ed novembre. Figura 1- Andamento mensile della piovosità nel triennio 1994-1996. 1994 pioggia (mm) 200 1995 1996 150 100 50 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 mesi Perdite di nutrienti con i deflussi. - I sistemi colturali messi a confronto si sono differenziati in modo significativo sia per il deflusso e l’erosione, che per le quantità nutrienti asportati con le acque ed i sedimenti Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia 219 (Tabella 2). In particolare il sistema più soggetto all’erosione risulta, come era prevedibile, il fresato continuo che, fatta eccezione per il fosforo solubile, presenta le maggiori perdite di nutrienti, seguito dal cereale, che evidenzia a sua volta le perdite più elevate di fosforo solubile. L’erba medica ha un comportamento intermedio per quanto riguarda le perdite di elementi solubili, mentre non si differenzia statisticamente dal cerale per le asportazioni di nutrienti con i sedimenti. L’Atriplex presenta perdite di gran lunga inferiori a tutte le altre tesi, sia di elementi solubili che particolati. Anche fra le tre annate si evidenzia una variabilità significativa, in particolare nel il 1995 si hanno le minori perdite di nutrienti, a causa della scarsa erosività degli eventi piovosi, messa in rilievo dalla bassa quantità di materiale eroso rispetto ad i m3 di acqua defluita. Nel 1996 invece la maggiore piovosità ha provocato elevate quantità deflusso e di erosione provocando un incremento delle perdite di nutrienti sia solubili che particolati. Tabella 2- Analisi della varianza e test di Duncan dei deflussi e dei nutrienti asportati dai quattro sistemi colturali nel triennio di sperimentazione. Blocchi Sistemi (S) Anni (A) SxA Sistemi Cereale Fresato Atriplex Medica Anni 1994 1995 1996 Deflusso m3 ha-1 ns *** *** * Erosione t ha-1 ns *** *** *** N-NO3kg ha-1 Ns *** *** *** P sol kg ha-1 ns ** * ** N kg ha-1 ns *** *** *** P tot kg ha-1 ns *** *** *** P bio kg ha-1 ns *** *** *** 1132 b 1432 a 605 c 1188 b 14,8 b 47,9 a 0,8 c 11,9 b 10,6 b 14,0 a 0,10 d 5,7 c 0,27 a 0,0 1 c 0,02 c 0,06 b 19,1 b 53,8 a 2,0 c 15,4 b 13,5 b 27, 4 a 0,7 c 10,8 b 0,52 b 1,01 a 0,0 3 c 0,32 b 482 b 667 b 2737 a 8,8 b 1,8 c 46,0 a 7,6 b 4,4 c 10,9 a 0,06 b 0,01 b 0,20 a 9,6 b 2,4 c 55,7 a 7,2 b 1,3 c 30,8 a 0,14 b 0,0 4 b 1,23 a Se esaminiamo le perdite dei nutrienti nei quattro sistemi colturali anno per anno (Figura 2), viene messo in evidenza come per quanto riguarda gli elementi solubili, che sono i più importanti per la valutazione dell’impatto ambientale delle diverse pratiche agricole, le diverse quantità asportate, non dipendano tanto dalla quantità di acqua defluita, quanto dalla concentrazione nelle acque del nutriente. Per i nitrati infatti nel cereale e nel fresato si hanno sempre le perdite più elevate in quanto maggiore è in tutti e tre gli anni la concentrazione media ponderata del N-NO3- nelle acque di deflusso (tab. 3). La medica invece presenta perdite di nitrati alte soltanto il primo anno, quando le acque hanno una elevata concentrazione di N-NO3- cau- 220 Papini et al. sata dal rilascio dell’azoto apportato con la concimazione di impianto non prontamente utilizzato dalle piante le quali, come rilevato dal grado di copertura del suolo (Bazzoffi et al., 1994), hanno un lento sviluppo iniziale. Irrisorie risultano le perdite dell’Atriplex, che a bassi deflussi ha unito anche modeste concentrazioni di nitrati nelle acque. Tabella 3 – Concentrazione media ponderata dei nutrienti nelle acque e nei sedimenti. N-NO3(mg kg-1) Anno P sol (mg kg-1) N (%) P tot (mg kg-1) P bio (mg kg-1) 1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996 Cereale 18,1 13,5 6,6 Fresato 20,5 11,5 8,1 Atriplex 0,5 0,3 0,1 Medica 15,1 2,7 0,8 0,18 0,01 0,04 0,17 0,02 0,01 0,03 0,01 0,29 0,01 0,04 0,01 0,12 0,11 0,12 0,11 0,13 0,12 0,35 0,15 0,13 0,11 0,31 0,15 866 726 809 893 722 642 924 873 940 560 880 960 19 13 17 16 22 16 26 14 39 20 56 37 Le elevate perdite di nitrati che si evidenziano nel fresato, dove non c’e mai apporto di fertilizzante, mettono in rilievo come sia elevata nell’ambiente in cui ci troviamo ad operare la produzione di nitrati in seguito a processi di ossidazione della sostanza organica, soprattutto nel periodo estivo. Infatti sia nelle parcelle a fresato che in quelle a cereale è stato messo in evidenza un notevole aumento della concentrazione dei nitrati nel suolo a partire dal mese di luglio, quando anche il terreno a cereale rimane privo di copertura vegetale; questo causa concentrazioni di N-NO3- molto elevate nelle acque di ruscellamento dei primi deflussi autunnali (Papini et al., 1996, Papini et al., 1999). Una elevata concentrazione di nitrati nelle acque provenienti da terreno nudo in autunno viene messa in evidenza da vari autori: Archer e Thompson (1993) rilevano come il picco della concentrazione dei nitrati nelle acque dei fiumi si verifichi all’inizio dell’autunno quando arrivano ai campi le prime acque di scorrimento superficiale, Goss et al. (1988) riscontrano perdite molto consistenti di nitrati per lisciviazione durante il periodo autunno invernale in seguito alla decomposizione dei residui colturali di orzo e frumento. Va inoltre rilevato come nel fresato e nel cerale nel 1994 e ’95 la concentrazione media dei nitrati sia superiore al valore consigliato come massimo per le acque potabili (11,3 mg kg-1 di N-NO3-) dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Le perdite fosforo solubile risultano influenzate dalla concimazione e dalla concomitanza di piogge in vicinanza dell’evento fertilizzante, in quanto, a causa dell’elevata quantità di CaCO3 attivo presente in questi suoli, il fosforo aggiunto con la concimazioni viene rapidamente trasforma- Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia 221 to in forme meno solubili. Sia nel fresato che nell’Atriplex infatti (Figura 2), si hanno perdite trascurabili in tutte e tre le annate, unitamente a concentrazioni medie ponderate di fosforo solubile molto basse (tabella 3); l’erba medica evidenzia perdite elevate solo nel primo anno, in cui viene concimata; il cereale presenta perdite molto elevaste nel ’96 in concomitanza con un elevato numero di eventi di deflusso a poca distanza dalla concimazione. In questi casi, sia nella medica che nel cereale, anche le concentrazioni medie ponderate di fosforo solubile nelle acque di deflusso sono elevate (tabella 3) e di gran lunga superiori alla quantità di 0,03 mg kg-1 considerata sufficiente per dare inizio ai fenomeni di eutrofizzazione (OXE). Deflusso 5000 3000 2000 t ha-1 CEREALE LAVORATO ATRIPLEX MEDICA 4000 m3 ha-1 Erosione 1000 0 1994 30 1996 kg ha-1 20 15 10 5 0 1994 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0.0 1995 1996 1994 3.0 P solubile 1995 1996 Azoto 160 140 120 100 80 60 40 20 0 1995 1996 P biodisponibile 2.5 kg ha-1 g ha-1 1994 N-NO3- 25 kgha-1 1995 140 120 100 80 60 40 20 0 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0 1994 1995 1996 1994 1995 1996 Figura 2 -Andamento dei deflussi e dell' erosione; perdite di nitrati, fosforo solubile, azoto totale e fosforo biodisponibile dei quattro sistemi colturali, nei singoli anni. Le perdite di elementi con i sedimenti risultano, contrariamente a quanto visto per gli elementi solubili, strettamente connesse alla quantità di materiale solido asportato (Figura 2), in quanto si riscontra una minore variabilità nella composizione chimica dei sedimenti (tabella 3). In particolare la tesi a fresato evidenzia perdite sia di sia di azoto che di fosforo totale (non riportato in tabella perché presenta gli stessi andamenti dell’azoto to- 222 Papini et al. tale) simili al cereale nel ’94 e ’95, mentre nel ’96 ha perdite tre volte superiori. Ciò è dovuta al fatto che le parcelle a fresato risultano altamente vulnerabili all’erosione in tutti i mesi dell’anno, mentre quelle a cereale sono protette dall’erosione nei mesi in cui si ha una buona copertura del suolo (Bazzoffi et al., 1997). Nella medica è da rilevare come le predite piuttosto elevate riscontrate nel ’96 siano da attribuire alla rottura del prato, avvenuta nel mese di agosto, che ha reso le parcelle più suscettibili all’erosione nel periodo autunnale. Inoltre i sedimenti provenienti dalle parcelle dove per tre anni è stata presente l’erba medica, risultano più ricchi di elementi di fertilità (tabella 3). I sedimenti provenienti dall’Atriplex nel’95 e ’96 risultano avere una concentrazione i azoto totale molto elevata e ciò è dovuto alla presenza di materiale vegetale. Il fosforo biodisponibile, che dovrebbe fornire una stima della velocità con cui le alghe sono in grado di prelevare fosforo dai sedimenti, rappresentata nella maggior parte dei casi una frazione piuttosto costante del P totale (2 % c.a.), anche se nel terzo anno della prova si osserva un aumento della sua concentrazione nel cereale, nell’Atriplex e nell’erba medica, attribuibili ad un aumento della frazione organica presente nel sedimento di queste ultime due tesi, ed ad un maggiore asportazione di fosforo derivante dalla fertilizzazione nel cereale, messa in evidenza anche dall’elevata asportazione di fosforo solubile. L’efficacia protettiva nei confronti delle perdite per erosione e dei nutrienti ad essa associati della copertura vegetale sia naturale che mediante arbusti pascolabile è stata messa in rilevo in ambiente mediterraneo sia da De Simone et al., (1995) che da Andrieu et al., (1995). Nel primo caso infatti un confronto fra un suolo incolto ed un pascolo naturale, aveva evidenziato una riduzione molto elevata (da 20 a 40 volte) delle perdite sia di materiale organico che di nutrienti azotati con il pascolo naturale; nel secondo caso invece un confronto fra inerbimento naturale, arbusti pascolabili e suolo nudo aveva messo in rilievo la capacità degli arbusti pascolabili di ridurre in modo cospicuo le perdite per erosione avute dal suolo nudo, che era risultato molto vulnerabile. L’efficacia dei prati coltivati nel ridurre i nutrienti persi con l’erosione rispetto alla coltivazione di un cereale è stata messa in rilievo anche da Sharpley e Smith, (1995); dalla stessa prova è emerso, come da noi riscontrato con la medica, l’incremento che queste perdite subiscono al momento in cui il cui il prato viene arato. Fertilità del suolo. I diversi usi del suolo hanno avuto ripercussioni diverse sul contenuto di azoto e sostanza organica delle diverse parcel- Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia 223 le dopo un triennio, sia per quanto ha riguardato lo strato 0-20 che in quello 20-40 cm. Nel cereale il contenuto, sia di azoto che di sostanza organica, ha evidenziato un leggero aumento, non significativo dovuto alla pratica dell’interramento delle stoppie momento dell’aratura (Addiscott e Dexter, 1994). Nelle parcelle a fresato, si ha un leggero aumento del contenuto in azoto totale, ed una diminuzione, anche se non significativa del contenuto in sostanza organica sia nello strato 0-20 che in quello 20-40 cm. Azoto 1994 1996 140 20-40 cm 0-20 cm variazione (%) a a a 120 a a a a b a a b 100 a a b a b 80 Cerale Fresato Atriplex Medica Cerale Fresato Atriplex Medica Sostanza organica 1994 140 variazione (%) 1996 0-20 cm 20-40 cm a 120 a a 100 a a a a b b a a a a a a a 80 Cerale Fresato Atriplex Medica Cerale Fresato Atriplex Medica Rapporto C/N 1994 20 1996 0-20 cm 20-40 cm 15 % 10 5 0 Cerale Fresato Atriplex Medica Cerale Fresato Atriplex Medica Figura 3- Variazione percentuale del contenuto di Azoto e Sostanza organica e modificazine del rapporto C/N, fra l'anno iniziale e quello finale della prova,negli strati 0-20 e 20-40 cm. 224 Papini et al. Tale diminuzione è senz’altro da imputare alla perdita di materiale fine che si ha con gli intensi fenomeni erosivi ed ai processi di mineralizzazione della sostanza organica che, come dimostrato dalla elevata produzione di nitrati (Papini et al., 1998), sono molto intensi; questa diminuzione si ritrova anche nello strato 20-40 cm in quanto queste parcelle sono state arate tutti gli anni contemporaneamente a quelle a cerale e quindi si è avuto un continuo rimescolamento dei due strati. Un aumento significativo del contenuto di azoto in entrambi gli strati si ha sia nell’erba medica (23%) che nell’Atriplex (14%). Per quanto riguarda la sostanza organica nell’Atriplex si ha un grosso incremento (15 %), nello strato 0-20 cm e nessuna modifica nello strato 20-40; nell’erba medica invece, si hanno incrementi più moderati (8% circa), ma ugualmente significativi ad ambedue le profondità. Ciò può essere stato provocato anche dall’aratura che si è avuto ad agosto al momento della rottura del prato di erba medica. Come conseguenza di quanto commentato fino ad ora, il rapporto C/N si è mantenuto costante nel cereale ad entrambi le profondità, a nei primi 0-20 cm dell’Atriplex, è invece diminuito, se pur in modo diverso, in tutte le alte tesi, mettendo in rilievo un sistema in cui la sostanza organica si accumula con maggiore difficoltà dell’azoto. Questo fenomeno è tipico del clima mediterraneo e conferma la necessità di mettere in atto tutti li interventi colturali volti ad aumentare il contenuto si sostanza organica del suolo. Conclusioni Fra le tesi messe a confronto sicuramente l’Atriplex è risultata quella con il minor impatto ambientale, in quanto protegge molto bene il suolo dall’erosione e migliora le sue condizioni di fertilità chimica. L’erba medica ha elevate perdite di nutrienti sia solubili che particolati nell’anno di impianto, negli anni successivi le perdite di nutrienti solubili sono sempre molto basse, mentre un aumento delle perdite di azoto e fosforo con i sedimenti si ha al momento della rottura del prato; la medica comunque nel triennio arricchisce il suolo in N e sostanza organica. Il cereale presenta elevate perdite di nutrienti per erosione nei mesi in cui lascia nudo il suolo, in particolare alte risultano le concentrazioni di nitrati nelle acque di deflusso, e, nel terzo anno, anche la concentrazione di fosforo solubile; il terreno nel triennio non è impoverito in sostanza organica, poiché la paglia viene interrata con l’aratura. Nella tesi a fresato si hanno le maggiori perdite di azoto e fosforo con i sedimenti a causa della grande quantità di suolo allontanato per Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una zona collinare del Centro Italia 225 erosione; l’intensa mineralizzazione della sostanza organica causa inoltre anche le più alte perdite di nitrati con le acque di ruscellamento. Si assiste nel triennio ad una sensibile riduzione di sostanza organica nel terreno. Questi risultati confermano l’elevato impatto ambientale nell’ambiente mediterraneo delle pratiche agricole che lasciano nudo il suolo in periodi di elevata piovosità e che stimolano la mineralizzazione della sostanza organica, che risulta in questo clima molto elevata. L’inserimento nella gestione del territorio collinare di prati o arbusti pascolabili può essere considerata una valida alternativa alla monocoltura ed al set aside non coltivato. Note Contributi : Papini R.: Impostazione della ricerca per gli aspetti chimici e della metodologia di analisi, analisi statistica, stesura principale del testo. Panichi A.: Contributo alle analisi chimiche e alla stesura del testo. Bazzoffi P.: Impostazione generale della ricerca, sviluppo delle strumentazioni e dei softwares, rilievo ed elaborazione dei dati idrologici,. Pellegrini S.: Gestione della ricerca in campo rilievo ed elaborazione dei dati idrologici. Brandi G.: Campionamento e analisi chimiche. Montagna G.: Campionamento e analisi chimiche. Ricerca nell’ambito del Progetto finalizzato PANDA, Sottoprogetto 2, Serie 2, Pubblicazione n° 97. Bibliografia ADDISCOTT T.M., DEXTER A.R., (1994), Tillage and crop residues management on losses of chemicals from soils. Soil & Tillage Research, 30, 125-168. ANDRIEU V., RUBIO J.L., CERNI, R., (1995) Effect of Mediterranean shrub on water erosion control. Environmental Monitoring and Assessment, 37, 5-15. ARCHER J., THOMPSON D., (1993), Background to the nitrate problem in UK, In: Solving the nitrate problem, MAFF Pubb., London, 3-6. BAKER J.L., LAFLEN J.M. (1982). Effects of corn residue and fertilizer management on soluble nutrient runoff losses. TRANSACTIONS of the ASAE, 25, 344-348. BAZZOFFI P. (1993). Fagna-type Hydrological unit for runoff measurement and sampling on experimental plots. Soil Technology, 6, 251-259. BAZZOFFI P., PELLEGRINI S., PAPINI R., SCAGNOZZI A., (1997) Erosione e deflussi a scala parcellare e di bacino in suoli argillosi a diversa utilizzazione nella Val d’Era. Agricoltura Ricerca, 170, 21-31. BORIN M. (1997). Effects of agricultural practices on nitrate concentration in groundwater in north east Italy. Ital. J. Agron. 1, 1, 47-54. CHOUDARY M.A., LAL R. and DICK W.A. (1997). Long-term tillage effects on runoff and soil erosion under simulated runoff for a central Ohio soil. Soil & Tillage Research, 42, 175-184. DE SIMONE C., RAGLIONE M., FRANCIA V. and RINALDINI L. (1995). Influenza dell’uso del suolo sull’erosione in aree collinari. Riv. Di Agron., 29, 3 Suppl.: 398-402. DORICH R.A., NELSON D.W., SOMMERS L.E., (1985). Estimating algal available phosphorus in suspended sediments by chemical extraction. Journal of Environmental Quality, 14, n.3, pp. 400-405. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Supplemento al n° 248 del 21-10-1999. Decreto Ministeriale 13 settembre 226 Papini et al. 1999: Approvazione dei “Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo”. GOSS M.J., COLBOURNE P., HARRIS G.L., HOWSE K.R., (1988), Leaching of nitrogen under autumn-sown crops and the effects of tillage, In: Nitrogen Efficiency in Agricultural Soils, Eds. Jenkinson D.S. & Smith K.A., Elsevier, New York, USA, 269-282. KEENEY D.R., NELSON D.W., (1982), Nitrogen-inorganic forms, In: Methods of Soil Analysis, Part 2, ed. A.L., Madison, WI: ASA, 643-698. LAL R. (1997). Long-term tillage and maize monoculture effects on a tropical Alfisol in western Nigeria. II. Soil chemical properties. Soil & Tillage Research, 42, 161-174. MURPHY J. and J.P. RILEY, (1962) A modified single solution method for determination of phosphorus in nature waters. Anal. Chim. Acta 27:31-36. PAPINI R., BAZZOFFI P., SCAGNOZZI A., PELLEGRINI S., BRANDI G., MONTAGNA G,. 1996. Effetto delle colture e della concimazione sulla dinamica dei nitrati nel suolo e nelle acque di deflusso superficiale. In : “Atti XIII Convegno Nazionale della Società Italiana di Chimica Agraria” Pàtron Editore, Bologna, 161-169. PAPINI R., PANICHI A., BAZZOFFI P., PELLEGRINI S., BRANDI G. (1999) Influence of soil use on nitrate losses by erosion and leaching in a hilly clayey Mediterranean area. 6th International Meeting on Soils with Mediterranean Type of Climate. Extended Abstract Ed. J. Bech , 4-9 July 1999 Barcellona (Spain), 1026-1028. SHARPLEY A.N., SMITH S.J., (1994). Wheat tillage and water quality in the Southern Plains. Soil & Tillage Research, 30, 33-48. ULÉN B. (1997). Nutrient losses by surface run-off from soils with winter crops and spring-ploughed soil in the South of Sweden. Soil & Tillage Research, 44, 165-177. TORERI G. (1991). Problemi conservativi del suolo in Italia. In: Agricoltura ed ambiente, Edagricole, Bologna. 227 DINAMICA DEL CADMIO NEL SISTEMA SUOLOPIANTA IN UN TERRENO INOCULATO CON MICORRIZE SELEZIONATE: ESPERIENZA SU ORZO COLTIVATO IN VASCHE LISIMETRICHE Pennelli B., Rossi G., Giacomi V., Figliolia A. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Roma. Sommario E’ stato valutato l’effetto dell’inquinamento da Cadmio su piante d’orzo, coltivate in vasche lisimetriche, in termini di produzione, capacità di trasporto e traslocazione dell’inquinante nelle porzioni vegetali, fattore di trasferimento suolo-pianta e percentuale d’asportazione, nonché influenza sulla biomassa microbica del terreno. Prima della semina il terreno è stato inquinato con tre dosi crescenti di Cd (solfato); all’atto della semina, metà dei semi sono stati inoculati con due endofiti micorrizici. Al termine della prova sono state condotte le seguenti determinazioni: concentrazioni totali di Cd in suolo, radici, fusti e granella; C della biomassa microbica, attività respirometrica e quoziente metabolico q(CO2). L’analisi statistica ha rivelato, in primo luogo, che le concentrazioni di Cd di suolo, radici, fusto e granella, nelle singole tesi, presentano un andamento decrescente, ma non sono confrontabili per l’eccessiva deviazione standard. In secondo luogo, il confronto tra i trattamenti, per concentrazioni di Cd in suolo, radici, fusto e granella, presi singolarmente, ha rivelato accumuli significativi di Cd in suolo, radici e fusto, solo alla dose massima. Le regressioni lineari tra le concentrazioni di Cd nel suolo e nei vegetali degli stessi campionamenti, condotte a prescindere dal grado di inquinamento, danno risultati significativi all’1 e 0.1%, indipendentemente dalla micorrizazione. Il C della biomassa microbica diminuisce sensibilmente nelle tesi a maggiore inquinamento mentre il quoziente metabolico rimane pressoché invariato tra i trattamenti. Si ipotizza che l’inquinante, pur provocando una diminuzione della dimensione di popolazione alla dose massima, non abbia generato fenomeni di alterazione metabolica nei ceppi resistenti. Introduzione L’attenzione rivolta nel corso degli anni recenti al problema dell’inquinamento da Cadmio, deriva dal fatto che questo elemento è tra i metalli maggiormente tossici per l’uomo insieme a Pb e Hg (McBride 1998). Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 227-236 (2001) 228 Pennelli et al. Il Cd entra nell’ambiente a seguito di attività naturali ed antropiche. La pericolosità delle forme provenienti dal secondo gruppo di processi, sta nella forte instabilità dei composti rilasciati; da ciò deriva la maggiore mobilità e biodisponibilità rispetto alle forme di origine naturale (Naidu et al., 1997). Studi condotti sugli ecosistemi acquatici escludono che il Cd dia luogo a magnificazione biologica (Burgatsacaze et al., 1996) e se per questi ambienti, a tutt’oggi, non c’è evidenza di pericolo, in ambiente emerso si configura certamente una situazione di rischio. La contaminazione della catena alimentare, ad esempio, è direttamente correlata all’inquinamento ambientale; ciò è stato dimostrato per gli allevamenti zootecnici (Burgatsacaze et al., 1996) in cui si verificano accumuli di Cd specialmente in fegato e reni del bestiame. In agricoltura, poi, i problemi riguardano l’insorgenza di fenomeni di fitotossicità a carico dello scambio idrico, gassoso e della nutrizione minerale (Vassilev et al., 1998), oltre naturalmente alla contaminazione delle porzioni edibili delle piante. Numerosi autori sottolineano che la tossicità del Cd su varie colture commerciali interessa specialmente l’apparato radicale (Seregin & Ivanov, 1998) e l’affinità chimica del Cd allo Zinco (configurazione elettronica) sembra essere uno dei fattori che influenzano il trasferimento nel vegetale, per l’insorgenza di fenomeni di vicarianza tra i due elementi (Herren & Feller, 1997). E’ fondamentale far presente comunque che la comparsa dei sintomi di fitotossicità avviene a concentrazioni che per l’uomo sono già oltre i limiti di sicurezza per i cibi (Herren & Feller, 1997) e che per l’uomo l’assunzione di Cd può essere causa di patologie come disfunzioni renali ed osteomalacìa (Burgatsacaze et al., 1996). A tale proposito è da menzionare la questione riguardante i limiti di Cd, come degli altri metalli pesanti, negli ammendanti (fanghi di depurazione, principalmente) e nei terreni agricoli; rappresentando questi delle potenziali, consistenti, vie d’ingresso del metallo nella catena alimentare. Il dibattito si articola fra chi opta per stabilire i limiti di inquinamento basandosi sui contenuti totali dei metalli pesanti e fra chi propende per le frazioni di inquinante effettivamente assimilabili dalle colture. La prima posizione trova giustificazione dal fatto che le quote assimilabili sono passibili di variazioni, al mutare delle condizioni del terreno nel tempo (Mench, 1998); per di più, esiste la reale difficoltà di accordarsi su metodi ufficiali di analisi che siano applicabili ed attendibili, allo stesso modo, sul territorio. Dall’altra parte vi è la consapevolezza che, ponendo i limiti sul solo quantitativo totale, si escluderebbero dall’utilizzo agricolo terreni e biomasse di ri- Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche 229 ciclo, nei casi, non rari, in cui sussistano alti tenori di metalli pesanti, in forma totale, ma a bassa biodisponibilità. Il presente lavoro si pone come obiettivo di valutare l’entità e la modalità del trasferimento del cadmio in piante di orzo, a diversi gradi di inquinamento, con e senza micorrize. A tal fine sono stati analizzati gli effetti sul raccolto, l’accumulo dell’inquinante nei tessuti vegetali e la percentuale d’asportazione. Inoltre per evidenziare fenomeni di alterazione del comparto microbico del suolo, sono stati esaminati eventuali variazioni del C-biomassa e del quoziente metabolico (Brookes P.C., 1995 e Grego et al., 1996). Nella prova si è fatto riferimento ai quantitativi totali di Cd, per valutare se il parametro, da solo, è sufficiente a descrivere le relazioni inquinante-pianta. Materiali e metodi L’esperienza è stata condotta in vasche lisimetriche da 1 m3 coltivate ad orzo (Hordeum vulgare L., cv Robur). Sul terreno utilizzato sono state determinate le principali caratteristiche chimico fisiche, secondo i metodi ufficiali (MiRAAF 1994) e la dotazione naturale di metalli pesanti (Tab. 1). Tab. 1. Caratteristiche chimico-fisiche del terreno ad inizio prova. Chimico-fisiche pH 6.7 CSC, meq/100 g 30.05 TOC % 0.25 N tot Tracce P (Olsen) mg/kg 20 Granulometria % Sabbia 51.4 Limo 30.4 Argilla Tessitura Conducibilità mS 18.2 Franco 0.37 Metalli pesanti (totali) Cadmio Piombo Nickel Zinco Rame ppm 0.8 85 21 59 43 Limiti e val. medio* (ppm) 0.5-1.7 (0.6) 2-100 (18) 3-120 (50) 10-300 (110) 5-100 (50) *I limiti ed i valori medi riportati sono quelli indicati per i terreni agrari non inquinati, legge 748/84, gruppo di lavoro "Metalli Pesanti". Prima della coltivazione, il suolo è stato inquinato con Cd sottoforma di solfato, a 0, 1, 10 e 100 ppm (trattamenti C, 1, 2 e 3, rispettivamente). Il suolo quindi, è stato lasciato a riposo, esposto all’azione degli agenti atmosferici, per tre mesi, in modo da uniformare il più possibile la dis- 230 Pennelli et al. tribuzione dell’inquinante. Al momento della semina (circa 400 semi / m2 e, in seguito, concimazione con 10 g di urea / m2) metà delle repliche di ogni tesi sono state inoculate con 70 spore / seme, ugualmente ripartite tra gli endofiti micorrizici G. constrictum e G. mosseae. E’ stato ottenuto un disegno sperimentale di 8 trattamenti (4 fattori e 2 livelli): micorrizati C+, 1+, 2+, 3+ e non micorrizati C-, 1-, 2- e 3-. Disponendo di 32 vasche, ogni trattamento è stato ripetuto su quattro di esse. A fine coltura, sono stati prelevati campioni di suolo e piante da ogni vasca, complessivamente 4 campioni a trattamento, e sono state ottenute le concentrazioni di Cd del suolo, in forma totale, per digestione nitroperclorica nel rapporto 2.5:1, a 140 °C per circa 20 ore. Le concentrazioni di Cd nelle piante (radici, granella e fusto) sono state ottenute per digestione in acido nitrico concentrato a 140°C per circa 2 ore. Le letture sugli estratti di suolo e vegetali sono state eseguite mediante spettrometria al plasma (ICP). Sui campioni di suolo inquinati, prima della semina dell’orzo, e su quelli prelevati dopo la raccolta, sono stati determinati inoltre i seguenti parametri biochimici: carbonio della biomassa (C-biomassa), mediante fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987), respirazione del terreno, come CO2 emessa, utilizzando un metodo titrimetrico (Badalucco et al., 1992) e il relativo quoziente metabolico q(CO2) (Anderson & Domsch, 1990). I valori della produzione vegetale e delle concentrazioni di Cd nel suolo e nei vegetali sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) e dell’MDS; sugli ultimi si sono effettuate anche analisi di regressione lineare e della varianza associata. Sono stati calcolati altresì il fattore di trasferimento suolo-pianta, e la percentuale di asportazione da parte della coltura. I dati relativi alle determinazioni del carbonio della biomassa microbica e del quoziente metabolico sono stati sottoposti al calcolo delle minime differenze significative (MDS) per P≤0.05. Risultati e discussione La percentuale di micorrizazione (dati non pubblicati), ha mostrato un rapporto di inversa proporzionalità con il quantitativo di cadmio apportato al suolo; è ipotizzabile un effetto tossico dose-dipendente sui funghi simbionti. I dati relativi alla produzione (non pubblicati), peso secco delle Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche 231 parti aeree, non hanno evidenziato alcuna differenza significativa tra le tesi; si presume da questo, che l’inquinamento da Cadmio e la micorrizazione, nelle condizioni sperimentali impostate, non siano stati discriminanti sulla produzione di biomassa vegetale (Anova: F=1.28 per 7/24 gradi di libertà, N.S.). Dai contenuti medi di Cd del suolo e dei vegetali, riportati in Fig. 1, risulta soltanto la chiara diminuzione della concentrazione d’inquinante, dal terreno alla granella, per ogni tipo di trattamento. L’eccessiva deviazione standard dei valori medi non ha consentito, in questo caso, di accertare una significatività tra i livelli di micorrizazione e tra le sezioni vegetali delle piante, nell’ambito dei singoli trattamenti. Fig. 1. Sono riportati i valori delle concentrazioni di Cd rilevate nel suolo e nelle sezioni vegetali per ogni trattamento 110,30 Distribuzione del Cd nei vegetali 120 79,48 100 60 3 0,06 0,04 0,67 2,76 0,00 0,00 0,02 1,14 0,00 0,00 0,02 0,34 terreno - 2 0,11 0,15 0,76 2,40 0,79 1,45 7,27 terreno + 0,01 1,08 4,39 0,82 1,34 6,16 20 24,63 40 1 30,13 C 0,03 0,31 4,43 ppm 80 fusto + fusto - granella + granella - 0 radici + radici - sezioni vegetali Al contrario, le concentrazioni di Cd in suolo, radici, fusto e granella prese singolarmente e confrontate tra trattamenti, hanno rivelato differenze significative allo 0,1% in suolo, radici e fusto (F = 12.06, 14.23 e 12.69 rispettivamente, per 7/24 gradi di libertà). Per la granella non sono state evidenziate differenze dovute ai trattamenti. In seguito, il calcolo delle minime differenze significative (P: 5%) ha permesso di stabilire che gli accumuli in suolo, radici e fusto, hanno luogo solo nei trattamenti 3+ e 3- (micorrizato e non micorrizato a 100 ppm di Cd). L’assenza di effetti sul comparto radicale, imputabili alla micorrizazione, trova conferma in precedenti lavori (Joner & Leyval, 1997). Il fattore di trasferimento (F), calcolato per ogni trattamento è rappresentato in Fig. 2. I risultati, ottenuti per rapporto tra le concentrazioni medie di Cd nelle piante e nel suolo, sembrano indicare che, ad eccezione 232 Pennelli et al. del trattamento 1-, il fattore di trasferimento decresce all’aumentare dell’inquinamento. Si nota nel trattamento 1+ il valore più alto in assoluto, seguono in ordine decrescente 2+, 2-, 3-, 1-, 3+ e i controlli. I valori ottenuti non oltrepassano lo 0.47, proposto per il Cd, in terreni non inquinati, dal Gruppo di Lavoro “Metalli Pesanti” operante nell’ambito della L. 748/84. Fig. 2. Fattore di trasferimento. Il valore di ogni colonna è dato dal rapporto tra le concentrazioni medie di Cd nelle piante e nel suolo. Fattore di trasferimento 0,4 0,35 0,3 mic non mic 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 C 1 10 100 Trattamenti (ppm Cd) Si è provveduto inoltre a verificare l’esistenza di relazioni lineari tra le concentrazioni di Cd delle sezioni vegetali di ogni singola pianta analizzata e le concentrazioni presenti nel terreno corrispondente al singolo campionamento. In questo caso è stato possibile non tenere conto dei diversi gradi di inquinamento, ma soltanto della distinzione tra piante micorrizate e no. E’ stata effettuata quindi l’analisi della varianza su tutte le rette di regressione, con risultati significativi all’1 e 0.1%. Come si nota dalla Fig. 3, per le piante micorrizate, la variabilità delle concentrazioni di Cd, in radici, fusto e granella è spiegata dalla relazione lineare con la concentrazione totale di Cd del suolo, al 99, 91 e 53% rispettivamente, a livelli di significatività, nell’ordine, di 0.1, 0.1 ed 1%. In Fig. 4, piante non micorrizate, la variabilità delle concentrazioni di Cd, in radici, fusto e granella è spiegata dalla relazione lineare con la concentrazione totale di Cd del suolo, al 99, 88 e 89% rispettivamente, a livelli di significatività sempre dello 0.1%. E’ evidente da questi risultati che, la concentrazione nel suolo di Cd, in forma totale, spiegando in modo accurato le concentrazioni nei vegetali, potrebbe essere utilizzata in modelli previsionali di accumulo in piante, in situazioni colturali simili. Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche 233 Fig. 3. Andamento delle concentrazioni di Cd, nei tessuti delle piante micorrizate, in relazione ai corrispondenti valori riscontrati nel suolo. Sono riportate le equazioni, l'R2 ed il livello di significatività. Relazioni Cd-vegetali / Cd-suolo (piante micorrizate) 45 40 Regr. Radici y = 0,2224x + 0,9312 35 radici fusto 2 R = 0,9856; P*** granella Cd nei tessuti vegetali (ppm) 30 Lineare (radici) Lineare (fusto) 25 Lineare (granella) 20 15 Regr. Fusto y = 0,0174x + 0,3363 10 2 R = 0,9127; P*** Regr. Granella y = 0,0119x - 0,0638 5 2 R = 0,5319; P** 0 -30 20 70 120 170 220 -5 Cd nel terreno (ppm) Fig. 4. Andamento delle concentrazioni di Cd, nei tessuti delle piante non micorrizate, in relazione ai corrispondenti valori riscontrati nel suolo. Sono riportate le equazioni, l'R2 ed il livello di significatività. Relazioni Cd-vegetali / Cd-suolo (piante non micorrizate) 40 Regr. Radici y = 0,3749x + 0,3859 35 R = 0,9911;P*** 2 Cd nei tessuti vegetali (ppm) 30 25 radici fusto granella Lineare (radici) Lineare (fusto) Lineare (granella) 20 15 Regr.Fusto y = 0,0354x + 0,0949 10 2 R = 0,8833;P*** 5 Regr. Granella y = 0,004x + 0,0001 2 R = 0,8854;P*** 0 0 20 40 60 Cd nel terreno (ppm) 80 100 120 234 Pennelli et al. Particolare attenzione inoltre va posta anzitutto ai trasferimenti nelle parti edibili, che se per le piante micorrizate sono spiegati al 53%, per le altre sono in relazione più stretta (89%) con il Cd del suolo in forma totale. E’ auspicabile, nell’immediato futuro, il trasferimento di questo metodo di indagine in situazioni di campo, su un più ampio range di colture e di suoli. La percentuale di asportazione, ottenuta dal rapporto tra contenuto di Cd nelle parti aeree e il peso secco delle stesse (Fig. 5), conferma la proporzionalità diretta tra accumulo nei vegetali e grado d’inquinamento. Al di là di verificare tale relazione, il parametro è stato preso in considerazione poiché utilizzato per identificare specie con caratteristiche di bioaccumulatori (Ow, 1996). Riguardo al Cd, si può parlare di fitoestrazione quando il valore della percentuale d’asportazione eccede lo 0.02; tale è la situazione nei trattamenti 2 e 3 della nostra prova. Il risultato, trattandosi di accumulo in piante edibili, ribadisce l’invito a porre attenzione sul trasferimento dell’inquinante nell’orzo. Fig. 5. Percentuale di asportazione del Cd nei trattamenti (valori medi). Il parametro è calcolato per rapporto del Cd nelle parti aeree, in peso, con la biomassa delle stesse. Percentuali di Cd rilevate nelle parti aeree (peso secco) 0,2 0,18 0,16 0,14 0,12 % 0,1 0,08 0,06 0,04 0,02 0 c+ c- 1+ 1- 2+ 2- 3+ 3- Trattamenti Al fine di evidenziare fenomeni di disturbo da Cd sul comparto microbico del suolo, sono state valutate eventuali variazioni a carico della biomassa microbica e del quoziente metabolico. I parametri in esame si riferiscono a tutte le tesi, relativamente ai periodi: pre-semina (dopo un mese dall’inquinamento e in assenza di micorrize) e post-raccolto. Nel primo periodo (Tab. 2) si evidenzia un significativo decremento del carbonio della biomassa solo in presenza della dose massima del metallo mentre il quoziente metabolico resta pressoché inalterato. Dal campionamento post-rac- Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche 235 colto, per il carbonio della biomassa, emergono decrementi significativi alle dosi massime di Cd, sia nelle tesi micorrizate (-24%) che in quelle non micorrizate (-20%); i valori dei quozienti metabolici non danno, invece, differenze significative a diverse concentrazioni di Cd. I risultati ottenuti suggeriscono l’esistenza di un effetto dose del metallo sulla dimensione della popolazione microbica ma non sulla sua attività; si evidenzia cioè una situazione di relativo equilibrio metabolico (Anderson, 1994). Questo fenomeno può trovare una plausibile spiegazione ipotizzando la presenza di una microflora nativa già adattata alla presenza di quantità relativamente elevate di Cd nel suolo (Tab. 1). In casi analoghi, riduzioni della biodiversità e sviluppo di ceppi resistenti sono già stati oggetto d’osservazione (Tyler, 1981). Tab. 2. Valori del carbonio (mg/kg) e del quoziente metabolico, q(CO2) (µg CCO2/µg BC*h-1) della biomassa microbica in: terreno inquinato, prima della semina e della micorrizazione (sopra) e a fine coltura (sotto). M.D.S. calcolati a livello di significatività del 5% (n = 6). Trattamento C 1 2 3 M.D.S. Trattamento C 1 2 3 M.D.S. C-biomassa Pre-semina inquinato 208+/-4.5 215+/-5 209+/-8.8 190+/-6.5 15 C-biomassa post-coltura mic - no mic 218+/-6.5 - 295+/-6.8 210+/-6.6 - 308+/-7.2 236+/-3.5 - 252+/-4 165+/-7.5 - 237+/-6.6 44 Quoziente metabolico q(CO2) Pre-semina inquinato 0.3*10-2 0.4*10-2 0.4*10-2 0.4*10-2 0.16*10-2 Quoziente metabolico q(CO2) post-coltura mic - no mic 0.4*10-2 - 0.5*10-2 0.3*10-2 - 0.4*10-2 0.3*10-2 - 0.5*10-2 0.4*10-2 - 0.5*10-2 0.16*10-2 Si conclude che la concentrazione di Cd nel suolo, rilevata in forma totale, nelle condizioni sperimentali adottate, si presta a descrivere la dinamica dell’inquinante da suolo a pianta, in forma di relazione lineare, con differenze in funzione del grado di inquinamento. Resta da accertare quali altri fattori intervengano nel trasferimento di Cd nella granella giacché non si sono evidenziate differenze di concentrazione neanche tra i controlli e le tesi inquinate a 100 ppm. In secondo luogo, nell’orzo micorrizato, la relazione Cd suolo / Cd granella è spiegata solo al 53% (sebbene all’1% di significatività). L’esistenza, comunque, di relazioni lineari molto significative, induce a considerare la possibilità di estendere il modello di studio in situazioni agricole reali. 236 Pennelli et al. Una considerazione finale è che, pur avendo rilevato bassi accumuli nella granella, le altre parti dei vegetali andrebbero, ad ogni modo, considerate come possibili mezzi di ingresso del Cd nella rete trofica, stando ai valori piuttosto elevati della percentuale d’asportazione (Fig. 5). Bibliografia ANDERSON T.H. 1994. Physiological analysis of microbial communities in soil: Applications and Limitations. In: Beyond the Biomass. (eds K.Ritz et al.), 7, pp. 67-76. British Society of Soil Science (BSSS). ANDERSON T.H., DOMSCH K.H. 1990. Application of eco-physiological quotients (qCO2 and qD) on microbial biomass from soils of different cropping histories. Soil Biology & Biochemistry, 10, 251-255 BADALUCCO L., GREGO S., DELL’ORCO S., NANNIPIERI P. 1992. Effect of liming on some chemical, biochemical, and microbiological properties of acid soils under spruce (Picea abies L.). Biology & Fertility of Soils, 14, 76-83. BROOKES P.C. 1995. The use of microbial parameters in monitoring soil pollution by heavy metals. Biology & Fertility of Soils, 19, 269-279. BURGATSACAZE V., CRASTE L., GUERRE P. 1996. Cadmium in the food chain – a review. Revue de Medecine Veterinaire, 147, 671-680. GREGO S., BENEDETTI A., DELL’ORCO S., ROSSI G., MARINARI S., BADALUCCO L. 1996. Agricultural practices and biological activity in soil. Fresenius Environmental Bullettin, 5, 282-288. HERREN T., FELLER U. 1997. Transport of cadmium via xylem and phloem in maturing wheat shoots – Comparison with the translocation of zinc, strontium and rubidium. Annals of Botany, 80, 623-628. JONER E.J., LEYVAL C. 1997. Uptake of Cd-109 by roots and hyphae of a glomus mosseae trifolium subterraneum micorrhiza from soil amended with high and low concentrations of cadmium. New Phytologist, 135, 353-360. McBRIDE M.B. 1998. Growing food crops on sludge-amended soils: Problems with the US Environmental Protection Agency method of estimating toxic metal transfer. Environmental Toxicology & Chemistry, 17, 2274-2281. MENCH M.J. 1998. Cadmium availability to plants in relation to major long term changes in agronomy systems. Agriculture Ecosystem & Environment, 67, 175-187. Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali. 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo. MiRAAF, Roma. NAIDU R., KOOKANA R.S., SUMNER M.E., HARTER R.D., TILLER K.G. 1997. Cadmium sorption and transport in a variable charge soils – a review. Journal of Environmental Quality, 26, 602-617. OW D.W. 1996. Heavy metal tollerance genes – Prospective tools for bioremediation. Resources Conservation & Recycling, 18, 135-149. SEREGIN I.V., IVANOV V.B. 1998. The transport of cadmium and lead ions through root tissues. Russian Journal of Plant Physiology, 45, 780-785. TYLER G. 1981. Heavy metals in soil biology and biochemistry. In: Soil Biochemistry (eds E. A. Paul et al.), 5, pp. 371-414. Marcel Dekker, New York. VANCE E.D., BROOKES P.C., JENKINSON D.S. 1987. An extraction method for measuring microbial biomass C. Soil Biology & Biochemistry, 19, 703-707. VASSILEV A., TSONEV T., YORDANOV I. 1998. Physiological response of barley plants (Hordeum vulgare) to cadmium contamination in soil during ontogenesis. Environmental Pollution, 103, 287-293. 237 TURNOVER DELLA SOSTANZA ORGANICA ED ATTIVITÀ BIOLOGICA DI SOSTANZE UMICHE PROVENIENTI DA FAGGETE DIVERSE Pizzeghello D.1, Nicolini G.1, Nardi S.2 1 Centro di Ecologia Alpina 38040 Viotte del Monte Bondone - Trento 2 Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Facoltà di Agraria, Università di Padova Strada Romea 16, 35020 Legnaro - Padova. Riassunto I risultati dei parametri chimici e biochimici di 27 orizzonti A, suddivisi nei tre raggruppamenti faggete termofile, mesofile ed acidofile, sono stati studiati mediante l’analisi della varianza univariata (ANOVA) e mediante i test non parametrici di Kruskal-Wallis. Dai confronti a coppie multipli le faggete termofile e mesofile sono uguali come C/N e come CU/CO, mentre differiscono entrambe dalle faggete acidofile. Per quanto riguarda l’attività biologica delle sostanze umiche fra le faggete termofile e le acidofile e fra le faggete mesofile e le acidofile vi sono differenze significative per l’attività auxino-simile, come pure per il contenuto di acido indolacetico. In termini di attività gibberellino-simile risultano diversi i gruppi delle faggete termofile e mesofile e i gruppi termofile e acidofile, mentre sono simili le mesofile-acidofile. L’attività biologica delle sostanze umiche può quindi essere considerata un parametro importante nel distinguere le complesse relazioni suolo-vegetazione. Introduzione La quantità di sostanza organica ed umica presente nel suolo è regolata, secondo l’equazione di Jenny, da cinque fattori: tempo, clima, vegetazione, roccia madre e topografia. Questi fattori determinano dopo un certo periodo di tempo l’instaurarsi di un equilibrio fra la sostanza organica e la sostanza umica del suolo. Naturalmente, il risultato varia nei diversi terreni cosicché la sostanza organica e quella umica non solo si accumulano in quantità diverse ma raggiungono livelli differenti di maturità (Sparks, 1995). L’effetto della sostanza organica sulla crescita delle piante è nota da molto tempo, ma solo recentemente questo effetto è stato attribuito ai Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 237-244 (2001) 238 Pizzeghello et al. composti umici. I numerosi studi effettuati negli ultimi vent’anni non solo hanno evidenziato come le sostanze umiche a seconda delle loro caratteristiche strutturali influenzino diversamente la crescita e lo sviluppo delle piante (Vaughan e Malcolm, 1985), ma anche come l’attività biologica svolta dalle sostanze umiche dipenda dalle loro proprietà ormono-simili e dal contenuto in acido indolacetico (Muscolo et al., 1998). Il presente lavoro ha voluto studiare il turnover della sostanza organica proveniente da faggete termofile, mesofile ed acidofile sviluppatesi su substrati diversi con l’obiettivo di differenziare i gruppi mediante lo studio dell’attività biologica delle sostanze umiche. Materiali e metodi Studio dell’area Ventisette suoli situati nella Provincia di Trento sono stati studiati in riferimento alla vegetazione, suolo e all’humus (Calabrese et al., 1998). I suoli, tutti coperti da faggete, da un punto di vista fitosociologico sono stati distinti in tre gruppi: faggete termofile (ID 1), mesofile (ID 2) ed acidofile (ID 3). Analisi chimiche e biochimiche Le sostanze umiche sono state estratte dagli orizzonti A dei campioni di terreno utilizzando il metodo di Dell’Agnola e Ferrari (1971). La distribuzione dei pesi molecolari (I, II, III frazione: >100KD, 100-10KD e <10KD) è avvenuta per cromatografia per Gel-filtrazione di ciascun estratto umico attraverso una colonna 70 x 1.6 cm (Pharmacia) di Sephadex G100. Come eluente si è impiegato 0.02M Na2B4O7. L’attività auxino- (AIA) e gibberellino-simile (AG) delle sostanze umiche è stata saggiata mediante i test Audus (Audus, 1972). La quantità di acido indolacetico (ELISA) presente nelle sostanze umiche è stata determinata tramite immunosaggio (Phytodetek-AIA, Sigma). Le attività enzimatiche sono state effettuate su plantule di Picea abies cresciute per 12 gg in condizioni sterili con soluzione nutritiva Hoagland addizionata di sostanze umiche e/o di acido indolacetico o di acido gibberellico. Successivamente 1 g di germogli è stato omogeneizzato (1:10 w/v) in 0.1M K-acetato (pH 4.0) contenente 0.1M di saccarosio per la determinazione dell’attività invertasica (INV) o in 0.1M tampone fosfato (pH 7.0) per l’attività perossidasica (PEROX). L’invertasi è stata valutata secondo la procedura di Arnold (1965) e la perossidasi secondo Putter (1974). Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete diverse 239 Analisi statistica I risultati dei parametri chimici dei 27 orizzonti A, suddivisi nei tre raggruppamenti (ID 1, ID 2, ID 3), sono stati studiati mediante l’analisi della varianza univariata (ANOVA) per determinare la presenza di differenze tra le medie dei gruppi. Successivamente, mediante il test di StudentNewman-Keuls (S-N-K), sono stati effettuati confronti a coppie multipli per identificare dei sottoinsiemi omogenei di medie che non differivano le une dalle altre. Dato che nel nostro contesto i postulati del modello statistico su cui si basa l’analisi della varianza non erano completamente soddisfatti, è stata successivamente applicata una tecnica non parametrica, il test di KruskalWallis (K-W) per verificare l’ipotesi nulla secondo la quale i tre gruppi considerati provenivano da popolazioni caratterizzate dalla stessa mediana. Mediante il test K-W sono stati eseguiti confronti a coppie multipli per individuare gruppi tra loro omogenei. I risultati dei test non parametrici sono stati quindi messi a confronto con quelli ottenuti dai test parametrici. Le analisi statistiche sono state effettuate mediante il programma SPSS versione 8.0. Risultati e discussione Secondo l’ANOVA (Tab. 1) i parametri in base ai quali le tre faggete ID 1, ID 2, ID 3 risultano diverse sono: pH, AIA, ELISA, PEROX e INV, ad un livello di significatività pari a p0.001, CU/CO e AG ad un livello di p≤0.01 e C/N per p≤0.05. Dai confronti a coppie multipli del test S-N-K (Tab. 2) risulta che le faggete termofile, mesofile ed acidofile differiscono tra loro per il pH per p≤0.05, mentre le acidofile differiscono, sempre in termini di pH, dagli altri due gruppi per p≤0.001. Le acidofile differiscono come C/N dalle faggete termofile e mesofile per p≤0.05. I tre gruppi non sono diversi invece per quanto concerne il CO e neppure per il CU. Considerando invece il CU/CO le faggete acidofile differiscono dalle termofile e dalle mesofile per p≤0.01. In termini di qualità delle sostanze umiche (I, II e III frazione umica) non vi sono differenze significative. Le faggete acidofile differiscono in termini di risposta auxinosimile (AIA) dalle faggete termofile e mesofile ( p≤0.001); mentre le termofile differiscono dalle mesofile ed acidofile come attività gibberellino-simile (AG) ( p≤0.01). Il contenuto in acido indolacetico (ELISA) delle acidofile è diverso ( p≤0.001) da quello delle termofile e mesofile, come pure l’attività perossidasica (PEROX). L’attività invertasica (INV) invece differisce significativamente per p≤0.001 in tutti e tre i gruppi. 240 Pizzeghello et al. Tab. 1. Risultati dell'analisi della varianza univariata (ANOVA) applicata ai tre raggruppamenti di faggete (ID 1, ID 2, ID 3). Parametro* PH Fra gruppi Entro gruppi Totale CO Fra gruppi Entro gruppi Totale C/N Fra gruppi Entro gruppi Totale CU Fra gruppi Entro gruppi Totale CU/CO Fra gruppi Entro gruppi Totale I frazione Fra gruppi Entro gruppi Totale II frazione Fra gruppi Entro gruppi Totale III frazione Fra gruppi Entro gruppi Totale AIA Fra gruppi Entro gruppi Totale AG Fra gruppi Entro gruppi Totale ELISA Fra gruppi Entro gruppi Totale PEROX Fra gruppi Entro gruppi Totale INV Fra gruppi Entro gruppi Totale Somma dei quadrati 29.700 8.868 38.567 19.462 243.705 263.167 114.620 298.328 412.947 1.867 35.825 37.691 2529.370 3675.056 6204.425 130.277 760.389 890.667 32.612 998.129 1030.741 43.986 460.014 504.000 17.396 9.568 26.964 33.548 44.067 77.614 0.001 0.001 0.001 126340.792 57111.875 183452.667 35500.715 9678.914 45179.630 df 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 2 24 26 Media dei quadrati 14.850 0.369 F Sig. 40.189 0.0003 9.731 10.154 0.958 0.3977 57.310 12.430 4.610 0.0202 0.933 1.493 0.625 0.5436 1264.685 153.127 8.259 0.0019 65.139 31.683 2.056 0.1499 16.306 41.589 0.392 0.6799 21.993 19.167 1.147 0.3343 8.698 0.399 21.817 0.0001 16.774 1.836 9.136 0.0011 0.000 0.000 10.691 0.0005 63170.396 2379.661 26.546 0.0003 17750.358 403.288 44.014 0.0004 *CO, carbonio organico; CU, carbonio umico; I, II, III frazione >100KD, 100-10KD e <10KD; AIA, attività auxino-simile; AG, attività gibberellino-simile; ELISA, acido indolacetico; Perox, attività perossidasica; Inv, attività invertasica. Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete diverse 241 Tab. 2. Sottoinsiemi non omogenei a diversi livelli di significatività (p) in base al test di Student-Newman-Keuls. Parametro pH ID 3 2 1 3 2 1 CO 3 2 1 C/N 1 2 3 CU 1 2 3 CU/CO 2 1 3 I frazione 3 1 2 II frazione 2 3 1 III frazione 2 1 3 AIA 1 2 3 AG 3 2 1 ELISA 1 2 3 PEROX 1 2 3 INV 3 2 1 pΩ 0.001 1 4.24 Sottoinsiemi 2 3 6.586 7.263 0.050 4.24 6.586 7.263 0.050 0.050 5.92 6.714 8.25 12.663 12.986 18.16 0.050 0.010 2.08 2.173 2.808 25.929 29.075 51.74 0.050 0.050 0.050 0.001 14.8 16.625 20.143 68.429 70.4 70.75 11.357 12.5 14.8 0.142 0.276 2.288 0.010 0.183 0.552 0.001 0.009 0.012 0.001 52.625 101 0.001 34.6 2.878 0.022 251 101.857 142 242 Pizzeghello et al. Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete diverse 243 Dal test di Kruskal-Wallis (Tab. 3) le variabili pH, AG, PEROX e INV sono significative nel distinguere i diversi campioni per p≤0.001, mentre le variabili AIA ed ELISA risultano significative per p≤0.01 e CU/CO per un p≤0.05. Dal confronto a due a due dei gruppi (Tab. 3) si evince che le faggete termofile e mesofile si differenziano tra loro per AG e INV ad un p≤0.01 e per pH e PEROX per p≤0.05. Le faggete termofile differiscono dalle acidofile per pH, AIA, AG, ELISA, PEROX e INV per p≤0.01 e per C/N e CU/CO per p≤0.05; mentre le faggete mesofile e acidofile differiscono tra loro per pH, CU/CO, AIA, ELISA, PEROX e INV per p≤0.01 e per la I frazione per p≤0.05. Conclusioni Le tre faggete studiate possono essere considerate diverse in termini di pH (test S-N-K, test K-W). Come rapporto C/N le faggete termofile e mesofile sono uguali, mentre differiscono entrambe dalle faggete acidofile. Nonostante non vi siano differenze significative né in termini di CO né come produzione di CU, i rapporti CU/CO e C/N indicano un diverso turnover della sostanza organica nei gruppi delle faggete termofile-mesofile da quello delle faggete acidofile. La resa in humus (CU/CO), quantitativamente più bassa in ambiente termofilo-mesofilo rispetto all’ambiente acidofilo è in accordo con il turn-over della sostanza organica (Sparks, 1995). Dal punto di vista della qualità delle sostanze umiche, la frazione a peso molecolare più elevato, indice di una maggiore evoluzione nel processo di umificazione (Dell’Agnola e Ferrari, 1971), è significativa come elemento di distinzione (test K-W) solo tra le faggete mesofile e le acidofile. Per quanto riguarda l’attività biologica delle sostanze umiche dai confronti fra le faggete termofile e le acidofile e fra le faggete mesofile e le acidofile risultano differenze in termini di risposta auxinica, come pure in contenuto di acido indolacetico, mentre i gruppi termofile e mesofile risultano simili. In termini di risposta gibberellino-simile risultano diversi i gruppi delle faggete termofile e mesofile e i gruppi termofile e acidofile, mentre sono simili le mesofile-acidofile. Dall’elaborazione di questi dati si evince che sostanze umiche prodotte da ecosistemi diversi e caratterizzate dal possedere attività biologica diversa attivano/stimolano nelle piante vie metaboliche differenti quali risposte per sopravvivere ad ambienti diversi. In particolare, tra i parametri 244 Pizzeghello et al. considerati, il pH, l’attività auxino-simile, il contenuto in acido indolacetico, l’attività perossidasica, l’attività invertasica, il rapporto C/N e CU/CO sono risultati significativamente importanti. Da questo studio emerge che l’attività biologica delle sostanze umiche può essere utilizzata per distinguere gruppi di suoli selezionati mediante analisi fitosociologiche. Ringraziamenti Gli autori ringraziano la Dr.ssa M.S. Calabrese e il Dr. G. Sartori per il lavoro pedologico svolto in campagna e il Dr. A. Zanella per lo studio fitosociologico. Bibliografia ARNOLD W.N. 1965. Fructofuranosidase from grape berries. Biochem. Biophys. Acta, 110, 134-147. AUDUS L.J. 1972. Plant growth substances Vol. I: Chemistry and Physiology. Leonard Hill London. CALABRESE M.S., NARDI S., SARTORI G., PIZZEGHELLO D., ZANELLA A., NICOLINI G. 1998. Humus forestali ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da suoli sotto faggete e abieti-faggete del trentino. Atti del XXXV Corso di Cultura in Ecologia. San Vito di Cadore, 7-11 Settembre 1998. DELL’AGNOLA G. and FERRARI, G. 1971. Molecular sizes and functional groups of humic substances extracted by 0.1 M pyrophosphate from soil. Journal of Soil Scence, 22, 342-349. MUSCOLO A., CUTRUPI S. and NARDI S. 1998. IAA detection in humic substances. Soil Biology and Biochemestry. 30, No 8/9, 1199-1201. PUTTER J. 1974. Peroxidases. In: Methods of Enzymatic Analysis II, (H.V. Bergmeyer ed.), pp. 685-690. Academic Press, New York. SPARKS D.L. 1995. Environmental Soil Chemistry, Academic Press, New York. VAUGHAN D., MALCOLM R.E. and ORD B.G. 1985. Influence of humic substances on biochemical process in plant. In: Soil Organic Matter and Biological Activity, (D. Vaughan and R.E. Malcolm eds), Njihoff W. Junk Publishers, Dordrecht. 245 IL CLIMA ED IL PEDOCLIMA DEI SUOLI DEI MONTI DI PALERMO (PA) Raimondi S., Lupo M. (*) 1 (*) Dipartimento di Agronomia Coltivazioni Erbacee e Pedologia Viale delle Scienze, 90128 Palermo, Riassunto Gli Autori espongono i risultati dell’attività di ricerca sul clima e sul pedoclima dei monti di Palermo. Essi sono stati ottenuti elaborando i dati termopluviometrici di cinque stazioni di rilevamento. I risultati evidenziano un clima che oscilla dal semiarido (D) all’udico (C2); un regime di temperatura che varia dal termico marittimo al mesico; un regime di umidità fluttuante fra l’intermedio xerico torrico e l’udico. Dopo un’analisi dei risultati e delle caratteristiche dell’ambiente si sottolinea la diversità fra i risultati ottenuti dall’elaborazione e le osservazioni di campagna sull’attività vegetativa delle piante erbacee annuali, che evidenziano un’area mesico udica di montagna più ampia. I pedoclimi più diffusi sono: il termico marittimo - intermedio xerico torrico, il termico continentale - xerico ed il mesico - udico. Introduzione Il presente lavoro, si inserisce in un filone di studi e ricerche che, ha come obiettivo la definizione del pedoclima (regimi idrico e termico) dei suoli siciliani a media scala. Esso segue i lavori che hanno riguardato: il clima ed il pedoclima del monte Etna (Raimondi et al., in corso di stampa), dei monti Erei (Raimondi et al., 1997b), delle Madonie (Raimondi e Lupo, 1998), della Sicilia occidentale (Raimondi e Lupo, in corso di stampa). Attraverso la definizione del pedoclima è possibile interpretare i processi pedogenetici dominanti in un’area, prevedere i tipi pedologici che in essa evolvono e contribuire alla classificazione dei suoli secondo la Soil Taxonomy (Raimondi, 1995; in corso di stampa b); nel campo della Land Evaluation tutti gli elementi climatici e gli aspetti pedoclimatici costituiscono caratteristiche e qualità del territorio che determinano l’attitudine per qualsiasi utilizzazione agricola o forestale (Raimondi e Lupo, 1998). 1 Il primo ha ideato il lavoro e ha curato la stesura del testo, il secondo ha effettuato l'elaborazione dei dati termopluviometrici ed ha redatto la cartografia tematica. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 245-259 (2001) 246 Raimondi e Lupo La classificazione ottimale dei suoli, secondo la Soil Taxonomy (Soil Survey Staff, 1997), è quella che armonizza i caratteri del suolo e la sua attitudine nei confronti delle piante (Raimondi, 1998). Il pedoclima si definisce sulla base dei dati rilevati di temperatura e di umidità del suolo a diversa profondità, oppure applicando dei modelli che simulano la realtà (Raimondi, in corso di stampa b). L’area dei monti di Palermo ricade nel mezzo fra Le Madonie ed i monti del trapanese (Sicilia occidentale). Materiali e metodi Il territorio preso in considerazione è ubicato nella fascia settentrionale della provincia di Palermo. Esso è delimitato ad est dal mare e da una retta ad andamento nord-sud, tracciata in prossimità del sistema collinare posto ad occidente di Partinico; a sud e ad est, da due linee tracciate un po’ sotto S. Cipirello la prima, ed a est del centro abitato di Villabate, la seconda. Il rilievo montuoso ha andamento nord ovest - sud est. Le cime più alte si raggiungono, nella parte centrale, con i monti Cuccio (1.050 m s.l.m.), Gibilmesi (1.156 m s.l.m.), Signora (1.131 m s.l.m.), Mirabella (1.165 m s.l.m.), La Pizzuta (1.133 m s.l.m.), Kumeta (1.233 m s.l.m.). A nord ovest sono presenti alcuni monti che non raggiungono i 1.000 m di altezza (Castellaccio 890 m s.l.m., Montanello 964 m s.l.m., Corvo 910 m s.l.m.), mentre a sud è presente il monte Leardo con i suoi 1016 m s.l.m.. A nord e ad ovest della catena montuosa, si trovano le aree pianeggianti della Conca d’Oro, della piana di Carini e di Partinico. I fiumi più importanti sono: l’Eleuterio, che sfocia nei pressi di Villabate; l’Oreto, che attraversa Palermo; lo Iato che scorre ad ovest di Partinico; il Belice destro, a sud di Piana degli Albanesi. Le aree pianeggianti ed i rilievi più alti sono collegati da unità morfologiche che, facilmente raggiungono i 700 - 800 m di quota e che, insieme alla natura calcarea e dolomitica, conferiscono al paesaggio una notevole asprezza. Numerose sono le vallate strette ed aperte a nord. Gli affioramenti litologici dominanti risultano di natura calcarenitica, calcareo magnesiaca, argilloso-arenacea e marnosa (Catalano et al., 1978). L’utilizzazione del suolo, nelle aree piane settentrionali ed occidentali, è rappresentata dall’agrumeto, dall’orto e dal vigneto, mentre nel- Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 247 la restante parte dominano il seminativo, l’agrumeto limitatamente ai fondivalle, l’uliveto ed il frutteto (pero, susino, albicocco e mandorlo). La gestione in pianura e nei fondivalle è in irriguo. Alle quote maggiori si riscontrano il pascolo ed il bosco (querce, pini, cipressi). Il clima ed il pedoclima sono stati valutati tramite i dati termopluviometrici di cinque stazioni. Queste, gestite dal Servizio Idrografico del Genio Civile sono: Palermo Castelnuovo (54 m s.l.m.), Monreale (750 m s.l.m.), Partinico (189 m s.l.m.), S. Giuseppe Iato (450 m s.l.m.), Piana degli Albanesi (750 m s.l.m.). Il periodo storico preso in considerazione è il 1951-1994. I dati termopluviometrici sono stati elaborati secondo i seguenti concetti: bilancio idrico del suolo di Thornthwaite (Thornthwaite e Mather, 1957); rappresentazione grafica di Billaux (Billaux, 1978), per studiare la sezione di controllo dell’umidità; bilanci idrici in funzione dell’annata agraria (periodo settembre - agosto); capacità di ritenzione idrica del suolo considerata nei bilanci 25, 50, 100, 200 e 300 mm. Per ogni annata agraria è stato classificato il clima, e sono stati valutati i regimi di temperatura e di umidità, secondo le indicazioni della Soil Taxonomy. Tutte le variabili del clima e del pedoclima annuali sono state elaborate secondo i principi del calcolo probabilistico (Raimondi et al., 1997a), per ottenere un dato che si deve ripetere per almeno 6 anni su 10 (cioè deve avere la probabilità del 60%). La zonizzazione delle variabili ottenute è stata effettuata mediante l’interpolazione altimetrica e sono state redatte 10 carte tematiche. Risultati e discussione La fig. 1 mostra la distribuzione della temperatura media annua dell’aria, che oscilla da valori di poco inferiori a 14 °C, sulle cime più elevate (monti Kumeta, La Pizzuta, Mirabella, Signora e Cuccio), a valori superiori ai 18 °C, in tutta la fascia costiera settentrionale ed occidentale, con una maggiore estensione in quella meridionale. Con l’isoterma 18 °C si è voluto mettere in evidenza, come già effettuato per altre area, la fascia più calda in cui domina l’agrumeto e si hanno condizioni climatiche diverse rispetto ai territori con temperatura < 18 °C (le escursioni giornaliere e stagionali sono inferiori). La fig. 2 mostra la distribuzione della piovosità totale annua (mm). Il territorio con piovosità < 500 mm, interessa tutta la fascia costiera, parte delle vallate collinari ed il sistema collinare posto ad ovest di S. 248 Raimondi e Lupo Fig. 1 - Distribuzione della temperatura media annua dell’aria (°C). Cipirello; la fascia 500-750 mm interessa un’area pedemontana il cui limite si trova poco superiore ai 500 m s.l.m. ad ovest e intorno ai 300 m s.l.m. a nord; la classe 750 - 1000 mm caratterizza il cuore del sistema montuoso, mentre si superano i 1000 mm sulle cime più elevate. Per quanto riguarda i tipi climatici (fig. 3) la variabilità è piuttosto limitata. Fra i tipi climatici del gruppo degli aridici, con indice di umi- Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 249 Fig. 2 - Distribuzione della piovosità media annua (mmm). dità globale negativo (Im < 0), è presente il semiarido (D) e quello da subumido a subarido (C1); il primo si riscontra in tutta l’area pianeggiante costiera e in quella collinare sud occidentale, mentre il secondo interessa il massiccio montuoso, le aree vallive interne e le collinari, specialmente quelle settentrionali. Del gruppo dei climi umidi (Im > 0), è presente soltanto il tipo climatico da umido a subumido (C2; 20 > Im ≥ 0), individuato nella par- 250 Raimondi e Lupo Fig. 3 - Distribuzione dei tipi climatici secondo la classificazione di C. W. Thornthwaite (Im = indice di umidità globale). te sommitale della catena montuosa, settore meridionale. In base all’efficienza termica (evapotraspirazione potenziale) sono state individuate tre varietà climatiche (fig. 4) comprese fra il primo mesotermico (PE 427 - 570 mm) ed il terzo mesotermico (PE = 855 - 997 mm). La varietà climatica più diffusa è il terzo mesotermico, mentre il pri- Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 251 Fig. 4 - Distribuzione delle varietà climatiche (PE = Evapotraspirazione potenziale in mm) mo mesotermico è presente soltanto sulle cime più alte. La fig. 5 mette in evidenza la distribuzione della temperatura media del suolo. Il territorio considerato si inserisce prevalentemente nel regime di temperatura termico (15 ≤ T °C < 22). L area interessata è posta a quote inferiori ai 900-1000 m in relazione al versante. Quest’area sulla car- 252 Raimondi e Lupo Fig. 5 - Distribuzione dei regimi termometrici dei suoli (T = temperatura media annua del suolo in °C). ta è stata suddivisa come termico marittima (T1), perché in essa è notevole l’influenza del mare e, nel settore sud occidentale, l’effetto versante conseguente all’esposizione sud ed alla protezione dai venti freddi settentrionale operata dal sistema montuoso di Palermo, e termico continentale (T2). Sulle cime più elevate si riscontra il regime mesico (8 ≤ T °C < 15). Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 253 Fig. 6 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una capacità di ritenzione idrica disponibile di 25 mm. Nelle figure 6, 7, 8, 9 e 10 vengono riportate le distribuzioni dei regimi idrici dei suoli per valori crescenti di capacità di ritenzione in acqua disponibile (A.W.C.): 25, 50, 100, 200 e 300 mm. Nel primo caso (fig. 6) risulta dominante il regime intermedio xerico torrico, mentre lo xerico è presente a quote superiori ai 300 m nel versante settentrionale, e al di sopra dei 500 m in quello meridionale. Nella fig. 7 (A.W.C. = 50 mm) l’area a regime 254 Raimondi e Lupo Fig. 7 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una capacità di ritenzione idrica disponibile di 50 mm. intermedio xerico torrico è meno estesa. Essa risulta ubicata lungo la fascia costiera pianeggiante e nel sistema collinare sud occidentale. Il limite altimetrico superiore è posto ad una quota di 300 m a sud e 100 m a nord. Nella fig. 8 (A.W.C. = 100 mm), l’area a regime intermedio xerico torrico è di poco più piccola. Nella fig. 9 (A.W.C. = 200 mm) l’intermedio xerico torrico è Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 255 Fig. 8 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una capacità di ritenzione idrica disponibile di 100 mm. ancora meno esteso, riscontrandosi nella piana di Partinico, mentre lo xerico risulta nettamente dominante. Sulle cime più alte Kumeta e la Pizzuta compare l’udico. Nella fig. 10 (A.W.C. = 300 mm) l’intermedio xerico torrico è scomparso, lo xerico domina e l’udico, alle quote più elevate della catena montuosa, si presenta con un’area più ampia. 256 Raimondi e Lupo Fig. 9 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una capacità di ritenzione idrica disponibile di 200 mm. Conclusioni Gli elaborati cartografici mettono in evidenza un clima dominante di tipo arido, che cede il posto al tipo umido, sulle cime più alte del rilievo nel settore meridionale. La fascia costiera settentrionale ed occidentale è fra le zone più calde ed aride. Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 257 Fig. 10 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una capacità di ritenzione idrica disponibile di 300 mm. Per quanto concerne il regime idrico, il presente lavoro, ha confermato la presenza dell’intermedio xerico torrico e dello xerico, già individuati in altre elaborazioni (Raimondi, 1993). Il contributo di questo lavoro consiste nell’aver individuato il regime idrico udico, sulle cime più alte. La distribuzione dei parametri climatici e pedoclimatici nell’a- 258 Raimondi e Lupo rea pianeggiante ed in quella collinare sud occidentale è influenzata dal mare e dall’esposizione sud. L’area è protetta dai venti settentrionali. Nella parte sommitale a pedoclima mesico - udico si riscontrano aree a pascolo, roccia affiorante, macchia mediterranea e piccole superfici boccate. Nell’area a pedoclima termico marittimo - intermedio xerico torrico, è presente quasi tutta la superficie adibita ad agrumeto dal palermitano. Nella vegetazione naturale è presente la palma nana. Gli elaborati cartografici hanno evidenziato una influenza dell’effetto versante sulla distribuzione degli elementi climatici e pedoclimatici. Questi risultati si armonizzano solo in parte con quanto è stato osservato in pieno campo in questi anni. L’attività vegetativa mostra un clima decisamente più umido sul rilievo rispetto alla valutazione effettuata. Tale discordanza probabilmente è dovuta ai valori termometrici rilevati nelle stazioni di Palermo e Monreale; questi sono più elevati per l’influenza dell’area urbana nella prima stazione e per l’esposizione ovest nella seconda discostandosi da una esposizione nord a cui si fa prevalentemente riferimento. L’area mesico - udico quindi, è sicuramente più ampia di quella cartografata. Bibliografia BILLAUX P (1978). Estimation du <<regime hidrique>> des sols au moyen des données c1imatiques. La méthode graphique: son utilisation dans 1e cadre de la Taxonomie Americaine des sols. ORSTOM, ser. Pedol. Vol. XVI, n 3, France, pp 317-338. CATALANO R., ABATE B., RENDA P (1978). Carta geologica dei monti di Palermo. Istituto di Geologia dell’Università di Palermo. RAIMONDI S. (1993). Il clima ed il pedoclima dei suoli siciliani durante il trentaduennio 1951 1982. Quaderni di Agronomia, 13. Istituto di Agronomia generale e Coltivazioni erbacee di Palermo, Italia, pp. 24-51. RAIMONDI S. (1995). I Torrerts siciliani: Caratteristiche morfologiche e distribuzione geografica. Atti del XII Convegno Nazionale della Società di Chimica Agraria. Piacenza 19-21 Settembre 1994. Patron Editore. Bologna. pp 127-136. RAIMONDI S., POMA I., FRENDA A.S. (1997a). Il pedoclima come fattore di sensibilità ambientale: esempio di metodologia applicata all’agro di Sparacia - Cammarata (AG). Rivista di Agronomia, anno XXXI n. 3 suppl.. Bologna, luglio - settembre 1997. RAIMONDI S., LUPO M., SARNO M. (1997b). Il clima ed il pedoclima dei monti Erei Meridionali. Sicilia Foreste, anno IV, n. 15, 16, Palermo. RAIMONDI S. (1998). Attività vegetativa delle piante erbacee e pedoclima nella Sicilia centro - occidentale durante il 1996. Lavoro presentato al convegno S.I.S.S. su “La qualità del suolo per un ambiente sostenibile, Roma 3-5 giugno 1997. RAIMONDI S., LUPO M. (1998). Il clima ed il pedoclima dei suoli delle Madonie (PA). Sicilia Foreste anno V N. 17/18. Palermo, pp 20-24. RAIMONDI S. (in corso di stampa a). Gli Aridisuoli siciliani: caratteristiche morfologiche e distribuzione geografica. Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA) 259 Lavoro presentato al XVI convegno nazionale della Società Italiana di Chimica Agraria (SICA). Ravello 1998. RAIMONDI S. (in corso di stampa b).Il pedoclima in Sicilia. Relazione presentata al convegno “Gli studi climatologici strumenti per la gestione del territorio” organizzato dall’Assessorato Agricoltura e Foreste Servizi allo sviluppo. Palermo 16/12/1998. RAIMONDI S., LUPO M. (in corso di stampa). Il clima ed il pedoclima dei suoli della Sicilia occidentale (PA). RAIMONDI S., LUPO M., TUSA D. (in corso di stampa). Il clima ed il pedoclima dei suoli vulcanici dell’Etna. Lavoro presentato al convegno S.I.S.S. su “Suoli tra vulcanismo e antropizzazione”, Napoli 1-5 giugno 1998. SOIL SURVEY STAFF (1997). Soil Taxonomy. Seventh Edition. United States Department of Agriculture. Washington: 544. THORNTHWAITE C.W., MATHER J.R., (1957). Instructions and tables for computing potential evapotranspiration and the water balance. Climatology, X, 3. Centerton N.Y. USA. 261 SU DI UNA TOPOSEQUENZA NEL ARMERINA (EN) BOSCO DI PIAZZA Salvatore Raimondi, Marcello Lupo, Delia Tusa Dipartimento di Agronomia, Coltivazioni Erbacee e Pedologia Università degli Studi di Palermo Riassunto Gli autori riportano i risultati di uno studio su una toposequenza che evolve sulle sabbie con intercalazioni calcarenitiche, nel bosco di Piazza Armerina. Dopo aver descritto i suoli presenti nei pianalti, nelle doline e nei versanti di raccordo, propongono tre serie di suoli secondo i concetti della Soil Taxonomy dell’USDA, mettendo in evidenza la loro adattabilità per le piante e la loro sensibilità ad usi alternativi. Abstract The AA. refer on results of a survey of a catena of soils evolving on sands with calcarenitic intercalations on Piazza Armerina wood land. After described soils typical of the upper table lands of the dolinas and slopes, they propose three series of soils according to the concepts of USDA Soil Taxonomy, descriving their suitability for plants and for alternative uses. Premessa Il bosco di Piazza Armerina (EN), di proprietà dell’Azienda Foreste Demaniali della Regione Sicilia è localizzato sui monti Erei meridionali, a nord dell’omonimo centro abitato. E’ costituito da sei aree, per una superficie complessiva di 5887 ettari. Si tratta di territori rimboschiti, ormai da quaranta anni, in cui la copertura forestale è costituita prevalentemente da Eucalyptus camaldulensis e E. globulus. L’unità boscata più estesa, chiamata Bellia, è di 4051 ettari. Le classi di pendenza maggiormente rappresentate sono la subpianeggiante (26%) e la poco inclinata (6-15%). La quota massima è di 898,5 m s.l.m. (monte Campana Bannata), mentre la quota minima è di 370 m s.l.m. (vallone S. Bartolo). Nel comprensorio si effettuano da diversi anni delle osservazioni sui suoli e sulla variazione del loro contenuto idrico nel corso dell’anno; lo Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 261-268 (2001) 262 Raimondi et al. scopo è quello di realizzare una caratterizzazione pedo-agronomica finalizzata alla redazione di piani di gestione e di utilizzazione del bosco. Secondo la Carta dei Suoli di Ballatore e Fierotti (1968) nell’area si riscontrano Regosuoli da rocce sabbiose e conglomeratiche, mentre secondo Fierotti et al. (1988) i suoli si classificano Typic Xerochrepts, Typic Haploxeralfs e Typic e/o Lithic Xerorthents. Raimondi et al. (1997) hanno investigato il clima ed il pedoclima mettendo in evidenza la presenza del pedoclima MesicoUdico. Obiettivo della presente nota è quello di mettere in evidenza la variabilità pedologica al variare delle condizioni topografiche, in una delle unità morfologiche altimetricamente più elevate e cioè sul monte Grottascura (896,3 m s.l.m.), il secondo per altezza del bosco. I due rilievi sono separati dal vallone Grottascura. Materiali e metodi Caratteristiche dell’area La catena dei monti Erei è costituita da un insieme di moderati rilievi e pianori, che dalla catena settentrionale dei monti Nebrodi-Madonie si dirigono verso S-SE fino alla zona dell’Altipiano Ibleo. Nella loro parte meridionale, da Calascibetta a Caltagirone, affiorano formazioni sabbiosoarenitiche, di età plio-pleistocenica. I pianori degli Erei sono generalmente separati da valli più o meno incise. Le potenti serie sabbiose si presentano come altipiani dolcemente degradanti verso il mare in seguito al sollevamento quaternario. La formazione geologica a sud della linea immaginaria che congiunge i rilievi monte Sambuco e Montagnola (agro di Piazza Armerina) fino quasi a mare (Vittoria-RG) è costituita da sabbie del Siciliano (Pleistocene); mentre quella affiorante a nord (monte Grottascura), appartiene all’Astiano (Pliocene superiore) (Servizio Geologico d’Italia, 1976). La granulometria evidenzia la presenza di 80% o più di sabbia quarzosa, prevalentemente fine, mista a carbonato di calcio. Il peso specifico reale (kg m-3) è di 2,6, la densità apparente di 1,4 e la porosità del 45,4%. All’interno dei depositi sabbiosi si rinvengono intercalazioni di strati sub-paralleli rappresentati da calcareniti (spessore compreso tra pochi centimetri e un metro). In alcune zone si riscontrano delle doline di subsidenza (Castiglione, 1979), spesso con l’inghiottitoio otturato. Queste conche naturali, come il lago di Pergusa, sono l’effetto del carsismo a carico dei gessi sotto- Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN) 263 stanti le sabbie con intercalazioni di arenarie. Morfologicamente sono evidenti dei pianalti, delle conche e dei versanti di raccordo con pendenze variabili. Gli elementi del clima e del pedoclima dei monti Erei meridionali (Raimondi et al., 1997), sono stati valutati tramite i dati termopluviometrici delle stazioni di Piazza Armerina, Gela, Enna, Don Sturzo, Caltagirone e Mazzarino. Il periodo storico considerato è il 1951-1994 e la base cartografica utilizzata per cartografare gli elementi climatici e pedoclimatici è stata il 200.000. I dieci documenti cartografici mostrano la loro distribuzione geografica ottenuta mediante l’interpolazione altimetrica delle variabili. Da essi, in contrada Grottascura si rileva quanto segue: temperatura media dell’area fra 13 e 14 °C; piovosità media annua fra gli 800 ed i 900 mm; clima secondo la classificazione di Thornthwaite è da umido a sub-umido (0≤Im<20), secondo mesotermico (714≤PE<855); regime di temperatura mesico (8≤T°C<15); regime di umidità udico. Quest’ultimo, come riportato da Raimondi et al. (1997), è udico in quanto il limite calcolato fra lo xerico e l’udico, per i suoli molto profondi, si trova localizzato a quota 938 m; però, considerando la morfologia dell’area (con ampi pianalti e vallate) e la copertura boscata, l’ambiente nella realtà risulta essere più umido dello xerico stimato attraverso l’elaborazione dei dati termopluviometrici. L’udicità, è evidenziata dall’attività vegetativa delle piante erbacee annuali e dalla vite. Infatti, il frumento si raccoglie alla fine di luglio sui suoli profondi e l’uva dei vigneti adiacenti non raggiunge la piena maturazione e rimane acidula. Le colture più diffuse nella zona sono il nocciolo ed il castagno (quest’ultimo è in stato di abbandono) intercalate ai pascoli. Anche lo sviluppo delle piante di eucalitto, con circonferenze a petto d’uomo di m 3,80, denota la presenza di aree con buone condizioni di udicità. L’indagine pedologica e le analisi fisico-chimiche Durante il rilevamento pedologico sono stati aperti e osservati numerosi profili e spacchi naturali. I suoli che si presentano in questa nota, sono rappresentati dai profili Piazza Armerina 49, 50 e 53; evolvono rispettivamente nei pianalti, nelle conche e sui versanti di raccordo. Risultano ubicati a 890, 805 e 840 m s.l.m.. Il 49 è sito in prossimità della cima del monte Grottascura, il 53 è ubicato circa 500 m a sud della cima, ed il 50 a 200 m a sud-ovest da quest’ultimo. I profili sono stati descritti e campionati, e sui campioni di terra sono state effettuate le analisi fisico chimiche, seguendo le metodologie ufficiali (Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo, 1994). Infine, i suoli sono stati classificati a livello di serie utilizzando la Soil Taxonomy (Soil Survey Staff, 1997). 264 Raimondi et al. Risultati I suoli qui descritti sono tipicamente forestali ed hanno una lettiera composta dai residui dell’eucalitto, quindi non facilmente trasformabile dalla flora e fauna terricola. Lo strato di sostanza organica umificata (Oe) è sottile e la porzione rimescolata dalla fauna terricola nel materiale terroso del primo orizzonte minerale (A) è esigua. Il profilo tipo dei suoli meno disturbati dall’attività antropica è O-A-E-Bt-Bw-C. Il processo pedogenetico dominante nell’area investigata è caratterizzato da: decarbonatazione, lisciviazione di argilla e sesquiossidi, desaturazione del complesso di scambio. Nella tabella 1 si riportano le caratteristiche fisico chimiche dei campioni prelevati. I suoli dei pianalti, rappresentati dal profilo Piazza Armerina 49, risultano a profilo O-A-E-Bt-Bw-C, profondi o molto profondi, di colore bruno (7,5YR 5/4) in superficie, bruno forte (da 7,5YR 4/6 a 5/8) nell’orizzonte Bt, mentre nel Bw sono bruno giallastri (10YR 5/6). La struttura a granuli singoli nell’AE, diventa poliedrica sub-angolare ed angolare nel Bt e poliedrica sub-angolare ed a granuli singoli nel Bw. La tessitura oscilla dalla sabbiosa, nell’orizzonte AE, alla franco sabbiosa nell’orizzonte Bt. E’ sabbioso franca nel materiale terroso del Bw. I granuli di quarzo nell’orizzonte AE sono privi di rivestimenti. Lo scheletro generalmente è assente, con l’eccezione del Bw in cui è comune e di natura calcarenitica. Sono generalmente acalcarei, con l’eccezione dell’involucro terroso dello scheletro calcarenitico, in cui sono scarsamente calcarei (1% circa). La reazione è neutra nell’orizzonte AE, moderatamente acida nel Bt e debolmente acida nel Bw. La saturazione in basi del complesso di scambio è bassa nel Bt con punte del 35%, mentre è elevata in profondità (Bw) e nell’orizzonte AE. Considerata la notevole diffusione di questi suoli si propone l’istituzione della seguente serie: Ultic Hapludalfs, sabbiosi, silicei, mesici sulle sabbie plioceniche, serie Grottascura (profilo Piazza Armerina 49). I suoli delle conche (Piazza Armerina 50) risultano a profilo OA-2E-2Bt, molto profondi. La discontinuità è dovuta all’arrivo di materiale terroso che si è depositato sulla superficie. E’ probabile che tale fenomeno si sia verificato in seguito a disboscamento ed erosione dei versanti adiacenti, o dopo un incendio. Alla base della buca è stata effettuata una trivellata, e per un altro metro di profondità il materiale terroso manteneva inalterate le sue caratteristiche. Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN) 265 266 Raimondi et al. Il colore in superficie è bruno scuro (7,5YR 3/4), bruno forte (7,5YR 4/6) nell’orizzonte 2E e bruno scuro (da 7,5YR 4/4 a 3/4) nell’orizzonte 2Bt. La struttura è poliedrica sub-angolare in superficie, poliedrica sub-angolare ed a granuli singoli nel 2E, poliedrica angolare tendente a prismatica nel Bt. La tessitura dell’orizzonte superficiale è franco sabbiosa; è sabbioso franca nel 2E, mentre è franca nel Bt. Lo scheletro è assente. Il suolo è acalcareo ed ha reazione debolmente acida. La saturazione del complesso di scambio è elevata ((75%), eccetto nell’orizzonte E in cui assume il valore del 71%. Per questi suoli, anche se meno diffusi dei precedenti, si propone la classificazione a livello di serie così definita: Typic Hapludalfs, franco grossolani, misti, mesici sui depositi colluviali recenti, serie Conca (profilo Piazza Armerina 50). I suoli dei versanti di raccordo fra i pianalti e le conche sono rappresentati dal profilo Piazza Armerina 53. Sono a profilo O-A-Bw-C, profondi o molto profondi, di colore da bruno giallastro (10YR 5/8) in superficie, a giallo brunastro (10YR 6/8) nell’orizzonte Bw. L’orizzonte C, durante lo scavo della buca, non è stato raggiunto; lo stesso però è stato osservato nelle vicinanze ed è di colore bruno giallastro chiaro (10YR 6/4). La tessitura è sabbiosa in tutti gli orizzonti. Lo scheletro è assente nel primo metro di profondità, mentre è comune sia nel Bw in profondità, che nell’orizzonte C. In quest’ultimo è facile trovare sottili livelli di calcarenite in via di decomposizione. Lo scheletro è di natura calcarenitica e costituisce i resti di livelli cementati. Questi suoli sono acalcarei, con l’eccezione di un sottile rivestimento terroso, a contatto con lo scheletro, scarsamente calcareo (1% circa); il calcare è abbondante nel C. La reazione è neutra. La saturazione del complesso di scambio è elevata ((75%). Considerata la notevole diffusione di questi suoli lungo i versanti dei rilievi più importanti si propone la seguente serie di suoli, così definita: Typic Xerochrepts, sabbiosi, silicei, mesici sulle sabbie plioceniche, serie Marcato Grottascura (profilo Piazza Armerina 53). Conclusioni Gli affioramenti sabbioso-calcarenitici in Sicilia, escludendo la fascia costiera, risultano maggiormente diffusi nelle provincie di Caltanissetta ed Enna, ove costituiscono unità morfologiche collinari e montane. I Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN) 267 suoli che su di essi evolvono hanno caratteristiche che risultano strettamente legate al processo della lisciviazione. L’area investigata con il presente lavoro è una delle zone siciliane in cui l’intensità della lisciviazione è più alta, favorita dai seguenti fattori: substrato permeabile, clima umido, morfologia collinare-montana con ampie spianate e vallecole, e presenza del bosco. L’orizzonte A naturale dei suoli delle spianate è stato eroso ed attualmente tende a riformarsi a spese dell’orizzonte E, definito AE. L’orizzonte E, che naturalmente si forma, tende a scomparire in seguito all’intervento dell’uomo con: il disboscamento e la conseguente erosione, la messa a dimora di piante, il taglio del sottobosco ed il calpestio degli animali al pascolo. Nelle aree non disturbate dall’attività antropica l’orizzonte E è meglio espresso e più desaturato (Raimondi e Lupo, 1999). La presenza dell’orizzonte E in questi suoli costituisce un’altra espressione dell’udicità dell’area. Nelle aree di conca l’orizzonte E tende a scomparire quando il suolo viene ricoperto da apporti di materiale terroso proveniente dai versanti, e tende a riformarsi in superficie (per le condizioni pedoclimatiche favorevoli). La prima caratteristica che evidenzia questo processo è la presenza di granuli ben puliti. Il bosco è l’utilizzazione migliore per queste superfici, perché conserva il suolo e richiede pochi interventi di gestione. La trasformazione delle superfici pianeggianti per fini agricoli è improponibile perchè: 1) richiederebbe notevoli capitali per la gestione, in quanto questi suoli sono poveri dal punto di vista della fertilità e si renderebbero necessarie laute fertilizzazioni, con potenziali rischi per le acque di falda (nell’area esistono falde idriche molto ricche utilizzate per usi civili); 2) il suolo diventa vulnerabile nei confronti del fenomeno erosivo; 3) la coltura del frumento (tipica in Sicilia) su questi suoli è a rischio perchè l’acqua trattenuta dal sistema suolo è insufficiente per soddisfare la sua attività biologica primaverile-estiva (subisce il fenomeno della stretta). La copertura forestale ha contribuito, almeno negli ultimi decenni, a preservare il suolo da processi di degradazione naturali o antropici e a indirizzare la pedogenesi verso condizioni di “naturalità”. Inoltre il sovrassuolo, rallentando il deflusso superficiale delle acque, ha favorito la ricarica delle falde acquifere e la loro persistenza. Nell’area, il bosco ha esplicato una grande funzione ecologica e paesaggistica sia per il ritorno delle querce, che vi nascono naturalmente, sia per l’impronta estetica e di vivibilità che dà al paesaggio (durante l’estate le superfici non boscate mostrano una notevole aridità). 268 Raimondi et al. E’ convinzione degli Autori del presente contributo che la conoscenza del processo pedogenetico dominante in questi suoli contribuisce a risolvere importanti quesiti pratici come la scelta delle colture e la programmazione della tecnica gestionale più compatibile. Bibliografia BALLATORE G. P., FIEROTTI G., 1968. Carta dei Suoli della Sicilia., Istituto di Agronomia e Coltivazioni Erbacee, Palermo. CASTIGLIONE G. B., 1979. Geomorfologia, UTET, Torino, 436 pp.. FIEROTTI G., DAZZI C., RAIMONDI S., 1988. Commento alla Carta dei Suoli della Sicilia. Regione Sicilia, Assessorato Territorio e Ambiente, Palermo, 19 pp.. OSSERVATORIO NAZIONALE PEDOLOGICO E PER LA QUALITÀ DEL SUOLO, 1994. Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo, Roma, 207 pp.. RAIMONDI S., LUPO M., SARNO M. 1997. Il clima ed il pedoclima dei monti Erei meridionali. Sicilia Foreste, anno IV N. 15/16: 39-45. RAIMONDI S., LUPO M., 1999. Climate, soil climate, and soils over Pleistocene sands on the southern side of Erei mountains (Sicily -Italy). Extended abstracts, 6 th International Meeting on Soils with Mediterranean Type of Climate, Barcelona 4-9 July 1999, Spain, 480-482. SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA, 1976. Carta geologica d’Italia. Foglio n. 5. SOIL SURVEY STAFF, 1997. Keys to Soil Taxonomy, Seventh Edition, United States Department of Agriculture, Washington, 544 pp.. Note Il primo è Professore associato, il secondo ed il terzo sono Dottorandi in Pedologia. Il primo ha ideato ed ha coordinato il lavoro, il secondo ed il terzo hanno eseguito le analisi di laboratorio. Il rilevamento pedologico e la stesura del testo sono da attribuire in parti uguali agli autori. 269 LA SERIE DEI SUOLI FLORESTA SUI MONTI NEBRODI IN SICILIA Raimondi S.*, Mirabella A.**, Screpis S.** *Dipartimento di Agronomia, Coltivazioni Erbacee e Pedologia - Università di Palermo Viale delle Scienze. 90128 Palermo **Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo -MIPAF Piazza D’Azeglio 30, 50121 Firenze Riassunto L’indagine di campagna e le analisi fisico-chimiche e mineralogiche hanno permesso di definire la serie di suoli Floresta in agro di Floresta sui monti Nebrodi. I dati raccolti hanno permesso di evidenziare una discontinuità litologica nel suolo in esame, formatosi da un deposito di piroclastiti provenienti dall’Etna nella parte superiore e dall’alterazione della formazione litologica arenacea nella parte sottostante. Inoltre, gli autori hanno descritto le caratteristiche pedoclimatiche, che sono molto importanti in quest’area per l’uso dei suoli. Secondo la Soil Taxonomy, considerando i dati attualmente disponibili, il suolo potrebbe rientrare fra gli Alic Fulvudands, rappresentando la prima serie degli Andisuoli in Sicilia. Abstract By means of soil survey, physico-chemical and mineralogical investigations the series of soils Floresta was defined in locality Floresta in the Nebrodi mountains. A lithological discontinuity was detected in the examined soil, originated from pyroclastic deposits coming from Etna volcano in the higher part and from the weathering of the sandstone formation in the lower part. Furthermore, authors have described the climate which is very important in this area for the use of soils. According to Soil Taxonomy, and on the basis of the present available data, the soils could belong to gli Alic Fulvudands, representing the first Sicilian series of Andisols. Introduzione Nel 1991, dopo la realizzazione dell’elaborazione cartografica sul pedoclima della Sicilia a piccola scala (Raimondi, 1991), questo autore decise di iniziare a rilevare in campagna le condizioni di umidità di alcuni suoli specifici e rappresentativi di ambienti tipici siciliani. Un’area molto interessante dal punto di vista agronomico, per i Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 269-282 (2001) 270 Raimondi et al. suoi pascoli primaverili estivi, è risultata essere quella dei monti Nebrodi e precisamente la zona di Floresta (ME), perché è caratterizzata da un regime idrico udico per i suoli profondi (Raimondi, 1991; 1993). In seguito ai diversi sopralluoghi effettuati in questa area, è stato selezionato un suolo tipico, che si contraddistingue, rispetto ai suoli della maggior parte della Sicilia, per l’elevato contenuto idrico nel mese di agosto (quasi sempre superiore al 20%), per il suo aspetto polverulento quando asciutto e per la sua notevole potenzialità pastorale estiva. Gli abitanti del luogo sottolineano che periodicamente, durante le eruzioni dell’Etna, che come è noto è un vulcano che dà origine a rocce eruttive basiche (basalti) ed è adiacente all’area in oggetto, la zona è interessata da accumulo di cenere e scorie (piroclastiti). Tale fenomeno si sviluppa nell’area a monte dei 900 m s.l.m. nel versante nord ed al di sopra dei 1000 m s.l.m. nel versante sud. Questi sono stati i presupposti che hanno condotto ad effettuare, sul suolo selezionato, alcune indagini preliminari fisico-chimiche e mineralogiche, allo scopo di determinarne i principali processi pedogenetici e l’origine. Questa ricerca si inserisce in un filone di studi finalizzato alla costituzione di un inventario pedologico siciliano a livello di serie, fondamentale per l’applicazione di qualsiasi metodologia di Land Evaluation e per la messa a punto di politiche agricole in armonia con le caratteristiche ambientali (Sequi, 1994). Materiali e metodi Caratteristiche dell’area Il suolo in esame si trova in un’area ubicata in contrada Polverello ad una quota di 1200 m s.l.m. circa. Nell’area sono presenti affioramenti di arenarie o marnoso arenacee del miocene medio-inferiore (Servizio Geologico d’Italia, 1976). I suoli sulle pendici sono generalmente erosi e poco o mediamente profondi, mentre quelli che raggiungono e superano il metro di spessore si trovano in aree pianeggianti ed alla base dei pendii in cui si è verificato un accumulo di materiale terroso eroso. E’ in queste aree che si riscontrano i suoli meglio conservati la cui evoluzione è verosimilmente influenzata da depositi piroclastici e le cui caratteristiche sono pertanto legate a tale deposizione. Secondo la Carta dei Suoli della Sicilia (Fierotti et al., 1988) l’ambiente è xerico ed i suoli rientrano nei sottogruppi tipici dei Xerumbrepts, dei Xerochrepts e degli Haploxeralfs. La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia 271 Il clima, dalla elaborazione dei dati termopluviometrici della stazione di Floresta, risulta: secondo Koppen mesotermico temperato umido con una stagione estiva arida dominante e con una temperatura del mese più caldo > 22 °C; secondo Lang temperato propriamente detto; secondo De Martonne umido; secondo Crowther zona con eccessiva umidità; secondo Bagnouls e Gaussen submediterraneo con 2 mesi secchi; secondo la classificazione fitoclimatica del Pavari Fagetum sottozona calda; secondo Thornthwaite (Thornthwaite, 1957) umido (B3), primo mesotermico (B1’). La temperatura media annua dell’aria risulta di 11,3 °C, la precipitazione media annua di 1125 mm, il regime idrico (Billaux, 1978) è xerico (giorni asciutti ≤180) per i suoli aventi una A.W.C. inferiore o uguale a 200 mm, mentre risulta udico per una riserva idrica di 300 mm (Fig. 1). Il regime termometrico è mesico (temperatura media annua del suolo compresa fra 8 e 15 °C). L’uso attuale dei suoli è dominato dal pascolo, dal bosco di castagno, dal faggio e da noccioleti. Nell’ambito della vegetazione erbacea, oltre alle graminacee ed alle leguminose è presente la felce (Pteridium aquilinum). L’indagine pedologica e le analisi fisico-chimiche e mineralogiche Per selezionare il suolo individuato e descritto sono stati aperti e osservati diversi profili e spacchi naturali. Il suolo, risultato rappresentativo delle aree pianeggianti, è stato descritto e campionato e sui campioni di terra sono state effettuate le analisi fisico chimiche e mineralogiche. Il suolo è stato classificato, utilizzando la Soil Taxonomy (Soil Survey Staff, 1997), a livello di serie. La tessitura è stata determinata, previa distruzione della sostanza organica con H2O2, per sedimentazione in acqua distillata col metodo della pipetta; la densità apparente è stata eseguita su campioni indisturbati; la ritenzione idrica è stata misurata con l’apparecchiatura di Richard a 33 e 1550 kPa; il pH è stato determinato potenziometricamente in acqua distillata (1:2.5), in KCl 1N (1:2.5) e in NaF 1N (1:50). Le analisi chimiche sono state eseguite secondo le metodologie ufficiali (Metodi Ufficiali di Analisi Chimica del Suolo dell’Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità Del Suolo, 1994). La sostanza organica e l’azoto totale sono stati determinati, rispettivamente, con i metodi Walkley-Black e Kjeldahl; la capacità di scambio cationico e le basi di scambio per estrazione con NH4OAc 1N e determinazione tramite spettrofotometria ad assorbimento atomico; il Fe e l’Al per estrazione con ossalato di ammonio a pH 3. 272 Raimondi et al. Fig. 1 - Rappresentazione grafica del bilancio idrico del suolo e della sezione di controllo dell’umidità secondo Billaux. La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia 273 L’analisi dei minerali argillosi (< 2µm) è stata eseguita su campioni orientati con scansioni da 2° a 15° 2θ e incrementi di 0.02° 2θ a intervalli di 4 secondi, con un diffrattometro a raggi X Rigaku D/MAX III C da 3 Kw, equipaggiato con goniometro orizzontale, monocromatore di grafite e lampada al Cu. Le curve diffrattometriche digitalizzate sono state sottoposte a smoothing e corrette con i fattori di Lorentz e della polarizzazione. I campioni sono stati sottoposti ai seguenti trattamenti: saturazione con Mg, solvatazione con glicol etilenico, saturazione con K, seguita da riscaldamento a 335 °C e 550 °C per due ore. Risultati e discussione Nella Tabella 1 sono riportati alcuni caratteri morfologici ed i risultati delle analisi fisico-chimiche effettuate sui campioni prelevati. I suoli sono a profilo A-Bw-2C, da mediamente profondi a profondi; di colore umido, negli orizzonti A e B, rosso molto scuro (2.5YR 2.5/2), bruno giallastro scuro (10YR 4/4) nell’orizzonte 2C; lo scheletro è assente. La tessitura è franco limosa, ad eccezione dell’orizzonte C dove è risultata franco sabbiosa. La struttura è grumosa, fine e media, moderata in su- 274 Raimondi et al. perficie, poliedrica angolare debole negli orizzonti B, poliedrica angolare molto debole ed a granuli singoli nell’orizzonte 2C. Il suolo è friabile allo stato umido e asciutto, con attività radicale intensa negli orizzonti A e B; il drenaggio è normale. Tabella 1 - Dati morfologici ed analitici del profilo Floresta (Tessitura: F.L.=Franco limosa; F.S.=Franco sabbiosa). Profilo Floresta Orizzonte A1 A2 Bw1 Bw2 2C Profondità sup. (cm) 0 5 25 70 105 Profondità inf. (cm) 5 25 70 105 120 Colore (asciutto) 2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 10YR 5/4 Colore (umido) 2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 10YR 4/4 Scheletro (%) 0 0 0 0 4 Argilla (%) 12.2 13.4 13.8 13.9 8.6 Limo (%) 51.6 52.8 52.9 53.8 20.2 Sabbia (%) 36.2 33.8 33.3 32.3 71.2 Tessitura F.L. F.L. F.L. F.L. F.S. pH 1:2,5 H2O 5.8 5.5 5.5 5.8 5.8 pH 1:2,5 KCl 5.2 4.5 4.6 4.7 4.0 pH (NaF) 10.0 10.7 11.6 11.6 7.3 Fe oss. (g/kg) 6.5 7.3 10.6 10.4 2.0 Al oss. g/kg) 3.6 4.6 11.9 11.0 0.3 C organico (g/kg) 64 46 53 40 1.5 Azoto (g/kg) 3.5 3.8 4.1 3.3 0.2 C/N 18 12 13 12 8 Sostanza organica (g/kg) 110 79 91 69 3 Ca++ scamb. (cmol(+)/kg) 6.1 4.2 6.0 5.6 3.0 Mg++ scamb. (cmol(+)/kg) 1.5 0.9 1.1 1.5 0.5 Na+ scamb. (cmol(+)/kg) 0.6 0.5 0.7 0.9 0.1 K+ scamb. (cmol(+)/kg) 1.8 1.5 1.0 0.8 0.2 H+ scamb. (cmol(+)/kg) 20.0 27.8 38.8 35.0 5.0 C.S.C. scamb. (cmol(+)/kg) 30.0 35.5 47.5 43.8 8.8 Sat. in Basi (%) 33 15 18 20 43 Densità apparente 0.78 0.80 0.81 0.81 1.45 pF 3 (33 KPa) 33.2 33.5 31.8 30.7 20.2 pF 4 (1500 KPa) 21.2 21.0 20.5 20.0 10.0 La tessitura ha messo in luce molto chiaramente la discontinuità litologica riscontrata nel rilevamento di campagna. È molto evidente il salto granulometrico sia a carico della sabbia, la cui percentuale è risultata doppia nell’orizzonte 2C rispetto agli orizzonti superiori, dove essa rimane pressoché costante, che del limo risultato il 20% nell’orizzonte 2C contro il 50% circa riscontrato negli orizzonti sovrastanti. La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia 275 La reazione del suolo è risultata moderatamente acida e costante lungo tutto il profilo. Il valore del pH in KCl diminuisce leggermente negli orizzonti A e Bw, più sensibilmente nell’orizzonte 2C. La reazione in NaF è risultata alcalina in tutto il profilo ad eccezione dell’orizzonte 2C che ha presentato reazione neutra. Il suolo è ben dotato di sostanza organica negli orizzonti A e B; nell’orizzonte A1 è in parte presente in forma inalterata, mentre se ne riscontra una piccola quantità nell’orizzonte 2C. Gli orizzonti B sono inoltre caratterizzati da una struttura poliedrica angolare con una consistenza, allo stato asciutto, leggermente superiore rispetto agli orizzonti superiori. Il ferro e l’alluminio estraibili in ossalato sono presenti in notevole quantità negli orizzonti superficiali A1 e A2, e tendono ad aumentare negli orizzonti Bw1 e Bw2, mentre diminuiscono notevolmente nell’orizzonte 2C, dove l’alluminio è presente in minime quantità. La migrazione di questi elementi dagli orizzonti A a quelli B è agevolata dalla notevole piovosità. Gli orizzonti A e Bw si differenziano dall’orizzonte 2C anche nella capacità di scambio cationico, che è risultata molto più alta negli orizzonti più superficiali, anche per via del maggiore contenuto di carbonio organico. Gli orizzonti A e Bw hanno presentato bassa densità apparente, risultata inferiore a 0,9, mentre l’orizzonte 2C ha evidenziato un valore di 1.45; questi orizzonti inoltre hanno una ritenzione idrica superiore a quella riscontrata nell’orizzonte 2C. L’analisi mineralogica ha messo in rilievo un cambiamento molto evidente fra i campioni degli orizzonti A2, Bw1 e Bw2 (Fig. 2, 3 e 4) e quello dell’orizzonte più profondo (3C) (Fig. 5). Dalle curve diffrattometriche relative alla frazione argillosa dei primi tre orizzonti (Fig. 2, 3 e 4) si può notare che il picco ad 1,4 nm resiste, in gran parte, al trattamento con potassio, mentre collassa quasi totalmente ad 1 nm in seguito al riscaldamento a 335 °C. Ciò denota la presenza di vermiculite che risulta fortemente interstratificata con idrossidi di Al e/o di Fe. Il picco ad 1 nm, che rimane invariato in seguito ai trattamenti diagnostici, indica la presenza di illite, mentre la caolinite si identifica per il picco a 0.72 nm che sparisce in seguito al riscaldamento a 550 °C. Si ritiene che nei campioni sia presente caolinite e non halloysite, dato che il picco a 0.72 nm è stretto e non presenta la forma allargata tipica della halloysite. Il campione dell’orizzonte 2C (Fig. 5) si differenzia notevolmente dagli altri, sia nella raffigurazione delle curve diffrattometriche che si presentano molto lineari, sia nel contenuto di minerali argillosi. 276 Raimondi et al. Fig. 2. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte A2 del profilo in esame. I tracciati si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C. 0.72 nm A2 1.0 nm 1.4 nm EG Solv. Mg Sat. K Sat. 335°C 550°C 0 2 4 6 8 10 Cu °2θ 12 14 16 277 La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia Fig. 3. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte Bw1 del profilo in esame. I tracciati si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C. 0.72 nm Bw1 1.0 nm 1.4 nm EG Solv. Mg Sat. K Sat. 335°C 550°C 0 2 4 6 8 10 Cu °2θ 12 14 16 278 Raimondi et al. Fig. 4. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte Bw2 del profilo in esame. I tracciati si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C. 0.72 nm Bw2 1.0 nm 1.4 nm EG Solv. Mg Sat. K Sat. 335°C 550°C 0 2 4 6 8 10 Cu °2θ 12 14 16 279 La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia Fig. 5. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte 2C del profilo in esame. I tracciati si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C. 0.72 nm 2C 1.0 nm EG Solv. 1.4 nm Mg Sat. K Sat. 335°C 550°C 0 2 4 6 8 10 Cu °2θ 12 14 16 280 Raimondi et al. Infatti anche in questo caso sono presenti vermiculite, illite e caolinite, ma la vermiculite, indicata dal picco a 1.4 nm, non risulta interstratificata con idrossidi di Al e/o di Fe, dato che collassa a 1.0 nm in seguito al trattamento con potassio. Il processo di alterazione nei suoli conduce alla formazione di vermiculite, in seguito all’alterazione della illite. Quando nel pedoambiente l’attività dell’Al è alta, questo elemento tende a polimerizzarsi all’interno dei pacchetti dei minerali di tipo 2:1, come si verifica nei campioni degli orizzonti A2, Bw1 e Bw2, con la conseguente formazione di vermiculiti interstratificate (Barnhisel e Bertsch, 1989; Dahlgren e Ugolini, 1989a). Questo processo non è presente invece nell’orizzonte 2C del suolo esaminato, indicando un diverso ambiente di alterazione. Se poi si osservano le dimensioni relative dei picchi, che sono proporzionali alla quantità di minerali presenti, possiamo notare che nei tre orizzonti superiori in esame il rapporto tra la quantità di illite e di minerali 2:1 interstratificati rispetto alla caolinite è superiore rispetto a quello osservato nell’orizzonte 2C, dove, al contrario, è presente un minor contenuto di vermiculite e di illite rispetto alla caolinite. Pertanto si nota che il campione 2C è caratterizzato da una minore quantità di illite e di vermiculite, che da essa si è formata per alterazione, rispetto a quella degli orizzonti sovrastanti. Questa considerazione dovrebbe indicare che l’orizzonte profondo 2C presenta un maggior grado di alterazione rispetto a quelli superiori, rivelandosi incoerente con la logica genetica di formazione degli orizzonti dei suoli. Una spiegazione più verosimile, pertanto, è l’esistenza di una discontinuità litologica tra questo orizzonte e quelli ad esso sovrapposti, che è stata confermata anche dalle analisi chimico-fisiche. Non si può escludere che i tre orizzonti superiori si siano formati dall’alterazione di materiale piroclastico; infatti, in letteratura si riscontrano suoli vulcanici che presentano minerali argillosi ben cristallizzati, costituiti di caolinite e di minerali 2:1 interstratificati con idrossidi di Al (Lorenzoni et al., 1995; Dahlgren et al., 1993). Questi suoli sono stati inseriti nell’ordine degli Andisuoli (Soil Survey Staff, 1997), per la presenza di un orizzonte A di colore rosso molto scuro con caratteristiche andiche: bassa densità apparente (< 0.9) ed elevata microporosità; elevato contenuto di sostanza organica (superiore rispetto ai suoli poco profondi che evolvono sulle arenarie e sulle marne); alta desaturazione del complesso di scambio; contenuto in acqua a 1500 KPa > 20%; pH in Na F > 9.4. La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia 281 A livello di sottogruppo si inseriscono fra gli Alic Fulvudands per il regime di umidità udico e per l’elevato contenuto di Al. Nell’ambito di questo sottogruppo è stata definita la seguente serie: - Alic Fulvudands, mediale, mista, mesica, da depositi piroclastici su arenarie, serie Floresta. Altre caratteristiche sono: moderata pendenza; contenuto elevato di sostanza organica e di azoto. Conclusioni La presente nota costituisce il primo contributo alla caratterizzazione pedologica dei monti Nebrodi. Altre osservazioni effettuate precedentemente hanno riguardato poche caratteristiche di campagna. Nel passato su questa formazione litologica erano stati rinvenuti soltanto suoli poco evoluti, classificati come Typic Xerumbrepts, Typic Xerochrepts e Typic Haploxeralfs (Fierotti, 1988). Le analisi fisico-chimiche e mineralogiche hanno confermato la discontinuità litologica del suolo evidenziata col rilevamento di campagna; essi avvalorano l’ipotesi che la parte superiore del suolo sia interessata prevalentemente da apporti piroclastici. Il processo pedogenetico ha determinato la formazione di orizzonti poco differenziati lungo il profilo con un elevato contenuto di sostanza organica, ferro ed alluminio. Dal punto di vista gestionale, il quadro pedologico dell’area si complica quando le superfici con vegetazione boscata (Faggio) vengono utilizzate dall’uomo per fini agricoli. In tal caso, sulle superficie in pendio, si favoriscono i movimenti orizzontali di materiale terroso (erosione). Il nuovo uso è sempre quello pastorale alle alte quote, mentre si passa al noccioleto e al castagneto ed in qualche caso al seminativo alle quote più basse. Il pascolo presenta un’ottimale composizione floristica e la sua gestione richiede un controllo del carico del bestiame per evitare il degrado della cotica erbosa e del suolo. L’uso agricolo è giustificato dalla ottima risposta produttiva delle specie arboree coltivate. Le limitazioni agricole maggiori sono costituite dall’eccessiva pendenza, dagli affioramenti rocciosi e dalle basse temperature invernali con presenza spesso di neve che vi permane anche per settimane. 282 Raimondi et al. Bibliografia BARNHISEL R.I. & BERTSCH P.M., 1989. Chlorites and Hydroxy-Interlayered Vermiculite and Smectite. Pp. 729-788 in Minerals in Soil Environments, Dixon J.B. e Weed S.B. (ed.), Madison, Wisconsin, USA: SSSA. BILLAUX P., 1978. Estimation du <<regime hidrique>> des sols au moyen des données c1imatiques. La méthode graphique: son utilisation dans 1e cadre de la Taxonomie Americaine des sols. ORSTOM, ser. Pedol. Vol. XVI, n 3: 317-338. DAHLGREN R., SHOJI S. & NANZYO M., 1993. Mineralogical characteristics of volcanic ash soils. Pp. 101-143 in: Volcanic Ash Soils - Genesis, Properties and Utilization. Developments in Soil Science, 21. Elsevier, Amsterdam. DAHLGREN R.A. e UGOLINI F.C., 1989a. Formation and stability of imogolite in a tephritic Spodosol, Cascade Range, Washington, USA. Geochim. Cosmochim. Acta, 45, 421-429. FIEROTTI G., DAZZI C., RAIMONDI S., 1988. Commento alla Carta dei Suoli della Sicilia. Regione Sicilia, Assessorato Territorio e Ambiente, Palermo, 19 pp.. LORENZONI P., MIRABELLA A., BIDINI D. & LULLI L., 1995. Soil genesis on trachytic and leucititic lavas of Cimini volcanic complex (Latium-Italy). Geoderma 68: 79-89. Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità Del Suolo, 1994. Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo, Roma, 207 pp.. RAIMONDI S., 1991. L’impiego dei dati termopluviometrici in Pedologia: il pedoclima dei suoli siciliani durante il trentennio 1921-1950. Atti del convegno “Agrometeorologia e Telerilevamento”. Agronica, Palermo, Italia, pp. 76-92. RAIMONDI S. (1993). Il clima ed il pedoclima dei suoli siciliani durante il trentaduennio 1951-1982. Quaderni di Agronomia 13. Istituto di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee di Palermo, Italia, pp. 24-51. SEQUI P., 1994. Il progetto finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell’Ambiente (PANDA). Agricoltura e Ricerca, n 154, Roma, Italia, pp. 151-192. Servizio Geologico d’Italia, 1976. Carta geologica d’Italia. Foglio n. 5. Soil Survey Staff, 1997. Keys to Soil Taxonomy, Seventh Edition, United States Department of Agriculture, Washington, 544 pp. THORNTHWAITE C.W., MATHER J.R., 1957. Instructions and tables for computing potential evapotranspiration and the water balance. Climatology, X, 3. Centerton N.Y. USA. Note Il primo ha curato il rilevamento pedologico e le analisi fisiche e chimiche, il secondo ed il terzo hanno determinato l’aspetto mineralogico. L’impostazione e la stesura del testo sono state realizzate in collaborazione. 283 MODIFICAZIONI DI FUNGHI MICORRIZICI VESCICOLO-ARBUSCOLARI INDOTTE DALLA SOMMINISTRAZIONE DI CADMIO Rea E., Bragaloni M., Tullio M. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante - Roma Riassunto E’ stato valutato l’effetto del trattamento con cadmio, somministrato al terreno come sale e a diverse concentrazioni, sul numero di spore di micorrize appartenenti alla famiglia delle Glomacee e Gigasporacee. I risultati ottenuti hanno evidenziato un effetto diretto del metallo sul numero di spore a 30 gg. dalla contaminazione del terreno, alla concentrazione più alta utilizzata. Introduzione La contaminazione del suolo con metalli pesanti causata da processi naturali o da attività umane è considerato uno dei problemi ambientali più seri (Reedy and Prasad, 1990). Le simbiosi ecto e endomicorriziche svolgono un ruolo cruciale nella connessione tra il sistema pianta e il suolo (Harley, 1978). E’ ormai noto, che i funghi simbionti possono migliorare le relazioni idriche e nutrizionali della pianta ospite grazie al micelio esterno alla matrice radicale che fornisce una più estesa esplorazione del suolo. L’effetto dei funghi AM sull’assorbimento dei metalli pesanti non è ancora del tutto chiarito. Alcuni autori riportano che la presenza di micorrize ne facilita l’assorbimento (Killham and Firestone, 1983; Wessenhorn and Leyval, 1995), mentre altri riportano un ruolo protettivo delle micorrize nei confronti della pianta ospite (El-Kherbawy et al., 1989; Leyval et al., 1991; Wessenhorn et al., 1995c). L’efficienza di protezione in ogni modo differisce secondo l’isolato fungino e il tipo di metalli somministrati. Infatti, ceppi fungini isolati da siti contaminati con cadmio si sono mostrati più resistenti di quelli isolati da siti non contaminati (Leyval et al., 1995). Poiché la pressione selettiva operata dai metalli pesanti può modificare quantitativamente e qualitativamente la popolazione di funghi micorrizici, l’individuazione di parametri in Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 283-287 (2001) 284 Rea et al. grado di descrivere modificazioni della loro presenza nel suolo è da auspicare. Infatti, le endomicorrize arbuscolari sono le più diffuse in natura e negli ecosistemi antropizzati. Comunque, negli studi riguardanti l’interazione tra micorrize e metalli va anche considerato l’effetto dei metalli sulla popolazione AM (Leyval et al., 1997). Scopo del presente lavoro è stato quello di individuare le modificazioni indotte sulle micorrize vescicolo-arbuscolari presenti nel suolo dal trattamento con cadmio, a 30 gg. dall’inquinamento del terreno e dopo un ciclo completo di coltivazione di una coltura di orzo. Materiali e metodi La ricerca è stata condotta in vasche di circa 1 mq di superficie e 40 cm di profondità, su un terreno di tipo franco, con una ricchezza di spore V.A di 1200 spore x 500ml di terreno. A questo suolo sono state somministrate diverse dosi di cadmio, 1, 10, 100 ppm come solfato. Per ogni dose e per il controllo sono state allestite quattro repliche, dopo 30 gg. dalla somministrazione del cadmio, da ogni tesi sono stati prelevati campioni di suolo di circa due litri, da tali campioni, dopo essiccamento all’aria e vagliatura a 2 mm, si sono ottenuti sub-campioni di 500ml. Successivamente è stato effettuato l’isolamento delle spore, per sospensione da porzioni di 50 g in 5 l, decantazione per 5 min. e successivo setacciamento (luce netta del setaccio: 63 µ).Le spore così ottenute sono state moltiplicate in vaso (150 ml) utilizzando come pianta trappola il Trifolium repens var. Huia,10 plantule per vaso: Dopo 60 gg di allevamento in serra è stata effettuata, su 5 g. di sabbia, dopo decantazione e setacciamento ( lume dei setacci: 177, 125, 63µ ), la determinazione della presenza, del tipo di spore germinate e moltiplicate. In queste vasche è stata allevata una coltura di orzo (Hordeum vulgaris L. cv.Robur, a fine coltura è stato determinato, dopo setacciamento, con la stessa metodica descritta in precedenza, la conta delle spore presenti. Risultati La ricchezza iniziale di micorrize V.A. presente naturalmente nel terreno utilizzato per la prova era di 2400 spore/ l. di suolo. Le spore ottenute dopo decantazione e setacciamento a 63 µ sono state identificate come specie appartenenti alla famiglia delle Glomacee. Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di cadmio 285 I risultati ottenuti dalla valutazione del numero delle spore ottenute dopo moltiplicazione su trifoglio vengono esposti nella tabella 1. Tabella 1- Numero di spore ottenute dopo 60 gg. di moltiplicazione su trifoglio (setacciamento a 63, 125, 177µ ). I valori sono espressi per l di suolo. Trattamento 177µ 0 13800a 1 ppm 10000a 10 ppm 6000b 100 ppm 600c 125µ 16400a 15600a 4400b 2600c 63µ 50200a 27200b 25800b 7600c * I valori seguiti da lettere diverse sono significativamente differenti per P< 0.01 in accordo con il Multiple Range Test (Duncan). Come si può osservare, il numero delle spore ottenute dai tre diversi setacci, 63, 125 e 177µ ha subito una riduzione in funzione della concentrazione del cadmio utilizzato, rispetto al controllo non trattato. In particolare, sulle spore ottenute dal setaccio 63 µ ove venivano rinvenute solo specie fungine del genere Glomus, le concentrazioni di 1 ppm e di 10 ppm di cadmio hanno ridotto il numero di spore in modo statisticamente significativo. In particolare il trattamento con 100 ppm di cadmio ha avuto un effetto inibitorio marcato dell 85%. Nessun decremento del numero delle spore ottenute dopo setacciamento del terreno a 125 µ è stato osservato utilizzando 1 ppm di cadmio. In realtà su questo setaccio sono state rinvenute spore appartenenti sempre alla famiglia delle Glomacee, in questo caso sono raccolte le spore di dimensioni più grandi rispetto a quelle provenienti dal setaccio precedente. Le concentrazioni 10 e 100 ppm di cadmio hanno provocato una riduzione del numero delle spore che nel 100 ppm è paragonabile a quella prodotta sulle spore ottenute con setacciamento a 63 µ e cioè del 84%. Per quanto riguarda il setacciamento a 177 µ, dove sono state rinvenute spore appartenenti in prevalenza alla famiglia delle Gigasporacee, ma anche alla famiglia delle Glomacee, l’effetto sul numero delle spore è risultato statisticamente significativo sia per la concentrazione di cadmio 10 ppm che 100 ppm con un’ inibizione molto accentuata che raggiunge il 96% per la concentrazione più alta utilizzata. I risultati ottenuti rapportando il numero totale delle spore, alla fine dei 60 gg di moltiplicazione su trifoglio, alla dotazione iniziale già presente nel terreno prima della somministrazione del cadmio, sono esposti in tabella 2. L’effetto esercitato dal cadmio è risultato direttamente proporzionale alla concentrazione del trattamento imposto. 286 Rea et al. Tabella 2- Fattore di moltiplicazione delle spore ottenuto rapportando il numero delle spore dopo 60 gg. di moltiplicazione su trifoglio rispetto alla dotazione iniziale del terreno. I valori sono espressi per l di suolo. Trattamento 0 1 ppm 10 ppm 100 ppm Spore totali Aumento del numero delle spore n volte 80400 33 52800 22 36800 15 10800 4 Un altro aspetto da noi considerato è stato quello di valutare l’entità della presenza delle spore dopo un ciclo completo di una coltura di orzo. Il numero delle spore ottenute dopo decantazione e setacciamento del terreno a 63 µ è risultato arricchito dopo la coltura di orzo. I diversi trattamenti con cadmio hanno ridotto, anche in questo caso l’arricchimento in spore in modo statisticamente significativo solo a 100 ppm. (Tab. 3). Tabella 3 - Numero di spore ottenute dopo un ciclo completo di una coltura di orzo (setacciamento a 63 µ ). I valori sono espressi per l. di suolo. Trattamento 0 1 ppm 10 ppm 100 ppm Spore totali 11200a 11200a 10250a 9700b I valori seguiti da lettere diverse sono significativamente differenti per P< 0.01 in accordo con il Multiple Range Test (Duncan). Conclusioni In conclusione, nelle nostre condizioni sperimentali il cadmio somministrato al terreno alla concentrazione 100 ppm ha influito negativamente direttamente sul numero di spore presenti nel terreno già a trenta giorni dalla somministrazione del metallo. Questo risultato è stato evidenziato anche dal confronto con la ricchezza iniziale del suolo utilizzato per la prova. Le micorrize V.A. infatti, non possono essere mantenute in coltura pura quindi, per una valutazione della vitalità delle spore, si è proceduto alla moltiplicazione su trifoglio come pianta trappola delle spore stesse prelevate dopo 30 gg. dall’inquinamento del terreno. I risultati ottenuti dopo la coltura di orzo si differenziano da quelli ottenuti dopo moltiplicazione su trifoglio, nel caso Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di cadmio 287 dell’orzo solo la concentrazione 100 ppm ha ridotto il numero delle spore. C’è da precisare che la moltiplicazione su trifoglio è stata effettuata su sabbia mentre l’allevamento della coltura di orzo è avvenuto su terreno. E’ ipotizzabile che, in questo secondo caso, abbia avuto un ruolo fondamentale il potere tampone del terreno che ha limitato i danni alla sola concentrazione più alta utilizzata. La moltiplicazione su orzo inoltre è avvenuta in vasche di dimenzioni maggiori (1 mq) rispetto al vaso della prova su trifoglio (150 ml). I risultati ottenuti sono in accordo con i dati presenti in letteratura che indicano la necessità, negli studi delle interazioni metalli pesanti, piante e micorrize, della valutazione contemporanea dell’effetto diretto che i metalli pesanti hanno sulle micorrize e sulla pianta, nel senso di quanto questi organismi siano più o meno tolleranti prima ancora e comunque accompagnate dalla valutazione del trasferimento dei metalli inquinanti nei vegetali (Leyval et al., 1997). Bibliografia EL-KHERBAWY M., ANGLE J.S., HEGGO A., CHANEY R.L. 1989. Soil pH, rhizobia and vesicular-arbuscolar mycorrhizae inoculation effects on growth and heavy metal uptake of alfalfa (Medicago sativa L.). Biol. Fertil. Soils 8: 61-65 HARLEY J.L. 1978. Ectomycorrhizas as nutrient absorbing organs. Proc. Royal. Soc. London, B 203: 1-21 KILLHAM K., FIRESTONE M.K. 1983. Vesicular arbuscolar mycorrhizal mediation of grass response to acid and heavy metal deposition. Plant Soil 72: 39-48 LEYVAL C., BERTHELIN J., SCHONTZ D., WEISSENHORN I., MOREL J.L. 1991. Influence of endomycorrhizas on maize uptake of Pb, Cu and Cd applied as mineral salts or sewage sludge. In: Farmer JG (ed) Heavy metals in the environment. CEP Consultants. Edinburgh,pp 204-207 LEYVAL C., SINGH B.R., JONER E.J. 1995 Occurence and infectivity of arbuscolar mycorrhizalfungi in some Norvegian soils influenced by heavy metal and soil properties. Water Air Soil Pollut. 84:203-216. LEYVAL C., TURNAU K., HASELWANDTER K. 1997. Effect of heavy metal pollution on mycorrhizal colonization and function: physiological, ecological and applied aspects. Mycorrhiza 7: 139-153 REEDY G.N., PRASAD M.N.V. 1990. Heavy metal-binding proteins/peptides: Occurrence, structure, synthesis and functions. A review. Environ. Exp. Bot. 30:251-264. WEISSENHORN I., LEYVAL C. 1995. Root colonization of maize by a Cd- sensitive and a Cd-tolerant Glomus Mosseae and cadmium uptake in sand culture. Plant Soil 175: 233-238 WEISSENHORN I., LEYVAL C.,BELGY G., BERTHELIN J. 1995c. Arbuscolar mycorrhizal contribution to heavy metal uptake by maize (Zea mays L.) in pot culture with contaminated soil. Mycorrhiza 5: 245-251 289 IL RAPPORTO ACQUA-TERRENO: UN INDICATORE DI QUALITÀ PER IL RECUPERO E LA SALVAGUARDIA DI SUOLI NON AGRICOLI Scandella P., Piccini C., Di Blasi N., Mecella G. Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante Via della Navicella 2-4, 00184 Roma Riassunto Lo studio vuole evidenziare come molto spesso la conoscenza dei valori dei rapporti acqua-terreno (velocità di infiltrazione e curva di ritenzione idrica) e delle proprietà ad essi legate risulti fondamentale in particolari ambienti, nei quali la natura e l'opera dell'uomo sono fortemente interconnessi, quali ad esempio i suoli non naturali presenti nei giardini e parchi storici o nelle cave, ritenute esaurite come giacimenti, e reintegrate con i materiali di risulta dei processi estrattivi. In tali siti è necessario avvalersi di modelli che, trascurando i meccanismi della pedogenesi, rispecchino più efficacemente quelle caratteristiche dei suoli che sono peculiari per la loro gestione e con-servazione o recupero. Nel lavoro si riportano esempi di studio finalizzati alla risoluzione di problematiche di gestione sia di alcuni giardini e parchi storici ad elevato valore culturale (Castello di Guarene - Cuneo; Ville Pontificie - Castelgandolfo - Roma, Oasi Faunistica Doganella di Ninfa - Latina), sia di siti di estrazione reintegrati con materiali di risulta (Priverno). I rlievi effettuati hanno evidenziato la fragilità di tali siti, dovuta a squilibri di natura fisica, chimica, idropedologica, relativi quindi al rapporto acqua-terreno (pemeabilità differenziate nel profilo, contenuti di sodio elevati in alcuni orizzonti, decrementi della stabilità strutturale, ecc.) di cui non si è tenuto conto nella gestione. Il rapporto acqua-terreno, fondamentale nei progetti di irrigazione, di utilizzo delle acque reflue, nel controllo dell'erosione e dei dissesti idropedologici in genere, costituisce pertanto un parametro altrettanto significativo nella gestione, conservazione e recupero dei suoli costituiti e/o modificati dall'uomo. Progetto Finalizzato Beni Culturali Progetto Strategico Ambiente e Territorio Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 289-296 (2001) 290 Scandella et al. Introduzione La conoscenza dei valori della velocità di infiltrazione e delle proprietà ad essa legate risulta fondamentale in particolari ambienti, nei quali la natura e l’opera dell’uomo sono fortemente interconnessi, quali ad esempio i suoli non naturali presenti nei giardini e parchi storici o nelle cave da rinaturalizzare. In tali siti, in cui una vera e propria classificazione, almeno secondo le metodologie più in uso, risulta insoddisfacente in quanto non valuta appieno l’influenza dell’uomo sulle proprietà dei suoli, è necessario avvalersi di modelli che rispecchino più efficacemente le caratteristiche peculiari per la gestione, la conservazione e/o il recupero dei suoli. Si tratta spesso di “suoli” interamente prodotti dall’uomo con apporti di materiali artificiali o immissione di terreni provenienti da altri siti oppure di suoli naturali, ma così fortemente trasformati da processi “antropo-pedogenetici” che il solum originale non è più riconoscibile, oppure è ormai “interrato”. Tali situazioni sono usuali nei giardini storici, ambienti fortemente antropizzati, dove l’uomo è intervenuto modificando i suoli naturali effettuando sbancamenti, livellamenti, sistemazioni idrauliche, apportando al terreno altro materiale (terricci, concimi, rocce, ecc.) da aree esterne più o meno limitrofe. Questi interventi, che tra l’altro continuano nel tempo, sia pure in misura ridotta, durante la gestione ed il mantenimento dei giardini stessi, sono responsabili di situazioni di forte disomogeneità nei profili, per cui l’utilizzo delle metodologie proprie della pedologia talvolta non risolve le problematiche di gestione. Nelle cave reintegrate con i materiali di risulta dei processi estrattivi ci si trova in una situazione ancora più estrema. Si tratta infatti di substrati derivati interamente da attività umane, che, reintrodotti nei siti, vanno a coprire gli orizzonti profondi o la roccia madre per spessori più o meno variabili, comunque di entità notevole. La possibilità quindi di individuare in tali ambienti degli indicatori di qualità diviene di fondamentale importanza per la loro gestione e/o recupero. Nel lavoro si evidenzia, mediante studi effettuati in tre giardini storici, i cui suoli sono caratterizzati da equilibri delicati, ed in una cava da rinaturalizzare, nella quale vengono reintrodotti i fanghi di laveria di sabbie silicee, come la composizione del complesso di scambio e le sue implicazioni sulla velocità di infiltrazione del suolo possano essere di ausilio nella risoluzione di problematiche di gestione. Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non agricoli 291 Materiali e metodi In seguito ad emergenti problemi di gestione sono state indagate le caratteristiche chimico-fisico-idrologiche dei suoli del giardino settecentesco del Castello di Guarene (CN), del giardino storico delle Ville Pontificie di Castelgandolfo (RM), dell’Oasi Faunistica Doganella di Ninfa (LT) (Mecella et al., 1998) e di una cava di reintegro di fanghi silicei nell’area giacimentologica di Priverno-Fossanova (LT) (Burragato et al., 1999). Il giardino settecentesco del Castello di Guarene è un tipico giardino all’italiana, di dimensioni medie, con grandi quinte formate da tasso e da carpino, con parterre di bosso e alte siepi di tasso, caratterizzato da morfologia sostanzialmente pianeggiante e situato all’apice di una collina con forte pendenza. Al momento dell’impianto erano state progettate sistemazioni idrauliche di notevole entità, tali da consentire il drenaggio delle acque che comunque pervengono sul suolo. I suoli del giardino derivano dai substrati presenti nell’area. Dal punto di vista geologico Guarene si trova all’interno del “Bacino Ligure-Piemontese terziario”, che si è sviluppato durante la messa in posto delle catene alpina ed appenninica. I termini affioranti sono arenarie in grosse bancate, più o meno cementate, contenenti blocchi gessosi provenienti dalle formazioni evaporitiche (Boni e Casnedi, 1970). Quest’area ha subito un notevole danno dovuto ad un esteso evento di frana, che ha interessato un’ala del giardino, in concomitanza con l’alluvione del 1994. La frana ha avuto ripercussioni sia sulle strutture portanti che sulla vegetazione. Successivamente sono stati effettuati degli interventi per limitare i danni meccanici dell’evento, ma non si sono ancora messe in atto le misure necessarie per eliminare o comunque contenere il problema che è all’origine della frana stessa e che è strettamente connesso con il tipo di suolo e con la morfologia del giardino. Nel giardino storico delle Ville Pontificie di Castelgandolfo si è verificato un grave deperimento del parterre di bosso, con ripercussioni estetiche non indifferenti. Ci troviamo all’interno dell’area vulcanica dei Colli Albani ed i prodotti qui affioranti provengono da manifestazioni esplosive eccentriche rispetto al vulcano centrale, in cui devono essere intervenute grandi masse d’acqua talvolta anche marina (Civitelli et al., 1975). Un terzo sito in studio è stata l’Oasi Faunistica Doganella di Ninfa, un parco ricostruito a partire dal 1921 sulle rovine della cittadella medievale di Ninfa, raro esempio nel Lazio di giardino all’inglese. L’attenzione rivolta a questo parco è dovuta alla particolare fragilità dei suoli, poco profondi ed interessati da una falda sottosuperficiale, nei quali diviene fonda- 292 Scandella et al. mentale mantenere un corretto rapporto acqua-terreno per il benessere e la sopravvivenza delle specie vegetali. Ninfa si trova ai piedi dei Monti Lepini, nella zona di contatto tra il complesso carbonatico di piattaforma che costituisce la catena e i sedimenti neogenico-quaternari fluvio-lacustri della Pianura Pontina. In affioramento vi sono terre rosse derivate dai processi di carsificazione dei calcari, miste a materiali piroclastici rimaneggiati riferibili alla già menzionata attività dei Colli Albani (Boni et al., 1980). Per quanto riguarda le cave di sabbie silicee, di origine eolica dunare, delle aree giacimentologiche di Priverno-Fossanova, il materiale asportato dalle cave viene sottoposto a processi di trattamento per l’estrazione delle sabbie; i materiali di scarto sono costituiti da fanghi flocculati palabili, che vengono attualmente reimmessi nelle cave ritenute esaurite come giacimenti. Si è osservato che i fanghi risultano scarsamente ricettivi e poco idonei come supporto boschivo-forestale per l’attecchimento delle specie vegetali tipiche della zona. Nei giardini in studio, non essendosi potuta effettuare la lettura del profilo, in quanto distruttivo del parterre e di altre valenze estetiche, si è proceduto alla lettura semplificata tramite sondaggio con trivella. Anche nelle cave l’indagine è stata effettuata con trivellazione: l’apertura del profilo sarebbe stata del tutto inutile essendo il “suolo” costituito da un susseguirsi di “colate” e quindi privo di orizzonti. Sui campioni prelevati sono state eseguite le determinazioni analitiche (MiRAAF, 1994; MiPA, 1997) riportate in Tabella 1 nella quale sono illustrati per ciascun sito i risultati del sondaggio più rappresentativo. Risultati e discussione Dall’esame dei risultati ottenuti sia dalle osservazioni in sito sia dalle determinazioni analitiche (Tabella 1), riferendosi alla metodologia proposta dal “Référentiel pédologique” (AFES, 1995), i suoli dei giardini possono fare riferimento alla categoria degli Anthroposols ricostituiti, mentre i suoli delle cave sono ascrivibili agli Anthroposols artificiali. Per quanto riguarda il giardino del Castello di Guarene le indagini fisico-chimiche ed idrologiche hanno messo in evidenza la fragilità di questi suoli: sono calcarei, con tessitura equilibrata, struttura subangolare che in profondità diventa massiva, e conducibilità idraulica superficiale media che al di sotto dei 75 cm si riduce drasticamente. Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non agricoli 293 294 Scandella et al. Nell’orizzonte 75-165 cm i bassi valori di conducibilità idraulica riscontrati non sono però da ascriversi alla composizione granulometrica dello strato, che peraltro è caratterizzato da prevalenza di sabbia grossa (41%), bensì al contenuto in sodio di scambio (6%). La presenza di sodio nel complesso assorbente, come è noto, provoca la peptizzazione delle argille, con grave danno alla stabilità della struttura, che si ripercuote negativamente sulla velocità di infiltrazione dell’acqua anche in suoli sabbiosi. In pratica l’argilla, disperdendosi, provoca l’occlusione dei pori, unica via di deflusso delle acque che pervengono nel suolo, ed induce di conseguenza una saturazione di acqua nello strato sovrastante. Lungo il profilo sono stati rilevati frequenti cristalli di gesso, composto che risulta particolarmente utile nella correzione dei suoli sodici. Nel caso specifico, invece, il gesso risulta praticamente inefficace in quanto, presentandosi in forma macrocristallina, la sua già scarsa solubilità (0.2%) diventa pressoché nulla. In queste condizioni, in presenza di eventi meteorici notevoli o addirittura eccezionali, come già si è verificato in passato, lo strato immediatamente al di sopra dei 75 cm viene a trovarsi saturo di acqua, e ciò può innescare fenomeni franosi anche di notevole entità. La saturazione in acqua fa aumentare infatti il peso del terreno del 20-30%, fino a limiti eccezionali del 60-70%. Nel caso in studio dei giardini delle Ville Pontificie, si tratta di suoli di tessitura equilibrata con buona struttura superficiale e conducibilità idraulica superficiale media. Dallo studio del profilo (A) si è evidenziato che il suolo presenta un gradiente crescente con la profondità di sodio di scambio che, deflocculando l’argilla, condiziona la permeabilità inducendo negli strati profondi fenomeni di asfitticità per sovrasaturazione idrica. I sintomi di grave deperimento del parterre di bosso trovano quindi giustificazione nell’andamento della conducibilità idraulica, che riducendosi intorno ai 50 cm di profondità, provoca un pesante e duraturo ristagno idrico nella zona interessata dagli apparati radicali delle siepi. Il fenomeno della asfitticità sottosuperficiale risulta meno evidente in un giardino attiguo, il cui suolo (B), della stessa tessitura, presenta valori costanti di sodio di scambio lungo il profilo; l’assenza quindi di un gradiente tra l’orizzonte superficiale e quelli sottosuperficiali non induce brusche variazioni nell’andamento della permeabilità. L’indagine sui suoli dell’Oasi Faunistica Doganella di Ninfa ha evidenziato una potenziale fragilità derivante dalla loro natura pedologica. Si tratta di suoli poco profondi, in quanto giacciono sui resti della cittadella di Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non agricoli 295 Ninfa, e vi è presente una falda sottosuperficiale. I valori di conducibilità idrica sono modesti ma costanti lungo tutto il profilo, parallelamente alla percentuale di sodio di scambio, che risulta elevata in tutti gli orizzonti investigati. Nonostante queste caratteristiche, nel giardino non si evidenziano danni vegetativi, in quanto la gestione accurata dei suoli, con interventi mirati e adeguati alle caratteristiche chimico-fisiche riscontrate, come le lavorazioni non profonde e gli interventi fertilizzanti che si avvalgono soprattutto di apporti di sostanze organiche, fanno sì che la conducibilità idraulica sia costante lungo il profilo e non si verifichino quindi ristagni d’acqua sottosuperficiali e profondi particolarmente dannosi per la vegetazione. Per quanto riguarda infine i “suoli” reintrodotti nelle cave di estrazione di Priverno, essi risultano di composizione granulometrica molto argillosa con le caratteristiche proprie dell’argilla: conducibilità idraulica praticamente assente, scarsa presenza di pori all’interno degli aggregati, forte rischio di compattamento con formazione di struttura lamellare e conseguente impedimento al passaggio dell’acqua e dell’aria all’interno degli aggregati. A ciò deve aggiungersi una sostanziale presenza di sodio nel complesso di scambio, dovuto al flocculante impiegato nel processo industriale di estrazione delle sabbie silicee. In queste condizioni le cave reintegrate molto difficilmente possono supportare un utilizzo boschivo-forestale poiché il “suolo” non è in grado di fornire un rapporto aria-acqua idoneo per lo sviluppo e la crescita delle essenze vegetali. Conclusioni Le situazioni illustrate sono esemplificative delle difficoltà che si possono incontrare quando si debbano mettere in atto strategie di salvaguardia, gestione e recupero di particolari siti ad elevata valenza storico-artistica e ambientale. Al fine di disporre di rapidi strumenti di indagine che consentano una corretta gestione di particolari suoli, nei quali i fattori della pedogenesi sono fortemente disturbati dall’intervento antropico, notevole importanza assume la misura dell’E.S.P. (exchangeable sodium percentage) e la valutazione, attraverso misure di laboratorio, della velocità di infiltrazione dell’acqua nei diversi orizzonti del profilo. La correlazione tra misure di conducibilità idraulica e percentuali di sodio di scambio può evidenziare infatti fenomeni di ristagno idrico dovuti ad una drastica diminuzione della velocità di infiltrazione dell’acqua 296 Scandella et al. nel suolo. Significativi incrementi della percentuale di sodio di scambio nella successione degli orizzonti provocano la comparsa di gradienti nei valori della permeabilità del suolo in quanto il sodio, deflocculando l’argilla, induce una variazione del rapporto macropori/micropori a favore di quest’ultimo. Il gradiente di E.S.P. costituisce quindi un indicatore del rapporto acqua-terreno indispensabile quando non sia possibile effettuare misure dirette della velocità di infiltrazione dell’acqua nei vari orizzonti del profilo. La correzione dell’E.S.P. risulta l’unica pratica attuabile per il miglioramento della permeabilità quando si sia nell’impossibilità di procedere a interventi agronomici e/o sistematori in quanto distruttivi di valenze estetiche (giardini) o troppo onerosi (cave). Bibliografia AFES 1995. Référentiel Pédologique. Paris, INRA. BONI C., BONO P., CALDERONI G., LOMBARDI S., TURI B. 1980. Indagine idrogeologica e geochimica sui rapporti tra ciclo carsico e circuito idrotermale nella Pianura Pontina (Lazio meridionale). Geol. Appl. e Idrogeol., 15, 203-247. BONI A., CASNEDI R. 1970. Note illustrative al foglio 69 “Asti” della Carta Geologica d’Italia al 100.000. Servizio Geologico d’Italia, Roma. BURRAGATO F., MECELLA G., SCANDELLA P. 1999. I fanghi di laveria di sabbie silicee di Priverno: potenzialità di utilizzo in agricoltura. Atti II Convegno Nazionale “Valorizzazione e riciclaggio dei residui industriali”, Università degli Studi dell’Aquila. CIVITELLI G., FUNICIELLO R., PAROTTO M. 1975. Caratteri deposizionali dei prodotti del vulcanismo freatico dei Colli Albani. Geol. Rom., 14, 1-39. MECELLA G., SCANDELLA P., DI BLASI N., PALLUZZI R. 1998. Problematiche di gestione del suolo nei giardini e parchi storici. Atti Convegno “Il giardino storico: rappresentazione, lettura e specie ornamentali”. Torino. Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo con commenti e analisi. Osservatorio nazionale pedologico e per la qualità del suolo. ISMEA, Roma. Ministero per le Politiche Agricole 1997. Metodi di analisi fisica del suolo. Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo. Franco Angeli, Milano. 297 CARATTERIZZAZIONE DEL TURNOVER DELLA SOSTANZA ORGANICA DEL SUOLO E STUDIO DELL’ATTIVITÀ BIOLOGICA DI SOSTANZE UMICHE IN ECOSISTEMI MONTANI SOTTOPOSTI A CAMBIAMENTO D’USO DEL SUOLO Sessi E.a, Pizzeghello D.b, De Siena C.b, Tomasi M.b, Nicolini G.b, Frosi P.a, Nardi S.a a Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Facoltà di Agraria, Università di Padova Strada Romea 16, 35020 Legnaro – Padova b Centro di Ecologia Alpina 38040 Viote del Monte Bondone – Trento. Sommario Nell’ambito del progetto di ricerca Ecomont sono stati selezionati sedici profili pedologici: sette coperti da agrosteti, tre da nardeti e sei da rimboschimenti di conifere. Differenze significative tra le praterie ed i rimboschimenti sono emerse dal test di Kruskal-Wallis: il Carbonio Organico (CO), la frazione umica ad alto ed a basso peso molecolare distinguono i diversi gruppi ad un livello di significatività pari a pW0.01, mentre il pH ed la II frazione distinguono ad un livello di pW0.05. Le sostanze umiche provenienti da alcuni rimboschimenti hanno manifestano elevata attività biologica di tipo auxinico evidenziando come il cambio d’uso del suolo induca modificazioni non solo nel turnover della sostanza organica ma anche nelle loro interazioni con le piante. Introduzione Il suolo rappresenta la maggior riserva mondiale di carbonio il cui contenuto dipende da condizioni ambientali, biogeochimiche e dall’uso del suolo (Bouwman, 1990). Negli ecosistemi naturali l’evoluzione della sostanza organica del suolo dipende dalla densità e tipologia della copertura vegetale e dall’attività dei microrganismi; piante arboree ed erbacee producono infatti lettiere aventi composizioni diverse e quindi dotate di quantità differenti di lignina, cellulosa e fenoli (Johansson, 1986). Il cambiamento d’uso del suolo modifica in modo decisivo la quantità, composizione, turn-over della sostanza organica e la fertilità del terreno (Bouwman, 1990). L’inAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 297-306 (2001) 298 Sessi et al. fluenza antropica sull’ecosistema suolo si riflette sulle caratteristiche strutturali e chimiche delle sostanze umiche (Hanschmann et al., 1997) e di conseguenza sull’attività biologica delle stesse. Le sostanze umiche interagiscono infatti con il metabolismo della pianta in relazione al loro peso molecolare e alla struttura conformazionale dei polimeri (Vaughan et al., 1985). Gli effetti delle sostanze umiche sulla pianta possono essere di tipo diretto e indiretto; tra i primi ricordiamo l’effetto sulla crescita e sullo sviluppo, tra i secondi l’azione sulla respirazione, fotosintesi, assorbimento di macro e micro elementi dal terreno (Tan, 1998). I composti umici interagiscono con i meccanismi di ossidoriduzione di superficie delle radici dei vegetali (Pinton et al., 1985) e con il grado di attività e il polimorfismo degli enzimi di parete. Inoltre essi hanno attività auxino e gibberellino–simile, attività che può essere collegata al contenuto in gruppi fenolici e carbossilici (Nardi et al., 1999). Lo studio ha previsto l’analisi di suoli montani sottoposti a cambiamento d’uso. Sono stati caratterizzati il turnover della sostanza organica e l’attività biologica delle sostanze umiche in tre diverse formazioni vegetali: agrosteto, nardeto e rimboschimento artificiale di abete rosso. Materiali e metodi Area di studio Nell’ambito del progetto UE Ecomont (No ENVA-CT95-0179) è stato realizzato dal Centro di Ecologia Alpina un rilevamento pedologico della Piana delle Viote (M. Bondone –Trento) alla scala di 1:5000 durante il quale sono stati realizzati 45 profili secondo le indicazioni del Soil Survey Division Staff e classificati in base alla tassonomia della FAO-Unesco (1990). Sono stati selezionati 16 profili pedologici dei quali 6 appartenenti ad aree soggette a rimboschimento con Picea abies L. Karst, 3 ricoperti da associazioni Sirvesio-Nardetum-strictae e 7 dall’associazione Scorzonera aristatae-Agrostidetum tenuis. Alcune caratteristiche stazionali dei suoli sono riportate in tabella 1. Analisi chimiche e biochimiche Il CO è stato determinato con il metodo ossidimetrico impiegando K2Cr2O7 1N (Walkley and Black, 1934) e l’azoto con il metodo Kjeldahl. I componenti umici sono stati estratti con il metodo Brenner e Less (1949) ed il contenuto di carbonio umico è stato determinato per via ossidimetrica utilizzando K2Cr2O7 0.1N. Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo 299 Tabella 1 Breve descrizione delle stazioni oggetto di studio. Profilo Orizzonti Copertura considerati vegetale† P19 OH, A, BE, Bt R P23 A, BE, Bt R P35 P43 OH, AE, Bs1 A, AE R R P44 Ah, AE, BE, Bt1 R P45 P1 A, E, EB Ah, A, Bw R A P4 Ah, AE, EB, Bt A P5 P31 P32 P34 P42 A, Bw AE, Ap, EB AE, BE, Bt A, BE, Bt A, BE, Bt A A A A A P6 P7 P22 A, E, Bt Ah, AE, Bhs AE, E, Bt N N N Substrato pedogenetico (1990) Depositi morenici misti Loess su depositi morenici, metamorfici Depositi morenici misti Depositi morenici misti calcarei ricoperti di loess Loess su depositi di versante calcarei Detrito calcareo di versante Loess su depositi morenici calcarei Loess su depositi morenici calcarei Detrito calcareo di versante Depositi morenici misti Depositi morenici misti Depositi morenici misti Loess su depositi morenici calcarei Depositi morenici metamorfici Depositi morenici metamorfici Depositi morenici metamorfici Classificazione FAO Luvic Phaeozem Haplic Alisol Cambic Podzol Haplic Luvisol Haplic Luvisol Haplic Luvisol Haplic Luvisol Haplic Luvisol Eutric Cambisol Luvic Phaeozem Haplic Halisol Haplic Acrisol Ferric-Haplic Acrisol Haplic Acrisol Haplic Podzol Gleyic Acrisol † R = rimboschimento, A = agrosteto, N = nardeto La ripartizione delle sostanze umiche estratte (I frazione>100Kdaltons, II frazione 100-10Kdaltons, III frazione<10Kdaltons), in colonne di Sephadex G-100, è stata ottenuta con il metodo descritto da Ferrari e Dell’Agnola (1963). La quantità di acido indolacetico (AIA) presente nelle sostanze umiche è stata determinata utilizzando un test immunoenzimatico (Phytodetek-IAA, Sigma) ed i fenoli mediante il reattivo FolinCiocalteus (Box, 1983). Le attività invertasica, esterasica e perossidasica sono state valutate in germogli di Picea abies (L.) Karsten di 12 giorni cresciuti in piastre Petri sterili alla temperatura di 25°C e umidità costante. La determinazione dell’attività invertasica è avvenuta seguendo il metodo indicato da Arnold (1965), l’attività esterasica secondo la procedura di Junge e Klees (1984) e quella perossidasica utilizzando il metodo di Putter (1974). L’analisi elettroforetica degli estratti è stata eseguita come descritto da Laemmli (1970). 300 Sessi et al. Analisi statistica Per evidenziare la presenza di correlazioni tra le diverse variabili analizzate, i dati relativi ai parametri chimici dei 50 orizzonti sono stati utilizzati per il calcolo della matrice di correlazione. I campioni sono stati quindi suddivisi in gruppi che tengono conto sia della diversa copertura sia del diverso tipo di orizzonte e, mediante il test non parametrico di Kruskal-Wallis, si è determinata l’esistenza di differenze tra i diversi gruppi. In un secondo tempo, è stata calcolata la matrice di correlazione per i parametri biochimici relativi all’attività biologica degli orizzonti A, AE e Ap. Tutte le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il programma SPSS versione 8.0. Risultati e discussioni In tabella 2 è riportata la matrice di correlazione delle variabili chimiche considerate per i 50 orizzonti relativi ai 16 profili oggetto di studio. Da un esame della tabella si evince come pH e rapporto carbonio umico su carbonio organico (Cu/CO) e pH e CO siano inversamente correlati tra loro rispettivamente per pW0.001 e per pW0.01, mentre pH e II frazione risultano inversamente correlati per pW0.05. Il CO e il rapporto C/N, come il CO e il contenuto in fenoli sono direttamente correlati tra loro per pW0.01, mentre il CO e la I frazione sono direttamente correlati per pW0.001. Il rapporto Cu/CO è direttamente correlato alla I ed alla II frazione rispettivamente per pW0.05 e per pW0.01, mentre è inversamente correlato alla III frazione per pW0.001. La presenza di una correlazione inversa tra il pH e il contenuto di sostanza organica, come tra il pH e la quantità in humus, spiega come nei terreni acidi il turn-over della sostanza organica sia orientato verso un accumulo. La correlazione tra il pH e il peso molecolare apparente delle sostanze umiche, come tra il pH e la resa in humus giustifica la presenza della III frazione nelle situazioni in cui l’evoluzione della sostanza organica è più veloce (Stevenson, 1986). Il contenuto in sostanza organica è direttamente correlato al rapporto C/N, alla presenza della I frazione ed al contenuto in fenoli. Infatti è noto che ad elevati contenuti di sostanza organica corrispondono elevati valori del rapporto C/N ed elevate quantità di fenoli (Vaughan et al., 1985). Dall’analisi del test di Kruskal-Wallis si evince che il CO, la I e la III frazione distinguono i diversi gruppi ad un livello di significatività pari a pW0.01, mentre il pH ed la II frazione li distinguono ad un livello di pW0.05. La matrice di correlazione dei parametri chimici e biochimici degli orizzonti A, AE ed Ap mostra che il contenuto in fenoli e l’attività esterasica e perossidasica sono inversamente correlati per pW0.05. Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo 301 Tabella 2 Matrice di correlazioni dei parametri chimici relativi ai 16 profili studiati (N = 50 orizzonti). pH pH Correlazione di Pearson Sig. (2-code) N CO Correlazione di Pearson Sig. (2-code) N C/N Correlazione di Pearson Sig. (2-code) N CU/CO Correlazione di Pearson Sig. (2-code) N I Correlazione frazione di Pearson Sig. (2-code) N II Correlazione frazione di Pearson Sig. (2-code) N III Correlazione frazione di Pearson Sig. (2-code) N fenoli Correlazione di Pearson Sig. (2-code) N CO C/N CU/CO 1.000 -0.368 0.003 I II III fenoli frazione frazione frazione -0.765 -0.230 -0.334 0.440 -0.056 0 50 -0.368 0.008 0.986 50 50 1.000 0.376 0.000 50 0.324 0.108 50 0.785 0.018 50 0.048 0.001 0.697 50 50 -0.583 0.399 0.008 50 0.003 0.0 0.007 50 50 0.376 1.000 0.022 50 -0.032 0.000 50 0.139 0.742 50 0.138 0.000 0.004 50 50 -0.212 0.026 0.986 50 -0.765 0.007 0.0 50 50 0.324 -0.032 0.828 50 1.000 0.336 50 0.310 0.340 50 0.363 0.139 0.860 50 50 -0.520 0.052 0.000 50 -0.230 0.022 0.828 50 50 0.785 0.139 0.0 50 0.310 0.028 50 1.000 0.009 50 -0.163 0.000 0.718 50 50 -0.555 0.358 0.108 50 -0.334 0.000 0.336 50 50 0.048 0.138 0.028 50 0.363 0. 50 -0.163 0.258 50 1.000 0.000 0.011 50 50 -0.730 -0.120 0.018 0.742 0.340 50 50 50 0.440 -0.583 -0.212 0.009 50 -0.520 0.258 50 -.555 0. 50 -0.730 0.000 0.408 50 50 1.000 -0.147 0. 0.308 50 50 -0.147 1.000 0.001 50 -0.056 0.000 0.139 50 50 0.399 0.026 0.000 50 0.052 0.000 50 0.358 0.000 50 -0.120 0.697 50 0.004 0.860 50 50 0.718 50 0.011 50 0.408 50 0.308 50 0. 50 L’attività esterasica è direttamente correlata al peso molecolare apparente delle sostanze umiche per pW0.01. L’attività invertasica è inversamente correlata al pH per pW0.05, mentre è direttamente correlata al CO per pW0.05. L’attività perossidasica è direttamente correlata alla I frazione umica ad un livello di significatività pari a pW0.01 ed è direttamente correlata al contenuto in acido indolacetico per pW0.01. L’attività invertasica e l’attività esterasica sono inversamente correlate fra loro ad un livello di si- 302 Sessi et al. gnificatività pari a pW0.05. Un approfondimento dello studio mediante l’attività enzimatica è stato effettuato attraverso la tecnica elettroforetica, tecnica che permette di evidenziare il polimorfismo isoenzimatico e di correlarlo all’attività ormono-simile delle sostanze umiche (Nardi et al., 1996). Il profilo elettroforetico, relativo all’attività esterasica (Fig. 1), evidenzia differenze quantitative e qualitative rispetto al controllo nei germogli cresciuti in presenza di AIA e delle sostanze umiche. Le diversità sono particolarmente evidenti nei campioni trattati con gli estratti umici degli orizzonti A, Ah e AE dei siti rimboschiti P19 e P44. In questi zimogrammi infatti è presente una banda proteica che non si riscontra nel controllo né negli altri campioni. Il profilo elettroforetico delle perossidasi (Fig. 2) mette in luce la presenza di una nuova banda nei trattati con AIA e con le sostanze umiche di P44Ah. L’attività biologica dei composti umici provenienti dal sito P19 e P44 è paragonabile a quella indotta dall’AIA. Fig. 1. Analisi elettroforetica dell'esterasi. P1Ah P1A P4Ah P4AE P44Ah P44AE Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo P5A P32AE P19A H2O 303 AIA Conclusioni I parametri chimici impiegati hanno messo in luce la diversa evoluzione della sostanza organica nei suoli oggetto di studio. In particolare: il pH, il contenuto in fenoli, la complessità molecolare delle sostanze umiche ed il loro contenuto in acido indolacetico influenzano diversamente le risposte metaboliche nei germogli di abete rosso. Differenze significative tra le praterie ed i rimboschimenti sono emerse dal test di Kruskal-Wallis tuttavia, a causa della scarsità dei siti presi in esame, non è stato possibile adottare il test per il confronto a due a due fra i gruppi. Studi precedenti avevano delineato come le sostanze umiche provenienti da terreni acidi stimolassero nelle piante attività auxino-simili, mentre frazioni umiche derivanti da 304 Sessi et al. terreni neutri incrementassero le attività gibberellino-simili (Calabrese et al., 1998). Questo studio dimostra che l’attività invertasica essendo inversamente correlata al pH è tipica di ambienti neutri o basici, mentre l’attività esterasica manifestandosi in alternativa all’attività invertasica è caratterizzante degli ambienti acidi. Le sostanze umiche provenienti da alcuni rimboschimenti hanno manifestano un comportamento simile a quello dell’acido indolacetico indicando una spiccata attività biologica. Il cambio d’uso del suolo può indurre quindi modificazioni non solo nel turn-over della sostanza organica, ma anche nell’evoluzione delle sostanze umiche e nelle loro interazioni con le piante. Fig. 2. Analisi elettroforetica della perossidasi. P1Ah P1A P4Ah P44Ah P5A Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo P32AE P19A H2O 305 AIA Ringraziamenti Gli autori desiderano ringraziare i Dr. M.S. Calabrese, P. Magazzini e G. Sartori per la descrizione ed il campionamento dei profili di suolo ad esclusione di P42, P43, P44, P45. Bibliografia ARNOLD, W.N. 1965. Biochim. Biophys. Acta, 100, 134. BRENNER, J.R., LEES, M. 1949. Studies on soil organic matter II. J. Agric. Scienze. 39, 274. BOX, J.D. 1983. Investigation of the Folin-Ciocalteu reagent for the determination of polyphenolic substances in natural waters. Water Res., 17, 511-525. 306 Sessi et al. BOUWMAN, A.F. 1990. Soil and the Greenhouse Effect, (eds A.F. Bouwman), pp. 91-192. Wiley, Chichester. CALABRESE, M.S., NARDI, S., SARTORI, G., PIZZEGHELLO, D., ZANELLA, A., NICOLINI, G. 1998. Forest humus in the provincia of Trento (Italian Alps). 16° Word Congress of Soil Science 20-26 agosto 1998, Montpellier. FAO-UNESCO 1990. Soil Map of the World. Revised Legend, Rome. FERRARI G., DELL’AGNOLA, G. 1963. Fractionation of the organic matter of soil by gel filtration through Sephadex. Soil Science, 96, 418-421. HANSCHMANN, G., GEYER, W., FINDEISE, M., STARK, H.J. and POPP, P. 1997. The role of humic substances in the ecosystems and in enviromental protection. Edited by Drozd J., Gonet S.S., Senesi N., Weber J. JOHANSSON, M.B. 1996. The chemical composition of needle and leaf litter from Scots pine, Norway spruce and White birch in Scandinavian forests. Forestry, 68, 49-61. JUNGE, W. and KLEES, H. 1984. Peroxidase. Bergmeyer HV (ed), Methods of Enzimatic Analysis, A.P. New York. LAEMMLI, U.K. 1987. Cleavage structural proteins during the assembly of the head of bacteriophage T 4. Nature, 227, 680-685. NARDI, S., PIZZEGHELLO, D., RENIERO, F. and MUSCOLO, A. 1999. Biological activity fo humic substances extracted from soils under different vegetation cover. Communication in Soil Science and Plant Analysis, 30 (5&6), 621-634. PINTON, R., CESCO, S., SANTI, S. and VARANINI, Z. 1995. Effect of humic substances on surface redox activity of oat roots. Journal of Plant Nutrition, 18 (10), 2111-2120. PUTTER, J.1974. Peroxidase. In: Methods of Enzimatic Analysis II, HV Bergermeyer, Academic Press, New York. STEVENSON, F.J. 1986. Cycles of Soil. Ed. Wiley & Sons, NY. TAN, K.H. 1998. Principles of soil chemistry. Marcell Dekker Inc., NY. TATE, R.L. 1987. Soil Organic Matter, Biological and Ecological Effect. pp. 26-53. Wiley, New York. VAUGHAN, D. and MALCOM, R.E. 1985. Soil organic matter and biological activity, Dordrecht, Nijhoff Publiscers WALKLEY, A. and BLACK, I.A. 1934. An examination of the Drgtjareff method for the determining soil organic matter and a proposed modification of the chromic acid titration method. Soil Science 37, 29-38. 307 DISTRIBUZIONE DI CU, FE, MN E ZN NEI SUOLI ALLUVIONALI DELLA PIANA DI RIETI E CONFRONTO TRA LA LORO CONCENTRAZIONE NEGLI ORIZZONTI SUPERFÍCIALI E SOTTOSUPERFICIALI Spadoni M.*, Panusa A.**, Lorenzoni P.*, De Simone C.* * Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo. Sezione di Conservazione del Suolo Via Casette, 1 - 02100 Rieti ** Agenzia Nazionale Protezione Ambiente Via Vitaliano Brancati, 48 - 00144 Roma Riassunto Oggetto del presente lavoro è stato lo studio delle concentrazioni di Cu, Fe, Mn, e Zn, nell’orizzonte arato (Ap) ed in quello sottostante, nei suoli della Piana di Rieti, allo scopo di evidenziare analogie o diversità di comportamento in funzione delle caratteristiche dei suoli e della contiguità con attività antropiche, collegate sia alla vicinanza del centro urbano che alla presenza di un’agricoltura di tipo intensivo. I risultati ottenuti indicano come l’analisi congiunta delle frazioni estraibili in DTPA ed in Acqua Regia sia in grado di fornire informazioni riguardo alla natura ed alla portata dei fenomeni di accumulo dei differenti metalli lungo il profilo, nonché suggerire alcuni valori di riferimento indispensabili allo studio dell’evoluzione futura del contenuto e della distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nell’area studiata. Introduzione La piana di Rieti è una delle maggiori aree alluvionali dell’Appennino centrale; presenta un uso intensivo del suolo a fini agronomici caratterizzato dalla diffusione di colture di tipo cerealicolo-industriale costituite prevalentemente da mais, frumento, barbabietola da zucchero e, in subordine, da girasole e soia. L’area si trova in continuità con il centro urbano di Rieti che occupa la sua parte sud orientale. Durante l’Olocene, l’evoluzione morfologica e sedimentaria della pianura è stata guidata dai processi idrodinamici del Fiume Velino, che oggi la attraversa con un corso meandriforme, da SE a NW, e da quelli dei suoi principali affluenti, i fiumi Turano e Cantaro (Ferreli et al., 1990). Numerosi corsi d’acqua minori, provenienti dai rilievi immediatamente circostanti, hanno dato origine a strutture sedimentarie, tipo conoide di deiezione, profondamente interdigitate con i sedimenti della piana. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 307-317 (2001) 308 Spadoni et al. Una considerevole azione di controllo morfologico e sedimentario è stata svolta dall’uomo nel corso degli ultimi duemila anni, attraverso una costante azione di bonifica (Leggio & Serva, 1991). Questa ha comportato il parziale svuotamento del lago che originariamente occupava gran parte dell’area (Lacus Velinus), la creazione di canali preposti al drenaggio delle acque, la realizzazione di arginature artificiali a protezione dei coltivi ed altro ancora. L’area è caratterizzata da un gradiente topografico, da sud a nord, che porta la pianura dai 390 m s.l.m., a sud, fino ai 370 m s.l.m. nel suo margine settentrionale. Qui persistono due specchi d’acqua residuali (Lago Lungo e Lago di Ripasottile) la cui dinamica è rigidamente controllata da un impianto idrovoro. La pedogenesi, avvenuta in quest’area su sedimenti alluvionali a granulometria variabile, in regime di umidità udico, ha dato origine a suoli scarsamente evoluti, appartenenti all’Ordine degli Entisuoli, in corrispondenza dei sedimenti maggiormente sabbiosi e ad Inceptisuoli in corrispondenza dei sedimenti più fini. Questi ultimi presentano talora caratteristiche vertiche in dipendenza della tipologia e dell’abbondanza della frazione argillosa. In un tale ambiente, rappresentativo di numerose aree centroappenniniche, appare evidente l’utilità di valutare il comportamento dei principali micronutrienti in funzione sia delle caratteristiche chimico-fisiche dei suoli, la cui influenza sulla mobilità e sulla biodisponibilità di tali elementi è ben nota (Harter 1983; McGrath et al., 1988; Fernandez-Falcon et al., 1994; Lorenzoni et al., 1996), che delle attività antropiche. Il presente lavoro si è dunque prefisso di studiare le concentrazioni di Cu, Fe, Mn, e Zn, nell’orizzonte arato (Ap) ed in quello sottostante, nei suoli della Piana di Rieti, allo scopo di evidenziare analogie o diversità di comportamento in funzione sia del variare di alcuni parametri pedologici (pH, contenuto in Carbonio organico totale e tessitura) che della presenza, attuale o passata, di specifiche attività umane. Materiali e metodi Da un campionamento condotto secondo uno schema “random stratificato”, su una superficie complessiva di 90 Km2 nella piana di Rieti, sono stati selezionati 48 campioni di suolo rappresentativi di cinque distinte aree geografiche e di differenti contesti morfo-pedologici. Le aree sono state denominate come segue: Comunali (Al), Laghi (A2), S.Pastore (A3), Città (A4), Nucleo industriale (A5). Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali 309 I campioni sono stati prelevati sia dall’orizzonte superficiale arato (Ap: 0-45 cm) che da quello immediatamente sottostante (45-60 cm). Sono state determinate le principali caratteristiche pedologiche dei suoli, quali la tessitura, il pH in H2O e in KCl e il carbonio organico totale (COT). Data la scarsità d’informazione che l’analisi del solo contenuto totale fornisce circa la frazione assimilatile (Tessler et al., 1979), le concentrazioni dei micronutrienti presi in considerazione (Cu, Fe, Mn, e Zn) sono state analizzate sia nella loro frazione estraibile in DTPA (acido dietilentriamminopentacetico ad azione chelante), utilizzata come stima della frazione assimilatile, che in quella estraibile in acqua regia, rappresentativa della frazione totale presente nel suolo. L’estrazione è stata eseguita in accordo con le indicazioni del MIRAAF (1994). Tutti gli estratti sono stati analizzati mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico (apparecchio Perkin Elmer, Modello 1100 B). Lo studio della correlazione lineare tra le variabili studiate (coefficiente di Pearson) e delle loro statistiche descrittive è stato condotto con il software SPSS 6.1 (SPSS inc.). Risultati Uno schema riassuntivo dei principali suoli della piana di Rieti è riportato in tabella 1. Le tessiture più fini sono presenti nelle aree morfologicamente più depresse e generalmente distanti dall’attuale posizione degli alvei principali; per contro, la diffusione di tessiture con una più marcata componente sabbiosa si trova in prossimità del Fiume Velino. I suoli presenti nelle aree depresse presentano altresì un considerevole contenuto in carbonio organico totale in relazione ad uno stato di saturazione idrica del suolo più prolungata nel tempo, e quindi ad una più lenta attivazione dei processi di mineralizzazione. Tabella 1 – Corrispondenza tra tessitura e classificazione dei suoli nella Piana di Rieti (da Spadoni et al., 1999). Tessitura prevalente dei suoli Classificazione secondo Soil Taxonomy 1997 Sabbiosi: Limosi: Argilloso - Limosi: Argillosi: Typic Udifluvents, Aeric Fluvaquents Fluventic Eutrochrepts, Fluvaquentic Eutrochrepts Vertic Eutrochrepts Typic Chromuderts Le aree di campionamento selezionate risultano rappresentative di differenti contesti geografici e geomorfologici. 310 Spadoni et al. • Comunali (A1). Area soggetta ad agricoltura di tipo intensivo, ubicata nel settore meridionale della piana di Rieti ad una quota non inferiore ai 380 m s.l.m. e posizionata tra il F. Velino ed il F. Turano. Fino ad epoche relativamente recenti veniva frequentemente alluvionata dalle periodiche esondazioni dei due corsi d’acqua che innescavano processi di deposizione di sedimenti progressivamente più fini nelle aree più distali. Tessitura variabile in dipendenza della distanza dai corsi d’acqua, da franco-sabbiosa a franco-limoso-argillosa. • Laghi (A2). Area ubicata al margine settentrionale della piana di Rieti in posizione morfologica depressa ad una quota di circa 370 m s.l.m., la cui gestione è improntata ad un utilizzo agricolo intensivo. I suoli sono soggetti a condizioni semipermanenti di idromorfia dovute alla superficialità della falda idrica, presentano una tessitura caratterizzata da un contenuto in argilla mai inferiore al 35%, una notevole abbondanza di carbonio organico (anche superiore al 7%), che può aumentare nell’orizzonte sottosuperficiale in presenza di condizioni di saturazione permanente dei suoli, e pH relativamente basso (pHKCl sempre inferiore a 7). • S. Pastore (A3). Area soggetta ad agricoltura intensiva, ubicata nella parte centrale della piana di Rieti intorno ai 375 m s.l.m. in posizione morfologica intermedia tra Al e A2. I suoli possiedono una sensibile componente limosa, sempre superiore al 45%, e COT intorno all’1%. • Città (A4). Area inserita nel perimetro urbano o in posizione limitrofa, soggetta ad agricoltura di tipo intensivo ancora in atto o praticata fino a tempi recenti. Contiguità con vie di comunicazione di medio-alta frequentazione. Suoli a tessitura franca con componenti argillose o limose più o meno marcate e COT compreso tra l’1 e il 2 %. • Nucleo industriale (A5). Area inserita nel territorio del nucleo industriale della città, costituita da suoli incolti da oltre 15 anni, appartenenti ad una conoide di deiezione limitrofa alla piana di Rieti. Vista l’assenza di una recente omogeneizzazione dell’orizzonte superficiale Ap, il campionamento è stato condotto considerando due orizzonti a profondità comprese tra 0-10 cm e 10-20 cm. Tessiture franche o franco-argillose, COT anche superiore al 2% e pH dell’orizzonte superficiale medio-bassi rispetto ai valori medi della piana reatina. I suoli campionati testimoniano diverse tipologie di gestione ed utilizzo. I principali parametri pedologici nei suoli di ciascuna area e la loro variabilità nei due orizzonti campionati sono riportati in tabella 2 e in figura la (pHKCl e pHH2O) e 1b (C organico totale %). Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali 311 Tabella 2 – Valori assunti dai principali parametri pedologici nelle 5 aree studiate. Sono riportati gli intervalli di oscillazione dei valori. FS=franco sabbioso, FLA=franco limoso argilloso, AL=argilloso limoso, F=franco, FA=franco argilloso. Area Profondità Tessitura pH(H2O) pH(KCl) COT% Comunali A1 Laghi A2 S. Pastore A3 Città A4 Nucleo ind. A5 0-45 45-60 0-45 45-60 0-45 45-60 0-45 45-60 0-10 10-20 8,0 8,0 7,9 7,5 8,1 8,0 7,9 8,0 7,5 8,0 7,1 7,1 6,8 6,8 7,0 7,0 7,0 7,3 6,9 7,2 0,8 0,7 1,8 1,4 0,9 0,6 1,1 0,7 1,2 0,9 FS - FLA FS - FLA AL - FLA AL - FLA F - FL - FLA F - FL - FLA F - FL - FLA- FA F - FL - FLA- FA F - FA F - FA - 8,2 8,2 8,1 8,2 8,2 8,3 8,1 8,2 8,0 8,1 - 7,3 7,2 7,0 7,4 7,3 7,3 7,3 7,6 7,0 7,3 - 1,9 1,0 7,3 7,2 2,4 1,1 2,0 1,3 2,3 1,4 Fig. 1 – a) pH in H2O e in KCl a confronto nei due orizzonti studiati. b) Contenuto percentuale in Carbonio Organico Totale a confronto nei due orizzonti studiati. a b 312 Spadoni et al. In tabella 3 sono riportati i valori di concentrazione rinvenuti per Cu, Fe, Mn e Zn nei campioni studiati, mentre il confronto diretto tra l’andamento delle concentrazioni dei vari elementi negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali è illustrato in figura 2a-h. Tab. 3 – Concentrazione di Cu, Fe, Mn e Zn nei due orizzonti superficiali dei suoli studiati. Viene riportato il valore medio espresso in mg/kg e, tra parentesi, la deviazione standard. Area Prof. Cu (mg/kg) cm DTPA TOT 0-45 4,27 38,95 Comunali (0,90) (19,31) A1 45-60 3,71 35,80 (0,11) (12,02) 0-45 4,76 48,92 Laghi (2,08) (24,23) A2 45-60 4,52 44,47 (2,13) (21,86) 0-45 4,17 39,64 S. Pastore (3,27) (14,38) A3 45-60 2,80 30,46 (1,35) (7,20) 0-45 15,06 61,20 Città (6,64) (28,68) A4 45-60 8,18 40,04 (5,64) (12,99) 0-10 10,82 62,45 Nucleo ind. (9,45) (28,24) A5 10-20 9,50 57,37 (6,60) (20,35) Fe (mg/kg) DTPA TOT 29,75 28418 (10,72) (10233) 32,20 33045 (7,37) (7312) 84,27 36290 (55,75) (5506) 104,32 30071 (81,61) (9711) 41,64 31666 (10,58) (6888) 23,52 32928 (4,88) (6715) 29,58 29510 (5,20) (7108) 21,66 29618 (6,98) (9407) 23,53 28524 (7,71) (6282) 24,74 29101 (6,81) (4124) Mn (mg/kg) DTPA TOT 21,0 596,2 (11,8) (161,1) 14,7 682,4 (2,3) (137,0) 21,7 558,3 (10,4) (164,8) 16,8 322,1 (11,5) (107,6) 27,6 705,5 (8,8) (149,0) 15,7 657,3 (3,6) (169,1) 32,5 777,7 (9,5) (171,9) 17,9 554,1 (4,3) (152,0) 40,5 1115,5 (13,1) (281,2) 30,1 960,1 (5,5) (148,0) Zn (mg/kg) DTPA TOT 2,51 71,2 (0,71) (24,3) 1,05 77,9 (0,22) (19,5) 3,42 90,7 (0,55) (15,8) 1,48 80,4 (0,88) (23,7) 3,93 74,7 (1,26) (16,3) 0,88 74,8 (0,54) (15,4) 4,58 77,8 (2,26) (21,7) 1,00 76,2 (0,51) (24,2) 3,09 66,6 (0,78) (11,3) 1,05 69,6 (0,27) (8,0) Dall’osservazione dei valori di concentrazione del Fe[DTPA] si evidenzia come, in quattro delle cinque aree considerate (Al, A3, A4 e A5), i valori siano non dissimili e compresi tra 11,70 e 58,58 mg/kg. Valori sensibilmente più elevati (con una media di 84,27 mg/kg e fino ad un max di 241,6 mg/kg) sono invece stati riscontrati nell’area A2. Ciò si deve probabilmente imputare all’elevato contenuto di sostanza organica dei suoli qui presenti (tabella 2), ai pH più bassi rispetto a quelli delle altre aree e all’ambiente scarsamente aerato, fattori che stimolano la formazione di complessi pseudosolubili con la componente organica. A sostegno di quanto sopra si noti la spiccata somiglianza tra gli andamenti illustrati nelle figure lb e 2c che illustrano, rispettivamente, l’andamento del contenuto in C organico totale e quello delle concentrazioni in Fe[DTPA] , e gli elevati valori dei loro coefficienti di correlazione riportati in tabella 4. Complessivamente i Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali 313 Fig. 2 - Concentrazioni a confronto di Cu (a-b), Fe (c-d), Mn (e-f) e Zn (g-h) nei due orizzonti studiati. 314 Spadoni et al. valori di concentrazione non sembrano presentare differenze significative tra l’orizzonte superiore e quello inferiore. Anche per quanto riguarda la concentrazione di Fe totale la principale differenziazione si evidenzia nei suoli dell’area A2. Qui le concentrazioni superiori nell’orizzonte Ap rispetto a quelle dell’orizzonte sottosuperficiale (figura 2d), sono da imputarsi alla maggiore mobilizzazione, sotto forma di carbonato, del Fe ridotto nell’orizzonte sottostante l’Ap. Il ferro è qui infatti soggetto ai processi di migrazione legati alle oscillazioni stagionali della falda subsuperficiale. Il Mn mostra una distinzione abbastanza chiara tra le concentrazioni dell’orizzonte Ap e quelle dell’orizzonte sottostante per ciò che riguarda sia l’estraibile in DTPA che per il contenuto totale. In particolare, i valori di concentrazione risultano essere, nella maggior parte dei casi, distintamente superiori nell’orizzonte Ap (tabella 3) specialmente nell’area A2, in modo del tutto analogo a quanto evidenziato per il Fe. Tale risultanza è conforme alle analogie comportamentali dei due elementi e alla loro simile risposta alle diverse caratteristiche pedologiche. In assoluto, i valori più elevati, per entrambe le frazioni estratte, si rinvengono nei suoli dell’area urbana (A4) e della contigua area industriale (A5) (tabella 3, figura 2e-f). Le concentrazioni di Cu appaiono complessivamente molto simili nei due orizzonti studiati, sia relativamente alla frazione estraibile in DTPA che a quella totale (tabella 3 e figure 2a e 2b). Una significativa eccezione è però rappresentata dai suoli dell’area A4 in cui si nota un chiaro incremento dei valori nell’orizzonte Ap. In questo caso, alla luce della storia colturale della zona contigua all’area urbanizzata, si può ragionevolmente ipotizzare una relazione tra l’accumulo di questo elemento nell’orizzonte superficiale e l’utilizzo del solfato rameico (CuSO4) nell’ambito della coltivazione della vite, attuata fino a tempi relativamente recenti al fine di proteggere tale pianta da funghi e patogeni (Massullo, 1998). Tale processo di relativo arricchimento è favorito da due proprietà dell’elemento: la capacità che ha il Cu di fissarsi in modo molto forte ai siti di scambio delle argille, alla sostanza organica e agli ossidi di Fe, Al e Mn, e la conseguente scarsa mobilità di tale elemento lungo il profilo pedologico. Quest’ultima è anche rafforzata dai valori di pH[H2O] relativamente alti e mai inferiori a 7,9. Le caratteristiche dell’elemento, pertanto, associate con le proprietà pedologiche dei suoli studiati, hanno indotto un arricchimento sia nella frazione “assimilabile”, quella legata alle argille e parzialmente alla sostanza organica, sia in quella totale, ovvero in quella più strettamente legata agli ossidi. In accordo con quanto riportato in letteratura (Adriano, 1986), Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali 315 il contenuto in Zn lungo il profilo pedologico sembra differenziarsi solo per le concentrazioni della frazione assimilabile mentre risulta pressoché identico per ciò che riguarda il totale. Lo Zn[DTPA] presenta concentrazioni costantemente più elevate nell’orizzonte Ap (concentrazioni fino a 4 o 5 volte maggiori) come è chiaramente visibile dalla figura 2g. Si nota inoltre una marcata variabilità dei valori della concentrazione nell’orizzonte Ap a fronte di una relativa costanza dei valori osservati nell’orizzonte sottostante, come appare dai valori della deviazione standard riportati in tabella 3. Ciò suggerisce la possibile esistenza di fenomeni locali di accumulo nell’orizzonte superiore, da confrontare con un “valore di fondo”, indipendente dall’ubicazione del campione e dalle caratteristiche pedologiche, costituito dai valori di concentrazione nell’orizzonte sottosuperficiale. Il comportamento diversificato dello Zn[DTPA] è anche evidenziato dal basso valore del coefficiente di correlazione esistente tra le concentrazioni dell’elemento nei due orizzonti considerati (tabella 4). L’origine di questo elemento nei suoli potrebbe essere legato all’utilizzo, diffuso in questa area, di fertilizzanti complessi. Tab. 4 – Coefficienti di correlazione di Pearson tra gli elementi, il pH e il COT%, nonché tra le concentrazioni nei due orizzonti. Coefficienti di correlazione (Pearson) PH[H2O] PH[KCl] C% 0-45/45-60cm Cu [DTPA] Cu [tot] Fe [DTPA] Fe [tot] Mn [DTPA] Mn [tot] Zn [DTPA] Zn [tot] 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm 0-45 cm 45-60 cm -0,2967 -0,3702 -0,4946* -0,6453** -0,0658 -0,1064 -0,0916 0,0446 -0,4089 -0,5280** -0,3852 -0,1909 -0,0245 -0,2098 -0,0485 -0,0085 0,1041 0,0808 -0,3596 -0,4801* -0,4285* -0,4003 -0,6395 -0,3541 -0,2666 -0,2870 -0,2669 0,0165 0,0249 -0,2886 -0,5516** -0,4238* -0,1612 -0,1249 0,0496 0,2493 0,9175** 0,7836** 0,5650 0,2809 -0,1924 0,0872 -0,3075 -0,4213* -0,0086 0,5085* 0,4815* 0,3633 0,8716** 0,8483** 0,7899** 0,7850** 0,6958** 0,7712** 0,1348 0,8942** *0,01<p<0,05 **p<0,01 Nessuna differenziazione è invece presente nelle concentrazioni di Zn[tot] per il quale le analisi mostrano una notevole concordanza dei valori nei due orizzonti (tabella 3 e figura 2h). I valori assoluti delle concen- 316 Spadoni et al. trazioni di tutti gli elementi studiati, stando a quanto riportato in bibliografia, rientrano negli intervalli attesi per suoli analoghi a quelli da noi esaminati (Adriano, 1986) e non denotano carenze o superamento di soglie limite. Conclusioni L’interazione tra i processi pedogenetici e l’attività antropica ha influenzato considerevolmente la distribuzione areale delle concentrazioni di Cu, Fe, Mn e Zn e l’abbondanza di tali elementi lungo i due orizzonti più superficiali dei suoli della piana di Rieti. La valutazione delle differenti condizioni idrogeologiche e morfologiche dell’area, nonché, della contiguità dei suoli con il centro abitato, ha permesso di evidenziare differenze e analogie di comportamento degli elementi studiati e di mettere a fuoco l’esistenza di fenomeni di accumulo. L’analisi congiunta della frazione estraibile in DTPA e di quella estraibile in Acqua Regia, ha potuto fornire informazioni essenziali riguardo alla natura e all’entità dei processi di accumulo e migrazione degli elementi lungo il profilo, consentendo anche una puntuale valutazione dell’influenza delle attività antropiche. Il confronto tra i diversi estratti, affiancato dall’analisi dei principali parametri pedologici, si è dimostrato pertanto fondamentale per uno studio integrato dei suoli che voglia chiarire sia la dinamica dei processi naturali che l’influenza dell’attività dell’uomo. Lo studio delle concentrazioni estraibili in DTPA e in Acqua Regia ha inoltre fornito utili valori di riferimento che costituiscono una tappa fondamentale per la comprensione dell’evoluzione futura dei processi che sono alla base dell’accumulo e della migrazione lungo il profilo di Cu, Fe, Mn e Zn. Bibliografia ADRIANO D.C.. 1986. Trace elements in the terrestrial environment, Springer-Verlag, pp. 533. FERNANDEZ-FALCON M., BORGES-PEREZ A., PEREZ-FRANCES J.F., BORGES A.A., LOPEZ-CARRENO, 1994. Available micronutrients in agricultural soils of Tenerife (Canary Islands). I.- copper and zinc. Agrochimica, vol. XXXVIII, 268-274. FERRELI L., PAROTTO M., SERVA L., 1990. Evoluzione del reticolo idrografico nella piana di Rieti tra il Neolitico e il recente. 75° Congresso S.G.I., 10-12 settembre, Milano. HARTER R.D., 1983. Effect of soil pH on adsorption of Lead, Copper, Zinc and Nickel. Soil Sci. Am. J., 47, 47-51. LEGGIO T., SERVA L., 1991. La bonifica della piana di Rieti dall’età romana al medioevo. Sicurezza e protezione, 25/26. Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali 317 LORENZONI P., DE SIMONE C., SPADONI M., GUIDOTTI M., COLASANTI G., ONORATI B., 1996. Influenza di alcune caratteristiche pedologiche sulla biodisponibilità di rame, ferro, manganese e zinco. Atti XVI Convegno Nazionale della Società Italiana di Chimica Agraria, 253-262. MASSULLO G., 1998. La conca reatina: agricoltura e ambiente fra ottocento e novecento. Atti del Convegno Geografico Internazionale “I valori dell’agricoltura nel tempo e nello spazio”, Rieti, 1-4 novembre 1995, 147161. McGRATH S.P., SANDERS J.R.and SHALABY M.H., 1988. The effects of soil organic matter levels on soil solution concentrations and extrabilities of manganese, zinc and copper. Geoderma, 42, 177-188. MIRAAF, 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica dei suoli, 207 pp. SPADONI M., RAGLIONE M., LORENZONI P., DE SIMONE C., RASPA G., 1999. Il contenuto in metalli pesanti nei suoli della piana di Rieti. Atti del Convegno Nazionale A.I.P. “Inquinamento del Suolo. Aspetti agroambientali e ruolo della pedologia”. Rieti, 26-28 maggio 1998, 107-121. TESSLER A.. CAMBELL P.G.C. and BISSON, 1979. Sequential extraction procedure for the speciation of particulate trace elements. Analytical Chemistry, 7, 844-851. 319 DINAMICA DELLA STRUTTURA IN UN SUOLO FRANCO ARGILLOSO INVESTITO A VIGNETO E SOTTOPOSTO A DIVERSE MODALITÀ DI GESTIONE 1 Nadia Vignozzi, Sergio Pellegrini, Marcello Pagliai 2 Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo – Firenze Riassunto Sono stati studiati gli effetti di diverse tecniche alternative di gestione del vigneto, inerbimento e lavorazioni ridotte, sulla struttura del suolo, durante l’arco completo di un anno. La caratterizzazione della struttura è stata eseguita attraverso la quantificazione della porosità, mediante analisi di immagine, e la determinazione della stabilità degli aggregati. I risultati hanno evidenziato che non ci sono rilevanti differenze fra i valori di porosità delle diverse tesi a confronto in nessuna delle epoche studiate. Il terreno inerbito con trifoglio presenta sempre una macroporosità molto ben distribuita; in tutte le altre tesi la distribuzione dimensionale dei pori non presenta differenze molto pronunciate, in particolare la porosità di tipo allungato tende a spostarsi nelle classi dimensionali più piccole. Per quanto riguarda la stabilità strutturale, è interessante notare come in tutte le epoche di campionamento i valori più alti di stabilità degli aggregati si riscontrano nel terreno inerbito con trifoglio; le altre tesi inerbite mostrano un andamento discontinuo e valori sempre più bassi rispetto al trifoglio. La stabilità degli aggregati più bassa è stata comunque sempre rilevata nel terreno sottoposto a rippatura, ove peraltro dalle osservazioni micromorfologiche si riscontra la formazione di croste superficiali. Introduzione Nelle aree viticole dell’Italia centrale e meridionale la gestione del suolo prevede ancora le pratiche tradizionali, consistenti in lavorazioni superficiali eseguite durante la tarda primavera e l’estate; gli scopi di tali lavorazioni sono: eliminare le malerbe, preservare il contenuto idrico del suolo e interrare i fertilizzanti. 1 Ricerca condotta nell'ambito del progetto "Chianti Classico 2000" in collaborazione con il Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose dell'Università degli Studi di Pisa. 2 L'impostazione, la discussione e la stesura del lavoro è da attribuirsi in parti uguali ai tre autori. Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 319-327 (2001) 320 Vignozzi et al. D’altra parte l’esperienza ha ampiamente dimostrato che le lavorazioni continue sono fra i maggiori responsabili della degradazione del suolo; tanto più dove, a causa della disposizione dei filari, queste sono eseguite a rittochino. Per questo motivo in alcuni ambienti, dove l’attenzione alla protezione delle risorse paesaggistiche e ambientali comincia ad affermarsi, si vanno diffondendo sempre più alcune tecniche di gestione del suolo alternative alle tradizionali, anche se le condizioni pedo-climatiche non sono ottimali. I risultati di ricerche preliminari (Vignozzi et al., 1997) hanno evidenziato, seppure in modo e misura diversa in rapporto all’ambiente pedo-climatico, l’influenza positiva, in generale, dell’introduzione di tecniche di gestione del vigneto alternative alle tradizionali sulla struttura del suolo; in particolare, dell’adozione dell’inerbimento in quanto maggiormente capace rispetto alle lavorazioni sia pure ridotte di ridurre i rischi erosivi. Il presente lavoro rappresenta un ulteriore approfondimento per la valutazione di questi modelli di gestione. Riportando gli effetti dei diversi tipi di inerbimento e delle lavorazioni ridotte sulla struttura del terreno durante l’arco completo di un anno si intende valutare la dinamica di questo importante indicatore delle qualità fisiche del suolo al fine di contribuire all’individuazione del modello di gestione che meglio si adatta all’esigenza dell’ambiente considerato. La struttura è stata caratterizzata attraverso la quantificazione della porosità mediante analisi di immagine su sezioni sottili preparate da campioni indisturbati di suolo e tramite la determinazione dell’indice di stabilità strutturale. Materiali e metodi La ricerca è stata condotta in un vigneto sperimentale denominato “Lilliano” situato nel comune di Castellina in Chianti. Nel campo, caratterizzato da un terreno franco argilloso e una disposizione dei filari secondo la massima pendenza, è in corso una sperimentazione volta a valutare gli effetti di diverse modalità di gestione del vigneto – 1) lavorazione con ripper, 2) inerbimento naturale, inerbimento controllato con 3) Bromus catarticum, con 4) Lolium perenne+Festuca rubra e con 5) Trifolium subterraneum – sulle qualità fisiche del suolo legate ai rischi di erosione ed alla protezione dell’ambiente. L’esperimento è stato programmato prevedendo tre campiona- Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse modalità di gestione 321 menti durante l’arco completo di un anno - settembre ’96, maggio ’97, settembre ’97. Le misure di porosità sono state effettuate su campioni indisturbati di terreno prelevati nello strato superficiale (0-10 cm) delle parcelle, con sei ripetizioni per tesi. I campioni sono stati essiccati seguendo il metodo che prevede la sostituzione dell’acqua con acetone e impregnati sotto vuoto con una resina poliestere; una volta induriti, da ogni campione è stata preparata una sezione sottile, verticalmente orientata, delle dimensioni di 6x7 cm e dello spessore di 20-25 µm (Murphy, 1986). Le sezioni sottili sono state esaminate mediante un analizzatore di immagine, usando il software IMAGE-PRO PLUS, prodotto dalla “Media Cybernetics” (Silver Spring - USA), per le misure di porosità. I pori sono stati caratterizzati secondo la loro forma (espressa dal seguente fattore di forma: perimetro2/(4π.area)), e divisi in tre gruppi morfologici: pori più o meno regolari (fattore di forma 1-2); pori irregolari (fattore di forma 2-5); pori allungati (fattore di forma >5). I pori di ciascun gruppo sono stati poi ulteriormente suddivisi in classi dimensionali secondo il loro diametro equivalente per i regolari e irregolari e secondo la loro larghezza per quelli allungati (Pagliai et al., 1983, 1984). Le sezioni sono state inoltre esaminate al microscopio polarizzatore Zeiss R POL a 25 ingrandimenti per le osservazioni micromorfologiche. L’indice di stabilità di struttura è stato determinato sulla frazione 1-2 mm di campioni di terreno prelevati nello strato superficiale (0-10 cm), seguendo il metodo a determinazione unica con depurazione dalla sabbia ed oscillazione verticale. L’indice di stabilità di struttura è definito dall’espressione (C-D/A+B-D).100, dove A è il peso degli aggregati all’inizio della determinazione, C il peso degli aggregati rimasti dopo 30’ di oscillazione raccolti, mediante getto di acqua distillata, dal cestello in una capsula di vetro ed essiccati in stufa a 105°C, B il peso della capsula di vetro, D il peso della sabbia (Pagliai et al., 1997). Ogni determinazione è stata effettuata in triplo. Risultati I risultati hanno evidenziato che non ci sono rilevanti differenze fra i valori di porosità delle diverse tesi a confronto in nessuna delle epoche studiate (Figg. 1 e 2). 322 Vignozzi et al. Figura 1 – Effetto di differenti modalità di gestione del suolo sulla porosità espressa come percentuale dell’area occupata dai pori per sezione sottile di terreno (media di sei ripetizioni) nelle tre diverse epoche di campionamento. (Le tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di Duncan al livello del 5%). Porosità totale 18 16 14 % a a a ab a 12 10 a ripper inerb. nat bromus lol+fest trifoglio a a a b b 8 6 a ab b a 4 2 0 set-96 mag-97 set-97 Figura 2 – Effetto di differenti modalità di gestione del suolo sulla porosità allungata espressa come percentuale dell’area occupata dai pori allungati per sezione sottile di terreno (media di sei ripetizioni) nelle tre diverse epoche di campionamento. (Le tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di Duncan al livello del 5%). Porosità allungata 12 a 10 8 % 6 a a a a ab a a b 4 a a a b b b 2 0 set-96 mag-97 set-97 ripper inerb. nat bromus lol+fest trifoglio Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse modalità di gestione 323 In tutte le tesi ad eccezione del trifoglio sia la porosità totale che quella allungata mostrano un andamento discontinuo; in particolare si nota che la percentuale di porosità diminuisce nei campioni di terreno prelevati a maggio, soprattutto in quelli sottoposti a lavorazione. Questo risultato è giustificato dal fatto che il campionamento è stato eseguito circa un mese dopo la lavorazione e durante questo intervallo di tempo si sono registrate piogge di notevole intensità; la copertura vegetale ha avuto in questo caso una funzione molto importante nel proteggere gli strati superficiali del terreno dall’azione battente delle piogge. Confrontando la distribuzione dimensionale dei pori per le diverse tesi in ciascuna delle tre epoche di campionamento non si notano, ad eccezione del trifoglio, differenze molto pronunciate; analizzando l’evoluzione, durante l’arco completo di un anno, della distribuzione dimensionale nell’ambito di ciascuna tesi è evidente come la porosità di tipo allungato tende a spostarsi nelle classi dimensionali più piccole. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente nella tesi lavorata con ripper (Fig. 3) indicando un compattamento della struttura del terreno con riduzione della continuità dei pori soprattutto in senso verticale. Il trifoglio sembra avere con il tempo una azione miglioratrice (Fig. 4); si nota infatti un aumento della porosità di tipo allungato nelle classi comprese fra 50 e 500 µm, cioè proprio di quei pori detti di trasmissione che secondo Greenland (1977) ed altri autori (Pagliai e De Nobili, 1993) sono i più importanti per i flussi idrici e lo sviluppo degli apparati radicali. L aumento di questi pori origina una struttura poliedrica subangolare distribuita omogeneamente lungo il profilo in cui i pori stessi mostrano un’ottima continuità in senso verticale garantendo l’infiltrazione dell’acqua. Per quanto riguarda la stabilità strutturale, è interessante notare come in tutte le epoche di campionamento i valori più alti si riscontrano nel terreno inerbito con trifoglio; le altre tesi inerbite mostrano un andamento discontinuo e valori sempre più bassi rispetto al trifoglio (Fig. 5). Comunque, i più bassi valori di stabilità degli aggregati sono stati sempre rilevati nel terreno sottoposto a rippatura, ove peraltro dalle osservazioni micromorfologiche si riscontra la formazione di croste superficiali (Fig. 6) le quali riducono l’infiltrazione dell’acqua aumentando il ruscellamento superficiale e quindi i rischi erosivi. 324 Vignozzi et al. Figura 3 – Distribuzione dimensionale dei pori, espressa come diametro eqivalente per i pori regolari e irregolari e larghezza per i pori allungati, nelle tre epoche di indagine. Ripper - Settembre 1996 Pori Regolari 8 Pori Irregolari Pori Allungati POROSITA' (%) 7 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-1000 > 1000 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) Ripper - Maggio 1997 Pori Regolari 8 Pori Irregolari Pori Allungati POROSITA' (%) 7 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-1000 > 1000 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) Ripper - Settembre 1997 Pori Regolari 8 Pori Irregolari Pori Allungati POROSITA' (%) 7 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) 500-1000 > 1000 Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse modalità di gestione 325 Figura 4 – Distribuzione dimensionale dei pori, espressa come diametro equivalente per i pori regolari e irregolari e larghezza per i pori allungati, nelle tre epoche di indagine. Trifoglio - Settembre 1996 Pori Regolari POROSITA' (%) 8 7 Pori Irregolari Pori Allungati 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-1000 > 1000 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) Trifoglio - Maggio 1997 Pori Regolari 8 Pori Irregolari Pori Allungati POROSITA' (%) 7 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-1000 > 1000 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) Trifoglio - Settembre 1997 Pori Regolari POROSITA' (%) 8 Pori Irregolari Pori Allungati 7 6 5 4 3 2 1 0 < 100 100-200 200-300 300-400 400-500 CLASSI DIMENSIONALI (µ µ m) 500-1000 > 1000 326 Vignozzi et al. Figura 5 – Indice di stabilità strutturale delle diverse tesi poste a confronto nelle tre epoche di campionamento (Le tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di Duncan al livello del 5%). Indice di stabilità di struttura 95 90 85 ab 80 75 70 a a a ab a b ab ab c b b b b c ripper inerb. nat. bromus lol+fest trifoglio 65 60 set-96 mag-97 set-97 Figura 6 – Macrofotografie di sezioni sottili, verticalmente orientate, dello strato superficiale (0-6 cm) di un terreno sottoposto a inerbimento controllato con Trifolium subterraneum (sinistra) e lavorazione con ripper (destra). Altezza della macrofotografia 3 cm. Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse modalità di gestione 327 Conclusioni I risultati indicano che nell’ambiente pedo-climatico oggetto di indagine l’inerbimento con trifoglio sembra essere la tecnica di gestione migliore. L’impiego di questa essenza consente una buona strutturazione del terreno, mantenendola stabile nel tempo. In generale comunque, in questo ambiente, qualunque inerbimento è da preferirsi alle lavorazioni, anche se ridotte, in quanto la copertura vegetale migliora la struttura e impedisce la formazione di croste superficiali, che insieme al compattamento e alla presenza di suole di lavorazione rappresentano gli aspetti principali della degradazione fisica del suolo. Il presente lavoro è inoltre un’ulteriore conferma dell’importanza della metodologia utilizzata nel determinare la porosità del terreno. Nel caso studiato il dato di porosità totale non avrebbe quantificato le reali caratteristiche strutturali del suolo; lo studio del sistema dei pori nel suo complesso attraverso l’analisi di immagine e le osservazioni micromorfologiche, ha consentito di ottenere risultati interessanti in quanto l’arrangiamento dei pori ha permesso di definire il tipo di struttura e una valutazione funzionale dei pori stessi. Ringraziamenti Gli autori ringraziano la Sig.ra M. Morandi, il Sig. G. D’Egidio e il Sig. A. Rocchini per l’assistenza tecnica, nonché la Dr.ssa O. Grasselli per la programmazione e realizzazione del piano di campionamento. Bibliografia GREENLAND D.J. 1977. Soil damage by intensive arable cultivation: temporary or permanent? Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 281, 193-208. MURPHY C.P. 1986. Thin section preparation of soil and sediments. A B Academic Publishers, Herts, pp.149. PAGLIAI M., LA MARCA M. e LUCAMANTE G. 1983. Micromorphometric and micromorphological investigations of a clay loam soil in viticulture under zero and conventional tillage. J. Soil Sci., 34, 391-403. PAGLIAI M., LA MARCA M., LUCAMANTE G. e GENOVESE L. 1984. Effects of zero and conventional tillage on the length and irregularity of elongated pores in a clay loam soil under viticulture. Soil Tillage Res., 4, 433-444. PAGLIAI M. e DE NOBILI M. 1993. Relationships between soil porosity, root development and soil enzyme activity in cultivated soils. Geoderma, 56, 243-256. PAGLIAI M., TORRI D. e PATRUNO A. 1997. Stabilità e distribuzione dimensionale degli aggregati. In: M. Pagliai (coordinatore) Metodi di analisi fisica del suolo. Franco Angeli, Roma. VIGNOZZI N., PELLEGRINI S. e PAGLIAI M. 1997. Impatto di diverse modalità di gestione del vigneto sulle qualità fisiche di due tipi di suolo. Atti del Convegno annuale S.I.S.S. “La qualità del suolo per un ambiente sostenibile” – Roma Giugno 1997. 329 MESSA A PUNTO E PRIME APPLICAZIONI DI UN SISTEMA SPERIMENTALE PER LO STUDIO DELLE TRASFORMAZIONI DI MATERIALI ORGANICI NEL SISTEMA SUOLO-PIANTA Zaccheo P.a, Crippa L.a, Ricca G.b, Cabassi G.a a Dipartimento di Produzione Vegetale, sez. Fisiologia delle Piante Coltivate e Chimica Agraria Università degli Studi di Milano b Centro di Studio per le Sostanze Naturali del C.N.R., Dipartimento di Chimica Organica e Industriale, Università di Milano Riassunto In questo lavoro viene presentato un approccio metodologico per lo studio della decomposizione nel suolo di residui organici impiegati come ammendanti (residui colturali, compost, fanghi, reflui, letami ecc.) e del conseguente rilascio di nutrienti. La separazione del materiale organico dal substrato di incubazione consente di effettuare bilanci di massa, di determinare quantitativamente l’evoluzione di carbonio, azoto e altri elementi minerali a seguito della decomposizione, e di seguire le trasformazioni della componente organica con tecniche spettroscopiche quali la spettroscopia DRIFT. Il metodo viene sperimentato impiegando tre materiali organici: due compost di differente origine e piante di mais essiccate e macinate. Introduzione Le tecniche di confinamento di materiali organici in ambiente separato dal substrato di incubazione possono essere vantaggiosamente adottate nello studio degli effetti del compostaggio sull’intensità e la dinamica dei processi di decomposizione che avvengono dopo l’incorporazione di tali materiali nel suolo. Scarse sono infatti le conoscenze circa il comportamento di compost di diversa origine, o prodotti in condizioni differenti, una volta introdotti nel suolo, dove l’intensa attività radicale e la presenza della biomassa microbica possono indurre nuovamente una trasformazione della sostanza organica, seppur già stabilizzata dal precedente processo di compostaggio (Genevini & Zaccheo, 1998; Zaccheo et al., 1993). La tecnica di confinamento dei materiali organici simula la compartimentalizzazione degli aggregati di sostanza organica nel suolo, addensati in ‘hot spots’ ad elevata Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”, Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 329-335 (2001) 330 Zaccheo et al. densità microbica, e consente la separazione tra il substrato esplorato dalle radici (suolo, sabbia o altro substrato) ed i campioni dei diversi materiali, che vengono posti in un ambiente confinato nel quale è tuttavia garantito il passaggio di aria, soluzione circolante e cellule microbiche. Questa tecnica, mutuata dagli studi sulle trasformazioni delle lettiere in suoli naturali (con l’impiego delle cosiddette ‘litter bags’) (Bocock & Gilbert,1957), permette di effettuare bilanci di massa e di quantificare il rilascio dei nutrienti, nonché di valutare l’effetto di variazioni dei parametri ambientali sui ritmi e sulle modalità di decomposizione. Inoltre il materiale, al termine della sperimentazione, può essere sottoposto ad analisi chimiche e spettroscopiche senza l’interferenza del substrato minerale o della biomassa radicale. Le analisi relative alla quota di nutrienti assorbita dalle piante o presenti in forma solubile nel substrato possono inoltre consentire di associare la potenzialità fertilizzante a breve termine dei compost alle frazioni labili della sostanza organica, la cui caratterizzazione e valutazione quantitativa sono rese possibili dalle peculiarità del metodo sperimentale. Materiali e metodi I contenitori dei materiali organici sono costituiti da due dischi Millipore (diametro 46 mm, porosità 2 µ) in lana di vetro con legante acrilico, distanziati da un anello in gomma (spessore 5mm) saldato ai dischi con colla siliconica, delimitanti un volume interno utile di 6.6 cc. Le cialde così ottenute, pesate individualmente prima dell’allestimento della prova, vengono successivamente riempite con un corrispondente volume dei residui organici previamente essiccati e macinati, inoculato con circa 70 mg di un suolo fertile, quindi sigillate e pesate nuovamente. Ogni cialda viene posta orizzontalmente a circa 5 cm di profondità in vasetti (vol. 300 ml) riempiti di sabbia silicea lavata, che viene portata al 50% della capacità idrica massima. Per seguire l’evoluzione della CO2 dai materiali in studio, 5 vasetti per trattamento vengono posti in barattoli a chiusura ermetica (vol. 1 l) con un becker contenente NaOH 0.5 N, che viene titolata con HCl 0.5 N. In altri 5 vasetti per trattamento vengono trapiantate tre piantine di lattuga (var. Augusta), fertilizzate con una soluzione contenente fosforo e potassio in quantità corrispondenti a 150 unità/ha di P2O5 e 240 di K2O, meso e microelementi. Entrambe le prove sono condotte in serra, con identiche condizioni climatiche. Al termine della prova (30 giorni) le piantine intere vengono separate dalla sabbia, lavate e determinato il peso secco e il contenuto in azoto Kjieldahl. Le cialde di entrambe le prove vengono estratte, liberate dal- Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni di materiali organici nel sistema suolo-pianta 331 le radici eventualmente aderenti alla superficie esterna e pesate (secco a 105° C). Il materiale organico estratto dalle cialde delle 5 repliche viene miscelato, pesato e analizzato per il contenuto in carbonio (metodo Springer e Klee), azoto Kjieldahl, ceneri. L’analisi statistica dei dati è stata effettuata mediante ANOVA e le differenze tra le tesi valutate con LSD (p=0.05). Gli spettri FTIR sono stati ottenuti con tecniche di riflettanza diffusa mescolando 20 mg di campione con 300 mg di KBr. Spettri medi ottenuti da 4 campioni diversi dei materiali al tempo iniziale e a quello finale di incubazione, così come proposto da Bak, 1998, sono stati elaborati secondo l’algoritmo proposto da Banerjee & Li (1991) per la sottrazione spettrale. Questo algoritmo, chiamato ‘Dewiggle’ individua il fattore di scalatura dello spettro sottraendo come quello che minimizza il modulo dell’area della derivata prima dello spettro residuo. Viene così eliminato l’effetto della componente lineare della linea di base e lo spettro residuo viene individuato con il criterio della minima complessità. Risultati e conclusione Le caratteristiche dei materiali organici impiegati nella messa a punto del metodo sono riportate in Tab. 1. Il mais è stato scelto come materiale di riferimento dei compost, in quanto a veloce degradazione nel suolo; gli indici di umificazione e germinazione caratterizzano i due compost come materiali di qualità simile, pur essendo costituiti a partire da scarti organici differenti (residui ligno-cellulosici il compost A, frazione umida di RSU miscelata a scarti verdi il compost B). Tab. 1 - Caratteristiche analitiche dei materiali organici Materiali Indice di umificazione (HI) Indice di germinazione (IG) C/N pH Compost A (verde) Compost B (misto) Mais (piante essiccate) 0.33 0.40 n.d. 0.74 0.72 n.d. 15.0 14.6 18.9 8.4 8.0 6.0 I risultati della perdita in sostanza secca dopo 30 giorni di incubazione, riportati in Tab. 2, evidenziano marcate differenze tra tutti i trattamenti; in particolare, la degradazione di quasi il 50% della sostanza secca del mais indica una intensa attività biologica all’interno delle cialde, con liberazione di composti solubili e evoluzione di CO2. Molto più contenute sono risultate le trasformazioni subite dai due compost, che sono stati comun- 332 Zaccheo et al. que degradati in misura significativamente diversa, maggiore per il compost B. Il sistema adottato risulta pertanto in grado di evidenziare, data la contenuta variabilità interna, differenze nel comportamento di matrici organiche simili e a buona resistenza alla degradazione chimica e biologica. Tab. 2 - Perdita di massa dei materiali organici (% s.s.) Materiali Compost A Compost B Mais con piante 1.81 a 5.26 b 45.65 c senza piante s.d. 1.60 a 0.07 4.91 b 0.10 46.82 c 1.32 s.d. 0.16 0.28 1.52 *valori seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05 Sulla perdita in peso non sembra aver influito la presenza delle piante, che tuttavia, stante la limitazione nella disponibilità azotata, di sola derivazione organica, hanno avuto un accrescimento limitato e, presumibilmente, una ridotta influenza sull’ambiente esplorato dalle radici. L’andamento dell’emissione di CO2 (Fig.1) rivela differenti cinetiche di degradazione dei materiali, con una immediata liberazione di CO2 in seguito a incubazione di mais seguita da una brusca caduta a valori molto bassi, e un minore e più costante andamento della degradazione per entrambi i compost. Fig.1 - Evoluzione della CO2 dai materiali durante l'incubazione mg C-CO2/vaso 60 50 40 A B M 30 20 10 0 0 10 20 30 giorni 40 50 Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni di materiali organici nel sistema suolo-pianta 333 La caratterizzazione chimica dei materiali effettuata all’inizio e al termine della prova, rapportata al calo in massa dei materiali, fornisce i valori delle perdite in carbonio e azoto riportate in Tab. 3. Si nota come le differenze tra i materiali siano più accentuate rispetto alle perdite di massa, pur seguendo lo stesso andamento. Tab. 3 - Perdite di carbonio e azoto Materiali Compost A Compost B Mais Carbonio Senza piante Con piante mg/vaso % mg/vaso % 39.4 b* 4.91 28.38 a 3.54 68.2 ns 7.47 65.64 ns 7.19 134.2 ns 40.76 133.0 40.41 Azoto Senza piante Con piante mg/vaso % mg/vaso % 6.47 ns 12.09 5.98 11.19 5.56 ns 8.90 6.34 14.6 6.69 a 40.0 8.85 b 50.88 *valori sulla riga seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05 Nei compost, la percentuale di azoto mineralizzato è risultata superiore a quella del carbonio, presumibilmente per la più facile degradazione di proteine originarie o neosintetizzate nel corso del processo di compostaggio. Tale effetto è particolarmente marcato nel compost A, come dimostrato dal minor rapporto tra carbonio e azoto liberatisi (Tab. 4), pur partendo da uguali rapporti C/N. La presenza di piante influenza l’intensità della mineralizzazione dell’azoto, perso in maggior misura sia dal compost B che dal mais, mentre il compost A risulta liMateriali C/N berare più carbonio in assenza di piante. perdite L’accrescimento radicale ed epigeo delle pianCompost A 4.74 tine di lattuga è stato marcatamente influenzaCompost B 10.35 to dalla presenza dei residui organici in traMais 15.03 sformazione (Tab. 5). L’intensa degradazione del mais ha infatti fornito una quantità di azoto sufficiente a garantire maggiori produzioni di sostanza secca e un maggiore assorbimento di azoto delle piantine di lattuga rispetto a quelle cresciute in presenza dei compost. Tab. 4 - Rapporto tra carbonio e azoto liberati dai materiali nel corso della prova Tab. 5 - Produzione di sostanza secca e contenuto in azoto delle piante di lattuga Materiali Compost A Compost B Mais Testimone Produzione secca Azoto mg/vaso mg/vaso N assorbito/ N liberato *100 117.3 c* 0.979 c 8.57 86.8 b 0.789 b 5.09 347.3 d 2.073 d 25.27 66.0 a 0.466 a *valori seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05 **N assorbito è calcolato sottraendo N testimone 334 Zaccheo et al. Fig. 2 - Spettri DRIFT del compost B all'inizio e al termine dell'incubazione (in alto) e spettro sottraendo (in basso) Queste ultime si sono giovate della degradazione dei materiali, producendo una maggiore biomassa e assorbendo più azoto rispetto alle piantine di controllo cresciute in vasetti contenenti cialde riempite con sola sabbia. Lo stimolo all’accrescimento e la quantità globale di azoto assorbito dalle piantine in presenza dei compost, tuttavia, non è risultato funzione della perdita di massa dei materiali, in quanto si è osservata maggior crescita in presenza del compost A, che ha liberato una quota lievemente inferiore di azoto e, soprattutto, molto più ridotta di carbonio. Tale comportamento potrebbe essere da imputare alla minore crescita della biomassa microbica svi- Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni di materiali organici nel sistema suolo-pianta 335 luppatasi a spese dei composti labili del carbonio del compost A, e quindi alla minor immobilizzazione dell’azoto mineralizzato. Nel caso del mais, la immediata liberazione di carbonio rivelata dall’intensa evoluzione della CO2 e quindi presumibilmente dell’azoto potrebbe aver garantito, attraverso il rapido turnover della biomassa microbica, una costante disponibilità di azoto anche per le esigenze di crescita dei vegetali. Infine, l’applicazione della spettroscopia DRIFT all’analisi dei materiali prima e dopo incubazione nel suolo, seppur ancora da mettere a punto con idonei metodologie di trattamento degli spettri ottenuti, ha consentito di evidenziare, attraverso lo spettro ottenibile per differenza tra spettro iniziale e finale, la scomparsa di componenti significative del materiali di partenza. In Fig. 2, ad esempio, lo spettro residuo del compost B evidenzia una forte banda a 1650 cm-1 riconducibile al segnale amide I dei polipeptidi. In conclusione, il metodo sperimentale proposto può essere vantaggiosamente impiegato negli studi sul comportamento dei compost nel sistema suolo-pianta, in quanto può consentire di correlare le modificazioni che avvengono nei materiali con gli effetti sul sistema suolo-pianta. Bibliografia BOCOCK K.L., GILBERT O.J.W. 1957. The disappearance of leaf litter under different woodland conditions. Plant and Soil, 9, 179-185. GENEVINI P.L., ZACCHEO P. 1998. Aspetti agronomici. In: Compost e agricoltura (a cura di P.L.Genevini). pp. 133160. Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Milano. BANERJEE S., LI D. 1991. Interpreting multicomponent infrared spectra by derivative minimization. Applied Spec. 45,6, 1047-1049. ZACCHEO P., CRIPPA L., GENEVINI P.L. 1993.Nitrogen transformation in soil treated with 15N labelled dried or composted ryegrass. Plant and Soil, 148:193-201. BAK J. 1998. Measurements of impurities in strongly absorbing powdery materials by DRIFTS. The Internet Journal. of Vibrational Spectr., 2,4 (http://www.ijvs.com/ volume2/edition4/section2.htm). Indice Atti Convegno “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo” (2001) Indice degli Autori Adamo P. .........................................................15 Agnelli A.........................................................29 Alianello A....................................................205 Aromolo R. ...................................................153 Baffi C.............................................................57 Barberis R. ......................................................43 Bazzoffi P. .....................................................215 Beccaloni E. ....................................................49 Benedetti A. ....................................................71 Beni C. ..........................................................153 Beone G.M......................................................57 Biondi F.A.......................................................63 Bouma J ............................................................3 Bragaloni M. .................................................283 Cabassi G. .....................................................329 Canali S...........................................................71 Castelli F. ......................................................125 Castrignanò A. ................................................81 Celi L. .............................................................29 Coli A............................................................177 Colucci R. .......................................................81 Convertini G............................103-113-133-145 Corti G. ...........................................................29 Costantini E.A.C. ..........................................125 Crippa L. .......................................................329 De Giorgio D. ........................................133-145 Degl’Innocenti A. ...........................................29 Dell’Abate M.T. ............................................205 Dell’Orco S. ....................................................71 De Siena C. ...................................................297 De Simone C.................................................307 Di Blasi N. ....................................................289 Di Dio C..........................................................63 Ferrazza P. .....................................................153 Ferri D. ......................................81-103-113-133 Figliolia A. .......................................63-153-227 Francaviglia R...............................................185 Frosi P. ..........................................................297 Giacomi V. ....................................................227 Ginanni M. ....................................................177 Gomez L.H....................................................195 Iori M. ...........................................................125 La Cava P..........................................81-133-145 Lorenzoni P. ...........................................125-307 Lupo M. .................................................245-261 Magini S........................................................125 Maiorana M. ..........................................103-113 Marchetti A. ..................................................185 Marchetti R. ..................................................165 Marcucci A....................................................153 Martinelli N.....................................................81 Mazzoncini M. ..............................................177 Mecella G. ......................................185-195-289 Miciulla O. ....................................................205 Mirabella A. ..................................................269 Montagna G. .................................................215 Montemurro F. .......................................133-145 Musmeci L. .....................................................49 Nardi S...................................................237-297 Natarelli L. ....................................................215 Nicolini G. .............................................237-297 Pagliai M.......................................................319 Panichi A.......................................................215 Panusa A. ......................................................307 Papini R.........................................................215 Pellegrini S. ...........................................215-319 Pennelli B......................................................227 Piccini C........................................................289 Pizzeghello D.........................................237-297 Pugliese A. ......................................................43 Raimondi S..............................125-245-261-269 Raspa G.........................................................195 Rea E.............................................................283 Ricca G..........................................................329 Risaliti R. ......................................................177 Rizzo V..........................................................133 Roccuzzo G.....................................................71 Rossi G..........................................................227 Scandella P......................................185-195-289 Screpis S. ......................................................269 Sessi E...........................................................297 Silva S. ............................................................57 Silvestri N. ....................................................177 Socciarelli S. ...................................................63 Spadoni M. ....................................................307 Spallacci P. ....................................................165 Stelluti M. .......................................................81 Tomasi M. .....................................................297 Tullio M. .......................................................283 Tusa D. ..........................................................261 Ugolini F.C......................................................29 Vignozzi N. ...................................................319 Vingiani S........................................................15 Violante P. .......................................................15 Zaccheo P. .....................................................329 I EDIZIONE A CURA DEL COMITATO ISNP Via della Navicella, 2/4 - 00184 Roma Tel. 06-7005413, Fax 06-7005711 Comitato di Redazione Prof. Paolo Sequi Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante Via della Navicella, 2/4 - 00184 Roma tel. 06 7005413 - fax 06 7005711 - e-mail [email protected] Dr.ssa Rosa Francaviglia Direttore Responsabile Prof. Paolo Sequi Direttore Editoriale Dr.ssa Rosa Francaviglia Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante Via della Navicella, 2/4 - 00184 Roma tel. 06 7005299 - fax 06 7005711 - e-mail [email protected] Prof. Pietro Violante Dipartimento di Scienze Chimico-Agrarie, Università di Napoli Via dell’Università, 100 - 80085 Portici (NA) tel. 081 7885206 - fax 081 7755130 - e-mail [email protected] Prof. Angelo Aru Direttore Grafica e Impaginazione Dr. Giampietro Diana Dipartimento di Scienza delle Terra, Università di Cagliari Via Trentino, 51 - 09100 Cagliari tel. 070 2006239 - fax 070 282236 - e-mail [email protected] Segretario di Redazione Sig. Filippo Ilardi Prof. Paolo Nannipieri Stampa Edizione su Cd Rom Roma, 2001 Dipartimento di Scienza del Suolo e Nutrizione della Pianta Università di Firenze, P.le delle Cascine, 15 - 50144 Firenze tel. 055 32881 - fax 055 333273 - e-mail [email protected] Presidenza e Segreteria: Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante Via della Navicella, 2/4 - 00184 Roma Tel. 06-7005413, Fax 06-7005711 e-mail: [email protected]; [email protected] Sito: http://www.siss.isnp.it