dinamica della struttura in un suolo

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dinamica della struttura in un suolo
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New approaches for land evaluation - J. Bouma
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Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
- P. Adamo, S. Vingiani, P. Violante
15
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo - A. Agnelli. L. Celi., A. Degl’Innocenti, G. Corti,
F.C. Ugolini
29
Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati” - R. Barberis, A. Pugliese 43
Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in
colonna e in batch - E. Beccaloni, L. Musmeci
49
Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la
tecnica ICP-AES - G.M. Beone, C. Baffi, S. Silva
57
Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I
- F.A. Biondi, C. Di Dio, S. Socciarelli, A. Figliolia
63
Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico
- S. Canali, S. Dell’Orco, G. Roccuzzo, A. Benedetti
71
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica
multivariata - A. Castrignanò, R. Colucci, D. Ferri, P. La Cava, N. Martinelli, M. Stelluti
81
Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale
e sulla biomassa microbica del suolo - G. Convertini, M. Maiorana, D. Ferri
103
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto
di azoto minerale e sulla biomassa microbica - G. Convertini, M. Maiorana, D. Ferri
113
Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia
- E.A.C. Costantini, F. Castelli, M. Iori, S. Magini, P. Lorenzoni, S. Raimondi
125
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta - suolo indotte dalla riduzione delle
lavorazioni del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L:)
in rotazione- D. De Giorgio, G. Convertini, D. Ferri, V. Rizzo, F. Montemurro, P. La Cava 133
“No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di
un terreno coltivato a mandorlo - D. De Giorgio, D. Convertini, F. Montemurro, P. La Cava 145
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato
con micorrize selezionate - P. Ferrazza, C. Beni, R. Aromolo, A. Marcucci, A. Figliolia
153
Ruscellamento sub-superficiale in pianura - R. Marchetti, P. Spallacci
165
Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno
- M. Mazzoncini, R. Risaliti, A. Coli, M. Ginanni, N. Silvestri
177
Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione - G. Mecella, R. Francaviglia,
P. Scandella, A. Marchetti
185
La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli:
Alta Valle del Tevere - G. Mecella, P. Scandella, G. Raspa, L.H. Gomez
195
Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali
a Quercus cerris - O. Miciulla, M.T. Dell’Abate, A. Alianello
205
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in
una zona collinare del Centro Italia - R. Papini, A. Panichi, P. Bazzoffi, S. Pellegrini,
G. Montagna, L. Natarelli
215
Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize
selezionate: esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche - B. Pennelli, G. Rossi,
V. Giacomi, A. Figliolia
227
Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da
faggete diverse - D. Pizzeghello, G. Nicolini, S. Nardi
237
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (Pa) - S. Raimondi, M. Lupo
245
Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN) - S. Raimondi, M. Lupo, D. Tusa 261
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia - S. Raimondi, A. Mirabella, S. Screpis 269
Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di
cadmio - E. Rea, M. Bragaloni, M. Tullio
283
Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli
non agricoli - P. Scandella, C. Piccini, N. Di Blasi, G. Mecella
289
Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica
di sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamento d’uso del suolo
- E. Sessi, D. Pizzeghello, C. De Siena, M. Tomasi, G. Nicolini, P. Frosi, S. Nardi
297
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la
loro concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali - M. Spadoni, A. Panusa,
P. Lorenzoni, C. De Simone
307
Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse
modalità di gestione - N. Vignozzi, S. Pellegrini, M. Pagliai
319
Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle
trasformazioni di materiali organici nel sistema suolo-pianta - P. Zaccheo, L. Crippa,
G. Ricca, G. Cabassi
329
Società Italiana
della Scienza del Suolo
Atti del Convegno annuale SISS 1999:
La scienza del suolo in Italia:
bilancio di fine secolo
Gressoney-Saint Jean (Aosta)
22-25 giugno 1999
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NEW
APPROACHES FOR LAND EVALUATION
Bouma J.
Scientific Council for Government Policy in the Netherlands and Soil Dept.
Wageningen University, Netherlands
Abstract
Changing land use is one of the major issues in the next century and application
of soil expertise is crucial here to: (i) use available soil data effectively and define
needs for new basic soil research by analysing holistic and interdisciplinary projects
that interact with stakeholders; (ii) use different types of simulation models and develop pedotransferfunctions to feed them using available soil data; (iii) demonstrate
that field soils and landscapes are heterogeneous and that idealized modelling concepts have limited validity. Soil scientists are needed to provide representative data;
(iv) use the soil series concept (soil genoform) and phenoforms of a given genoform,
as formed by management, as cartiers of dynamic information, obtained by modelling, for strategic application, and (v) facilitate and help develop participatory and
interactive procedures in land use studies at different scales, refiecting what was
learned during one hundred years of soil research.
Riassunto
Il cambiamento d’uso dei suoli sarà una delle principali questioni da dibattere nel
futuro secolo e l’applicazione delle competenze sul suolo diventa quindi cruciale per
: i) usare in modo efficiente le informazioni disponibili sul suolo e definire le necessità delle nuove ricerche di base analizzando progetti olistici e interdisciplinari
che interagiscano con gli utilizzatori finali; ii) usare diversi tipi di modelli di simulazione e sviluppare funzioni pedotransfer in grado di alimentarli usando i dati disponibili; iii) dimostrare che suolo e territorio nella relatà sono eterogenei e che i
concetti derivati da una modellizzazione idealizzata hanno una validità limitata: chi
studia il suolo deve fornire dati rappresentativi; iv) usare i concetti di serie di suoli
(genoforma del suolo) e fenoforme e genoforme date, derivanti dalla gestione, vettore di informazioni dinamiche, ottenute dalla modellizzazione, per applicazioni
strategiche, e v) facilitare e aiutare lo sviluppo di procedure partecipative e interattive negli studi di uso del territorio a differenti scale, riflettendo ciò che si è appreso in cento anni di ricerca sul suolo.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 3-14 (2001)
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Bouma
Introduction
Land evaluation has been defined as: “the assessment of the performance of land when used for a specified purpose”. In the forties and fifties, agricultural production was the key area of concern when dealing with
land use. Increasingly, however, environmental concerns became more important as well as expressed by evaluations for non-agricultural applications.
This occurred while measurement and information technologies developed
strongly and users of soil information became more demanding and professional. In soil science, as in many other sciences, new technological developments changed the discipline: remote sensing and GIS technologies, including digital terrain modelling, strongly increased possibilities for soil characterization and flexible presentation of data. For instance, neutron probes
and, later, TDR and transducer tensiometry allowed quantification of soil water regimes and its automatic measurement. Comparable developments occurred in soil chemistry and soil biology. The introduction of simulation modeling of water- and nutrient regimes as a function of soil management allowed quantitative assessments of water-, nutrient and energy fluxes in landscapes, forming the basis for the exploration of alternative land-use scenarios.
Modern users of soil information increasingly desire alternative
options to choose from, rather than judgments by soil specialista: interactive learning experiences between scientists and stakeholders are most effective in stimulating real-world applications of soil expertise.
When dealing with issues of land use, the soil scientist is - or
should be!- a member of an interdisciplinary team, rather than a solo player.
The change from a disciplinary specialist to an interdisciplinary
team player with still a solid disciplinary knowledge, has not been easy for
many. For example, surveyors and specialista involved in soil survey felt
uneasy as they became alienated when reading “their” soil literature which
contained many new issues and techniques with, at first sight, little relevance
for their work. Even activities of related working groups of the Interna-tional
Union of Soil Science, such as the ones on:” Moisture variability in space and
time” and “Pedometrics” were restricted to a relatively small group of soil survey connected scientists (Bouma and Bregt, 1989; Wagenet and Bouma, 1993;
Wagenet and Bouma, 1996; Finke et al., 1998; De Gruijter et al., 1994; De
Gruijter et al., 1997; De Gruijter, 1999). Now, however, the picture appears
to be changing. Raw, fancy technology gets its turn to lose its shine.
Automated measuring- and monitoring equipment, new remote sensing data
and user-friendly software for simulation models and expert systems tends to
New approaches for land evaluation
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change the perceived “data -crisis” of the past into a “data-avalanche” for the
future, burying scientists and stakeholders alike. More then ever, insight and
wisdom is needed to formulate the essence of problems to be studied and to
select the proper methods to allow effective research processes. But more importantly, soil-related research is increasingly performed in close association
with stakeholders, be it farmers, other land users or planners. This requires
communication skills combined with technical abilities because stakeholders
are well trained and well informed these days and, just like everybody else,
hate to lose time. I am certainly not suggesting that insight and wisdom and
the ability to work in an effettive, interactive mode are qualities that are the
exclusive domain of a given category of scientists. But I do suggest that soil
survey specialista, who are the traditional land-evaluators, have been well trained on-the-spot “to see the trees in the forest as well as the forest itself”. By
defining soil patterns and soil behavior in the field, they have analysed flows
of energy, water and solutes in landscapes, be it often in a rather qualitative
manner. They have had frequent contacts with users of the land, with politicians, lawyers and planners, sometimes to the level of nausea and exhaustion.
This type of experience is very much needed now when establishing effective communication between science and society and this general conclusion applies to soil science as well. What was often seen as side-activities that distracted the soil surveyor from finishing his maps and databases in time according to the agreed- upon format (the “real” work in the
viewpoint of many) is now a major asset. Again, there will be many soil
scientists, other than soil survey specialista, who are effective ambassadors
for our profession but I am prepared to defend the statement that soil survey
specialista are eminently suitable to fill the role of knowledge brokers in the
area of soil scienee and land evaluation. This, of course, is particularly attractive now that the soil survey program has been completed in many countries and increasing emphasis can be given to use and application of our immense quantity of soil data.
The remainder of this paper will be focussed on ways in which
we can effectively use our soil expertise for land evaluation in future, emphasizing: (i) relations between applied (holistic) research and basic (reductionistic) research as expressed by knowledge chains; (ii) application of soil data in terms of pedotransferfunetions in dynamic simulation models to express
land-use options; (iii) heterogenity of field soils that do not fit most model
representations; (iv) use of functional data , derived by modelling, for soil
series and important phenoforms for strategie applications, and (v) need for
participatory and interactive approaches. Descriptions will be brief as reference is made to papers published elsewhere.
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Bouma
Basic and applied research
An unfortunate gap exists between basic and applied research in
soil science. Basic, reductionistic studies in soil physics, -chemistry and biology, as reported in our Journals, often do not have obvious links with
practical problems. Some “disciplinary circuits” appear to have dynamics of
their own with conferences, symposia and workshops with frequentlyattending core-groups of researchers. There certainly is room for curiosity-driven
basic research, but I also make a plea for basic research that results from a
thorough, comprehensive and systematic analysis of soil systems , taking a
holistic approach starting from a practical problem that has been identified
in consultation with stakeholders. Land evaluators can give important contributions to such analyses because of the character of their work. This analysis, which presents an alternating cycle of holistic and reductionistic approaches, the HRH approach, (Bouma, 1997a) allows cutting-edge basic research, but then with a defined place in a research chain which includes
stakeholder expertise and expert knowledge. This approach can also be put
in a broader context, as a vehicle for setting research agenda’s in a more general way. An important issue here is the need for a thorough analysis of the
problem to be studied. In many cases we can - after a hundred years of research- solve problems by applying available data and expertise. We may not
need fancy computer models or data generating methodology and we should
have the courage to acknowledge this. The reader is referred to other publications for a more detailed discussion of this important issue (Bouma, 1993;
1997b, 1998).
Dynamic versus static characterization.
Traditionally, land evaluation and soil characterization had a
rather static character, which can, perhaps, be explained by the slow rate of
processes of soil genesis: an Alfisol has formed over periods of thousands of
years and what we see today from a genetic point of view will not be too different from what we will see in a hundred years from now. Texture, organic
matter - and carbonate content do, for instance, not change overnight. When
using soil information in modern land evaluation we are, however, interested
in dynamic processes to not only characterize actual behaviour but also potential behaviour as a function of different forms of management. Not only do
we express our evaluations in terms of static “suitabilities” for a given use,
but also in terms of options following various types of different management
New approaches for land evaluation
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practices. Different management can change soil properties overnight. Actual
dynamic soil behavior can be characterized by modern monitoring techniques,
as mentioned in the introduction. But future conditions cannot be monitored!
Here, use of simulation techniques for water and solute flow in soils has been
quite effective to explore the possible effects of proposed management measures. We have started this work in the seventies (e.g. Bouma et al., 1980) and
I regret that this type of work has not been more widely adopted in land evaluation studies. Of course, models cover only a small part of the complete system but this can have an important function in the broader context.
Modeling and use of compatable software and data is now internationally being discussed and coordinateci by ICASA (International
Consortium of Agriculturel Systems Applications) which is chaired by Prof.
Jim Jones from the University of Florida in Gainesville and by the author.
This covers work of the former IBSNAT group in the USA, of the
Wageningen group in the Netherlands and of the APSRU group in Australia.
Outsiders indeed experience a rather statie image when considering soil survey and land evaluation. When discussing use of soil data for
precision agriculture, the National Resources Council (1997) concluded that
few relevant data could be derived from the massive databases of the Cooperative National Soil Survey. This is most unfortunate as we have attempted
to point out (Bouma et al., 1999a). Statie data, as such, may not be useable,
but they can be applied in pedotransferfunctions (e.g. Bouma, 1989; Batjes,
1996, Vereecken et al., 1989 and many others) to derive other useable soil
characteristics or parameters for simulation models (e.g. Breeuwsma et al,
1986). Wosten et al. (1998 ) have developed pedotransferfunctions for predicting hydraulic conductivity and moisture retention, using texture, density
and organic matter contents, covering major soils in Europe. In view of natural variability, such predictions are as good as real measurements (Wosten
et al, 1990 ). This is an important conclusion that might - in time- apply to
other soil characteristics as well. Thus, available data are used to the extent
that new measurements are not necessari any more.
The functioning of real soils, out there in the field
Use of models and databases to feed models, runs the risk of becoming a self-fulfilling activity. At all times, it should be clear that models
are only highly schematized representations of reality. Assumptions of soil
homogenuity and isotropy, underlying the water-flow models based on
Richard’s equation, do not apply in many field soils. Many examples have
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Bouma
been given: (1) Bypass flow (flow of free water along macropores through
an unsaturated soil mass), (e.g. Hendriks et al., 1999); (2) internal catchment
(accumulation of free water at some depth in the soil when bypass water is
trapped in dead-end pores) (e.g. Van Stiphout et al., 1987); (3) hydrophobicity (irregular infiltration of water due to local repulsion at the soil surface)
(e.g. Ritsema et al., 1998) and (4) accessibility of water (water within large
peds that may be “available” but not accessible because roots at the surface
of the peds cannot extract it) (Droogers et al., 1997). Soil survey specialista
have observed irregular infiltration patterns in the field, they have seen wilting crops on coarse structured soils with, theoretically, enough “available
water” or thriving crops on, theoretically, very dry soils where bypass flow
led to accumulation of free water at some depth in the soil where it was accessible to roots. They have observed unexplainable runoff in sandy soils
with high infiltratrion rates but with hydrophobic properties. We should not
get carried away with model representations of reality that are inherently unrealistic and soil-models and their results should always be compared with
conditions in the field. Of particular concern is independent use of soil data
by agronomists and engineers. Their models all too often consider soils in
terms of texture only which is correlated with crop behaviour in ways that
does no justice to the major impact that soil conditions have on crop growth.
Again, soil survey specialista and land evaluators are in an excellent position
to make sure that modelrepresentations are acceptable and that validation
with real field data is part of the process.
Aside from being weary about unrepresentative representations
of soils in models, we should also be alert to the “reactive” character of much of our input into broader studies. For instance, we are used to characterize effects of compaction and of leaching of agrochemicals. Rather than supply basic soil data for models to define such effects of management, we can
also use models to define “ideal” conditions in a given soil and use these
conditions’ to define the necessari type of management: a “pro-active” approach.
Bouma et al. (1999b) defined the “ideal” soil structure of a fine,
mixed, mesic Typic Haplaquent by simulating the water supply capacity and
nitrate leaching for a series of prepared soil structures. They defined an “ideal”
structure, occurring at a given site with defined weather conditions, that combined relatively low leaching of nitrates with a relatively high water supply capacity and presented that structure to tillage experts, asking them to define tillage practices that would allow preparation of such a structure.We can more
effectively use our soil expertise by defining specific conditions to be realized
by management in any given soil, rather than spend much time on characteri-
New approaches for land evaluation
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zing the effects of management: a pro-active rather than a reactive approach.
Strategic applications
Modern land-use questione in Europe deal with multifunctionality of land as farming becomes less important and many conflicting interests try to affect future land use patterns. Then, it is crucial to be able to
quickly present options for land use that reflect the natural potentials of the
land as there is general agreement that future land use should be sustainable
and in harmony with nature. The old assumption that any problem can be
solved by technology (wetness by drainage; drought by irrigation, poor fertility by chemical fertilization etc) is being replaced by a feeling that management practices should be adapted to be more in tune with natural geochemical cycles, in landscapes and in separate soils.
At this point in time we do not present our expertise effectively.
Data are presented by soil series that are, in turn, represented by mapping
areas on soil maps. But standard interpretations for soil series in terms of relative limitations for a variety of land uses, is inadeguate for modern questione. Besides, management can have such strong effects on soil properties of a
given soil series that sometimes soils beloriging to different soil series, but
with identical management, show rather identical behavior while soils belonging to the same soil series, with different management, function quite differently. Droogers and Bouma (1997) proposed therefore to make a distinction
between genoforms (Taxonomic units) and phenoforms (variants of a given
phenoform formed by different types of management). Using simulation modelling for a period of 30 years, they calculated yields of wheat for a wide
range of fertilization scenarios and expressed results as probability graphs.
Three phenoforms were distinguished for the genoform fine, mixed, mesic,
Typic Fluvaquent: CONV (Conventional arable land; org. matter 1.7%) BIO
(Biological farming; org. matter 3.3%) and PERM (Permanent grassland;
org.matter 5.0%). Results were significantly different for the three phenoforms. Potential yield was, of course, the same for all phenoforms. Yields
for BIO were highest, but, more importantly, the risks for nitrate leaching were clearly the lowest. A median yield with a risk of 3% of exceeding the nitrate threshold was appr.5000 kg for BIO, 4000 kg for CONV and 4500 kg
for PERM. The latter had such a high organic matter content that the threshold was always exceeded, whereas this was not the case for the other two
treatments even though yields would have to go down strongly to assure that
the threshold is never exceeded (BIO: 3800 kg and CONV: 2000 kg). BIO
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Bouma
clearly has a more efficient intemal mechanism to balance nitrogen dynamics.
Results were also used to suggest a land quality indicator consisting of the ratio between potential production and a production with a given probability of being exceeded and of being associated with a certain probability of nitrate leaching exceeding the threshold established by law
(Bouma and Droogers, 1998). In all cases, data should be obtained on spatial variabilitywithin mapping units named after a given soil series to present some idea as to the accuracy and reliability of results obtained. Here,
(geo) statistics can play an important role.
Participatory and interactive approaches
Research used to be rather dominated by scientists and was, therefore, rather supply oriented. As a reaction, emphasis is increasingly being
given to demand orientation (Campbell, 1994). However, a more realistie approach is one where researchers and stakeholders work together in formulating the problem to be studied, in choosing the methods and in executing
joint research as a mutual learning experience (e.g. Bouma, 1998). Clearly,
not all stakeholders are interested to be closely involved, nor are all researchers. There is a clear “niche” here for knowledge brokers which effectively
communicate with various stakeholders while they remain in touch with their
colleague scientists. Here, again, soil survey specialista and land evaluators
can make a special contribution.
In the area of land evaluation we see different developments at
different spatial scales. At farm level the principles of precision agriculture
become increasingly important (NRC, 1997). Much research on precision
agriculture focuses on data obtained in past growing seasons. The farmer,
however, needs forward-looking approaches. A study now in progress (e.g.
Bouma, 1999a) uses real-time simulation modelling of water regimes and
plant growth to determine moments for optimal fertilization, which is associated with absence of visible stress symptoms in the plant. Also, conditions
can be indicated (“hot-spot” analysis) when pests and diseases are likely to
occur as they often correlate with moisture status of the soil, weather conditions, above-ground biomass and nutrient status of the soil, all of which are
part of the data used or generated by the model. This work is done in continuous interaction with the modern farmer, who nowadays communicates by
email and world-wìde-web. Running the model implied that a modern soil
inventarisation was available and that pedotransferfunctions were generated
for hydraulic and soil chemical characteristics, the latter mainly relating to
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N-transformations. But this is only a starting point. As the study evolves, it
is important to stay alert as to possible soil-inputs on the operational level
when solving problems that arise. Alternative forms of management can be
explored with the farmer on the strategic level using data for phenoforms,
studied elsewhere, of the soil series (genoforms) that occur within the farm.
Thus, it becomes possible to explore what the effects would be on yield and
nitrate leaching, for instance, if organic farming practices would be followed
in future leading to higher organic matter contents. To make such analyses
possible we should go out again in the field and establish major phenoforms
of established genoforms (soil series) by talking to farmers and by making
selective measurements on locations defined by the available soil map.
Stakeholders on the regional and higher levels are land-use
planners, regulators of various kinds and politicians. Inereasingly, the role of
the scientist is to fill a “Toolbox” with a large set of methods and models
which allow exploration of a wide range of possible land-use alternatives.
Emphasis is increasingly on interactive: “Land Use Negotiation” rather than
top-down: “Land Use Planning” which belongs in another era. The scientists, or at least some scientists, play the role of facilitators and knowledge
brokers as discussed earlier. Questions being raised are quite diverse, as is
explored in detail by Bouman et al., 1999, for the Atlantic Zone in Costa
Rica, leading to a set of projectory, exploratory and predictive tools and tools
for decision support, all very much in an interdisciplinary context. The reader is referred to this detailed study for specifica. Only one aspect will be discussed here. Initially a reconnaissance soil survey was made for the Atlantic
Zone at scale 100000. The map contained some 80 well defined soil types.
Interdisciplinary discussione increasingly focussed attention on economic
aspects and running of complicated interdisciplinary models of land use required simplifications by all disciplines to reduce data bases to a level that
still could be handled by the computers. After all, only 8 major soil types
were distinguished in the final analysis. Whether this is acceptable or
whether different results would have been obtained when more soil differences had been represented cannot be ascertained at this time as it has not
been the object of study. What I intend to illustrate is that continuous involvement is necessari when taking part in interdisciplinary research to make
sure that soil input is provided at a level which is in equilibrium with objectives and with input of other discíplines which evolve over time. Not being
part of the process means that soils-input may not evolve along. Many regional and global models use only soil texture as input. What then, one may
ask, is the input from soil scientists? Any lay person can pick a texture value for a given grid using existing databases. I would expect that we all agree
that soil behavior is crucial for land use and that soil texture by itself is a
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Bouma
rather limited proxy to serve for soil characterization. Of course, weather and
the climate are important as well, but we can do little about it. Agronomy is
importanti but crops come and go while the soil remains.
I believe that we have a special responsibility as soil scientists
when dealing with the future of the land. When we intemalize our land evaluation experience on the basis of soil survey expertise and extend and sharpen it with cutting-edge research, we are in a unique position to deal with
the problems of land use in the next century. Indeed: by using our experience of the past we have a unique key to the future.
Conclusions
• Now that soil mapping has been completed in many countries, more
emphasis can be given to use of generated information in modern land evaluation. New ways have to be found to interact with various stakeholders in
the context of creating joint learning experiences rather than top-down advice. This requires interdisciplinary research approaches where the land evaluator in a member of a team.
• Soil survey specialista and land evaluators have observed soils in a
field- and landscape setting while interacting with stakeholders and they are
therefore in an excellent position to act as “knowledge brokers” between demanding and well-informed stakeholders on the one hand and scientists of
various disciplines on the other. Such knowledge brokers are very much needed in future.
• Simulation modeling has an important role to play in exploring possible effects of future types of land management and is therefore indispensible
in modern land evaluation. Pedotransferfunctions should be developed and
used to transform static soil data abundantly available in existing very large
databases) into model parameters.
• Links between reductionistic, disciplinary research and holistic, interdisciplinary research should become clearer in land evaluation. Excellent basic research can be done in the context of studying a practical land-evaluation problem. Again, those having been involved with holistic soil survey are
in a good position to shape so called “knowledge chains”.
• Field soils hardly ever behave in an “ideal” manner. Soil data used in
many policyoriented models should reflect realistic conditions as expressed
by bypass flow, internal catchment, inaccessibility of water, hydrophobicity,
occurrence of irregular soil horizons etc. There is a clear danger that soil in-
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put into large interdisciplinary models, to be used for land evaluation, is
taken for granted. Assuring an acceptable degree of soildisciplinarity in any
interdisciplinary research approach for land evaluation should be a top priority of soil research in the future.
• Distinction of genoforms and phenoforms of a given soil series is important to acknowledge the major effects of management on soil properties.
Simulation techniques can be used to express dynamie properties of such
phenoforms in probabilistic terms, which is attractive to stakeholders who
like to be offered documented choices between options for land use rather
than judgements.
Cited literature
BATJES N.H., 1996. Development of a world data set of soil water retention properties using pedotransfer rules.
Geoderma 71: 31-52.
BOUMA J. 1989. Using soil survey data for quantitative land evaluation. Advances in Soil Science, Vol.9. B.A.Stewart
(Ed.): Springer Verlag, New York: 177-213.
BOUMA J. 1993. Soil behaviour under field conditions: differences in perception and their effects on research.
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15
BIOALTERAZIONE DI UN BASALTO DELL’ETNA
(SICILIA) OPERATA DAI LICHENI STEREOCAULON
VESUVIANUM PERS. E LECIDEA FUSCOATRA (L.)
ACH. E DAL MUSCHIO GRIMMIA PULVINATA
(HEDW.) SM.
Adamo Paola, Vingiani Simona, Violante Pietro
Dipartimento di Scienze Chimico-Agrarie, Università di Napoli «Federico II»
Via Università, 100 - 80055 Portici (NA)
Riassunto
Si riportano i risultati di un’indagine condotta per il riconoscimento e la caratterizzazione dei processi di bioalterazione di un baslto, che costituisce le colate
laviche presenti sulle pendici dell’Etna ad un’altitudine di 1550 m s.l.m., operata dai
licheni Stereocaulon vesuvianum Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio
Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
Con l’impiego della spettroscopia a fluorescenza X, è stata determinata la
composizione chimica della roccia non alterata, dei materiali raccolti all’interfaccia
roccia-organismi vegetali e dei tessuti dei licheni e del muschio.
La diffrattometria a raggi X ha consentito di avere informazioni dettagliate
sulla mineralogia della matrice rocciosa alterata dai processi biogeochimici.
Osservazioni al microscopio elettronico a scansione ed indagini microanalitiche condotte su frammenti di roccia colonizzata dai licheni e dal muschio hanno
evidenziato una notevole disgregazione della roccia e la presenza della whewellite,
calcio ossalato monoidrato, e di cristalli con abito tabulare, contenenti Cu e Fe, allineati tangenzialmente sulle superfici dei rizoidi di Grimmia pulvinata.
Sono state determinate le proprietà fisiche e chimiche del «protosuolo» coperto dal muschio.
Con l’impiego della spettroscopia infrarossa sono stati caratterizzati gli acidi
umici separati dal materiale organico umificato presente nel materiale terroso e dal
cuscinetto muscinale di Grimmia pulvinata.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 15-27 (2001)
16
Adamo et al.
Introduzione
Licheni e muschi, organismi vegetali pionieri, colonizzano per
primi le superfici rocciose ed avviano i meccanismi biogeofisici e biogeochimici di degradazione della roccia.
La zona di contatto matrici litologiche-crittogame rappresenta
un ambiente semplificato per lo studio dei meccanismi di bioalterazione che
definiscono, in molti casi, le fasi iniziali del processo di pedogenesi (Syers
e Iskandar, 1973; Jones et al., 1985; Adamo e Violante, 1989, 1991; Adamo
et al., 1993, 1997).
I processi biogeofisici si esplicano attraverso la penetrazione nel
substrato roccioso delle parti della struttura degli organismi vegetali preposte all’adesione determinando la disgregazione del materiale originario.
I processi biogeochimici, invece, agiscono sulla stabilità chimica delle rocce e dei minerali che le costituiscono. Acidi organici a basso peso molecolare, con proprietà solubilizzanti e chelanti, e, nel caso dei licheni,
acidi organici di natura polifenolica, definiti acidi lichenici, sono capaci di
formare complessi metallici per reazione con i minerali primari.
Indagini sul potere di alterazione degli acidi organici hanno evidenziato una stretta relazione fra composizione mineralogica della matrice
rocciosa e natura dei composti organici caratterizzati da limitata solubilità,
in particolare ossalati, che si accumulano entro o immediatamente al di sotto del tallo lichenico e dei rizoidi muscinali (Jones et al., 1981, 1986). In particolare, Graustein et al. (1977) hanno messo in evidenza che la presenza di
cristalli di calcio ossalato, weddellite e whewellite, a contatto con la fase liquida percolante, può esercitare notevole influenza sui processi di alterazione biogeochimica dello sfatticcio derivante dai substrati litici colonizzati da
licheni. Infatti:
• i cristalli costituiscono riserva di calcio per l’ecosistema;
• la presenza anche se limitata di ioni ossalato in soluzione, conseguente
alla scarsa solubilità di CaC2O4 (prodotto di solubilità ≈ 10-8,5), contribuisce a mantenere in soluzione (induce aumento della solubilità del) ferro ed
alluminio;
• gli ioni ossalato, a debole carattere acido e chelatori di ferro e alluminio, modificano il pH della soluzione;
• la chelazione di ferro e alluminio aumenta il contenuto delle forme di
fosforo disponibili per le piante, tenuto conto che il nutriente non viene immobilizzato dagli ossidi di ferro e alluminio precipitati.
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
17
In questa Nota vengono riportati i risultati di un’indagine condotta per la caratterizzazione dei processi di alterazione di un basalto indotti da crittogame in ambiente montano.
Materiali e metodi
Campioni di un basalto, colonizzato dal lichene fruticoso
Stereocaulon vesuvianum Pers., dal lichene crostoso Lecidea fuscoatra (L.)
Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata, sono stati raccolti sulle pendici
dell’Etna, ad un’altitudine di 1550 m s.l.m., sulle colate laviche del XX secolo (Figura 1). La roccia è composta prevalentemente da una massa vetrosa con abbondanti fenocristalli e microfenocristalli di plagioclasio calcico,
clinopirosseno, olivina e titanomagnetite (Tanguy e Clocchiatti, 1984).
Sono stati analizzati:
• frammenti di roccia non alterata,
• parti della superficie litica ricoperta dai licheni e dal muschio,
• materiale amminutato separato dalle superfici minerali nella zona di
contatto roccia-lichene,
• materiale terroso (protosuolo) intimamente associato ai rizoidi di
Grimmia pulvinata,
• campioni dei talli lichenici,
• campioni del cuscinetto muscinale.
La composizione chimica dei diversi campioni è stata determinata mediante spettroscopia a fluorescenza (XRF). Dai valori ottenuti è stato calcolato il fattore di arricchimento, Enrichment Factor (Bargagli, 1989),
che esprime il rapporto tra la concentrazione di un metallo (x) nei tessuti di
licheni e di muschi, riferita alla concentrazione dell’alluminio, e la concentrazione dello stesso metallo nel substrato roccioso, sempre riferita alla concentrazione dell’alluminio. Il contenuto dei diversi metalli nei tessuti degli
organismi vegetali e nel materiale litico viene riferito alla concentrazione
dell’alluminio tenuto conto che questo elemento, di limitato significato metabolico nelle piante, è il terzo in ordine di abbondanza nella composizione
elementare della crosta terrestre.
Enrichment Factor = Cx/CAl (licheni-muschio)
Cx/CAl (roccia)
Cx= concentrazione di ciascun metallo;
CAl = concentrazione dell’Al.
18
Adamo et al.
Figura 1 - LEGENDA
MODIFICATA
b
a
Colate laviche (a) e
piroclastiti (b) recenti,
prevalentemente non
datate.
Alcali basalti, hawaiiti, tefriti fonolitiche e
mugeariti basiche
b
a
Colate laviche (a) e
piroclastiti (b) recenti,
prevalentemente datate dal XVII
al XII secolo. Alcali
basalti, hawaiiti, tefriti fonolitiche e mugeariti basiche
a
Colate laviche (a) del
XX secolo fino al
1974.
Hawaiiti, tefriti fonolitiche e mugeariti basiche
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
19
Il calcolo del valore dell’Enrichment Factor consente di accertare accumulo preferenziale nei tessuti vegetali dei metalli che caratterizzano la composizione chimica del substrato roccioso e di mettere in evidenza
possibili fenomeni di inquinamento.
Il materiale roccioso amminutato presente all’interfaccia rocciaentità vegetale ed il materiale terroso, intimamente associati al tallo lichenico
e ai rizoidi del muschio, sono stati trattati con H2O2, al fine di rimuoverne i
residui organici. Successivamente, i costituenti minerali, dispersi in acqua per
trattamento con ultrasuoni, sono stati suddivisi nelle frazioni granulometriche
con diametro delle particelle compreso tra 200 e 20 µm, 20 e 2 µm e inferiore a 2 µm. La composizione mineralogica della roccia non alterata e della frazione più sottile separata dai materiali considerati è stata determinata mediante diffrattometria X-polveri (XRD). E’ stato utilizzato un diffrattometro
Rigaku Geigerflex D/Max IIIC e la radiazione Co-kα ferro-filtrata. I diffrattogrammi sono stati ottenuti sommando quattro volte il segnale.
Su frammenti di roccia colonizzata dai licheni e dal muschio sono state condotte osservazioni al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM)
ed indagini microanalitiche (EDXRA). I campioni sono stati fissati su supporti di alluminio, ricoperti con oro o carbonio ed esaminati con un
Cambridge Stereoscan 250 Mk2 fornito di Analizzatore EDXR Link System
AN 1000.
Le caratteristiche fisiche e chimiche del «protosuolo» coperto
da Grimmia pulvinata, sono state determinate applicando i metodi italiani
normalizzati (MiRAAF, 1992).
Gli acidi umici (HA) che definiscono la composizione del materiale organico umificato sono stati separati dal «protosuolo» e dal cuscinetto muscinale di Grimmia pulvinata con l’impiego della metodologia IHSS
(1985). La resa in HA è risultata pari al 5% del carbonio organico nel «protosuolo» ed inferiore allo 0,001% dei tessuti dei protonemi lavati con H2O
ed essiccati in stufa a ventilazione a 40 °C.
Gli acidi umici sono stati caratterizzati per spettroscopia FT-IR
utilizzando apparecchiatura Perkin-Elmer 1720 X.
Risultati e discussione
Nella Tabella 1 viene riportata la composizione chimica dei diversi materiali sottoposti ad analisi e, in parentesi, i valori dell’Enrichment
Factor.
20
Adamo et al.
Tabella 1 - Composizione chimica dei diversi materiali analizzati e (in parentesi)
valori del fattore di arricchimento (Enrichment Factor).
Roccia
Si
Ti
Al
Fe
Mn
Mg
Ca
Na
K
P
Grimmia pulvinata
Stereocaulon vesuvianum
Lecidea fuscoatra
Superficie Interfaccia Muschio Superficie Interfaccia Tallo Superficie Interfaccia Tallo
roccia
roccia
roccia
g kg-1
22,8
23,2 25,0 n.d.
24,5
25,3
n.d.
22,8
23,3
n.d.
1,0
1,0
1,1
n.d.
1,1
1,1
n.d.
1,0
1,0
n.d.
9,2
9,7
10,2 5,1
10,3
10,4
1,3
9,3
9,6
3,2
7,9
7,9
8,6
5,0 (1,1)
8,2
8,8
1,2 (0,7)
7,8
7,7
2,5 (0,9)
0,2
0,2
0,2 0,09 (0,8)
0,2
0,2
0,02 (0,8)
0,2
0,1
0,05 (0,7)
3,2
3,2
3,0
2,1 (1,2)
3,1
3,2
0,3 (0,8)
3,4
3,0
0,7 (0,6)
7,3
7,3
7,1
2,5 (0,6)
7,7
7,4
0,4 (0,4)
7,3
7,1
6,0 (2,4)
3,0
2,8
2,8
4,3
2,8
3,2
3,3
3,0
3,4
5,7
1,3
1,3
1,7
5,0
1,4
1,7
2,8
1,3
1,3
4,1
0,3
0,2
0,3
n.d.
0,2
0,3
n.d.
0,3
0,2
n.d.
Rispetto alle quantità determinate nel basalto non alterato, il
contenuto di Si ed Al risulta sempre abbastanza più elevato nei campioni raccolti dalle superfici litiche ricoperte dai licheni e dal muschio e all’interfaccia roccia-talli lichenici e roccia-rizoidi muscinali. Il contenuto di questi metalli è risultato più basso nei tessuti degli organismi vegetali.
Il ferro è presente in concentrazione maggiore nei campioni separati dalla zona di contatto basalto-Grimmia pulvinata e basaltoStereocaulon vesuvianum, in quantità più ridotta nei tessuti delle crittogame,
in particolare in quelli dello Stereocaulon.
Le quantità di magnesio e di calcio restano praticamente costanti nei campioni in cui sono prevalenti i costituenti minerali.
Sodio e potassio risultano più concentrati nella struttura dei talli lichenici e del cuscinetto muscinale, confermando il loro coinvolgimento
nel metabolismo vegetale.
I valori dell’E.F., di poco superiori all’unità, mettono in chiara
evidenza accumulo preferenziale di Fe e Mg nei tessuti di Grimmia pulvinata e di Ca in quelli di Lecidea fuscoatra.
La diffrattometria a raggi X (XRD) ha evidenziato all’interfaccia roccia-entità vegetali la presenza di minerali con d = 1.430, 1.002 e 0.717
nm, riferibili a fillosilicati, e con d = 0.426 e 0.334 nm caratteristici del quarzo di sicuro apporto eolico (Figura 2).
Nel tallo della Lecidea fuscoatra e dello Stereocaulon vesuvianum sono stati evidenziati effetti di diffrazione a 0.593, 0.355 e 0.297 nm,
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
21
caratteristici del calcio ossalato monoidrato (whewellite). Il minerale risulta
presente anche nei tessuti di Grimmia pulvinata. Questo dato è riconducibile alla capacità di secrezione di acido ossalico da parte dei muschi, anche se
non può essere esclusa la possibilità che il calcio ossalato sia da riferire all’attività metabolica di un preesistente lichene.
Figura 2 – Effetti di diffrazione ai raggi-X (radiazione Co-kα , ferro-filtrata) dei
diversi materiali sottoposti ad indagine analitica. Wh = whewellite; Q = quarzo;
Pl = plagioclasio; Au = augite; Mg = magnetite.
Q
Wh
QQ
Wh+Pl
55
orientato
Tallo di Lecidea fuscoatra
orientato
Tallo di Stereocaulon
vesuvianum
orientato
Cuscinetto muscinale
di Grimmia pulvinata
orientato
Interfaccia muschio-roccia
random
Roccia
22
Adamo et al.
Dalle osservazioni al microscopio elettronico a scansione e dalle indagini microanalitiche (SEM/EDXRA) risulta che:
- nella zona di contatto roccia-Lecidea fuscoatra, notevole disgregazione dei costituenti litici (Figura 3) e presenza di cristalli tabulari di
whewellite (Figura 4);
- all’interfaccia basalto-Grimmia pulvinata sono allineati, tangenzialmente alla superficie dei rizoidi (Figura 5a), cristalli caratterizzati da
ben sviluppata morfologia piana (Figura 5b), da diametro compreso tra 2 e 5
µm e da composizione chimica definita dalla presenza di Cu e Fe (Figura 5c).
Figura 3 - Micrografia (SEM) della zona di contatto basalto-Lecidea fuscoatra.
E’ evidente la notevole disgregazione dei costituenti litici.
In Tabella 2 vengono riportate le caratteristiche chimico-fisiche
e chimiche del «protosuolo» coperto da Grimmia pulvinata.
Nel materiale terroso raccolto immediatamente al di sotto del
cuscinetto muscinale si accerta prevalenza di particelle con diametro compreso tra 200 e 20 µm. La reazione è tendenzialmente subacida. Il valore elevato del rapporto C/N indica presenza di residui vegetali caratterizzati da
elevata resistenza al processo di mineralizzazione. Per il limitato contenuto
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
23
percentuale di particelle ad elevata attività di superficie, il valore della capacità di scambio cationico risulta pari solamente a 6,4 cmol(+) kg-1. Il complesso di scambio è insaturo, il grado di saturazione in basi, infatti, risulta
inferiore al 30%. Particolarmente ridotta è la presenza del calcio scambiabile (circa il 14% della CSC) mentre relativamente elevata è la percentuale di
potassio utilizzabile dai vegetali (circa il 9% della CSC).
Figura 4 - Micrografia (SEM) (a) e microanalisi (EDXRA) (b) di cristalli tabulari
di whewellite, presenti nella zona di contatto basalto-Lecidea fuscoatra.
a)
*
b)
24
Adamo et al.
Figura 5 - Micrografia (SEM) della zona di contatto protosuolo - Grimmia pulvinata. Sulle pareti del rizoide (a), allineati tangenzialmente, appaiono evidenti cristalli a morfologia piana, ben sviluppati (b), con composizione chimica definita
dalla presenza di Cu e Fe (c).
a)
b)
*
c)
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
25
Tabella 2 - Caratteristiche fisiche e chimiche del protosuolo coperto da
Grimmia pulvinata
Frazioni granulometriche
2 µm-200 µm
g kg-1
200 µm-20µm
"
20 µm-2µm
"
< 2µm
"
pH (H2O)
69
752
80
99
5,75
CO
N totale
g kg-1
g kg-1
26,7
0,5
C/N
CSC
cmol(+) kg-1
53,4
6,4
"
"
"
"
mg kg-1
0,3
0,5
0,88
0,22
40
Basi di scambio
Na
K
Ca
Mg
P2O5 assimilabile
Le consistenti quantità di fosforo assimilabile (40 mg kg-1di
P2O5) confermano i risultati e le osservazioni riportati in letteratura relativi
alla possibilità che le briofite costituiscano una importante riserva temporanea di fosforo e, in ambienti particolari, possano svolgere un ruolo significativo nella definizione del ciclo biogeochimico del nutriente (Graustein et
al., 1977; Chapin et al., 1987; Brown e Bates, 1990).
Lo spettro FT-IR degli acidi umici separati dal «protosuolo»
(Figura 6b) è molto simile a quelli comunemente accertati per gli acidi umici dei suoli. Si rilevano, in ogni caso, differenze significative con lo spettro
FT-IR degli acidi umici separati dal muschio (Figura 6a). In particolare, nella zona dello spettro compresa tra 3700 e 2200 cm-1, la banda asimmetrica
con massimo a 3400 cm-1 appare più larga per probabile più elevata presenza di OH carbossilici. Meno intensi sono i picchi a 2920 e 2852 cm-1, riferibili a vibrazioni di stretching di gruppi alchilici. La migliore definizione
della banda a 1716 cm-1 conferma l’incremento di gruppi COOH. Maggiore
è l’assorbimento intorno a 1534 cm-1 da ascrivere alla seconda banda del legame ammidico e da attribuire, in modo plausibile, a più elevato contenuto
della componente azotata La banda compresa tra 1100 e 1000 cm-1, da assegnare all’assorbimento di gruppi C-O dei carboidrati, risulta meno intensa
in conseguenza della degradazione enzimatica dell’amido, sostanza di riserva che caratterizza il metabolismo delle briofite.
26
Adamo et al.
Figura 6 - Spettri FT-IR degli acidi umici separati: (a) dai tessuti di
Grimmia pulvinata e (b) dal protosuolo.
a)
b)
cm-1
Conclusioni
Il valore dell’Enrichment Factor, calcolato utilizzando i dati accertati per la composizione chimica del basalto alterato e delle crittogame
considerate, ha consentito di individuare accumulo preferenziale di alcuni
metalli nei tessuti vegetali e di mettere in evidenza probabili fenomeni d’inquinamento.
I diversi organismi vegetali non hanno determinato differenze
significative in termini di intensità di disgregazione dei materiali rocciosi e
di corrosione delle superfici colonizzate.
I risultati ottenuti hanno confermato il ruolo svolto dall’acido
ossalico nella decomposizione biogeochimica di matrici rocciose colonizzate da crittogame.
Il materiale terroso coperto dal cuscinetto muscinale della
Grimmia pulvinata presenta le caratteristiche chimiche e fisiche proprie dei
suoli poco pedogenizzati. Il valore elevato del rapporto C/N è da riferire alla presenza di residui vegetali con elevata resistenza al processo di mineralizzazione. Le consistenti quantità di fosforo assimilabile hanno confermato
la possibilità che le briofite costituiscano importante riserva temporanea di
fosforo svolgendo, in ambienti particolari, un ruolo significativo nella definizione del ciclo biogeochimico del nutriente.
Bioalterazione di un basalto dell’Etna (Sicilia) operata dai licheni Stereocaulon vesuvianum
Pers. e Lecidea fuscoatra (L.) Ach. e dal muschio Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm.
27
Lo studio FT-IR comparato degli acidi umici separati dal «protosuolo» e dal muschio ha consentito di evidenziare solamente limitate differenze, relative, in particolare, al diverso contributo quantitativo dei gruppi
funzionali che caratterizzano l’organizzazione molecolare di carboidrati, acidi organici e costituenti azotati.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano il Sig. Gennaro Cafiero del CIRUB-Napoli per la preziosa assistenza
nel corso delle osservazioni condotte al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) e delle
indagini microanalitiche (EDXRA).
Lavoro svolto con i fondi del Progetto cofinanziato PRIN 98-99, dal titolo «Crittogame come biomonitors in ecosistemi terrestri».
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29
LE
SOSTANZE UMICHE NELLO SCHELETRO DEL
SUOLO
Agnelli A.1, Celi L.2, Degl’Innocenti A.3, Corti G.1, Ugolini F.C.1
1 Dipartimento di Scienza del Suolo e Nutrizione delle Piante, Firenze;
2 DI.VA.P.R.A., Chimica Agraria, Torino;
3 Dipartimento di Chimica Organica, Firenze.
Introduzione
La sostanza organica è un importante costituente del suolo e il
concetto che la fertilità dipenda dal contenuto in humus è noto da lungo tempo (Liebig, 1840). La frazione umificata ha inoltre effetti sul pH e sulla capacità di scambio cationico, nonché su proprietà fisiche del suolo quali la stabilità degli aggregati, la capacità di ritenzione idrica e la permeabilità.
Come per altre caratteristiche chimico-fisiche del suolo, gli studi sulla sostanza organica sono generalmente rivolti alla terra fine, mentre la
frazione grossolana o scheletro (> 2 mm) non è mai stata presa in considerazione sotto questo aspetto. Recenti studi hanno però evidenziato che tale
frazione presenta proprietà, come il contenuto di C organico e di N, paragonabili a quelle della terra fine (Ugolini et al., 1996). Inoltre, è stato dimostrato che l’espressione di queste proprietà dipende dal grado di alterazione
dei clasti (Corti et al., 1998). Infatti, l’alterazione produce un aumento della
porosità (Ugolini et al., 1996) favorendo gli scambi tra l’interno dei clasti ed
il suolo circostante.
In questo lavoro sono stati caratterizzati gli acidi umici (AU) e
fulvici (AF) estratti da terra fine e scheletro di un suolo forestale, al fine di
valutare l’evoluzione della sostanza organica e avanzare ipotesi sui processi
di umificazione che avvengono in questa frazione del suolo.
Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta nella Foresta di Vallombrosa
(Comune di Reggello, FI), i cui suoli si sono sviluppati da un’arenaria risaAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 29-41 (2001)
30
Agnelli et al.
lente all’Oligocene (Arenaria del Falterona), costituita da banconi di arenaria intercalati da sottili strati di siltite. L’area di studio, Cavalla, si trova a
1100 m s.l.m., su una pendice esposta a N-NE, con pendenza di circa il 5%.
La vegetazione è costituita da un impianto di abete bianco (Abies alba Mill.)
dell’età di 75 anni. Il suolo è stato classificato Humic Dystrudept (Soil
Survey Staff, 1998).
Il campionamento è stato effettuato su base di volume (Corti et
al., 1998) ed i campioni suddivisi in terra fine (< 2 mm) e scheletro (> 2 mm)
tramite setacciatura a secco e ad umido. Dalla setacciatura ad umido si è ottenuta un’altra frazione, la “lavatura dello scheletro” (che qui chiameremo
lavatura), costituita dal materiale fine aderente ai clasti. Lo scheletro è stato
poi suddiviso in classi di alterazione (Corti et al., 1998).
In questo lavoro sono stati analizzati: terra fine, lavatura, scheletro alterato e scarsamente alterato degli orizzonti A1 e A2.
Sui campioni, macinati a 0.5 mm, si è determinato il contenuto
di C organico e di N totale con un analizzatore Carlo Erba NA 1500, previo
trattamento con HCl 0.2M.
Gli acidi umici (AU) e fulvici (AF) sono stati estratti e purificati seguendo la procedura illustrata in Fig. 1. La composizione elementare
(N, C, S, H) degli AU e AF è stata determinata con un Carlo Erba NA 1500.
I valori sono stati corretti per il contenuto in umidità e ceneri. L’acidità totale ed il contenuto di gruppi COOH sono stati determinati secondo il metodo di Schnitzer e Gupta (1965). I gruppi OH acidi (OH-fenolici ed –enolici)
sono stati calcolati per differenza. Il rapporto E4/E6 è stato determinato, secondo il metodo di Chen et al. (1977), con uno spettrofotometro Carlo Erba
Spectracomp 602. Gli spettri FT-IR sono stati registrati con uno spettrofotometro 16F PC FT-IR Perkin Elmer, utilizzando pastiglie di KBr, preparate
pressando sotto vuoto una miscela costituita da 0.5 mg di sostanze umiche e
200 mg di KBr. Gli spettri sono stati acquisiti con una risoluzione di 4 cm1 e come media di 64 scansioni. Gli spettri 13C NMR allo stato liquido sono stati registrati in NaOH 0.5M (100 mg di AU o AF in 2 mL) a 50.3 MHz
con uno spettrometro Varian Gemini 200, alle condizioni indicate da
Schnitzer e Preston (1986).
Risultati e discussione
Il contenuto di C organico e di N totale diminuisce dall’orizzonte A1 all’A2 e dalla terra fine allo scheletro scarsamente alterato (Fig. 2).
31
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
Fig. 1. Procedura di estrazione e purificazione degli acidi umici e fulvici.
campione
estrazione, in atmosfera di N2, con una
soluzione di NaOH 0.1M : Na4P2O7 0.1M
(rapporto solido:liquido 1:10);
centrifugazione e filtrazione a 0.45 mm
sostanza organica estratta
acidificazione con
HCl 6M
acidi fulvici grezzi
(solubili)
acidi umici grezzi
(precipitati)
trattamento con etanolo e
acidificazione con HCl 6M
passaggio su PVP
lavaggi con H2O
del precipitato
eluizione della fase
ritenuta con NaOH 0.1M
dialisi
(SpectraPor 6, MWCO 1000)
passaggio su
amberlite IR 120 H+
trattamento con HF 1M : HCl 0.5M
(ca. 1 settimana)
lavaggi con acqua
solubilizzazione con
NaOH 0.1M
dialisi
(SpectraPor 6, MWCO 1000)
passaggio su
amberlite IR 120 H+
liofilizzazione
liofilizzazione
acidi fulvici
acidi umici
32
Agnelli et al.
Fig. 2. Contenuto di C organico ed N totale
50
3
2.5
40
2
30
1.5
20
1
10
0.5
0
0
A1
A2
A1
orizzonti
horizons
A2
orizzonti
horizons
Terra fine
Lavatura
Scheletro alterato
Scheletro scarsamente
alterato
Sebbene la terra fine mostri i maggiori contenuti in entrambi gli
orizzonti, è evidente la notevole presenza di C organico nella lavatura e nello scheletro alterato. Lo scheletro scarsamente alterato mostra valori più bassi. La lavatura presenta un contenuto di C organico e di N totale simile a
quello dello scheletro alterato.
Acidi umici
Gli AU dello scheletro presentano una composizione elementare (Tab. 1) comune di AU di suoli di climi temperati. Rispetto alla terra fine
hanno un più alto contenuto in C e in N e un più basso rapporto C/N. Ciò farebbe supporre un maggiore grado di incorporazione dell’N nella struttura
umica e potrebbe essere considerato come indice di buona attività biologica
(Kononova, 1966). Inoltre il più alto contenuto in H, cui consegue un più alto rapporto H/C, osservato nello scheletro di entrambi gli orizzonti, indicherebbe la presenza di materiale a carattere più alifatico rispetto a quello ritrovato nella terra fine. Il contenuto in O è leggermente inferiore a quello della
terra fine così come l’acidità totale, dovuta totalmente a gruppi COOH
nell’A1. Nell’A2 si nota invece una rilevante concentrazione di OH fenolici.
33
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
Tabella 1. Composizione elementare e rapporti atomici degli AU
A1 terra fine
N
C
H
%
S
O
C/N
H/C
O/C
3.90
60.26
4.62
2.38
28.84
18.05
0.92
0.36
lavatura
4.89
64.41
4.51
0.45
25.73
15.38
0.84
0.30
schel. alt.
5.77
62.73
4.76
0.35
26.38
12.69
0.91
0.32
schel. scar. alt. 6.16
60.81
5.00
1.10
26.93
11.52
0.99
0.33
A2 terra fine
3.78
58.10
4.17
3.86
30.08
17.93
0.86
0.39
lavatura
5.94
66.84
4.22
0.52
22.47
13.13
0.76
0.25
schel. alt.
5.78
61.18
4.33
0.40
28.30
12.35
0.85
0.35
schel. scar. alt. 5.03
61.80
4.48
1.29
27.40
14.35
0.87
0.33
schel. alt. = scheletro alterato; schel. scar. alt. = scheletro scarsamente alterato.
La lavatura presenta un contenuto in C e N simili a quello dello scheletro mentre l’O, basso in entrambi gli orizzonti, è però accompagnato da alti valori di acidità totale e gruppi carbossilici, indicando che questi
sono i gruppi funzionali contenenti O maggiormente rappresentati nel materiale umico.
Il rapporto E4/E6 (Tab. 2) decresce andando dalla terra fine allo scheletro scarsamente alterato in entrambi gli orizzonti, seguendo l’andamento dei gruppi COOH (Chen et al., 1977).
Tabella 2. Acidità totale, gruppi COOH e -OH acidi, e rapporto E4/E6 degli AU
Acidità totale
A1 terra fine
lavatura
schel. alt.
schel. scar. alt.
A2 terra fine
lavatura
schel. alt.
schel. scar. alt.
545
639
463
414
693
548
636
909
COOH -OH acidi
cmol kg-1
527
18
553
86
446
17
411
3
608
85
540
8
466
170
460
449
E4/E6
6.09
5.70
5.60
4.40
5.33
5.27
5.20
4.66
Gli spettri FT-IR di tutti gli AU (Fig. 3) mostrano un’ampia banda centrata a 3400 cm-1 dovuta ai gruppi OH. Negli AU della lavatura e dello
scheletro scarsamente alterato sono evidenti bande a 2920 e 2856 cm-1 (stretching dei -CH- e dei -CH2-), meno pronunciate nelle altre due frazioni. Le bande a 1720 e a 1200 cm-1 (stretching del C-O di C=O e COOH) sono di minore intensità negli AU dei clasti rispetto a quelli della terra fine, confermando i
dati dell’analisi chimica, mentre la spalla attorno a 1500 cm-1 (C=C di anelli
aromatici o C=O di amidi II) è marcata solo nella lavatura e nello scheletro.
34
Agnelli et al.
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
35
36
Agnelli et al.
Un’ampia banda da 1260 a 1200 cm-1 (stretching asimmetrico del
C-O e dell’OH di gruppi carbossilici, deformazione del C-OH di fenoli e alcoli terziari) è presente in tutti gli spettri così come quella a 1150-1050 cm-1 seppur più pronunciata nella terra fine e, in minor misura, nello scheletro scarsamente alterato. Questa banda può essere attribuita allo stretching di C-O di alcoli e polisaccaridi (Piccolo and Stevenson, 1982), ma non si può escludere la
possibilità di stretching di Si-O, causato dalla presenza di impurezze minerali.
Gli spettri 13C NMR allo stato liquido degli AU (Fig. 4) mostrano segnali nella zona del C alifatico più pronunciati per la lavatura e per
le due classi di scheletro che per la terra fine. Sono evidenti segnali a 16-32
ppm, attribuibili a (CH2)n di lunghe catene alifatiche e segnali a 40-105 ppm
dovuti a C alifatici legati ad atomi di O e N, attribuibili alla presenza di aminoacidi e carboidrati (Schnitzer e Preston, 1986). Negli spettri della lavatura e dello scheletro si osservano segnali molto ampi e complessi nella zona
del C aromatico (105-150 ppm), mentre in quelli relativi alla terra fine sono
evidenti segnali ben definiti a 120 e 127 ppm, dovuti ad anelli aromatici altamente protonati (Hatcher et al., 1980). Negli spettri degli AU dello scheletro alterato e scarsamente alterato sono presenti segnali tra 150 e 165 ppm,
dovuti a C fenolici. I segnali dovuti al C dei carbossili (165-185 ppm) sono
comparabili in tutti gli spettri.
Questi risultati mettono in evidenza che gli AU estratti dallo
scheletro sono caratterizzati da un più alto contenuto in N e H, catene paraffiniche, OH alifatici e aromatici, rispetto a quelli della terra fine, indicando
una maggiore presenza di residui di carboidrati, lipidi e proteine legati al core della struttura umica e solo parzialmente degradati (Schulten e Schnitzer,
1993; Stevenson, 1994). La modesta componente aromatica potrebbe essere
correlata ad una limitata capacità di penetrazione di materiale ligninico all’interno dei clasti. Si potrebbe ipotizzare che il materiale organico dello
scheletro vada incontro ad un processo di trasformazione meno intenso rispetto a quanto avviene nella terra fine, in quanto fisicamente e selettivamente protetto dall’attacco microbico. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto
che queste caratteristiche sono ancora più evidenti nei clasti scarsamente alterati. Un fenomeno simile è stato osservato in suoli argillosi (Verberne et
al., 1990) dove la sostanza organica, intrappolata all’interno dei micropori
degli aggregati, è inaccessibile ai microrganismi (Elliot e Coleman, 1988) e
subisce una minore degradazione rispetto a quella di suoli sabbiosi. D’altra
parte non è da escludere che, al contrario, le sostanze umiche dello scheletro siano soggette ad un turnover più rapido rispetto a quello che si verifica
nella terra fine, vista la presenza di materiale facilmente decomponibile nella struttura degli AU dello scheletro. Questa ipotesi sarebbe suffragata dal
37
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
fatto che AU estratti da paleosuoli sono caratterizzati dall’assenza di polisaccaridi e materiali proteici e praticamente privi di strutture alifatiche
(Calderoni e Schnitzer, 1984).
Gli AU della lavatura, con bassi rapporti H/C e O/C ed un alto
contenuto di COOH, OH-acidi e anelli aromatici sostituiti, appaiono essere
molto più simili a quelli dello scheletro che a quelli della terra fine.
Acidi fulvici
La composizione elementare degli AF (Tab. 3) mostra un contenuto in N simile in tutte le frazioni con valori inferiori nell’orizzonte A2.
Gli AF dello scheletro sono costituiti da un contenuto più alto in C e più basso in H, cui corrispondono bassi valori in H/C. A differenza degli AU, gli
AF dello scheletro sono quindi più aromatici di quelli della terra fine. I più
alti valori di C si ritrovano nella lavatura in entrambi gli orizzonti. Il rapporto C/N degli AF dei clasti è simile a quello della terra fine e con valori
maggiori nell’orizzonte A2.
Tabella 3. Composizione elementare e rapporti atomici degli AF
A1 terra fine
lavatura
schel. alt.
schel. scar. alt.
A2 terra fine
lavatura
schel. alt.
schel. scar. alt.
N
C
1.95
1.73
1.83
1.75
1.46
1.56
1.67
1.56
54.92
58.44
58.21
57.01
54.53
56.49
55.69
55.11
H
%
4.39
3.78
3.53
3.46
3.64
3.68
3.35
3.09
S
O
C/N
H/C
O/C
1.83
0.99
0.37
0.53
1.82
1.29
0.38
0.69
36.91
35.06
36.05
37.26
38.55
36.98
38.91
39.55
32.96
39.38
37.05
38.13
43.67
42.14
39.00
41.18
0.96
0.78
0.73
0.73
0.80
0.78
0.72
0.67
0.50
0.45
0.46
0.49
0.53
0.49
0.52
0.54
L’acidità totale (Tab. 4) è dovuta, anche in questo caso, in gran
parte a gruppi COOH, sebbene il contributo degli OH-acidi sia superiore a
quello riscontrato negli AU.
Tabella 4. Acidità totale, gruppi COOH e -OH acidi, e rapporto E4/E6 degli AF
A1
A2
Acidità totale COOH -OH acidi
cmol kg-1
terra fine
1253
1196
57
lavatura
1457
1231
226
schel. alt.
1608
1281
327
schel. scar. alt.
1694
1261
433
terra fine
1503
1208
295
lavatura
1662
1345
317
schel. alt.
1608
1300
309
schel. scar. alt.
1652
1003
649
E4/E6
8.46
13.39
13.88
12.68
15.15
10.48
10.52
8.26
38
Agnelli et al.
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
39
40
Agnelli et al.
I contenuti maggiori di COOH si ritrovano negli AF della lavatura e dello scheletro alterato dell’orizzonte A2, mentre le più alte concentrazioni di OH-acidi si ritrovano nei clasti scarsamente alterati dello stesso orizzonte.
Gli spettri FT-IR (Fig. 5) mostrano poche differenze tra le frazioni nei due orizzonti. Le deboli bande a 2920 e 2856 cm-1 e quelle molto
pronunciate a 1720 e 1200 cm-1 indicano un minore grado di alifaticità ed
un maggiore contenuto di gruppi COOH rispetto agli AU.
Gli spettri 13C NMR degli AF (Fig. 6), mostrano segnali più
deboli nella regione del C alifatico (0-105 ppm) rispetto agli AU. La complessità del segnale nella zona del C aromatico (105-150 ppm) aumenta andando dalla terra fine allo scheletro e decresce dall’orizzonte A1 all’A2. I segnali dovuti al C aromatico negli AF dello scheletro alterato sono però più
definiti rispetto a quelli degli AU, indicando una maggior presenza di anelli
aromatici non sostituiti.
Conclusioni
Lo scheletro contiene una quantità non trascurabile di C organico ed N, accumulati durante la formazione del suolo (Corti et al., 1995:
Ugolini et al., 1996). I processi di umificazione nei clasti conducono a sostanze umiche con differenti caratteristiche rispetto a quelle della terra fine.
In particolare, gli acidi umici dello scheletro sono caratterizzati dalla presenza di residui polisaccaridici, lipidici e proteici, solo parzialmente degradati. Questo potrebbe essere dovuto ad una protezione fisica dall’attacco microbico offerta dalla struttura stessa dei clasti o, al contrario, ad un più veloce turnover della sostanza organica nello scheletro.
Gli acidi umici della lavatura hanno mostrato caratteristiche più
vicine a quelle dello scheletro che a quelle dalla terra fine suggerendo che questa frazione potrebbe essersi originata in gran parte dalla disgregazione delle
superfici dei clasti, più che da fenomeni di illuviazione. Quindi, la lavatura rappresenterebbe la fase intermedia tra lo scheletro del suolo e la terra fine.
Gli acidi fulvici delle quattro frazioni mostrano una maggior
omogeneità rispetto agli acidi umici, probabilmente grazie alla loro mobilità nella soluzione del suolo.
Lo scheletro del suolo non rappresenta quindi solo un reservoir
di C organico e di N fino ad oggi poco considerato, ma anche una frazione
attiva dal punto di vista chimico e biologico.
Le sostanze umiche nello scheletro del suolo
41
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43
LE ATTIVITÀ DEL CENTRO TEMATICO NAZIONALE
“SUOLO E SITI CONTAMINATI”
Renzo Barberis 1, Antonio Pugliese 2
1 Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte – Torino
2 Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale - Roma
Riassunto
Il CTN SSC si propone la definizione, la raccolta e l’organizzazione dei dati
e delle informazioni sul suolo che sono ritenuti utili per descrivere questa matrice ambientale a livello nazionale e per indirizzare correttamente le politiche di salvaguardia ambientale ed utilizzo del territorio secondo i criteri dello sviluppo sostenibile.
Le attività del CTN comprendono dunque l’esame della domanda di conoscenza sul suolo derivante da atti di indirizzo, convenzioni, leggi e norme a livello
europeo e nazionale, l’individuazione di indicatori e indici utili a descrivere la matrice suolo, le linee guida per la costruzione di questi indicatori e indici, il censimento delle sorgenti dei dati necessari per la formulazione di indicatori e indici e
l’acquisizione dei dati disponibili, la qualificazione e l’integrazione di questi dati; il
CTN si occupa inoltre di molte altre attività correlate, legate ad esempio agli standard di qualità ambientale o alle guide tecniche sui metodi di analisi.
Nella prima fase di lavoro sono stati individuati gli indicatori e gli indici prioritari per tutte le tematiche considerate, seguendo lo schema siglato DPSIR (Driving
forces, Pressure, State, Impact e Response), ed è stato svolto un capillare lavoro di
ricerca delle informazioni esistenti a livello nazionale.
Introduzione
In attuazione del decreto del Ministro dell’ambiente del 29 ottobre 1998, che contiene le disposizioni e le modalità attuative del trasferimento del programma SINA dal Ministero all’ANPA, così come previsto
dalla legge 21 gennaio 1994. n.61, l’ANPA sta organizzando il nuovo sistema nazionale conoscitivo e dei controlli ambientali.
Nell’ambito di tale sistema (Figura 1), i CTN (Centri Tematici
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 43-48 (2001)
44
Nazionali) rappresentano il principale strumento di supporto operativo
dell’ANPA per l’espletamento di quelle attività di formazione delle regole
generali per favorire l’integrazione territoriale e tematica delle informazioni
ambientali e di coordinamento generale delle attività di alimentazione della
base conoscitiva a livello nazionale.
• Figura 1- Collocazione del CTN nell'ambito dello schema SINANET
ISTAT
1 ASS. CONSORTILI TRA ARPA/APPA
2 ORG. TECNICO-TEMATICI
3 ASS. CONSORTILI TRA 1 E 2
cooperano
seleziona
e incarica
ANPA
CTN
•
m (1 x tema)
dà consulenza
e supporto a
cooperano con
dà direttive e
vigila
su
•
•
•
•
•
ATMOSFERA, QUALITÀ ARIA ED EMISSIONI
ATMOSFERICHE
ACQUE INTERNE E MARINO-COSTIERE
SUOLO E SITI CONTAMINATI
RIFIUTI
AGENTI FISICI
CONSERVAZIONE DELLA NATURA
•
•
ARPA/APPA
STRUTTURE REGIONALI
cooperano con
m (var)
IPR
MAMB
PFR
designa e
coordina
•
AUT. BACINO
• AUT. PARCO
• ENEA
• CNR
• DSTN
• UNIONCAMERE
• UNCEM
• ISS
REGIONI
PROV. AUTONOME
Il CTN SSC si propone la definizione, la raccolta e l’organizzazione dei dati e delle informazioni sul suolo che sono ritenuti utili per descrivere questa matrice ambientale a livello nazionale e per indirizzare correttamente le politiche di salvaguardia ambientale ed utilizzo del territorio
secondo i criteri dello sviluppo sostenibile.
Le attività del CTN
Le attività del CTN comprendono l’esame della domanda di conoscenza sul suolo derivante da atti di indirizzo, convenzioni, leggi e norme
a livello europeo e nazionale, l’individuazione di indicatori e indici utili a descrivere la matrice suolo, le linee guida per la costruzione di questi indicatori e indici, il censimento delle sorgenti dei dati necessari per la formulazione di indicatori e indici e l’acquisizione dei dati disponibili, la qualificazione e l’integrazione di questi dati; il CTN si occupa inoltre di molte altre
attività correlate, legate ad esempio agli standard di qualità ambientale o alle guide tecniche sui metodi di analisi.
Per facilitare l’approccio ad una matrice così complessa come il
Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati”
45
suolo, pur essendo perfettamente consci della unicità della matrice stessa, sono state definite quattro diverse tematiche che vogliono rappresentare quattro aspetti particolari, ampiamente correlati tra di loro, del suolo:
Ø qualità dei suoli (Tema 18) – riguarda la rappresentazione del suolo
attraverso le sue caratteristiche intrinseche, che meglio lo caratterizzano come matrice naturale in grado di svolgere le numerose e ben note funzioni;
Ø degradazione fisica e biologica del suolo (Tema 19) – considera gli
aspetti di degradazione della matrice suolo che, soprattutto nell’ultimo secolo, hanno portato o rischiano di portare ad una perdita di parte del suolo o
delle sue funzionalità a causa del verificarsi di fenomeni degradativi o di utilizzo del suolo che possono considerarsi irreversibili, almeno nella scala temporale umana;
Ø contaminazione dei suoli da fonti diffuse (Tema 20) – considera quegli aspetti qualitativi del suolo che possono risultare progressivamente compromessi da un utilizzo dello stesso, soprattutto da parte dell’uomo, con modalità tali da non rispettare i naturali tempi di riequilibrio, ovvero tali da
compromettere la funzione del suolo come filtro biologico;
Ø contaminazione puntuale del suolo e siti contaminati (Tema 21) –
considera uno dei fenomeni più preoccupanti degli ultimi decenni, cioè il
moltiplicarsi di situazioni di forte contaminazione di superfici ben definite di
suolo da parte di attività antropiche, con necessità di interventi di bonifica
che spesso non sono in grado di restituire al suolo la sua piena funzionalità.
Lo schema DPSIR
La definizione di indicatori ed indici che siano in grado di rappresentare una determinata matrice ambientale, sia nell’ambito di processi di
valutazione della matrice stessa, sia come reporting dello stato dell’ambiente, avviene generalmente attraverso l’utilizzo di schemi in grado di mettere
in relazione le pressioni esercitate sulla matrice, lo stato della matrice stessa
e le risposte che già ci sono o che sono ipotizzabili per il futuro.
Nel caso specifico, lo schema di riferimento è quello siglato
DPSIR, cioè Driving forces, Pressure, State, Impact e Response.
Lo schema è stato adottato dalla EEA (European Environmental
Agency), in modo da proporre con esso una struttura di riferimento generale, un approccio integrato nei processi di reporting sullo stato dell’ambiente,
effettuati a qualsiasi livello europeo o nazionale. Esso permette di rappresentare l’insieme degli elementi e delle relazioni che caratterizzano un qualsiasi tema o fenomeno ambientale, mettendolo in relazione con l’insieme
46
Barberis e Pugliese
delle politiche esercitate verso di esso.
Lo schema (Figura 2), applicato al tema del suolo e dei siti contaminati, fornisce delle utili interpretazioni delle singole voci del DPSIR, e
precisamente:
• Figura 2- Schema DPSIR applicato al tema "suolo"
Sviluppo di politiche di
protezione del suolo
Industria
Agricoltura
Popolazione
Turismo
Trasporti
Direttiva sui nitrati
Riforma della PAC
Direttiva sullo
spandimento di liquami
Responses
Driving
Forces
Urbanizzazione
Deforestazione
Incendi boschivi
Impact
Pressures
Cambiamento
del clima
Stress idrico
Desertificazione
Perdita di
biodiversità
State
Contaminazione, acidificazione,
salinizzazione del suolo
Carico di nutrienti
Ø
Compattamento ed
erosione del suolo
D – Driving forces – Determinanti o Forze determinanti
popolazione umana, sviluppo del territorio, agricoltura, turismo, trasporti, industria/energia, miniere, eventi naturali, cambiamenti climatici, utilizzo
risorsa idrica e stress idrico
Ø
P – Pressures – Pressioni
emissioni nell’aria, nell’acqua e sul suolo, espansione urbana (consumo
di suolo), costruzione di infrastrutture, de-forestazione, incendi boschivi
Ø
S – States – Stati
degradazione del suolo – contaminazione locale e diffusa, acidificazione
del suolo, salinizzazione, carico di nutrienti (eutrofizzazione del suolo), degradazione fisica
perdita di suolo – erosione dall’acqua e dal vento, grandi movimenti di
terra per opere di diversa natura
Ø
I – Impacts – Impatti
diretti – cambiamenti nelle funzioni del suolo, desertificazione
Le attività del Centro Tematico Nazionale “Suolo e siti contaminati”
47
indiretti (effetti su altre matrici ambientali) – cambiamenti nel numero e
nella distribuzione della popolazione, perdita di biodiversità, cambiamenti
nelle rese colturali, cambiamenti climatici, stress idrico
Ø
R – Responses - Risposte
protezione primaria – convenzione sulla desertificazione, sviluppo della
politica comunitaria europea di protezione del suolo
protezione secondaria – riforma del CAP, direttiva nitrati, direttiva sull’utilizzo agricolo dei fanghi, direttiva quadro sulle acque
Un lavoro analogo è stato condotto, anche questo a livello di
draft, per i siti contaminati dall’apposito gruppo di lavoro dell’ETC Soil
(Figura 3).
• Figura 3- Schema DPSIR applicato al tema "siti contaminati"
Industrie
Discariche
Siti militari
Reponses
Driving
Forces
Rilascio di
sostanze
tossiche
nell'aria, acqua
e suolo
Pressures
Impact
Piani di bonifica
Normative ed
incentivi sull'uso
del suolo
Cambiamenti
nelle funzioni
dell'ecosistema
State
Stato e qualità del suolo
(contaminazione)
Lo stato attuale dei lavori
La scelta degli indicatori per definire la qualità del suolo in tutte le sue componenti, chimica, fisica e biologica, nonché delle pressioni, diffuse o puntuali, che su di esso sono esercitate, deve necessariamente accompagnarsi ad un set di informazioni accessorie in grado di descrivere, nel modo più esauriente possibile, la continua variazione dei caratteri principali del
suolo, legando il valore dell’indicatore a precisi riferimenti topografici territoriali (es.: caratteristiche morfologiche, pedologiche, del paesaggio, uso del
suolo, ecc.).
48
Barberis e Pugliese
Sulla base di questi criteri, è stato definito un ampio elenco di
indicatori all’interno del quale si stanno scegliendo quelli prioritari sui quali puntare l’attenzione sia per la redazione delle linee guida per la loro compilazione, sia per la ricerca ed il reperimento dei dati necessari.
Contemporaneamente è stato predisposto un osservatorio sulla
domanda di informazione ed è in fase di realizzazione il catalogo delle sorgenti dei dati.
Tra le altre attività del CTN merita un accenno particolare la
collaborazione alla redazione di linee-guida e guide tecniche relative alle metodologie analitiche e di monitoraggio sia in campo chimico fisico, sia in
campo biologico. Una prima necessità già individuata ed attualmente in fase di valutazione riguarda la predisposizione di una guida tecnica per le metodiche analitiche sui suoli contaminati, riferita agli analiti compresi nelle
Tabelle di cui agli allegati tecnici dell’emanando regolamento ministeriale
sulle bonifiche. Altre necessità potrebbero essere individuate dagli esami che
si stanno conducendo sulle caratteristiche biologiche dei suoli, comprese le
metodiche ecotossicologiche e quelle basate su matrici biotiche.
I lavori del CTN-SSC sono in piena fase di svolgimento, per cui
ogni considerazione che voglia assumere un carattere in qualche modo conclusivo risulta essere assolutamente prematura; appare comunque chiaro che
i molti “dati” esistenti sono in grado di dare poche “informazioni” effettivamente utilizzabili e che i controlli sul suolo sono attualmente pochi, disomogenei, molto spesso legati a fenomeni di contaminazione, vera o presunta, del suolo stesso.
Il CTN-SSC vuole fornire il proprio contributo per una migliore gestione delle conoscenze sul suolo, basata sui dati indispensabili per la
costruzione di alcuni indicatori ed indici condivisi a carattere nazionale ed in
grado di fornire quelle “informazioni” indispensabili per una corretta programmazione degli interventi che interessano il suolo nell’ottica dello sviluppo sostenibile.
49
SUOLI
CONTAMINATI: BIODISPONIBILITÀ DI
ELEMENTI TOSSICI ACCERTATA TRAMITE TEST DI
ELUIZIONE IN COLONNA E IN BATCH
Beccaloni E., Musmeci L.
Laboratorio Igiene Ambientale – Reparto Igiene del Suolo
Istituto Superiore di Sanità
Riassunto
Il problema dei siti dismessi o in generale dei siti da bonificare, in quanto inquinati da attività industriali o da smaltimento abusivo di rifiuti, da sversamenti accidentali o da altre cause, è esploso in Italia solo nell’ultimo decennio. In altri paesi
europei ed extraeuropei tale problematica è stata già affrontata da molti anni, elaborando specifiche normative/linee guida tecniche tese sia all’individuazione dei criteri di valutazione dei suoli contaminati, sia all’individuazione delle migliori tecniche
di bonifica e risanamento.
Attualmente anche in Italia è in corso di definitiva stesura un Regolamento che
in base all’art. 17 del D.Lgs5/02/97 n. 22, fissa i criteri di valutazione dei suoli contaminati, di campionamento ed analisi, di valutazione del rischio ed in ultimo di bonifica. Uno dei problemi che sono ancora di non facile risoluzione sia a livello nazionale che internazionale, è la messa a punto di idonei sistemi atti a valutare non
tanto il contenuto totale dei microinquinanti, in special modo quelli inorganici e metallici, quanto la frazione “biodisponibile” degli stessi.
Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di dare un contributo in tal senso . E’
stato esaminato un suolo agricolo contaminato da Pb per cause non perfettamente
note, sottoponendolo sia a prove in colonna sia in batch sotto agitazione magnetica.
Come eluente è stata utilizzata sia acqua deionizzata, sia acqua deionizzata acidulata con acido nitrico e solforico (pH circa 4) al fine di riprodurre le condizioni di dilavamento delle acque piovane definite “acide”.
Introduzione
Il problema dei siti dismessi o in generale dei siti da bonificare,
in quanto inquinati da attività industriali o da smaltimento abusivo di rifiuti, da
sversamenti accidentali o da altre cause, è esploso in Italia solo nell’ultimo deAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 49-56 (2001)
50
Beccaloni e Musmeci
cennio. In altri paesi europei ed extraeuropei tale problematica è stata già affrontata da molti anni, elaborando specifiche normative/linee guida tecniche
tese sia all’individuazione dei criteri di valutazione dei suoli contaminati, sia
all’individuazione delle migliori tecniche di bonifica e risanamento (1).
Attualmente anche in Italia è in corso di definitiva stesura un
Regolamento che in base all’art. 17 del D.Lgs5/02/97 n. 22, fissa i criteri di
valutazione dei suoli contaminati, di campionamento ed analisi, di valutazione del rischio ed in ultimo di bonifica (2). Uno dei problemi che sono ancora di non facile risoluzione sia a livello nazionale che internazionale, è la
messa a punto di idonei sistemi atti a valutare non tanto il contenuto totale
dei microinquinanti, in special modo quelli inorganici e metallici, quanto la
frazione “biodisponibile” degli stessi (3).
La biodisponibilità degli elementi inquinanti risulta essere un
parametro essenziale in special modo in relazione alla effettuazione di una
corretta valutazione del rischio ambientale e sanitario associabile al fenomeno di contaminazione dei suoli. Tale valutazione del rischio sanitario ed ambientale, in base ai criteri riportati nell’art.17 del D.Lgs 22/97, è un requisito fondamentale ove non sia possibile raggiungere neanche con le migliori
tecnologie possibili a costi sopportabili gli obiettivi fissati per la bonifica.
Pertanto si deve procedere a delle semplici “misure di messa in sicurezza definitiva” del sito contaminato.
E’ dunque evidente che le modalità con cui condurre i tests di
eluizione al fine di valutare la biodisponibilità degli inquinanti presenti nel
sito contaminato, sono di primaria importanza.
Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di portare un contributo
in tal senso, paragonando due tipologie di tests di eluizione condotti sullo stesso tipo di suolo: un test condotto in colonna ed un test condotto in batch (4).
Materiali e metodi
Materiali
Un’area dell’azienda agricola da cui è stato prelevato il campione di suolo su cui condurre la sperimentazione, è risultata contaminata da
piombo inorganico a seguito di alcuni lavori condotti nell’azienda agricola
stessa. Pertanto i tests di eluizione riportati di seguito sono stati eseguiti sul
campione di terreno contaminato da Piombo inorganico, utilizzando come
campione di “bianco” lo stesso terreno agricolo non contaminato da Piombo
inorganico.
Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna
e in batch
Le caratteristiche chimico – fisiche del terreno agricolo
utilizzato sono riportate nella tab.1.
Il campione di terreno è stato
preventivamente vagliato al vaglio
di 2 mm di luce netta.
Il coefficiente di ritenzione del
terreno (capacità di campo) è pari
all’82 % del peso del terreno.
Il contenuto totale di Piombo
inorganico è il seguente:
51
Tab. 1
pH in H2O
7,10
pH in KCl
6,22
Peso Specifico g/cm3
2,61
Umidità Residua g/kg
140,20
CEC meq/100 grpeso secco 20,20
Ntot mg/kgpeso secco
28,40
Ptot mg/kgpeso secco
8,30
TC %
0,66
TIC %
0,66
TOC %
0,00
• Campione terreno contaminato 300 mg/Kg ss
• Campione terreno non contaminato 120 mg /Kg ss
Metodi
Dissoluzione del campione per il contenuto totale di Piombo
Al fine di determinare il contenuto totale di Piombo inorganico
sono stati mineralizzati 300 mg di terreno in triplo, tramite forno a microonde ad alta pressione, utilizzando una soluzione di acqua regia (6 ml HCl + 2
ml HNO3) e acido fluoridrico (5 ml). La soluzione ottenuta viene neutralizzata con 30 ml di soluzione satura di acido borico e il volume finale viene
portato a 50 ml con acqua demineralizzata (5).
Al fine di valutare la validità del risultato per la ricerca del contenuto totale di Piombo è stato analizzato anche un materiale di riferimento
BCR n. 142.
I risultati sono:
• Valore certificato 37.8 ± 1.9 mg/Kg ss
• Valore ritrovato 36.3 ± 0.8 mg/Kg ss
Test di eluizione in batch
Il test di eluizione in batch è stato condotto in triplo sia sul terreno di bianco (campione A) sia sul terreno contaminato (campione B, C e D),
utilizzando due tipi di soluzione estraente: acqua deionizzata e acqua deionizzata acidula a pH 4 per aggiunta di acido solforico e di acido nitrico.
Quest’ultima soluzione estraente è stata utilizzata per simulare le piogge acide.
52
Beccaloni e Musmeci
Il test in batch è stato condotto per entrambe le soluzioni
estraenti per 24 ore e sotto continua agitazione magnetica. Il rapporto solido/liquido è di 100 g/l per entrambe le soluzioni estraenti.
Le soluzioni ottenute sono state centrifugate e filtrate su filtro
di acetato di cellulosa da 47 mm di diametro con porosità 0.45 µm ed infine
acidificate per l’analisi strumentale con HNO3 1% v/v.
Test di eluizione in colonna
Per ognuna delle due soluzioni estraenti utilizzate sono state allestite tre colonne (lisimetri) con il terreno inquinato ed una colonna con il
terreno di bianco, per un totale di 8 colonne.
A partire dal basso verso l’alto, ogni colonna era così costituita:
• un primo strato di materiale inerte con funzione di filtro;
• uno strato intermedio di ghiaia preventivamente lavata;
• un secondo strato di materiale inerte;
• terreno.
Per ogni colonna è stato utilizzato 1Kg di terreno, distribuito in
un cilindro di altezza di 30 cm; la parte terminale della colonna presenta forma conica in modo da facilitare la raccolta di percolato verso il rubinetto di
chiusura.
Sono state utilizzate come soluzioni estraenti le stesse due soluzioni utilizzate nel test in batch: acqua deionizzata e acqua deionizzata acidula a pH 4 per aggiunta di H2SO4 e HNO3.
I volumi di acqua deionizzata e di acqua deionizzata acidula aggiunti sono stati calcolati sulla base del superamento della capacità di campo
al fine di avere sempre un quantitativo di eluente, eluito alla base della colonna di suolo. La prima raccolta è stata effettuata subito dopo aver superato
la capacità di campo, mentre la seconda raccolta è stata effettuata a seguito di
ulteriore aggiunta di eluente, dopo 24 ore, al fine di poter paragonare il dato
in colonna con quello in batch. Le ulteriori raccolte sono state eseguite ogni
20 giorni. Al momento sono state effettuate in tutto 5 raccolte di eluato per
un periodo di tempo complessivo di studio di circa due mesi e mezzo.
Il contenuto di Piombo negli eluenti è stata determinato tramite
Spettrofotometro Varian A.A. con correttore di fondo al Deuterio e fornace
di grafite GTA 96, con autocampionatore, utilizzando dove è stato necessario un modificatore di matrice. Il limite di rivelabilità strumentale sulla soluzione eluita è di 0.8 µg/l calcolato su 3σ.
Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna
e in batch
53
Risultati e discussione
In tab. 2 vengono riportati i risultati delle prove in batch con entrambi gli eluati. Da tale tabella si evince che le tre prove effettuate per ogni
tipo di eluente esibiscono una buona riproducibilità. Inoltre si evidenzia che
i due tipi di eluente, ancorchè uno a pH 4 quindi relativamente aggressivo,
non dimostrano comportamenti differenti in termini di Piombo eluito.
Tab. 2. Test in batch: conc. di Pb nei due eluenti.
Eluente
H2O deion.
H2O deion. Acid.
Concentrazioni in ng/ml
A
B
C
63,60
175,00
179,00
57,60
225,00
260,00
D
150,00
217,00
Nelle tabb. 3 e 4 vengono riportati rispettivamente i risultati di
ognuna delle 5 raccolte di eluato effettuate per il test in colonna dei 4 lisimetri in cui, nella prima tabella, i dati riportati si riferiscono all’eluente acqua
deionizzata e nella seconda, all’eluente acqua deionizzata acidula a pH 4.
Tab. 3. Test in colonna: conc. di Pb in acqua deionizzata.
Data
29/03/99
30/03/99
16/04/99
06/05/99
26/05/99
SOMMA
Concentrazioni in ng/ml
A
B
C
18,80
102,00
102,50
19,50
39,40
31,20
1,67
7,97
4,14
0,80
5,33
6,40
0,80
10,64
5,50
41,57
165,34
149,74
D
126,00
43,30
33,00
12,50
11,00
225,80
Tab. 4. Test in colonna: conc. di Pb in acqua deionizzata acidula
Data
29/03/99
30/03/99
16/04/99
06/05/99
26/05/99
SOMMA
Concentrazioni in ng/ml
A
B
C
7,00
74,20
99,20
25,40
39,60
15,80
1,70
6,10
2,00
0,80
0,80
0,80
0,80
2,90
0,80
35,70
123,60
118,60
D
80,00
36,20
9,00
3,00
8,71
136,91
Legenda: A= terreno di riferimento; B,C,D=terreno contaminato;
SOMMA=concentrazione di Pb totale eluito nelle cinque raccolte
Nelle figure 1 – 3 vengono riportati gli andamenti della percentuale di Piombo eluito in ogni singola raccolta rispetto a quello complessivamente eluito nelle 5 raccolte effettuate, rispettivamente per:
• 2 colonne con terreno di riferimento (A);
• 3 colonne di suolo contaminato (B,C,D) eluito con acqua deionizzata;
54
Beccaloni e Musmeci
• 3 colonne di suolo contaminato (B,C,D) eluito con acqua deionizzata
acidula.
Fig. 1. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno di riferimento (A)
Tempo
Conc Pb %
21/03/99
31/03/99
10/04/99
20/04/99
30/04/99
10/05/99
20/05/99
30/05/99
100,00
80,00
60,00
40,00
20,00
0,00
-20,00
Acqua Deionizzata
Acqua Deionizzata Acidula
Fig. 2. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno contaminato in Acqua
Deionizzata
Tempo
21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99
Conc Pb %
100,00
80,00
60,00
40,00
B
C
D
20,00
0,00
-20,00
Fig. 3. Andamento delle % di Pb eluito dal terreno contaminato in Acqua
Deionizzata Acidula
Tempo
Conc Pb %
21/03/99 31/03/99 10/04/99 20/04/99 30/04/99 10/05/99 20/05/99 30/05/99
100,00
80,00
60,00
40,00
20,00
0,00
-20,00
B
C
D
A = TERRENO DI RIFERIMENTO; B,C,D = TERRENO INQUINATO; CONC. Pb % = % DI Pb CALCOLATA RISPETTO ALLA CONCENTRAZIONE TOTALE DI Pb ELUITO NELLE CINQUE RACCOLTE PER OGNI COLONNA.
Da tali figure è possibile evidenziare che anche per i test in colonna i due eluenti presentano un andamento analogo rispetto al contenuto di
Piombo eluito e che il massimo di eluizione si ha nelle prime 24 h (circa
50% (80%).
Suoli contaminati: biodisponibilità di elementi tossici accertata tramite test di eluizione in colonna
e in batch
55
A conferma che i due eluenti hanno comportamenti analoghi nelle figure 4 e 5 si riportano i dati ottenuti interpolando i risultati tramite una
curva di regressione polinomiale di 2°, dell’andamento delle concentrazioni
di Piombo nel tempo, rispettivamente per il terreno di riferimento e il terreno
contaminato. Da tali figure infatti, è evidente che vi è praticamente una sovrapposizione completa delle curve appartenenti alle due famiglie di dati.
Fig. 4. Andamento delle concentrazioni di Pb eluito dal terreno di riferimento
Tempo
21/03/99
31/03/99
10/04/99
20/04/99
30/04/99
10/05/99
20/05/99
30/05/99
150,00
130,00
110,00
Conc in ppb
90,00
70,00
50,00
30,00
10,00
-10,00
-30,00
A in acqua deionizzata
A in acqua deionizzata acidula
Poli. (A in acqua deionizzata)
Poli. (A in acqua deionizzata acidula)
Fig. 5. Andamento delle concentrazioni di Pb eluito dal terreno contaminato
Tempo
Conc. in ppb
21/03/99
31/03/99
10/04/99
20/04/99
30/04/99
10/05/99
20/05/99
150,00
130,00
110,00
90,00
70,00
50,00
30,00
10,00
-10,00
-30,00
B in acqua deionizzata
C in acqua deionizzata
D in acqua deionizzata
B in acqua deionizzata acidula
C in acqua deionizzata acidula
D in acqua deionizzata acidula
Poli. (B in acqua deionizzata)
Poli. (C in acqua deionizzata)
Poli. (D in acqua deionizzata)
Poli. (B in acqua deionizzata acidula)
Poli. (C in acqua deionizzata acidula)
Poli. (D in acqua deionizzata acidula)
30/05/99
56
Beccaloni e Musmeci
Conclusioni
Dallo studio di cui si presentano i primi dati, si può dedurre che:
• il Piombo inorganico eluito è direttamente proporzionale a quello contenuto nel campione di partenza in entrambi i tests utilizzati;
• l’eluente che simula le piogge acide sembra non influenzare in modo
evidente l’eluibilità del Piombo inorganico nel campione di terreno in studio,
sia contaminato che non contaminato;
• il test in colonna, che in generale viene ritenuto maggiormente rappresentativo della situazione reale, ha dimostrato, nelle condizioni operative dello studio, che nelle prime 24 h eluisce circa il 50% (80% del totale di Piombo
eluito nell’arco di due mesi e mezzo;
• il contenuto di Piombo eluito complessivamente è paragonabile a quello eluito nel test in batch a 24 h.
Tale studio, benché abbia evidenziato interessanti risultati per la
scelta dei più idonei tests di eluizione per i suoli contaminati, va ritenuto preliminare poiché si deve ancora testare sia per altri contaminanti che per altre
tipologie di suoli.
Bibliografia
de FRAJA FRANGIPANE E. et al. Terreni contaminati. Identificazione-Normative-Indagini-Trattamento, Collana
Ambiente, vol. 5 CIPA Editore, Milano (1994).
D.Lgs 5 febbraio 1997, n.22, recante “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi”.
Supplemento G.U. 28 novembre 1997, n.278.
PRESTININZI A., ROMAGNOLI C. “La vulnerabilità degli acquiferi negli studi a scala regionale”. Atti del Congresso
biennale ANDIS ’91, Roma, 11-13 dicembre (1991).
Progetto di Norma UNI 10802 ( dicembre 1998 ) “Rifiuti liquidi, granulari, pastosi e fanghi. Campionamento manuale
e preparazione ed analisi degli eluati”.
GIORDANO R., BECCALONI E. et al. 1995. “ Problematiche connesse con la determinazione di elementi nei sedimenti marini. Risultati preliminari su campioni prelevati nella baia di Terranova”. Atti del 4°
Convegno Nazionale “Contaminazione Ambientale”, Venezia (1995) pp.123-128.
57
INTERFERENZE NELLA
DETERMINAZIONE DI
CADMIO IN CAMPIONI DI SUOLO E SEDIMENTO
CON LA TECNICA ICP-AES
Beone G.M., Baffi C., Silva S.
Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale, Facoltà di Agraria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, via Emilia Parmense 84, 29100 Piacenza
Riassunto
Si descrive la messa a punto di un metodo per la determinazione di cadmio solubile in acqua regia e totale in campioni di suolo e sedimenti usando la tecnica ICPAES. Lo studio è stato condotto su campioni certificati. I campioni sono stati mineralizzati con forno a microonde utilizzando acqua regia, per la determinazione della
quota solubile in acqua regia, e una miscela acida HF-acqua regia (1:4) per la determinazione del Cd totale. Lo studio degli interferenti è stato condotto su tre lunghezze d’onda di emissione tipiche dell’elemento: λ1=214,438 nm, λ2=226,502 nm
e λ3=228,802 nm. E’ stato osservato che la lunghezza d’onda meno interferita è
quella a 228,802 nm. I risultati ottenuti mostrano valori di recovery per il Cd compresi fra il 90% e il 104% per entrambi i metodi di digestione.
Introduzione
Nella determinazione degli elementi in traccia in campioni ambientali di origine geologica (suoli, sedimenti, etc.) si ricorre sempre più frequentemente all’impiego della digestione con forno a microonde
(Nieuwenhuize et al., 1991; HueyMeei et al., 1997; Skip Kingston et al.,
1997) associata a tecniche analitiche (ICP-AES, ICP-MS, GF-AAS)
(Krishnamurti et al., 1994; Carlosena et al., 1996; Pyle et al., 1996) che permettano di ottenere migliori livelli di accuratezza e precisione rispetto a sistemi tradizionali meno innovativi. Scopo del presente lavoro è stato quello
di indagare e stimare possibili interferenti durante la determinazione del cadmio in suoli e sedimenti con la tecnica ICP-AES, per evitare sovrastime nelle valutazioni analitiche successive.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 57-62 (2001)
58
Beone et al.
Materiali e metodi
Standard certificati
I campioni utilizzati per il presente lavoro, della Community
Bureau of Reference Samples, sono: Calcareous Loam Soil CRM 141 R,
Sewage Sludge Amended Soil CRM 143 e Estuarine Sediment CRM 277. I
campioni sono stati seccati e omogeneizzati, in accordo con le istruzioni dei
fornitori.
Apparecchiature
Per la mineralizzazione è stato utilizzato un forno a microonde
CEM 2000 con potenza regolabile 0-100% ad incrementi dell’1% (potenza
massima: 600 W) e controllo di pressione. Le digestioni sono avvenute in sistema chiuso con contenitori in PTFE da 110 ml previamente lavati con 2 ml
di HNO3 conc. a caldo (irraggiamento per 10 min in forno a microonde alla
potenza massima). Lo studio degli interferenti e l’analisi del Cd è avvenuta
con ICP-AES sequenziale, modello Jobin Yvon 24, con nebulizzatore crossflow (camera Scott) o ultrasuoni (Cetac U-5000 AT).
Reagenti e calibrazione
Sono stati utilizzati i seguenti acidi superpuri (Merck,
Darmstadt, Germany): acido cloridrico al 32%, acido nitrico al 65% e acido
fluoridrico al 40%. La soluzione satura di acido borico è stata preparata partendo da reagente RPE (BDH, Poole, England). La calibrazione è avvenuta
impiegando soluzioni ottenute per diluizione di uno standard alla concentrazione di 1000 mg l-1 (Merck, Darmstadt, Germany). Nelle determinazioni si
è utilizzata la tecnica analitica delle aggiunte tarate.
Procedure
Lo studio degli interferenti è stato eseguito su tre lunghezze d’onda di emissione fra quelle riconosciute essere (Varma, 1991) le più utilizzate
per la determinazione del cadmio: 214,438 nm, 226,502 nm e 228,802 nm.
I. solubile in acqua regia
Aliquote di 250 mg di campione sono state pesate in contenitore PTFE da 110 ml. Un totale di 4 campioni, incluso un bianco con acidi superpuri, sono stati posti in un carosello del forno a microonde. Si sono addizionati 2 ml di acqua bidistillata e 8 ml di acqua regia. In Tabella 1 viene riportato il programma di mineralizzazione adottato. Dopo ogni serie di dige-
Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la tecnica
ICP-AES
59
stione i campioni sono stati filtrati, con filtri Whatman 42, e quindi portati
ad un volume finale di 50 ml con acqua distillata.
Tabella 1. Condizioni operative del forno a microonde
Parametri
Potenza (%)*
Pressione (kPa)
Tempo (min)
Tempo ai parametri (min)
Stage
1
2
40
60
270 550
10
10
2
2
3
80
825
20
10
*Potenza massima = 600 W.
II. totale
Aliquote di 250 mg di campione sono state pesate in contenitore PTFE da 110 ml. Un totale di 4 campioni, incluso un bianco con acidi superpuri, sono stati posti in un carosello del forno a microonde. Si sono addizionati 2 ml di acido fluoridrico e 8 ml di acqua regia. Le condizioni operative alle quali si è lavorato per mineralizzare i campioni sono le stesse adottate per la determinazione della frazione solubile in acqua regia (vedi Tabella
1). Una volta raffreddati si sono aggiunti 3 ml di soluzione satura di acido
borico per spegnere l’acido fluoridrico in eccesso. Dopo aver richiuso i provettoni in PTFE si è eseguito un’ulteriore irraggiamento con forno a microonde per 5 min alla potenza di circa 300 W. Successivamente i campioni
sono stati filtrati, con filtri Whatman 42, e quindi portati ad un volume finale di 50 ml con acqua distillata.
Risultati e discussione
Nella determinazione del cadmio nei suoli e nel sedimento sono state osservate interferenze di tipo additivo alle lunghezze d’onda di
214,438 nm e 226,502 nm da parte di Fe e Al (Figura 1a,b) e, alla lunghezza d’onda di 228,802 nm, da parte di Co e As (Figura 1c). Tali interferenze
sono di due tipi: a) di background, facilmente eliminabili strumentalmente e
b) di sovrapposizione, eliminabili con la più complessa “correzione dell’elemento interferente” (Tabella 2).
L’interferenza da Fe è stata stimata essere per CMR 141 R di circa il 13% a 214,438 nm e del 30% circa a 226,505 nm. Per il CRM 143 l’interferenza da Fe è risultata essere del 4% a 214,438 e dell’ 11% a 226,505 nm
mentre per il CRM 277 è del 26% circa a 214,438 e del 64% a 226,505 nm.
60
Beone et al.
Figura 1. Profili di emissione del Cd e degli elementi interferenti alle lunghezze
d’onda di: (a) 214,438 nm; (b) 226,502 nm; (c) 228,802 nm.
a
∆=0,01 nm ∆=0,01 nm
Cd 100 µg l-1
Al 500 mg l-1
Fe 500 mg l-1
Cd 100 µg l-1
-1
Al 500 mg l
Fe 500 mg l-1
b
∆=0,01 nm
∆=0,01 nm
c
Cd 100 µg l-1
As 4 mg l-1
Co 5 mg l-1
∆=0,01 nm
Interferenze nella determinazione di cadmio in campioni di suolo e sedimento con la tecnica
ICP-AES
61
Tabella 2. Quadro riassuntivo delle interferenze osservate alle diverse lunghezze
d’onda per il Cd
Lunghezza d'onda
Interferenze
nm
Background Sovrapposizione
214,438
Al
Fe
226,505
Al
Fe
228,802
As, Co
L’interferenza da Al può essere eliminata con la “correzione di background”.
A 228,802 nm per il Co la stima di interferenza è sempre minore dello 0,1%, mentre per l’As è intorno a 1,3% per i suoli e del 9% per il
sedimento.
A seguito dello studio eseguito, per la determinazione del cadmio in campioni di suoli e sedimento, la lunghezza d’onda di 228,802 nm è
risultata essere la meno interferita. I risultati ottenuti a seguito sia di digestioni con acqua regia che con acqua regia e HF, mostrano valori di recovery
per il Cd compresi fra il 90% e il 104% (Tabella 3).
Tabella 3. Valori di Cd nei campioni certificati di suolo e sedimento (µg g-1)
BCR
CRM
CRM
CRM
CRM
CRM
141 R
141 R
143
143
277
Tipo di campione
suolo
suolo
suolo
suolo
sedimento
Tipo di digestione Valore osservato* Valore certificato
acqua regia
13,2±0,2
14,6±0,5
acqua regia + HF
13,2±0,9
14,0±0,4
acqua regia
30,3±0,6
31,1±1,2
acqua regia + HF
31,8±1,4
31,5±1,9
acqua regia + HF
12,3±1,1
11,9±0,4
* valore medio di quattro determinazioni e 95% CI.
Nei campioni presi in esame si nota che la quota estraibile con
acqua regia coincide con quella totale ad indicare che tutto il Cd presente
viene estratto dalla sola acqua regia.
Il metodo che prevede la dissoluzione totale con acido fluoridrico e acqua regia richiede una procedura analitica più laboriosa e, data la
maggior complessità della matrice, fornisce dati meno precisi di quelli ottenibili con il metodo che prevede la dissoluzione con la sola acqua regia.
Conclusioni
La tecnica a microonde si conferma una tecnica rapida e affidabile per la preparazione di campioni geologici rispetto alle procedure di dis-
62
Beone et al.
soluzione convenzionali. Nell’analisi del Cd con ICP-AES, in campioni di
suolo e sedimento, fra le varie lunghezze d’onda comunemente utilizzate
(214,438 nm; 226,502 nm e 228,802 nm), quella meno interferita è risultata
essere la λ3=228,802 nm. Lavorando a questa lunghezza d’onda, prove condotte su campioni di suolo e sedimento certificati hanno mostrato ottimi valori di recovery (valori compresi fra il 90% e il 104%). Limitatamente ai
campioni esaminati appare consigliabile nell’estrazione dell’elemento la sola acqua regia per la maggiore semplicità operativa e la più ridotta dispersione dei dati.
Bibliografia
CARLOSENA A., PRADA D., ANDRADE J.M., LOPEZ P., MUNIATEGUI S. 1996. Cadmium analysis in soil by microwave acid digestion and grafite furnace atomic absorption spectrometry. Fresenius Journal of
Analytical Chemistry, 355, 289-291.
HUEYMEEI., JOEHUANG-KUNLOG, WEI Y.L., SHYU H.M., JOEHUANG K.L. 1997. Comparison of microwave
vs. hot-plate digestion for nine real-world river sediments. Journal of Environmental Quality, 26,
764-768.
KRISHNAMURTI G.S.R., HUANG P.M., VAN REES K.C.J., KOSAK L.M., ROSTAD H.P.W. 1994. Microwave digestion technique for the determination of total cadmium in soils. Commun. Soil Sci. Plant Anal.,
25, 615-625.
NIEUWENHUIZE J., POLEY-VOS C.H., VAN DER AKKER A., VAN DELFT 1991. Comparison of microwave and
conventional extraction techniques for the determination of metals in soils, sediment and sludge
samples by atomic spectrometry. Analyst, 116, 187-192.
PYLE S.M., NOCERINO J., DEMING, S.N., PALASOTA J.A., PALASOTA J.M., MILLER E.L., HILLMAN D.C.,
KUHARIC C.A., COLE W.H., FITZPATRICK P.M., WATSON M.A., NICHOLS K.Y. 1996.
Comparison of AAS, ICP-AES, PSA, and XRF in determining lead and cadmium in soil.
Environmental Science & Technology, 30, 204-213.
SKIP KINGSTON H.M., WALTER P.J., CHALK S., LORENTZEN E., LINK D. 1997. Environmental microwave sample preparation: fundamentals, methods, and applications. In: Microwave-Enhanced Chemistry (eds
H.M Skip Kingston & S.J. Haswell, pp.223-340. American Chemical Society, Washington, USA.
VARMA A. 1991. Instrumental parameters for elemental analysis. Cadmium. In Handbook of iductively coupled plasma
atomic emission spectroscopy. pp.48. CRC Press, Inc., Florida, USA.
63
EFFETTO
DELLA LISCIVIAZIONE DI UN SUOLO
AGRARIO CON ACQUE ACIDULATE. NOTA I
Biondi F.A., Di Dio C., Socciarelli S., Figliolia A.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante (Roma)
Introduzione
E’ stato calcolato che l’immissione nell’atmosfera dei gas di
combustione dei combustibili fossili è tra le principali cause delle piogge acide, con conseguente aumento della CO2, SOx e NOx e quindi dei rispettivi
acidi in soluzione acquosa. E’ noto che le piogge acide provocano sensibili
alterazioni nel topsoil, sia fisiche che chimiche; in merito a queste ultime si
inserisce questa ricerca al fine di portare un contributo di maggiore conoscenza su determinate dinamiche che si hanno in un terreno agrario caratterizzato da specifiche condizioni pedoclimatiche.
Tra le caratteristiche considerate nella valutazione dello “stato
di fertilità” di un suolo agrario, spesso non viene valutata in giusta maniera
l’aggressività espletata dall’ambiente, in particolare non viene tenuto in considerazione il grado di lisciviazione reale e potenziale dei principali cationi
presenti nel suolo per effetto delle piogge acide.
Scopo del lavoro
Questo studio si propone di verificare la lisciviazione delle principali basi di scambio del suolo ad opera delle “piogge acide”. In questa prima nota vengono riportati i risultati della lisciviazione effettuate dalle acque
acidulate con due componenti delle piogge acide; più precisamente: l’acido
carbonico e l’acido solforico, impiegati in forma separata ed in ambiente
controllato. E’ in corso di svolgimento la prova con l’acido nitrico. Sono
previste tre fasi di studio, in questa prima fase si vuole vedere e quantizzare
l’effetto della lisciviazione operata da ogni elemento acidificante usato separatamente in ambiente controllato, nella seconda fase saranno condotte
prove, sempre in ambiente controllato con acque acidificate con tutti e tre i
componenti opportunamente miscelati, nella terza saranno eseguite prove in
campo con lisimetri e con acque piovane.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 63-70 (2001)
64
Biondi et al.
Inoltre è stata monitorata anche la lisciviazione di alcuni metalli pesanti, quali Cu e Zn, che vengono introdotti nelle comuni pratiche agricole attraverso l’uso di fertilizzanti, ammendanti e pesticidi.
Materiali e metodi
Per questo studio è stato preso in esame un suolo agrario della
provincia di Roma (Biondi, Mecella, 1985), formatosi su detrito di falda di
rocce calcaree con apporto di materiale vulcanico, classificato secondo la
FAO come Mollic Calcic Cambisol (FAO/UNESCO, 1974) le cui caratteristiche principali vengono riportate nella tabella 1.
Tabella 1. Caratteristiche dell'orizzonte Ap ad inizio e fine esperienza.
Parametri
Inizio esperienza Fine esperienza
Terreno non trattato Terreno trattato
con soluzione A
pH (H2O)
7,8
7,8
CaCO3 (%)
2,0
1,7
Sost. org. (%)
2,3
2,3
CSC (meq 100g -1)
24,20
22,29
Ca++ (meq 100g -1)
21,90
20,40
++
-1
Mg (meq 100g )
1,50
1,40
Na+ (meq 100g -1)
0,70
0,40
K+ (meq 100g -1)
0,10
0,09
Tessitura
F.A.
F.A.
sabbia (%)
27,5
27,5
limo (%)
45,0
45,0
argilla (%)
27,5
27,5
Fine esperienza
Terreno trattato
con soluzione B
7,8
1,8
2,3
22,89
21,00
1,50
0,30
0,09
F.A.
27,5
45,0
27,5
Con l’orizzonte Ap di tale suolo, sono state allestite due serie di
colonnine di “lisciviazione” (h = 40 cm; 3 cm ∅ dotate di rubinetto per la
percolazione, contenenti ognuna 100 g di campione di suolo e 150 g di materiale inerte (palline di vetro di 1 mm ∅ al fine di creare le adatte condizioni di drenaggio. Tale sistema è stato sottoposto a lavaggi mensili con due
tipi di soluzioni acquose acidulate.
La prima serie è stata sottoposta a lavaggi con 100 ml di H2O
+ CO2 a pH 4,9 (soluzione A); la seconda serie è stata sottoposta a lavaggi
con 100 ml di H2SO4 0,005N a pH 5,0 (soluzione B). Ogni tesi è stata ripetuta in triplo. Negli eluati ottenuti dalla lisciviazione con le due soluzioni
considerate, è stato determinato il contenuto di Ca, Mg, K e Na, nonché di
Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I
65
Cu e Zn. Le concentrazioni dei cationi alcalino ed alcalino-terrosi sono state determinate mediante lettura allo spettrofotometro ad assorbimento atomico, mentre quelle degli ioni metallici Cu e Zn, mediante spettrofotometria
al plasma (ICP) (Martin et al., 1987). E’ stata inoltre determinata secondo i
metodi ufficiali (MIRAAF, 1994), la variazione di: pH, CaCO3, e CSC al termine dell’esperienza.
Il tipo di associazione argillosa presente in tale suolo è stata determinata mediante l’analisi termodifferenziale (TG e DSC) integrata con
analisi ai Raggi X.
Risultati e discussione
Dall’analisi risulta che la frazione argillosa è costituita da una
associazione di argille del gruppo delle “smectiti”, dove i cationi di coordinamento sono il magnesio e il ferro bivalente. La presenza di queste argille
smectitiche, formatesi in una situazione morfologica particolare (versante), è
giustificata dall’apporto di materiale ferro-magnesiaco da parte delle ceneri
vulcaniche di tipo basaltiche ad alto contenuto di vetro provenienti dal
Vulcano Laziale (Albano); inoltre la loro presenza giustifica i valori di CSC
lievemente elevati che sono stati riscontrati.
Prendendo in esame i singoli cationi, presenti nei percolati, ottenuti per mezzo delle soluzioni acidulate, il Ca, è risultato essere maggiormente lisciviato dalla soluzione A. Tale elemento risulta avere mediamente,
nel corso dei lavaggi, un trend decrescente delle rette di regressione per entrambe le soluzioni estraenti, ovvero proseguendo con i cicli di lavaggio si
nota la tendenza a lisciviare sempre meno questo elemento (figure 1a e 1b).
Entrambe le curve presentano un andamento sinusoidale, ma per la soluzione A, la retta di regressione risulta più inclinata; probabilmente tale fenomeno è collegato ad una maggiore dissoluzione iniziale dei carbonati da parte dell’HCO3-.
Anche per il Mg, la soluzione A è risultata possedere una maggiore forza estrattiva rispetto alla soluzione B. Entrambe le serie di percolati, presentano un trend nella lisciviazione di questo catione leggermente positivo, con un coefficiente angolare della retta di regressione di poco maggiore, anche in questo caso, nei percolati ottenuti con la soluzione A (figure
2a e 2b), ciò sta ad indicare che le soluzioni acidulate tendono a portare in
soluzione con il corso dei cicli di lavaggio aliquote sempre maggiori di Mg.
66
Biondi et al.
Figure 1a - 1b. Andamento del rilascio dello ione Ca nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
300
300
Soluzione A
y = -24,757x + 209,73
250
200
mg kg-1
200
mg kg-1
Soluzione B
y = -9,5228x + 118,4
250
150
150
100
100
50
50
(lavaggi)
(lavaggi)
0
I
II
III
IV
V
0
VI
Ca 108,45 273,88 167,67 29,73 79,29 79,49
I
II
III
IV
V
Ca 108,26 122,24 81,50 52,71 62,46
VI
83,23
Figure 2a -2b. Andamento del rilascio dello ione Mg nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
25
25
Soluzione A
y = 0,4167x + 12,594
15
10
Soluzione B
y = 0,3573x + 5,5014
20
mg kg-1
mg kg-1
20
5
15
10
5
(lavaggi)
(lavaggi)
0
I
II
III
Mg 11,15 19,63
IV
6,85
V
0
VI
17,11 14,42 15,15
Mg
I
II
III
IV
V
VI
7,68
6,53
3,50
6,21
7,57
9,02
Figure 3a - 3b. Andamento del rilascio dello ione Na nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
80
80
Soluzione A
y = 0,1802x + 43,35
70
60
60
50
50
mg kg-1
mg kg-1
70
40
30
20
10
0
40
30
Soluzione B
y = 8,7301x + 16,232
20
10
(lavaggi)
I
II
III
IV
V
VI
Na 29,66 55,93 47,24 49,28 44,22 37,55
0
(lavaggi)
I
Na 10,92
II
III
33,32 57,08
IV
V
VI
62,07 65,75 51,57
67
Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I
Figure 4a - 4b. Andamento del rilascio dello ione K nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
0,70
0,70
Soluzione A
y = -0,0352x + 0,5956
0,60
0,50
0,50
mg kg-1
mg kg-1
Soluzione B
y = 0,0167x + 0,2732
0,60
0,40
0,30
0,40
0,30
0,20
0,20
0,10
0,10
(lavaggi)
(lavaggi)
0,00
0,00
K
I
II
III
IV
V
VI
0,46
0,64
0,46
0,51
0,46
0,31
K
I
II
III
IV
V
VI
0,30
0,24
0,37
0,39
0,35
0,35
Figure 5a - 5b. Andamento del rilascio dello ione Cu nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
120
120
Soluzione A
y = 1,1802x + 48,651
100
80
80
mg kg-1
mg kg-1
Soluzione B
y = -0,2421x + 76,048
100
60
60
40
40
20
20
(lavaggi)
0
I
II
III
IV
V
(lavaggi)
0
VI
Cu 43,43 52,96 55,08 52,96 70,96 41,31
I
II
III
IV
V
VI
Cu 60,37 100,62 72,02 65,67 80,50 72,02
Figure 6a - 6b. Andamento del rilascio dello ione Zn nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
80
80
70
60
50
mg kg-1
mg kg-1
60
40
30
20
50
40
30
20
10
0
Soluzione B
y = -0,4359x + 28,404
70
Soluzione A
y = 1,3699x + 22,011
10
(lavaggi)
I
II
III
IV
V
VI
Zn 26,81 1,09 51,21 5,45 75,19 1,09
0
(lavaggi)
I
II
III
IV
V
VI
Zn 18,52 43,59 29,42 11,99 31,60 26,15
68
Biondi et al.
Nel corso dei lavaggi, il Na presenta nei percolati trattati con la
soluzione B un trend nettamente positivo della retta di regressione, mentre
tale andamento risulta pressoché costante per i percolati ottenuti con la soluzione A. Inoltre quest’ultima soluzione ha estratto alla fine dei lavaggi meno della soluzione B (figure 3a e 3b) a differenza di quanto è accaduto per
le altre basi di scambio.
Per quanto riguarda il K, che rappresenta uno dei maggiori elementi di fertilità del suolo, il coefficiente angolare della retta di regressione
relativa alla percolazione di questo catione nel corso dei lavaggi, risulta appena positivo per i percolati trattati con la soluzione B, mentre lievemente
negativo per i percolati trattati con la soluzione A. Quest’ultima soluzione ha
inoltre mostrato una maggiore forza estrattiva rispetto all’altra soluzione acidulata (figure 4a e 4b), in quanto ha estratto molto all’inizio dei cicli di lavaggio.
In generale, considerando la sommatoria dei cationi (figure 7a,
7b e 8) rilasciata alla fine dei lavaggi, la soluzione A è risultata essere più lisciviante rispetto alla B. Il coefficiente angolare della retta di regressione del
trend di lisciviazione della sommatoria dei cationi è minore per i lavaggi con
la soluzione B rispetto all’altra soluzione. Ciò è riferibile all’effetto che ha
l’acido carbonico sui carbonati che tende a spostare l’equilibrio verso le forma più solubili dello ione calcio nella soluzione circolante.
Valutando inoltre separatamente il rilascio di Cu e Zn in seguito alla lisciviazione con le due soluzioni, è stato rilevato che per entrambi i
metalli si hanno rette di regressione praticamente orizzontali (figure 5a, 5b.
6a e 6b). Tuttavia lo Zn, nei valori dei percolati ottenuti con la soluzione A,
presenta un trend dei rilasci con andamento sinusoidale, che tende ad aprirsi.
Figure 6a - 6b. Andamento del rilascio dello ione Zn nel corso dei lavaggi con le
soluzioni acquose acidulate A e B.
80
80
70
60
50
mg kg-1
mg kg-1
60
40
30
20
50
40
30
20
10
0
Soluzione B
y = -0,4359x + 28,404
70
Soluzione A
y = 1,3699x + 22,011
10
(lavaggi)
I
II
III
IV
V
VI
Zn 26,81 1,09 51,21 5,45 75,19 1,09
0
(lavaggi)
I
II
III
IV
V
VI
Zn 18,52 43,59 29,42 11,99 31,60 26,15
69
Effetto della lisciviazione di un suolo agrario con acque acidulate. Nota I
Figure 7a - 7b. Sommatoria delle basi di scambio nel corso dei lavaggi con le soluzioni acquose acidulate A e B.
Trend somma basi di scambio (Ca+Mg+Na+K)
in H2SO4 0,005N
Trend somma basi di scambio (Ca+Mg+Na+K)
in H2O + CO2
2
2
y = -0,1196x + 1,3444
1,5
1
(meq/100g)
(meq/100g)
1,5
c
1
0,5
0,5
0
0
y = -0,0065x + 0,7094
I
II
III
IV
V
VI
Serie1 0,7659 1,7789 1,1029 0,5077 0,7109 0,6884
I
II
III
IV
V
VI
Serie1 0,6538 0,8118 0,6869 0,5873 0,6634 0,7174
Dalla tabella 1, si nota che nel suolo, monitorato a fine esperienza, non sono variati i valori di pH, come si attendeva per l’effetto tampone del suolo, mentre sono diminuiti i carbonati e modestamente i valori di
CSC. Tali risultati confermano sostanzialmente quanto riscontrato dall’analisi dei percolati.
Figura 8. Sommatoria delle singole basi di scambio alla fine dei 6 cicli di
lavaggio, presenti nei percolati delle soluzioni A e B.
mg kg-1 700
600
500
400
300
200
100
0
sommat
K (A)
K (B)
Na (A)
Na (B)
Ca (A)
Ca (B)
Mg (A)
Mg (B)
2,83
1,99
263,89
280,72
738,51
510,40
84,32
40,51
70
Biondi et al.
Bibliografia
BEGON M., HARPER J.H., TOWNSEND C.R. 1997. Ecologia. Individui, popolazioni, comunità. Zanichelli. Bologna.
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Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo. Roma.
71
EFFETTO
DI DIFFERENTI SOVESCI SULLA
FERTILITÀ AZOTATA DI SUOLI CONDOTTI CON
METODO BIOLOGICO
Canali S., Dell’Orco S., Roccuzzo G., Benedetti A.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Via della Navicella 2-4, 00184 ROMA, Italy
Riassunto
Il lavoro è stato realizzato al fine di valutare l’effetto di differenti specie da sovescio sulla fertilità di suoli situati in zone interne del Lazio, con particolare attenzione alla dinamica delle forme minerali dell’azoto e all’effetto sulla successiva coltura del girasole (Helianthus annuus).
In due differenti aziende agricole biologiche situate in zone 5b del Lazio è stata
realizzata una prova di coltivazione mettendo a confronto, con uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre replicazioni, l’effetto di differenti sovesci. Al
fine di stabilire l’apporto di azoto al terreno dei sovesci e l’asportazione dell’elemento del girasole, sia per colture interrate che per il rinnovo, è stata determinata la
biomassa vegetale prodotta e la sua composizione. Per seguire la dinamica delle forme minerali dell’azoto nel terreno sono stati analizzati campioni si suolo prelevati
ogni 15 giorni, a partire dalla data dell’interramento dei sovesci sino alla fine del ciclo biologico del girasole.
I risultati ottenuti hanno mostrato che i differenti sovesci hanno consentito di apportare al suolo, anticipatamente alla semina della coltura principale, quantità molto differenti di N e che nei casi nei quali gli apporti sono stati alti, assicurano una
disponibilità di N per la coltura principale simile a quella dei suoli fertilizzati secondo gli itinerari tecnici convenzionali.
Introduzione
La conservazione ed il miglioramento della fertilità globale dei
suoli è uno dei principali obiettivi che vengono perseguiti con l’applicazione del metodo agricolo biologico. Tale obiettivo può essere raggiunto promuovendo tutte le pratiche che concorrono al mantenimento o all’aumento
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 71-79 (2001)
72
Canali et al.
del tenore in sostanza organica dei terreni (Canali, 1997). Nello specifico
contesto un ruolo strategico riveste la pratica del sovescio, definita in passato da alcuni Autori come la “concimazione verde”. Il sovescio è realizzato
con il fine principale di arricchire il terreno in sostanza organica e in elementi
della fertilità. Inoltre, le colture da sovescio possono svolgere anche il ruolo
di colture di copertura per la riduzione dei rischi di inquinamento delle acque di falda da nitrati (catch crops) o di erosione (cover crops) (AA.VV.,
1989). Talvolta, inoltre, vengono coltivate al fine di controllare lo sviluppo
di erbe infestanti, insetti e crittogame dannose (Altieri et al., 1996).
Durante il proprio ciclo vegetativo la coltura da sovescio immagazzina elementi della fertilità, tra i quali il più importante è certamente
l’azoto, per restituirli al terreno dopo che la biomassa prodotta viene interrata. Nel caso delle specie leguminose, a seguito dell’azotofissazione, si ottiene un guadagno netto di azoto del sistema suolo-pianta. Con l’interramento i residui della coltura da sovescio vengono in parte mineralizzati ed
in parte contribuiscono alla formazione delle sostanze umiche del suolo.
Appare rilevante prevedere quale potrà essere la dinamica nel suolo della trasformazione dei residui della coltura da sovescio, in quanto da essa dipende
come ed in quale quantità l’azoto verrà reso disponibile per la coltura principale seguente e per quelle successive (Atallah e Lopez-Real, 1991; von
Fragstein, 1995).
Scopo del lavoro è stato quello di determinare l’effetto di differenti specie da sovescio sulla fertilità di suoli, con particolare attenzione alla dinamica delle forme minerali dell’azoto e all’effetto sulla successiva coltura del girasole (Helianthus annuus).
Materiali e metodi
La prova è stata effettuata in due differenti aziende agricole biologiche situate in zone 5b del Lazio (Reg. CEE 2081/93), rispettivamente nel
territorio dei comuni di Acquapendente (VT) (campo 1) e di Palombara
Sabina (RM) (campo 2).
Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco randomizzato
con tre replicazioni e parcelle elementari di m 3x2. Le tesi a confronto sono
state: 1) controllo non concimato; 2) concimazione del girasole con urea in copertura; 3) sovescio di favino (Vicia faba var. minor); 4) sovescio di veccia
(Vicia sativa) e avena (Avena sativa); 5) sovescio di colza (Brassica napus var.
oleifera); 6) sovescio di favino e concimazione al girasole con sangue fluido
Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico
73
(concimazione fogliare alla levata). Le specie da sovescio coltivate sono state
scelte tra quelle più diffusamente utilizzate nella Regione con l’eccezione del
colza, il cui impiego è risultato di interesse anche in relazione alla sua capacità di controllare lo sviluppo delle erbe spontanee ed i fitofagi del terreno (AA.
VV., 1994). E’ stato poi previsto l’impiego del sangue fluido in quanto mezzo
tecnico ausiliario compreso tra quelli ammessi per la fertilizzazione in agricoltura biologica. Questo concime risulta infatti elencato nell’Allegato IIA del
Reg. CEE n. 2092/91 e previsto al punto 3 della voce 5.1.1 (concimi organici
azotati fluidi) dell’Allegato 1B (Concimi nazionali o concimi) della normativa
nazionale per la disciplina dei fertilizzanti (Legge n. 748/84).
Deve essere inoltre precisato che il metodo di coltivazione biologica non consente l’impiego dell’urea per la concimazione azotata dei terreni (cfr. Allegato IIA Reg. CEE 2092/91). Tuttavia, la tesi che prevede la
distribuzione del fertilizzante di sintesi è stata prevista al fine di poter operare un confronto diretto tra gli itinerari tecnici biologici e quello più frequentemente utilizzato nel convenzionale.
Le colture da sovescio sono state seminate nell’autunno 1997,
sono state sfalciate nella primavera del 1998 e successivamente interrate.
Allo sfalcio sono stati prelevati campioni per la determinazione della biomassa prodotta e della sua composizione. Dopo la preparazione del terreno
è stato seminato il girasole, poi raccolto nell’estate del 1998. Anche in questo caso è stata determinata la biomassa totale prodotta ed il relativo contenuto di N, calcolando le asportazioni totali dell’elemento da parte della coltura da rinnovo.
Per seguire la dinamica delle forme minerali dell’azoto nel terreno sono stati effettuati prelievi di terreno nello strato interessato dalle lavorazioni (0-25 cm) prima della semina delle colture da sovescio e ogni 15
giorni, a partire dalla data del loro interramento sino alla fine del ciclo biologico del girasole.
La determinazione dell’azoto totale del materiale vegetale dei
sovesci e della coltura da rinnovo è stata eseguita per combustione a secco
(tecnica Dumas) mediante analizzatore automatico LECO. Le forme minerali dell’azoto del terreno sono state misurate, dopo estrazione con KCl 2N
(1:10), mediante analizzatore a flusso continuo (autoanalyzer) ) in accordo
con Wall et al. (1975) per l’N-NH4, con Kampshake et al. (1967) per l’NNO3 e con una modifica della procedura di Griess-Ilosvay (Griess, 1879;
Ilosvay, 1889) per l’N-NO2 (Keeney e Nelson, 1982).
I dati sono stati elaborati e sottoposti all’analisi della varianza
(test multiplo di Duncan).
74
Canali et al.
Risultati e discussione
Nella tabella 1 sono riportate le principali caratteristiche fisicochimiche dei suoli dei due campi sperimentali. I suoli del campo 1 sono
Haploxeralf (Biondi et al., 1998) e quelli del campo 2 sono Xerochrept
(Biondi, comunicazione personale).
Tabella 1 - Caratteristiche fisico-chimiche dei suoli.
Parametro
Sabbia
Limo
Argilla
Tessitura
pH
Conducibilità elettrica
Calcare attivo
Sostanza organica
N totale
P assimilabile
Fe assimilabile
Mn assimilabile
Cu assimilabile
Zn assimilabile
Ca scambiabile
Mg scambiabile
K scambiabile
Na scambiabile
C.S.C.
Ca
Mg
K
Na
H
Classificazione
(Soil taxonomy,USDA)
%
%
%
USDA
mS cm-1
%
%
%
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
mg kg-1
meq 100 g-1
meq 100 g-1
meq 100 g-1
meq 100 g-1
meq 100 g-1
meq 100 g-1
Campo 1
40
24
36
FA
6.5
0.065
Assente
1.52
0.12
6
24.8
21.2
3.4
1.2
3100
655
328
64
26.64
15.50
5.46
0.84
0.28
4.56
Campo 2
53
21
26
FAS
6.5
0.1
Assente
1.62
0.123
21
16.4
6.0
4.8
3.0
3500
740
176
175
28.03
17.50
6.17
0.45
0.76
3.15
Haploxeralf
Xerochrept
I risultati relativi alla produzione di biomassa e al contenuto in
N delle specie da sovescio sono stati differenti nelle due aziende (tabelle 2 e
3). Nel campo 1 (tabella 2) la produzione di sostanza secca è stata maggiore
per le due tesi di favino e per il miscuglio veccia + avena rispetto a quella del
colza. Il contenuto in azoto totale delle biomasse (favino > colza > veccia +
avena) ha portato alla differenziazione degli apporti di N secondo l’ordine decrescente favino > veccia + avena > colza, con differenze significative per
p≤0,05. Nel campo 2 (tabella 3) si è registrata una produzione di sostanza sec-
Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico
75
ca significativamente maggiore per il miscuglio veccia + avena rispetto alle
altre tesi, mentre il contenuto in azoto totale ha avuto andamento opposto. Gli
apporti stimati di N sono stati maggiori per veccia + avena rispetto a quelli
del colza, mentre sono stati registrati valori intermedi per il favino.
Tabella 2 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed apporti di N dei sovesci nel campo 1.
tesi
3.
4.
5.
6.
Sostanza secca
N
t ha-1
%
Favino
5.07 by
2.56 b
Veccia e avena
4.24 b
1.87 a
Colza
0.95 a
2.11 ab
Favino + sangue fluido
5.32 b
2.43 b
N
kg ha-1
130.51 c
79.38 b
18.69 a
129.08 c
y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente
differenti al livello di probabilità del 5% in base al test multiplo di Duncan.
Tabella 3 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed apporti di N dei sovesci nel campo 2.
tesi
3.
4.
5.
6.
Sostanza secca
t ha-1
Favino
3.34 Ay
Veccia e avena
9.60 B
Colza
1.19 A
Favino + sangue fluido
2.76 A
N
%
2.89 b
1.64 a
3.61 b
3.08 b
N
kg ha-1
96.47 ab
158.66 b
42.50 a
86.22 ab
y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti
al livello di probabilità del 5% (lettere minuscole) o dell'1% (lettere maiuscole) in base al test
multiplo di Duncan.
Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati i valori medi e delle forme minerali dell’azoto nei suoli. Le uniche differenze significative sono state rilevate nel campo 1, nel quale i contenuti medi di N-NO3 nelle parcelle in cui
erano stati sovesciati colza e veccia + avena sono risultati inferiori (tabella
4). Le figure 1 e 2 riportano, invece, la dinamica nel tempo dell’azoto minerale nei due campi.
Tabella 4 - Contenuto medio e speciazione dell'N minerale nel suolo nel campo 1.
tesi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
N-NH4
N-NO3
N (NO3 + NH4)
mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo
Controllo
12.8
8.6 by
21.4
Urea
13.1
9.0 b
22.1
Favino
14.1
8.6 b
22.7
Veccia e avena
14.9
6.3 a
21.2
Colza
14.3
6.5 a
20.8
Favino + sangue fluido 15.3
7.3 b
22.6
y Le medie in ciascuna colonna seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti
al livello di probabilità del 5% in base al test multiplo di Duncan.
76
Canali et al.
Tabella 5 - Contenuto medio e speciazione dell'N minerale nel suolo nel campo 2.
tesi
N-NH4
N-NO3
N (NO3 + NH4)
mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo mg kg-1 suolo
1. Controllo
11.7
12.5
24.1
2. Urea
12.3
14.0
26.4
3. Favino
12.2
13.3
25.4
4. Veccia e avena
12.1
14.6
26.7
5. Colza
10.8
13.4
24.2
6. Favino + sangue fluido
11.4
13.1
24.5
N-(NO3-+NH4+) mg kg-1 suolo
Figura 1 - Dinamica delle forme minerali dell'N nel campo 1.
50
1
40
2
30
3
20
4
5
10
6
0
t0
t1
t2
t3
N-(NO3-+NH4+) mg kg-1 suolo
Figura 2 - Dinamica delle forme minerali dell'N nel campo 2.
50
1
40
2
30
3
20
4
5
10
6
0
t0
t1
t2
t3
77
Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico
Nelle due diverse condizioni pedoclimatiche sia per il contenuto medio delle forme minerali di N che per la loro dinamica sono stati rilevati valori differenti. Tali differenze sono attribuibili, in particolare, alla
componente N-NO3, come evidenziato dal valore medio più basso rilevato
per tutte le tesi nel campo 1.
Tuttavia, in entrambi i campi, le maggiori disponibilità medie di
N minerale sono state osservate nelle tesi in cui la quantità di N interrata con
i sovesci risultava maggiore e, in tali tesi, la concentrazione di N minerale
nel suolo risultava comparabile a quella delle tesi fertilizzate con urea. Più
precisamente, nel campo 1 i valori più alti sono stati rilevati nelle tesi in cui
era stata somministrata urea e sovesciato il favino (tesi 2, 3 e 6, rispettivamente), mentre nel campo 2 sono stati rilevati per l’urea e per il sovescio di
veccia + avena (tesi 2 e 4 rispettivamente).
Nei due campi, come evidenziato nelle tabelle 6 e 7, non sono state registrate differenze statisticamente significative tra le tesi per quanto riguarda la produzione di biomassa della coltura principale del girasole. Analogamen
te, non sono stati evidenziati effetti dovuti alla presenza o al tipo di sovescio in
precessione colturale né all’impiego del sangue fluido. Il differente livello di fertilità chimica riscontrato nei due campi, come precedentemente evidenziato,
congiuntamente alle scarse precipitazioni nella zona di Acquapendente (campo
1) ha portato a registrare valori produttivi non paragonabili.
Tabella 6 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed asportazioni di N del girasole
nel campo 1.
tesi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Sostanza secca
t ha-1
Controllo
5.02
Urea
8.34
Favino
3.36
Veccia e avena
4.61
Colza
3.22
Favino + sangue fluido
4.34
N
%
0.87
0.74
0.89
0.87
0.71
0.90
N
kg ha-1
44.55
63.92
29.44
39.99
22.79
38.53
Tabella 7 - Sostanza secca prodotta, contenuto ed asportazioni di N del girasole
nel campo 2.
tesi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Sostanza secca
t ha-1
Controllo
11.26
Urea
10.84
Favino
12.28
Veccia e avena
9.63
Colza
12.32
Favino + sangue fluido
12.43
N
%
1.02
1.06
1.19
1.02
1.03
1.06
N
kg ha-1
116.92
112.58
148.18
100.23
122.66
132.06
78
Canali et al.
Conclusioni
La misura dell’azoto minerale, pur fornendo risultati caratterizzati da una estrema variabilità spaziale e temporale, se ben interpretata ha
fornito indicazione utili per comprendere la dinamica delle forme più mobili dell’azoto nel sistema suolo – pianta e per valutare la reale disponibilità
delle forme assimilabili dell’elemento per le colture.
I differenti sovesci hanno consentito di apportare al suolo, anticipatamente alla semina della coltura principale, quantità molto differenti di
N, con i valori minimi (20 – 40 kg ha-1) nel caso del colza e valori più alti
(130 – 150 kg ha-1) nel caso delle leguminose, in coltura pura od in associazione con graminacee.
I valori di azoto minerale misurati nei terreni nei quali i sovesci
avevano apportate le più alte quantità di azoto risultano paragonabili a quelli misurati nel terreno della tesi concimata con urea.
Tuttavia, non è stata evidenziata alcuna relazione tra le differenti disponibilità di azoto a livello del terreno, le asportazioni dell’elemento e la produzione della coltura da rinnovo.
Ringraziamenti
Si ringraziano i tecnici dell’AIAB - CEDA per la conduzione agronomica dei campi sperimentali, ed in particolare il coordinatore, Dr. Leandro Dominicis.
Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto “La razionalizzazione della fertilizzazione organica del suolo con particolare riguardo alle pratiche del sovescio in agricoltura biologica” finanziato dalla Regione Lazio (Reg. CEE n. 2052/88 e Reg. CEE n. 2081/93.
DOCUP Obiettivo 5/b Lazio 1994/99. Avviso pubblico allegato alla DGR n. 5037/95. Asse I
– Sottoprogramma 1 – Misura 1. Annualità 1996. Progetto n. 11106001).
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Effetto di differenti sovesci sulla fertilità azotata di suoli condotti con metodo biologico
79
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81
VALUTAZIONE E
DESCRIZIONE DELLA FERTILITÀ
DI TERRENI MERIDIONALI MEDIANTE LA GEOSTATISTICA MULTIVARIATA
Castrignanò A., Colucci R., Ferri D., La Cava P., Martinelli N.,
Stelluti M.
Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani n.5 – 70125 Bari
Riassunto
La variazione spaziale, sempre presente nelle proprietà del suolo, causa una mancanza di omogeneità nella fertilità per cui, per garantire un livello accettabile di produttività, è necessario che le pratiche agronomiche siano adattate alle reali necessità locali sia del suolo che della coltura. In questo lavoro viene presentato un nuovo
approccio, basato sulle più recenti tecniche geostatistiche multivariate, finalizzato alla descrizione, valutazione e mappatura della fertilità del suolo.
L’area in studio ha riguardato una superficie di ~ 10000 ha, sita nell’agro di
Foggia e vocata tradizionalmente alla coltivazione del frumento duro, che è stata fatta oggetto di un campionamento pedologico secondo una griglia a maglie approssimativamente quadrate di lato pari a ~ 1000 m. Al centro delle celle della griglia sono stati prelevati sia campioni indisturbati che disturbati, a due profondità 0-25 cm
e 25-50 cm. I punti di prelievo sono stati georeferenziati utilizzando un sistema GPS
palmare.
I campioni sono stati quindi analizzati in laboratorio al fine di determinare i seguenti parametri: densità apparente, scheletro, tessitura, capacità di campo, punto di
appassimento, conducibilità elettrica, pH, N-NO3, N-NH4 scambiabile, C organico,
P assimilabile come P2O5, K scambiabile come K2O, Na, Mg e Ca. Per determinare e modellare la correlazione spaziale alcune variabili (scheletro, argilla, limo, riserva d’acqua disponibile, pH, C, N-NO3, P2O5, K e Ca), ritenute più influenti nel
determinare la fertilità del territorio, sono state fatte oggetto di un’elaborazione di
tipo geostatistico multivariato. Un modello lineare di coregionalizzazione, comprendente un nugget (componente casuale della variabilità spaziale, per distanze <
800 m), una struttura spaziale sferica (per distanze comprese fra 800 m e 4700 m) e
un’altra struttura spaziale anch’essa sferica (per distanze comprese fra 4700 m e
7500 m), è stato adattato a tutti i semivariogrammi diretti e incrociati delle precedenti 10 variabili, opportunamente standardizzate a media 0 e varianza unitaria. Il
kriging fattoriale (Factor kriging) è stato quindi applicato al fine di separare le diverse cause di variabilità della fertilità in funzione della scala spaziale.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 81-102 (2001)
82
Castrignanò et al.
Il metodo precedente ha consentito di stimare un indice multivariato (I fattore regionalizzato), sufficiente a descrivere circa il 90% della variabilità spaziale complessiva per distanze superiori ai 4700 m. Alla definizione di questo indice influivano significativamente e positivamente l’argilla, la riserva idrica disponibile, il C,
il pH e il Ca e negativamente lo scheletro, la P2O5 e il K, il che ha consentito di delimitare aree a diversa fertilità agronomica.
I risultati di questo studio si rivelano interessanti per le implicazioni sulle strategie di conservazione della fertilità del suolo da adottare nelle aziende agricole ricadenti nell’area di studio.
Parole chiave: agricoltura di precisione, fertilità, variabilità spaziale, geostatistica,
kriging fattoriale
Abstract - Fertility assessment and description of some soils in South
Italy using multivariate geostatistics
Spatial variability associated with all soil properties causes a loss of soil homogeneity. So, profitability in agriculture is related to how well agricultural inputs and
practices are matched to localised conditions. In this paper we propose a new approach based on the most recent multivariate geostatistical techniques, aimed at the
assessment, description and mapping of soil fertility.
The study site covers a 10000-ha area, located in the countryside of Foggia
(south Italy) and traditionally cropped with durum wheat. The area was submitted to
systematic sampling, where points were located at quite regular intervals (~ 1000
m). At the nodes of sampling grid, soil samples were collected to two depths (25 and
50 cm) and analysed in laboratory to measure the following parameters: gravel, texture, field capacity, wilting point, electric conductivity, pH, N-NO3, N-NH4, organic carbon, available P (expressed as P2O5), exchangeable K (expressed as K2O),
Na, Mg and Ca. The sampling points were georeferenced by GPS.
Ten variables (gravel, clay, silt, AWC, pH, Organic carbon, N-NO3, P2O5, K2O and
Ca) were standardised to 0 mean and 1 variance and used to fit a Linear Model of
Coregionalization (LMC). Three spatial structures: were used: a nugget effect, a shortrange spherical structure (range=4700 m) and a long-range spherical structure (range
= 7500 m). Factor kriging was used to estimate regionalized factors. The first longrange factor, in particular, which explained more than 90% of total variance, proved
very useful in dividing the whole area in zones of different agronomic fertility.
The proposed approach may be then applied successfully in soil fertility management.
Key words: Precision agriculture, fertility, spatial variability, geostatistics, factor
kriging.
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
83
1.0 Introduzione
L’agricoltura di precisione e la sua implementazione in operazioni agronomiche variabili spazialmente rappresenta un argomento di grande interesse, sia per l’industria agricola che per il mondo della ricerca. L’idea
forza è che la variabilità spaziale è presente in tutti i campi agricoli e di questo già da molto tempo gli scienziati del suolo e gli agricoltori ne erano a conoscenza. Nonostante ciò la concimazione, per esempio, dei principali macro-elementi nutritivi delle piante, azoto, fosforo e potassio, viene ancora
praticata essenzialmente in modo empirico, senza tener conto delle reali necessità della coltura e della effettiva disponibilità di elementi nutritivi da parte del suolo. I servizi regionali di divulgazione agricola basano le loro indicazioni di fertilizzazioni su analisi di campioni compositi di suolo, ciascuno
dei quali consiste in un certo numero di prelievi, all’interno di un’area ritenuta omogenea, che vengono poi mescolati insieme per produrre un’unica
misura. Di conseguenza, per ciascun campo, si può fornire soltanto un’indicazione media relativa all’utilizzo dei fertilizzanti. Un tale modo di operare
crea inevitabilmente problemi di vario tipo, con conseguenze negative sia a
livello della coltura (carenze nutritive della pianta, riduzione della produzione) che dell’ambiente (lisciviazione dei soluti, rischio di inquinamento della
falda freatica). Tra le colture erbacee estensive la barbabietola da zucchero,
per esempio, è una che risente maggiormente degli apporti non adeguati di
fertilizzanti, evidenziando perdite produttive di saccarosio o peggioramenti
della qualità industriale.
Attualmente l’introduzione dei computer in agricoltura, l’implementazione di software sofisticato sui comuni PC da tavolo o portatili e
soprattutto la disponibilità di GPS (Global Positioning System) per la georeferenziazione dei dati hanno reso possibile l’applicazione dell’agricoltura di
precisione, consistente essenzialmente nel modulare gli input alle colture
agrarie, in funzione delle loro reali esigenze definite localmente. Per la realizzazione di operazioni agronomiche variabili spazialmente, quattro sub-sistemi sono essenziali: 1) un sistema di campionamento e analisi del suolo;
2) un sistema di posizionamento in campo; 3) un sistema di mappatura dell’area esaminata e, infine, 4) un meccanismo di applicazione di precisione
dei vari input (acqua, diserbante, fertilizzante) con controllo automatico. Alla
fase di rilievo dei dati spaziali dovrebbero seguire quindi quelle di analisi e
di interpretazione delle misure, con successiva modellizzazione al fine di
realizzare un valido strumento di supporto all’attività decisionale dell’agricoltore o del politico preposto alla tutela e pianificazione dell’ambiente. I risultati finali di un tale complesso processo conoscitivo saranno delle mappe
84
Castrignanò et al.
di trattamento, che dovrebbero indirizzare le diverse operazioni agricole.
Si può giustamente discutere sull’effettivo vantaggio economico derivabile, tuttavia un fatto indiscutibilmente positivo è che la conoscenza del territorio è un’idea chiave nell’agricoltura di precisione, che deve pertanto basarsi su un approccio razionale all’elaborazione dei dati. Tecniche
geostatistiche sono state diffusamente utilizzate nella scienza del suolo per
descrivere la struttura spaziale di determinate proprietà fisiche, chimiche e
idrologiche del suolo (Mc Bratney e Webster, 1986; Goovaerts e Webster,
1994; Dobermann et al., 1995; 1997; Castrignanò et al., 1995; 1998;
1999a,b; Castrignanò et al., in corso di stampa). Una caratteristica fondamentale del paesaggio naturale è che esso mostra una variabilità spaziale che
è l’effetto combinato di differenti processi, ciascuno dei quali agisce a determinate scale spaziali e temporali. Noi abbiamo applicato una tecnica particolare della geostatistica multivariata, il kriging fattoriale (FKA), in modo
da separare le diverse sorgenti di variazione in funzione della scala spaziale
a cui operano. Lo scopo di questo studio è stato appunto quello di ottenere
dettagliate mappe di fertilità del suolo, il che rappresenta una premessa indispensabile alla definizione di piani ottimali di fertilizzazione. Il kriging fattoriale è stato anche impiegato per formulare ipotesi sui possibili processi responsabili della variabilità spaziale osservata della fertilità del suolo.
2.0 Materiale e Metodi
2.1 Descrizione del sito
L’area di studio ha riguardato una estensione di circa 10000 ha situata in agro di Lucera (Foggia), ricadente in una zona del Tavoliere pugliese,
che formatosi nel Quaternario si estende ad ovest della valle dell’Ofanto a separare le masse calcaree del Gargano e delle Murge. Essa si caratterizza per la
presenza di ampi tavolati costituiti di depositi marini terrazzati del Pleistocene
medio, che verso l’interno si addossano alle Argille subappenniniche del
Pleistocene inferiore corrispondenti ai paesaggi collinari a morfologia piuttosto dolce e regolare, con quote non elevate e clima piuttosto arido. Per quanto
riguarda il pedoclima, il regime di umidità dei suoli è generalmente di tipo
Xerico, mentre quello termico è classificato come Thermic.
Per la caratterizzazione pedologica si è fatto riferimento alla carta pedo-paesaggistica della regione Puglia, in cui le unità paesaggistiche risultano omogenee essenzialmente per geolitologia, geomorfologia, altimetria
relativa, pendenza, uso del suolo, forma e densità del reticolo di drenaggio,
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
85
erosione e deposizione e solo in misura più limitata, a causa dell’esiguità delle informazioni, per tipologie pedologiche. L’area in studio ricade nel sistema
di paesaggio del Tavoliere delle Puglie, in particolare nel sottosistema dell’alto Tavoliere, e le unità di paesaggio riguardano aree sommitali a morfologia pianeggiante o subpianeggiante. Le quote variano fra i 100 e i 350 m s.l.
e l’uso del suolo è principalmente a seminativi e subordinatamente a oliveti.
Il substrato geolitologico comprende conglomerati poligenici incoerenti o
ciottolame incoerente del Pleistocene. I suoli variano da scarsamente calcarei
a calcarei, da moderatamente profondi a molto profondi, la tessitura da moderatamente fine a fine, lo scheletro da abbondante a molto abbondante negli
orizzonti profondi, mentre la pietrosità superficiale generalmente è scarsa e
solo occasionalmente diviene più elevata. Si registra talora anche la presenza
di orizzonti di accumulo di carbonati o di un orizzonte petrocalcico, seppure
di spessore alquanto limitato (1-3 cm). I suoli sono stati generalmente classificati come Haploxeralfs, Argixerolls e Haploxerolls (USDA, 1995).
2.2 Campionamento e misure
Una griglia approssimativamente regolare di 1 km x 1 km è stata stabilita sul campo, producendo 118 punti di campionamento (fig. 1). Al
centro di ciascuna cella sono stati prelevati campioni indisturbati (7 cm x 5
cm) e disturbati, a due profondità 0-25 cm e 25-50 cm nel novembre 1997.
A ciascuna profondità i campioni disturbati prelevati in punti diversi, nel raggio di circa 1 m, furono quindi mescolati insieme per produrre un unico campione composito. I punti di prelievo sono stati georeferenziati utilizzando un
sistema GPS palmare del tipo GeoExplorer II della Trimble e la registrazione è stata effettuata, per un periodo continuato di almeno 15 min., solo quando 5 o più satelliti erano visibili (più di 15° al di sopra dell’orizzonte), e il
PDOP (Position Dilution of Precision), che è un’indicazione della geometria
dei satelliti, era inferiore a 6. I dati sono stati quindi elaborati con il software Pathfinder Office della Trimble, che fa riferimento come ellissoide matematico al WGS-84 (World Geodetic System - 1984) e converte da coordinate geografiche a coordinate locali UTM, che utilizzano il sistema di proiezione trasversale Mercatore. I dati sono stati quindi mediati e le deviazioni
standard sono variate fra 12 e 81 m. I campioni di suolo sono stati quindi
analizzati in laboratorio al fine di determinare i seguenti parametri: scheletro (% vol) (SCHEL), sabbia grossa (0.2-2 mm, % ) (SG), sabbia fine (0.050.2 mm, %) (SF), limo grosso (0.02-0.05 mm, %) (LG), limo fino (0.0020.02 mm, % ) (LF), argilla (< 2 µm, %) (ARG), capacità di campo (% p.s.)
(CC), punto di appassimento (% p.s.) (PA), conducibilità elettrica (dSm-1)
(CE), pH, N-NO3 (mg kg-1) (NO3), N-NH4 scambiabile (mg kg-1) (NH4), car-
86
Castrignanò et al.
bonio organico (mg kg-1) (CO), P assimilabile come P2O5 (mg kg-1) (P2O5),
K scambiabile come K2O (mg kg-1) (K), Na (mg kg-1) (NA), Mg (mg kg-1)
(MG), Ca (mg kg-1) (CA).
Fig.1 - Schema di campionamento. Fig. 1 - Sampling design
96000
95000
94000
93000
92000
91000
90000
89000
88000
87000
86000
85000
84000
18000 19000 20000 21000 22000 23000 24000 25000 26000 27000 28000 29000 30000 31000 32000 33000 34000
Per quanto riguarda le metodiche adottate sono state quelle ufficializzate dal D.M. dell’11 maggio 1992 (G.U. n° 121, 25 maggio 1992)
per i metodi di analisi chimica del suolo e del D.M. del 1 agosto 1997 (G.U.
n° 204 del 2 settembre 1997) per quelli di analisi fisica. I dati analitici sono
stati quindi elaborati secondo le procedure della statistica classica per la caratterizzazione della variazione spaziale campionaria.
2.3 Analisi di coregionalizzazione
Si è svolta un’analisi geostatistica multivariata limitatamente allo strato più superficiale su un numero più ristretto di 10 proprietà fisicochimiche del suolo: scheletro, limo totale (LIMO), argilla, acqua disponibile (AWC), carbonio organico, P, K, Na, Mg e Ca. La scelta è ricaduta sulle
precedenti variabili in quanto ritenute più influenti a caratterizzare la fertilità fisico.chimica di questi suoli, principalmente di tipo limoso-argilloso, con
elevati contenuti di argilla e conseguentemente significative concentrazioni
di cationi adsorbiti sul complesso di scambio. Si è voluto anche includere lo
scheletro, in quanto in alcuni suoli si è registrata una notevole presenza di
87
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
pietre sia in superficie che in profondità. Sono state considerate anche le
principali componenti della fertilità agronomica (P, K e carbonio organico),
mentre si sono omessi il pH, in quanto è risultato sufficientemente omogeneo, N-NO3 e N-NH4, per la loro natura estremamente dinamica e la conducibilità elettrica per i suoi valori generalmente molto bassi. Quattro variabili (scheletro, P, Na e Mg) sono state trasformate ai logaritmi naturali
(LSCHEL; LP2O5, LNA, LMG) ed inoltre tutte le 10 variabili sono state
standardizzate a media zero e varianza unitaria. Sono stati quindi calcolati i
coefficienti di correlazione ed è stata svolta un’analisi alle componenti principali, seguita da una rotazione VARIMAX, sulla matrice di varianza-covarianza. Questo approccio della statistica classica trascura però le relazioni
spaziali fra le variabili, mentre l’esame dei variogrammi diretti e incrociati
ha mostrato come la correlazione fra le suddette variabili non sia di tipo intrinseco (Wackernagel, 1994), ovvero con tutti i variogrammi proporzionali
ad una stessa funzione di correlazione di base. Si è applicata pertanto la procedura del kriging fattoriale (FKA), al fine di distinguere i vari processi spaziali sulla base delle strutture di correlazione delle variabili in studio.
I principi teorici alla base della FKA e di altre procedure geostatistiche multivariate sono state ampiamente descritte in pubblicazioni specifiche (Matheron, 1982; Wackernagel, 1995; Goovaerts, 1997) e ad esse il
lettore interessato può fare riferimento per ulteriori approfondimenti. Qui ci
limiteremo ad indicare le fasi principali dell’analisi di coregionalizzazione
come è stata applicata ai nostri dati.
Sia [zi(xα ); i=1,. . . , p; (=1, . . . , N] l’insieme delle p variabili
del suolo (p=10 nel nostro caso) zi misurate alle stesse N (N=118) postazioni. Questo insieme di valori misurati georeferenziati costituisce una particolare “realizzazione” delle p funzioni casuali [Zi(x), i=1,. . . ,p]. Analizzare la
coregionalizzazione delle p variabili comprende le seguenti fasi:
• Calcolo della matrice
dei variogrammi sperimentali. La matrice dei va)
riogrammi sperimentali Γ (h) è una matrice simmetrica pxp, in cui gli elementi diagonali e quelli non diagonali rappresentano, rispettivamente, i variogrammi diretti e incrociati calcolati per un dato vettore distanza h (lag) fra
coppie di postazioni:
 γˆ11 (h ) LLLL γˆ1 p (h )
)


Γ (h ) =  M
M 
γˆ p1 (h ) LLLL γˆ pp (h )


[1]
ove i variogrammi sperimentali diretti e incrociati sono calcolati in base alla formula seguente:
88
γˆij (h ) =
Castrignanò et al.
{
}
1 Nh
∑ {zi (xα ) − zi (xα + h )} z j (xα ) − z j (xα + h)
2 N h α =1
[2]
ove h è il lag , Nh il numero delle coppie di valori corrispondenti ad un dato modulo e ad una data direzione del vettore h ed i e j sono due indici che
individuano le variabili.
• Modello della matrice dei variogrammi. Tutti i variogrammi diretti e incrociati vengono quindi modellati sotto forma di combinazioni lineari di uno
stesso insieme di NS funzioni di base di variogramma gu(h) (u-ma struttura):
Ns
γ ij (h ) = ∑ biju g u (h )
[3]
u =1
ove u è un indice che si riferisce ad una particolare scala spaziale. Il cosiddetto modello lineare di coregionalizzazione (LMC) può essere espresso sotto forma matriciale:
Ns
Γ (h ) = ∑ B u g u (h )
[4]
u =1
ove Γ(h) è la matrice pxp dei variogrammi e Bu è una matrice semi-definita
positiva dei coefficienti buij, detta matrice di coregionalizzazione (Goovaerts,
1992). Adottare il modello lineare di coregionalizzazione equivale ad assumere l’ipotesi che tutti i processi fisici e chimici nel suolo agiscano additivamente alle loro scale spaziali caratteristiche e che i coefficienti buij costituiscano una misura dell’influenza delle variabili considerate sul particolare
processo spaziale. L’adattamento matematico del LMC procede nel modo seguente:
1. Scegliere il più piccolo insieme di strutture di base che definiscano le
principali caratteristiche dei variogrammi sperimentali. Generalmente solo
alcune funzioni di base gu(h) (un effetto di nugget e una o due funzioni matematiche consentite) sono sufficienti. Questa fase si avvale delle conoscenze degli esperti del fenomeno in studio (geologi, pedologi, agronomi, ambientalisti) ed è in un certo senso abbastanza intuitiva.
2. Stimare il contributo (sill) delle strutture di base a ciascun modello sotto la condizione fondamentale che le matrici di coregionalizzazione Bu siano semi-definite positive. Il modello LMC fu adattato usando una procedu-
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
89
ra iterativa, sviluppata da Goulard e Voltz, (1992). La somma pesata dei residui al quadrato è stata usata come criterio di confronto fra i numerosi tentativi di adattamento del modello.
• Analizzare le matrici di coregionalizzazione. Ciascuna matrice di coregionalizzazione Bu descrive le relazioni fra le p variabili alla scala spaziale
u, definite sulla base delle funzioni elementari di variogramma gu(h). Una
misura adimensionale delle correlazioni fra le variabili Zi e Zj alla scala spaziale u è il coefficiente di correlazione strutturale ρuij, così definito:
ρ =
u
ij
biju
biiu ⋅ b ujj
[5]
Mentre il coefficiente classico di correlazione misura globalmente le relazioni fra le variabili, i coefficienti di correlazione strutturali si
focalizzano su una scala spaziale specifica, filtrando l’effetto delle altre scale di variazione. I coefficienti ρuij, comunque, dipendono dall’inferenza del
modello di coregionalizzazione e, pertanto, contengono già implicitamente
delle assunzioni sul processo in studio.
Per esprimere sinteticamente le relazioni fra le variabili alle diverse scale spaziali u, si è applicata un’analisi alle componenti principali
(PCA) a ciascuna matrice di coregionalizzazione Bu (Wackernagel, 1989).
L’applicazione classica della PCA alla matrice di varianza-covarianza, indipendentemente dalla scala spaziale, consente di estrarre dei fattori che esprimono le principali caratteristiche dei dati, ma mediate su tutte le scale spaziali. Nel caso in cui le strutture spaziali cambino con la scala, la PCA, applicata singolarmente a ciascuna matrice di coregionalizzazione, produce un
insieme di fattori regionalizzati per ciascuna scala, consentendo così di distinguere fra i processi che causano variazione a corto e a lungo raggio.
L’interpretazione dei fattori regionalizzati si basa su: 1) la loro correlazione
con le variabili originarie; 2) le conoscenze degli esperti sui processi genetici del suolo e 3) l’insieme delle mappe dei fattori ottenute con il cokriging.
3.0 Risultati e Discussione
3.1 Misura della variabilità spaziale
L’area in studio mostrava una elevata eterogeneità nelle sue proprietà fisiche e chimiche ad eccezione del pH (tab. 1). Solo ARG, CC, PA,
90
Castrignanò et al.
CO, la sabbia totale (SAB), LIMO, AWC risultavano normalmente distribuite, secondo il test di Shapiro-Wilk (1965) al livello di probabilità p>0.90.
Le variabili SCHEL, SF, CE, NH4, NA, MG e P2O5 furono trasformate nei
logaritmi naturali, in quanto risultavano positivamente asimmetriche. Tale
trasformazione, tuttavia, non è risultata sufficiente a centrare la distribuzione di NH4 e ha normalizzato solamente le distribuzioni di SF e MG. Lo strato più superficiale del suolo presentava una eccezionale variabilità nelle
componenti più grossolane della granulometria e nei costituenti chimici della fertilità (N-NO3, N-NH4, P2O5). In particolare per i composti azotati concentrazioni particolarmente alte furono misurate in alcune locazioni.
Tabella 1 - Statistica descrittiva delle proprietà del suolo. Table 1: Simple statistics
of the soil properties
Variabile
Media
Min
Max
STDV
Skweness
CV
SCHEL (% Vol)
SG (%)
SF (%)
SAB (%)
LG (%)
LF (%)
LIMO (%)
ARG (%)
CE dSm-1
CC (% p.s.)
PA (% p.s.)
AWC (% p.s.)
pH
NO3 (mg kg -1)
NH4 (mg kg -1)
CO (mg kg -1)
P2O5 (mg kg -1)
K (mg kg -1)
NA (mg kg -1)
MG (mg kg -1)
CA (mg kg -1)
6.18
4.98
14.76
19.74
12.15
26.45
38.60
41.59
0.29
33.39
19.59
13.79
8.00
114.12
3.22
1.36
44.05
78.67
4.37
58.98
619.96
0.02
0.34
5.27
6.32
4.38
15.63
25.31
19.96
0.16
19.38
12.37
7.01
7.19
1.32
0
0.68
2.90
22.50
1.25
32.75
298.75
35.79
13.89
34.25
39.96
22.92
41.41
54.94
62.63
0.86
46.35
26.33
22.37
8.57
569.57
35.62
2.17
172.67
152.25
23.25
113.25
939.00
8.47
2.62
4.82
6.06
3.44
5.57
6.39
8.23
0.96
3.92
2.78
2.49
0.25
107.51
3.84
0.28
28.04
24.33
3.10
16.43
170.74
1.85
0.77
1.14
0.53
0.80
0.27
0.12
0.06
2.46
-0.04
-0.26
0.31
-0.83
2.05
6.28
0.14
1.60
0.61
3.06
1.06
-0.41
136.93
52.57
32.64
30.70
28.35
21.07
16.55
19.78
32.66
11.75
14.20
18.07
3.17
94.21
119.20
20.88
63.65
30.92
71.03
27.86
22.70
-3.91
1.66
5.09
-0.40
0.22
3.49
1.06
3.58
3.53
6.76
3.57
3.15
4.73
5.15
1.82
0.32
0.28
0.59
0.54
0.27
0.75
-0.41
0.01
0.94
1.25
0.67
0.26
-0.98
272.72
11.93
4.88
60.23
41.35
6.56
21.03
Trasformate logaritmiche
LSCHEL
0.66
LSF
2.64
LCE
5.64
LNH4
0.97
LNA
1.31
LMG
4.04
LP2O5
3.56
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
91
3.2 Modello di coregionalizzazione
Molto verosimilmente due sono le cause principali che determinano la variabilità spaziale delle proprietà studiate del sito in esame: 1)
una a più corto raggio, legata alla gestione agronomica del suolo (tipo di lavorazioni; concimazioni azotata, fosfatica e potassica; rotazioni) e 2) l’altra
a raggio maggiore, più propriamente correlata ai fattori che hanno contribuito alla formazione dei suoli (materiale genetico, topografia, tessitura, classe
di drenaggio, contenuto in sostanza organica, pendenza, classificazione tassonomica). Allo scopo di separare queste diverse fonti di variazione e caratterizzarle più approfonditamente, è stata svolta un’analisi multivariata di coregionalizzazione. I variogrammi diretti e alcuni dei 45 variogrammi incrociati delle 10 variabili standardizzate in studio, unitamente al modello lineare adattato di coregionalizzazione (linea continua), sono mostrati in figg. 2 e
3. Eccetto CO e LP2O5 tutti i variogrammi diretti presentano effetti di nugget variabili fra il 20 e il 60% della varianza campionaria. Possiamo distinguere essenzialmente due tipi di variogrammi: 1) ARG, CO, LP2O5 e CA
presentano generalmente 3 distinte strutture: l’effetto di nugget, più o meno
accentuato, una componente a corto raggio che raggiunge un sill a circa 3000
m e un aumento più o meno pronunciato e continuo fino a distanze maggiori, rivelando l’esistenza di una struttura a più lungo raggio, che raggiunge il
sill a circa 7500 m; 2) le rimanenti variabili sono semplicemente caratterizzate da un effetto nugget e da una sola struttura spaziale a corto raggio (range ~ 3000 m).
Tutti i variogrammi sperimentali, sia diretti che incrociati, furono pertanto modellati come la somma di tre strutture spaziali: 1) un effetto
nugget; 2) una struttura sferica a corto raggio con range uguale a 3000 m e
3) una struttura sferica a lungo raggio con range uguale a 7500 m:
 3  h  1  h 3  2  3  h  1  h 3 
γ ij (h ) = bij0 + bij1  
− 
 
  + bij  
− 
 2  7500  2  7500  
 2  3000  2  3000  
 3  h  1  h 3 
γ ij (h ) = bij0 + bij1 + bij2  
− 
 
 2  7500  2  7500  
γ ij (h ) = bij0 + bij1 + bij2
per h > 7500
per 0 < h ≤ 3000
per 3000 < h ≤ 7500
[6]
dove b0ij è la varianza di nugget; b1ij e b2ij le varianze di sill, rispettivamente
della struttura sferica a corto e a lungo raggio; gli apici (0, 1, 2) indicano le
diverse scale spaziali.
92
Castrignanò et al.
Fig. 2 - Variogrammi sperimentali diretti (punti) e modello lineare di coregionalizzazione (linea continua). Fig. 2 - Experimental Auto-variograms (dots) and fitted
Linear Modell of coregionalization (continuos line)
LP2O 5
L S C H EL
1.2
1.2
1
1
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
K
LIMO
1.2
1.2
1
1
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
ARG
LNA
1.4
1.2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
1.4
1.2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
LMG
AWC
1.2
1.4
1.2
1
1
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
CA
CO
1.4
1.4
1.2
1
1.2
1
0.8
0.8
0.6
0.6
0.4
0.4
0.2
0.2
0
0
0
2000
4000
lag ( m )
6000
8000
0
2000
4000
lag (m )
6000
8000
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
93
Fig. 3 - Variogrammi sperimentali incrociati (punti) e modello lineare di coregionalizzazione (linea continua). Fig. 3 - Experimental Cross-variograms (dots) and
fitted Linear Modell of coregionalization (continuos line)
L S H EL - LIMO
K - ARG
0.4
0.5
0.3
0.4
0.3
0.2
0.2
0.1
0.1
0
0
A R G - LSC H EL
K - CO
0
0.5
-0.1
0.4
0.3
-0.2
0.2
-0.3
0.1
-0.4
0
-0.5
-0.1
A W C - ARG
LNA - K
0.3
0.6
0.25
0.5
0.2
0.4
0.15
0.3
0.1
0.2
0.05
0.1
0
0
C O - ARG
LMG - K
0.3
0.35
0.3
0.2
0.25
0.1
0.2
0
0.15
-0.1
0.1
-0.2
0.05
-0.3
0
LP2O 5 - C O
C A - LNA
0.5
0.2
0.15
0.1
0.05
0
-0.05
-0.1
-0.15
0.4
0.3
0.2
0.1
0
-0.1
0
2000
4000
lag ( m )
6000
8000
0
2000
4000
lag (m)
6000
8000
94
Castrignanò et al.
In base alle nostre ipotesi precedenti, la struttura a corto raggio
dovrebbe derivare essenzialmente dall’estrema variabilità del materiale pietroso mostrata dai suoli in esame e dalla fertilizzazione agronomica. Ciò
sembra confermato dal notevole contributo di questa struttura nei variogrammi diretti di LSCHEL e di LNA, LMG e K, che rappresentano i cationi derivanti in parte dalle fertilizzazioni e che vengono adsorbiti sul complesso di scambio. La struttura a più lungo raggio, d’altra parte , è presente
nella variazione di ARG, CO, LP2O5 e CA e sembra pertanto più legata alle caratteristiche tassonomiche dei suoli.
3.3 Coefficienti di correlazione strutturali
Per la struttura spaziale relativa all’effetto nugget (distanze<
800 m), le correlazioni fra molte coppie di variabili sono risultate elevate e
significative al livello di probabilità p<0.05 (tab. 2).
Tabella 2 - Coefficienti strutturali relativi alle 3 strutture spaziali e coefficienti di
correlazione. Table 2: Structural coefficients relative to the three spatial structures
and Pearson correlation coefficients
Struttura 1
LSCHEL LIMO
LSCHEL
LIMO
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
Struttura 2
1
0.90
1
LSCHEL LIMO
LSCHEL
LIMO
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
1
-0.41
1
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
-0.85
-0.94
1
-0.11
-0.23
0.06
1
0.76
0.89
-0.81
-0.50
1
0.03
-0.22
0.44
-0.21
-0.03
1
-0.43
-0.42
0.56
-0.60
1E-3
0.65
1
0.21
-1E-3
0.29
-0.44
0.07
0.87
0.49
1
-0.70
-0.81
0.87
-0.13
-0.50
0.65
0.84
0.38
1
-0.31
-0.55
0.63
0.43
-0.74
0.50
0.01
0.49
0.42
1
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
-0.22
-0.31
1
0.09
0.22
0.28
1
0.25
-0.52
0.54
0.23
1
0.07
-0.16
0.02
-0.01
0.34
1
0.02
-0.10
0.13
0.62
0.61
0.39
1
-0.44
-0.09
0.33
0.53
0.11
-0.18
0.36
1
-0.27
0.39
3E-4
0.27
-0.09
-0.23
-0.14
0.52
1
0.36
-0.26
0.32
0.28
0.84
-0.10
0.49
0.01
0.04
1
95
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
Struttura 3
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
LSCHEL
1
0.56 0.46
LIMO
1
-0.23
ARG
1
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
Coefficienti di correlazione
LSCHEL LIMO
-0.74
-0.94
-0.12
1
0.68
-0.11
0.95
-0.22
1
0.11
0.51
0.29
-0.62
0.12
1
-0.58
-0.14
0.13
0.11
-0.18
0.71
1
-0.58
0.31
-0.91
0.01
-0.97
0.11
0.28
1
-0.64
-0.17
-0.92
0.50
-0.89
-0.56
-0.16
0.75
1
0.90
0.29
0.80
-0.58
0.92
0.26
-0.30
-0.82
-0.89
1
LSCHEL LIMO
LSCHEL
LIMO
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
1
0.05
1
ARG
AWC
CO
LP2O5
K
LNA
LMG
CA
-0.39
-0.66
1
-0.03
0.01
0.19
1
0.35
-0.07
0.13
0.07
1
0.15
-0.04
-0.03
-0.09
0.23
1
-0.12
-0.26
0.31
0.11
0.30
0.42
1
-0.21
0.02
0.18
0.15
-0.17
0.06
0.41
1
-0.37
-0.14
0.32
0.16
-0.27
-0.16
0.19
0.48
1
0.24
-0.31
0.48
0.27
0.58
-0.06
0.16
3E-3
0.06
1
La variabile LSCHEL è risultata positivamente correlata con il
LIMO, ma negativamente con l’ARG; LIMO negativamente correlato con
ARG e MG, ma negativamente con CO; ARG, contrariamente a LIMO, negativamente con CO e positivamente con MG. L’AWC è risultata poco correlata con tutte le variabili, fatta eccezione della correlazione negativa con
K: molto probabilmente ciò è dovuto alla sua variabilità essenzialmente di
tipo casuale, senza la presenza di chiare strutture spaziali. CO oltre alle citate correlazioni con ARG e LIMO è risultato negativamente correlato con
CA; LP2O5 in generale poco legato alle altre variabili, ad eccezione di NA,
con cui è correlato positivamente ; lo stesso vale anche per K correlato significativamente e positivamente solo con MG; NA è poco correlato con gli
altri cationi del complesso di scambio, mentre risulta correlato, come già osservato, con il P; MG, oltre ad essere legato alle componenti granulometriche della matrice solida del suolo, è correlato a K e, infine, CA è risultato
anch’esso poco correlato ad eccezione della citata correlazione negativa con
CO. Tutto questo complesso insieme di correlazioni sembra essere collegato
alla diversa gestione agronomica dei vari campi, in particolare alle concima-
96
Castrignanò et al.
zioni e alla presenza di residui colturali che producono aree circoscritte di
materiale organico ricco in P, K , Ca e Mg. Filtrando l’effetto di nugget, diminuisce drasticamente il numero delle correlazioni significative e la correlazione CA-CO cambia di segno e diviene più intensa. Questo fatto può essere imputato a variazioni nella sostanza organica a fungere da riserva di Ca
potenzialmente assimilabile dalle piante.
A distanze superiori ai 3000 m aumentano nuovamente il numero e l’intensità delle correlazioni: le componenti granulometriche risultano fortemente correlate, rispettivamente, LSCHEL positivamente con CA,
LIMO negativamente con AWC e ARG positivamente con CO. Per quanto
riguarda l’argilla essa risulta negativamente correlata con i cationi del complesso di scambio Na e Mg, ma positivamente con Ca, il che sta ad indicare
una certa competizione fra i vari cationi relativamente alla loro presenza sul
complesso di scambio. La quantità di acqua disponibile appare negativamente influenzata dal contenuto in limo e dalla presenza di scheletro; per
quanto riguarda CO si intensifica la sua correlazione positiva con CA e negativa con LNA e LMG. Anche in questo caso, pertanto, si osservano proprietà antagoniste fra il Na e Mg da una parte e il Ca dall’altra. P e K come
al solito appaiono poco correlati, mentre sussiste una certa correlazione fra
di loro (0.71). Le intense correlazioni negative LNA-CA e LMG-CA confermano le già citate proprietà antagoniste fra questi cationi. Le numerose e
intense correlazioni, sia positive che negative registrate alle distanze maggiori, stanno ad indicare l’esistenza di ben definite strutture di correlazione,
molto probabilmente legate alla natura geologica e morfologica dell’area in
esame. L’analisi dei coefficienti di correlazione strutturali ha mostrato chiaramente come le strutture di correlazione varino in funzione della scala spaziale. In casi quindi di correlazione non-intrinseca il coefficiente di correlazione classico, che media su tutte le scale spaziali, non può fornirci delle informazioni precise sui processi in atto; esso, inoltre, risulta fortemente influenzato dalle correlazioni contenute nell’effetto di nugget. Quest’ultimo,
d’altra parte, comprende sempre una componente non nota di varianza attribuibile agli errori di misura, per cui l’uso del coefficiente di correlazione
classico rischia di mascherare in parte le effettive relazioni fra le variabili.
Dall’esame della tab. 2 si nota infatti che la maggior parte delle correlazioni, stimate sulla base dei valori del coefficiente di correlazione classico, sono risultate di scarso rilievo. Le uniche degne di una qualche considerazione sono: ARG-LIMO (-0.66), che nell’analisi strutturale è risultata significativa solo a livello di nugget, per poi diminuire progressivamente a distanze maggiori; LNA-LMG (0.48), che nell’analisi strutturale aumentava progressivamente in funzione della scala (0.38; 0.52; 0.75); CA-CO (0.58), che
nell’analisi strutturale cambia addirittura di segno, intensificandosi al cre-
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
97
scere della distanza. Questo variegato schema di correlazioni ci può far intuire la complessità dei processi fisici, chimici e biologici che avvengono nel
suolo. A rendere più difficile il compito di interpretazione dei risultati ottenuti contribuisce il fatto che tutte le procedure di misura, dal campionamento alla stima, sono affette da errore, come si evidenzia dai valori generalmente elevati di nugget dei variogrammi diretti (figg.2 e 3). La tecnica FKA,
filtrando le diverse componenti spaziali, consente di rimuovere questo tipo
di rumore e di concentrare la nostra attenzione sui reali processi che causano differenze nelle proprietà fisiche e chimiche del suolo, piuttosto che limitare la nostra analisi ad un’uscita che deriva da un processo di mediazione su numerosi processi, così come si è fatto in passato.
3.4 Fattori regionalizzati
Un’analisi alle componenti principali è stata svolta sia sulla matrice classica di correlazione che su ciascuna matrice di correlazione (B0, B1,
B2) e per ciascun caso le correlazioni fra i primi due fattori regionalizzati e
le variabili originarie sono state illustrate in cerchi di raggio unitario, detti
cerchi di correlazione (fig. 4). I primi due fattori spiegano più dell’82% della varianza di nugget e sono altamente correlati: il primo all’argilla e al magnesio e negativamente al limo e in minor misura al carbonio organico; il secondo negativamente al contenuto di acqua disponibile e in minor misura e
positivamente al potassio. Rappresentano principalmente la variazione a livello di campo, causata da differenze nella gestione agronomica delle concimazioni, del diserbo, delle lavorazioni, dell’interramento dei residui colturali o degli avvicendamenti colturali. Essa abbraccia anche una parte della variazione naturale legata alla diversa composizione granulometrica e la varianza d’errore, inevitabilmente associata a tutte le procedure di misura, sia
in campo che in laboratorio, e di stima.
Per quanto riguarda la componente a corto raggio (800-3000
m), i primi due fattori spiegano solo il 55% della varianza a questa scala: il
primo fattore è fortemente correlato con CO e K e in minor misura con CA;
il secondo, invece, con LNA e LMG. Data l’ortogonalità dei due fattori, possiamo affermare che anche l’analisi FKA ha confermato l’alta affinità fra CO
e CA, contrapposta al ruolo svolto dagli altri due cationi del complesso di
scambio, Na e Mg, nel definire la fertilità chimica del suolo a questa scala
spaziale. Il primo fattore comprende quindi gli effetti positivi su carbonio organico, potassio e calcio, derivanti dalle concimazioni e dall’interramento
dei residui colturali. La mappa del 1 fattore, ottenuta con il cokriging (fig.
5a), mostra numerose aree di estensione limitata, soprattutto nella fascia trasversale mediana, caratterizzate da elevati valori di carbonio organico e del-
98
Castrignanò et al.
le basi estraibili K e Ca. Il fattore 2 (fig. 5b) mostra anomalie locali nel contenuto di Na e Mg ed è caratterizzato da una estrema variabilità, con zone ad
alta e bassa concentrazione dei due cationi spesso molto ravvicinate.
Fig. 4 - Cerchi di correlazione calcolati dalle 3 matrici di coregionalizzazione e
dalla matrice di varianza-covarianza. Fig. 4 - Correlation circles estimated from
the three coregionalizated matrices and from the variance-covariance matrix.
Struttura sferica (3000 m)
Nugget effect
PC2 (24.25%)
PC2 (25.07%)
LMG
LNA
K
CO
LNA
LP2O5
LIMO
LSCHEL
AWC
LIMO
ARG
LMG
PC1 (57.31%)
K
CA
CO
ARG
PC1 (30.53%)
LP2O5
CA
LSCHEL
AWC
Matrice di correlazione
Struttura sferica (7500 m)
PC2 (34.53%)
PC2 (13.89%)
LP2O5
LIMO
CO
LSCHEL
K
CA
LNA
LSCHEL
LP2O5
CA
ARG
CO
LMG
K
PC1 (75.82%)
LIMO
PC1 (45.62%)
AWC
ARG
LNA
LMG
AWC
A differenza del primo fattore, che mostra anche una maggiore
continuità spaziale, le aree ad alta concentrazione sembrano disporsi alla periferia di un’ampia zona centrale, quindi approssimativamente in maniera
simmetrica rispetto a quelle ad alti valori del 1 fattore. Generalmente una variazione a corto raggio di questo tipo deriva dalla sovrapposizione di più processi naturali di differenziazione dei suoli, che possono essere meglio evidenziati analizzando le strutture spaziali a più lungo raggio. A questa scala i
primi due fattori spiegano circa il 90% della varianza: il primo fattore è fortemente e positivamente correlato con l’argilla, lo scheletro, il carbonio organico e negativamente col Na e il Mg. Anche questa volta emerge l’affini-
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
99
tà fra carbonio organico e Ca e l’antagonismo di quest’ultimo con Na e Mg.
Il secondo fattore è invece positivamente correlato con il P, ma negativamente e in minor misura con l’acqua disponibile.
Fig. 5 - Mappe di cokriging del primo (a) e del secondo (b) fattore regionalizzato
associati alla struttura spaziale a corto raggio (3000 m). Fig. 5 - Cokriging maps of
the first (a) and the second (b) regionalized factor related to short-range variation.
94000.00
2.50
2.00
92000.00
1.50
1.00
90000.00
0.50
(a)
0.00
-0.50
88000.00
-1.00
-1.50
86000.00
-2.00
-2.50
84000.00
18000.00
-3.00
22000.00
26000.00
30000.00
94000.00
2.20
1.76
1.32
0.88
0.44
92000.00
(b)
90000.00
-0.00
-0.44
-0.88
-1.32
-1.76
-2.20
88000.00
86000.00
84000.00
18000.00
22000.00
26000.00
30000.00
La mappa del 1 fattore (fig. 6a) evidenzia la presenza di una ben
definita struttura spaziale nel settore N-W, caratterizzata dai più alti contenuti in argilla, sostanza organica e Ca, che potremmo quindi classificare come
più fertile. La distribuzione spaziale cambia completamente quando si esamina la mappa del fattore 2 (fig. 6b), caratterizzata da una maggiore variabilità
anche su brevi distanze. E’ ancora possibile, tuttavia, evidenziare una struttura spaziale ben differenziata nella parte orientale del campo, caratterizzata dai
più alti valori di P assimilabile ma dai più bassi contenuti di acqua disponibile. Colture cresciute in questa parte del campo, pur avvantaggiandosi di una
maggiore dotazione di P, possono andare soggette a stress idrici in corrispondenza ai frequenti periodi di siccità estiva. I bassi valori di AWC sono da imputarsi alla notevole presenza di materiale pietroso, sia in superficie che in
profondità, o all’esistenza talora di un orizzonte di accumulo di carbonati an-
100
Castrignanò et al.
che a profondità abbastanza superficiali. Si noti come nella parte occidentale
del campo, proprio in corrispondenza della citata struttura a maggiore fertilità chimica (fig. 6a), si registrino i valori più bassi del fattore 2.
Fig. 6 - Mappe di cokriging del primo (a) e del secondo (b) fattore regionalizzato
associati alla struttura spaziale a lungo raggio (7500 m). Fig. 6 - Cokriging maps of
the first (a) and the second (b) regionalized factor related to long-range variation.
94000.00
2.00
1.50
92000.00
1.00
0.50
90000.00
0.00
(a)
-0.50
88000.00
-1.00
-1.50
86000.00
-2.00
-2.50
84000.00
18000.00
-3.00
22000.00
26000.00
30000.00
94000.00
0.80
0.61
92000.00
0.42
(b)
0.23
90000.00
0.04
-0.15
88000.00
-0.34
-0.53
86000.00
-0.72
-0.91
84000.00
18000.00
-1.10
22000.00
26000.00
30000.00
Data la correlazione negativa di questo fattore con AWC, si può
dire che questa struttura è caratterizzata anche da una maggiore disponibilità di acqua alle colture, che vanno soggette pertanto a minori rischi di stress
idrici. Concludiamo, quindi, affermando che le componenti a lungo raggio
dei due fattori hanno ben evidenziato l’esistenza di due estese strutture spaziali, con proprietà chiaramente differenziate: esse ci aiutano pertanto nella
comprensione della genesi del suolo, correlandone il comportamento superficiale alle diverse proprietà delle rocce che ne costituiscono il substrato.
I risultati dell’analisi classica alle componenti principali, basata sulla matrice di correlazione (fig. 4), non permettono di distinguere fra i
processi spaziali che si manifestano alle diverse scale spaziali. I primi due
Valutazione e descrizione della fertilità di terreni meridionali mediante la geostatistica mutivariata
101
fattori, pur spiegando ~ 80% della varianza totale, non descrivono appieno
le relazioni fra le variabili. Il primo fattore è correlato positivamente con
ARG e negativamente con LIMO. Potrebbe quindi essere definito come un
fattore della tessitura, influenzato principalmente dalla distribuzione dell’argilla. Una mappa di kriging del tenore in argilla (fig.7) mostra la presenza di
due chiare strutture spaziali centrali, caratterizzate da valori elevati. Lo spostamento di tali strutture spaziali rispetto a quelle evidenziate con l’analisi
multivariata, deriva dal fatto che le prime sono state ottenute semplicemente con un’analisi univariata, che non tiene conto delle relazioni con le altre
variabili e che media su tutte le scale (processi) spaziali.
Il fattore 2 dell’analisi classica appare più correlato a variazioni
di Na e Mg, caratterizzate da estrema variabilità essenzialmente di tipo casuale, ed è quindi più legato a condizioni locali che a estesi processi genetici.
Fig. 7 - Mappa di kriging del contenuto in argilla. Fig. 7 - Kriging maps of the
clay content.
94000.0
0
92000.0
0
90000.0
0
88000.0
0
86000.0
0
84000.0
0
18000.0
0
22000.0
0
3.0 Conclusioni
26000.0
0
30000.0
0
34000.0
0
All’interno di una tipica area del Tavoliere pugliese, tradizionalmente vocata alla produzione del grano duro, la variabilità delle proprietà di fertilità dei suoli sono il risultato della sovrapposizione di più processi
fisici, chimici e biologici, agenti a differenti scale spazio-temporali. Alcuni
di essi rappresentano fattori intrinseci alla genesi del suolo, altri invece sono più legati al differente utilizzo del suolo. Una conoscenza della loro distribuzione spaziale è essenziale quando si vogliano ottimizzare talune procedure agricole o nella pianificazione del territorio.
102
Castrignanò et al.
Tecniche geostatistiche, come l’FKA, sono particolarmente adatte
a differenziare i vari processi che causano la variabilità spaziale alle diverse scale. Il metodo si rivela interessante in quanto consente di combinare in maniera
vantaggiosa le tecniche numeriche della geostatistica con l’insostituibile e valida conoscenza degli esperti. Rispetto alle tecniche della pedologia tradizionale,
tuttavia presenta il vantaggio di fornire una misura quantitativa delle complesse interazioni fra le proprietà del suolo e può risultare particolarmente utile a
formulare ipotesi sui processi che hanno portato alla formazione dei suoli.
Bibliografia
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103
BRUCIATURA ED INTERRAMENTO DEI RESIDUI
COLTURALI: INFLUENZA SUL CONTENUTO DI
AZOTO MINERALE E SULLA BIOMASSA MICROBICA
DEL SUOLO
Convertini G., Maiorana M., Ferri D.
Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani, 5 - 70125 Bari
Riassunto
Con lo scopo di valutare gli effetti determinati da diverse modalità di interramento dei residui vegetali di una monocoltura di frumento duro sui contenuti nel
suolo di biomassa microbica (carbonio ed azoto) e di azoto minerale (N-NO3 + NNH4), sono stati posti a confronto i seguenti trattamenti sperimentali:
T1 = bruciatura dei residui vegetali del frumento;
T5 = interramento dei residui + 150 kg ha-1 di azoto sugli stessi;
T8 = come T5 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui;
T9 = interramento dei residui senza azoto su paglie e stoppie e sul frumento (testimone).
I campioni di terreno sono stati prelevati a due profondità, 0-10 e 11-30 cm.
L’esame dei risultati ottenuti nel periodo 1992-1997 ha evidenziato, per la biomassa microbica, un sostanziale equilibrio tra le tesi considerate, tra le quali solo T5
si differenzia negativamente. Per l’azoto minerale, i contenuti maggiori sono stati,
invece, rilevati nei trattamenti T5 e T8, quelli più bassi in T9.
Le due profondità di campionamento del terreno non hanno determinato una significativa differenziazione nei contenuti di carbonio ed azoto della biomassa e di
azoto minerale (nitrati + ammonio scambiabile), per i quali, tuttavia, i valori migliori
sono stati rilevati nello strato 11-30 cm.
Parole chiave: residui vegetali; azoto, acqua; biomassa microbica; azoto minerale.
Introduzione
I residui vegetali riciclati, anche se richiedono dosi supplementari di N per essere umificati, a causa dell’alto rapporto C/N che li caratterizza, possono ugualmente costituire un’importante risorsa in grado di mantenere e reintegrare la fertilità del suolo. Questi effetti positivi non possono
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 103-111 (2001)
104
Convertini et al.
essere trascurati nel momento in cui lo sfruttamento intensivo dei terreni ha
causato un loro depauperamento in sostanza organica, non compensato dalla somministrazione di livelli più alti di fertilizzanti minerali, se non a costi
economici ed ambientali sempre maggiori.
Per questi motivi l’Istituto Sperimentale Agronomico sta conducendo a Foggia dal 1977 una ricerca a lungo termine, tuttora in corso, che
ha lo scopo di confrontare bruciatura ed interramento dei residui colturali di
frumento duro in monosuccessione e di valutare, tra gli altri, gli effetti esercitati da queste due tecniche sulla fertilità del suolo.
In questa nota si riportano i risultati di un monitoraggio effettuato dal 1992 al 1997 sulla biomassa microbica e sull’azoto minerale del suolo.
Materiali e metodi
La ricerca è condotta a Foggia nell’azienda dell’Istituto, su un
vertisuolo tipico del “Tavoliere” pugliese, classificato come fine, mesic,
Typic chromoxerert, in un ambiente caratterizzato da un clima del tipo “termomediterraneo accentuato”.
La prova prevede il confronto tra quattro dei nove trattamenti
previsti dal protocollo sperimentale (Rizzo et al., 1985), applicati su parcelle elementari di 80 m2, distribuite secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati, con cinque ripetizioni:
T1 = bruciatura dei residui colturali del frumento;
T5 = interramento dei residui + 150 kg ha-1 di azoto somministrati a paglie e stoppie;
T8 = come T5 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui;
T9 = interramento dei residui senza alcun apporto di azoto sugli stessi e
sul frumento (test).
Ogni anno, sull’intero campo di prova, sono distribuiti 100 kg ha-1
di P2O5, al momento dell’aratura principale e 100 kg di N ha-1 (NH4NO3) sul
frumento, in copertura, tranne come si è appena detto, sul testimone T9.
Nel corso di ciascuna annata agraria vengono valutati gli effetti determinati dalle quattro tesi in esame sulla biomassa microbica C e N
(Jenkinson e Powlson, 1976; Jenkinson, 1988) e sull’azoto minerale (N-NO3
+ N-NH4 - estrazione in KCl 1M e determinazione colorimetrica), mediante
prelievi parcellari realizzati a due profondità (0-10 e 11-30 cm). I prelievi di
Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla
biomassa microbica del suolo
105
terreno per la determinazione della biomassa microbica sono effettuati una
settimana dopo l’interramento della paglia, in quanto il valore più elevato di
biomassa viene rilevato circa sette giorni dopo l’interramento dei residui
(Ocio e Brookes, 1990; Ocio et al., 1991).
Risultati
I risultati rilevati durante il periodo di prova (1992-1997) evidenziano, per tutti e quattro i trattamenti dei residui, un andamento della
biomassa C ed N abbastanza costante negli anni, tranne che nel primo, che
presenta i valori più elevati in assoluto (Fig. 1); in questa stessa annata, le
tre tesi di interramento di paglie e stoppie (T5,T8,T9) hanno determinato i
più alti contenuti sia di Bc che di Bn, sebbene la quantità media di paglia incorporata nel suolo non fosse significativamente diversa da quella bruciata.
Altrettanto evidente appare la superiorità della bruciatura nel 1996, anche se
con differenze non significative; in quest’ultimo caso sembrerebbe, quindi,
che, anche quando i residui delle piante vengono bruciati, le masse radicali
rimaste nel terreno forniscono un apporto di materiale organico sufficiente
per favorire l’attività dei microrganismi (Powlson et al., 1987). Nelle restanti
quattro annate, le differenze tra i diversi trattamenti si attenuano, anche se in
alcune (1994, 1995 e 1996) è possibile osservare un effetto depressivo dell’azoto somministrato alle paglie senza l’aggiunta di acqua (T5).
La variabilità nel tempo dei contenuti di biomassa C e N è probabilmente legata alle variazioni di temperatura dell’aria e del terreno e di
umidità del suolo e alla quantità di pioggia caduta prima e dopo l’interramento e la bruciatura dei residui; potrebbe dipendere, inoltre, dall’accumulo
graduale nel terreno di paglia non trasformata, nel corso degli anni, dai microrganismi, a causa di sfavorevoli condizioni di temperatura e di umidità del
suolo stesso (Federico-Goldberg e Nannipieri, 1989; Badalucco, 1995).
Per quanto riguarda il contenuto di azoto minerale (Fig. 2), i
suoi livelli sono sempre più elevati nelle parcelle in cui l’incorporazione nel
suolo di paglie e stoppie avviene con l’aggiunta del concime azotato sui residui, senza (T5) o con (T8) l’ulteriore somministrazione di acqua sugli stessi. In caso di interramento, quindi, la carenza di azoto e di umidità nel terreno sembrerebbe rallentare la liberazione di N minerale, mentre in condizioni ottimali viene favorito l’incremento di nitrati e di ammonio scambiabile,
la cui disponibilità è però influenzata dal grado di saturazione basica e dalla
temperatura del suolo, oltre che dalla quantità di C solubile associata alla sostanza organica (Jenny, 1980; Mann, 1986; Radaelli, 1989). Discreti appaiono i risultati conseguiti con la bruciatura dei residui.
106
Convertini et al.
Fig. 1 - Influenza delle quattro tesi in prova sulla biomassa microbica (Bc e Bn)
del suolo.
600
Bc µg/g terreno
500
400
T1
T5
300
T8
T9
200
100
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
100
90
Bn µg/g terreno
80
70
T1
60
T5
50
T8
40
T9
30
20
10
0
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla
biomassa microbica del suolo
107
Fig. 2 - Effetto dei quattro trattamenti in prova sull’N minerale, sull’N nitrico e
sull’ammonio scambiabile del suolo.
N-NO3 mg/kg terreno
70
60
50
T1
40
T5
30
T8
20
T9
10
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
N-NH4 mg/kg terreno
6
5
T1
4
T5
3
T8
2
T9
1
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
Un effetto positivo del tutto analogo è stato determinato dalle
tesi T5 e T8 sul contenuto di N-NO3 del terreno in tutti gli anni, mentre per
l’ammonio scambiabile non sono state osservate differenze rilevanti né tra le
diverse annate, ad eccezione del 1996 che ha presentato i valori più alti di
N-NH4, né tra i quattro trattamenti in esame.
Ponendo a confronto le risposte ottenute con i trattamenti di interramento che prevedono la distribuzione sui residui di 150 kg ha-1 di azoto e dell’acqua (media di T5 e T8) con quelle del testimone T9, si osserva
108
Convertini et al.
che i contenuti in biomassa microbica (Fig. 3) sono quasi simili negli anni,
tranne che nel primo; in questa stessa annata ed in quella successiva, i risultati migliori sono stati conseguiti nelle parcelle in cui l’interramento dei residui era accompagnato dall’incorporazione nel suolo anche di azoto ed acqua. Nei restanti quattro anni, invece, si è manifestato il prevalere del testimone senza azoto, che è risultato minimo in tre dei sei anni considerati
(1994, 1996 e 1997), più netto nel 1995.
Fig. 3 - variazione della biomassa microbica (Bc e Bn) per effetto delle tesi interramento e del testimone in prova.
600
Bc µg/g terreno
500
400
Int
300
Test
200
100
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
90
Bn µg/g terreno
80
70
60
50
Int
40
Test
30
20
10
0
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla
biomassa microbica del suolo
109
Fig. 4 - Influenza dell’interramento di residui colturali e del testimone sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo.
N min. mg/kg terreno
70
60
50
40
Int
30
Tes
20
10
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
N-NO 3 mg/kg terreno
60
50
40
Int
30
Test
20
10
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
N-NH 4 mg/kg terreno
6
5
4
Int
3
Test
2
1
0
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
110
Convertini et al.
Contrariamente a quanto appena osservato per la biomassa C ed
N, l’azoto minerale del suolo è stato positivamente influenzato dall’aggiunta
di azoto ed acqua sulle paglie e stoppie (Fig. 4), con valori sempre significativamente più elevati rispetto a quelli del testimone, a dimostrazione del fatto
che azoto ed acqua agevolano la decomposizione della paglia e stimolano i
processi di mineralizzazione. In altre parole, l’enorme quantità di microrganismi presente nel suolo è in una condizione di continua carenza alimentare, per
cui la somministrazione di azoto ed acqua sui residui ne favorisce l’attività.
L’esame della stessa figura 4 conferma, per i nitrati, quanto appena detto per l’azoto minerale (prevalere dell’interramento), mentre per
l’ammonio scambiabile i valori rilevati nelle parcelle sono ancora una volta
pressoché è equivalenti.
Infine, la diversa profondità di campionamento del terreno non
sembra aver determinato, per tutti i caratteri sinora considerati - biomassa N
e C, azoto minerale, nitrati ed ammonio scambiabile -, alcuna influenza, anche se i contenuti più alti sono stati misurati nello strato 11-30 cm.
Conclusioni
Le diverse modalità di trattamento dei residui colturali del frumento non hanno determinato, nei sei anni di prova considerati, una significativa differenziazione nei contenuti di biomassa microbica del terreno, con
valori più o meno simili che, peraltro, hanno mostrato di risentire in misura
maggiore dell’influenza esercitata dagli andamenti climatici. Più evidenti sono apparsi, per contro, gli effetti dei trattamenti in studio sull’azoto minerale, per il quale si è manifestata la superiorità dell’interramento delle paglie e
delle stoppie, soprattutto quando viene effettuato con l’aggiunta di concime
azotato, con o senza acqua, sulle stesse; in questo caso, infatti, viene favorita la proliferazione dei microrganismi responsabili della decomposizione del
materiale organico incorporato nel terreno e, quindi, i processi di immobilizzazione e di mineralizzazione dell’azoto.
Se si considera che la bruciatura dei residui vegetali contribuisce all’inquinamento dell’atmosfera, aumenta i rischi di incendio, determina
lo spreco di materiale riciclabile e la volatilizzazione dell’azoto contenuto
nelle paglie, mentre l’interramento di paglie e stoppie può contribuire all’arricchimento della dotazione organica del suolo e al riciclo delle biomasse vegetali, è possibile concludere affermando che il bilancio “costi-benefici” è
più favorevole a quest’ultima tecnica agronomica.
Bruciatura ed interramento dei residui colturali: influenza sul contenuto di azoto minerale e sulla
biomassa microbica del suolo
111
Ringraziamenti
Si ringrazia il P.a. Francesco Fornaro per la registrazione e l’elaborazione statistica dei dati.
Bibliografia
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(Triticum durum Desf.). I. Aspetti agronomici. Monografie Genetica Agraria, VII, 285-298.
113
EFFETTI DI MODALITÀ DI LAVORAZIONE DEL
TERRENO E DI GESTIONE DEI RESIDUI COLTURALI
SUL CONTENUTO DI AZOTO MINERALE E SULLA
BIOMASSA MICROBICA
Convertini G., Maiorana M., Ferri D.
Istituto Sperimentale Agronomico, Via C. Ulpiani, 5 - 70125 Bari
Riassunto
La ricerca, condotta a Foggia (Tavoliere pugliese) dal 1991 e tuttora in corso, ha
lo scopo di valutare gli effetti determinati sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione e sulle più importanti caratteristiche fisiche e chimiche del suolo da due profondità di lavorazione del terreno (L1 = aratura sino a 40-45 cm; L2 = aratura ridotta, a 20-25 cm) e da quattro modalità di trattamento dei residui vegetali di frumento duro in monosuccessione (T1 = bruciatura di paglie e stoppie, con 100 kg N
ha-1 distribuito in copertura sul frumento; T2 = interramento dei residui, con 100 kg
N ha-1 in copertura sul frumento; T3 = interramento dei residui con 50 kg di N sulle paglie e 50 kg ha-1 sul frumento, in copertura; T4 = interramento dei residui con
100 kg di N sugli stessi).
In questa nota è presa in esame l’influenza esercitata dalle tesi in studio sulla biomassa microbica (carbonio ed azoto) e sul contenuto in azoto minerale (N-NO3 + NNH4).
I risultati ottenuti hanno evidenziato che le due lavorazioni, soprattutto quando
interagiscono con l’interramento di paglie e stoppie, portano ad un incremento della biomassa microbica e dell’azoto minerale, rispetto ai valori rilevati prima dell’avvio dell’esperienza; in particolare, le risposte migliori sono state conseguite con
l’aratura a 20-25 cm di profondità.
I diversi trattamenti dei residui non sembrano, invece, aver determinato differenze di rilievo per la biomassa microbica e l’azoto minerale, anche se è stato osservato il prevalere della tesi T4.
Parole chiave: residui colturali; lavorazioni; biomassa microbica; azoto minerale.
Introduzione
La riduzione della profondità di lavorazione del terreno e l’incorporazione nel suolo dei residui colturali appaiono da tempo tecniche agronomiche la cui applicazione è giustificata non solo da motivi economici (riAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 113-124 (2001)
114
Convertini et al.
duzione dei costi di aratura e di concimazione), ma anche dal bisogno di preservare la risorsa “suolo”, salvaguardandone la fertilità.
Con riferimento a queste problematiche, l’Istituto Sperimentale
Agronomico di Bari ha realizzato, nel corso degli anni, numerose ricerche.
Tra queste, è attualmente in corso un’indagine avviata nell’autunno del 1991,
che si pone come obiettivo quello di valutare, su una monosuccessione di
frumento duro, l’influenza esercitata da diverse profondità di lavorazione del
terreno e modalità di trattamento dei residui vegetali del frumento (paglie e
stoppie) sia sugli aspetti quantitativi e qualitativi della produzione, che sulle
principali caratteristiche fisiche e chimiche del terreno.
In questa nota sono esaminati gli effetti determinati nei primi sei
anni di prova (1992-1997) dai trattamenti sperimentali in studio sulla biomassa microbica e sul contenuto in azoto minerale (nitrati + ammonio scambiabile) del suolo.
Materiali e metodi
La ricerca viene effettuata nell’azienda sperimentale dell’Istituto, sita in Foggia, su un vertisuolo argillo-limoso di origine alluvionale, di
medio impasto, discretamente dotato di fertilità (2,07% di sostanza organica).
Il clima è del tipo “termomediterraneo accentuato”, con temperature estive che spesso superano i 40 °C, temperature invernali che talvolta
scendono al disotto di 0 °C e piogge scarse (566,5 mm, per il periodo di riferimento 1952-1991) e per lo più concentrate nei mesi invernali.
Su parcelle elementari di 230 m2, distribuite in campo secondo
uno schema sperimentale a split-plot, con tre ripetizioni, sono posti a confronto due profondità di lavorazione del suolo (L1 = aratura sino a 40-45 cm;
L2 = aratura ridotta, a 20-25 cm) e quattro trattamenti dei residui colturali,
derivanti dall’interazione tra modalità di gestione degli stessi e momento di
distribuzione di un’unica dose di concime azotato, 100 kg N ha-1 (T1 = bruciatura di paglie e stoppie, con 100 kg N ha-1 distribuito in copertura sul frumento; T2 = interramento dei residui, con 100 kg N ha-1, in copertura sul
frumento; T3 = interramento dei residui con 50 kg di N sulle paglie e 50 kg
ha-1 sul frumento, in copertura; T4 = interramento delle paglie, con 100 kg
N ha-1 sulle stesse).
Oltre la concimazione azotata somministrata nei tempi e nei
modi su indicati, sull’intero campo di prova sono distribuiti ogni anno anche
100 kg ha-1 di P2O5, al momento dell’aratura principale.
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di
azoto minerale e sulla biomassa microbica
115
La biomassa microbica (biomassa C e biomassa N) è stata misurata con il metodo Jenkinson (Jenkinson e Powlson, 1976; Jenkinson,
1988), l’azoto minerale (N-NO3 + N-NH4) mediante estrazione in KCl 1M
e determinazione colorimetrica.
Il prelievo dei campioni di terreno viene effettuato ogni anno
circa una settimana dopo l’interramento delle paglie e delle stoppie, in quanto è stato osservato che è il momento in cui si ottiene il valore più elevato in
biomassa microbica (Ocio e Brookes, 1990; Ocio et al., 1991).
Le profondità di campionamento sono comprese fra 0 e 45 cm
per la lavorazione tradizionale (L1) e tra 0 e 25 cm per quella più superficiale (L2).
Risultati
Nella figura 1 sono riportati i valori medi di biomassa C e N
(espressi in µg C e N per g di terreno secco) contenuti nelle parcelle sottoposte alle due modalità di lavorazione del suolo (L1 e L2) durante il periodo di
prova. I risultati ottenuti evidenziano, seppure con una variabilità dei valori
negli anni, come la lavorazione più superficiale a 20-25 cm di profondità abbia determinato quasi sempre un aumento di C e di N della biomassa; infatti,
solamente nel primo anno di prova (1992, in maniera più netta) e nel quarto
(1995, in misura minore) i valori più elevati in biomassa microbica sono stati rilevati nelle tesi con la lavorazione tradizionale a 40-45 cm.
La presenza di maggiori contenuti di Bc e Bn nelle parcelle con
aratura a 20-25 cm di profondità è, quasi certamente, da attribuirsi al fatto
che in un terreno non lavorato, o con interventi ridotti al minimo, si possono determinare condizioni tali da favorire una composizione stabile e pressoché costante nel tempo dei microrganismi presenti, mentre lavorazioni del
suolo più complesse (per profondità di aratura e tipo di intervento) possono
provocare conseguenze negative sulle popolazioni microbiche (Carter, 1991;
Toderi, 1991; Matowo et al., 1999) e quindi sui contenuti di biomassa.
Le variazioni riscontrate negli anni per il contenuto in azoto minerale del suolo (Fig. 2) per effetto delle due modalità di lavorazione del terreno
sono di segno opposto a quelle della biomassa C e N, con valori di azoto quasi
sempre più alti negli anni in cui quelli della biomassa sono risultati più bassi, a
prescindere dal tipo di lavorazione effettuata (Federico-Goldberg e Nannipieri,
1989; Ocio et al., l.c.); oltre l’azoto organico del terreno, infatti, viene mineralizzato, seppure con ritmi diversi, anche quello della biomassa, con conseguente diminuzione dei contenuti di Bc e Bn ed aumento della mineralizzazione.
116
Convertini et al.
Fig. 1 - Variazioni della biomassa (Bc e Bn) del suolo per effetto delle due lavorazioni in prova.
450
Bc µg/g terreno
400
350
L1
L2
300
250
200
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
70
Bn µg/g terreno
65
60
55
L1
50
L2
45
40
35
30
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di
azoto minerale e sulla biomassa microbica
117
N min.mg/kg terreno
Fig. 2 - Influenza delle lavorazioni in prova sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo.
35
30
25
20
15
10
5
0
L1
L2
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NO 3 mg/kg te rreno
Anni
30
25
20
L1
15
L2
10
5
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NH4 mg/kg te rreno
Anni
8
6
L1
4
L2
2
0
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
118
Convertini et al.
Prendendo in considerazione gli effetti determinati dalle due
profondità di lavorazione sui livelli di N minerale del terreno, è possibile osservare il prevalere dell’aratura a 20-25 cm nel primo, quarto, quinto e sesto
anno; tenuto conto che in queste annate la quantità media di paglia interrata
non è risultata significativamente diversa nelle parcelle sottoposte alle due
lavorazioni, si potrebbe supporre che la velocità di mineralizzazione sia stata più elevata con la lavorazione superficiale, in quanto quella profonda distribuisce la paglia, diluendola, in uno strato arabile più profondo (40-45 cm).
Fig. 3 - Influenza delle quattro modalità di trattamento delle paglie sulla biomassa
(Bc e Bn) del suolo.
500
Bc µg/g terreno
450
400
T1
350
T2
300
T3
T4
250
200
150
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
70
Bn µg/g terreno
65
60
T1
55
T2
50
T3
45
T4
40
35
30
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di
azoto minerale e sulla biomassa microbica
119
Se si considerano separatamente i contenuti di N-NO3 e di NNH4 (Fig. 2), si può osservare che l’azoto minerale del suolo è costituito prevalentemente dalla forma nitrica, che sicuramente perviene al terreno in seguito ad una vera e propria azione di intercettazione da parte dei residui vegetali (Bonciarelli, 1991).
N min. mg/kg terreno
Fig. 4 - Influenza delle quattro modalità di trattamento delle paglie sull’N minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo.
50
40
T1
30
T2
20
T3
10
T4
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NO 3 mg/kg terreno
Anni
40
T1
30
T2
20
T3
10
T4
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NH 4 mg/kg terreno
Anni
10
T1
8
T2
6
T3
4
T4
2
0
1992
1993
1994
1995
Anni
1996
1997
120
Convertini et al.
Per quanto riguarda l’influenza esercitata dai quattro trattamenti
dei residui (T1, T2, T3, T4) sulla variazione nel terreno della biomassa microbica (Fig. 3), in linea generale si può affermare che l’interramento influisce positivamente sui suoi contenuti (Schnurer et al., 1985), anche perché al momento dell’interramento di paglie e stoppie non è presente ancora alcuna coltura e
quindi non c’è competizione tra microrganismi e piante. In particolare, tra le tre
tesi di interramento esaminate – T2, T3 e T4 – è quest’ultima, cioè quella che
prevede la distribuzione del concime azotato al 100% sui residui colturali al momento della loro incorporazione nel suolo, a presentare i contenuti più elevati e
stabili nel tempo sia in biomassa C che N. Interessanti appaiono anche i risultati ottenuti con la bruciatura (T1) che, infatti, evidenziano come non possa essere considerato nullo l’input della biomassa bruciata, tenuto conto che il materiale carbonizzato derivato dalla bruciatura delle paglie e delle stoppie viene
trattenuto nel suolo insieme alle radici (Powlson et al., 1987).
I risultati relativi all’azoto minerale (Fig. 4) confermano l’andamento osservato in precedenza per effetto delle lavorazioni (cfr. Fig. 2), in
quanto negli anni intermedi (1994, 1995 e 1996) il suo contenuto è apparso
più elevato (con maggiore immobilizzazione di N che potrebbe rendersi disponibile per la coltura successiva), in coincidenza dei più bassi livelli di biomassa microbica. Il trattamento T4 è risultato il migliore anche per l’azoto
minerale, per l’effetto positivo che ha avuto sulla immobilizzazione dell’azoto in seguito all’interramento dei residui vegetali del frumento.
Le variazioni del contenuto in nitrati del suolo (Fig. 4) sono simili, ancora una volta, a quelle dell’azoto minerale, mentre l’ammonio scambiabile ha presentato un andamento più costante nel tempo (Fig. 4).
Si è voluto, infine, porre a confronto la tesi bruciatura (T1) con
l’interramento (il cui valore è rappresentato dalla media di tutti gli altri trattamenti). Dall’esame della figura 5 appare evidente che la biomassa microbica non sempre risulta più elevata nelle parcelle in cui i residui organici vengono incorporati nel terreno, ma varia, probabilmente in funzione dell’umidità e della temperatura del suolo, oltre che della temperatura dell’aria
(Radaelli, 1989; Badalucco, 1995). Questi parametri influiscono, infatti, sulla velocità di decomposizione della paglia, anche in presenza di biomassa vegetale bruciata rimasta nel suolo con le radici (Powlson et al., l.c.).
Un dato interessante è l’incremento del contenuto in N minerale (N-NO3+N-NH4, Fig. 6) negli anni intermedi della prova (1994, 1995 e
1996), indipendentemente dai trattamenti sperimentali. Se una parte dell’azoto è stata immobilizzata, si avrà in seguito un vero e proprio processo di
rimineralizzazione.
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di
azoto minerale e sulla biomassa microbica
121
Fig. 5 - Influenza della bruciatura e dell’interramento dei residui colturali sulla
biomassa (Bc e Bn) microbica del suolo.
500
450
Bc µg/g terreno
400
350
300
250
Bru
200
Int
150
100
50
0
1992
1993
1994 1995
Anni
1996
1997
80
Bn µg/g terreno
70
60
50
Bru
40
Int
30
20
10
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
Fig. 5 - Influenza della bruc iatura e dell'interramento
122
Convertini et al.
N m in.mg/kg terreno
Fig. 6 - Influenza della bruciatura e dell’interramento dei residui colturali sull’N
minerale, sull’N nitrico e sull’ammonio scambiabile del suolo.
40
30
Bru
20
Int
10
0
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NO 3 mg/kg terreno
Anni
35
30
25
20
15
10
5
0
Bru
Int
1992
1993
1994
1995
1996
1997
N-NH 4 mg/kg terreno
Anni
35
30
25
20
15
10
5
0
Bru
Int
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Anni
Fig. 6 - Influenza della bruciatura e dell'interramento
Effetti di modalità di lavorazione del terreno e di gestione dei residui colturali sul contenuto di
azoto minerale e sulla biomassa microbica
123
Conclusioni
I risultati conseguiti in sei anni di studio consentono di trarre le
seguenti conclusioni:
- la lavorazione superficiale determina, in generale, la presenza
di maggiori quantità di biomassa microbica e di azoto minerale, risultando,
nel complesso, più conveniente anche per i suoi minori costi di esecuzione;
- l’interramento dei residui colturali sembra preferibile, nel lungo periodo, alla bruciatura degli stessi, sia perché contribuisce ad arricchire
la dotazione organica del suolo, sia perché impedisce lo spreco di materiale
organico riciclabile;
- tra le modalità di incorporazione nel terreno di paglie e stoppie, quello che prevede la distribuzione dell’azoto solo su queste ultime (T4)
è risultato il migliore; in questo caso, infatti, i microrganismi del suolo vengono favoriti in quanto, ricevendo il concime azotato in un momento in cui
le piante di frumento non sono ancora presenti in campo, non risentono della probabile competizione che potrebbe instaurarsi nel terreno, a carico del
fertilizzante, tra di loro e le piante stesse.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano il P.a. Francesco Fornaro per aver effettuato l’elaborazione statistica dei
dati sperimentali.
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125
REGIME
TERMICO DEL SUOLO IN ALCUNI CAMPI
SPERIMENTALI DEL NORD, CENTRO E SUD ITALIA
Costantini E.A.C.1, Castelli F.2, Iori M.1, Magini S.1, Lorenzoni P.3,
Raimondi S.4
1 Ist. Sperimentale Studio e Difesa Suolo - Piazza M. D’Azeglio, 30 - 50121 Firenze
2 Ist. Sperimentale per il Tabacco - Via Canton, 14 - 37051 Bovolone (VR)
3 Ist. Sperimentale Studio e Difesa Suolo - Via Casette, 1 - 02100 Rieti
4 Ist. di Agronomia dell’Università - Viale delle Scienze - 90128 Palermo
Abstract
Soil classification according to Soil Taxonomy include the estimation of soil
temperature regime. However, measured data are generally scarce and even model
which are commonly used to classify pedoclimate have not been adequately tested
in Italy. This research provided a first evaluation of some Italian soil temperature regimes, based upon medium-time measured data, and a comparison between some
estimation models. A five years set of observations, which has been carried out on
soils sited at different latitudes, highlighted that the Soil Taxonomy methodgives
correct estimations, while Newhall method is not equally suitable. Epic could run
daily estimations, nevertheless gave uncertain results in terms of pedoclimatic classification. Finally, the comparison between the soil water capacity, and the difference between mean multi-annual air and soil temperatures, permitted to find a significative linear relationships between these two parameters. Such relationships can be
utilised for a better estimation of the temperature regime, on the basis of the mean
air temperature value, when soil hydrological characteristics are known.
Riassunto
La classificazione dei suoli secondo la Soil Taxonomy richiede, tra l’altro, la determinazione del loro regime termico. Raramente però sono disponibili dati rilevati,
e anche i metodi di stima del regime termico del suolo attualmente in uso non sono
stati adeguatamente validati in Italia. Questa ricerca pertanto propone una prima valutazione di alcuni regimi termici presenti nel nostro Paese basata su misurazioni di
medio periodo e una comparazione tra alcuni metodi di stima. Dalle osservazioni
quinquennali condotte su suoli situati a latitudini diverse, emerge che il metodo proposto dalla Soil Taxonomy fornisce stime corrette, mentre quello di Newhall non è
altrettanto efficace. Epic è in grado di effettuare stime giornaliere, ma non sempre
dà risultati migliori in termini di classificazione pedoclimatica. Infine, il confronto
tra la capacità idrica di campo, e la differenza media pluriennale tra temperatura delAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 125-132 (2001)
126
Costantini et al.
l’aria e del suolo, ha permesso di evidenziare una relazione lineare significativa tra
questi due parametri. Tale relazione può essere utilizzata per una migliore stima del
regime di temperatura, a partire dal valore medio di temperatura dell’aria, quando
siano conosciute le caratteristiche idrologiche del suolo.
Introduzione
I pedologi che utilizzano la classificazione dei suoli americana
(Soil Taxonomy, Soil Survey Staff, 1975) si trovano a dover affrontare la difficoltà di determinare correttamente il regime termico dei suoli. Il problema
è generalmente risolto affidandosi a stime basate sulla temperatura dell’aria,
presupponendo una certa uniformità nel potere di “trattenuta” del calore da
parte del suolo. Nella Soil Taxonomy la temperatura media annua del suolo
si considera più elevata di quella dell’aria di un grado, mentre nel caso del
metodo Newhall (Newhall, 1972) questo divario è valutato in due gradi e
mezzo. In realtà, tutti coloro che hanno esperienza di suolo sanno che, a parità di condizioni climatiche, la temperatura del terreno può variare notevolmente in funzione del livello e del tipo di copertura vegetale del suolo, e della sua natura fisica, chimica e morfologica.
Allo scopo di approfondire queste tematiche, nell’ambito del
progetto PANDA - Produzione Agricola nella Difesa dell’Ambiente (Sequi,
1994), è stata realizzata un’esperienza di monitoraggio della temperatura del
suolo in alcuni campi sperimentali situati nel Nord, nel Centro e nel Sud
Italia. Gli obiettivi erano quelli di fornire utili indicazioni sui reali regimi termici dei suoli italiani e di valutare, mettendoli a confronto, alcuni metodi di
stima già in uso o di possibile applicazione (Calì et al., 1996; Costantini et
al., 1997).
Materiali e metodi
Le misure sono state rilevate nelle stazioni sperimentali PANDA di Bovolone (VR), Cesa (AR), Rieti e Sparacia (AG), alle quali sono stati aggiunti, per maggior completezza del quadro nazionale, i dati forniti
dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN) (Tab. 1). Tutti i suoli presi in esame rispondono alle caratteristiche considerate standard per questo tipo di rilievi: giacitura pianeggiante, buona permeabilità, buona riserva idrica, falda idrica superficiale assente, fenomeni vertici trascurabili. Inoltre, le
superfici interessate erano tutte investite a prato stabile. I dati geotermome-
127
Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia
trici sono stati rilevati con cadenza giornaliera a S. Michele all’Adige, a
Bovolone, a Cesa, e a Rieti, e quindicinale a Sparacia. Tutti le stazioni prese in esame erano dotate di capannina meteorologica per il rilievo dei dati
climatici. Ulteriori specifiche riguardanti i campi sperimentali sono riportate in Costantini et al., (1996).
Tab. 1 - Regimi di temperatura del suolo delle stazioni sperimentali considerate, classificati secondo la Soil Taxonomy in base ai dati misurati e ad alcuni metodi di stima.
Località
S. Michele a.A. Bovolone
Caratteristiche
periodo di osservazione
1959-88
1991-98
latitudine
46° N
45° N
altitudine (m s.l.m.)
210
24
Classificazione
in base ai dati misurati
mesico
mesico
Soil Taxonomy (t dell'aria +1 °C) mesico
mesico
Newhall (t dell'aria +2,5 °C)
mesico
termico
Epic
n.d.
mesico
Cesa
Rieti
Sparacia
1994-98 1995-97 1993-97
43° N 42° N
37° N
350
405
385
mesico
mesico
termico
mesico
termico
termico
termico
mesico
termico
termico
termico
termico
Sono stati considerati i dati di temperatura del suolo alle profondità di 0,1, 0,2 e 0,5 m a S. Michele all’Adige, di 0,05, 0,1, 0,2, 0,5 e 1
m a Bovolone, di 0,2 e 0,4 m a Cesa, di 0,15 e 0,45 m a Rieti, di 0,05, 0,15,
0,5, 0,75 e 1 m a Sparacia. In ogni località è stata misurata la temperatura
media dell’aria giornaliera.
La classificazione dei regimi termometrici dei suoli è stata eseguita adottando i seguenti metodi: sulla base dei dati rilevati, utilizzando la
metodologia proposta dall’ICOMMOTR (International Committee on Soil
Moisture and Temperature Regimes, 1994), secondo la Soil Taxonomy, seguendo le indicazioni di Newhall e, infine, utilizzando il modello EPIC
(Erosion-Productivity Impact Calculator; Williams et al., 1989).
Risultati e conclusioni
Lo scostamento tra temperatura dell’aria e temperatura del suolo varia da suolo a suolo e differisce lungo l’arco dell’anno, con uno sfasamento temporale tra i due andamenti e una più contenuta escursione della
temperatura tellurica. In Figura 1 e 2 sono riportati, come esempio, i dati rilevati a Bovolone e Cesa.
Il regime termometrico dei suoli studiati, valutato utilizzando i dati misurati (Tab. 2), è risultato: mesico a San Michele all’Adige (11.8 °C a 0,5
128
Costantini et al.
m, valore medio di 40 anni), a Bovolone (14 °C a 0,5 m, media di 8 anni), a Cesa
(14,7 °C a 0,4 m, media di 5 anni) e a Rieti (17.8 °C a 0,45 m, media di 3 anni); termico a Sparacia (17.3 °C a 0,5 m, media di 5 anni) (Tab. 1). Confrontando
i diversi metodi di classificazione esaminati con i risultati ottenuti in base ai dati misurati, quello proposto dalla Soil Taxonomy appare in grado di classificare
in modo corretto i suoli di tutte le stazioni, mentre il sistema proposto da Newhall
porta a classificare erroneamente i suoli di Bovolone e Cesa.
Figura 1 - Temperature medie dell’aria e del suolo rilevate nella stazione di
Bovolone nel periodo 1991-98.
Figura 2 - Temperature medie dell’aria e del suolo rilevate nella stazione di Cesa
nel periodo 1994-98.
129
Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia
Con Epic è possibile avere una stima giornaliera, quindi più accurata, anche se a Rieti la classificazione non corrisponde esattamente a quella
reale in quanto il modello sembra sottostimare la temperatura del suolo. Questo
diverso comportamento risulta evidente anche osservando gli andamenti riportati nelle Figure 3, 4, 5 e 6, dove sono messi a confronto, per il periodo di osservazione, i dati misurati e quelli stimati con Epic delle stazioni PANDA.
Tabella 2 - Temperature medie stagionali del suolo e dell’aria osservate nelle
stazioni sperimentali considerate.
Parametro
Aria
Suolo a 0,2 m
Suolo a 0,5 m
Aria
Suolo a 0,2 m
Suolo a 0,5 m
Aria
Suolo a 0,2 m
Suolo a 0,4 m
Aria
Suolo a 0,15 m
Suolo a 0,45 m
Aria
Suolo a 0,15 m
Suolo a 0,5 m
Medie stagionali
primavera
estate
autunno
S. Michele all'Adige
15.0
21.3
8.2
14.7
21.3
9.2
13.4
19.7
10.3
Bovolone
15.9
22.9
10.1
15.5
22.4
11.7
14.5
21.9
13.1
Cesa
13.8
21.2
10.2
15.5
23.7
13.0
14.9
23.0
13.1
Rieti
15.8
22.7
12.6
16.4
29.1
9.9
17.7
22.6
16.9
Sparacia
15.7
24.3
14.8
16.5
25.5
14.3
17.2
25.8
16.0
inverno
Media
annuale
3.7
2.3
3.2
12.2
12.0
11.8
5.2
5.2
6.6
13.7
13.8
14.0
5.6
7.5
7.6
13.1
15.3
14.7
8.3
4.5
14.1
14.8
15.0
17.8
9.2
9.3
10.4
16.4
16.3
17.3
Figura 3 - Stazione di Bovolone: confronto tra valori di temperatura del suolo, a
0,5 m di profondità, misurati e simulati con Epic.
130
Costantini et al.
Più in dettaglio, la differenza media pluriennale tra la temperatura dell’aria e del suolo a 0,5 m circa di profondità sotto prato stabile è risultata variare considerevolmente a seconda della stazione: 0,4 °C più bassa
in Trentino, 0,5 °C più alta a Bovolone, 1,7 °C più alta a Cesa, 3 °C più alta a Rieti e 0,9 °C più alta a Sparacia.
Figura 4 - Stazione di Cesa: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,4 m
di profondità, misurati e simulati con Epic.
Figura 5 - Stazione di Rieti: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,45
m di profondità, misurati e simulati con Epic.
131
Regime termico del suolo in alcuni campi sperimentali del Nord, Centro e Sud Italia
Figura 6 - Stazione di Sparacia: confronto tra valori di temperatura del suolo, a 0,5
m di profondità, misurati e simulati con Epic.
Figura 7 - Relazioni lineari tra c.i.c., rilevata nel suolo a 0,15 m e a 0,75 m, e la
differenza tra le temperature misurate nell’aria e nel suolo a 0,5 m.
60
0,15 m ) y = 7 . 8 x + 20.9
R2 = 0.94
50
Cesa
C.i.c. (% in volume)
0,75 m ) y = 8 . 4 x + 2 4 . 3
2
R = 0 . 79
40
Rie ti
B o v o lo n e
30
0,15 m
S p a r a c ia
20
0,75 m
0,15 m
10
S.M ich e le
0,75 m
0
-0.5
0
0.5
1
1.5
°C
2
2.5
3
3.5
Il diverso comportamento del suolo nei confronti della temperatura è stato messo in relazione con la capacità idrica di campo, evidenziando una relazione diretta tra questi due parametri (Fig. 7). Le equazioni
riportate in figura possono essere utili per fornire un prima grossolana stima
della temperatura media del suolo, a partire da quella dell’aria, quando sia-
132
Costantini et al.
no note le sue caratteristiche idrologiche. È interessante, infatti, notare che a
valori di c.i.c. di circa il 28 % e di circa il 40 % corrispondono differenze tra
temperature medie dell’aria e del suolo, a 0,5 m di profondità, di 1 e 2,5 °C,
parametri, come abbiamo visto, utilizzati rispettivamente dalla Soil
Taxonomy e da Newhall per la stima della temperatura del suolo.
Riconoscimenti
Progetto Finalizzato PANDA, Sottoprogetto 1, Serie 1, Pubblicazione n. 53.
Responsabili dei campi sperimentali: S. Michele a/A, Istituto Agrario; Bovolone, F. Castelli;
Cesa, E. Costantini; Rieti, P. Lorenzoni; Sparacia, S. Raimondi. Ricerca coordinata da E.
Costantini. Elaborazioni condotte da M. Iori, S. Magini, E. Costantini e F. Castelli. Testo redatto da E. Costantini e F. Castelli.
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133
MODIFICHE DELLE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
PIANTA - SUOLO INDOTTE DALLA RIDUZIONE DELLE
LAVORAZIONI DEL TERRENO COLTIVATO A FRUMENTO (TRITICUM DURUM DESF.) E FAVA (VICIA
FABA L.) IN ROTAZIONE
De Giorgio D., Convertini G., Ferri D.,. Rizzo V, Montemurro F.,
La Cava P.
Istituto Sperimentale Agronomico – MiPA
Via C. Ulpiani, 5 70125 Bari
Riassunto
Nel Tavoliere pugliese, tipica zona cerealicola del sud Italia, è in corso una ricerca volta a studiare la possibilità di ridurre il numero e le intensità delle lavorazioni del terreno in una rotazione biennale frumento-fava. Dal 1993 vengono a tal
fine esaminati i caratteri fisici, chimici e biologici del suolo ed i parametri produttivi delle colture in un tipico ambiente mediterraneo (Foggia). In uno schema sperimentale a parcelle suddivise di 1.600 m2, sono messe a confronto le seguenti modalità di lavorazione del terreno: A) lavorazione tradizionale; B) lavorazione a due
strati; C) lavorazione superficiale; D) lavorazione minima. Prima della differenziazione delle lavorazioni ed alla fine del ciclo colturale vengono determinati, nello
strato 0-70 cm, le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del suolo. Alla fine
del ciclo, su un’apposita area di saggio, viene determinata la produzione ed i suoi
componenti.
I risultati ottenuti hanno evidenziato come le diverse modalità di lavorazione abbiano influenzato significativamente la produzione e gli indici di resa sia per il frumento che per la fava. Nel secondo anno di prova è stato anche rilevato un incremento produttivo del frumento attribuibile al quantitativo di N asportato dalla pianta e dovuto all’effetto residuo della coltura precedente (fava). Durante il periodo della prova, i diversi trattamenti hanno modificato nel terreno la dinamica dell’N minerale, il contenuto in C organico ed il grado e tasso di umificazione. In definitiva
sembra configurarsi una lenta evoluzione del suolo verso un nuovo stato stazionario
per effetto delle diverse lavorazioni.
Parole chiave: lavorazioni, rotazione, caratteristiche chimiche del suolo.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 133-143 (2001)
134
De Giorgio et al.
Introduzione
Le nuove esigenze in termini di economicità delle colture e di
salvaguardia ambientale impongono nuovi indirizzi agrotecnici tesi all’incremento della sostenibilità della produzione e al mantenimento della fertilità del suolo. In questo ambito assumono notevole importanza la gestione
delle lavorazioni ed il ricorso ad opportune rotazioni adatte allo specifico
ambiente pedo-climatico. La profondità di lavorazione ed il numero di interventi possono determinare variazioni della produttività, dei costi energetici
e, di conseguenza, dell’economia aziendale. Particolare attenzione va riservata al turnover della sostanza organica del terreno (s.o.), anche se sono molteplici i fattori che ne influenzano quantità e composizione. Tra questi vanno considerati i processi pedogenetici, l’incorporazione o meno nel suolo dei
residui colturali, l’impiego di diverse modalità di lavorazione del terreno
(Odell et al., 1984; Tiessen et al., 1982) e l’effetto del compattamento dello
stesso (Soane, 1990). Lo stato fisico del terreno (rapporto aria/terreno, compattezza, ecc.) influenza lo sviluppo delle radici e le ife fungine (organismi
viventi), i residui vegetali indecomposti presenti, il letame, i compost, i fanghi o altro materiale in via di decomposizione ed, infine, l’humus. Di conseguenza, qualsiasi approfondimento a livello di s.o. del terreno va effettuato indagando, oltre che sul contenuto in C organico, anche sullo stato di umificazione dello stesso, soprattutto per comprendere l’incidenza che un determinato trattamento sperimentale può avere sulla fertilità del terreno. Questo
approccio sperimentale assume un significato ancora più importante quando
si studiano le possibilità di ridurre le lavorazioni del terreno, in interazione
con gli avvicendamenti, su alcuni suoli meridionali.
Nell’Italia meridionale molti di questi terreni a causa delle temperature estive elevate presentano velocità di decomposizione del materiale
organico piuttosto sostenute.
Il presente studio è stato condotto su un Vertisuolo del Tavoliere
pugliese al fine di indagare sui processi chimico-fisici che condizionano la
disponibilità dei nutrienti per le piante ed il turnover della s.o.
Materiali e Metodi
La ricerca è stata condotta a Foggia su un suolo argillo-limoso
(USDA, Gee et al., 1986), del quaternario antico, profondo e con profilo non
molto differenziato, classificato come Vertisuolo cromico, secondo la FAOUNESCO (1960) e come Typic Chromoxerert secondo la Soil Taxonomy
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni
del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione
135
(1975), dotato di discreta fertilità agronomica (N totale = 0,122%; P2O5 assimilabile = 41 ppm; K2O scambiabile = 1598 ppm; pH (acqua) = 8,33; s.o.
= 2,07%; C/N = 10).
Su uno schema sperimentale a parcelle suddivise, in parcelloni di
1600 m2, sono state messe a confronto 4 diverse modalità di lavorazione del
terreno: A - tradizionale (aratura a 40 cm con bivomere, 1 frangizollatura a 20
cm, fresatura a 10 cm); B - a due strati (attrezzo combinato - ripuntatore a 60
cm + fresa a 10 cm, fresatura a 10 cm; C - superficiale (aratura a 25 cm con
pentavomere, fresatura a 10 cm); D - minima (fresatura a 10 cm). La prova è
stata condotta su una rotazione frumento (senza concimazione azotata per valutare l’effetto rotazione)-leguminosa da granella, a semina autunnale.
Prima della differenziazione delle lavorazioni, ad iniziare dall’autunno del ’93, ed alla raccolta sono stati prelevati campioni di terreno,
per caratterizzarlo nei suoi aspetti chimici, determinando il Carbonio organico totale (TOC), il Carbonio organico estratto (TEC) ed umificato
(C[HA+FA]), l’azoto nitrico (N-NO3) e l’ ammonio scambiabile (N-NH4).
Le profondità di campionamento sono state di 0-10, 10-20, 2050, 50-70 cm per i trattamenti A, B e C e di 0 e 10, 10 e 20, 20 e 70 cm per
il trattamento D.
Le determinazioni chimiche sul suolo sono state effettuate secondo i metodi del MIRAAF (1994); per la valutazione dello stato di umificazione della s.o. del terreno, sono stati invece impiegati i metodi specifici
che consentono il dosaggio del C organico (TOC), del C organico estratto
(TEC) ed umificato (C[HA+FA]) (Sequi et al., 1986).
I dati rilevati hanno consentito di calcolare i seguenti coefficienti: a) Grado di umificazione (DH%) = C[HA + FA]/TEC*100; b) Tasso
di umificazione (HR%)= C[HA + FA]/TOC*100; c) Carbonio organico
estratto e non umificato (NH) = TEC - C[HA+FA]; d) Indice di umificazione (IU) = NH/ C[HA + FA].
Alla raccolta, su campioni prelevati da tutte le tesi poste a confronto, sono state determinate la resa in granella e la produzione dei residui
colturali espresse in peso secco, ed il contenuto di azoto totale (CHN Fison
elemental analyzer - modello EA 1108); infine è stato calcolato l’azoto totale asportato (kg ha-1) moltiplicando il contenuto totale di azoto (%) per la
biomassa secca raccolta (Kg ha-1).
Sono stati calcolati inoltre i seguenti parametri: a) indice di raccolta (HI) = rapporto fra la produzione ed il totale di peso secco prodotto dalla pianta (%); b) indice di utilizzazione dell’azoto (NHI) = rapporto fra il
136
De Giorgio et al.
contenuto di azoto nella granella ed il totale di azoto presente nella pianta alla maturazione (%); c) efficienza di utilizzazione dell’azoto (NUE) = rapporto fra la produzione ed il totale di azoto asportato (kg kg-1) (Delogu et
al., 1998; Raun e Johnson, 1998).
L’analisi statistica è stata effettuata usando le procedure del pacchetto statistico SAS (SAS Institute, 1990). Il test statistico di Tukey è stato
utilizzato per valutare la significatività delle differenze fra le medie.
Risultati e discussione
Dall’esame della tabella 1 è possibile notare che, nel secondo
anno di prova (1996), c’è stato un significativo incremento della produzione
di granella attribuibile sia all’azione miglioratrice della coltura precedente
(fava nel 1995), sia alla maggiore piovosità rispetto al ‘94 registrata nei mesi invernali, più importanti per la coltura. Questo sostanziale incremento (da
220,3 a 300,8 Kg ha-1) è probabilmente attribuibile al diverso quantitativo di
N assorbito dalla coltura che è passato da 57,50 kg ha-1 del 1994 a 80,43 kg
ha-1 del 1996.
Tabella 1 Produzione, N asportato e parametri di efficienza (frumento).
Resa in
granella
(Kg ha-1)
Anno
94
220,3 b
96
300,8 a
Lavorazione(*)
A
294,9 a
B
251,7 ab
C
261,7 ab
D
233,7 b
N asportato
HI
NHI
NUE
(Kg ha-1)
(%)
(%)
(Kg Kg-1)
57,50 b
80,43 a
29,14 b
34,97 a
61,34 b
71,26 a
38,41 a
37,65 a
77,40 a
66,24 ab
68,89 ab
63,31 b
33,21
32,54
31,77
31,91
66,27
67,33
66,56
64,05
37,86
38,32
38,02
37,93
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
Nota: i valori indicati con la stessa lettera non sono significativamente
differenti per P<0.05 secondo il test di Tukey.
(*)valori medi dei due anni di prova; A -tradizionale; B - a due strati
C-superficiale; D - minima
Anche gli indici di resa (HI e NHI) sono significativamente incrementati, mentre la NUE è leggermente diminuita (differenza statisticamente non significativa), a conferma del maggiore quantitativo di N disponibile per la coltura. Infatti, molti autori hanno messo in evidenza che la
NUE decresce con l’incremento della fertilizzazione azotata (Delogu et al.,
1998; Koutrobas et al., 1998; Guillard et al., 1995). Anche l’intensità delle
lavorazioni ha avuto un effetto sulla produzione di frumento. In particolare,
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni
del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione
137
il risultato produttivo ha subìto un significativo decremento, passando dalla
lavorazione di tipo tradizionale alle altre modalità di preparazione del terreno. Anche in questo caso il diverso risultato produttivo può essere attribuito
alla differente intensità di assorbimento dell’N. La modalità classica di preparazione del letto di semina ha probabilmente favorito la mineralizzazione
ed incrementato la disponibilità di N; questo ha certamente influenzato la risposta produttiva del frumento in assenza di fertilizzante azotato.
Anche per la fava (Tab. 2) è stata riscontrata una differenza significativa nella produzione, sia fra le annate che fra le modalità di lavorazione. In particolare, similmente a quanto riscontrato per il frumento, anche
per la fava la lavorazione tradizionale ha fatto registrare un risultato produttivo significativamente più elevato rispetto alle altre modalità semplificate di
preparazione del terreno. In questo caso, invece, non è stata riscontrata una
significativa differenza per la quantità di azoto assorbito, probabilmente perché trattasi di una coltura azotofissatrice e l’N viene assorbito dalla pianta
secondo le necessità. D’altra parte, una significativa differenza è stata riscontrata nell’indice di raccolta e nell’efficienza di utilizzazione dell’N.
Queste risposte agronomiche trovano un parziale riscontro nelle variazioni rilevate a livello di parcelle sperimentali di terreno.
Tabella 2. Produzione, N asportato e parametri di efficienza (fava).
Resa in
granella
(Kg ha-1)
Anno
95
167,9 b
97
272,3 a
Lavorazione(*)
A
240,6 a
B
205,3 b
C
D
207,9 b
226,6 ab
N asportato
HI
NHI
NUE
(Kg ha-1)
(%)
(%)
(Kg Kg-1)
120,98 a
125,67 a
27,77 b
51,79 a
52,38 b
73,72 a
13,45 b
22,91 a
117,45 a
127,05 a
42,04 a
37,37 b
63,09 a
61,28 a
20,62 a
16,39 b
130,11 a
118,69 a
36,90 b
42,81 a
61,95 a
65,88 a
16,27 b
19,45 a
Nota: i valori indicati con la stessa lettera non sono significativamente differenti per P<0.05
secondo il test di Tukey.
(*)valori medi dei due anni di prova; A -tradizionale; B - a due strati C-superficiale; D - minima
Dopo 5 anni di prova (1998) i contenuti in N-NO3 (Fig. 1) diminuiscono soprattutto sotto i 50 cm nelle tesi B, C e D, mentre risultano
pressoché costanti con la lavorazione tradizionale. Questo potrebbe essere attribuito, allorquando si effettua la lavorazione a due strati (B), ad una lisciviazione preferenziale lungo l’asse della ripuntatura, che trasporta i nitrati
negli strati più profondi, ma non è pienamente giustificato negli altri casi
(trattamenti C e D). Sembrerebbe, in definitiva che, con la lavorazione tra-
138
De Giorgio et al.
dizionale, la dinamica dell’N nel terreno subisca un’alterazione molto modesta che non influisce negativamente sui valori produttivi.
Il contenuto in N-NH4 scambiabile del terreno (Fig. 1) presenta
una variazione significativa ma opposta con il passare degli anni (1993 – 98)
solo nelle parcelle di terreno con la lavorazione ordinaria (A) e a 2 strati (B).
Fig.1 - Variazioni nel contenuto di nitrati e ammonio scambiabile del terreno in
funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova.
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni
del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione
139
I valori dell’umidità del terreno, determinati per via gravimetrica, al momento del campionamento autunnale (Fig. 2), si differenziano nel
periodo di prova solo nelle parcelle interessate al trattamento B. Gli strati di
terreno più superficiali (0-10, 10-20 cm) sono risultati più umidi con la lavorazione ordinaria (A) e quella minima (D), mentre negli strati compresi tra
20 e 50 e tra 50 e 70 cm, i valori massimi si registrano per la lavorazione D
nel 1° anno e per la B nell’ultimo.
Fig.2 - Variazione dell'umidità e del C organico totale (TOC) del terreno in funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale;
D=minima) all'inizio e alla fine della prova.
140
De Giorgio et al.
Le differenze riscontrate tra il 1993 ed il 1998 sul contenuto in
C organico totale (TOC - Fig.2), mettono in evidenza, come tendenza, soltanto una maggiore stabilità del TOC in tutto il profilo colturale delle parcelle interessate alla lavorazione superficiale (C).
Fig.3 - Variazione del contenuto in carbonio totale estratto (TEC) e di quello umificato [C(HA+FA)] del terreno in funzione delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale; D=minima) all'inizio e alla fine della prova.
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni
del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione
141
Ad un andamento piuttosto costante lungo tutto il profilo rilevato per il Carbonio totale estratto del terreno (TEC – Fig. 3), nel 1° anno,
si contrappone l’elevata variabilità osservata nel 1998. Ciò indica che la frazione “estraibile” della s.o. che nel corso degli anni tende mediamente ad aumentare (nel 1993 il rapporto TEC/TOC è in media del 50%, mentre nel ’98
è del 77%), è influenzato dalle tecniche di lavorazione del terreno.
Fig.4 - Variazione del grado (DH) e del tasso (HR) di umificazione del terreno per
effetto delle 4 modalità di lavorazione (A=tradizionale; B=2 strati; C=superficiale;
D=minima) all'inizio e alla fine della prova.
142
De Giorgio et al.
I valori di C [HA + FA] (Fig. 3) nello strato superficiale di terreno (0–10 cm) risultano più elevati con i trattamenti B e D sia nel ’93 che
nel ’98, rispetto agli altri trattamenti, evidenziando come queste due modalità di lavorazione non turbano sostanzialmente il turnover della s.o. in questo strato di terreno. Al contrario, nello strato immediatamente successivo
(10–20 cm) si osserva nell’ultimo anno un incremento più significativo in C
[HA + FA] con il trattamento A (+ 128%) ed una diminuzione altrettanto
marcata con quello D (-52%). Al di sotto dei 20 cm le variazioni riscontrate
in C [HA + FA] sono invece più contenute ed i valori medi risultano pressoché costanti fino a 70 cm, con andamenti analoghi in tutti i trattamenti.
Nel 1998, il grado di umificazione (DH %, Fig. 4) presenta differenze significative solo negli strati superficiali di terreno: è più elevato nelle tesi B e D (ca. 90%), rispetto al valore medio rilevato in A e C (ca. 38%).
Tale differenza tra i due gruppi si attenua nello strato di terreno più profondo (rispettivamente 64,5 % per B e D e 67% per A e C). A profondità maggiori ( 20 – 50, 50 – 70 cm) i valori di DH sono costanti nel tempo per tutti i 4 trattamenti, attestandosi intorno al 70%.
Il tasso di umificazione (HR , Fig. 4) presenta nel corso degli
anni un andamento analogo a DH, in quanto nel 1998 i valori rilevati negli
strati superficiali per la coppia di trattamenti B e D e A e C sono significativamente diversi (rispettivamente 70 e 30%) e tendono ad attenuarsi negli
strati più profondi.
Conclusioni
Il confronto fra diverse modalità di lavorazione in un Vertisuolo
del Tavoliere pugliese, ha evidenziato che con la lavorazione ordinaria i valori produttivi, sia del frumento senza apporto di fertilizzanti azotati che della fava in avvicendamento biennale, tendono ad essere più elevati. Nelle lavorazioni diverse dalla tradizionale si osservano variazioni molto marcate nel
contenuto in nitrati del terreno, determinate dall’allontanamento dalla rizosfera dell’N mineralizzatosi durante il ciclo colturale.
Il contenuto in s.o. del terreno rispecchia solo parzialmente gli
andamenti produttivi e la dinamica dell’N minerale del suolo. La perturbazione provocata dagli interventi agronomici al terreno si manifesta con: a)
valori piuttosto costanti di TOC nel profilo colturale con la lavorazione superficiale; b) aumento medio di TEC nel tempo; c) incremento del C umificato nelle parcelle trattate con A; d) comportamento pressoché simile di DH
Modifiche delle caratteristiche del sistema pianta-suolo indotte dalla riduzione delle lavorazioni
del terreno coltivato a frumento (Triticum durum Desf.) e fava (Vicia faba L.) in rotazione
143
e HR nelle coppie di parcelle A e C, B e D. I risultati della ricerca mettono
comunque in evidenza che il sistema è in fase di transizione e che lentamente, per effetto delle diverse lavorazioni del terreno, si sta evolvendo verso un nuovo stato stazionario.
Ringraziamenti
Gli AA. ringraziano F. Fornaro e N. Martinelli per la collaborazione nella realizzazione della ricerca.
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145
“NO-TILLAGE”, PACCIAMATURA VEGETALE E
SOVESCIO: EFFETTI COMBINATI RILEVATI IN UN
VENTIQUATTRENNIO SU DI UN TERRENO COLTIVATO
A MANDORLO
De Giorgio D., Ferri D., Convertini G., Montemurro F., La Cava P.
Istituto Sperimentale Agronomico (MiPA) Via C. Ulpiani, 5 – 70125 Bari
Riassunto
In un terreno franco argilloso (Ruptic-Lithic), è in corso una ricerca sul confronto
tra tecniche agronomiche (lavorazioni del terreno e controllo delle infestanti).
La prova è stata realizzata presso il campo sperimentale del germoplasma del
mandorlo (Bitetto -BA) ove sono presenti 205 cv di mandorlo e prevede il confronto di cinque tesi: A) “No-tillage” e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) “No-tillage” e impiego di diserbo disseccante (gramoxone); D) Sovescio; E)
Sarchiatura (controllo). Da ogni parcella sperimentale si prelevano sistematicamente campioni di terreno sui quali vengono determinate le principali caratteristiche
(pH, N, P, basi di scambio, ecc.) nonché i principali parametri collegati all’evoluzione quali-quantitativa della sostanza organica (carbonio organico totale, estraibile
ed umificato, grado, tasso ed indice di umificazione).
Gli effetti sul suolo dei diversi metodi di preparazione del terreno e di controllo
delle infestanti hanno evidenziato che le due tecniche con caratteristiche di minore
impatto (trattamenti B e D) conservano meglio la fertilità agronomica del suolo.
Infatti, nelle parcelle su cui ha luogo la pacciamatura (B) si osservano i valori
più alti di N, Pass., K scamb., Mg, di carbonio organico totale ed estraibile. Le variazioni dei parametri di umificazione presentano andamenti più complessi, ma comunque abbastanza indicativi sul migliore intervento agronomico (trattamento D).
Pertanto ai fini della sostenibilità della coltura e della fertilità del suolo le tesi che
prevedono il sovescio e la pacciamatura con residui vegetali sono da preferire rispetto alle altre tesi poste a confronto.
Parole chiave: “no-tillage”, pacciamatura, sovescio, caratteristiche chimiche del suolo, mandorlo.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 145-152 (2001)
146
De Giorgio et al.
Introduzione
Fra le tecniche agronomiche che consentono il miglior compromesso tra produttività e conservazione della fertilità del suolo, il “minimum
tillage” sta riscuotendo crescenti consensi, in particolare negli U.S.A., in
Australia e, in modo più limitato, anche in Europa. E’ una tecnica che se da
un lato consente di ottenere una riduzione dei costi produttivi ed è meno invasiva rispetto alle lavorazioni tradizionali, dall’altro crea la necessità di un
maggior controllo della flora avventizia, che sottrae elementi nutritivi e acqua. La scelta della tecnica agronomica più idonea ad un determinato ecosistema non risulta facile, in quanto vi sono numerosi fattori che interagiscono, come quelli di natura economica, ambientale ed edafica (Abdewahed and
Albisu, 1983).
Le variazioni della fertilità del terreno sono molto complesse a
causa dell’interazione tra la natura intrinseca del suolo e l’operato dell’uomo. Infatti, la presenza, la quantità e la tipologia della biomassa vegetale, i
diversi trattamenti adoperati (asportazione, interramento o distribuzione superficiale) sono i principali fattori che determinano variazioni sulle trasformazioni biochimiche di molti elementi biogeni come C, N, P, S (Dommergues and Mangenot, 1970; Alexander, 1977; Nannipieri, 1984; Streeter,
1987; Nuti et al., 1989).
Il ciclo del carbonio, che comprende processi di organicazione
e mineralizzazione, può essere modificato in funzione della natura chimica
della sostanza organica apportata. Poiché il ciclo dell’azoto è legato a quello del carbonio, i processi di azotofissazione, ammonificazione e nitrificazione (Nuti e Lepidi, 1983, Nuti e Lepidi, 1985, Haynes, 1986) vengono interessati dalle trasformazioni della sostanza organica. Peraltro, quando si accumula in superficie uno strato di materiale vegetale, possono determinarsi
forme di immobilizzazione dell’N minerale con riduzione di nitrificazione,
denitrificazione e dilavamento (Gosz e Fischer, 1984).
In base a tali considerazioni su un mandorleto, coltura tipica
dell’Italia meridionale, è stata avviata una ricerca in cui vengono esaminati
gli effetti dei trattamenti agronomici sui nutrienti del terreno. In questa nota
vengono esaminati gli effetti nel tempo dei trattamenti sui nutrienti del terreno e fa seguito a una precedente lavoro (De Giorgio e Macchia, 1989) dove sono stati esaminati gli aspetti agronomici.
“No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un
terreno coltivato a mandorlo
147
Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta su un appezzamento del campo del
“germoplasma del mandorlo” dell’ISA. Il campo, ubicato in agro di Bitetto
(BA), comprende 205 cv di diversa provenienza (nazionali, nuove costituzioni ed estere). Su uno schema sperimentale a blocco randomizzato con 5
ripetizioni e con parcella elementare di 3 piante, cv Filippo Ceo e sesto di
impianto m 7x7, nel 1976 è stato avviato uno studio che confronta le seguenti
tesi: A) “no-tillage” e diserbo antigerminello; B) “no-tillage” con sfalcio della flora avventizia; C) “no-tillage”con impiego di disseccante chimico delle
infestanti; D) sovescio di favino; E) sarchiato (testimone).
Nella tesi A, fino al 1990, sono stati utilizzati 4 diversi principi
attivi a rotazione (Bromacile, Propyzamide + Simazina, 2,6 Diclhorenil tio
bezamide, Chlorprophandiuron), successivamente, per il ritiro dal commercio di alcuni di questi, è stato effettuando un diserbo precoce, in post-emergenza. Nelle tesi “no-tillage”, B e C, le parcelle vengono lasciate inerbite ed
a metà primavera la flora infestante viene falciata (B) e trattata con disseccante (C), in entrambe la biomassa viene lasciata sul terreno con effetto pacciamante. Per il trattamento D in autunno è prevista la semina del favino e
in primavera, al momento della fioritura, l’interramento della coltura. Nel testimone (E) vengono effettuate le operazioni colturali normalmente eseguite
nell’ambiente di prova per mantenere il terreno privo di infestanti e ben coltivato. Nelle tesi B, C e D, prima di effettuare i trattamenti o l’interramento,
vengono prelevati campioni di massa vegetale per determinare i quantitativi
di sostanza secca per ettaro.
L’andamento climatico dell’ambiente di prova, nel ventiquattrennio, è stato caratterizzato da una piovosità media annua di 446 mm e da
una temperatura con valori minimi intorno allo zero in inverno e valori massimi d’estate sui 35-38 °C (clima meso-mediterraneo attenuato). Il terreno di
prova è prevalentemente argilloso e classificato Ruphtic-Lithic secondo la
classificazione USDA (Gee et al., 1986). Lo strato arabile è di circa 30 cm,
molto ricco di scheletro di origine calcarea, e poggia su una roccia fessurata
che consente all’apparato radicale del mandorlo di esplorare strati profondi.
Nel 1999, dopo 24 anni di trattamenti ripetuti, è stato effettuato
il campionamento del terreno alla profondità di 0-30 cm. Le determinazioni
analitiche riguardano gli aspetti chimici del terreno (carbonio organico totale-TOC, ed estratto-TEC, N-NO3, N-NH4, C/N, P assimilabile, K scambiabile, pH, calcare attivo, C.S.C.; - MIRAAF 1994).
I dati rilevati hanno consentito di calcolare i seguenti coeffi-
148
De Giorgio et al.
cienti: a) Grado di umificazione = DH% = C[HA + FA]/TEC*100; b) Tasso
di umificazione = HR% = C[HA + FA]/TOC*100; c) Carbonio organico
estratto e non umificato = NH = TEC - C[HA+FA]; d) Indice di umificazione = HI = NH/ C[HA + FA].
I dati rilevati sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo
la procedura SAS (SAS Institute, 1990) e per valutare la significatività delle differenze fra le medie è stato utilizzato il Duncan Multiple Range Test.
Risultati e discussione
Nelle tesi del “no-tillage” B e C, che prevedevano lo sviluppo
della flora infestante e successiva falciatura e disseccamento, è stata prodotta e utilizzata come pacciamatura una quantità di biomassa rispettivamente
di 325 e 360 Kg ha-1 di sostanza secca. Nelle tesi con sovescio mediamente
sono stati interrati 410 Kg ha-1.
Le principali caratteristiche chimico-agrarie delle parcelle sperimentali in studio sono riportate in tabella 1.
Tabella 1 - Principali caratteristiche delle parcelle sperimentali in prova, dopo 24
anni di trattamenti (Bitetto 1999).
N totale N-NO3 N-NH4 P ass. K
Na
Ca
Mg pH Calcare CSC
%
H20 totale meq/100g
Trattamento
mg/kg
terreno
A 0,194 a 3,31 a 2,71 a 150 c 310 b 67,6 a 2904 b 342 b 7,73 tracce 28,77
B
0,076 b 0,61 c
0,50 c 190 c 566 a 50,8 b 3380 b 396 a 7,54 tracce
30,55
C
0,115 a 0,63 c
0,51 c 220 c 382 b 53,6 b 3404 b 330 b 7,45 tracce
28,77
D
0,091 b 0,59 c
0,48 c 320 b 276 b 66,8 a 3484 b 246 c 7,69 tracce
31,80
E 0,199 a 1,77 b 1,45 b 540 a 504 a 46,8 b 4100 a 336 b 7,84 tracce 29,14
A) "no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego di diserbo disseccante (gramoxone); D) Sovescio di favino;
E) Sarchiatura (test).
Nota: i valori indicati con lettere diverse sono significativamente differenti per P<0.05 secondo il test di Duncan.
Nelle parcelle con sovescio (D), i contenuti in N totale ed in N
organico (differenza tra N totale ed N minerale) sono minimi a fronte di rapporti C/N massimi (Tabella 2). In queste parcelle, i processi di mineralizzazione dell’N organico hanno prevalso sull’immobilizzazione a seguito dell’incorporazione nel terreno di materiale vegetale costituito da frazioni orga-
“No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un
terreno coltivato a mandorlo
149
niche facilmente decomponibili. Poiché rispetto al testimone (E), i contenuti in N totale ed N minerale del terreno sono all’incirca la metà, si potrebbe
dedurre che l’aggiunta al terreno di materiale organico abbia favorito i microrganismi nitrificanti che, non solo hanno mineralizzato l’N organico presente nel materiale vegetale introdotto, ma anche quello presente originariamente nel terreno. Un andamento a sé stante viene registrato nelle parcelle
trattate con “disseccante” che presentano, per quanto riguarda l’N, valori intermedi. Le parcelle “no-tillage” con pacciamatura (B) e diserbo antigerminello (A) presentano gli stessi contenuti in N organico (del quale non viene
favorita la mineralizzazione), ma una evidente differenza in quello totale e
minerale: quest’ultimo è infatti molto più elevato in (A) che in (B) probabilmente perché l’azione diserbante che impedisce la presenza di piante e
quindi di assorbire nitrati ed ammonio dal terreno, e consente un maggiore
accumulo nello strato arabile rispetto alle parcelle (B), in cui le piante prima
dello sfalcio sottraggono elementi nutritivi al suolo.
Il contenuto in P assimilabile (Olsen) del terreno è più elevato
nelle parcelle testimoni in confronto alle altre. Negli altri trattamenti vi è certamente una maggiore asportazione di fosfato da parte delle piante e di conseguenza, una quantità minore residua nel terreno.
Tra le basi di scambio, il K e il Mg del trattamento (D) sono significativamente più bassi del controllo a causa di una maggiore efficienza
assimilatoria da parte delle piante determinata, in questo caso, dalla fertilizzazione organica che ha la suddetta tesi (D).
Nelle tabelle 2 e 3 sono riportate le variazioni rilevate nelle parcelle sperimentali per effetto dei trattamenti in prova su C organico e parametri di umificazione.
Tabella 2 - Contenuti in Carbonio organico totale, estraibile, umificato e non,
dopo 24 anni di trattamenti (Bitetto, 1999)
Trattamento
A
B
C
D
E
TOC
12,57 c
18,42 a
17,10 b
18,20 a
12,88 c
TEC C(HA+FA)
g/kg terreno
8,48 c
3,08 b
13,84 a
4,57 a
10,20 b
3,64 b
10,11 b
5,05 a
12,24 ab
2,65 b
NH
C/N
5,40 b
9,27 a
6,56 b
5,06 b
9,59 a
6,5
24,2
14,8
20,0
6,5
A)"no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego
di diserbo disseccante (gramoxone) D) Sovescio di favino; E) Sarchiatura (test).
Nota: i valori indicati con lettere diverse sono significativamente differenti per P<0.05
secondo il test di Duncan.
150
De Giorgio et al.
Tabella 3 - Grado, tasso ed indice di umificazione del terreno sede della prova,
dopo 24 anni di trattamenti (Bitetto, 1999)
Trattamento
A
B
C
D
E
DH
36,30
33,00
35,70
50,00
21,70
HR
%
24,50
24,80
21,30
27,70
20,60
HI
1,75
2,03
1,80
1,00
3,62
A) "no-tillage" e diserbo antigerminello; B) Sfalcio e
pacciamatura; C) "no-tillage" e impiego di diserbo
disseccante (gramoxone) D) Sovescio di favino; E) Sarchiatura (test).
Il carbonio organico totale (TOC) è massimo nelle tesi B e D;
intermedio in C; minimo in A ed E, perché è influenzato dall’aggiunta al terreno di sostanza organica tramite sovescio di favino (D) o dallo sfalcio e pacciamatura (B) della flora avventizia.
Il carbonio organico estraibile (TEC) risulta invece più elevato
solo nelle parcelle trattate con B ed E, e valori simili hanno fatto registrare
anche C e D. Va rilevato infine il valore minimo riscontrato in A. Tali risultati sembrano confermare che il TEC è essenzialmente condizionato dal materiale organico incorporato nel terreno (B= pacciamatura) che è diverso da
A (diserbo precoce). Le parcelle interessate ai trattamenti B e D presentano
inoltre contenuti statisticamente più elevati in C(HA+FA), rispetto alle altre
tesi, evidenziando, in definitiva, che l’aggiunta al terreno di materiale organico induce anche un aumento di sostanze umificate. E’ interessante rilevare al riguardo che, sia con il sovescio che con la pacciamatura, il terreno presenta un contenuto in C umificato quasi doppio dei valori rilevati nel testimone (E). Per converso i quantitativi di C non umificato (NH) sono minimi
in (D) ma elevati sia nelle parcelle sarchiate (E) che in quelle con lo sfalcio
della biomassa avventizia (B). La differenza in “NH” fra i trattamenti (D) e
(B), potrebbe dipendere dalla diversa evoluzione del materiale organico.
La valutazione dei parametri di umificazione (Tab. 3) conferma
che il grado ed il tasso di umificazione del terreno sono stati influenzati dall’aggiunta del materiale vegetale per 24 anni: infatti le parcelle in cui ha avuto luogo il sovescio (D) presentano grado e tasso di umificazione più elevati
degli altri trattamenti in studio. Questi risultati dimostrano che la fertilizzazione organica effettuata con materiale vegetale fresco incorporato nel terreno non solo arricchisce la sostanza organica del terreno ma modifica anche i
ritmi di umificazione e/o decomposizione della stessa, aumentando in definitiva l’humus stabile che, in determinate condizioni agronomiche e micrometeorologiche, migliora le proprietà fisiche del terreno, la regimazione idrica,
“No-tillage”, pacciamatura vegetale e sovescio: effetti combinati in un ventiquattrennio su di un
terreno coltivato a mandorlo
151
il rapporto aria-terreno, l’habitat della microflora e della microfauna, favorisce l’attività enzimatica e migliora anche lo stato nutrizionale (Sequi, 1989).
Conclusioni
I risultati della ricerca, condotta su un mandorleto allevato in
ambiente mediterraneo, evidenziano che i trattamenti agronomici sul terreno
hanno modificato sostanzialmente alcune caratteristiche del suolo. In particolare, nelle parcelle in cui ha luogo il sovescio da 24 anni è stata favorita la
mineralizzazione dell’N organico del materiale vegetale e del suolo depauperando, in definitiva, il terreno in N. Anche se non statisticamente significative le tesi con pacciamatura e con sovescio dei residui vegetali (B e D) hanno
mostrato un incremento di carbonio totale nel suolo, del rapporto fra C/N e
del grado e tasso di umificazione. I risultati della ricerca indicano che con le
tesi B e D si ha una migliore conservazione della fertilità del suolo rispetto
all’impiego di prodotti chimici di sintesi ed al testimone sarchiato.
Tale risultato appare particolarmente importante e significativo
se si considera che la ricerca è stata condotta in un ambiente pedo-climatico
caratterizzato da temperature estive molto elevate, scarsa piovosità e da terreni poco profondi, indici di una minore sostenibilità della coltivazione.
Ringraziamenti
Gli AA. ringraziano Nicola Martinelli e Franco Fornaro per la collaborazione nella realizzazione della ricerca.
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153
BIODISPONIBILITÀ DEL CD
IN UN SUOLO
INQUINATO CON DIVERSE DOSI DELL’ELEMENTO
E INOCULATO CON MICORRIZE SELEZIONATE
Ferrazza P., Beni C., Aromolo R., Marcucci A., Figliolia A.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Roma
Sommario
E’ stata studiata la biodisponibilità del Cd a seguito di inquinamento artificiale
di un suolo in vasche lisimetriche, coltivato ad orzo, stimando la quantità nel suolo
e quella asportata dalla coltura, localizzando gli eventuali siti di accumulo dell’inquinante nel vegetale.
Il suolo è stato inquinato con Cd (nelle dosi di 0, 1, 10 e 100 ppm), allestendo
quattro repliche, metà delle quali è stata inoculata con due endofiti micorrizici. A fine coltura, sono state valutate le quote di Cd totale ed assimilabile nel suolo e le concentrazioni nelle diverse parti della pianta. Tutti i risultati sono stati sottoposti ad
analisi di regressione lineare e della varianza associata (ANOVA).
Mettendo in relazione le concentrazioni di Cd assimilabile sia con quelle totali
del suolo, che con le quantità rilevate nei tessuti vegetali, per tutte le tesi, ne è risultata una relazione lineare altamente significativa.
Nell’orzo si evidenziano elevati accumuli di Cd nella radice, scarsissime quantità nel fusto e soprattutto nella granella. Le piante risulterebbero dotate di un efficiente sistema di barriera radicale, che impedisce la migrazione del Cd verso la parte aerea. Per quanto riguarda la capacità di assorbimento del metallo, tra le piante
micorrizate e quelle non inoculate, non sono state rilevate differenze sulle quantità
assorbite e sul loro destino.
La produttività (dati non pubblicati) è rimasta invariata tra le tesi, pur manifestandosi sulle piante alcuni visibili sintomi di fitotossicità. Le quantità di Cd asportate risultano infine correlate col grado di inquinamento del suolo.
Introduzione
La presenza di cadmio nel terreno, e in particolare nei suoli coltivati, è di estremo interesse soprattutto in considerazione della possibilità
del suo ingresso nella catena alimentare (Burgatsacaze et al. 1996 – Rauser
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 153-164 (2001)
154
Ferrazza et al.
1995). Come molti altri metalli pesanti presenti nel terreno (Tyler 1981), l’elemento viene assorbito dall’apparato radicale e traslocato agli altri organi
della pianta in misura diversa, a seconda del tipo di coltura e delle caratteristiche del suolo (Herren & Feller 1997 – Kabata & Pendias 1992).
Il cadmio è presente nel suolo generalmente in concentrazioni
al di sotto di 1 ppm e, al contrario di molti altri metalli “micronutrienti”, esso non sembra indispensabile per le piante (Kookana & Naidu 1998 – Kabata
& Pendias 1992). Il problema principale, che rende importante lo studio dell’inquinamento da cadmio, è dato dalla sua estrema tossicità per l’organismo
umano, anche in concentrazioni molto basse, mentre la tossicità a livello vegetale si manifesta a concentrazioni discretamente alte (Aery & Jagetiiya
1997 - Allinson & Dzialo 1981 – Geuns et al. 1997). Per tale motivo, la presenza dell’elemento nel terreno non può essere rilevata attraverso fenomeni
evidenti di fitotossicità, con conseguenti rischi per la catena alimentare.
Il metallo si accumula nell’uomo in vari organi, prevalentemente nei reni, nella zona corticale, inducendo stati di insufficienza funzionale (Burgatsacaze et al. 1996); tale localizzazione è stabile, in quanto il cadmio non viene eliminato attraverso i meccanismi metabolici, con conseguenti
fenomeni di accumulo nel tempo.
La pericolosità dell’elemento, inoltre, è accentuata dal fatto che
il cadmio in forma assimilabile è percentualmente elevato rispetto al totale
presente nel terreno, arrivando anche a valori superiori al 50% (Vassilev et
al. 1998), con possibilità di essere assorbito in notevoli quantità; questa caratteristica lo pone in una posizione di tipo “preferenziale” per l’assorbimento da parte della pianta, rispetto agli altri metalli (Gardiner et al.
1995).Nei vegetali, il cadmio si localizza prevalentemente a livello dell’apparato radicale (Rauser & Meuwly 1995 – Seregin & Ivanov 1998), chelato
dalle fitochelatine; è la stessa quantità di cadmio disponibile a stimolare la
sintesi di fitochelatine e il trasporto vacuolare (Rauser 1995 – Sheller et al.
1987 – Keltjens & van Beusichem 1998 – Howden et al. 1995). L’elevata
quantità di cadmio assimilabile determina inoltre, una maggiore mobilità
lungo il profilo del suolo, con possibilità di inquinamento delle falde acquifere (Breslin 1999 - Kookana & Naidu 1998).
Le maggiori quote di assimilabile si riscontrano in genere nei
suoli inquinati da apporti antropici. Tra questi, è bene ricordare l’inquinamento industriale (Dudka et al. 1996), le deposizioni atmosferiche (Eliksson
et al. 1996 – Perdikaki & Mason 1999), la somministrazione di fertilizzanti
fosfatici (Breslin 1999 – Eriksson et al. 1996) e di biomasse di risulta delle
attività civili e agricole (fanghi di depurazione, compost, reflui agricoli, ecc.)
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con
micorrize selezionate
155
(Breslin 1999 – Otabbong et al. 1997).
La capacità di assorbimento da parte delle piante varia, oltre che
in funzione della fisiologia delle diverse specie, anche in relazione ad alcuni parametri fisico-chimici del suolo (Naidu et al. 1997).L’assorbimento viene favorito da condizioni di pH sub-acido e acido (Eriksson et al. 1996), da
elevati contenuti in sostanza organica (Vassilev et al. 1998) (in particolare
per le quote non umificate o quelle umificate a più basso peso molecolare)
(Sposito et al. 1982) e influenzato in maniera variabile dalla capacità di
scambio cationico e dalla tipologia di sali presenti nella soluzione circolante (Kookana & Naidu 1998 – Gagnon et al. 1998).
Lo scopo della presente indagine è lo studio della variazione di
biodisponibilità del Cd a seguito di diversi livelli di inquinamento di un suolo avente reazione sub-acida e coltivato ad orzo. Si è voluta inoltre valutare
la relazione esistente tra il contenuto dell’elemento in forma assimilabile nel
suolo e la localizzazione dell’inquinante nel vegetale, stimando la quantità di
Cd asportata dalle parti aeree. E’ stata esaminata, infine, la variazione dell’assorbimento radicale ponendo a confronto piante trattate con endomicorrize di un ceppo selezionato, con altre non trattate (Joner & Leyval 1997).
Materiali e metodi
L’esperienza è stata condotta in vasche lisimetriche del volume
di 1 m3, all’interno delle quali era contenuto un suolo mantenuto alla capacità di campo; nelle vasche è stato coltivato orzo (Hordeum vulgare L., cv
Robur) nell’annata agraria 1997/98. La densità di semina era pari a 400 semi per m2.
Prima della semina, il suolo, le cui caratteristiche sono riportate in tabella 1, è stato inquinato con Cd (sottoforma di solfato), in dosi di 0,
1, 10 e 100 ppm, riservando un testimone non trattato.
Contemporaneamente, il terreno di metà delle quattro repliche
utilizzate per ogni tesi è stato inoculato con gli endofiti micorrizici Glomus
constrictum e Glomus mosseae, mediante un inoculo contenente circa 70
spore/seme ugualmente ripartite tra le due specie fungine. Dopo dieci giorni
dalla semina per ogni vasca è stata somministrata una quantità di 10 g di concime minerale azotato (urea, titolo 46%).
E’ stato allestito un disegno sperimentale di 8 trattamenti (4 fattori e 2 livelli): micorrizati C+, 1+, 2+, 3+ e non micorrizati C-, 1-, 2- e 3-.
156
Ferrazza et al.
Disponendo di 32 vasche, ogni trattamento è stato ripetuto su quattro di esse.
In seguito il suolo è stato lasciato a riposo ed esposto all’azione degli agenti atmosferici per tre mesi, in modo da uniformare il più possibile la distribuzione dell’inquinante e l’infezione micorrizica.
A fine coltura, su tutte le tesi compreso il testimone, sono state
valutate: le quote di Cd assimilabile nel suolo dopo estrazione in DTPA, secondo il metodo Lindsay & Norwell (1969) (O’Connor 1988); le concentrazioni dell’elemento in forma totale nel suolo, con una miscela nitroperclorica; la concentrazione nelle diverse parti della pianta (radici, granella, fusto e
foglie) utilizzando acido nitrico per l’estrazione (Izza et al., 1993).
Le determinazioni sono state eseguite mediante spettrometria di
emissione al plasma induttivo (ICP). I dati delle concentrazioni di Cd nel
suolo (totale e assimilabile) e nei vegetali sono stati sottoposti ad analisi di
regressione lineare e della varianza associata (ANOVA).
Nella tab. 1 sono stati riportate le caratteristiche chimico-fisiche
del terreno utilizzato con a confronto i limiti e valori medi dei metalli pesanti. Nella tab. 2 sono stati riportati i valori di produzione di biomassa riferiti al peso secco della parte aerea.
Tab. 1. Caratteristiche chimico-fisiche del terreno ad inizio prova.
Chimico-fisiche
PH
CSC meq/100g
TOC %
N tot
P (Olsen) mg/kg
Granulometria %
Sabbia
Limo
Argilla
Tessitura
Conducibilità mS
Metalli pesanti
(ppm)
Totali
6,7
Cadmio
0,8
30,05
Piombo
85
0,25
Nichel
21
Tracce
Zinco
59
20
Rame
43
Limiti per
assimilabili
Assimilabili
(ppm)
0,05
0,2-1,1
4,5
0,5-1,8
0,03
1,0-10,0
1,3
2,0-9,0
2,5
6,0-13,0
51,4
30,4
18,2
F
0,37
*I limiti riportati sono quelli indicati per i terreni agrari non inquinati, legge 748/84, gruppo
di lavoro "Metalli Pesanti".
Tab. 2. Produzione di biomassa. Valori medi del peso secco della parte aerea (kg).
Anova: F=1.28 per 7/14 g.l., N.S.
Trattamento
Mic
Non Mic
Produzione media (kg di peso secco parte aerea)
Ctr
1
2
3
0,50 +/- 0,09 0,53 +/- 0,04 0,58 +/- 0,07 0,46 +/- 0,08
0,60 +/- 0,08 0,59 +/- 0,19 0,46 +/- 0,09 0,54 +/- 0,05
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con
micorrize selezionate
157
Risultati e discussione
La concentrazione di Cd in forma assimilabile (DTPA), presente nel suolo, micorrizato e non, è risultata correlata linearmente con la forma totale (R2 = 99 e 92% rispettivamente). L’analisi della varianza (ANOVA), riferita alle due rette di regressione, ha dato risultati significativi ad un
livello di probabilità dello 0.1% (Figg. 1a-1b). Lo studio è stato condotto sui
valori riferiti sia ai trattamenti micorrizati che a quelli non micorrizati.
Fig. 1a: Relazione tra Cd totale e assimilabile nei terreni non micorrizati
80
70
Cd assimilabile (ppm)
60
50
y = 0,6038x - 1,0775
40
2
R = 0,9247
30
20
10
0
0
20
40
60
80
100
120
-10
Cd totale (ppm)
Fig. 1b: Relazione tra Cd totale e assimilabile nei terreni micorrizati
100
90
Cd assimilabile (ppm)
80
70
y = 0,5074x + 0,3127
60
2
R = 0,9986
50
40
30
20
10
0
0
20
40
60
80
100
Cd totale (ppm)
120
140
160
180
200
158
Ferrazza et al.
Si è osservato inoltre che la percentuale dell’elemento presente
in forma assimilabile aumenta progressivamente con l’incremento della dose inquinante, nei trattamenti micorrizzati e non (Figg. 4a-4b), passando da
una percentuale prossima al 6-7% nei controlli, a valori di 25-19% nella tesi a 1 ppm, al 39-19% nella tesi inquinata con 10 ppm e 44-49% in quella a
100 ppm. Questo andamento conferma l’ipotesi di uno spostamento del Cd
verso le frazioni più mobili e biodisponibili in seguito all’apporto di questo
elemento al suolo.
Le concentrazioni di Cd rilevate nelle tre sezioni vegetali esaminate (radice, fusto e foglie, granella), sono state poste in relazione con le
concentrazioni di Cd assimilabile presenti nelle corrispondenti parcelle di
terreno, considerando i due raggruppamenti: micorrizato e non micorrizato.
Anche in questo caso è stata rilevata una stretta correlazione lineare e
l’ANOVA ha dato risultati altamente significativi; infatti, ad eccezione della
retta di regressione della granella micorrizata (P: 1%, R2: 53%), tutte le rette sono risultate significative ad un livello di probabilità dello 0.1% (R2 per
radici e fusto: 99 e 92%), pur presentando valori di pendenza molto differenti (Figg. 2a-2b).
La differente pendenza è spiegata dalla variazione della ripartizione percentuale dei contenuti di Cd nelle tre sezioni vegetali considerate.
Infatti, come si osserva nella figura 5, nel controllo il 91% dell’elemento si
concentra nella radice, mentre soltanto il 9% si accumula in fusto e foglie;
nella granella, invece, non si rileva la presenza dell’inquinante.
Fig. 2a: Distribuzione del Cd nelle piante non micorrizate
45
y = 0,5749x + 1,6232
40
2
R = 0,9189
35
radici
fusto
granella
Lineare (radici)
Lineare (fusto)
Lineare (granella)
Cd (ppm)
30
25
20
15
y = 0,0578x + 0,1691
10
2
R = 0,9265
5
y = 0,0056x + 0,0211
2
R = 0,6646
0
0
10
20
30
40
50
60
Cd in forma assimilabile nel terreno (ppm)
70
80
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con
micorrize selezionate
159
Fig. 2b: Distribuzione del Cd nelle piante micorrizate
45
40
y = 0,439x + 0,784
2
R = 0,99
35
Cd (ppm)
30
radici
fusto
granella
Lineare (radici)
Lineare (fusto)
Lineare (granella)
25
20
15
10
y = 0,0345x + 0,3233
2
R = 0,9218
y = 0,0235x - 0,0711
5
2
0
R = 0,5325
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
-5
Cd in forma assimilabile nel terreno (ppm)
Nelle tesi con la concentrazione del metallo inferiore a 10 ppm
(19-39% Cd assimilabile), si riscontra una stabilizzazione della percentuale
di Cd nella parte ipogea (85-88%) e un aumento nella parte aerea, ad esclusione della granella, nella quale non è stato rilevato il metallo. Nella tesi a
più elevata concentrazione (100 ppm con ~50% di Cd assimilabile), pur
mantenendosi stabile la percentuale nella radice, si riduce la quota relativa a
fusto e foglie, che torna ai livelli del controllo, mentre la quota rimanente si
rileva nella granella.
Dal confronto tra i grafici delle Figg. 4a e 4b, si può notare che
l’accumulo di Cd nei tessuti vegetali dipende in misura maggiore dalle frazioni assimilabili, piuttosto che dai quantitativi totali di Cd nel suolo.
Le quantità di Cd asportate in assoluto dalle piante (parte aerea)
sono risultate direttamente correlate al grado di inquinamento del suolo; non
ci sono tuttavia differenze significative dovute alla micorrizazione, come si
rileva dalla Figura 3. Esaminando il grafico, inoltre, appare evidente l’esistenza di una notevole dipendenza della quantità asportata dall’aumento della quota assimilabile.
Relativamente all’esistenza di fenomeni di fitotossicità, va detto
che, pur essendo stati riscontrati sulle piante gli stessi sintomi identificati da
altri autori (Vassilev et al., 1998) (differenti gradi di clorosi sui tessuti fogliari e di inbrunimenti della parte basale del culmo), la produttività dell’orzo è rimasta invariata all’aumentare dell’inquinamento da Cd. I suddetti sintomi so-
160
Ferrazza et al.
no apparsi solo nelle fasi iniziali della crescita, unitamente ad un rallentamento della germinazione, evidente nelle tesi a media e massima concentrazione.
Fig. 3. Percentuale di asportazione del Cd nei trattamenti (valori medi). Il parametro è
calcolato per rapporto del Cd nelle parti aeree, in peso, con la biomassa delle stesse.
Percentuali di Cd rilevate nelle parti aeree (peso secco)
0,2
0,18
0,16
0,14
0,12
%
0,1
0,08
0,06
0,04
0,02
0
c+
c-
1+
1-
2+
2-
3+
3-
Trattamenti
Percentuali di cadmio assimilabile nel suolo
Controllo
D o se 1
N o n A s s im ila b ile
93%
N o n A s s imilabile
81%
As s im ila bile
A s s i milabile
7%
19%
Dose 3
D o se 2
N o n A s s i m ilabile
81%
A s s im ilabile
49%
As s im ila bile
N o n a s s im ila bile
19%
51%
Fig.
Fig. 4a: il contenuto di cadmio in forma assimilabile aumenta percentualmente
all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo inoculato con micorrize.
micorrize.
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con
micorrize selezionate
161
Percentuali di cadmio assimilabile nel suolo
Dose 1
Controllo
Non
A s s i m ilabile
Non
A s s im ila b i l e
94%
75%
A s s i m ilabile
25%
A s s i m i la b i l e
6%
Dose 2
Dose 3
A s s imilabile
A s s im ilabile
No n
A s s i m ililab i l e
44%
Non
A s s imilabile
39%
61%
56%
Fig.
Fig. 4b: il contenuto di cadmio in forma assimilabile aumenta percentualmente
all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo NON inoculato con micorrize.
micorrize.
Percentuali di cadmio nelle sezioni vegetali
Dose 1
C o n trollo
G r a n e lla
Granella
Fusto e foglie
Fusto e foglie
0%
9%
Radic i
Radici
91%
88%
Dose 3
Dose 2
Fusto e foglie
15%
0%
12%
Granella
Granella
F u s t o e f o g lie
0%
4%
9%
Radic i
Radic i
85%
87%
Fig. 5: il contenuto di cadmio nelle diverse sezioni vegetali varia
percentualmente all’aumentare del contenuto del metallo nel suolo
162
Ferrazza et al.
Fig. 6a: Andamento della distribuzione del Cd nei vegetali
200
180
terreno (totali)
radici
fusto
granella
160
Cd (ppm)
140
120
100
80
60
40
20
0
orzo non micorrizato
orzo micorrizato
Fig. 6b: Andamento della distribuzione del Cd nei vegetali
200
180
terreno (assimilabile)
160
radici
fusto
Cd (ppm)
140
granella
120
100
80
60
40
20
0
orzo non micorrizato
orzo micorrizato
Le piante di orzo risulterebbero quindi dotate di un efficiente sistema di barriera a livello radicale, che riduce la migrazione del Cd verso la
parte aerea; la radice quindi manifesta una capacità portante che varia in percentuale dall’85 al 91%. La quota di metallo in esubero rispetto a tale capacità, viene traslocata in fusto e foglie, da dove può migrare verso la granella solo se viene superato un ipotetico “effetto soglia”, legato ad elevate quantità di Cd in forma assimilabile nel suolo. Per quanto riguarda la capacità di
Biodisponibilità del Cd in un suolo inquinato con diverse dosi dell’elemento e inoculato con
micorrize selezionate
163
assorbimento del metallo, tra le piante inoculate con micorrize e quelle non
inoculate, non si rilevano differenze né sulle quantità assorbite, né sul destino all’interno della pianta.
Esaminando i quantitativi assorbiti dall’orzo in funzione delle
concentrazioni dell’elemento nel terreno (totali e assimilabili), appare evidente che sono soprattutto le quote biodisponibili di Cd ad influenzare l’assorbimento e la conseguente ripartizione nei vegetali (fig. 6). Si evidenzia
quindi che il Cd apportato dagli inquinamenti induce una maggiore pericolosità in quanto va a incrementare la quota assimilabile.
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165
RUSCELLAMENTO
SUB-SUPERFICIALE IN PIANURA
Marchetti R., Spallacci P.
Istituto Sperimentale Agronomico
Sezione Ricerche agronomiche applicate all’ambiente settentrionale
Viale Caduti in Guerra, 134, I-41100 Modena
Riassunto
L’entità delle perdite per ruscellamento in pianura merita di essere stimata per le
conseguenze agronomiche e ambientali cui tali perdite possono dar luogo. Obiettivo
di questo lavoro è stato la valutazione quantitativa delle perdite per ruscellamento
da un suolo argilloso-limoso della bassa pianura modenese rappresentativo di una tipologia di suoli diffusa nella pianura emiliana.
Su parcella coltivata a mais è stata misurata l’entità del ruscellamento superficiale e sub-superficiale per eventi piovosi prodotti mediante simulatore di pioggia.
Il suolo (Camurana Vertic Ustochrept, fine, mixed, mesic) tende a formare crepacciature ma non croste superficiali; è caratterizzato inoltre da presenza di suola d’aratura. La parcella di prova (5 x 5 m2, pendenza media: 2.8%) era situata al bordo
di un appezzamento coltivato a mais. Sono stati effettuati 3 cicli di simulazioni, di
cui uno in luglio 1997 (mais alla fioritura), uno in novembre 1997 (dopo la raccolta e prima della lavorazione) e uno a fine marzo 1998 (terreno lavorato e affinato
per la semina successiva). Ogni ciclo ha incluso 3 simulazioni (distanziate 24 ore
l’una dall’altra) per un totale di 9 eventi piovosi (intensità media di pioggia: 32 mm).
Sia per il ruscellamento superficiale, sia per quello sub-superficiale, si è misurata
l’altezza di pioggia necessaria per l’inizio del deflusso (Vlag). Il monitoraggio dell’idrogramma di deflusso superficiale e sub-superficiale ha avuto durata diversa in
relazione all’entità di Vlag. Il deflusso sub-superficiale è stato monitorato solo nei
cicli di novembre e marzo. Il collettore di deflusso sub-superficiale era collocato tra
-0.5 e -0.6 m di profondità.
In genere il deflusso superficiale o non ha avuto luogo o si è verificato dopo l’afflusso cumulato di molti mm di pioggia. Il deflusso sub-superficiale è cominciato
prima, o anche in assenza, di quello superficiale. Le condizioni di stazionarietà, nel
caso del deflusso sub-superficiale, sono state raggiunte più precocemente, e per valori di deflusso inferiori, nelle simulazioni del ciclo autunnale rispetto a quelle della primavera successiva. La dinamica del processo è stata interpretata alla luce della formazione in autunno di una falda pensile, presumibilmente prodotta dalla presenza di suola di aratura, e della risalita invernale della falda ipodermica. Nelle simulazioni di pioggia estive, assimilabili a irrigazioni, le perdite per deflusso sub-superficiale hanno ridotto considerevolmente l’efficienza di adacquamento.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 165-176 (2001)
166
Marchetti e Spallacci
Si conclude pertanto che l’entità delle perdite idriche per deflusso sub-superficiale verso le scoline può essere cospicua, almeno nei terreni di pianura come quello oggetto di indagine. La presenza di suola d’aratura, che frequentemente li caratterizza, può essere determinante sull’entità del fenomeno.
Introduzione
Le indicazioni reperibili in letteratura sull’entità del ruscellamento superficiale in pianura sono abbastanza contraddittorie. Se ci si limita
a quelle dove il ruscellamento misurato è quello prodotto da eventi piovosi
naturali (non simulati) il rapporto tra ruscellamento e afflusso (coefficiente di
deflusso, CD) è in genere contenuto. Acutis et al. (1992), ad esempio, riportano CD mediamente compresi fra il 5 e il 9% degli afflussi naturali, per rilievi effettuati a scala di campo, in parcelle di 150 x 7,5 m, nella pianura piemontese, su terreni franchi e franco-sabbiosi. Silvestri et al. (1996), confrontando sistemi di conduzione agronomica diversi, hanno rilevato, per parcelle
di piccole dimensioni (0,7 m2) valori massimi di CD pari a 19,8%. A scala
territoriale, invece, secondo una valutazione del Consorzio di Bonifica del
Canale Emiliano-Romagnolo (CER, 1997) relativa a terreni limoso-argillosi
compresi in un’area di quasi 90 km2 servita dalla Bonifica Renana, la percentuale di ruscellato rispetto agli afflussi (piogge + irrigazioni), variabile
mensilmente e a seconda della coltura, si è aggirata nel biennio 1994-95 fra
il 28 e il 45%. Il contrasto fra dati ottenuti in prove parcellari e dati provenienti da stime a scala territoriale può derivare dal fatto che, nei due casi, si
valutano processi diversi a scale diverse. In genere infatti nelle prove parcellari si misura il ruscellamento superficiale da unità di piccole e medie dimensioni (da meno di un m2 ad alcune decine) mentre a livello territoriale la
stima del ruscellamento è basata sulla portata delle scoline e dei canali collettori delle acque di deflusso in un’area di diversi km2. La stima a scala territoriale include quindi non solo l’acqua che defluisce dal campo per ruscellamento superficiale, ma anche quella che arriva alle scoline per infiltrazione
sub-superficiale in occasione sia di eventi piovosi, sia di irrigazioni.
Anche qualora, a livello di comprensorio, si considerino non rilevanti le perdite d’acqua per colatura dal singolo appezzamento in quanto
l’acqua può essere riutilizzata altrove, a scala di campo tuttavia queste perdite possono incidere sulla disponibilità idrica per le colture. Inoltre le acque
che escono dal campo trasferiscono ai corsi d’acqua il loro contenuto di nutrienti e di residui di fitofarmaci. Obiettivo di questo lavoro è stato pertanto
la valutazione quantitativa delle perdite per ruscellamento sub-superficiale
167
Ruscellamento sub-superficiale in pianura
da un suolo argilloso-limoso della bassa pianura modenese rappresentativo
di una tipologia di suoli diffusa nella pianura emiliana.
Materiali e metodi
Il ruscellamento superficiale e sub-superficiale durante la crescita e dopo la raccolta del mais è stato monitorato per eventi piovosi prodotti mediante simulatore di pioggia. Il suolo è un Vertic Ustochrept, fine,
mixed, mesic, serie Camurana, tendente a formare crepacciature ma non croste superficiali; è caratterizzato inoltre da presenza di suola d’aratura e di uno
strato meno permeabile per accumulo di limo a profondità compresa tra 0,8
e 1,2 m (Tabella 1).
Tabella 1. Valori assunti da alcuni parametri descrittivi del suolo di prova, località
S. Prospero (MO). ρa, massa volumica apparente; θ-1,5 MPa, contenuto idrico a 1,5 MPa; θCIC, contenuto idrico a capacità di campo; θmax, contenuto idrico massimo dello strato.
Strato del Argilla Limo
C
profilo
organico
/m
/%
/%
/ g kg-1
0-0,20
45
47
13,7
0,20-0,40 46
44
13,9
0,40-0,60 46
48
11,4
0,60-0,80 41
49
7,8
0,80-1,00 35
55
5,7
1,00-1,20 36
57
5,2
1,20-1,40 47
47
5,6
a Stimati mediante pedofunzioni
b nd: non determinato
N
Kjeldahl
/ g kg-1 /
1,65
1,68
1,43
1,03
0,74
0,67
0,80
ρa
θ-1,5 MPa a
Mg m-3 / m3 m-3
1,37
0,30
1,44
0,29
1,44
0,29
1,46
0,27
1,38
0,26
1,38
0,27
1,56
0,28
θCIC a
θmax
/ m3 m-3 / m3 m-3
0,46
0,51
0,45
0,55
0,44
0,50
0,43
0,54
0,41
0,55
0,39
ndb
0,41
nd
Il contenuto idrico a –1,5 MPa e a capacità di campo è stato stimato mediante pedofunzioni di trasferimento a partire da massa volumica apparente, ρa, contenuto di C organico e tessitura; le altre proprietà sono state
misurate. I valori attribuiti a ρa sono da considerarsi indicativi in quanto afferiscono a misure effettuate in passato (col metodo dei cilindretti) per la caratterizzazione del suolo del sito di prova. La porosità occupata dall’aria
(AFPS, air filled pore space) in ognuno dei 5 strati di profilo in cui è stata
misurata l’umidità, fino a -1 m, è stata calcolata come differenza tra porosità e quantità d’acqua presente negli strati, espresse in mm. Anziché il valore di porosità teorico, θs (θs = 1- ρa/ρw, dove ρw è la massa volumica reale), è stato assunto come corrispondente a saturazione per un dato strato del
profilo il valore più elevato di contenuto idrico, θmax, misurato nell’arco del-
168
Marchetti e Spallacci
la durata della prova. La scelta si è resa necessaria in quanto i livelli di umidità misurati erano talora superiori a quelli della saturazione teorica. La conducibilità idrica satura, misurata in campo in prove precedenti col metodo
dei piezometri, era stata di 37 mm h-1, a 0,6 m; e di 1 mm h-1, a 1,2 m di
profondità.
Il mais è stato seminato il 7 aprile del 1997 e raccolto l’8 settembre. Il terreno è stato lavorato a metà gennaio del 1998 per uno spessore
di 20 cm.
Sono stati effettuati 3 cicli di simulazioni, di cui uno “estivo”, in
luglio 1997 (mais alla fioritura); uno “autunnale”, in novembre 1997 (dopo la
raccolta e prima della lavorazione del terreno); e uno “primaverile”, a fine
marzo 1998 (terreno lavorato). Ogni ciclo ha incluso 3 simulazioni, per un totale di 9 eventi piovosi (Tabella 2). A eccezione che nel ciclo estivo, la parcella è stata coperta, tra un evento e il successivo, per contenere le perdite per
evaporazione.
Tabella 2. Calendario delle simulazioni, caratteristiche degli eventi piovosi e condizioni iniziali. P, altezza di pioggia; Ιp, intensità di pioggia; σs, indice di rugosità;
θ e AFPS, rispettivamente contenuto idrico medio e porosità occupata dall'aria fino
a 1 m di profondità.
N.ro
Data
P
Ιp CV di Ιp σsa
θ
AFPS
evento
/ mm / mm h-1 / %
/ cm / m3 m-3 / mm
Estivo
1 14/07/97
142
32b
3,52
0,34
188
2 15/07/97
164
32
0,44c
48c
3 16/07/97
129
32
0,47c
30c
Autunnale 1 17/11/97
61
30
34
3,14
0,38
153
2 20/11/97
50
33
9
0,41
114
3 24/11/97
29
30
56
0,43
101
Primaverile 1 30/03/98
117
29
25
4,79
0,44
87
2 31/03/98
80
34
16
0,51
23
3 01/04/98
90
35
13
0,49
43
a La scabrezza della superficie della parcella è stata misurata alle seguenti date: 04/07/1997
(ciclo estivo); 03/11/97 (ciclo autunnale); 26/02/98 (ciclo primaverile).
b Nel ciclo estivo è stato attribuito ad Ι il valore medio realizzato nelle simulazioni degli
p
altri cicli.
c Per gli eventi n.ro 2 e 3 del ciclo estivo i valori sono riferiti ai primi 0,6 m.
Ciclo
Il simulatore di pioggia, messo a punto da Panini et al. (1993), è
del tipo a pioggia continua, dotato di 4 ugelli a 6 m di altezza. A ogni evento piovoso è stata misurata l’intensità di pioggia, Ip (4 repliche per evento),
ad eccezione che nel ciclo estivo, in cui era presente la coltura. In questo caso l’Ip è stata stimata come media degli altri eventi piovosi (32 mm h-1).
La parcella di prova, di forma romboidale e di area pari a 25,5
Ruscellamento sub-superficiale in pianura
169
m2, era situata in un appezzamento coltivato a mais. Durante il periodo di
prova, da luglio 1997 ad aprile 1998, la pendenza media longitudinale (rispetto alle file del mais) è stata del 3,3 % (d.s.=1,18); quella trasversale,
dell’1,1% (d.s.=0,09). La parcella è stata isolata idraulicamente su tre lati
mediante lamiera, inserita nel terreno per uno spessore di 15 cm; sul quarto
lato, perpendicolare alle file del mais, è stata scavata una trincea, collegata
alla scolina di testata dell’appezzamento. Sulla parete verticale della trincea
sono stati disposti i collettori di deflusso: appena sotto lo spigolo tra la superficie della parcella e la parete verticale della trincea, quello per la raccolta delle acque di ruscellamento superficiale; a 0,5 m di profondità (poggiante sul fondo della trincea), il collettore delle acque di drenaggio sub-superficiale. I collettori erano di lamiera, a sezione trasversale triangolare, infissi
nel terreno perpendicolarmente alla parete della trincea mediante lamina laterale larga 8 cm. Essi sono stati dotati di lieve pendenza (2%), per agevolare lo scorrimento delle acque di ruscellamento. La continuità fra il terreno e
il collettore di deflusso superficiale, per impedire la formazione di percorsi
preferenziali, è stata assicurata mediante sigillamento del collettore al terreno con impasto di terra. Il dispositivo è stato controllato regolarmente per il
mantenimento dell’efficienza di funzionamento. Un ulteriore collettore di
plastica infisso perpendicolarmente alla parete della trincea appena sotto lo
sbocco del collettore superiore ha consentito di deviare il ruscellato impedendogli di mescolarsi con quello del collettore inferiore. La scolina è stata
approfondita di una ventina di centimetri, subito a valle della trincea, per
consentire sia la collocazione del contenitore di raccolta dei campioni, sia un
rapido allontanamento degli afflussi. La trincea è stata coperta con un tettino di plastica, per impedire alla pioggia, incidente fuori parcella sul lato di
raccolta dei deflussi, di cadere nei collettori.
Sia per il ruscellamento superficiale, sia per quello sub-superficiale, è stata misurata l’altezza di pioggia necessaria per l’inizio del deflusso
(Vlag). Il monitoraggio degli idrogrammi di deflusso superficiale e sub-superficiale ha avuto durata diversa in relazione all’entità di Vlag e all’obiettivo, peraltro non sempre raggiunto, di ottenere un deflusso stazionario.
L’altezza di deflusso sub-superficiale è stata monitorata solo nei cicli autunnale e primaverile. Il monitoraggio è stato fatto mediante prelievo di campioni di acqua di deflusso, a intervalli di tempo e per tempi differenziati a seconda dell’entità del deflusso stesso, con prelievi più frequenti in caso di deflusso più elevato. Il peso secco del terreno eroso è stato determinato e sottratto a quello del campione per la determinazione del peso dell’acqua. Poiché
ogni evento piovoso ha avuto durata diversa, per rendere uniforme il confronto tra eventi il coefficiente di deflusso, CD, è stato calcolato per uno stes-
170
Marchetti e Spallacci
so periodo di pioggia (la prima ora). Il deflusso nella prima ora è stato determinato geometricamente, come area sottesa dagli idrogrammi di deflusso.
Prima dell’inizio di ogni simulazione e dopo l’ultimo evento di
ogni ciclo sono stati effettuati campionamenti di terreno, fino a un metro di
profondità e per strati di 0,2 m, per la determinazione gravimetrica dell’umidità. I prelievi sono stati effettuati in 4 punti della parcella (4 repliche), situati nella fascia di bordo della stessa per evitarne il calpestamento.
Prima di ogni ciclo di simulazione è stata misurata la rugosità
del profilo della superficie della parcella, mediante profiligrafo ad aghi. Il
profiligrafo era largo 125 cm e dotato di 73 aghi di lunghezza pari a 42,5 cm.
Sono state misurate le quote del terreno in due sezioni della parcella trasversali alle file del mais e distanti tra loro 1,5 m (4 misure, a coprire la larghezza di ogni sezione), con quote di riferimento mantenute costanti per tutte le simulazioni. Come indice di rugosità (ordinata + random), σs, è stata
assunta la deviazione standard delle 8 serie di misure delle quote.
Risultati e discussione
Distribuzione dell’acqua nel profilo
In Figura 1 è riportato il contenuto idrico fino a 1 m di profondità, per strati di 0,2 m, al tempo 0 e dopo ogni evento piovoso dei tre cicli
di simulazioni. Poiché il campionamento per la misura dell’umidità è stato
eseguito dopo un certo tempo dalla fine dell’evento piovoso (tempo variabile da 24 a 96 ore, a seconda del ciclo e dell’evento), una quota dell’acqua di
afflusso è nel frattempo drenata, e il profilo di umidità non coincide con
quello della fine dell’evento. Tuttavia è stato possibile osservare un modello di distribuzione analogo, in estate e in autunno: il terreno si è bagnato di
più in superficie e nello strato da 0,6 a 0,8 m di profondità; è rimasto più
asciutto da 0,8 a 1 m. Se si esamina l’andamento della porosità occupata dall’aria (Figura 2), complementare a quello dell’umidità, nelle simulazioni estive e autunnali il profilo è rimasto più arieggiato, tra 0,2 e 0,4 m; più saturo,
tra 0,4 e 0,8 m. Nei cicli estivo e autunnale pertanto l’infiltrazione verticale
dell’acqua è stata rallentata dalla presenza di suola di aratura, con formazione di una faldina pensile e parziale allontanamento laterale dell’acqua dallo
strato di terreno più poroso soprastante la suola. Nel ciclo primaverile, a causa della risalita invernale della falda, situata a un metro di profondità all’epoca della simulazione, gli eventi piovosi hanno portato tutto il profilo a saturazione.
Ruscellamento sub-superficiale in pianura
171
172
Marchetti e Spallacci
173
Ruscellamento sub-superficiale in pianura
Entità del ruscellamento
In genere il deflusso superficiale o non ha avuto luogo o si è verificato dopo l’afflusso cumulato di molti mm di pioggia (Tabella 3); e raramente sono state raggiunte condizioni di stazionarietà (Tabella 3 e Fig. 3).
Tabella 3. Entità del ruscellamento superficiale (SUR) e sub-superficiale (SUB)
sotto mais. Vlag, altezza di pioggia (mm) che precede l'inizio del deflusso. VQmax,
altezza di pioggia necessaria per raggiungere Qmax, deflusso stazionario; CD, coefficiente di deflusso.
Ciclo
Estivo
Autunnale
Primaverile
N.ro
evento
1
2
3
1
2
3
1
2
3
Vlaga
/ mm
SUR SUB
>142
38
>164
12
9
0
10
10
4
3
3
3
>117
22
18
8
4
5
VQmax
/ mm
SUR SUB
nd
nd
nd
23
41
26
20
10
53
49
43
52
Qmax
/ mm h-1
SUR
SUB
-c
nd d
nd
nd
2,7
10,9
12,8
7,8
5,5
18,0
25,0
9,5
20,4
CDb
/%
SUR SUB
nd
nd
0,6
nd
1,7
4,0
11,5 22,1
16,1 14,8
1,8
0,6 18,0
9,8 16,5
a Al lordo dell'altezza d'acqua ristagnante nelle microdepressioni superficiali
b Riferito alla prima ora di pioggia.
c il trattino indica che non c'è stato deflusso o che, comunque, la fase stazionaria non è sta-
ta raggiunta nel tempo di simulazione.
d nd: non determinato.
D’altra parte è stato possibile osservare, per il deflusso superficiale da terreno lavorato a file, un andamento a scalini: il deflusso infatti cominciava non appena, in seguito a pressione dell’acqua a monte e per effetto dell’azione erosiva della pioggia, si rompeva a valle l’arginello (anche appena abbozzato) che impediva all’acqua accumulatasi tra le file rincalzate del
mais di defluire. A mano a mano che si vuotavano le pozzanghere dell’interfila, il deflusso si stabilizzava, per aumentare di nuovo in seguito a rottura di un altro arginello; e così via, fino ad eventuale rottura di tutti gli arginelli degli spazi interfila (le simulazioni sono state interrotte prima che ciò
accadesse). La maggior precocità osservata per il deflusso superficiale nel ciclo autunnale, rispetto a quelli estivo e primaverile, può essere attribuita a
una minore rugosità del terreno, e quindi alla ritenzione di una minor quantità d’acqua nelle microdepressioni superficiali; in autunno peraltro il terreno era più bagnato che a luglio (Tabella 2).
Il deflusso sub-superficiale è cominciato prima, o anche in assenza, di quello superficiale (Tabella 3). Le condizioni di stazionarietà sono
state raggiunte più precocemente, e per valori di deflusso inferiori, nelle si-
174
Marchetti e Spallacci
mulazioni del ciclo autunnale (Fig. 4a) rispetto a quelle della primavera successiva (Fig. 4b). L’equilibrio, in fase stazionaria, tra infiltrazione, I, e ruscellamento complessivo (superficiale + sub-superficiale, Q, in mm h-1), con
I = Ip - Q, in mm h-1, si è verificato per valori del rapporto I/Q compresi tra
1,3 e 10,1 (infiltrazione da poco a molto superiore al ruscellamento); in quello primaverile il rapporto è stato compreso tra 0,2 e 0,6 (ruscellamento superiore all’infiltrazione).
Figura 3. Idrogrammi di deflusso superficiale nel ciclo di simulazioni a) autunnale
e b) estivo.
a)
1° evento
2° evento
3° evento
40
30
20
10
0
0
100
200
b)
40
2° evento
3° evento
30
20
10
0
0
100
200
T e mpo dall'inizio
dell'evento / min
Questo risultato è da imputarsi alla diversa capacità d’invaso del
terreno nei due periodi: nel ciclo autunnale una parte dell’acqua è defluita lateralmente, a causa dell’ostacolo alla percolazione costituito dalla suola d’aratura; ma una parte ha continuato a infiltrarsi in profondità, essendo ancora
disponibile una quota della porosità drenabile; nel ciclo primaverile la falda
Ruscellamento sub-superficiale in pianura
175
freatica, risalita a un metro di profondità, ha saturato il terreno, impedendo
ogni ulteriore percolazione profonda dell’acqua. Per il deflusso sub-superficiale è stata osservata, nel ciclo autunnale, una riduzione di intensità, col procedere della simulazione di pioggia (Fig. 4a). Questa riduzione potrebbe essere stata provocata dal rigonfiamento delle argille del terreno. Lo stesso fenomeno potrebbe essere stato causa, nella terza simulazione del ciclo autunnale, di un deflusso più ridotto che nella seconda.
Figura 4 Idrogrammi di deflusso sub-superficiale nel ciclo di simulazioni a) autunnale e b) estivo.
I valori di CD dopo un’ora di pioggia (per un’altezza media di
pioggia compresa tra 29 e 35 mm) per il deflusso sub-superficiale sono stati in genere superiori a quelli per il deflusso superficiale (Tabella 3).
Se assimiliamo le simulazioni di luglio a irrigazioni possiamo
determinare l’efficienza di applicazione dell’acqua in campo come rapporto
176
Marchetti e Spallacci
tra altezza dell’acqua conservata nello strato prevalentemente esplorato dalle radici (0,6 m) e altezza dell’acqua applicata. Alla prima simulazione, effettuata su terreno asciutto e con un afflusso di 142 mm, tale efficienza è stata pari a 0,54. Il dato, pur non estrapolabile in quanto non linearmente dipendente dall’altezza di pioggia distribuita, è indicativo dell’importanza
agronomica del ruscellamento sub-superficiale.
Conclusioni
Poiché l’entità del drenaggio in scolina dipende dalle caratteristiche del sistema drenante in relazione alle caratteristiche del suolo (Cavazza,
1987), i valori di ruscellamento sub-superficiale misurati in questa prova non
sono direttamente estrapolabili a realtà differenti. Tuttavia in questa esperienza è stato possibile evidenziare che l’entità delle perdite idriche per deflusso
sub-superficiale verso le scoline può essere cospicua, almeno nei terreni di pianura come quello oggetto di indagine. La presenza di suola d’aratura, che frequentemente li caratterizza, può essere determinante sull’entità del fenomeno.
L’individuazione di procedure di calcolo numerico per la stima quantitativa
delle perdite a scala di campo potrebbe consentire di valutare da un lato le conseguenze agronomiche (minor efficienza d’uso dell’acqua irrigua) e ambientali (dilavamento di nutrienti) delle perdite idriche sottosuperficiali; dall’altro,
l’efficienza del sistema di sgrondo degli eccessi idrici invernali nelle scoline.
Ringraziamenti
Gli autori devono al prof. Cavazza (Università di Bologna) e al dott. Pagliai (ISSDS, Firenze)
preziosi suggerimenti a supporto dell’interpretazione dei risultati. Si ringraziano inoltre il signor R. Ghelfi per l’assistenza nella conduzione delle prove di campo; e le signore A. Orsi e
L. Sghedoni per la collaborazione tecnica di laboratorio.
Bibliografia
ACUTIS M., ALLAVENA L., CAVALLERO A., FERRARIS S.A. 1992. Deflusso per scorrimento superficiale da terreni sistemati a spianata e coltivati a mais (Zea mays L.). Primi risultati. Riv. di Agron., 26, 4 Suppl., 685-689.
CAVAZZA L. 1987. Aspetti agronomici del drenaggio. Irrigazione e drenaggio, 34, 31-36.
CER, 1997. Studio sulla circolazione ed accumulo nei suoli agricoli nonché rilascio nelle acque di superficie e di falda di fertilizzanti, fitofarmaci e diserbanti. Rapporto di sintesi. CER, Bologna.
PANINI T., SALVADOR SANCHIS M.P., TORRI D. 1993. A portable rain simulator for rough and smooth morphologies. Quaderni di scienza del suolo, V, 47-58, CNR- Soil Genesis Res. Centre, Firenze.
SILVESTRI N., GINANNI M., PAMPANA S. 1996. Impatto ambientale e riduzione degli input nella omosuccessione
di mais. L’importanza dei fenomeni di superficie. In: Sistemi colturali alternativi in maiscoltura (eds
E. Bonari & M. Pagliai), pp. 173-197. CNR, Pisa.
177
EFFETTO
DELLA NON LAVORAZIONE SU ALCUNE
CARATTERISTICHE MICROBIOLOGICHE DEL
TERRENO
Marco Mazzoncini, Rosalba Risaliti, Antonio Coli, Marco Ginanni,
Nicola Silvestri
Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi”
Università degli Studi di Pisa
Introduzione
E’ ormai noto che nel lungo periodo il ripetuto ricorso alle tecniche convenzionali di lavorazione del terreno può determinare un peggioramento della fertilità fisica e chimica del suolo. Le tecniche semplificate di
lavorazione possono rappresentare, in molti casi, una valida alternativa a
quelle convenzionali, sono infatti in grado di conservare o migliorare alcune
caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei terreni. In particolare, il ricorso alla non lavorazione ha sovente determinato effetti positivi sulle principali caratteristiche chimiche e segnatamente sulla conservazione della sostanza organica alla quale spesso è associata una maggiore presenza e/o attività dei microrganismi (Doran, 1980; Powlson e Jenkinson, 1981; Dick e
Daniel, 1987; Smith e Blevins, 1987; Unger e Cassel, 1991; Karlen et al.,
1994a; Tebrügge et al., 1994; Alvarez et al., 1995).
In questo contesto, assumono un interesse particolare le informazioni relative alla biologia del terreno ed agli aspetti biochimici in particolare, sia per integrare le notizie relative ai parametri fisico-chimici e valutare quindi complessivamente la fertilità del terreno, sia per il loro significato di “indicatore biologico” della qualità del suolo. La risposta della microflora del suolo ai cambiamenti indotti dal tipo di tecnica colturale adottato
ed alle condizioni di “stress” è infatti più rapidamente quantificabile rispetto alla variazione delle caratteristiche fisiche e chimiche, come per esempio
quelle della sostanza organica.
Tra i parametri biochimici, la respirazione del terreno ed il C
della biomassa microbica sono stati proposti come indicatori di base per la
qualità del suolo (Doran e Parkin, 1994). Questi parametri rispondono ai requisiti di semplicità ed universalità; riguardando infatti larga parte dei microrganismi, possono assumere il significato di indici globali della presenza
e dell’attività della microflora del suolo (Alef, 1995).
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 177-184 (2001)
178
Mazzoncini et al.
In questa nota vengono riportati i risultati relativi ad una prova
sperimentale di lungo periodo che poneva a confronto, a partire dal 1986, la
convenzionale aratura del terreno (LC), e la semina diretta (NL), nell’ambito di una rotazione soia-frumento tenero.
Le determinazioni analitiche relative alla microflora del suolo,
sono state effettuate dopo dieci anni, un periodo di sperimentazione che fa
supporre la raggiunta “maturità” dei due sistemi colturali a confronto e rende possibile l’utilizzo delle informazioni per la comprensione dei fenomeni
legati al mantenimento della fertilità del suolo.
Materiali e metodi
La ricerca si inserisce in una esperienza di lungo periodo avviata nel 1986 e tuttora in corso presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “Enrico Avanzi” dell’Università degli Studi di Pisa, su
un terreno sabbio-limoso rappresentativo dei suoli della bassa valle dell’Arno, caratterizzati da falda freatica superficiale. Le principali caratteristiche
fisico-meccaniche e chimiche del terreno rilevate a 10 anni dall’inizio della
prova sono riportate in tabella 1.
Tabella 1. Principali caratteristiche fisiche e chimiche del terreno nel 1996 (dopo
10 anni dall’inizio della prova) nell’orizzonte 0-10 cm.
LC
Frumento
Tipo di suolo (*)
Scheletro
Sabbia (%)
Limo (%)
Argilla (%)
Sostanza organica (%) (1)
pH
Azoto totale (%) (2)
Fosforo assimilabile (ppm) (3)
C/N
38.6
42.5
18.9
1.92
8.4
0.12
29.39
9.71
NL
Soia
Frumento
Typic Xerofluvent
Assente
32.8
29.0
47.1
51.8
20.1
19.2
1.81
2.69
8.4
7.9
0.12
0.19
19.75
56.32
8.73
8.32
Soia
32.6
50.7
16.7
3.25
8.1
0.20
45.28
9.61
LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; (*) classificazione USDA; (1) metodo
Lotti; (2) metodo Kjeldhal; (3) metodo Olsen.
Sono state poste a confronto due tecniche di lavorazione del terreno, l’aratura convenzionale a 30-35 cm di profondità (LC) e la non lavorazione (NL), in un avvicendamento biennale soia-frumento tenero, realizzato sia nel tempo che nello spazio. Le parcelle non arate sono state “gestite” diversamente per la soia e per il frumento in rotazione. Per la soia, la pre-
Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno
179
senza sul mercato di idonee seminatrici da sodo, ha permesso la semina diretta già dal 1986. Questo tipo di seminatrice per il cereale autunno-vernino
è stato disponibile sul mercato solo a partire dal 1989, nei primi anni è stata quindi utilizzata una tecnica conservativa, consistente in una lavorazione
minima realizzata con erpice a dischi operante alla profondità di 7-10 cm. I
residui colturali sono stati lasciati sulla superficie del terreno nel caso della
non lavorazione ed interrati nel sistema arativo. Lo schema sperimentale
adottato è stato quello a blocco randomizzato con tre replicazioni. Al fine di
valutare le differenze statisticamente significative tra le medie dei trattamenti, i risultati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza
(Gomez e Gomez, 1984).
Campionamento e preparazione dei campioni di terreno - A
dieci anni dall’inizio della prova, nell’ottobre del 1996, nelle parcelle precedentemente investite a frumento tenero, sono stati prelevati, nell’orizzonte 015 cm, 3 campioni di terreno per ogni replicazione per un totale di 9 campioni per tesi. I campioni, setacciati a 2 mm, sono stati conservati in cella frigorifera a 4 °C in assenza di luce; al momento dell’analisi sono stati trasferiti in recipienti di vetro ed imbibiti con acqua deionizzata fino al raggiungimento del 60% della capacità idrica massima (fase di equilibratura). Successivamente i campioni sono stati incubati per 5 giorni alla temperatura di
20-22 °C, in assenza di luce, in recipienti chiusi, in accordo con quanto proposto da Isermeyer (1952).
Analisi della respirazione - Dopo la fase di “equilibratura” si è
passati alla fase di stima della respirazione del terreno utilizzando il metodo
descritto da Isermeyer (1952). In ciascun recipiente è stata inserita una “trappola” per la CO2 contenente NaOH. Le trappole sono state periodicamente sostituite, per consentire la misurazione della CO2 svolta nei primi 5 giorni dall’equilibratura (t0) e nei seguenti 7, 15 e 30 giorni (t7, t15 e t30 rispettivamente). Parallelamente, sono stati preparati i “bianchi”, recipienti chiusi contenenti soltanto NaOH. La quantificazione dell’anidride carbonica svolta dal
terreno è stata effettuata titolando con HCl una aliquota di NaOH, in presenza di cloruro di bario e timoftaleina. I valori ottenuti sono stati confrontati con
quelli relativi ai bianchi ed il valore è stato espresso in mg CO2 kg-1 di suolo secco.
Analisi della biomassa microbica del terreno - Per la determinazione della biomassa microbica è stato utilizzato il metodo della fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987). Con tale metodo la stima indiretta della presenza della comunità microbica nel suolo, avviene misurando la concentrazione di C nelle cellule microbiche. Il carbonio solubile viene quindi
misurato sia su campioni di terreno sottoposti a fumigazione con clorofor-
180
Mazzoncini et al.
mio, sia sui campioni tal quali; dal confronto del parametro misurato sui
campioni fumigati e non fumigati si è ricavato il valore del carbonio della
biomassa microbica. La determinazione del carbonio solubile è stata effettuata a distanza di 7 (t7), 15 (t15) e 30 (t30) giorni dal periodo di “equilibratura”. La concentrazione di carbonio è stata espressa in mg kg-1 di suolo,
riferito al peso secco.
Risultati e discussione
La quantità di carbonio della biomassa microbica è risultata in
ciascuna epoca di misurazione (t7, t15 e t30) significativamente maggiore
nel terreno non lavorato rispetto a quello arato (+262% al t7; +244% al t15
e +72% al t30) (tabella 2).
Tabella 2. Effetto della tecnica di lavorazione (LC e NL) e dell’epoca di misurazione (t7, t15 e t30) sul C della biomassa microbica (mg di C kg-1 di terreno secco).
t 7
t 15
t 30
Medie lavorazione
LC
39.8
44.0
66.4
50.1 b
NL Medie epoche
144.2
92.0
151.4
97.7
114.5
90.5
136.7 a
Significatività
Effetto medio lavorazione **
Effetto medio epoca
ns
Interazione
*
LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; t7, t15 e t30 indicano rispettivamente
l’epoca di misurazione dopo 7, 15 e 30 giorni dalla fine del periodo di equilibratura; d.m.s.
per comparare due medie all’interno di una stessa colonna = 25.9 per P≤0.05; d.m.s. per comparare due medie all interno di una stessa riga = 42.2 per P≤0.05.
Tale risultato sembra connesso alla maggior concentrazione di
sostanza organica venutasi a determinare nei primi 10 cm di profondità dopo 10 anni di ripetuta applicazione della semina su sodo sia per il frumento
che per la soia (tabella 1). Al tempo stesso, lo sviluppo della microflora può
esser messo in ralazione con le più stabili condizioni di strutturazione, umidità e temperatura che si verificano in genere in un terreno indisturbato, come già osservato da diversi Autori, soprattutto in prove di lungo periodo
(Doran, 1980; Carter e Rennie, 1982; Dick, 1983; Anderson e Domsch,
1989; Campbell et al., 1991; Rasmussen e Collins, 1991; Carter, 1992;
Karlen et al., 1994a e 1994b; Campbell et al., 1995; Hu et al., 1997; Wardle,
1998; Mazzoncini et al., 1999).
L’incremento del contenuto in C organico degli strati di terreno
più superficiali rappresenta uno dei principali vantaggi della non lavorazione; questo parametro viene frequentemente posto in relazione con il C della
biomassa microbica (Anderson e Domsch, 1989) e ritenuto responsabile del-
Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno
181
la sua stabilizzazione Wardle (1998). L’accumulo di sostanza organica nello
strato superficiale del terreno (prodotto da una maggiore concentrazione dei
residui colturali e da un tasso di mineralizzazione più lento e costante) può
aver determinato sul terreno sodo maggiori disponibilità energetiche per lo
sviluppo della biomassa microbica, anche in virtù di una diversa composizione della sostanza organica, più ricca di componenti facilmente utilizzabili come substrato di crescita, quali ad esempio i carboidrati (Hu et al., 1997).
Un parametro utile a valutare la effettiva disponibilità di substrati, utili allo sviluppo della biomassa microbica è rappresentato dal rapporto tra C microbico (Cmic) e C organico (Corg), meglio ancora dal rapporto tra C da carboidrati e C microbico che fornisce indicazioni anche sulla natura della sostanza organica del terreno (Hu et al., 1997); bassi rapporti del Cmic/Corg sono ritenuti indice di scarsa disponibilità di substrati.
Tale rapporto, calcolato sulla base delle misure effettuate a 7
giorni dalla stabilizzazione, è risultato pari a 0,39 nel caso della lavorazione
convenzionale e a 0,87 nel caso della semina su sodo, a conferma dell’ipotesi precedentemente formulata in merito alla minore disponibilità di substrati energetici rilevabile nei terreni arati.
Alla maggiore presenza di biomassa microbica nel terreno non
lavorato, è corrisposta anche una maggiore emissione di anidride carbonica,
risultata significativamente superiore a quella del terreno arato, in ciascuna
epoca di misurazione considerata (tabella 3).
Tabella 3. Effetto della tecnica di lavorazione (LC e NL) e dell’epoca di misurazione
(t0, t7, t15 e t30) sulla “respirazione” del terreno (mg di CO2 kg-1 di terreno secco).
t 0
t 7
t 15
t 30
Medie lavorazione
LC
44.4
33.7
31.2
17.6
31.7 b
NL Medie epoche
142.0
93.2 a
116.6
75.1 b
127.0
79.1 b
70.9
44.2 c
114.1 a
Significatività
Effetto medio lavorazione **
Effetto medio epoca
**
Interazione
*
LC: lavorazione convenzionale; NL: non lavorazione; t0, t7, t15 e t30 indicano rispettivamente l’epoca di misurazione dopo 0, 7, 15 e 30 giorni dalla fine del periodo di equilibratura; d.m.s. per comparare due medie all interno di una stessa colonna = 19.3 per P≤0.05; d.m.s.
per comparare due medie all interno di una stessa riga = 22.5 per P≤0.05;
La quantità di CO2 emessa da terreno sodo, nelle condizioni di
laboratorio, è risultata superiore di circa il 220% rispetto a quella del terreno arato al t0, del 246% al t7, del 307% al t15 e del 302% al t30.
Prendendo in considerazione la variabilità dei risultati ottenuti
nei giorni successivi alla stabilizzazione (figura 1), nei terreni arati è stato
182
Mazzoncini et al.
osservato un incremento significativo della biomassa microbica durante il
periodo di analisi (39.8 mg kg-1 di suolo a t7, 44.0 a t15 e 66.4 a t30) mentre nei terreni sodi non sono state osservate differenze significative tra i valori misurati al t 7 e quelli al t30 (144.2 mg kg-1 di suolo al t7, 151.4 al t15
e 114.5 al t30).
Confrontando i risultati relativi all’emissione di CO2 dal terreno, tra le diverse epoche di misurazione è emersa, per entrambe le tecniche,
una progressiva riduzione del tasso di respirazione che si è manifestata con
ritmi decisamente più sostenuti nel caso del terreno non arato (figura 1).
Nel complesso i due parametri analizzati hanno seguito, nel
tempo, andamenti diversi. Nel caso del terreno non lavorato, le variazioni
della biomassa microbica sono state seguite da analoghe variazioni delle
emissioni di CO2 (r = 0.99*); il terreno arato ha fatto registrare un andamento sostanzialmente divergente. In quest’ultimo, all’aumento della biomassa microbica col procedere dell’incubazione si è accompagnata una riduzione della CO2 emessa (r = -0.99*) (figura 1).
120
120
80
80
40
40
0
0
di suolo secco)
160
-1
160
0
7
15
C biomassa (mg kg
-1
CO 2 (mg kg di suolo secco)
Figura 1. Emissione di CO2 (mg kg-1 di terreno secco) e contenuto di C (mg kg-1
di terreno secco) della biomassa microbica.
30
giorni dalla stabilizzazione
C-microbico NL
C-microbico LC
CO2-emessa NL
CO2-emessa LC
Questo fenomeno potrebbe essere imputabile alla diversa carica microbica iniziale dei due terreni; sembra lecito ipotizzare, che nel terreno sodo la maggiore attività dei microrganismi abbia condotto, nelle condizioni ottimali di laboratorio, ad un rapido esaurimento del substrato nutrizionale e ad una conseguente riduzione del metabolismo microbico e della
Effetto della non lavorazione su alcune caratteristiche microbiologiche del terreno
183
biomassa microbica stessa. Nel caso del terreno arato, invece, l’incubazione
in condizioni di umidità e temperatura ottimali per la moltiplicazione dei microrganismi potrebbe aver stimolato il loro sviluppo durante il periodo di osservazione in laboratorio.
Conclusioni
La continua applicazione di due tecniche di lavorazione così diverse tra loro come l’aratura a media profondità e la non lavorazione, ha determinato, nel lungo periodo, la differenziazione di numerose caratteristiche
chimiche e fisiche del terreno. La modificazione dell’ambiente edafico e la
diversa sorte dei residui colturali, ha avuto effetti non trascurabili a carico
della componente biotica, come risulta evidente, almeno in termini di microflora, dai risultati ottenuti. Avendo effettuato questo tipo di osservazioni
a distanza di 10 anni dall’inizio della ricerca, risulta difficile individuare nel
tempo, l’inizio della differenziazione della componente biotica, che, nel suo
evolversi, ha contribuito al miglioramento di numerose caratteristiche fisiche
e chimiche del terreno oggetto della ricerca (dati non pubblicati).
A corredo di queste informazioni, sarebbe interessante estendere lo studio alla componente biologica del suolo, l’incremento delle attività
biotiche nei campi sperimentali non arati non si limita infatti alla microflora,
ma interessa anche macro e mesofauna terricola (Mazzoncini et al., 1996). In
prove sperimentali di lungo perodo, riguardanti i sistemi colturali in generale
e le lavorazioni in particolare, il monitoraggio periodico dei parametri biologici, biochimici e microbiologici del terreno, potrebbe fornire indicazioni utili per la valutazione della fertilità del terreno considerata “in divenire”.
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185
CONFRONTO
DI MODELLI MATEMATICI NELLA
GESTIONE DELL’IRRIGAZIONE
Mecella G., Francaviglia R., Scandella P., Marchetti A.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Via della Navicella 2-4, 00184 Roma
Introduzione
L’irrigazione in Italia costituisce uno strumento fondamentale di
progresso, in quanto l’agricoltura, non potendosi ormai espandere su nuovi
territori, è costretta a puntare su mezzi tecnici in grado di aumentare la produttività e quindi la competitività.
Nelle aree mediterranee, caratterizzate da peculiari situazioni
climatiche e pedologiche, nonché da carenze delle risorse idriche, in particolare nei lunghi periodi di siccità estiva, nei quali le richieste idriche delle
colture aumentano, è fondamentale disporre di esatte valutazioni dei deficit
idrici, per programmare la gestione computerizzata dell’irrigazione.
Considerate le caratteristiche intrinseche dei fenomeni che regolano i movimenti dell’acqua nel suolo a seguito di irrigazione e le difficoltà operative nell’ottenere dati reali sui flussi idrici dei suoli, si sono andati sempre più diffondendo i modelli e i programmi di simulazione con approcci spesso molto diversi tra loro e sempre con notevoli problemi di validazione dei risultati ottenuti.
I modelli disponibili non sempre sono in grado di simulare alcuni processi importanti per la realtà italiana (es. infiltrazione dell’acqua nel
suolo a seguito di modificazioni dello strato superficiale del suolo, effetto
delle vie di deflusso preferenziali, ecc.) e sono validi in alcune aree, meno
in altre, questo soprattutto in rapporto alla loro capacità previsionale.
La precisione nelle risposte (aderenza alle realtà sperimentali)
costituisce una condizione essenziale per l’adozione di un modello rispetto ad
un altro. Non sempre modelli elaborati in un particolare contesto pedologico
e climatico o con scopi specifici possono essere adottati, senza opportune modifiche, in ambienti diversi o per finalità differenti da quelle “di nascita”.
Progetto Finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell'Ambiente (PANDA)
Sottoprogetto I, Serie 2, Pubblicazione n. 48
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 185-193 (2001)
186
Mecella et al.
Nel presente lavoro vengono confrontati e discussi gli udogrammi relativi allo strato di suolo 0-50 cm registrati sperimentalmente e simulati attraverso tre modelli: CropSyst, EPIC e il modello semideterministico B.Idr.A.S. messo a punto dagli Autori e tarato per le caratteristiche pedoclimatiche tipiche degli ambienti mediterranei, nei quali è sempre di primaria importanza il problema delle risorse idriche.
Materiali e metodi
Nel lavoro si sono messi a confronto le stime dei bilancio idrico elaborato da tre modelli, il modello CropSyst, il modello EPIC ed il modello B.Idr.A.S., nati con finalità tra loro diverse, al fine di valutarne le possibilità di utilizzo per la gestione dell’irrigazione in ambienti pedoclimatici
caratteristici di aree agricole italiane.
Il modello EPIC (Erosion Productivity Impact Calculator), sviluppato negli USA per studi sull’erosione in funzione della produttività dei
suoli (Williams et al., 1984; Sharpley e Williams, 1990), è in grado di simulare giornalmente il clima, le condizioni idrologiche, la temperatura del
terreno, l’erosione idrica ed eolica, il ciclo dei nutrienti, le operazioni colturali, il movimento di fitofarmaci e degli elementi nutritivi nelle acque e nei
sedimenti erosi. La previsione della distribuzione di acqua nel profilo si fonda su un metodo capacitivo, che simula il flusso da uno strato di terreno verso quello sottostante quando il contenuto idrico supera la capacità di campo.
Data la natura dei fenomeni in studio, da qualche anno il modello ha trovato applicazione più in generale nella simulazione di sistemi colturali e delle
ricadute ambientali delle scelte tecniche effettuate.
CropSyst (Cropping Systems Simulation Model) nasce invece
come strumento per la valutazione dell’effetto della gestione dei sistemi colturali sulla produttività e l’ambiente (Stockle e Nelson, 1994). Il modello simula con cadenza giornaliera il bilancio idrico e quello dell’azoto, la fenologia, la crescita delle colture e dell’apparato radicale, la formazione di biomassa, la produzione e la decomposizione di residui colturali ed infine l’erosione idrica. La ridistribuzione dell’acqua nel terreno viene simulata o mediante un semplice sistema a cascata o con un metodo che utilizza una soluzione numerica dell’equazione di Richards per la stima dei flussi idrici nel
profilo del suolo.
Il modello B.Idr.A.S. è stato elaborato per monitorare nello spazio e nel tempo il ristagno idrico (Mecella e Scandella, 1995; Mecella et al.,
Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione
187
1996). Con l’integrazione gornaliera, combinata con la suddivisione dei profilo in strati di 10 cm, B.Idr.A.S. consente di simulare i movimenti dell’acqua nel suolo, evidenziando l’eventuale fenomeno di idrosaturazione nello
strato di suolo ed il tempo di permanenza dell’acqua nello strato stesso.
Poiché le relazioni che intercorrono tra il suolo, considerato come sistema colloidale, e l’acqua si verificano sempre in termini energetici,
sia per la simulazione della dinamica dell’acqua nel suolo che per la stima
dell’evapotraspirazione reale in funzione del contenuto, idrico ci si è espressi in termini di potenziale Ψ.
Per quanto attiene il suolo, i criteri seguiti sono:
• calcolo, per ogni orizzonte del profilo, della regressione più idonea a
rappresentare matematicamente la curva tensione/umidità del suolo;
• suddivisione di ogni orizzonte interessato al bilancio in strati virtuali di
10 cm nei quali le caratteristiche fisiche ed idrologiche sono considerate
omogenee;
• stima dei mm di pioggia utile che penetrano nel primo strato di suolo
al netto del runoff e dei quantitativi che, attraverso le crepacciature, bagnano gli strati sottosuperficiali;
• stima della quantità di acqua che entra nello strato in funzione della velocità di infiltrazione e della sorptività, dipendente dal grado di saturazione
idrica dello strato;
• stima, nell’intervallo tra capacità idrica massima e capacità di campo,
della quantità di acqua che percola nello strato successivo in funzione della
sua velocità di infiltrazione e del rapporto di saturazione idrica;
• confronto fra tasso di percolazione dello strato sovrastante e tasso di infiltrazione in quello sottostante: quando questo è inferiore la percolazione si
dimensione sul tasso di infiltrazione e lo strato sovrastante rimane in condizioni di ristagno idrico; se lo strato è interessato da una rete di drenaggio,
l’eccesso idrico va ad alimentare la rete di scoline con un tasso di deflusso
proporzionale alla permeabilità laterale;
• quando, secondo le procedure descritte, tutta l’acqua gravitazionale si è
ripartita tra gli strati, tra quelli con contenuto idrico inferiore alla capacità di
campo si instaura un equilibrio sulla base dei potenziali ( con cui l’acqua è
trattenuta al suolo; in altri termini, i movimenti dell’acqua capillare vengono rappresentati mettendo in equilibrio, per strati contigui, i potenziali presenti in quelle particolari situazioni di umidità;
• stima della risalita capillare in presenza di falda, simulando un flusso di
188
Mecella et al.
umidità, sempre mediante l’equilibrio dei potenziali per strati contigui, considerando lo strato che sovrasta la falda a potenziale corrispondente alla capacità idrica di campo (CIC);
• stima delle crepacciature sulla superficie del suolo, in funzione dei tipo
di suolo e del potenziale idrico degli strati: se presenti gli apporti idrici bypassano gli strati crepacciati.
La validazione dei modelli è stata effettuata ponendo a confronto le misure di campo delle umidità del suolo (metodo gravimetrico con
almeno tre repliche) con le previsioni generate dai modelli per lo strato di
terreno interessato agli apporti irrigui (0-50 cm di profondità).
Le misure sperimentali derivano da un monitoraggio dello stato idrico del suolo, effettuato per due anni (1987-88) ai fini della gestione
automatizzata dell’irrigazione su colture estive, in campi sperimentali ubicati in aree rappresentative di un’agricoltura intensiva ed in pedoambienti tipici dell’Italia (Tombesi et al. 1987; I.S.N.P. 1988).
In particolare si tratta di un ambiente semiumido della Pianura
Padana (Mantova) sul quale sono state allevate una coltura di mais da granella ed una coltura di soia. I suoli, derivati da sedimenti olocenici, sono
classificati come fluvisuoli calcici, con l’orizzonte di superficie limoso argilloso e gli orizzonti di profondità franco limosi. Tra 50 e 90 cm di profondità è presente un orizzonte di accumulo calcareo, con permeabilità molto
bassa, che causa la formazione di stati di saturazione idrica negli orizzonti
sovrastanti. Le acque in eccesso non riescono a percolare attraverso di esso,
ma defluiscono lateralmente in una rete di drenaggio, che mantiene il livello di una falda superficiale a circa 200 cm di profondità.
Il secondo è un ambiente semiarido dell’Italia centrale (Paliano
- FR), con caratteristiche mediterranee, nel quale sono state allevate le colture di silomais e di barbabietola da zucchero. I suoli sono classificati come
luvisuoli vertico-ferrici, derivano da cineriti micropomicee rossicce dei sistema vulcanico dei Colli Albani, presentano tessitura franco argillosa in superficie ed argillosa in profondità.
L’irrigazione delle colture veniva effettuata in entrambi i pedoambienti con volumi medi di adacquamento di 40 mm quando l’umidità
del suolo per lo strato 0-50 cm superava di poco la soglia limite del punto di
intervento irriguo (pF = 3.2).
Le caratteristiche granulometriche ed idrologiche che sono state utilizzate nelle simulazioni sono riportate nella Tabella 1.
189
Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione
Tabella 1. Principali input idropedologici dei terreni richiesti dai modelli
Strato cm
Sabbia Limo
%
%
Argilla Punto di
Capacità
Densità Conducibilità
% appassimento di campo apparente
idrica
% Vol.
% Vol.
g cm-3
mm h-1
Mais da granella (Mantova)
0-50
19
53
28
50-75
16
55
29
75-100
13
63
24
100-125
9
70
21
125-165
5
55
40
165-180
13
57
30
180-200
14
66
20
Soia (Mantova)
0-50
19
57
24
50-75
22
57
21
75-100
28
58
14
100-130
33
59
8
130-155
6
57
37
155-200
3
59
38
Silomais (Paliano)
0-50
23
40
37
50-75
14
36
50
75-100
13
37
50
100-145
13
38
49
145-175
15
37
48
175-200
20
44
36
Barbabietola da zucchero (Paliano)
0-50
23
40
37
50-75
16
34
50
75-100
14
37
49
100-150
15
35
50
0.213
0.190
0.151
0.155
0.212
0.170
0.155
0.276
0.255
0.241
0.253
0.277
0.254
0.261
1.16
1.12
1.08
1.13
1.06
1.13
1.28
40
48
64
37
23
17
14
0.216
0.161
0.119
0.076
0.239
0.229
0.261
0.251
0.199
0.146
0.297
0.289
1.15
1.20
1.22
1.23
1.11
1.10
43
43
43
15
24
20
0.209
0.242
0.253
0.258
0.253
0.274
0.343
0.348
0.355
0.370
0.351
0.361
1.12
1.09
1.09
1.08
1.06
1.04
37
63
63
84
78
202
0.196
0.244
0.244
0.236
0.308
0.343
0.343
0.329
1.10
1.07
1.07
1.08
47
58
75
75
Risultati e discussione
Dall’esame dei risultati ottenuti e riportati negli udogrammi di
Figura 1 e negli scatterplots di Figura 2, si evidenzia come i modelli presi in
considerazione danno risposte significativamente diverse nei due ambienti
considerati.
Nell’ambiente semiumido della Pianura Padana le simulazioni
mostrano una buona aderenza con i dati sperimentali anche se, per tutti i modelli, gli andamenti ottenuti con le simulazioni anticipano di qualche giorno
le umidità reali dei suolo (Figura 1). Va inoltre sottolineata una tendenza alla sottostima dei valori di umidità da parte dei modelli EPIC e CropSyst, leggermente più accentuata per EPIC (Figura 2).
190
Mecella et al.
Mantova
50
45
Paliano
Mais da granella 1987
35
umidità % vol
umidità % vol
40
30
25
20
15
10
5
0
130
50
170
190
210
230
250
50
45
Soia 87
40
40
35
35
umidità % vol
umidità % vol
45
150
50
45 Silomais 1987
40
35
30
25
20
15
10
5
0
130
150
30
25
20
15
10
190
210
230
250
Silomais 1988
30
25
20
15
10
5
0
130
170
150
170
190
210
230
5
0
150
250
170
190
210
230
250
270
giorno giuliano
sperimentale
B.Idr.A.S.
CropSyst
EPIC
giorni di crescita
p
p
50
45
Barba88
40
umidità % vol
Figura 1 Udogrammi delle simulazioni
per le colture considerate nei due ambienti pedoclimatici.
35
30
25
20
15
10
5
0
140
160
180
200
220
240
260
giorno giuliano
sperimentale
B.Idr.A.S.
CropSyst
EPIC
Queste “imprecisioni” nei risultati sono probabilmente da ascriversi alla difficoltà dei modelli ad interpretare correttamente la permeabilità
dell’orizzonte di accumulo calcareo. La presenza di tale strato infatti provoca un rallentamento nella velocità di percolazione dell’acqua, che viene sottostimato da entrambi i modelli.
Nell’ambiente di Paliano, in clima subarido, i modelli
B.Idr.A.S. ed EPIC presentano una buona aderenza ai valori misurati; il modello CropSyst invece, a partire dalla seconda metà dell’estate, tende a sovrastimare i contenuti idrici del suolo, Tale deriva dovrebbe imputarsi alla
particolare natura dei minerali argillosi delle cineriti vulcaniche, che caratterizzano questi suoli, conferendo loro una tessitura argillosa apparente, che
non corrisponde ad un analogo comportamento idrologico (Francaviglia et
al., 1999).
191
Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione
Mantova
Paliano
50
50
B.Idr.A.S.
40
umidità simulata % vol
umidità simulata % vol
B.Idr.A.S.
30
20
10
40
30
20
10
0
0
0
10
20
30
40
0
50
umidità sperimentale % vol
30
40
50
EPIC
40
30
20
10
40
30
20
10
0
0
0
10
20
30
40
0
50
10
20
30
40
50
umidità sperimentale % vol
umidità sperimentale % vol
50
50
CropSyst
CropSyst
40
umidità simulata % vol
umidità simulata % vol
20
50
EPIC
umidità simulata % vol
umidità simulata % vol
50
10
umidità sperimentale % vol
30
20
10
40
30
20
10
0
0
0
10
20
30
40
umidità sperimentale % vol
50
0
10
20
30
40
50
umidità sperimentale % vol
Figura 2 Scatterplots delle umidità simulate per tutte le colture nei due ambienti
considerati.
192
Mecella et al.
Conclusioni
I risultati del confronto tra le umidità del suolo elaborate dai
modelli B.Idr.A.S., EPIC e CropSyst e i valori sperimentali derivati da prove irrigue devono intendersi ancora preliminari in quanto riferibili a pochi
ambienti pedoclimatici e solo ad alcune colture.
Possono comunque essere fatte alcune considerazioni di carattere generale sulle capacità previsionali dei modelli considerati.
Gli esiti di queste simulazioni, relativamente al bilancio idrico,
sembrano indicare come tutti i modelli sovrastimino in tutti gli ambienti e
per tutte le colture considerate le perdite di acqua anticipando di qualche
giorno i reali contenuti idrici del suolo.
Particolarmente importante risulta la sovrastima delle umidità
elaborata da CropSyst nell’ambiente pedoclimatico di Paliano nel periodo di
massimo intervento irriguo.
Ne deriva che l’utilizzo generalizzato di questi modelli per la
gestione computerizzata dell’irrigazione appare al momento ottimistica, in
quanto le discrepanze evidenziate che nel caso specifico per EPIC e
B.Idr.A.S. risultano di poco conto, indicano comunque la necessità di validare e tarare al meglio i modelli per ciascuna zona di intervento. Ciò comporta l’ausilio di consistenti banche dati soprattutto in ambienti nei quali la
variabilità climatica e pedologica è elevata, come nel caso dell’Italia e dei
Paesi mediterranei.
La difficoltà di tali validazioni resta sempre infatti quella di reperire dati sperimentali attendibili, in particolare di umidità del suolo per differenti colture e per lunghi periodi. Diversamente, l’utilizzo di modelli per
la gestione computerizzata dell’irrigazione rimane inficiato da errori, che
possono riflettersi negativamente sia nei confronti dell’ambiente che nel consumo di acqua.
Bibliograria
FRANCAVIGLIA R., MECELLA O., SCANDELLA P., MARCHETTI A. 1999. Model Comparison to evaluate the soil
moisture content in different pedoclimatic regions. International Symposium “Modelling Cropping
Systems” ESA, Lleida (Spagna), Giugno 1999.
MECELLA G., SCANDELLA P., 1995. B.Idr.A.S. Il Bilancio Idrico per le Aree Sensibili. In “Il Ruolo della PEDOLOGL4 nella Pianificazione e Gestione del Territorio”. Atti del Convegno della Società Italiana della Scienza del Suolo. Cagliari 6-10 giugno 1995.
Confronto di modelli matematici nella gestione dell’irrigazione
193
MECELLA G., SCANDELLA P., FRANCAVIGLIA R., COSTANTINI A. 1996. B.Idr.A.S. - Un modello per la stima
dei contenuti di acqua nel suolo ai fini della valutazione della sensibilità delle aree. Agricoltura
Ricerca 164, 165-166, 45-54, luglio-dicembre 1996.
SHARPLEY A.N., WILLIAMS J.R., 1990. EPIC - Erosion Productivity Impact Calculator. Model Documentation, U.S.
Department of Agriculture Technical Bulletin n. 1768, 235pp.
STOCKLE C.O., NELSON R.L., 1994. CropSyst, Cropping Systems Simulation Model. User’s manual. Department of
Biological Systems Engineering, Washington State University, Pullman, Washington.
TOMBESI L., MECELLA G., FRANCAVIGLIA R., COSTANTINI A., SCANDELLA P., MORETTI R., DI BLASI N.,
PIERANDREI F. 1987. L’informatica applicata alla gestione idrica delle colture. Nota 1 - Confronto
tra il metodo proposto dall’Istituto e quelli derivati dalla formula di Penman. Supplemento Annali
Ist. Sper. Nutr. Piante. Roma.
WILLIAMS J.R., JONES C.A., DYKE P.T., 1984. A modeling approach to determine the relationship between erosion
and soil productivity. Transaction of the ASAE. 27 (1): 129-144.
I.S.N.P. 1988. L’informatica applicata alla gestione idrica delle colture. Nota II - Confronto tra il metodo proposto
dall’Istituto e quelli derivati dalla formula di Penman. Supplemento Annali Ist. Sper. Nutr. Piante.
Roma.
195
LA
GEOSTATISTICA APPLICATA ALLO STUDIO DELLA
VARIABILITÀ TERRITORIALE DELLA PERMEABILITÀ
DEI SUOLI: ALTA VALLE DEL TEVERE 1
Mecella G.*, Scandella P.*, Raspa G.**, Gomez L.H.**
* Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante
**Dipartimento I.C.M.M.P.M.- Università di Roma “La Sapienza”
Premessa
Per una efficace pianificazione della pratica irrigua, al fine di limitare i fenomeni degenerativi del suolo e delle acque sottosuperficiali e profonde, l’attenzione deve essere concentrata soprattutto sugli strati superficiali
del suolo, dove ha luogo la ripartizione degli apporti meteorici e da dove
hanno origine i fenomeni di infiltrazione, deflusso superficiale, deflusso sotterraneo, evaporazione e traspirazione.
L’elaborazione di carte di isovalori di permeabilità, strumento
indispensabile per la pianificazione di una irrigazione sostenibile ed ecocompatibile, risulta spesso compromessa dalla limitata disponibilità di dati
sperimentali relativi alle proprietà idrauliche dei suoli e dall’elevato costo in
termini economici e di tempo che le relative misure richiedono. Inoltre nelle problematiche di interesse pratico, la validità delle indispensabili interpolazioni a cui si perviene è subordinata alla conoscenza della variabilità nello
spazio delle caratteristiche idropedologiche dei suoli e all’affidabilità delle
tecniche di interpolazione necessarie per ottenere stime attendibili per punti
in cui non sono disponibili informazioni.
Nel lavoro si è evidenziato come, attraverso i metodi geostatistici, sia possibile utilizzare al meglio l’informazione disponibile ai fini della ricostruzione spaziale delle caratteristiche idrauliche dei suoli
(Wackernagel, 1995). L’informazione è costituita da misure della variabile
diretta, conducibilità idraulica, e da misure di variabili con essa correlate.
1 Progetto Finalizzato Produzione Agricola Nella Difesa dell'Ambiente (PANDA)
Sottoprogetto 1, Serie 2, Pubblicazione n. 49
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 195-203 (2001)
196
Mecella et al.
Materiali e metodi
Area in studio e caratteristiche fisico-idrologiche
Lo studio ha interessato il territorio dell’Alta Valle del Tevere
(Città di Castello) della superficie di circa 23.000 ha, già oggetto di precedenti indagini condotte negli anni ‘80. I suoli presenti nel territorio sono
Fluvisuoli eutrici, Regosuoli calcici, Luvisuoli ortici, talvolta gleyci e calcici (Mecella et al., 1986). In particolare nel precedente studio, che aveva come fine primario la redazione di una carta di classificazione dei terreni ai fini irrigui, erano stati rilevati dei profili e su 52 di essi erano state effettuate
le determinazioni analitiche necessarie per la caratterizzazione fisico-idrologica del suolo. La valutazione della permeabilità media di ciascuna unità di
suolo derivava sia da misure di infiltrazione superficiale in situ che da misure di conducibilità idraulica effettuate in laboratorio sui campioni di suolo
prelevati da ciascun orizzonte. Nella Tabella 1 sono riportati, per classi di
tessitura, i valori medi e le deviazioni standard delle caratteristiche fisicoidrologiche dei suoli suddivise nei tre orizzonti normalmente intercettati entro la profondità di investigazione di 120 cm.
Tabella 1 Valori delle caratteristiche fisico-idrologiche medie e Deviazioni
Standard per gli orizzonti compresi entro i 120 cm di profondità
Variabili analitiche
superficiale
media
D.S.
Tessitura equilibrata-argillosa
profondità superiore cm
0
0
profondità inferiore cm
40
9
sabbia grossa %
6.9
3.9
sabbia fine
%
16.7
6.7
limo
%
57.3
5.9
argilla
%
19.1
6.3
pF = 2.0 (10 kPa)
32.1
5.5
pF = 2.5 (33.3 kPa)
24.0
4.0
pF = 3.0 (100 kPa)
19.1
3.8
pF = 4.2 (1500 kPa)
12.9
3.4
conducibilità idraulica mm/h
12.8
3.2
Tessitura equilibrata-sabbiosa
profondità superiore cm
0
0
profondità inferiore cm
40
9
sabbia grossa %
14.5
5.9
sabbia fine
%
23.7
6.9
limo
%
43.9
3.6
argilla
%
17.9
5.1
pF = 2.0 (10 kPa)
28.7
3.5
pF = 2.5 (33.3 kPa)
22.1
3.4
pF = 3.0 (100 kPa)
17.3
3.0
pF = 4.2 (1500 kPa)
11.8
2.7
conducibilità idraulica mm/h
27.1
3.0
Orizzonti
medio
media
D.S.
profondo
media D.S.
40
80
5.5
16.0
56.5
22.0
32.7
25.8
21.1
13.8
11.1
9
25
4.1
8.7
6.4
8.5
6.4
4.8
4.9
4.2
4.0
80
120
5.5
15.0
54.8
24.7
34.4
27.1
22.1
14.2
11.1
25
23
5.3
9.5
7.4
9.0
5.9
5.0
4.7
4.3
8.6
40
80
15.0
24.2
42.8
18.0
29.2
22.5
17.8
11.8
25.0
9
16
6.0
7.9
5.9
5.2
4.5
3.2
3.3
3.3
8.1
80
115
13.6
30.2
40.0
16.2
26.8
20.0
15.4
9.8
24.8
16
25
6.9
11.2
5.3
6.6
3.9
3.5
3.2
3.2
6.8
La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta
Valle del Tevere
197
Modellizzazione geostatistica
Per la ricostruzione del campo di permeabilità è stata impiegata
la metodologia del cokriging, che è basata sulle auto e mutue correlazioni delle variabili. In termini quantitativi tali correlazioni sono descritte dall’insieme
dei variogrammi sperimentali, diretti ed incrociati, le cui analisi ed interpretazione sono tese ad evidenziare le differenti scale di variabilità del processo
(Raspa & Bruno, 1993). Aggiustato in forma matematica opportuna, l’insieme dei variogrammi costituisce il “modello di corregionalizzazione”.
Risultati e discussione
Analisi della variabilità
Le variabili prese in considerazione sono sabbia grossa, sabbia
fine, limo, argilla, curva di ritenzione idrica (pF = 2.0, pF = 2.5, pF = 3.0,
pF = 4.2) e conducibilità idraulica.
L’analisi ha messo in evidenza la presenza, per ognuno dei tre
orizzonti, di due strutture spaziali di variabilità, descritte quantitativamente da
due variogrammi isotropi di tipo sferico, uno avente un “range” 1.5 Km e l’altro 20 Km. Sull’insieme delle variabili di ciascun orizzonte è stato aggiustato un modello lineare di corregionalizzazione.
Nella Figura 1 si riportano a
titolo d’esempio i variogrammi
sperimentali ed il modello di
uno dei tre orizzonti considerati (orizzonte medio). Come si
può osservare anche macroscopicamente, le due strutture sono presenti, con peso diverso,
in tutte le variabili. E questo
avviene in maniera diversa per
ognuno degli orizzonti.
Figura 1 Variogrammi diretti ed
incrociati delle variabili considerate in ordine di sequenza: sabbia
grossa, sabbia fine, limo, argilla,
curva di ritenzione idrica (pF =
2.0, pF = 2.5, pF = 3.0, pF = 4.2)
e conducibilità idraulica.
198
Mecella et al.
Nella Tabella 2 si riportano, relativamente a tutti e tre gli orizzonti e per entrambe le strutture di variabilità e per quella complessiva, i sills
dei variogrammi diretti delle variabili prese in esame. Si ricorda che i sills
delle strutture di un variogramma rappresentano le dispersioni delle componenti spaziali delle variabili e la somma dei sills corrisponde alla dispersione complessiva delle variabili.
Tabella 2 Dispersione delle componenti spaziali delle variabili risultanti dall’aggiustamento del modello
Variabile
Struttura 1.5 Km
Struttura 20 Km
Somma strutture
Or sup Or med Or prof Or sup Or med Or prof Or sup Or med Or prof
sabbia grossa
sabbia fina
limo
argilla
conducibilità idraulica
pF = 2.0
pF = 2.5
pF = 3.0
pF = 4.2
22.5
38.3
60.3
28.9
41.5
13.8
6.7
5.7
5.2
13.3
65.6
51.0
47.6
45.9
14 4
10.6
12.9
11.0
28.4
132.5
111.7
78.6
41.3
26 4
24.1
21.5
17.3
12.5
23.2
16.9
11.3
15.7
19 5
2.3
11.5
10.0
45.1
24.2
46.4
12.0
48.1
29.4
13.6
11.9
6.4
31.0
34.8
34.0
12.3
80.0
22.0
11.9
9.8
5.9
35.0
61.5
77.2
40.2
57.2
33.3
19.0
17.2
15.2
58.4
89.8
97.4
59.6
94.0
43.8
24.3
24.8
17.4
59.4
167.3
145.7
90.9
131.3
48.5
36.0
31.3
23.2
Osservando le ultime tre colonne si constata come la dispersione globale di tutte le variabili aumenta con la profondità. In particolare, passando dall’orizzonte superficiale a quello profondo, la dispersione complessiva aumenta da un minimo del 50 % per le ritenzioni idriche ad un massimo del 170 % per la sabbia fina.
Se si passa invece a considerare le strutture spaziali, si nota che,
ad eccezione della conducibilità idraulica, l’aumento della dispersione con la
profondità si riscontra solo per la componente a piccola scala dove l’aumento è molto più accentuato che non per la variabilità complessiva. Alla grande scala la dispersione non mostra tendenza all’aumento. La variabilità complessiva del fenomeno è dominata quindi dalla struttura a piccola scala.
Questi risultati confermano quanto rilevato durante l’indagine
di campo, durante la quale si è evidenziato come le pratiche agronomiche di
monocoltura utilizzate per anni nell’area hanno omogeneizzato le caratteristiche fisiche dei suoli, limitatamente all’orizzonte superficiale.
Per quanto riguarda la conducibilità idraulica, caratteristica prevalentemente dipendente dalla successione degli orizzonti, che come già detto ha un comportamento opposto alle altre variabili, l’esame variografico
conferma come, alla grande scala, le condizioni strutturali dei suoli risultino
prevalenti sulle modificazioni imposte alle condizioni fisiche dalla conduzione agronomica.
La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta
Valle del Tevere
199
Un altro aspetto dell’analisi multivariata riguarda i legami tra le
variabili, che risultano fortemente correlate fra loro, denunciando un’informazione ridondante.
In particolare:
• i valori relativi alla curva di ritenzione idrica ed al contenuto di argilla
sono direttamente e fortemente correlati tra di loro, sia alla grande che alla
piccola scala, con coefficienti di correlazione che vanno da 0.7 a 0.9, al variare della struttura e dell’orizzonte;
• alla grande scala, la curva di ritenzione idrica presenta una forte correlazione inversa con la sabbia grossa, la sabbia fine e la permeabilità, con coefficienti di correlazione che vanno da -0.74 a -0.97. Alla piccola scala invece,
mentre le correlazioni tra lo stesso gruppo di variabili con la sabbia fine si
mantengono come nella grande scala, le correlazioni con la sabbia grossa e la
permeabilità sono pressocchè inesistenti nei primi due orizzonti, mentre sono
presenti nel terzo, con coefficienti di correlazione che vanno da -0.5 a -0.7;
• il limo mostra un comportamento simile a quello del gruppo ritenzione
idrica-argilla, con una differenza particolare: alla grande scala il limo, come
le variabili del gruppo citato, con le quali è in forte correlazione diretta (coefficienti di correlazione da 0.78 a 0.98), presenta un forte legame inverso
con sabbia grossa, sabbia fine e permeabilità (coefficienti di correlazione da
-0.75 a -0.98). Alla piccola scala, il limo, analogamente alle variabili del
gruppo ritenzione idrica-argilla, non ha correlazione con sabbia grossa e sabbia fine (se non lievemente nel terzo orizzonte), mentre mostra una buona
correlazione inversa con la conducibilità idraulica. I relativi coefficienti di
correlazione sono di -0.56, -0.37 e -0,68 rispettivamente negli orizzonti superficiale, medio e profondo.
L’esistenza di una correlazione inversa tra limo e conducibilità
idraulica anche alla piccola scala distingue il limo dall’argilla ed evidenzia
come la componente limosa sia la responsabile della debole struttura dei suoli e quindi della moderata permeabilità.
L’ACP (Analisi in Componenti Principali), applicata alle due
matrici di correlazione, risultanti dal modello lineare aggiustato, consente di
osservare più facilmente i legami statistici tra le componenti delle variabili
sopra descritti.
Per le componenti a grande scala i primi due fattori spiegano il
96.3%, il 92.6% ed il 98.7% della variabilità complessiva, rispettivamente
per il primo, secondo e terzo orizzonte. Il solo primo fattore ne spiega rispettivamente l’89.2%, l’83.2% ed il 90.1%, mentre il secondo fattore ha una
200
Mecella et al.
incidenza trascurabile. Il primo fattore è fortemente correlato in maniera inversa con la ritenzione idrica, l’argilla ed il limo e in maniera diretta con sabbia grossa, sabbia fina e conducibilità idraulica. Tale fattore rappresenta chiaramente la granulometria.
Per le componenti a piccola scala i primi due fattori spiegano
per i tre orizzonti rispettivamente il 72.7%, l’80.3% e l’87.6%, mentre il primo ne spiega il 47.2%, il 58.8% ed il 74.0%. In questo caso la presenza consistente di un secondo fattore, essenzialmente legato al contenuto di limo,
rende il fenomeno diverso rispetto al caso delle componenti a grande scala.
Si ricorda che la conducibilità idraulica della componente a piccola scala, almeno negli orizzonti superficiali e mediamente profondi è scarsamente correlata con le altre variabili: solo con il limo presenta una discreta correlazione di tipo inverso.
Ricostruzione della permeabilità
Come è noto l’impiego del cokriging, che costituisce la metodologia di stima principale della geostatistica multivariata, è particolarmente vantaggioso in due situazioni:
• quando si devono stimare variabili che devono soddisfare relazioni lineari di coerenza;
• quando nei punti dove non è disponibile la misura della variabile di interesse sono invece disponibili misure di variabili ausiliarie. In tal caso, se
le variabili ausiliarie sono ben correlate con quella di interesse, si può migliorare notevolmente la precisione della stima.
Nel caso oggetto del presente studio ricorrono le condizioni per
trarre i vantaggi offerti dal cokriging.
La prima situazione riguarda la stima delle percentuali delle variabili che definiscono la tessitura del terreno, cioè sabbia fina, sabbia grossa, limo e argilla. Le loro misure danno come somma 100 e questo legame
deve continuare a valere anche per i valori stimati. Se le stime sono effettuate a mezzo dei cokriging questo vincolo è rispettato; non lo è invece se si
è utilizzato il kriging.
La seconda situazione si riferisce alla opportunità di utilizzare,
per la ricostruzione della carta della conducibilità idraulica, anche le percentuali di sabbia grossa, sabbia fina, limo e argilla, in quanto esse, come è risultato dallo studio di corregionalizzazione, sono ben correlate con essa.
Questo consente di elaborare una carta di conducibilità idraulica (permeabilità) con poche determinazioni (determinazioni di controllo) ed elaborare le
La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta
Valle del Tevere
201
linee di isovalori attraverso le determinazioni di tessitura normalmente più
numerose negli studi territoriali.
Una prima ricostruzione della permeabilità è stata effettuata tramite kriging utilizzando esclusivamente le misure dirette della variabile in numero di 52. La carta ottenuta è riportata in Figura 2(a). Se si fossero utilizzate, tramite cokriging, anche le quattro variabili tessiturali misurate nei 52 punti campionati non si sarebbe ottenuto alcun miglioramento nella precisione
della stima, poiché le variabili ausiliarie, essendo note negli stessi punti in cui
è nota la variabile diretta, non costituiscono un supplemento di informazione.
Figura 2 Ricostruzione della permeabilità: solo con i 52 valori della misura diretta
(a); con 25 valori della misura diretta e le variabili della tessitura (b)
a)
b)
Se invece si prova a fare a meno di alcune misure di conducibilità idraulica, ed al loro posto si utilizzano le percentuali di sabbia grossa,
sabbia fine, limo e argilla, il contenuto informativo, date le correlazioni viste sopra, non diminuisce di molto e la carta risultante, ottenuta mediante cokriging, si avvicina a quella ottenuta con i soli 52 valori di conducibilità
idraulica. Nella Figura 2(b) si può osservare come la carta della permeabilità ottenuta avendo rimosso più della metà (27) dei valori diretti e avendoli
sostituiti con le quattro variabili relative alla tessitura non differisce di molto dalla carta di Figura 2(a).
202
Mecella et al.
Non facendo intervenire le variabili relative alla tessitura nei
punti in cui la permeabilità è stata rimossa, ma effettuando la stima con le
sole 25 misure residue, la carta che si ottiene è sensibilmente diversa.
L’aumento di precisione che si ottiene nella stima della permeabilità impiegando anche le misure di tessitura appare ancora più evidente osservando la Figura 3. In essa il grafico (a) rappresenta lo scatterplot tra
i 52 valori della permeabilità misurati e quelli stimati negli stessi punti tramite kriging a partire, ognuno, dagli altri 51. Il grafico (b) rappresenta lo
scatterplot tra i 52 valori misurati ed i corrispondenti stimati, tramite cokriging, a partire dagli altri 51 valori con l’aggiunta, nei punti di stima, dell’informazione relativa alla tessitura.
40
40
35
35
Conducibilità idraulica stimata mm/h
Conducibilità iraulica stimata mm/h
Figura 3 Cross-validazione con 52 campioni: (a) kriging, (b) cokriging
30
25
20
15
10
5
0
30
25
20
15
10
5
0
0
5
10
15
20
25
30
35
Conducibilità idraulica misurata mm/h
a)
Conclusioni
40
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Conducibilità idraulica misurata mm/h
b)
La procedura di studio adottata (modello di corregionalizzazione) è di notevole interesse applicativo, in quanto con poche misure di permeabilità e numerose determinazioni granulometriche, è possibile redigere
carte di isopermeabilità confrontabili con quelle elaborate con studi più lunghi e complessi (Figura 4).
Naturalmente tale procedura non può, come qualità e precisione, essere sostitutiva del rilevamento di campo, ma può consentire di meglio
pianificare il grado di dettaglio necessario negli studi per reperire le informazioni indispensabili ad una approfondita conoscenza delle caratteristiche
idropedologiche del territorio.
La geostatistica applicata allo studio della variabilità territoriale della permeabilità dei suoli: Alta
Valle del Tevere
Figura 6 Carta della permeabilità derivata
dallo studio di Land Classification
Permeabilità
mm/h
< 20
≥ 20
203
La redazione di tali
cartografie mediante elaborazioni geostatistiche, che utilizzano
grandezze fisiche facilmente reperibili, diviene propedeutica per
la progettazione e la realizzazione degli interventi irrigui; inoltre
essendo la permeabilità dei suoli
un indice di sensibilità delle aree
fortemente condizionato dagli
interventi antropici, l’applicazione della geostatistica diventa di
notevole ausilio per la pianificazione del territorio.
Bibliografia
MECELLA G., SCANDELLA P., DI BLASI N., PIERANDREI F., BIONDI F.A. 1986. Land classification ed aspetti
climatici del territorio dell’Alta Valle del Tevere, Annali Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante. Vol XIII. I.S.N.P. Roma.
RASPA G., BRUNO R. 1993. Integration between geostatistical methodologies and GIS environments geo-data: then
factorial kriging. Conference Proceedings EGIS 93.
WACKERNAGEL H. 1995. Multivariate geostatistics, Springer, New York.
205
COMPARAZIONE DEI FLUSSI DI MINERALIZZAZIONE
DELL’AZOTO E DEL CARBONIO IN DUE SUOLI
FORESTALI A QUERCUS CERRIS
Orietta Micciulla, Maria Teresa Dell’Abate, Alberto Alianello
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante di Roma
Riassunto
Nel presente lavoro vengono presentati i risultati di uno studio effettuato in due
siti forestali dell’Italia centrale, situati in aree caratterizzate da clima temperato e copertura dominante a Quercus cerris, mirato a seguire la dinamica dell’azoto, che rappresenta una parte importante del ciclo dei nutrienti nell’ecosistema forestale. E’ stato applicato un metodo sperimentale tarato sul suolo agrario, che permette di determinare la mineralizzazione potenziale dell’azoto organico, verificando inoltre l’idoneità delle condizioni di incubazione per i suoli forestali. Le dinamiche microbiche,
che governano i processi di degradazione della sostanza organica del suolo, sono state investigate determinando la respirazione del terreno, il carbonio della biomassa
microbica e gli indicatori microbiologici correlati (Cb/TOC e qCO2)
I risultati hanno mostrato che la comunità microbica presente tende ad essere recalcitrante all’innesco della mineralizzazione: le quantità di azoto mineralizzato in
condizioni potenziali sono risultate infatti piuttosto basse (non superiori al 4% dell’azoto totale) e simili alle diverse profondità. L’andamento dei flussi del carbonio
attraverso la biomassa microbica del terreno, indicati dai parametri Cb/TOC e qCO2,
hanno evidenziato una condizione di instabilità del sistema, la cui possibile causa è
stata individuata nelle cure selvicolturali: in un caso per l’intervento di conversione
a bosco ad alto fusto e nell’altro a causa del processo di invecchiamento a cui il bosco è soggetto.
Introduzione
Lo studio della qualità del suolo negli ecosistemi naturali viene
generalmente affrontato seguendo un approccio olistico, ed il concetto di
“qualità del suolo”, definito tuttora in modo non univoco, è stato descritto
come “l’abilità che il suolo ha di seguire le naturali successioni delle biocenosi in esso presenti” (Doran & Parkin,1994). Essa è una componente fondamentale della stabilità dell’intero ecosistema ed una sua alterazione porta
nel tempo al degrado dello stesso.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 205-214 (2001)
206
Miciulla et al.
Studi condotti hanno messo in evidenza che la qualità di un suolo può dipendere dal turnover della sostanza organica del suolo, a sua volta
controllato dalla biomassa microbica e da parametri fisici, quali l’umidità, la
temperatura, la salinità ed il pH, dall’intensità di illuminazione, dalla presenza di sostanze chimiche prodotte dalle piante o dai microrganismi, che a
loro volta influenzano l’efficienza dei microrganismi tellurici nel degradare
e trasformare la sostanza organica del suolo (Anderson & Domsch, 1990).
In questo lavoro ci si è posti l’obiettivo di studiare la dinamica
dell’azoto, che rappresenta una parte importante del ciclo dei nutrienti nell’ecosistema forestale, applicando un metodo sperimentale tarato sul suolo
agrario, che permette di determinare la mineralizzazione potenziale dell’azoto organico (Stanford & Smith, 1972) ed è ampiamente utilizzato per i suoli agrari (Benedetti & Sebastiani, 1997). Le condizioni di incubazione di tale metodo sono considerate infatti ottimali per l’attività microbica, tuttavia
non è mai stato verificato se nei suoli forestali possano indurre una situazione di stress. A tal fine, al termine della prova di mineralizzazione potenziale dell’azoto, è stata allestita una prova di mineralizzazione del carbonio in
presenza di un substrato facilmente metabolizzabile dalla biomassa del suolo, che ha consentito inoltre di valutare comparativamente i flussi di mineralizzazione potenziale dell’azoto e del carbonio.
I campioni di suolo utilizzati provengono da due siti forestali
dell’Italia centrale situati in aree caratterizzate da clima temperato e copertura dominante a Quercus cerris. La scelta è caduta su questi due siti in quanto presentavano i valori maggiori di pH, buona dotazione di calcio e magnesio nel complesso di scambio e quindi condizioni favorevoli alla mineralizzazione: è noto infatti che la nitrificazione è inibita da bassi valori di pH,
mentre non è chiara la dipendenza dal pH dei processi globali di mineralizzazione della sostanza organica del suolo (Curtin et al., 1998).
I due siti, con caratteristiche pedologiche diverse, sono stati
inoltre comparati sulla base dei parametri microbiologici già utilizzati nei sistemi agrari (quoziente metabolico, rapporto carbonio biomassa su carbonio
organico totale), che possono evidenziare eventuali situazioni di disturbo e
descrivere lo stato del sistema nel suo complesso.
Materiali e metodi
Aree di studio
Il presente lavoro è stato effettuato in due aree forestali dell’Italia centrale. I suoli sono stati classificati adottando la classificazione FAO del
Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a
Quercus cerris
1990: nel primo sito (Marche) è risultato essere un Haplic
il sito dell’Umbria un Eutric CAMBISOLS (tabella 1).
LUVISOLS
207
mentre
Tabella 1. Descrizione delle aree di studio.
Sito
Quota Temperatura media Esposizione Substrato Erosione
annua (°C)
Pedologico
Precipitazioni
Pendenza
medie annue (mm)
Marche 775 m
10
SSE
Calcari
Forte
s.l.m.
marnosodiffusa
1250
46%
arenacei
Umbria 725m
11
NE
Flisch
Forte
s.l.m.
argilloso- diffusa 1250
22%
arenaceo incanalata
Biocenosi
Bosco ceduo
invecchiato a
Quercus cerris
Bosco ceduo in
conversione a
Quercus cerris
Il campionamento è stato effettuato secondo i metodi adottati
dall’ICP-Forests (International Co-operative programme on assessment and
monitoring of air pollution effects on forest, 1994). In particolare il prelievo
dei campioni è stato effettuato all’interno di un’area omogenea, in cinque
punti scelti in prossimità di altrettanti alberi di Quercus cerris. Dopo aver rimosso la lettiera si è proceduto al prelievo dei campioni dello strato minerale secondo 3 profondità fisse (0-10, 10-20, 20-40 cm). Lo strato organico superiore (orizzonte O) è stato campionato separatamente. I cinque campioni
di suolo, prelevati per ciascuna profondità, sono stati poi uniti in modo da
ottenere un campione medio rappresentativo. Tutti i campioni sono stati successivamente seccati all’aria e setacciati a 2 mm. In tabella 2 sono riportati
i principali parametri chimici relativi ai campioni medi.
Tabella 2. Valori di pHH2O, azoto totale (Ntot%), carbonio organico totale (TOC
%) e rapporto C/N (Alianello et al., 1996).
Sito
Marche
Umbria
Strato
Orizzonte O
0-10
10-20
20-40
Orizzonte O
0-10
10-20
20-40
pH
6,7
6,6
6,6
6,8
6,6
6,7
7,2
7,1
Ntot %
0,76
0,18
0,15
0,12
0,74
0,38
0,28
0,22
TOC %
15,4
2,7
2,6
2,4
14,5
4,3
2,5
1,5
C/N
20
15
17
20
19
11
9
7
La mineralizzazione potenziale dell’azoto è stata determinata
seguendo il metodo biochimico di Stanford e Smith modificato da Benedetti
(1983): i campioni di suolo sono stati incubati in condizioni idriche e termiche ottimali (30 °C, 100% WHC) per 32 settimane e sottoposti a lisciviazione ad intervalli prefissati (2, 4, 8, 12, 16, 20 e 32 settimane) dell’azoto
mineralizzato dalla sostanza organica del suolo. Le forme minerali in solu-
208
Miciulla et al.
zione sono state poi determinate mediante analizzatore automatico a flusso
continuo secondo Wall et al. (1975) per l’ammonio, secondo Kamshake et
al. (1967) per i nitrati e secondo Keeney, Nelson (1982) per i nitriti.
La valutazione della mineralizzazione del carbonio è stata condotta seguendo la respirazione del terreno con il metodo descritto da isermayer
(1995) sia sul tal quale che in presenza di substrato; il metodo si basa sulla determinazione della CO2 che si libera durante l’incubazione del suolo in un sistema chiuso, in condizioni di umidità e temperatura controllate. La respirazione indotta da substrato è stata utilizzata per evidenziare la parte della biomassa
del suolo ancora attiva nella sua globalità (Anderson, Domsch 1978; 1990) al
termine della prova di mineralizzazione potenziale. Il glucosio è stato aggiunto
al terreno nella misura di 2 mg di carbonio⋅g-1 suolo; il sistema così preparato
è stato incubato a 30 °C, analizzando per 25 giorni ad intervalli giornalieri la
CO2 prodotta, fino al raggiungimento di valori costanti di respirazione. La CO2
svolta, raccolta su una soluzione di soda a titolo noto, è stata determinata per titolazione della soda in eccesso con acido cloridrico dopo l’aggiunta di cloruro
di bario per far precipitare sotto forma di carbonati la CO2 presente.
E’ stato calcolato il quoziente di mineralizzazione (qmC = CCO2/TOC) che esprime la frazione di carbonio totale respirato durante il periodo di incubazione ed indica la capacità di degradare/ conservare la sostanza organica labile (Raich, Schlesinger 1992).
Il carbonio della biomassa microbica (Cb) è stato determinato
secondo il metodo della fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987; Wu et
al., 1990), il calcolo del quoziente metabolico (qCO2) è stato eseguito secondo Anderson, Domsch (1978). Queste analisi sono state effettuate sul terreno portato al 100% della ritenzione idrica calcolata a pF 2,5 (-33KPa) la
capacità di campo e condizionato per 10 giorni a 30 °C.
E’ stato infine calcolato il rapporto (Cb/TOC %) che da Brookes
(1995) è stato definito come un controllo interno alla comunità microbica del
terreno, utile a definire lo stato di equilibrio nei confronti della sostanza organica in esso presente. Tutti i risultati ottenuti sono riferiti a terreno secco
a 105°C e sono la media di tre misure.
Risultati e discussione
Azoto
L’andamento delle curve cumulative di mineralizzazione potenziale dell’azoto sono riportate in figura 1: da esse si evidenzia che nei suoli
Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a
Quercus cerris
209
del sito dell’Umbria le percentuali di mineralizzazione lungo tutto il profilo,
a trentadue settimane, raggiungono valori che sono compresi tra un massimo
di 4,0 % ad un minimo di 2,1 %; molto vicini tra loro sono invece i valori
ottenuti nel suolo delle Marche, dove variano dal 3,1 al 3,9%. Per entrambi
i siti la percentuale di mineralizzazione non segue un andamento decrescente lungo il profilo: infatti nella località delle Marche la mineralizzazione è
stata maggiore alla profondità di 10 – 20 cm, mentre per l’Umbria il valore
più alto è stato rilevato alla profondità 0 – 10 cm.
Figura 1: Curve cumulative dell’azoto potenzialmente mineralizzabile.
4
3,9
3,5
3,3
3,1
Marche
% Min
3
2
1
0
2
8
14
O
0 -10cm
20
settimane
26
32
10 -20cm
20 - 40cm
% Min
Umbria
4
4
3
3,2
3,1
2
2,1
1
0
2
8
O
14
20
settimane
0 -10cm
10 -20cm
26
32
20 - 40cm
Per terreni agrari, dove il metodo è stato tarato, le percentuali di
mineralizzazione possono arrivare alla fine del periodo di incubazione al
10% dell’azoto totale presente (Benedetti e Sebastiani, 1996).
I dati cumulativi della quantità di azoto mineralizzato sono sta-
210
Miciulla et al.
ti elaborati secondo tre modelli cinetici (ordine zero, esponenziale di primo
ordine e ordine misto). Dal confronto dei risultati ottenuti con i singoli modelli cinetici (dati non mostrati) è stato possibile evidenziare che ogni singola funzione non è in grado di rappresentare le cinetiche di mineralizzazione dell’azoto in tutti gli strati. E’ probabile che, trattandosi di suoli naturali,
al loro interno esista una situazione di climax della comunità microbica presente che tende ad essere recalcitrante all’innesco della mineralizzazione: ciò
spiegherebbe anche perché per tutte le profondità si abbiano percentuali di
mineralizzazione tra loro molto simili. C’è da considerare inoltre che il pH
dei due suoli non può essere considerato un fattore limitante alla mineralizzazione dell’azoto, avendo in tutti gli strati valori prossimi alla neutralità
(Curtin et al., 1998).
Carbonio
Respirazione indotta da substrato (SIR) dopo incubazione. I risultati della prova di respirazione indotta da substrato, condotta sui campioni
provenienti dalla prova di mineralizzazione potenziale dell’azoto, mostrano
valori che decrescono con la profondità, caratteristica comune ad entrambi i
siti, con valori maggiori negli orizzonti organici. I valori massimi raggiunti,
dopo 25 giorni di incubazione, sono dell’ordine di circa 2000 ppm di C-CO2.
Nella figura 2 sono riportate le curve cumulative della C-CO2 evoluta.
Figura 2. Curve di respirazione dei terreni tal quali e SIR a fine incubazione
Stanford.
Marche (SIR)
Marche respirazione
12000
C-CO2 (ppm)
C-CO2 (ppm)
2000
1500
1000
500
10000
8000
6000
4000
2000
0
0
0
5
10
15
20
25
0
10
20
30
giorni
Oriz. O
0 - 10 cm
40
50
60
giorni
10 - 20 cm
Oriz. O
10 - 20 cm
20 - 30 cm
0 - 10 cm
20 - 30 cm
Umbria respirazione
Umbria (SIR)
2000
18000
15000
C-CO2 (ppm)
C-CO2 (ppm)
1500
1000
500
12000
9000
6000
3000
0
0
0
5
Oriz. O
10
0 - 10 cm
giorni
15
10 - 20 cm
20
25
20 - 30 cm
0
10
Oriz. O
20
30
0 - 10 cm
giorni
40
50
10 - 20 cm
60
70
20 - 30 cm
Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a
Quercus cerris
211
I due sistemi, provenienti da 32 settimane di incubazione, non
sembrano mostrare condizioni di stress, visto che in essi è presente una biomassa capace di produrre, dopo solo 24 ore dall’aggiunta di glucosio, una
quantità di C-CO2 (flush) paragonabile a quella ottenuta nella prova di respirazione sul terreno tal quale; questo valore di C-CO2 dovrebbe pertanto
essere correlato all’attività di una popolazione microbica capace di metabolizzare preferenzialmente gli zuccheri semplici.
Respirazione. Nella prova di respirazione allestita sui terreni tal
quali si osserva che la biomassa microbica del suolo alle diverse profondità
risponde prontamente al riumettamento, mineralizzando quote di carbonio
che diminuiscono passando dall’orizzonte organico allo strato più profondo.
Carbonio biomassa. I dati relativi al Carbonio biomassa mostrano poche differenze tra i due siti (Figura 3): per entrambi i valori di respirazione seguono quelli di C-biomassa, diminuendo progressivamente con
la profondità ed inoltre la biomassa è quantitativamente doppia nell’Umbria
in tutti gli strati, tranne che in quello organico dove i valori dei due siti sono della stessa grandezza.
Figura 3. Andamento del carbonio della biomassa microbica alle diverse profondità.
8000
7502
750
6000
500
4000
250
2000
1314
1121
0
O
0 - 10 cm
C-CO2 totale
10000
10 - 20 cm
Cb
651
(ug/g s.s. al 25 giorno)
1000
(ug/g s.s.)
Carbonio biomassa
Marche
0
20 - 40 cm
C-CO2
10000
8000
750
6000
500
4000
3540
250
2000
848
0
O
0 - 10 cm
Cb
10 - 20 cm
C-CO2
628
20 - 40 cm
0
C-CO2 totale
9268
(ug/g al 25 giorno)
1000
(ug/g s.s.)
Carbonio biomassa
Umbria
212
Miciulla et al.
Per l’Umbria il C-biomassa risulta decrescere lungo il profilo a
partire da 950 µg/g dello strato organico fino ad arrivare a 132 µg/g nello
strato 20 – 40cm; nel sito delle Marche valori di C-biomassa passano da 818
µg/g nell’orizzonte organico fino a i valori di 40 µg/g.
Indicatori microbiologici. L’andamento del quoziente metabolico (qCO2) verso il Cb/TOC, è rappresentato in figura 4: i due parametri riflettono i flussi del carbonio attraverso la biomassa microbica del terreno e
forniscono indicazioni sullo sviluppo delle comunità microbiche e delle biocenosi del suolo.
I valori di qCO2 sono più elevati nel sito delle Marche. I valori indicano maggiore stabilità dello strato 0 – 10cm per l’Umbria e 10 – 20
per le Marche.
Figura 4. Quoziente metabolico e Cb/TOC a diverse profondità nel suolo.
qCO2
0,08
Cb/TOC
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
10 - 20cm 20 - 40cm
Marche
0,06
0,04
0,02
0
O
0 - 10cm
qCO2
Cb/TOC
Umbria
qCO2
0,04
0,03
0,02
0,01
0
O
0 - 10cm
qCO2
Cb/TOC
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
10 - 20cm 20 - 40cm
Cb/TOC
I valori di Cb/TOC utilizzati come controllo interno (Brookes,
1995) sono complessivamente bassi e sembrano indicare una condizione di
squilibrio della biomassa microbica. Probabilmente la comunità microbica
Comparazione dei flussi di mineralizzazione dell’azoto e del carbonio in due suoli forestali a
Quercus cerris
213
nei due siti non è in equilibrio: in un caso per l’intervento forestale di conversione a bosco ad alto fusto (Umbria) e nell’altro a causa del processo di
invecchiamento a cui il bosco è soggetto (Marche) (vedi tabella 1).
Conclusioni
Dai risultati ottenuti sulla dinamica dell’azoto si è evidenziato
come il metodo biochimico di Stanford e Smith, tarato per suoli agrari, riesca a rappresentare anche la dinamica nel sistema forestale: il sistema a fine incubazione ha dimostrato di non aver subito condizioni di stress in quanto la biomassa microbica ha risposto prontamente all’aggiunta di un substrato facilmente metabolizzabile come il glucosio. Tuttavia, è emersa la necessità di prolungare l’incubazione per poter effettuare una elaborazione cinetica dei dati. Le percentuali di azoto mineralizzato in condizioni potenziali sono risultate infatti piuttosto basse (non superiori al 4% dell’azoto totale).
Per quanto riguarda la mineralizzazione del carbonio le curve di
respirazione hanno evidenziato la presenza di una biomassa microbica attiva. I parametri qCO2 ed il rapporto Cbiom./TOC, calcolati per verificare l’attività della biomassa microbica nel suo complesso, hanno invece evidenziato una possibile condizione di instabilità. Le possibili cause possono essere
individuate nelle cure selviculturali, il cui obiettivo è di portare l’ecosistema
ad un certo grado di stabilità, ma che durante le diverse fasi di esecuzione
provocano un certo grado di disturbo. Nel caso dell’Umbria la conversione
ad alto fusto e nelle Marche il processo di invecchiamento a cui il bosco è
soggetto possono esserne le cause.
Dal punto di vista metodologico, bisogna sottolineare come la
pratica di campionamento per profondità fisse, piuttosto diffusa anche in
programmi internazionali di monitoraggio (ICP-Forests, 1994), non sempre
risulta idonea agli studi di ecologia forestale, principalmente perché si può
incorrere nella mancata sovrapposizione con gli orizzonti pedologici. Infatti
i due siti studiati, con la stessa copertura vegetale a Quercus cerris, sono risultati all’analisi geo-pedologica differenti per alcuni fattori quali la morfologia, il substrato, l’esposizione e la pendenza (tabella 1); è inoltre emerso
che le profondità prescelte per il campionamento non coincidono con quelle
degli orizzonti individuati dal profilo pedologico.
Non si può pertanto escludere un effetto di “diluizione” del
campione tra i diversi orizzonti. Soprattutto lo studio della sostanza organica e della biomassa microbica potrebbero risentire di un tale effetto.
214
Miciulla et al.
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215
INFLUENZA DEL DIVERSO USO DEL SUOLO
SULL’IMPATTO AMBIENTALE E SULL’EVOLUZIONE
DELLA FERTILITÀ IN UNA ZONA COLLINARE DEL
CENTRO ITALIA
Papini R., Panichi A, Bazzoffi P., Pellegrini S., Montagna G.,
Natarelli L.
Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo
Piazza D’Azeglio, 30 - 50121 Firenze
Riassunto
Si riportano risultati di una prova triennale sulle perdite di nutrienti per ruscellamento superficiale in 8 unità parcellari localizzate nella collina argillosa del Volterrano, ove si sono messe a confronto 4 tesi: Cereale (orzo e frumento), Fresato continuo, Erba medica e Set aside con arbusti pascolabili (Atriplex halimus L). Per ogni
evento di deflusso sono stati determinati: i nitrati e il fosforo solubile nelle acque;
l’azoto totale, il fosforo totale ed il fosforo biodisponibile nei sedimenti. All’inizio
ed alla fine della prova sono stati determinati negli strati 0-20 e 20-40 cm il contenuto di sostanza organica e di azoto totale. Dai risultati della ricerca è emerso che
l’Atriplex protegge molto bene il suolo dall’erosione e migliora le sue condizioni di
fertilità chimica; l’erba medica, una volta impiantata, ha perdite vi di nutrienti per
erosione molto basse che si innalzano al momento della rottura del prato, il suolo risulta comunque arricchito in azoto e sostanza organica alla fine del triennio. Il cerale ha elevate perdite di nutrienti per erosione nei mesi in cui lascia nudo il suolo,
il terreno però non risulta impoverito in sostanza organica poiché la paglia viene interrata con l’aratura; la tesi a fresato continuo perde una elevata quantità di suolo a
causa dell’intensa erosione, e in tre anni ciò causa una sensibile riduzione di sostanza
organica nel terreno. In questa tesi inoltre, si hanno anche elevate perdite di nitrati
nelle acque di ruscellamento, a causa degli intensi fenomeni di mineralizzazione della sostanza organica.
Introduzione
Nell’ultimo decennio la ricerca in agricoltura si è dovuta occupare spesso di ridurre l’impatto ambientale provocato dall’espandersi dell’agricoltura intensiva. Lo sfruttamento massiccio della risorsa suolo, abbinato
all’impiego di elevate quantità di concimi e diserbanti, ha provocato fenomeAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 215-226 (2001)
216
Papini et al.
ni di inquinamento a carico delle acque di falda (Borin, 1997), eutrofizzazione dei corsi d’acqua (Baker e Laflen, 1982) ed un costante peggioramento della qualità del suolo (Lal, 1997). In Italia in particolare si è assistito ad una
continua diminuzione del contenuto in sostanza organica del suolo (Toderi,
1991). Tale diminuzione nelle zone collinari è spesso dovuta ad una intensificazione dei fenomeni erosivi, causata dall’abbandono delle tradizionali pratiche agrarie (De Simonie et al., 1995). E’ stato infatti ampiamente dimostrato che l’erosione riduce nel lungo periodo la produttività dei terreni agrari provocando una diminuzione del contenuto di sostanza organica ed un rilascio di
nutrienti nell’ambiente (Ulèn, 1997, Choudhary et al., 1997).
Allo scopo di quantificare l’impatto ambientale di diversi usi del
suolo è stata condotta una ricerca nell’ambiente collinare del centro Italia, sull’influenza di diversi sistemi colturali sulle perdite di nutrienti per erosione e
sulla evoluzione dei principali parametri chimici di fertilità del suolo.
Materiali e metodi
La prova sperimentale si è svolta dal ‘94 al ‘96 presso il Centro
Sperimentale “S. Elisabetta” (Vicarello di Volterra - Pisa), su un suolo a tessitura argilloso-limosa classificato come Vertic Xerorthent, le cui principali
caratteristiche chimico fisiche sono riportate in tabella 1.
Il clima della zona è mesotermico, umido, mediterraneo, con
temperatura media annua di 12,7°C, piovosità media annua di 678 mm e precipitazioni concentrate in autunno e primavera.
Tabella 1 – Principali caratteristiche fisico-chimiche dello strato 0-40 cm del suolo
Sabbia (0-0,02 mm)
Limo (0,02-0,002 mm)
Argilla (<0,002 mm)
pH (H2O)
S.O.
CaCO3 attivo
N totale
P assimilabile
P totale
K2O
20 %
38 %
42 %
8,2
1,1 %
8,4 %
0,1 %
5,8 ppm
0,06 %
173,7 ppm
Il disegno sperimentale era costituito da due blocchi randomizzati di 4 parcelle (75 x 15 m, pendenza 25%), isolate idraulicamente e attrezzate con unità elettroniche di misura e campionamento del deflusso superficiale (Bazzoffi P., 1993).
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una
zona collinare del Centro Italia
217
Le tesi a confronto sono state le seguenti:
1-cereale (Hordeum vulgare L. nel ‘94 Triticum durum L. nel ‘95 e ‘96);
2-superfice nuda mantenuta in condizioni di letto di semina (fresato continuo);
3-arbusti pascolabili (Atriplex halimus L.) con trasemina iniziale di sulla
(Hedysarum coronarium L.);
4-erba medica (Medicago sativa L.).
Le parcelle a cereale sono state arate ogni estate con interramento delle stoppie, ed hanno ricevuto 350 kg ha-1 di fosfato biammonico
alla semina e 100 kg ha-1 di nitrato ammonico in copertura; le parcelle fresate sono state tenute prive di vegetazione con frequenti lavorazioni; le parcelle ad Atriplex non sono state mai né arate né concimate; le parcelle di medica hanno ricevuto 300 kg di fosfato biammonico alla semina. Dato che lo
schema agronomico prevedeva la rotazione grano-medica, le parcelle a medica sono state arate nell’agosto 1996 e seminate a grano nel successivo ottobre, mentre nelle parcelle a grano è stata seminata la medica.
I campioni di torbida, raccolti per ogni evento che dava deflusso, sono stati conservati in bottiglie di vetro (da 1 litro) in frigorifero a 4°C
fino al trasferimento in laboratorio.
Sul campione tal quale è stato misurato il pH, mentre una aliquota (250 ml) è stata filtrata a 0,45 µm e congelata sino al momento dell’analisi. Il sedimento è stato ottenuto seccando in stufa a 40°C il rimanente
campione.
Sul campione tal quale di acqua sono stati determinati: i nitrati
e gli ortofosfati solubili mediante reazione colororimetrica utilizzando un
Autoanalyzer II Techincon. Quest’ultima è avvenuta per i nitrati mediante riduzione a nitriti su colonna di cadmio ramato e successiva reazione con sulfanamide (Keeney e Nelson, 1982) e per il fosforo tramite reazione con il blu
fosfomolibdico (Murphy e Riley, 1962).
Nei campioni di sedimento sono stati determinati: l’azoto totale Kjeldhal; il fosforo totale previa digestione in forno a microonde con acido solforico concentrato e perossido di idrogeno ed il fosforo potenzialmente biodisponibile con estrazione in soluzione di soda 0,1M (Dorich et al.,
1985; Sharpley et al., 1991). La determinazione delle concentrazioni di fosforo nelle varie forme è stata ottenuta con la metodica già descritta per il
fosforo solubile.
Su campioni di terreno prelevati a 0-20 cm e 20-40 cm all’ini-
218
Papini et al.
zio della prova (ottobre ’93) ed alla fine della stessa (ottobre ’96), seccati all’aria e setacciati per ottenere la frazione <2mm, sono stati eterminati il contenuto di sostanza organica, secondo il metodo Walkley-Black e l’azoto totale Kjeldhal, (Gazzetta Ufficiale 21/10/1999).
L’elaborazione riguardanti le perdite di nutrienti con i deflussi,
è stata effettuata mediante analisi della varianza in uno schema fattoriale 4 x
3, su due blocchi randomizzati, ove il primo fattore è costituito dalle tesi,
mentre il secondo è costituito dagli anni (Cochran e Cox,1968).
I contenuti di azoto e sostanza organica misurati nel 1993 e nel
1996 in ogni sistema culturale sono stati testati statisticamente con il t di student, e nel grafico sono state riportate le variazioni percentuali fra i contenuti di azoto e sostanza organica dell’anno iniziale e di quello finale.
Risultati e discussione
Andamento della piovosità- L’ammontare totale della pioggia è
stato di 668, 691 e 1030 mm rispettivamente nei tre anni. Le prime due annate sono state caratterizzate da una piovosità che non si discosta di molto
dalla piovosità media della zona, mentre nel terzo anno la quantità di pioggia caduta è stata nettamente superiore.
Osservando la distribuzione mensile della piovosità (Figura 1),
si può notare come, in tutti gli anni, i mesi più piovosi risultino aprile, maggio, settembre ed novembre.
Figura 1- Andamento mensile della piovosità nel triennio 1994-1996.
1994
pioggia (mm)
200
1995
1996
150
100
50
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
mesi
Perdite di nutrienti con i deflussi. - I sistemi colturali messi a
confronto si sono differenziati in modo significativo sia per il deflusso e l’erosione, che per le quantità nutrienti asportati con le acque ed i sedimenti
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una
zona collinare del Centro Italia
219
(Tabella 2). In particolare il sistema più soggetto all’erosione risulta, come
era prevedibile, il fresato continuo che, fatta eccezione per il fosforo solubile, presenta le maggiori perdite di nutrienti, seguito dal cereale, che evidenzia a sua volta le perdite più elevate di fosforo solubile. L’erba medica ha un
comportamento intermedio per quanto riguarda le perdite di elementi solubili, mentre non si differenzia statisticamente dal cerale per le asportazioni
di nutrienti con i sedimenti. L’Atriplex presenta perdite di gran lunga inferiori a tutte le altre tesi, sia di elementi solubili che particolati.
Anche fra le tre annate si evidenzia una variabilità significativa,
in particolare nel il 1995 si hanno le minori perdite di nutrienti, a causa della scarsa erosività degli eventi piovosi, messa in rilievo dalla bassa quantità
di materiale eroso rispetto ad i m3 di acqua defluita. Nel 1996 invece la maggiore piovosità ha provocato elevate quantità deflusso e di erosione provocando un incremento delle perdite di nutrienti sia solubili che particolati.
Tabella 2- Analisi della varianza e test di Duncan dei deflussi e dei nutrienti asportati dai quattro sistemi colturali nel triennio di sperimentazione.
Blocchi
Sistemi (S)
Anni (A)
SxA
Sistemi
Cereale
Fresato
Atriplex
Medica
Anni
1994
1995
1996
Deflusso
m3 ha-1
ns
***
***
*
Erosione
t ha-1
ns
***
***
***
N-NO3kg ha-1
Ns
***
***
***
P sol
kg ha-1
ns
**
*
**
N
kg ha-1
ns
***
***
***
P tot
kg ha-1
ns
***
***
***
P bio
kg ha-1
ns
***
***
***
1132 b
1432 a
605 c
1188 b
14,8 b
47,9 a
0,8 c
11,9 b
10,6 b
14,0 a
0,10 d
5,7 c
0,27 a
0,0 1 c
0,02 c
0,06 b
19,1 b
53,8 a
2,0 c
15,4 b
13,5 b
27, 4 a
0,7 c
10,8 b
0,52 b
1,01 a
0,0 3 c
0,32 b
482 b
667 b
2737 a
8,8 b
1,8 c
46,0 a
7,6 b
4,4 c
10,9 a
0,06 b
0,01 b
0,20 a
9,6 b
2,4 c
55,7 a
7,2 b
1,3 c
30,8 a
0,14 b
0,0 4 b
1,23 a
Se esaminiamo le perdite dei nutrienti nei quattro sistemi colturali anno per anno (Figura 2), viene messo in evidenza come per quanto riguarda gli elementi solubili, che sono i più importanti per la valutazione dell’impatto ambientale delle diverse pratiche agricole, le diverse quantità
asportate, non dipendano tanto dalla quantità di acqua defluita, quanto dalla
concentrazione nelle acque del nutriente. Per i nitrati infatti nel cereale e nel
fresato si hanno sempre le perdite più elevate in quanto maggiore è in tutti e
tre gli anni la concentrazione media ponderata del N-NO3- nelle acque di deflusso (tab. 3). La medica invece presenta perdite di nitrati alte soltanto il primo anno, quando le acque hanno una elevata concentrazione di N-NO3- cau-
220
Papini et al.
sata dal rilascio dell’azoto apportato con la concimazione di impianto non
prontamente utilizzato dalle piante le quali, come rilevato dal grado di copertura del suolo (Bazzoffi et al., 1994), hanno un lento sviluppo iniziale.
Irrisorie risultano le perdite dell’Atriplex, che a bassi deflussi ha unito anche
modeste concentrazioni di nitrati nelle acque.
Tabella 3 – Concentrazione media ponderata dei nutrienti nelle acque e nei sedimenti.
N-NO3(mg kg-1)
Anno
P sol
(mg kg-1)
N
(%)
P tot
(mg kg-1)
P bio
(mg kg-1)
1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996 1994 1995 1996
Cereale 18,1 13,5 6,6
Fresato 20,5 11,5 8,1
Atriplex 0,5 0,3 0,1
Medica 15,1 2,7 0,8
0,18
0,01
0,04
0,17
0,02
0,01
0,03
0,01
0,29
0,01
0,04
0,01
0,12
0,11
0,12
0,11
0,13
0,12
0,35
0,15
0,13
0,11
0,31
0,15
866
726
809
893
722
642
924
873
940
560
880
960
19
13
17
16
22
16
26
14
39
20
56
37
Le elevate perdite di nitrati che si evidenziano nel fresato, dove
non c’e mai apporto di fertilizzante, mettono in rilievo come sia elevata nell’ambiente in cui ci troviamo ad operare la produzione di nitrati in seguito a
processi di ossidazione della sostanza organica, soprattutto nel periodo estivo. Infatti sia nelle parcelle a fresato che in quelle a cereale è stato messo in
evidenza un notevole aumento della concentrazione dei nitrati nel suolo a
partire dal mese di luglio, quando anche il terreno a cereale rimane privo di
copertura vegetale; questo causa concentrazioni di N-NO3- molto elevate
nelle acque di ruscellamento dei primi deflussi autunnali (Papini et al., 1996,
Papini et al., 1999). Una elevata concentrazione di nitrati nelle acque provenienti da terreno nudo in autunno viene messa in evidenza da vari autori:
Archer e Thompson (1993) rilevano come il picco della concentrazione dei
nitrati nelle acque dei fiumi si verifichi all’inizio dell’autunno quando arrivano ai campi le prime acque di scorrimento superficiale, Goss et al. (1988)
riscontrano perdite molto consistenti di nitrati per lisciviazione durante il periodo autunno invernale in seguito alla decomposizione dei residui colturali
di orzo e frumento.
Va inoltre rilevato come nel fresato e nel cerale nel 1994 e ’95
la concentrazione media dei nitrati sia superiore al valore consigliato come
massimo per le acque potabili (11,3 mg kg-1 di N-NO3-) dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le perdite fosforo solubile risultano influenzate dalla concimazione e dalla concomitanza di piogge in vicinanza dell’evento fertilizzante,
in quanto, a causa dell’elevata quantità di CaCO3 attivo presente in questi
suoli, il fosforo aggiunto con la concimazioni viene rapidamente trasforma-
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una
zona collinare del Centro Italia
221
to in forme meno solubili. Sia nel fresato che nell’Atriplex infatti (Figura 2),
si hanno perdite trascurabili in tutte e tre le annate, unitamente a concentrazioni medie ponderate di fosforo solubile molto basse (tabella 3); l’erba medica evidenzia perdite elevate solo nel primo anno, in cui viene concimata;
il cereale presenta perdite molto elevaste nel ’96 in concomitanza con un elevato numero di eventi di deflusso a poca distanza dalla concimazione. In
questi casi, sia nella medica che nel cereale, anche le concentrazioni medie
ponderate di fosforo solubile nelle acque di deflusso sono elevate (tabella 3)
e di gran lunga superiori alla quantità di 0,03 mg kg-1 considerata sufficiente per dare inizio ai fenomeni di eutrofizzazione (OXE).
Deflusso
5000
3000
2000
t ha-1
CEREALE
LAVORATO
ATRIPLEX
MEDICA
4000
m3 ha-1
Erosione
1000
0
1994
30
1996
kg ha-1
20
15
10
5
0
1994
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0.0
1995
1996
1994
3.0
P solubile
1995
1996
Azoto
160
140
120
100
80
60
40
20
0
1995
1996
P biodisponibile
2.5
kg ha-1
g ha-1
1994
N-NO3-
25
kgha-1
1995
140
120
100
80
60
40
20
0
2.0
1.5
1.0
0.5
0.0
1994
1995
1996
1994
1995
1996
Figura 2 -Andamento dei deflussi e dell' erosione; perdite di nitrati, fosforo solubile, azoto totale
e fosforo biodisponibile dei quattro sistemi colturali, nei singoli anni.
Le perdite di elementi con i sedimenti risultano, contrariamente a quanto visto per gli elementi solubili, strettamente connesse alla quantità di materiale solido asportato (Figura 2), in quanto si riscontra una minore
variabilità nella composizione chimica dei sedimenti (tabella 3). In particolare la tesi a fresato evidenzia perdite sia di sia di azoto che di fosforo totale (non riportato in tabella perché presenta gli stessi andamenti dell’azoto to-
222
Papini et al.
tale) simili al cereale nel ’94 e ’95, mentre nel ’96 ha perdite tre volte superiori. Ciò è dovuta al fatto che le parcelle a fresato risultano altamente vulnerabili all’erosione in tutti i mesi dell’anno, mentre quelle a cereale sono
protette dall’erosione nei mesi in cui si ha una buona copertura del suolo
(Bazzoffi et al., 1997). Nella medica è da rilevare come le predite piuttosto
elevate riscontrate nel ’96 siano da attribuire alla rottura del prato, avvenuta
nel mese di agosto, che ha reso le parcelle più suscettibili all’erosione nel periodo autunnale. Inoltre i sedimenti provenienti dalle parcelle dove per tre
anni è stata presente l’erba medica, risultano più ricchi di elementi di fertilità (tabella 3).
I sedimenti provenienti dall’Atriplex nel’95 e ’96 risultano avere una concentrazione i azoto totale molto elevata e ciò è dovuto alla presenza di materiale vegetale.
Il fosforo biodisponibile, che dovrebbe fornire una stima della
velocità con cui le alghe sono in grado di prelevare fosforo dai sedimenti,
rappresentata nella maggior parte dei casi una frazione piuttosto costante del
P totale (2 % c.a.), anche se nel terzo anno della prova si osserva un aumento
della sua concentrazione nel cereale, nell’Atriplex e nell’erba medica, attribuibili ad un aumento della frazione organica presente nel sedimento di queste ultime due tesi, ed ad un maggiore asportazione di fosforo derivante dalla fertilizzazione nel cereale, messa in evidenza anche dall’elevata asportazione di fosforo solubile.
L’efficacia protettiva nei confronti delle perdite per erosione e
dei nutrienti ad essa associati della copertura vegetale sia naturale che mediante arbusti pascolabile è stata messa in rilevo in ambiente mediterraneo
sia da De Simone et al., (1995) che da Andrieu et al., (1995). Nel primo caso infatti un confronto fra un suolo incolto ed un pascolo naturale, aveva evidenziato una riduzione molto elevata (da 20 a 40 volte) delle perdite sia di
materiale organico che di nutrienti azotati con il pascolo naturale; nel secondo caso invece un confronto fra inerbimento naturale, arbusti pascolabili e suolo nudo aveva messo in rilievo la capacità degli arbusti pascolabili di
ridurre in modo cospicuo le perdite per erosione avute dal suolo nudo, che
era risultato molto vulnerabile. L’efficacia dei prati coltivati nel ridurre i nutrienti persi con l’erosione rispetto alla coltivazione di un cereale è stata messa in rilievo anche da Sharpley e Smith, (1995); dalla stessa prova è emerso,
come da noi riscontrato con la medica, l’incremento che queste perdite subiscono al momento in cui il cui il prato viene arato.
Fertilità del suolo. I diversi usi del suolo hanno avuto ripercussioni diverse sul contenuto di azoto e sostanza organica delle diverse parcel-
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una
zona collinare del Centro Italia
223
le dopo un triennio, sia per quanto ha riguardato lo strato 0-20 che in quello
20-40 cm. Nel cereale il contenuto, sia di azoto che di sostanza organica, ha
evidenziato un leggero aumento, non significativo dovuto alla pratica dell’interramento delle stoppie momento dell’aratura (Addiscott e Dexter, 1994).
Nelle parcelle a fresato, si ha un leggero aumento del contenuto in azoto totale, ed una diminuzione, anche se non significativa del contenuto in sostanza organica sia nello strato 0-20 che in quello 20-40 cm.
Azoto
1994
1996
140
20-40 cm
0-20 cm
variazione
(%)
a
a
a
120
a
a
a a
b
a a
b
100
a
a
b
a
b
80
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Sostanza organica
1994
140
variazione
(%)
1996
0-20 cm
20-40 cm
a
120
a a
100
a
a a
a
b
b
a
a
a a
a
a
a
80
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Rapporto C/N
1994
20
1996
0-20 cm
20-40 cm
15
% 10
5
0
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Cerale
Fresato Atriplex Medica
Figura 3- Variazione percentuale del contenuto di Azoto e Sostanza organica e modificazine
del rapporto C/N, fra l'anno iniziale e quello finale della prova,negli strati 0-20 e 20-40 cm.
224
Papini et al.
Tale diminuzione è senz’altro da imputare alla perdita di materiale fine che si ha con gli intensi fenomeni erosivi ed ai processi di mineralizzazione della sostanza organica che, come dimostrato dalla elevata produzione di nitrati (Papini et al., 1998), sono molto intensi; questa diminuzione
si ritrova anche nello strato 20-40 cm in quanto queste parcelle sono state arate tutti gli anni contemporaneamente a quelle a cerale e quindi si è avuto un
continuo rimescolamento dei due strati. Un aumento significativo del contenuto di azoto in entrambi gli strati si ha sia nell’erba medica (23%) che
nell’Atriplex (14%). Per quanto riguarda la sostanza organica nell’Atriplex si
ha un grosso incremento (15 %), nello strato 0-20 cm e nessuna modifica nello strato 20-40; nell’erba medica invece, si hanno incrementi più moderati
(8% circa), ma ugualmente significativi ad ambedue le profondità. Ciò può
essere stato provocato anche dall’aratura che si è avuto ad agosto al momento della rottura del prato di erba medica.
Come conseguenza di quanto commentato fino ad ora, il rapporto C/N si è mantenuto costante nel cereale ad entrambi le profondità, a
nei primi 0-20 cm dell’Atriplex, è invece diminuito, se pur in modo diverso,
in tutte le alte tesi, mettendo in rilievo un sistema in cui la sostanza organica si accumula con maggiore difficoltà dell’azoto. Questo fenomeno è tipico del clima mediterraneo e conferma la necessità di mettere in atto tutti li
interventi colturali volti ad aumentare il contenuto si sostanza organica del
suolo.
Conclusioni
Fra le tesi messe a confronto sicuramente l’Atriplex è risultata
quella con il minor impatto ambientale, in quanto protegge molto bene il suolo dall’erosione e migliora le sue condizioni di fertilità chimica. L’erba medica ha elevate perdite di nutrienti sia solubili che particolati nell’anno di impianto, negli anni successivi le perdite di nutrienti solubili sono sempre molto basse, mentre un aumento delle perdite di azoto e fosforo con i sedimenti si ha al momento della rottura del prato; la medica comunque nel triennio
arricchisce il suolo in N e sostanza organica. Il cereale presenta elevate perdite di nutrienti per erosione nei mesi in cui lascia nudo il suolo, in particolare alte risultano le concentrazioni di nitrati nelle acque di deflusso, e, nel
terzo anno, anche la concentrazione di fosforo solubile; il terreno nel triennio non è impoverito in sostanza organica, poiché la paglia viene interrata
con l’aratura. Nella tesi a fresato si hanno le maggiori perdite di azoto e fosforo con i sedimenti a causa della grande quantità di suolo allontanato per
Influenza del diverso uso del suolo sull’impatto ambientale e sull’evoluzione della fertilità in una
zona collinare del Centro Italia
225
erosione; l’intensa mineralizzazione della sostanza organica causa inoltre anche le più alte perdite di nitrati con le acque di ruscellamento. Si assiste nel
triennio ad una sensibile riduzione di sostanza organica nel terreno.
Questi risultati confermano l’elevato impatto ambientale nell’ambiente mediterraneo delle pratiche agricole che lasciano nudo il suolo in
periodi di elevata piovosità e che stimolano la mineralizzazione della sostanza organica, che risulta in questo clima molto elevata. L’inserimento nella gestione del territorio collinare di prati o arbusti pascolabili può essere considerata una valida alternativa alla monocoltura ed al set aside non coltivato.
Note
Contributi : Papini R.: Impostazione della ricerca per gli aspetti chimici e della metodologia
di analisi, analisi statistica, stesura principale del testo. Panichi A.: Contributo alle analisi chimiche e alla stesura del testo. Bazzoffi P.: Impostazione generale della ricerca, sviluppo delle strumentazioni e dei softwares, rilievo ed elaborazione dei dati idrologici,. Pellegrini S.:
Gestione della ricerca in campo rilievo ed elaborazione dei dati idrologici. Brandi G.: Campionamento e analisi chimiche. Montagna G.: Campionamento e analisi chimiche.
Ricerca nell’ambito del Progetto finalizzato PANDA, Sottoprogetto 2, Serie 2, Pubblicazione
n° 97.
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227
DINAMICA
DEL CADMIO NEL SISTEMA SUOLOPIANTA IN UN TERRENO INOCULATO CON MICORRIZE SELEZIONATE: ESPERIENZA SU ORZO COLTIVATO
IN VASCHE LISIMETRICHE
Pennelli B., Rossi G., Giacomi V., Figliolia A.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Roma.
Sommario
E’ stato valutato l’effetto dell’inquinamento da Cadmio su piante d’orzo, coltivate in vasche lisimetriche, in termini di produzione, capacità di trasporto e traslocazione dell’inquinante nelle porzioni vegetali, fattore di trasferimento suolo-pianta
e percentuale d’asportazione, nonché influenza sulla biomassa microbica del terreno. Prima della semina il terreno è stato inquinato con tre dosi crescenti di Cd (solfato); all’atto della semina, metà dei semi sono stati inoculati con due endofiti micorrizici. Al termine della prova sono state condotte le seguenti determinazioni: concentrazioni totali di Cd in suolo, radici, fusti e granella; C della biomassa microbica, attività respirometrica e quoziente metabolico q(CO2). L’analisi statistica ha rivelato, in primo luogo, che le concentrazioni di Cd di suolo, radici, fusto e granella, nelle singole tesi, presentano un andamento decrescente, ma non sono confrontabili per l’eccessiva deviazione standard. In secondo luogo, il confronto tra i trattamenti, per concentrazioni di Cd in suolo, radici, fusto e granella, presi singolarmente, ha rivelato accumuli significativi di Cd in suolo, radici e fusto, solo alla dose
massima. Le regressioni lineari tra le concentrazioni di Cd nel suolo e nei vegetali
degli stessi campionamenti, condotte a prescindere dal grado di inquinamento, danno risultati significativi all’1 e 0.1%, indipendentemente dalla micorrizazione. Il C
della biomassa microbica diminuisce sensibilmente nelle tesi a maggiore inquinamento mentre il quoziente metabolico rimane pressoché invariato tra i trattamenti.
Si ipotizza che l’inquinante, pur provocando una diminuzione della dimensione di
popolazione alla dose massima, non abbia generato fenomeni di alterazione metabolica nei ceppi resistenti.
Introduzione
L’attenzione rivolta nel corso degli anni recenti al problema dell’inquinamento da Cadmio, deriva dal fatto che questo elemento è tra i metalli maggiormente tossici per l’uomo insieme a Pb e Hg (McBride 1998).
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 227-236 (2001)
228
Pennelli et al.
Il Cd entra nell’ambiente a seguito di attività naturali ed antropiche. La pericolosità delle forme provenienti dal secondo gruppo di processi, sta nella forte instabilità dei composti rilasciati; da ciò deriva la maggiore mobilità e biodisponibilità rispetto alle forme di origine naturale (Naidu
et al., 1997).
Studi condotti sugli ecosistemi acquatici escludono che il Cd dia
luogo a magnificazione biologica (Burgatsacaze et al., 1996) e se per questi
ambienti, a tutt’oggi, non c’è evidenza di pericolo, in ambiente emerso si
configura certamente una situazione di rischio.
La contaminazione della catena alimentare, ad esempio, è direttamente correlata all’inquinamento ambientale; ciò è stato dimostrato per gli
allevamenti zootecnici (Burgatsacaze et al., 1996) in cui si verificano accumuli di Cd specialmente in fegato e reni del bestiame.
In agricoltura, poi, i problemi riguardano l’insorgenza di fenomeni di fitotossicità a carico dello scambio idrico, gassoso e della nutrizione minerale (Vassilev et al., 1998), oltre naturalmente alla contaminazione
delle porzioni edibili delle piante. Numerosi autori sottolineano che la tossicità del Cd su varie colture commerciali interessa specialmente l’apparato radicale (Seregin & Ivanov, 1998) e l’affinità chimica del Cd allo Zinco (configurazione elettronica) sembra essere uno dei fattori che influenzano il trasferimento nel vegetale, per l’insorgenza di fenomeni di vicarianza tra i due
elementi (Herren & Feller, 1997). E’ fondamentale far presente comunque
che la comparsa dei sintomi di fitotossicità avviene a concentrazioni che per
l’uomo sono già oltre i limiti di sicurezza per i cibi (Herren & Feller, 1997)
e che per l’uomo l’assunzione di Cd può essere causa di patologie come disfunzioni renali ed osteomalacìa (Burgatsacaze et al., 1996).
A tale proposito è da menzionare la questione riguardante i limiti di Cd, come degli altri metalli pesanti, negli ammendanti (fanghi di depurazione, principalmente) e nei terreni agricoli; rappresentando questi delle potenziali, consistenti, vie d’ingresso del metallo nella catena alimentare.
Il dibattito si articola fra chi opta per stabilire i limiti di inquinamento basandosi sui contenuti totali dei metalli pesanti e fra chi propende per le frazioni di inquinante effettivamente assimilabili dalle colture. La prima posizione trova giustificazione dal fatto che le quote assimilabili sono passibili
di variazioni, al mutare delle condizioni del terreno nel tempo (Mench,
1998); per di più, esiste la reale difficoltà di accordarsi su metodi ufficiali di
analisi che siano applicabili ed attendibili, allo stesso modo, sul territorio.
Dall’altra parte vi è la consapevolezza che, ponendo i limiti sul solo quantitativo totale, si escluderebbero dall’utilizzo agricolo terreni e biomasse di ri-
Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate:
esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche
229
ciclo, nei casi, non rari, in cui sussistano alti tenori di metalli pesanti, in forma totale, ma a bassa biodisponibilità.
Il presente lavoro si pone come obiettivo di valutare l’entità e
la modalità del trasferimento del cadmio in piante di orzo, a diversi gradi di
inquinamento, con e senza micorrize. A tal fine sono stati analizzati gli effetti sul raccolto, l’accumulo dell’inquinante nei tessuti vegetali e la percentuale d’asportazione. Inoltre per evidenziare fenomeni di alterazione del
comparto microbico del suolo, sono stati esaminati eventuali variazioni del
C-biomassa e del quoziente metabolico (Brookes P.C., 1995 e Grego et al.,
1996). Nella prova si è fatto riferimento ai quantitativi totali di Cd, per valutare se il parametro, da solo, è sufficiente a descrivere le relazioni inquinante-pianta.
Materiali e metodi
L’esperienza è stata condotta in vasche lisimetriche da 1 m3 coltivate ad orzo (Hordeum vulgare L., cv Robur).
Sul terreno utilizzato sono state determinate le principali caratteristiche chimico fisiche, secondo i metodi ufficiali (MiRAAF 1994) e la dotazione naturale di metalli pesanti (Tab. 1).
Tab. 1. Caratteristiche chimico-fisiche del terreno ad inizio prova.
Chimico-fisiche
pH
6.7
CSC, meq/100 g
30.05
TOC %
0.25
N tot
Tracce
P (Olsen) mg/kg
20
Granulometria %
Sabbia
51.4
Limo
30.4
Argilla
Tessitura
Conducibilità mS
18.2
Franco
0.37
Metalli pesanti
(totali)
Cadmio
Piombo
Nickel
Zinco
Rame
ppm
0.8
85
21
59
43
Limiti e val. medio*
(ppm)
0.5-1.7 (0.6)
2-100 (18)
3-120 (50)
10-300 (110)
5-100 (50)
*I limiti ed i valori medi riportati sono quelli
indicati per i terreni agrari non inquinati, legge 748/84, gruppo di lavoro "Metalli Pesanti".
Prima della coltivazione, il suolo è stato inquinato con Cd sottoforma di solfato, a 0, 1, 10 e 100 ppm (trattamenti C, 1, 2 e 3, rispettivamente). Il suolo quindi, è stato lasciato a riposo, esposto all’azione degli
agenti atmosferici, per tre mesi, in modo da uniformare il più possibile la dis-
230
Pennelli et al.
tribuzione dell’inquinante. Al momento della semina (circa 400 semi / m2 e,
in seguito, concimazione con 10 g di urea / m2) metà delle repliche di ogni
tesi sono state inoculate con 70 spore / seme, ugualmente ripartite tra gli endofiti micorrizici G. constrictum e G. mosseae. E’ stato ottenuto un disegno
sperimentale di 8 trattamenti (4 fattori e 2 livelli): micorrizati C+, 1+, 2+, 3+
e non micorrizati C-, 1-, 2- e 3-. Disponendo di 32 vasche, ogni trattamento
è stato ripetuto su quattro di esse.
A fine coltura, sono stati prelevati campioni di suolo e piante da
ogni vasca, complessivamente 4 campioni a trattamento, e sono state ottenute le concentrazioni di Cd del suolo, in forma totale, per digestione nitroperclorica nel rapporto 2.5:1, a 140 °C per circa 20 ore. Le concentrazioni di
Cd nelle piante (radici, granella e fusto) sono state ottenute per digestione in
acido nitrico concentrato a 140°C per circa 2 ore. Le letture sugli estratti di
suolo e vegetali sono state eseguite mediante spettrometria al plasma (ICP).
Sui campioni di suolo inquinati, prima della semina dell’orzo, e
su quelli prelevati dopo la raccolta, sono stati determinati inoltre i seguenti
parametri biochimici: carbonio della biomassa (C-biomassa), mediante fumigazione-estrazione (Vance et al., 1987), respirazione del terreno, come
CO2 emessa, utilizzando un metodo titrimetrico (Badalucco et al., 1992) e il
relativo quoziente metabolico q(CO2) (Anderson & Domsch, 1990).
I valori della produzione vegetale e delle concentrazioni di Cd
nel suolo e nei vegetali sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) e dell’MDS; sugli ultimi si sono effettuate anche analisi di regressione
lineare e della varianza associata.
Sono stati calcolati altresì il fattore di trasferimento suolo-pianta, e la percentuale di asportazione da parte della coltura. I dati relativi alle
determinazioni del carbonio della biomassa microbica e del quoziente metabolico sono stati sottoposti al calcolo delle minime differenze significative
(MDS) per P≤0.05.
Risultati e discussione
La percentuale di micorrizazione (dati non pubblicati), ha mostrato un rapporto di inversa proporzionalità con il quantitativo di cadmio apportato al suolo; è ipotizzabile un effetto tossico dose-dipendente sui funghi
simbionti.
I dati relativi alla produzione (non pubblicati), peso secco delle
Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate:
esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche
231
parti aeree, non hanno evidenziato alcuna differenza significativa tra le tesi;
si presume da questo, che l’inquinamento da Cadmio e la micorrizazione, nelle condizioni sperimentali impostate, non siano stati discriminanti sulla produzione di biomassa vegetale (Anova: F=1.28 per 7/24 gradi di libertà, N.S.).
Dai contenuti medi di Cd del suolo e dei vegetali, riportati in
Fig. 1, risulta soltanto la chiara diminuzione della concentrazione d’inquinante, dal terreno alla granella, per ogni tipo di trattamento. L’eccessiva deviazione standard dei valori medi non ha consentito, in questo caso, di accertare una significatività tra i livelli di micorrizazione e tra le sezioni vegetali delle piante, nell’ambito dei singoli trattamenti.
Fig. 1. Sono riportati i valori delle concentrazioni di Cd rilevate nel suolo e nelle
sezioni vegetali per ogni trattamento
110,30
Distribuzione del Cd nei vegetali
120
79,48
100
60
3
0,06
0,04
0,67
2,76
0,00
0,00
0,02
1,14
0,00
0,00
0,02
0,34
terreno -
2
0,11
0,15
0,76
2,40
0,79
1,45
7,27
terreno +
0,01
1,08
4,39
0,82
1,34
6,16
20
24,63
40
1
30,13
C
0,03
0,31
4,43
ppm
80
fusto +
fusto -
granella +
granella -
0
radici +
radici -
sezioni vegetali
Al contrario, le concentrazioni di Cd in suolo, radici, fusto e
granella prese singolarmente e confrontate tra trattamenti, hanno rivelato differenze significative allo 0,1% in suolo, radici e fusto (F = 12.06, 14.23 e
12.69 rispettivamente, per 7/24 gradi di libertà). Per la granella non sono state evidenziate differenze dovute ai trattamenti. In seguito, il calcolo delle minime differenze significative (P: 5%) ha permesso di stabilire che gli accumuli in suolo, radici e fusto, hanno luogo solo nei trattamenti 3+ e 3- (micorrizato e non micorrizato a 100 ppm di Cd). L’assenza di effetti sul comparto radicale, imputabili alla micorrizazione, trova conferma in precedenti
lavori (Joner & Leyval, 1997).
Il fattore di trasferimento (F), calcolato per ogni trattamento è
rappresentato in Fig. 2. I risultati, ottenuti per rapporto tra le concentrazioni
medie di Cd nelle piante e nel suolo, sembrano indicare che, ad eccezione
232
Pennelli et al.
del trattamento 1-, il fattore di trasferimento decresce all’aumentare dell’inquinamento. Si nota nel trattamento 1+ il valore più alto in assoluto, seguono in ordine decrescente 2+, 2-, 3-, 1-, 3+ e i controlli. I valori ottenuti non
oltrepassano lo 0.47, proposto per il Cd, in terreni non inquinati, dal Gruppo
di Lavoro “Metalli Pesanti” operante nell’ambito della L. 748/84.
Fig. 2. Fattore di trasferimento. Il valore di ogni colonna è dato dal rapporto tra le
concentrazioni medie di Cd nelle piante e nel suolo.
Fattore di trasferimento
0,4
0,35
0,3
mic
non mic
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
C
1
10
100
Trattamenti (ppm Cd)
Si è provveduto inoltre a verificare l’esistenza di relazioni lineari tra le concentrazioni di Cd delle sezioni vegetali di ogni singola pianta analizzata e le concentrazioni presenti nel terreno corrispondente al singolo campionamento. In questo caso è stato possibile non tenere conto dei diversi gradi di inquinamento, ma soltanto della distinzione tra piante micorrizate e no.
E’ stata effettuata quindi l’analisi della varianza su tutte le rette di regressione, con risultati significativi all’1 e 0.1%. Come si nota dalla Fig. 3, per le
piante micorrizate, la variabilità delle concentrazioni di Cd, in radici, fusto e
granella è spiegata dalla relazione lineare con la concentrazione totale di Cd
del suolo, al 99, 91 e 53% rispettivamente, a livelli di significatività, nell’ordine, di 0.1, 0.1 ed 1%. In Fig. 4, piante non micorrizate, la variabilità delle
concentrazioni di Cd, in radici, fusto e granella è spiegata dalla relazione lineare con la concentrazione totale di Cd del suolo, al 99, 88 e 89% rispettivamente, a livelli di significatività sempre dello 0.1%. E’ evidente da questi
risultati che, la concentrazione nel suolo di Cd, in forma totale, spiegando in
modo accurato le concentrazioni nei vegetali, potrebbe essere utilizzata in
modelli previsionali di accumulo in piante, in situazioni colturali simili.
Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate:
esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche
233
Fig. 3. Andamento delle concentrazioni di Cd, nei tessuti delle piante micorrizate,
in relazione ai corrispondenti valori riscontrati nel suolo. Sono riportate le equazioni, l'R2 ed il livello di significatività.
Relazioni Cd-vegetali / Cd-suolo (piante micorrizate)
45
40
Regr. Radici
y = 0,2224x + 0,9312
35
radici
fusto
2
R = 0,9856; P***
granella
Cd nei tessuti vegetali (ppm)
30
Lineare (radici)
Lineare (fusto)
25
Lineare (granella)
20
15
Regr. Fusto
y = 0,0174x + 0,3363
10
2
R = 0,9127; P***
Regr. Granella
y = 0,0119x - 0,0638
5
2
R = 0,5319; P**
0
-30
20
70
120
170
220
-5
Cd nel terreno (ppm)
Fig. 4. Andamento delle concentrazioni di Cd, nei tessuti delle piante non micorrizate, in relazione ai corrispondenti valori riscontrati nel suolo. Sono riportate le
equazioni, l'R2 ed il livello di significatività.
Relazioni Cd-vegetali / Cd-suolo (piante non micorrizate)
40
Regr. Radici
y = 0,3749x + 0,3859
35
R = 0,9911;P***
2
Cd nei tessuti vegetali (ppm)
30
25
radici
fusto
granella
Lineare (radici)
Lineare (fusto)
Lineare (granella)
20
15
Regr.Fusto
y = 0,0354x + 0,0949
10
2
R = 0,8833;P***
5
Regr. Granella
y = 0,004x + 0,0001
2
R = 0,8854;P***
0
0
20
40
60
Cd nel terreno (ppm)
80
100
120
234
Pennelli et al.
Particolare attenzione inoltre va posta anzitutto ai trasferimenti
nelle parti edibili, che se per le piante micorrizate sono spiegati al 53%, per
le altre sono in relazione più stretta (89%) con il Cd del suolo in forma totale. E’ auspicabile, nell’immediato futuro, il trasferimento di questo metodo di
indagine in situazioni di campo, su un più ampio range di colture e di suoli.
La percentuale di asportazione, ottenuta dal rapporto tra contenuto di Cd nelle parti aeree e il peso secco delle stesse (Fig. 5), conferma la
proporzionalità diretta tra accumulo nei vegetali e grado d’inquinamento. Al
di là di verificare tale relazione, il parametro è stato preso in considerazione
poiché utilizzato per identificare specie con caratteristiche di bioaccumulatori (Ow, 1996). Riguardo al Cd, si può parlare di fitoestrazione quando il
valore della percentuale d’asportazione eccede lo 0.02; tale è la situazione
nei trattamenti 2 e 3 della nostra prova. Il risultato, trattandosi di accumulo
in piante edibili, ribadisce l’invito a porre attenzione sul trasferimento dell’inquinante nell’orzo.
Fig. 5. Percentuale di asportazione del Cd nei trattamenti (valori medi). Il parametro è
calcolato per rapporto del Cd nelle parti aeree, in peso, con la biomassa delle stesse.
Percentuali di Cd rilevate nelle parti aeree (peso secco)
0,2
0,18
0,16
0,14
0,12
%
0,1
0,08
0,06
0,04
0,02
0
c+
c-
1+
1-
2+
2-
3+
3-
Trattamenti
Al fine di evidenziare fenomeni di disturbo da Cd sul comparto microbico del suolo, sono state valutate eventuali variazioni a carico della biomassa microbica e del quoziente metabolico. I parametri in esame si riferiscono a tutte le tesi, relativamente ai periodi: pre-semina (dopo un mese
dall’inquinamento e in assenza di micorrize) e post-raccolto. Nel primo periodo (Tab. 2) si evidenzia un significativo decremento del carbonio della
biomassa solo in presenza della dose massima del metallo mentre il quoziente metabolico resta pressoché inalterato. Dal campionamento post-rac-
Dinamica del Cadmio nel sistema suolo-pianta in un terreno inoculato con micorrize selezionate:
esperienza su orzo coltivato in vasche lisimetriche
235
colto, per il carbonio della biomassa, emergono decrementi significativi alle
dosi massime di Cd, sia nelle tesi micorrizate (-24%) che in quelle non micorrizate (-20%); i valori dei quozienti metabolici non danno, invece, differenze significative a diverse concentrazioni di Cd. I risultati ottenuti suggeriscono l’esistenza di un effetto dose del metallo sulla dimensione della popolazione microbica ma non sulla sua attività; si evidenzia cioè una situazione di relativo equilibrio metabolico (Anderson, 1994). Questo fenomeno
può trovare una plausibile spiegazione ipotizzando la presenza di una microflora nativa già adattata alla presenza di quantità relativamente elevate di
Cd nel suolo (Tab. 1). In casi analoghi, riduzioni della biodiversità e sviluppo di ceppi resistenti sono già stati oggetto d’osservazione (Tyler, 1981).
Tab. 2. Valori del carbonio (mg/kg) e del quoziente metabolico, q(CO2) (µg CCO2/µg BC*h-1) della biomassa microbica in: terreno inquinato, prima della semina e della micorrizazione (sopra) e a fine coltura (sotto). M.D.S. calcolati a livello
di significatività del 5% (n = 6).
Trattamento
C
1
2
3
M.D.S.
Trattamento
C
1
2
3
M.D.S.
C-biomassa
Pre-semina inquinato
208+/-4.5
215+/-5
209+/-8.8
190+/-6.5
15
C-biomassa post-coltura
mic - no mic
218+/-6.5 - 295+/-6.8
210+/-6.6 - 308+/-7.2
236+/-3.5 - 252+/-4
165+/-7.5 - 237+/-6.6
44
Quoziente metabolico q(CO2)
Pre-semina inquinato
0.3*10-2
0.4*10-2
0.4*10-2
0.4*10-2
0.16*10-2
Quoziente metabolico q(CO2)
post-coltura mic - no mic
0.4*10-2 - 0.5*10-2
0.3*10-2 - 0.4*10-2
0.3*10-2 - 0.5*10-2
0.4*10-2 - 0.5*10-2
0.16*10-2
Si conclude che la concentrazione di Cd nel suolo, rilevata in
forma totale, nelle condizioni sperimentali adottate, si presta a descrivere la
dinamica dell’inquinante da suolo a pianta, in forma di relazione lineare, con
differenze in funzione del grado di inquinamento. Resta da accertare quali
altri fattori intervengano nel trasferimento di Cd nella granella giacché non
si sono evidenziate differenze di concentrazione neanche tra i controlli e le
tesi inquinate a 100 ppm. In secondo luogo, nell’orzo micorrizato, la relazione Cd suolo / Cd granella è spiegata solo al 53% (sebbene all’1% di significatività).
L’esistenza, comunque, di relazioni lineari molto significative,
induce a considerare la possibilità di estendere il modello di studio in situazioni agricole reali.
236
Pennelli et al.
Una considerazione finale è che, pur avendo rilevato bassi accumuli nella granella, le altre parti dei vegetali andrebbero, ad ogni modo,
considerate come possibili mezzi di ingresso del Cd nella rete trofica, stando ai valori piuttosto elevati della percentuale d’asportazione (Fig. 5).
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237
TURNOVER
DELLA SOSTANZA ORGANICA ED
ATTIVITÀ BIOLOGICA DI SOSTANZE UMICHE
PROVENIENTI DA FAGGETE DIVERSE
Pizzeghello D.1, Nicolini G.1, Nardi S.2
1 Centro di Ecologia Alpina
38040 Viotte del Monte Bondone - Trento
2 Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Facoltà di Agraria, Università di Padova
Strada Romea 16, 35020 Legnaro - Padova.
Riassunto
I risultati dei parametri chimici e biochimici di 27 orizzonti A, suddivisi nei tre raggruppamenti faggete termofile, mesofile ed acidofile, sono stati studiati mediante l’analisi della varianza univariata (ANOVA) e mediante i test non
parametrici di Kruskal-Wallis. Dai confronti a coppie multipli le faggete termofile e
mesofile sono uguali come C/N e come CU/CO, mentre differiscono entrambe dalle faggete acidofile. Per quanto riguarda l’attività biologica delle sostanze umiche
fra le faggete termofile e le acidofile e fra le faggete mesofile e le acidofile vi sono
differenze significative per l’attività auxino-simile, come pure per il contenuto di
acido indolacetico. In termini di attività gibberellino-simile risultano diversi i gruppi delle faggete termofile e mesofile e i gruppi termofile e acidofile, mentre sono simili le mesofile-acidofile. L’attività biologica delle sostanze umiche può quindi essere considerata un parametro importante nel distinguere le complesse relazioni suolo-vegetazione.
Introduzione
La quantità di sostanza organica ed umica presente nel suolo è
regolata, secondo l’equazione di Jenny, da cinque fattori: tempo, clima, vegetazione, roccia madre e topografia. Questi fattori determinano dopo un certo periodo di tempo l’instaurarsi di un equilibrio fra la sostanza organica e la
sostanza umica del suolo. Naturalmente, il risultato varia nei diversi terreni
cosicché la sostanza organica e quella umica non solo si accumulano in quantità diverse ma raggiungono livelli differenti di maturità (Sparks, 1995).
L’effetto della sostanza organica sulla crescita delle piante è nota da molto tempo, ma solo recentemente questo effetto è stato attribuito ai
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 237-244 (2001)
238
Pizzeghello et al.
composti umici. I numerosi studi effettuati negli ultimi vent’anni non solo
hanno evidenziato come le sostanze umiche a seconda delle loro caratteristiche strutturali influenzino diversamente la crescita e lo sviluppo delle piante
(Vaughan e Malcolm, 1985), ma anche come l’attività biologica svolta dalle
sostanze umiche dipenda dalle loro proprietà ormono-simili e dal contenuto
in acido indolacetico (Muscolo et al., 1998). Il presente lavoro ha voluto studiare il turnover della sostanza organica proveniente da faggete termofile, mesofile ed acidofile sviluppatesi su substrati diversi con l’obiettivo di differenziare i gruppi mediante lo studio dell’attività biologica delle sostanze umiche.
Materiali e metodi
Studio dell’area
Ventisette suoli situati nella Provincia di Trento sono stati studiati in riferimento alla vegetazione, suolo e all’humus (Calabrese et al.,
1998). I suoli, tutti coperti da faggete, da un punto di vista fitosociologico
sono stati distinti in tre gruppi: faggete termofile (ID 1), mesofile (ID 2) ed
acidofile (ID 3).
Analisi chimiche e biochimiche
Le sostanze umiche sono state estratte dagli orizzonti A dei
campioni di terreno utilizzando il metodo di Dell’Agnola e Ferrari (1971).
La distribuzione dei pesi molecolari (I, II, III frazione: >100KD, 100-10KD
e <10KD) è avvenuta per cromatografia per Gel-filtrazione di ciascun estratto umico attraverso una colonna 70 x 1.6 cm (Pharmacia) di Sephadex G100. Come eluente si è impiegato 0.02M Na2B4O7. L’attività auxino- (AIA)
e gibberellino-simile (AG) delle sostanze umiche è stata saggiata mediante i
test Audus (Audus, 1972). La quantità di acido indolacetico (ELISA) presente nelle sostanze umiche è stata determinata tramite immunosaggio
(Phytodetek-AIA, Sigma). Le attività enzimatiche sono state effettuate su
plantule di Picea abies cresciute per 12 gg in condizioni sterili con soluzione nutritiva Hoagland addizionata di sostanze umiche e/o di acido indolacetico o di acido gibberellico. Successivamente 1 g di germogli è stato omogeneizzato (1:10 w/v) in 0.1M K-acetato (pH 4.0) contenente 0.1M di saccarosio per la determinazione dell’attività invertasica (INV) o in 0.1M tampone fosfato (pH 7.0) per l’attività perossidasica (PEROX). L’invertasi è stata valutata secondo la procedura di Arnold (1965) e la perossidasi secondo
Putter (1974).
Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete
diverse
239
Analisi statistica
I risultati dei parametri chimici dei 27 orizzonti A, suddivisi nei
tre raggruppamenti (ID 1, ID 2, ID 3), sono stati studiati mediante l’analisi
della varianza univariata (ANOVA) per determinare la presenza di differenze
tra le medie dei gruppi. Successivamente, mediante il test di StudentNewman-Keuls (S-N-K), sono stati effettuati confronti a coppie multipli per
identificare dei sottoinsiemi omogenei di medie che non differivano le une
dalle altre. Dato che nel nostro contesto i postulati del modello statistico su
cui si basa l’analisi della varianza non erano completamente soddisfatti, è stata successivamente applicata una tecnica non parametrica, il test di KruskalWallis (K-W) per verificare l’ipotesi nulla secondo la quale i tre gruppi considerati provenivano da popolazioni caratterizzate dalla stessa mediana.
Mediante il test K-W sono stati eseguiti confronti a coppie multipli per individuare gruppi tra loro omogenei. I risultati dei test non parametrici sono stati quindi messi a confronto con quelli ottenuti dai test parametrici. Le analisi
statistiche sono state effettuate mediante il programma SPSS versione 8.0.
Risultati e discussione
Secondo l’ANOVA (Tab. 1) i parametri in base ai quali le tre
faggete ID 1, ID 2, ID 3 risultano diverse sono: pH, AIA, ELISA, PEROX
e INV, ad un livello di significatività pari a p0.001, CU/CO e AG ad un livello di p≤0.01 e C/N per p≤0.05.
Dai confronti a coppie multipli del test S-N-K (Tab. 2) risulta
che le faggete termofile, mesofile ed acidofile differiscono tra loro per il pH
per p≤0.05, mentre le acidofile differiscono, sempre in termini di pH, dagli
altri due gruppi per p≤0.001. Le acidofile differiscono come C/N dalle faggete termofile e mesofile per p≤0.05. I tre gruppi non sono diversi invece per
quanto concerne il CO e neppure per il CU. Considerando invece il CU/CO
le faggete acidofile differiscono dalle termofile e dalle mesofile per p≤0.01.
In termini di qualità delle sostanze umiche (I, II e III frazione umica) non vi
sono differenze significative.
Le faggete acidofile differiscono in termini di risposta auxinosimile (AIA) dalle faggete termofile e mesofile ( p≤0.001); mentre le termofile differiscono dalle mesofile ed acidofile come attività gibberellino-simile
(AG) ( p≤0.01). Il contenuto in acido indolacetico (ELISA) delle acidofile è
diverso ( p≤0.001) da quello delle termofile e mesofile, come pure l’attività
perossidasica (PEROX). L’attività invertasica (INV) invece differisce significativamente per p≤0.001 in tutti e tre i gruppi.
240
Pizzeghello et al.
Tab. 1. Risultati dell'analisi della varianza univariata (ANOVA) applicata ai tre
raggruppamenti di faggete (ID 1, ID 2, ID 3).
Parametro*
PH
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
CO
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
C/N
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
CU
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
CU/CO
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
I frazione
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
II frazione Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
III frazione Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
AIA
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
AG
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
ELISA
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
PEROX
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
INV
Fra gruppi
Entro gruppi
Totale
Somma dei
quadrati
29.700
8.868
38.567
19.462
243.705
263.167
114.620
298.328
412.947
1.867
35.825
37.691
2529.370
3675.056
6204.425
130.277
760.389
890.667
32.612
998.129
1030.741
43.986
460.014
504.000
17.396
9.568
26.964
33.548
44.067
77.614
0.001
0.001
0.001
126340.792
57111.875
183452.667
35500.715
9678.914
45179.630
df
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
2
24
26
Media dei
quadrati
14.850
0.369
F
Sig.
40.189
0.0003
9.731
10.154
0.958
0.3977
57.310
12.430
4.610
0.0202
0.933
1.493
0.625
0.5436
1264.685
153.127
8.259
0.0019
65.139
31.683
2.056
0.1499
16.306
41.589
0.392
0.6799
21.993
19.167
1.147
0.3343
8.698
0.399
21.817
0.0001
16.774
1.836
9.136
0.0011
0.000
0.000
10.691
0.0005
63170.396
2379.661
26.546
0.0003
17750.358
403.288
44.014
0.0004
*CO, carbonio organico; CU, carbonio umico; I, II, III frazione >100KD, 100-10KD e
<10KD; AIA, attività auxino-simile; AG, attività gibberellino-simile; ELISA, acido indolacetico; Perox, attività perossidasica; Inv, attività invertasica.
Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete
diverse
241
Tab. 2. Sottoinsiemi non omogenei a diversi livelli di significatività (p) in base al
test di Student-Newman-Keuls.
Parametro
pH
ID
3
2
1
3
2
1
CO
3
2
1
C/N
1
2
3
CU
1
2
3
CU/CO
2
1
3
I frazione 3
1
2
II frazione 2
3
1
III frazione 2
1
3
AIA
1
2
3
AG
3
2
1
ELISA
1
2
3
PEROX
1
2
3
INV
3
2
1
pΩ
0.001
1
4.24
Sottoinsiemi
2
3
6.586
7.263
0.050
4.24
6.586
7.263
0.050
0.050
5.92
6.714
8.25
12.663
12.986
18.16
0.050
0.010
2.08
2.173
2.808
25.929
29.075
51.74
0.050
0.050
0.050
0.001
14.8
16.625
20.143
68.429
70.4
70.75
11.357
12.5
14.8
0.142
0.276
2.288
0.010
0.183
0.552
0.001
0.009
0.012
0.001
52.625
101
0.001
34.6
2.878
0.022
251
101.857
142
242
Pizzeghello et al.
Turnover della sostanza organica ed attività biologica di sostanze umiche provenienti da faggete
diverse
243
Dal test di Kruskal-Wallis (Tab. 3) le variabili pH, AG, PEROX
e INV sono significative nel distinguere i diversi campioni per p≤0.001,
mentre le variabili AIA ed ELISA risultano significative per p≤0.01 e
CU/CO per un p≤0.05.
Dal confronto a due a due dei gruppi (Tab. 3) si evince che le
faggete termofile e mesofile si differenziano tra loro per AG e INV ad un
p≤0.01 e per pH e PEROX per p≤0.05.
Le faggete termofile differiscono dalle acidofile per pH, AIA,
AG, ELISA, PEROX e INV per p≤0.01 e per C/N e CU/CO per p≤0.05;
mentre le faggete mesofile e acidofile differiscono tra loro per pH, CU/CO,
AIA, ELISA, PEROX e INV per p≤0.01 e per la I frazione per p≤0.05.
Conclusioni
Le tre faggete studiate possono essere considerate diverse in termini di pH (test S-N-K, test K-W). Come rapporto C/N le faggete termofile
e mesofile sono uguali, mentre differiscono entrambe dalle faggete acidofile. Nonostante non vi siano differenze significative né in termini di CO né
come produzione di CU, i rapporti CU/CO e C/N indicano un diverso turnover della sostanza organica nei gruppi delle faggete termofile-mesofile da
quello delle faggete acidofile. La resa in humus (CU/CO), quantitativamente più bassa in ambiente termofilo-mesofilo rispetto all’ambiente acidofilo è
in accordo con il turn-over della sostanza organica (Sparks, 1995). Dal punto di vista della qualità delle sostanze umiche, la frazione a peso molecolare
più elevato, indice di una maggiore evoluzione nel processo di umificazione
(Dell’Agnola e Ferrari, 1971), è significativa come elemento di distinzione
(test K-W) solo tra le faggete mesofile e le acidofile.
Per quanto riguarda l’attività biologica delle sostanze umiche
dai confronti fra le faggete termofile e le acidofile e fra le faggete mesofile
e le acidofile risultano differenze in termini di risposta auxinica, come pure
in contenuto di acido indolacetico, mentre i gruppi termofile e mesofile risultano simili. In termini di risposta gibberellino-simile risultano diversi i
gruppi delle faggete termofile e mesofile e i gruppi termofile e acidofile,
mentre sono simili le mesofile-acidofile.
Dall’elaborazione di questi dati si evince che sostanze umiche
prodotte da ecosistemi diversi e caratterizzate dal possedere attività biologica diversa attivano/stimolano nelle piante vie metaboliche differenti quali risposte per sopravvivere ad ambienti diversi. In particolare, tra i parametri
244
Pizzeghello et al.
considerati, il pH, l’attività auxino-simile, il contenuto in acido indolacetico,
l’attività perossidasica, l’attività invertasica, il rapporto C/N e CU/CO sono
risultati significativamente importanti. Da questo studio emerge che l’attività biologica delle sostanze umiche può essere utilizzata per distinguere gruppi di suoli selezionati mediante analisi fitosociologiche.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano la Dr.ssa M.S. Calabrese e il Dr. G. Sartori per il lavoro pedologico
svolto in campagna e il Dr. A. Zanella per lo studio fitosociologico.
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245
IL
CLIMA ED IL PEDOCLIMA DEI SUOLI DEI MONTI
DI PALERMO (PA)
Raimondi S., Lupo M. (*) 1
(*) Dipartimento di Agronomia Coltivazioni Erbacee e Pedologia
Viale delle Scienze, 90128 Palermo,
Riassunto
Gli Autori espongono i risultati dell’attività di ricerca sul clima e sul pedoclima
dei monti di Palermo. Essi sono stati ottenuti elaborando i dati termopluviometrici
di cinque stazioni di rilevamento. I risultati evidenziano un clima che oscilla dal semiarido (D) all’udico (C2); un regime di temperatura che varia dal termico marittimo al mesico; un regime di umidità fluttuante fra l’intermedio xerico torrico e l’udico. Dopo un’analisi dei risultati e delle caratteristiche dell’ambiente si sottolinea
la diversità fra i risultati ottenuti dall’elaborazione e le osservazioni di campagna sull’attività vegetativa delle piante erbacee annuali, che evidenziano un’area mesico
udica di montagna più ampia. I pedoclimi più diffusi sono: il termico marittimo - intermedio xerico torrico, il termico continentale - xerico ed il mesico - udico.
Introduzione
Il presente lavoro, si inserisce in un filone di studi e ricerche che,
ha come obiettivo la definizione del pedoclima (regimi idrico e termico) dei
suoli siciliani a media scala. Esso segue i lavori che hanno riguardato: il clima ed il pedoclima del monte Etna (Raimondi et al., in corso di stampa), dei
monti Erei (Raimondi et al., 1997b), delle Madonie (Raimondi e Lupo,
1998), della Sicilia occidentale (Raimondi e Lupo, in corso di stampa).
Attraverso la definizione del pedoclima è possibile interpretare i
processi pedogenetici dominanti in un’area, prevedere i tipi pedologici che in
essa evolvono e contribuire alla classificazione dei suoli secondo la Soil
Taxonomy (Raimondi, 1995; in corso di stampa b); nel campo della Land
Evaluation tutti gli elementi climatici e gli aspetti pedoclimatici costituiscono
caratteristiche e qualità del territorio che determinano l’attitudine per qualsiasi utilizzazione agricola o forestale (Raimondi e Lupo, 1998).
1 Il primo ha ideato il lavoro e ha curato la stesura del testo, il secondo ha effettuato l'elaborazione dei dati termopluviometrici ed ha redatto la cartografia tematica.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 245-259 (2001)
246
Raimondi e Lupo
La classificazione ottimale dei suoli, secondo la Soil Taxonomy
(Soil Survey Staff, 1997), è quella che armonizza i caratteri del suolo e la sua
attitudine nei confronti delle piante (Raimondi, 1998). Il pedoclima si definisce sulla base dei dati rilevati di temperatura e di umidità del suolo a diversa
profondità, oppure applicando dei modelli che simulano la realtà (Raimondi,
in corso di stampa b).
L’area dei monti di Palermo ricade nel mezzo fra Le Madonie
ed i monti del trapanese (Sicilia occidentale).
Materiali e metodi
Il territorio preso in considerazione è ubicato nella fascia settentrionale della provincia di Palermo. Esso è delimitato ad est dal mare e da una
retta ad andamento nord-sud, tracciata in prossimità del sistema collinare posto ad occidente di Partinico; a sud e ad est, da due linee tracciate un po’ sotto S. Cipirello la prima, ed a est del centro abitato di Villabate, la seconda.
Il rilievo montuoso ha andamento nord ovest - sud est. Le cime
più alte si raggiungono, nella parte centrale, con i monti Cuccio (1.050 m
s.l.m.), Gibilmesi (1.156 m s.l.m.), Signora (1.131 m s.l.m.), Mirabella
(1.165 m s.l.m.), La Pizzuta (1.133 m s.l.m.), Kumeta (1.233 m s.l.m.). A
nord ovest sono presenti alcuni monti che non raggiungono i 1.000 m di altezza (Castellaccio 890 m s.l.m., Montanello 964 m s.l.m., Corvo 910 m
s.l.m.), mentre a sud è presente il monte Leardo con i suoi 1016 m s.l.m..
A nord e ad ovest della catena montuosa, si trovano le aree pianeggianti della Conca d’Oro, della piana di Carini e di Partinico. I fiumi più
importanti sono: l’Eleuterio, che sfocia nei pressi di Villabate; l’Oreto, che
attraversa Palermo; lo Iato che scorre ad ovest di Partinico; il Belice destro,
a sud di Piana degli Albanesi.
Le aree pianeggianti ed i rilievi più alti sono collegati da unità
morfologiche che, facilmente raggiungono i 700 - 800 m di quota e che, insieme alla natura calcarea e dolomitica, conferiscono al paesaggio una notevole asprezza. Numerose sono le vallate strette ed aperte a nord.
Gli affioramenti litologici dominanti risultano di natura calcarenitica, calcareo magnesiaca, argilloso-arenacea e marnosa (Catalano et al.,
1978).
L’utilizzazione del suolo, nelle aree piane settentrionali ed occidentali, è rappresentata dall’agrumeto, dall’orto e dal vigneto, mentre nel-
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
247
la restante parte dominano il seminativo, l’agrumeto limitatamente ai fondivalle, l’uliveto ed il frutteto (pero, susino, albicocco e mandorlo). La gestione in pianura e nei fondivalle è in irriguo. Alle quote maggiori si riscontrano il pascolo ed il bosco (querce, pini, cipressi).
Il clima ed il pedoclima sono stati valutati tramite i dati termopluviometrici di cinque stazioni. Queste, gestite dal Servizio Idrografico del
Genio Civile sono: Palermo Castelnuovo (54 m s.l.m.), Monreale (750 m
s.l.m.), Partinico (189 m s.l.m.), S. Giuseppe Iato (450 m s.l.m.), Piana degli Albanesi (750 m s.l.m.). Il periodo storico preso in considerazione è il
1951-1994.
I dati termopluviometrici sono stati elaborati secondo i seguenti concetti: bilancio idrico del suolo di Thornthwaite (Thornthwaite e Mather,
1957); rappresentazione grafica di Billaux (Billaux, 1978), per studiare la sezione di controllo dell’umidità; bilanci idrici in funzione dell’annata agraria
(periodo settembre - agosto); capacità di ritenzione idrica del suolo considerata nei bilanci 25, 50, 100, 200 e 300 mm. Per ogni annata agraria è stato
classificato il clima, e sono stati valutati i regimi di temperatura e di umidità, secondo le indicazioni della Soil Taxonomy. Tutte le variabili del clima e
del pedoclima annuali sono state elaborate secondo i principi del calcolo probabilistico (Raimondi et al., 1997a), per ottenere un dato che si deve ripetere per almeno 6 anni su 10 (cioè deve avere la probabilità del 60%).
La zonizzazione delle variabili ottenute è stata effettuata mediante l’interpolazione altimetrica e sono state redatte 10 carte tematiche.
Risultati e discussione
La fig. 1 mostra la distribuzione della temperatura media annua
dell’aria, che oscilla da valori di poco inferiori a 14 °C, sulle cime più elevate (monti Kumeta, La Pizzuta, Mirabella, Signora e Cuccio), a valori superiori ai 18 °C, in tutta la fascia costiera settentrionale ed occidentale, con
una maggiore estensione in quella meridionale. Con l’isoterma 18 °C si è voluto mettere in evidenza, come già effettuato per altre area, la fascia più calda in cui domina l’agrumeto e si hanno condizioni climatiche diverse rispetto ai territori con temperatura < 18 °C (le escursioni giornaliere e stagionali
sono inferiori).
La fig. 2 mostra la distribuzione della piovosità totale annua
(mm). Il territorio con piovosità < 500 mm, interessa tutta la fascia costiera,
parte delle vallate collinari ed il sistema collinare posto ad ovest di S.
248
Raimondi e Lupo
Fig. 1 - Distribuzione della temperatura media annua dell’aria (°C).
Cipirello; la fascia 500-750 mm interessa un’area pedemontana il cui limite
si trova poco superiore ai 500 m s.l.m. ad ovest e intorno ai 300 m s.l.m. a
nord; la classe 750 - 1000 mm caratterizza il cuore del sistema montuoso,
mentre si superano i 1000 mm sulle cime più elevate.
Per quanto riguarda i tipi climatici (fig. 3) la variabilità è piuttosto limitata. Fra i tipi climatici del gruppo degli aridici, con indice di umi-
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
249
Fig. 2 - Distribuzione della piovosità media annua (mmm).
dità globale negativo (Im < 0), è presente il semiarido (D) e quello da subumido a subarido (C1); il primo si riscontra in tutta l’area pianeggiante costiera e in quella collinare sud occidentale, mentre il secondo interessa il
massiccio montuoso, le aree vallive interne e le collinari, specialmente quelle settentrionali. Del gruppo dei climi umidi (Im > 0), è presente soltanto il
tipo climatico da umido a subumido (C2; 20 > Im ≥ 0), individuato nella par-
250
Raimondi e Lupo
Fig. 3 - Distribuzione dei tipi climatici secondo la classificazione di
C. W. Thornthwaite (Im = indice di umidità globale).
te sommitale della catena montuosa, settore meridionale.
In base all’efficienza termica (evapotraspirazione potenziale)
sono state individuate tre varietà climatiche (fig. 4) comprese fra il primo
mesotermico (PE 427 - 570 mm) ed il terzo mesotermico (PE = 855 - 997
mm). La varietà climatica più diffusa è il terzo mesotermico, mentre il pri-
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
251
Fig. 4 - Distribuzione delle varietà climatiche
(PE = Evapotraspirazione potenziale in mm)
mo mesotermico è presente soltanto sulle cime più alte.
La fig. 5 mette in evidenza la distribuzione della temperatura
media del suolo. Il territorio considerato si inserisce prevalentemente nel regime di temperatura termico (15 ≤ T °C < 22). L area interessata è posta a
quote inferiori ai 900-1000 m in relazione al versante. Quest’area sulla car-
252
Raimondi e Lupo
Fig. 5 - Distribuzione dei regimi termometrici dei suoli
(T = temperatura media annua del suolo in °C).
ta è stata suddivisa come termico marittima (T1), perché in essa è notevole l’influenza del mare e, nel settore sud occidentale, l’effetto versante conseguente all’esposizione sud ed alla protezione dai venti freddi settentrionale operata dal sistema montuoso di Palermo, e termico continentale (T2).
Sulle cime più elevate si riscontra il regime mesico (8 ≤ T °C < 15).
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
253
Fig. 6 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una
capacità di ritenzione idrica disponibile di 25 mm.
Nelle figure 6, 7, 8, 9 e 10 vengono riportate le distribuzioni dei
regimi idrici dei suoli per valori crescenti di capacità di ritenzione in acqua
disponibile (A.W.C.): 25, 50, 100, 200 e 300 mm. Nel primo caso (fig. 6) risulta dominante il regime intermedio xerico torrico, mentre lo xerico è presente a quote superiori ai 300 m nel versante settentrionale, e al di sopra dei
500 m in quello meridionale. Nella fig. 7 (A.W.C. = 50 mm) l’area a regime
254
Raimondi e Lupo
Fig. 7 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una
capacità di ritenzione idrica disponibile di 50 mm.
intermedio xerico torrico è meno estesa. Essa risulta ubicata lungo la fascia
costiera pianeggiante e nel sistema collinare sud occidentale. Il limite altimetrico superiore è posto ad una quota di 300 m a sud e 100 m a nord. Nella
fig. 8 (A.W.C. = 100 mm), l’area a regime intermedio xerico torrico è di poco più piccola. Nella fig. 9 (A.W.C. = 200 mm) l’intermedio xerico torrico è
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
255
Fig. 8 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una
capacità di ritenzione idrica disponibile di 100 mm.
ancora meno esteso, riscontrandosi nella piana di Partinico, mentre lo xerico
risulta nettamente dominante. Sulle cime più alte Kumeta e la Pizzuta compare l’udico. Nella fig. 10 (A.W.C. = 300 mm) l’intermedio xerico torrico è
scomparso, lo xerico domina e l’udico, alle quote più elevate della catena
montuosa, si presenta con un’area più ampia.
256
Raimondi e Lupo
Fig. 9 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una
capacità di ritenzione idrica disponibile di 200 mm.
Conclusioni
Gli elaborati cartografici mettono in evidenza un clima dominante di tipo arido, che cede il posto al tipo umido, sulle cime più alte del rilievo nel settore meridionale. La fascia costiera settentrionale ed occidentale è fra le zone più calde ed aride.
Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
257
Fig. 10 - Distribuzione dei regimi idrici dei suoli aventi una
capacità di ritenzione idrica disponibile di 300 mm.
Per quanto concerne il regime idrico, il presente lavoro, ha confermato la presenza dell’intermedio xerico torrico e dello xerico, già individuati in altre elaborazioni (Raimondi, 1993). Il contributo di questo lavoro
consiste nell’aver individuato il regime idrico udico, sulle cime più alte.
La distribuzione dei parametri climatici e pedoclimatici nell’a-
258
Raimondi e Lupo
rea pianeggiante ed in quella collinare sud occidentale è influenzata dal mare e dall’esposizione sud. L’area è protetta dai venti settentrionali. Nella parte sommitale a pedoclima mesico - udico si riscontrano aree a pascolo, roccia affiorante, macchia mediterranea e piccole superfici boccate. Nell’area a
pedoclima termico marittimo - intermedio xerico torrico, è presente quasi
tutta la superficie adibita ad agrumeto dal palermitano. Nella vegetazione naturale è presente la palma nana.
Gli elaborati cartografici hanno evidenziato una influenza dell’effetto versante sulla distribuzione degli elementi climatici e pedoclimatici.
Questi risultati si armonizzano solo in parte con quanto è stato
osservato in pieno campo in questi anni. L’attività vegetativa mostra un clima decisamente più umido sul rilievo rispetto alla valutazione effettuata.
Tale discordanza probabilmente è dovuta ai valori termometrici rilevati nelle stazioni di Palermo e Monreale; questi sono più elevati per l’influenza dell’area urbana nella prima stazione e per l’esposizione ovest nella seconda
discostandosi da una esposizione nord a cui si fa prevalentemente riferimento. L’area mesico - udico quindi, è sicuramente più ampia di quella cartografata.
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Il clima ed il pedoclima dei suoli dei monti di Palermo (PA)
259
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261
SU DI UNA TOPOSEQUENZA NEL
ARMERINA (EN)
BOSCO DI
PIAZZA
Salvatore Raimondi, Marcello Lupo, Delia Tusa
Dipartimento di Agronomia, Coltivazioni Erbacee e Pedologia
Università degli Studi di Palermo
Riassunto
Gli autori riportano i risultati di uno studio su una toposequenza che evolve sulle sabbie con intercalazioni calcarenitiche, nel bosco di Piazza Armerina. Dopo aver
descritto i suoli presenti nei pianalti, nelle doline e nei versanti di raccordo, propongono tre serie di suoli secondo i concetti della Soil Taxonomy dell’USDA, mettendo in evidenza la loro adattabilità per le piante e la loro sensibilità ad usi alternativi.
Abstract
The AA. refer on results of a survey of a catena of soils evolving on sands with
calcarenitic intercalations on Piazza Armerina wood land. After described soils typical of the upper table lands of the dolinas and slopes, they propose three series of
soils according to the concepts of USDA Soil Taxonomy, descriving their suitability
for plants and for alternative uses.
Premessa
Il bosco di Piazza Armerina (EN), di proprietà dell’Azienda
Foreste Demaniali della Regione Sicilia è localizzato sui monti Erei meridionali, a nord dell’omonimo centro abitato. E’ costituito da sei aree, per una
superficie complessiva di 5887 ettari. Si tratta di territori rimboschiti, ormai
da quaranta anni, in cui la copertura forestale è costituita prevalentemente da
Eucalyptus camaldulensis e E. globulus.
L’unità boscata più estesa, chiamata Bellia, è di 4051 ettari. Le
classi di pendenza maggiormente rappresentate sono la subpianeggiante (26%) e la poco inclinata (6-15%). La quota massima è di 898,5 m s.l.m. (monte Campana Bannata), mentre la quota minima è di 370 m s.l.m. (vallone S.
Bartolo). Nel comprensorio si effettuano da diversi anni delle osservazioni
sui suoli e sulla variazione del loro contenuto idrico nel corso dell’anno; lo
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 261-268 (2001)
262
Raimondi et al.
scopo è quello di realizzare una caratterizzazione pedo-agronomica finalizzata alla redazione di piani di gestione e di utilizzazione del bosco. Secondo
la Carta dei Suoli di Ballatore e Fierotti (1968) nell’area si riscontrano
Regosuoli da rocce sabbiose e conglomeratiche, mentre secondo Fierotti et
al. (1988) i suoli si classificano Typic Xerochrepts, Typic Haploxeralfs e
Typic e/o Lithic Xerorthents. Raimondi et al. (1997) hanno investigato il clima ed il pedoclima mettendo in evidenza la presenza del pedoclima MesicoUdico.
Obiettivo della presente nota è quello di mettere in evidenza la
variabilità pedologica al variare delle condizioni topografiche, in una delle
unità morfologiche altimetricamente più elevate e cioè sul monte Grottascura
(896,3 m s.l.m.), il secondo per altezza del bosco. I due rilievi sono separati dal vallone Grottascura.
Materiali e metodi
Caratteristiche dell’area
La catena dei monti Erei è costituita da un insieme di moderati
rilievi e pianori, che dalla catena settentrionale dei monti Nebrodi-Madonie
si dirigono verso S-SE fino alla zona dell’Altipiano Ibleo. Nella loro parte
meridionale, da Calascibetta a Caltagirone, affiorano formazioni sabbiosoarenitiche, di età plio-pleistocenica. I pianori degli Erei sono generalmente
separati da valli più o meno incise. Le potenti serie sabbiose si presentano
come altipiani dolcemente degradanti verso il mare in seguito al sollevamento quaternario.
La formazione geologica a sud della linea immaginaria che congiunge i rilievi monte Sambuco e Montagnola (agro di Piazza Armerina) fino quasi a mare (Vittoria-RG) è costituita da sabbie del Siciliano (Pleistocene); mentre quella affiorante a nord (monte Grottascura), appartiene
all’Astiano (Pliocene superiore) (Servizio Geologico d’Italia, 1976). La granulometria evidenzia la presenza di 80% o più di sabbia quarzosa, prevalentemente fine, mista a carbonato di calcio. Il peso specifico reale (kg m-3) è
di 2,6, la densità apparente di 1,4 e la porosità del 45,4%. All’interno dei depositi sabbiosi si rinvengono intercalazioni di strati sub-paralleli rappresentati da calcareniti (spessore compreso tra pochi centimetri e un metro).
In alcune zone si riscontrano delle doline di subsidenza (Castiglione, 1979), spesso con l’inghiottitoio otturato. Queste conche naturali, come il lago di Pergusa, sono l’effetto del carsismo a carico dei gessi sotto-
Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN)
263
stanti le sabbie con intercalazioni di arenarie.
Morfologicamente sono evidenti dei pianalti, delle conche e dei
versanti di raccordo con pendenze variabili.
Gli elementi del clima e del pedoclima dei monti Erei meridionali (Raimondi et al., 1997), sono stati valutati tramite i dati termopluviometrici delle stazioni di Piazza Armerina, Gela, Enna, Don Sturzo, Caltagirone e Mazzarino. Il periodo storico considerato è il 1951-1994 e la base cartografica utilizzata per cartografare gli elementi climatici e pedoclimatici è
stata il 200.000. I dieci documenti cartografici mostrano la loro distribuzione geografica ottenuta mediante l’interpolazione altimetrica delle variabili.
Da essi, in contrada Grottascura si rileva quanto segue: temperatura media
dell’area fra 13 e 14 °C; piovosità media annua fra gli 800 ed i 900 mm; clima secondo la classificazione di Thornthwaite è da umido a sub-umido
(0≤Im<20), secondo mesotermico (714≤PE<855); regime di temperatura
mesico (8≤T°C<15); regime di umidità udico. Quest’ultimo, come riportato
da Raimondi et al. (1997), è udico in quanto il limite calcolato fra lo xerico
e l’udico, per i suoli molto profondi, si trova localizzato a quota 938 m; però, considerando la morfologia dell’area (con ampi pianalti e vallate) e la copertura boscata, l’ambiente nella realtà risulta essere più umido dello xerico
stimato attraverso l’elaborazione dei dati termopluviometrici. L’udicità, è
evidenziata dall’attività vegetativa delle piante erbacee annuali e dalla vite.
Infatti, il frumento si raccoglie alla fine di luglio sui suoli profondi e l’uva
dei vigneti adiacenti non raggiunge la piena maturazione e rimane acidula.
Le colture più diffuse nella zona sono il nocciolo ed il castagno (quest’ultimo è in stato di abbandono) intercalate ai pascoli. Anche lo sviluppo delle
piante di eucalitto, con circonferenze a petto d’uomo di m 3,80, denota la
presenza di aree con buone condizioni di udicità.
L’indagine pedologica e le analisi fisico-chimiche
Durante il rilevamento pedologico sono stati aperti e osservati
numerosi profili e spacchi naturali. I suoli che si presentano in questa nota,
sono rappresentati dai profili Piazza Armerina 49, 50 e 53; evolvono rispettivamente nei pianalti, nelle conche e sui versanti di raccordo. Risultano ubicati a 890, 805 e 840 m s.l.m.. Il 49 è sito in prossimità della cima del monte Grottascura, il 53 è ubicato circa 500 m a sud della cima, ed il 50 a 200
m a sud-ovest da quest’ultimo. I profili sono stati descritti e campionati, e
sui campioni di terra sono state effettuate le analisi fisico chimiche, seguendo le metodologie ufficiali (Osservatorio Nazionale Pedologico e per la
Qualità del Suolo, 1994). Infine, i suoli sono stati classificati a livello di serie utilizzando la Soil Taxonomy (Soil Survey Staff, 1997).
264
Raimondi et al.
Risultati
I suoli qui descritti sono tipicamente forestali ed hanno una lettiera composta dai residui dell’eucalitto, quindi non facilmente trasformabile dalla flora e fauna terricola. Lo strato di sostanza organica umificata (Oe)
è sottile e la porzione rimescolata dalla fauna terricola nel materiale terroso
del primo orizzonte minerale (A) è esigua. Il profilo tipo dei suoli meno disturbati dall’attività antropica è O-A-E-Bt-Bw-C. Il processo pedogenetico
dominante nell’area investigata è caratterizzato da: decarbonatazione, lisciviazione di argilla e sesquiossidi, desaturazione del complesso di scambio.
Nella tabella 1 si riportano le caratteristiche fisico chimiche dei
campioni prelevati.
I suoli dei pianalti, rappresentati dal profilo Piazza Armerina 49,
risultano a profilo O-A-E-Bt-Bw-C, profondi o molto profondi, di colore
bruno (7,5YR 5/4) in superficie, bruno forte (da 7,5YR 4/6 a 5/8) nell’orizzonte Bt, mentre nel Bw sono bruno giallastri (10YR 5/6). La struttura a granuli singoli nell’AE, diventa poliedrica sub-angolare ed angolare nel Bt e poliedrica sub-angolare ed a granuli singoli nel Bw. La tessitura oscilla dalla
sabbiosa, nell’orizzonte AE, alla franco sabbiosa nell’orizzonte Bt. E’ sabbioso franca nel materiale terroso del Bw. I granuli di quarzo nell’orizzonte
AE sono privi di rivestimenti. Lo scheletro generalmente è assente, con l’eccezione del Bw in cui è comune e di natura calcarenitica. Sono generalmente acalcarei, con l’eccezione dell’involucro terroso dello scheletro calcarenitico, in cui sono scarsamente calcarei (1% circa). La reazione è neutra nell’orizzonte AE, moderatamente acida nel Bt e debolmente acida nel Bw. La
saturazione in basi del complesso di scambio è bassa nel Bt con punte del
35%, mentre è elevata in profondità (Bw) e nell’orizzonte AE.
Considerata la notevole diffusione di questi suoli si propone l’istituzione della seguente serie:
Ultic Hapludalfs, sabbiosi, silicei, mesici sulle sabbie plioceniche, serie Grottascura (profilo Piazza Armerina 49).
I suoli delle conche (Piazza Armerina 50) risultano a profilo OA-2E-2Bt, molto profondi. La discontinuità è dovuta all’arrivo di materiale
terroso che si è depositato sulla superficie. E’ probabile che tale fenomeno
si sia verificato in seguito a disboscamento ed erosione dei versanti adiacenti, o dopo un incendio. Alla base della buca è stata effettuata una trivellata,
e per un altro metro di profondità il materiale terroso manteneva inalterate le
sue caratteristiche.
Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN)
265
266
Raimondi et al.
Il colore in superficie è bruno scuro (7,5YR 3/4), bruno forte
(7,5YR 4/6) nell’orizzonte 2E e bruno scuro (da 7,5YR 4/4 a 3/4) nell’orizzonte 2Bt. La struttura è poliedrica sub-angolare in superficie, poliedrica
sub-angolare ed a granuli singoli nel 2E, poliedrica angolare tendente a prismatica nel Bt. La tessitura dell’orizzonte superficiale è franco sabbiosa; è
sabbioso franca nel 2E, mentre è franca nel Bt. Lo scheletro è assente. Il suolo è acalcareo ed ha reazione debolmente acida. La saturazione del complesso di scambio è elevata ((75%), eccetto nell’orizzonte E in cui assume il
valore del 71%.
Per questi suoli, anche se meno diffusi dei precedenti, si propone la classificazione a livello di serie così definita:
Typic Hapludalfs, franco grossolani, misti, mesici sui depositi
colluviali recenti, serie Conca (profilo Piazza Armerina 50).
I suoli dei versanti di raccordo fra i pianalti e le conche sono
rappresentati dal profilo Piazza Armerina 53. Sono a profilo O-A-Bw-C, profondi o molto profondi, di colore da bruno giallastro (10YR 5/8) in superficie, a giallo brunastro (10YR 6/8) nell’orizzonte Bw. L’orizzonte C, durante
lo scavo della buca, non è stato raggiunto; lo stesso però è stato osservato
nelle vicinanze ed è di colore bruno giallastro chiaro (10YR 6/4). La tessitura è sabbiosa in tutti gli orizzonti. Lo scheletro è assente nel primo metro
di profondità, mentre è comune sia nel Bw in profondità, che nell’orizzonte
C. In quest’ultimo è facile trovare sottili livelli di calcarenite in via di decomposizione. Lo scheletro è di natura calcarenitica e costituisce i resti di livelli cementati. Questi suoli sono acalcarei, con l’eccezione di un sottile rivestimento terroso, a contatto con lo scheletro, scarsamente calcareo (1% circa); il calcare è abbondante nel C. La reazione è neutra. La saturazione del
complesso di scambio è elevata ((75%).
Considerata la notevole diffusione di questi suoli lungo i versanti
dei rilievi più importanti si propone la seguente serie di suoli, così definita:
Typic Xerochrepts, sabbiosi, silicei, mesici sulle sabbie plioceniche, serie Marcato Grottascura (profilo Piazza Armerina 53).
Conclusioni
Gli affioramenti sabbioso-calcarenitici in Sicilia, escludendo la
fascia costiera, risultano maggiormente diffusi nelle provincie di Caltanissetta ed Enna, ove costituiscono unità morfologiche collinari e montane. I
Su di una toposequenza nel bosco di Piazza Armerina (EN)
267
suoli che su di essi evolvono hanno caratteristiche che risultano strettamente legate al processo della lisciviazione. L’area investigata con il presente lavoro è una delle zone siciliane in cui l’intensità della lisciviazione è più alta, favorita dai seguenti fattori: substrato permeabile, clima umido, morfologia collinare-montana con ampie spianate e vallecole, e presenza del bosco.
L’orizzonte A naturale dei suoli delle spianate è stato eroso ed attualmente
tende a riformarsi a spese dell’orizzonte E, definito AE. L’orizzonte E, che
naturalmente si forma, tende a scomparire in seguito all’intervento dell’uomo con: il disboscamento e la conseguente erosione, la messa a dimora di
piante, il taglio del sottobosco ed il calpestio degli animali al pascolo. Nelle
aree non disturbate dall’attività antropica l’orizzonte E è meglio espresso e
più desaturato (Raimondi e Lupo, 1999). La presenza dell’orizzonte E in
questi suoli costituisce un’altra espressione dell’udicità dell’area. Nelle aree
di conca l’orizzonte E tende a scomparire quando il suolo viene ricoperto da
apporti di materiale terroso proveniente dai versanti, e tende a riformarsi in
superficie (per le condizioni pedoclimatiche favorevoli). La prima caratteristica che evidenzia questo processo è la presenza di granuli ben puliti.
Il bosco è l’utilizzazione migliore per queste superfici, perché
conserva il suolo e richiede pochi interventi di gestione. La trasformazione
delle superfici pianeggianti per fini agricoli è improponibile perchè:
1) richiederebbe notevoli capitali per la gestione, in quanto questi suoli sono poveri dal punto di vista della fertilità e si renderebbero necessarie laute fertilizzazioni, con potenziali rischi per le acque di falda (nell’area esistono falde idriche molto ricche utilizzate per usi civili);
2) il suolo diventa vulnerabile nei confronti del fenomeno erosivo;
3) la coltura del frumento (tipica in Sicilia) su questi suoli è a
rischio perchè l’acqua trattenuta dal sistema suolo è insufficiente per soddisfare la sua attività biologica primaverile-estiva (subisce il fenomeno della
stretta).
La copertura forestale ha contribuito, almeno negli ultimi decenni, a preservare il suolo da processi di degradazione naturali o antropici
e a indirizzare la pedogenesi verso condizioni di “naturalità”. Inoltre il sovrassuolo, rallentando il deflusso superficiale delle acque, ha favorito la ricarica delle falde acquifere e la loro persistenza. Nell’area, il bosco ha esplicato una grande funzione ecologica e paesaggistica sia per il ritorno delle
querce, che vi nascono naturalmente, sia per l’impronta estetica e di vivibilità che dà al paesaggio (durante l’estate le superfici non boscate mostrano
una notevole aridità).
268
Raimondi et al.
E’ convinzione degli Autori del presente contributo che la conoscenza del processo pedogenetico dominante in questi suoli contribuisce a
risolvere importanti quesiti pratici come la scelta delle colture e la programmazione della tecnica gestionale più compatibile.
Bibliografia
BALLATORE G. P., FIEROTTI G., 1968. Carta dei Suoli della Sicilia., Istituto di Agronomia e Coltivazioni Erbacee,
Palermo.
CASTIGLIONE G. B., 1979. Geomorfologia, UTET, Torino, 436 pp..
FIEROTTI G., DAZZI C., RAIMONDI S., 1988. Commento alla Carta dei Suoli della Sicilia. Regione Sicilia,
Assessorato Territorio e Ambiente, Palermo, 19 pp..
OSSERVATORIO NAZIONALE PEDOLOGICO E PER LA QUALITÀ DEL SUOLO, 1994. Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo, Roma, 207 pp..
RAIMONDI S., LUPO M., SARNO M. 1997. Il clima ed il pedoclima dei monti Erei meridionali. Sicilia Foreste, anno IV N. 15/16: 39-45.
RAIMONDI S., LUPO M., 1999. Climate, soil climate, and soils over Pleistocene sands on the southern side of Erei
mountains (Sicily -Italy). Extended abstracts, 6 th International Meeting on Soils with Mediterranean
Type of Climate, Barcelona 4-9 July 1999, Spain, 480-482.
SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA, 1976. Carta geologica d’Italia. Foglio n. 5.
SOIL SURVEY STAFF, 1997. Keys to Soil Taxonomy, Seventh Edition, United States Department of Agriculture,
Washington, 544 pp..
Note
Il primo è Professore associato, il secondo ed il terzo sono Dottorandi in Pedologia. Il primo
ha ideato ed ha coordinato il lavoro, il secondo ed il terzo hanno eseguito le analisi di laboratorio. Il rilevamento pedologico e la stesura del testo sono da attribuire in parti uguali agli
autori.
269
LA SERIE DEI SUOLI FLORESTA SUI MONTI
NEBRODI IN SICILIA
Raimondi S.*, Mirabella A.**, Screpis S.**
*Dipartimento di Agronomia, Coltivazioni Erbacee e Pedologia - Università di Palermo
Viale delle Scienze. 90128 Palermo
**Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo -MIPAF
Piazza D’Azeglio 30, 50121 Firenze
Riassunto
L’indagine di campagna e le analisi fisico-chimiche e mineralogiche hanno permesso di definire la serie di suoli Floresta in agro di Floresta sui monti Nebrodi. I
dati raccolti hanno permesso di evidenziare una discontinuità litologica nel suolo in
esame, formatosi da un deposito di piroclastiti provenienti dall’Etna nella parte superiore e dall’alterazione della formazione litologica arenacea nella parte sottostante. Inoltre, gli autori hanno descritto le caratteristiche pedoclimatiche, che sono molto importanti in quest’area per l’uso dei suoli. Secondo la Soil Taxonomy, considerando i dati attualmente disponibili, il suolo potrebbe rientrare fra gli Alic
Fulvudands, rappresentando la prima serie degli Andisuoli in Sicilia.
Abstract
By means of soil survey, physico-chemical and mineralogical investigations the
series of soils Floresta was defined in locality Floresta in the Nebrodi mountains. A
lithological discontinuity was detected in the examined soil, originated from pyroclastic deposits coming from Etna volcano in the higher part and from the weathering of the sandstone formation in the lower part. Furthermore, authors have described the climate which is very important in this area for the use of soils. According
to Soil Taxonomy, and on the basis of the present available data, the soils could belong to gli Alic Fulvudands, representing the first Sicilian series of Andisols.
Introduzione
Nel 1991, dopo la realizzazione dell’elaborazione cartografica
sul pedoclima della Sicilia a piccola scala (Raimondi, 1991), questo autore
decise di iniziare a rilevare in campagna le condizioni di umidità di alcuni
suoli specifici e rappresentativi di ambienti tipici siciliani.
Un’area molto interessante dal punto di vista agronomico, per i
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 269-282 (2001)
270
Raimondi et al.
suoi pascoli primaverili estivi, è risultata essere quella dei monti Nebrodi e
precisamente la zona di Floresta (ME), perché è caratterizzata da un regime
idrico udico per i suoli profondi (Raimondi, 1991; 1993).
In seguito ai diversi sopralluoghi effettuati in questa area, è stato selezionato un suolo tipico, che si contraddistingue, rispetto ai suoli della
maggior parte della Sicilia, per l’elevato contenuto idrico nel mese di agosto
(quasi sempre superiore al 20%), per il suo aspetto polverulento quando
asciutto e per la sua notevole potenzialità pastorale estiva. Gli abitanti del
luogo sottolineano che periodicamente, durante le eruzioni dell’Etna, che come è noto è un vulcano che dà origine a rocce eruttive basiche (basalti) ed è
adiacente all’area in oggetto, la zona è interessata da accumulo di cenere e
scorie (piroclastiti). Tale fenomeno si sviluppa nell’area a monte dei 900 m
s.l.m. nel versante nord ed al di sopra dei 1000 m s.l.m. nel versante sud.
Questi sono stati i presupposti che hanno condotto ad effettuare, sul suolo selezionato, alcune indagini preliminari fisico-chimiche e mineralogiche, allo scopo di determinarne i principali processi pedogenetici e
l’origine. Questa ricerca si inserisce in un filone di studi finalizzato alla costituzione di un inventario pedologico siciliano a livello di serie, fondamentale per l’applicazione di qualsiasi metodologia di Land Evaluation e per la
messa a punto di politiche agricole in armonia con le caratteristiche ambientali (Sequi, 1994).
Materiali e metodi
Caratteristiche dell’area
Il suolo in esame si trova in un’area ubicata in contrada Polverello ad una quota di 1200 m s.l.m. circa. Nell’area sono presenti affioramenti di arenarie o marnoso arenacee del miocene medio-inferiore (Servizio
Geologico d’Italia, 1976). I suoli sulle pendici sono generalmente erosi e poco o mediamente profondi, mentre quelli che raggiungono e superano il metro di spessore si trovano in aree pianeggianti ed alla base dei pendii in cui
si è verificato un accumulo di materiale terroso eroso. E’ in queste aree che
si riscontrano i suoli meglio conservati la cui evoluzione è verosimilmente
influenzata da depositi piroclastici e le cui caratteristiche sono pertanto legate a tale deposizione. Secondo la Carta dei Suoli della Sicilia (Fierotti et
al., 1988) l’ambiente è xerico ed i suoli rientrano nei sottogruppi tipici dei
Xerumbrepts, dei Xerochrepts e degli Haploxeralfs.
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
271
Il clima, dalla elaborazione dei dati termopluviometrici della stazione di Floresta, risulta: secondo Koppen mesotermico temperato umido con
una stagione estiva arida dominante e con una temperatura del mese più caldo > 22 °C; secondo Lang temperato propriamente detto; secondo De
Martonne umido; secondo Crowther zona con eccessiva umidità; secondo
Bagnouls e Gaussen submediterraneo con 2 mesi secchi; secondo la classificazione fitoclimatica del Pavari Fagetum sottozona calda; secondo Thornthwaite (Thornthwaite, 1957) umido (B3), primo mesotermico (B1’). La temperatura media annua dell’aria risulta di 11,3 °C, la precipitazione media annua di 1125 mm, il regime idrico (Billaux, 1978) è xerico (giorni asciutti
≤180) per i suoli aventi una A.W.C. inferiore o uguale a 200 mm, mentre risulta udico per una riserva idrica di 300 mm (Fig. 1). Il regime termometrico
è mesico (temperatura media annua del suolo compresa fra 8 e 15 °C).
L’uso attuale dei suoli è dominato dal pascolo, dal bosco di castagno, dal faggio e da noccioleti. Nell’ambito della vegetazione erbacea, oltre alle graminacee ed alle leguminose è presente la felce (Pteridium aquilinum).
L’indagine pedologica e le analisi fisico-chimiche e
mineralogiche
Per selezionare il suolo individuato e descritto sono stati aperti
e osservati diversi profili e spacchi naturali. Il suolo, risultato rappresentativo delle aree pianeggianti, è stato descritto e campionato e sui campioni di
terra sono state effettuate le analisi fisico chimiche e mineralogiche.
Il suolo è stato classificato, utilizzando la Soil Taxonomy (Soil
Survey Staff, 1997), a livello di serie.
La tessitura è stata determinata, previa distruzione della sostanza organica con H2O2, per sedimentazione in acqua distillata col metodo della pipetta; la densità apparente è stata eseguita su campioni indisturbati; la
ritenzione idrica è stata misurata con l’apparecchiatura di Richard a 33 e
1550 kPa; il pH è stato determinato potenziometricamente in acqua distillata (1:2.5), in KCl 1N (1:2.5) e in NaF 1N (1:50).
Le analisi chimiche sono state eseguite secondo le metodologie ufficiali (Metodi Ufficiali di Analisi Chimica del Suolo dell’Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità Del Suolo, 1994). La sostanza organica e l’azoto totale sono stati determinati, rispettivamente, con i metodi Walkley-Black
e Kjeldahl; la capacità di scambio cationico e le basi di scambio per estrazione
con NH4OAc 1N e determinazione tramite spettrofotometria ad assorbimento
atomico; il Fe e l’Al per estrazione con ossalato di ammonio a pH 3.
272
Raimondi et al.
Fig. 1 - Rappresentazione grafica del bilancio idrico del suolo e della sezione di
controllo dell’umidità secondo Billaux.
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
273
L’analisi dei minerali argillosi (< 2µm) è stata eseguita su campioni orientati con scansioni da 2° a 15° 2θ e incrementi di 0.02° 2θ a intervalli di 4 secondi, con un diffrattometro a raggi X Rigaku D/MAX III C da
3 Kw, equipaggiato con goniometro orizzontale, monocromatore di grafite e
lampada al Cu. Le curve diffrattometriche digitalizzate sono state sottoposte
a smoothing e corrette con i fattori di Lorentz e della polarizzazione. I campioni sono stati sottoposti ai seguenti trattamenti: saturazione con Mg, solvatazione con glicol etilenico, saturazione con K, seguita da riscaldamento a
335 °C e 550 °C per due ore.
Risultati e discussione
Nella Tabella 1 sono riportati alcuni caratteri morfologici ed i
risultati delle analisi fisico-chimiche effettuate sui campioni prelevati.
I suoli sono a profilo A-Bw-2C, da mediamente profondi a profondi; di colore umido, negli orizzonti A e B, rosso molto scuro (2.5YR
2.5/2), bruno giallastro scuro (10YR 4/4) nell’orizzonte 2C; lo scheletro è assente. La tessitura è franco limosa, ad eccezione dell’orizzonte C dove è risultata franco sabbiosa. La struttura è grumosa, fine e media, moderata in su-
274
Raimondi et al.
perficie, poliedrica angolare debole negli orizzonti B, poliedrica angolare
molto debole ed a granuli singoli nell’orizzonte 2C. Il suolo è friabile allo
stato umido e asciutto, con attività radicale intensa negli orizzonti A e B; il
drenaggio è normale.
Tabella 1 - Dati morfologici ed analitici del profilo Floresta
(Tessitura: F.L.=Franco limosa; F.S.=Franco sabbiosa).
Profilo
Floresta
Orizzonte
A1
A2
Bw1
Bw2
2C
Profondità sup.
(cm)
0
5
25
70
105
Profondità inf.
(cm)
5
25
70
105
120
Colore (asciutto)
2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 2.5YR 3/0 10YR 5/4
Colore (umido)
2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 2.5YR 2.5/2 10YR 4/4
Scheletro
(%)
0
0
0
0
4
Argilla
(%) 12.2
13.4
13.8
13.9
8.6
Limo
(%) 51.6
52.8
52.9
53.8
20.2
Sabbia
(%) 36.2
33.8
33.3
32.3
71.2
Tessitura
F.L.
F.L.
F.L.
F.L.
F.S.
pH 1:2,5 H2O
5.8
5.5
5.5
5.8
5.8
pH 1:2,5 KCl
5.2
4.5
4.6
4.7
4.0
pH (NaF)
10.0
10.7
11.6
11.6
7.3
Fe oss.
(g/kg) 6.5
7.3
10.6
10.4
2.0
Al oss.
g/kg) 3.6
4.6
11.9
11.0
0.3
C organico
(g/kg)
64
46
53
40
1.5
Azoto
(g/kg)
3.5
3.8
4.1
3.3
0.2
C/N
18
12
13
12
8
Sostanza organica (g/kg)
110
79
91
69
3
Ca++ scamb. (cmol(+)/kg)
6.1
4.2
6.0
5.6
3.0
Mg++ scamb. (cmol(+)/kg)
1.5
0.9
1.1
1.5
0.5
Na+ scamb. (cmol(+)/kg)
0.6
0.5
0.7
0.9
0.1
K+ scamb.
(cmol(+)/kg)
1.8
1.5
1.0
0.8
0.2
H+ scamb.
(cmol(+)/kg)
20.0
27.8
38.8
35.0
5.0
C.S.C. scamb. (cmol(+)/kg)
30.0
35.5
47.5
43.8
8.8
Sat. in Basi
(%)
33
15
18
20
43
Densità apparente
0.78
0.80
0.81
0.81
1.45
pF 3
(33 KPa) 33.2
33.5
31.8
30.7
20.2
pF 4
(1500 KPa)
21.2
21.0
20.5
20.0
10.0
La tessitura ha messo in luce molto chiaramente la discontinuità litologica riscontrata nel rilevamento di campagna. È molto evidente il salto granulometrico sia a carico della sabbia, la cui percentuale è risultata doppia nell’orizzonte 2C rispetto agli orizzonti superiori, dove essa rimane pressoché costante, che del limo risultato il 20% nell’orizzonte 2C contro il 50%
circa riscontrato negli orizzonti sovrastanti.
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
275
La reazione del suolo è risultata moderatamente acida e costante lungo tutto il profilo. Il valore del pH in KCl diminuisce leggermente negli orizzonti A e Bw, più sensibilmente nell’orizzonte 2C. La reazione in NaF
è risultata alcalina in tutto il profilo ad eccezione dell’orizzonte 2C che ha
presentato reazione neutra.
Il suolo è ben dotato di sostanza organica negli orizzonti A e B;
nell’orizzonte A1 è in parte presente in forma inalterata, mentre se ne riscontra una piccola quantità nell’orizzonte 2C. Gli orizzonti B sono inoltre
caratterizzati da una struttura poliedrica angolare con una consistenza, allo
stato asciutto, leggermente superiore rispetto agli orizzonti superiori.
Il ferro e l’alluminio estraibili in ossalato sono presenti in notevole quantità negli orizzonti superficiali A1 e A2, e tendono ad aumentare negli orizzonti Bw1 e Bw2, mentre diminuiscono notevolmente nell’orizzonte
2C, dove l’alluminio è presente in minime quantità. La migrazione di questi
elementi dagli orizzonti A a quelli B è agevolata dalla notevole piovosità.
Gli orizzonti A e Bw si differenziano dall’orizzonte 2C anche
nella capacità di scambio cationico, che è risultata molto più alta negli orizzonti più superficiali, anche per via del maggiore contenuto di carbonio organico. Gli orizzonti A e Bw hanno presentato bassa densità apparente, risultata inferiore a 0,9, mentre l’orizzonte 2C ha evidenziato un valore di
1.45; questi orizzonti inoltre hanno una ritenzione idrica superiore a quella
riscontrata nell’orizzonte 2C.
L’analisi mineralogica ha messo in rilievo un cambiamento
molto evidente fra i campioni degli orizzonti A2, Bw1 e Bw2 (Fig. 2, 3 e 4)
e quello dell’orizzonte più profondo (3C) (Fig. 5).
Dalle curve diffrattometriche relative alla frazione argillosa dei
primi tre orizzonti (Fig. 2, 3 e 4) si può notare che il picco ad 1,4 nm resiste, in gran parte, al trattamento con potassio, mentre collassa quasi totalmente ad 1 nm in seguito al riscaldamento a 335 °C. Ciò denota la presenza
di vermiculite che risulta fortemente interstratificata con idrossidi di Al e/o
di Fe. Il picco ad 1 nm, che rimane invariato in seguito ai trattamenti diagnostici, indica la presenza di illite, mentre la caolinite si identifica per il picco a 0.72 nm che sparisce in seguito al riscaldamento a 550 °C. Si ritiene che
nei campioni sia presente caolinite e non halloysite, dato che il picco a 0.72
nm è stretto e non presenta la forma allargata tipica della halloysite.
Il campione dell’orizzonte 2C (Fig. 5) si differenzia notevolmente dagli altri, sia nella raffigurazione delle curve diffrattometriche che si
presentano molto lineari, sia nel contenuto di minerali argillosi.
276
Raimondi et al.
Fig. 2. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte A2 del profilo in esame. I tracciati si
riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C.
0.72 nm
A2
1.0 nm
1.4 nm
EG Solv.
Mg Sat.
K Sat.
335°C
550°C
0
2
4
6
8
10
Cu °2θ
12
14
16
277
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
Fig. 3. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte Bw1 del profilo in esame. I tracciati
si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C.
0.72 nm
Bw1
1.0 nm
1.4 nm
EG Solv.
Mg Sat.
K Sat.
335°C
550°C
0
2
4
6
8
10
Cu °2θ
12
14
16
278
Raimondi et al.
Fig. 4. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte Bw2 del profilo in esame. I tracciati
si riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C.
0.72 nm
Bw2
1.0 nm
1.4 nm
EG Solv.
Mg Sat.
K Sat.
335°C
550°C
0
2
4
6
8
10
Cu °2θ
12
14
16
279
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
Fig. 5. Diffrattogrammi relativi all'orizzonte 2C del profilo in esame. I tracciati si
riferiscono ai seguenti trattamenti: Solvatazione con glicol etilenico (EG), saturazione con Mg, saturazione con K e riscaldamento per due ore a 335°C e 550°C.
0.72 nm
2C
1.0 nm
EG Solv. 1.4 nm
Mg Sat.
K Sat.
335°C
550°C
0
2
4
6
8
10
Cu °2θ
12
14
16
280
Raimondi et al.
Infatti anche in questo caso sono presenti vermiculite, illite e
caolinite, ma la vermiculite, indicata dal picco a 1.4 nm, non risulta interstratificata con idrossidi di Al e/o di Fe, dato che collassa a 1.0 nm in seguito
al trattamento con potassio.
Il processo di alterazione nei suoli conduce alla formazione di
vermiculite, in seguito all’alterazione della illite. Quando nel pedoambiente
l’attività dell’Al è alta, questo elemento tende a polimerizzarsi all’interno dei
pacchetti dei minerali di tipo 2:1, come si verifica nei campioni degli orizzonti A2, Bw1 e Bw2, con la conseguente formazione di vermiculiti interstratificate (Barnhisel e Bertsch, 1989; Dahlgren e Ugolini, 1989a). Questo
processo non è presente invece nell’orizzonte 2C del suolo esaminato, indicando un diverso ambiente di alterazione.
Se poi si osservano le dimensioni relative dei picchi, che sono
proporzionali alla quantità di minerali presenti, possiamo notare che nei tre
orizzonti superiori in esame il rapporto tra la quantità di illite e di minerali
2:1 interstratificati rispetto alla caolinite è superiore rispetto a quello osservato nell’orizzonte 2C, dove, al contrario, è presente un minor contenuto di
vermiculite e di illite rispetto alla caolinite.
Pertanto si nota che il campione 2C è caratterizzato da una minore quantità di illite e di vermiculite, che da essa si è formata per alterazione, rispetto a quella degli orizzonti sovrastanti. Questa considerazione dovrebbe indicare che l’orizzonte profondo 2C presenta un maggior grado di
alterazione rispetto a quelli superiori, rivelandosi incoerente con la logica genetica di formazione degli orizzonti dei suoli. Una spiegazione più verosimile, pertanto, è l’esistenza di una discontinuità litologica tra questo orizzonte e quelli ad esso sovrapposti, che è stata confermata anche dalle analisi chimico-fisiche.
Non si può escludere che i tre orizzonti superiori si siano formati dall’alterazione di materiale piroclastico; infatti, in letteratura si riscontrano suoli vulcanici che presentano minerali argillosi ben cristallizzati, costituiti di caolinite e di minerali 2:1 interstratificati con idrossidi di Al
(Lorenzoni et al., 1995; Dahlgren et al., 1993).
Questi suoli sono stati inseriti nell’ordine degli Andisuoli (Soil
Survey Staff, 1997), per la presenza di un orizzonte A di colore rosso molto
scuro con caratteristiche andiche: bassa densità apparente (< 0.9) ed elevata
microporosità; elevato contenuto di sostanza organica (superiore rispetto ai
suoli poco profondi che evolvono sulle arenarie e sulle marne); alta desaturazione del complesso di scambio; contenuto in acqua a 1500 KPa > 20%;
pH in Na F > 9.4.
La serie dei suoli Floresta sui Monti Nebrodi in Sicilia
281
A livello di sottogruppo si inseriscono fra gli Alic Fulvudands
per il regime di umidità udico e per l’elevato contenuto di Al. Nell’ambito
di questo sottogruppo è stata definita la seguente serie:
- Alic Fulvudands, mediale, mista, mesica, da depositi piroclastici su arenarie, serie Floresta.
Altre caratteristiche sono: moderata pendenza; contenuto elevato di sostanza organica e di azoto.
Conclusioni
La presente nota costituisce il primo contributo alla caratterizzazione pedologica dei monti Nebrodi. Altre osservazioni effettuate precedentemente hanno riguardato poche caratteristiche di campagna. Nel passato su questa formazione litologica erano stati rinvenuti soltanto suoli poco
evoluti, classificati come Typic Xerumbrepts, Typic Xerochrepts e Typic
Haploxeralfs (Fierotti, 1988).
Le analisi fisico-chimiche e mineralogiche hanno confermato la
discontinuità litologica del suolo evidenziata col rilevamento di campagna;
essi avvalorano l’ipotesi che la parte superiore del suolo sia interessata prevalentemente da apporti piroclastici. Il processo pedogenetico ha determinato la formazione di orizzonti poco differenziati lungo il profilo con un elevato contenuto di sostanza organica, ferro ed alluminio.
Dal punto di vista gestionale, il quadro pedologico dell’area si
complica quando le superfici con vegetazione boscata (Faggio) vengono utilizzate dall’uomo per fini agricoli. In tal caso, sulle superficie in pendio, si
favoriscono i movimenti orizzontali di materiale terroso (erosione).
Il nuovo uso è sempre quello pastorale alle alte quote, mentre si
passa al noccioleto e al castagneto ed in qualche caso al seminativo alle quote più basse. Il pascolo presenta un’ottimale composizione floristica e la sua
gestione richiede un controllo del carico del bestiame per evitare il degrado
della cotica erbosa e del suolo. L’uso agricolo è giustificato dalla ottima risposta produttiva delle specie arboree coltivate. Le limitazioni agricole maggiori sono costituite dall’eccessiva pendenza, dagli affioramenti rocciosi e
dalle basse temperature invernali con presenza spesso di neve che vi permane anche per settimane.
282
Raimondi et al.
Bibliografia
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Note
Il primo ha curato il rilevamento pedologico e le analisi fisiche e chimiche, il secondo ed il
terzo hanno determinato l’aspetto mineralogico. L’impostazione e la stesura del testo sono state realizzate in collaborazione.
283
MODIFICAZIONI DI FUNGHI MICORRIZICI
VESCICOLO-ARBUSCOLARI INDOTTE DALLA
SOMMINISTRAZIONE DI CADMIO
Rea E., Bragaloni M., Tullio M.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante - Roma
Riassunto
E’ stato valutato l’effetto del trattamento con cadmio, somministrato al terreno
come sale e a diverse concentrazioni, sul numero di spore di micorrize appartenenti alla famiglia delle Glomacee e Gigasporacee.
I risultati ottenuti hanno evidenziato un effetto diretto del metallo sul numero di
spore a 30 gg. dalla contaminazione del terreno, alla concentrazione più alta utilizzata.
Introduzione
La contaminazione del suolo con metalli pesanti causata da processi naturali o da attività umane è considerato uno dei problemi ambientali
più seri (Reedy and Prasad, 1990). Le simbiosi ecto e endomicorriziche svolgono un ruolo cruciale nella connessione tra il sistema pianta e il suolo
(Harley, 1978). E’ ormai noto, che i funghi simbionti possono migliorare le
relazioni idriche e nutrizionali della pianta ospite grazie al micelio esterno
alla matrice radicale che fornisce una più estesa esplorazione del suolo.
L’effetto dei funghi AM sull’assorbimento dei metalli pesanti non è ancora
del tutto chiarito. Alcuni autori riportano che la presenza di micorrize ne facilita l’assorbimento (Killham and Firestone, 1983; Wessenhorn and Leyval,
1995), mentre altri riportano un ruolo protettivo delle micorrize nei confronti della pianta ospite (El-Kherbawy et al., 1989; Leyval et al., 1991; Wessenhorn et al., 1995c).
L’efficienza di protezione in ogni modo differisce secondo l’isolato fungino e il tipo di metalli somministrati. Infatti, ceppi fungini isolati
da siti contaminati con cadmio si sono mostrati più resistenti di quelli isolati da siti non contaminati (Leyval et al., 1995). Poiché la pressione selettiva
operata dai metalli pesanti può modificare quantitativamente e qualitativamente la popolazione di funghi micorrizici, l’individuazione di parametri in
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 283-287 (2001)
284
Rea et al.
grado di descrivere modificazioni della loro presenza nel suolo è da auspicare. Infatti, le endomicorrize arbuscolari sono le più diffuse in natura e negli ecosistemi antropizzati. Comunque, negli studi riguardanti l’interazione
tra micorrize e metalli va anche considerato l’effetto dei metalli sulla popolazione AM (Leyval et al., 1997).
Scopo del presente lavoro è stato quello di individuare le modificazioni indotte sulle micorrize vescicolo-arbuscolari presenti nel suolo dal
trattamento con cadmio, a 30 gg. dall’inquinamento del terreno e dopo un ciclo completo di coltivazione di una coltura di orzo.
Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta in vasche di circa 1 mq di superficie
e 40 cm di profondità, su un terreno di tipo franco, con una ricchezza di spore V.A di 1200 spore x 500ml di terreno. A questo suolo sono state somministrate diverse dosi di cadmio, 1, 10, 100 ppm come solfato. Per ogni dose
e per il controllo sono state allestite quattro repliche, dopo 30 gg. dalla somministrazione del cadmio, da ogni tesi sono stati prelevati campioni di suolo di circa due litri, da tali campioni, dopo essiccamento all’aria e vagliatura a 2 mm, si sono ottenuti sub-campioni di 500ml. Successivamente è stato
effettuato l’isolamento delle spore, per sospensione da porzioni di 50 g in 5
l, decantazione per 5 min. e successivo setacciamento (luce netta del setaccio: 63 µ).Le spore così ottenute sono state moltiplicate in vaso (150 ml) utilizzando come pianta trappola il Trifolium repens var. Huia,10 plantule per
vaso: Dopo 60 gg di allevamento in serra è stata effettuata, su 5 g. di sabbia,
dopo decantazione e setacciamento ( lume dei setacci: 177, 125, 63µ ), la determinazione della presenza, del tipo di spore germinate e moltiplicate. In
queste vasche è stata allevata una coltura di orzo (Hordeum vulgaris L.
cv.Robur, a fine coltura è stato determinato, dopo setacciamento, con la stessa metodica descritta in precedenza, la conta delle spore presenti.
Risultati
La ricchezza iniziale di micorrize V.A. presente naturalmente
nel terreno utilizzato per la prova era di 2400 spore/ l. di suolo. Le spore ottenute dopo decantazione e setacciamento a 63 µ sono state identificate come specie appartenenti alla famiglia delle Glomacee.
Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di cadmio
285
I risultati ottenuti dalla valutazione del numero delle spore ottenute dopo moltiplicazione su trifoglio vengono esposti nella tabella 1.
Tabella 1- Numero di spore ottenute dopo 60 gg. di moltiplicazione su trifoglio
(setacciamento a 63, 125, 177µ ). I valori sono espressi per l di suolo.
Trattamento 177µ
0
13800a
1 ppm
10000a
10 ppm
6000b
100 ppm
600c
125µ
16400a
15600a
4400b
2600c
63µ
50200a
27200b
25800b
7600c
* I valori seguiti da lettere diverse sono significativamente differenti per P< 0.01 in accordo con il
Multiple Range Test (Duncan).
Come si può osservare, il numero delle spore ottenute dai tre diversi setacci, 63, 125 e 177µ ha subito una riduzione in funzione della concentrazione del cadmio utilizzato, rispetto al controllo non trattato.
In particolare, sulle spore ottenute dal setaccio 63 µ ove venivano rinvenute solo specie fungine del genere Glomus, le concentrazioni di
1 ppm e di 10 ppm di cadmio hanno ridotto il numero di spore in modo statisticamente significativo. In particolare il trattamento con 100 ppm di cadmio ha avuto un effetto inibitorio marcato dell 85%.
Nessun decremento del numero delle spore ottenute dopo setacciamento del terreno a 125 µ è stato osservato utilizzando 1 ppm di cadmio. In realtà su questo setaccio sono state rinvenute spore appartenenti
sempre alla famiglia delle Glomacee, in questo caso sono raccolte le spore
di dimensioni più grandi rispetto a quelle provenienti dal setaccio precedente. Le concentrazioni 10 e 100 ppm di cadmio hanno provocato una riduzione del numero delle spore che nel 100 ppm è paragonabile a quella prodotta sulle spore ottenute con setacciamento a 63 µ e cioè del 84%.
Per quanto riguarda il setacciamento a 177 µ, dove sono state
rinvenute spore appartenenti in prevalenza alla famiglia delle Gigasporacee,
ma anche alla famiglia delle Glomacee, l’effetto sul numero delle spore è risultato statisticamente significativo sia per la concentrazione di cadmio 10
ppm che 100 ppm con un’ inibizione molto accentuata che raggiunge il 96%
per la concentrazione più alta utilizzata.
I risultati ottenuti rapportando il numero totale delle spore, alla
fine dei 60 gg di moltiplicazione su trifoglio, alla dotazione iniziale già presente nel terreno prima della somministrazione del cadmio, sono esposti in
tabella 2. L’effetto esercitato dal cadmio è risultato direttamente proporzionale alla concentrazione del trattamento imposto.
286
Rea et al.
Tabella 2- Fattore di moltiplicazione delle spore ottenuto rapportando il numero
delle spore dopo 60 gg. di moltiplicazione su trifoglio rispetto alla dotazione
iniziale del terreno. I valori sono espressi per l di suolo.
Trattamento
0
1 ppm
10 ppm
100 ppm
Spore totali Aumento del numero
delle spore
n volte
80400
33
52800
22
36800
15
10800
4
Un altro aspetto da noi considerato è stato quello di valutare
l’entità della presenza delle spore dopo un ciclo completo di una coltura di
orzo. Il numero delle spore ottenute dopo decantazione e setacciamento del
terreno a 63 µ è risultato arricchito dopo la coltura di orzo. I diversi trattamenti con cadmio hanno ridotto, anche in questo caso l’arricchimento in spore in modo statisticamente significativo solo a 100 ppm. (Tab. 3).
Tabella 3 - Numero di spore ottenute dopo un ciclo completo di una coltura di
orzo (setacciamento a 63 µ ). I valori sono espressi per l. di suolo.
Trattamento
0
1 ppm
10 ppm
100 ppm
Spore totali
11200a
11200a
10250a
9700b
I valori seguiti da lettere diverse sono significativamente
differenti per P< 0.01 in accordo con il Multiple Range
Test (Duncan).
Conclusioni
In conclusione, nelle nostre condizioni sperimentali il cadmio
somministrato al terreno alla concentrazione 100 ppm ha influito negativamente direttamente sul numero di spore presenti nel terreno già a trenta giorni dalla somministrazione del metallo. Questo risultato è stato evidenziato anche dal confronto con la ricchezza iniziale del suolo utilizzato per la prova.
Le micorrize V.A. infatti, non possono essere mantenute in coltura pura quindi, per una valutazione della vitalità delle spore, si è proceduto alla moltiplicazione su trifoglio come pianta trappola delle spore stesse prelevate dopo 30
gg. dall’inquinamento del terreno. I risultati ottenuti dopo la coltura di orzo
si differenziano da quelli ottenuti dopo moltiplicazione su trifoglio, nel caso
Modificazioni di funghi micorrizici vescicolo-arbuscolari indotte dalla somministrazione di cadmio
287
dell’orzo solo la concentrazione 100 ppm ha ridotto il numero delle spore. C’è
da precisare che la moltiplicazione su trifoglio è stata effettuata su sabbia
mentre l’allevamento della coltura di orzo è avvenuto su terreno. E’ ipotizzabile che, in questo secondo caso, abbia avuto un ruolo fondamentale il potere tampone del terreno che ha limitato i danni alla sola concentrazione più alta utilizzata. La moltiplicazione su orzo inoltre è avvenuta in vasche di dimenzioni maggiori (1 mq) rispetto al vaso della prova su trifoglio (150 ml).
I risultati ottenuti sono in accordo con i dati presenti in letteratura che indicano la necessità, negli studi delle interazioni metalli pesanti,
piante e micorrize, della valutazione contemporanea dell’effetto diretto che i
metalli pesanti hanno sulle micorrize e sulla pianta, nel senso di quanto questi organismi siano più o meno tolleranti prima ancora e comunque accompagnate dalla valutazione del trasferimento dei metalli inquinanti nei vegetali (Leyval et al., 1997).
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289
IL
RAPPORTO ACQUA-TERRENO: UN INDICATORE
DI QUALITÀ PER IL RECUPERO E LA SALVAGUARDIA
DI SUOLI NON AGRICOLI
Scandella P., Piccini C., Di Blasi N., Mecella G.
Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante
Via della Navicella 2-4, 00184 Roma
Riassunto
Lo studio vuole evidenziare come molto spesso la conoscenza dei valori dei rapporti acqua-terreno (velocità di infiltrazione e curva di ritenzione idrica) e delle proprietà ad essi legate risulti fondamentale in particolari ambienti, nei quali la natura
e l'opera dell'uomo sono fortemente interconnessi, quali ad esempio i suoli non naturali presenti nei giardini e parchi storici o nelle cave, ritenute esaurite come giacimenti, e reintegrate con i materiali di risulta dei processi estrattivi. In tali siti è necessario avvalersi di modelli che, trascurando i meccanismi della pedogenesi, rispecchino più efficacemente quelle caratteristiche dei suoli che sono peculiari per la
loro gestione e con-servazione o recupero.
Nel lavoro si riportano esempi di studio finalizzati alla risoluzione di problematiche di gestione sia di alcuni giardini e parchi storici ad elevato valore culturale
(Castello di Guarene - Cuneo; Ville Pontificie - Castelgandolfo - Roma, Oasi
Faunistica Doganella di Ninfa - Latina), sia di siti di estrazione reintegrati con materiali di risulta (Priverno). I rlievi effettuati hanno evidenziato la fragilità di tali siti, dovuta a squilibri di natura fisica, chimica, idropedologica, relativi quindi al rapporto acqua-terreno (pemeabilità differenziate nel profilo, contenuti di sodio elevati
in alcuni orizzonti, decrementi della stabilità strutturale, ecc.) di cui non si è tenuto
conto nella gestione.
Il rapporto acqua-terreno, fondamentale nei progetti di irrigazione, di utilizzo
delle acque reflue, nel controllo dell'erosione e dei dissesti idropedologici in genere, costituisce pertanto un parametro altrettanto significativo nella gestione, conservazione e recupero dei suoli costituiti e/o modificati dall'uomo.
Progetto Finalizzato Beni Culturali
Progetto Strategico Ambiente e Territorio
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 289-296 (2001)
290
Scandella et al.
Introduzione
La conoscenza dei valori della velocità di infiltrazione e delle
proprietà ad essa legate risulta fondamentale in particolari ambienti, nei quali la natura e l’opera dell’uomo sono fortemente interconnessi, quali ad esempio i suoli non naturali presenti nei giardini e parchi storici o nelle cave da
rinaturalizzare.
In tali siti, in cui una vera e propria classificazione, almeno secondo le metodologie più in uso, risulta insoddisfacente in quanto non valuta appieno l’influenza dell’uomo sulle proprietà dei suoli, è necessario avvalersi di modelli che rispecchino più efficacemente le caratteristiche peculiari per la gestione, la conservazione e/o il recupero dei suoli. Si tratta spesso
di “suoli” interamente prodotti dall’uomo con apporti di materiali artificiali
o immissione di terreni provenienti da altri siti oppure di suoli naturali, ma
così fortemente trasformati da processi “antropo-pedogenetici” che il solum
originale non è più riconoscibile, oppure è ormai “interrato”.
Tali situazioni sono usuali nei giardini storici, ambienti fortemente antropizzati, dove l’uomo è intervenuto modificando i suoli naturali
effettuando sbancamenti, livellamenti, sistemazioni idrauliche, apportando al
terreno altro materiale (terricci, concimi, rocce, ecc.) da aree esterne più o
meno limitrofe. Questi interventi, che tra l’altro continuano nel tempo, sia
pure in misura ridotta, durante la gestione ed il mantenimento dei giardini
stessi, sono responsabili di situazioni di forte disomogeneità nei profili, per
cui l’utilizzo delle metodologie proprie della pedologia talvolta non risolve
le problematiche di gestione.
Nelle cave reintegrate con i materiali di risulta dei processi
estrattivi ci si trova in una situazione ancora più estrema. Si tratta infatti di
substrati derivati interamente da attività umane, che, reintrodotti nei siti, vanno a coprire gli orizzonti profondi o la roccia madre per spessori più o meno variabili, comunque di entità notevole.
La possibilità quindi di individuare in tali ambienti degli indicatori di qualità diviene di fondamentale importanza per la loro gestione e/o
recupero.
Nel lavoro si evidenzia, mediante studi effettuati in tre giardini
storici, i cui suoli sono caratterizzati da equilibri delicati, ed in una cava da
rinaturalizzare, nella quale vengono reintrodotti i fanghi di laveria di sabbie
silicee, come la composizione del complesso di scambio e le sue implicazioni sulla velocità di infiltrazione del suolo possano essere di ausilio nella
risoluzione di problematiche di gestione.
Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non
agricoli
291
Materiali e metodi
In seguito ad emergenti problemi di gestione sono state indagate le caratteristiche chimico-fisico-idrologiche dei suoli del giardino settecentesco del Castello di Guarene (CN), del giardino storico delle Ville Pontificie di Castelgandolfo (RM), dell’Oasi Faunistica Doganella di Ninfa (LT)
(Mecella et al., 1998) e di una cava di reintegro di fanghi silicei nell’area
giacimentologica di Priverno-Fossanova (LT) (Burragato et al., 1999).
Il giardino settecentesco del Castello di Guarene è un tipico
giardino all’italiana, di dimensioni medie, con grandi quinte formate da tasso e da carpino, con parterre di bosso e alte siepi di tasso, caratterizzato da
morfologia sostanzialmente pianeggiante e situato all’apice di una collina
con forte pendenza. Al momento dell’impianto erano state progettate sistemazioni idrauliche di notevole entità, tali da consentire il drenaggio delle acque che comunque pervengono sul suolo. I suoli del giardino derivano dai
substrati presenti nell’area. Dal punto di vista geologico Guarene si trova all’interno del “Bacino Ligure-Piemontese terziario”, che si è sviluppato durante la messa in posto delle catene alpina ed appenninica. I termini affioranti sono arenarie in grosse bancate, più o meno cementate, contenenti blocchi gessosi provenienti dalle formazioni evaporitiche (Boni e Casnedi, 1970).
Quest’area ha subito un notevole danno dovuto ad un esteso
evento di frana, che ha interessato un’ala del giardino, in concomitanza con
l’alluvione del 1994. La frana ha avuto ripercussioni sia sulle strutture portanti che sulla vegetazione. Successivamente sono stati effettuati degli interventi per limitare i danni meccanici dell’evento, ma non si sono ancora messe in atto le misure necessarie per eliminare o comunque contenere il problema che è all’origine della frana stessa e che è strettamente connesso con
il tipo di suolo e con la morfologia del giardino.
Nel giardino storico delle Ville Pontificie di Castelgandolfo si è
verificato un grave deperimento del parterre di bosso, con ripercussioni estetiche non indifferenti. Ci troviamo all’interno dell’area vulcanica dei Colli
Albani ed i prodotti qui affioranti provengono da manifestazioni esplosive
eccentriche rispetto al vulcano centrale, in cui devono essere intervenute
grandi masse d’acqua talvolta anche marina (Civitelli et al., 1975).
Un terzo sito in studio è stata l’Oasi Faunistica Doganella di
Ninfa, un parco ricostruito a partire dal 1921 sulle rovine della cittadella medievale di Ninfa, raro esempio nel Lazio di giardino all’inglese. L’attenzione
rivolta a questo parco è dovuta alla particolare fragilità dei suoli, poco profondi ed interessati da una falda sottosuperficiale, nei quali diviene fonda-
292
Scandella et al.
mentale mantenere un corretto rapporto acqua-terreno per il benessere e la
sopravvivenza delle specie vegetali.
Ninfa si trova ai piedi dei Monti Lepini, nella zona di contatto
tra il complesso carbonatico di piattaforma che costituisce la catena e i sedimenti neogenico-quaternari fluvio-lacustri della Pianura Pontina. In affioramento vi sono terre rosse derivate dai processi di carsificazione dei calcari,
miste a materiali piroclastici rimaneggiati riferibili alla già menzionata attività dei Colli Albani (Boni et al., 1980).
Per quanto riguarda le cave di sabbie silicee, di origine eolica
dunare, delle aree giacimentologiche di Priverno-Fossanova, il materiale
asportato dalle cave viene sottoposto a processi di trattamento per l’estrazione delle sabbie; i materiali di scarto sono costituiti da fanghi flocculati palabili, che vengono attualmente reimmessi nelle cave ritenute esaurite come
giacimenti. Si è osservato che i fanghi risultano scarsamente ricettivi e poco
idonei come supporto boschivo-forestale per l’attecchimento delle specie vegetali tipiche della zona.
Nei giardini in studio, non essendosi potuta effettuare la lettura
del profilo, in quanto distruttivo del parterre e di altre valenze estetiche, si è
proceduto alla lettura semplificata tramite sondaggio con trivella. Anche nelle cave l’indagine è stata effettuata con trivellazione: l’apertura del profilo
sarebbe stata del tutto inutile essendo il “suolo” costituito da un susseguirsi
di “colate” e quindi privo di orizzonti.
Sui campioni prelevati sono state eseguite le determinazioni
analitiche (MiRAAF, 1994; MiPA, 1997) riportate in Tabella 1 nella quale
sono illustrati per ciascun sito i risultati del sondaggio più rappresentativo.
Risultati e discussione
Dall’esame dei risultati ottenuti sia dalle osservazioni in sito sia
dalle determinazioni analitiche (Tabella 1), riferendosi alla metodologia proposta dal “Référentiel pédologique” (AFES, 1995), i suoli dei giardini possono fare riferimento alla categoria degli Anthroposols ricostituiti, mentre i
suoli delle cave sono ascrivibili agli Anthroposols artificiali.
Per quanto riguarda il giardino del Castello di Guarene le indagini fisico-chimiche ed idrologiche hanno messo in evidenza la fragilità di
questi suoli: sono calcarei, con tessitura equilibrata, struttura subangolare che
in profondità diventa massiva, e conducibilità idraulica superficiale media
che al di sotto dei 75 cm si riduce drasticamente.
Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non
agricoli
293
294
Scandella et al.
Nell’orizzonte 75-165 cm i bassi valori di conducibilità idraulica riscontrati non sono però da ascriversi alla composizione granulometrica
dello strato, che peraltro è caratterizzato da prevalenza di sabbia grossa
(41%), bensì al contenuto in sodio di scambio (6%). La presenza di sodio nel
complesso assorbente, come è noto, provoca la peptizzazione delle argille,
con grave danno alla stabilità della struttura, che si ripercuote negativamente sulla velocità di infiltrazione dell’acqua anche in suoli sabbiosi. In pratica l’argilla, disperdendosi, provoca l’occlusione dei pori, unica via di deflusso delle acque che pervengono nel suolo, ed induce di conseguenza una
saturazione di acqua nello strato sovrastante.
Lungo il profilo sono stati rilevati frequenti cristalli di gesso,
composto che risulta particolarmente utile nella correzione dei suoli sodici.
Nel caso specifico, invece, il gesso risulta praticamente inefficace in quanto,
presentandosi in forma macrocristallina, la sua già scarsa solubilità (0.2%)
diventa pressoché nulla.
In queste condizioni, in presenza di eventi meteorici notevoli o
addirittura eccezionali, come già si è verificato in passato, lo strato immediatamente al di sopra dei 75 cm viene a trovarsi saturo di acqua, e ciò può
innescare fenomeni franosi anche di notevole entità. La saturazione in acqua
fa aumentare infatti il peso del terreno del 20-30%, fino a limiti eccezionali
del 60-70%.
Nel caso in studio dei giardini delle Ville Pontificie, si tratta di
suoli di tessitura equilibrata con buona struttura superficiale e conducibilità
idraulica superficiale media. Dallo studio del profilo (A) si è evidenziato che
il suolo presenta un gradiente crescente con la profondità di sodio di scambio che, deflocculando l’argilla, condiziona la permeabilità inducendo negli
strati profondi fenomeni di asfitticità per sovrasaturazione idrica. I sintomi
di grave deperimento del parterre di bosso trovano quindi giustificazione nell’andamento della conducibilità idraulica, che riducendosi intorno ai 50 cm
di profondità, provoca un pesante e duraturo ristagno idrico nella zona interessata dagli apparati radicali delle siepi.
Il fenomeno della asfitticità sottosuperficiale risulta meno evidente in un giardino attiguo, il cui suolo (B), della stessa tessitura, presenta
valori costanti di sodio di scambio lungo il profilo; l’assenza quindi di un
gradiente tra l’orizzonte superficiale e quelli sottosuperficiali non induce
brusche variazioni nell’andamento della permeabilità.
L’indagine sui suoli dell’Oasi Faunistica Doganella di Ninfa ha
evidenziato una potenziale fragilità derivante dalla loro natura pedologica. Si
tratta di suoli poco profondi, in quanto giacciono sui resti della cittadella di
Il rapporto acqua-terreno: un indicatore di qualità per il recupero e la salvaguardia di suoli non
agricoli
295
Ninfa, e vi è presente una falda sottosuperficiale. I valori di conducibilità
idrica sono modesti ma costanti lungo tutto il profilo, parallelamente alla percentuale di sodio di scambio, che risulta elevata in tutti gli orizzonti investigati. Nonostante queste caratteristiche, nel giardino non si evidenziano danni vegetativi, in quanto la gestione accurata dei suoli, con interventi mirati e
adeguati alle caratteristiche chimico-fisiche riscontrate, come le lavorazioni
non profonde e gli interventi fertilizzanti che si avvalgono soprattutto di apporti di sostanze organiche, fanno sì che la conducibilità idraulica sia costante lungo il profilo e non si verifichino quindi ristagni d’acqua sottosuperficiali e profondi particolarmente dannosi per la vegetazione.
Per quanto riguarda infine i “suoli” reintrodotti nelle cave di
estrazione di Priverno, essi risultano di composizione granulometrica molto
argillosa con le caratteristiche proprie dell’argilla: conducibilità idraulica
praticamente assente, scarsa presenza di pori all’interno degli aggregati, forte rischio di compattamento con formazione di struttura lamellare e conseguente impedimento al passaggio dell’acqua e dell’aria all’interno degli aggregati. A ciò deve aggiungersi una sostanziale presenza di sodio nel complesso di scambio, dovuto al flocculante impiegato nel processo industriale
di estrazione delle sabbie silicee. In queste condizioni le cave reintegrate
molto difficilmente possono supportare un utilizzo boschivo-forestale poiché
il “suolo” non è in grado di fornire un rapporto aria-acqua idoneo per lo sviluppo e la crescita delle essenze vegetali.
Conclusioni
Le situazioni illustrate sono esemplificative delle difficoltà che
si possono incontrare quando si debbano mettere in atto strategie di salvaguardia, gestione e recupero di particolari siti ad elevata valenza storico-artistica e ambientale.
Al fine di disporre di rapidi strumenti di indagine che consentano una corretta gestione di particolari suoli, nei quali i fattori della pedogenesi sono fortemente disturbati dall’intervento antropico, notevole importanza assume la misura dell’E.S.P. (exchangeable sodium percentage) e la
valutazione, attraverso misure di laboratorio, della velocità di infiltrazione
dell’acqua nei diversi orizzonti del profilo.
La correlazione tra misure di conducibilità idraulica e percentuali di sodio di scambio può evidenziare infatti fenomeni di ristagno idrico
dovuti ad una drastica diminuzione della velocità di infiltrazione dell’acqua
296
Scandella et al.
nel suolo. Significativi incrementi della percentuale di sodio di scambio nella successione degli orizzonti provocano la comparsa di gradienti nei valori
della permeabilità del suolo in quanto il sodio, deflocculando l’argilla, induce una variazione del rapporto macropori/micropori a favore di quest’ultimo.
Il gradiente di E.S.P. costituisce quindi un indicatore del rapporto acqua-terreno indispensabile quando non sia possibile effettuare misure dirette della velocità di infiltrazione dell’acqua nei vari orizzonti del profilo. La correzione dell’E.S.P. risulta l’unica pratica attuabile per il miglioramento della permeabilità quando si sia nell’impossibilità di procedere a interventi agronomici e/o sistematori in quanto distruttivi di valenze estetiche
(giardini) o troppo onerosi (cave).
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297
CARATTERIZZAZIONE DEL
TURNOVER DELLA SOSTANZA ORGANICA DEL SUOLO E STUDIO DELL’ATTIVITÀ BIOLOGICA DI SOSTANZE UMICHE IN ECOSISTEMI MONTANI SOTTOPOSTI A CAMBIAMENTO
D’USO DEL SUOLO
Sessi E.a, Pizzeghello D.b, De Siena C.b, Tomasi M.b, Nicolini G.b,
Frosi P.a, Nardi S.a
a Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Facoltà di Agraria, Università di Padova
Strada Romea 16, 35020 Legnaro – Padova
b Centro di Ecologia Alpina
38040 Viote del Monte Bondone – Trento.
Sommario
Nell’ambito del progetto di ricerca Ecomont sono stati selezionati sedici profili pedologici: sette coperti da agrosteti, tre da nardeti e sei da rimboschimenti di conifere. Differenze significative tra le praterie ed i rimboschimenti sono
emerse dal test di Kruskal-Wallis: il Carbonio Organico (CO), la frazione umica ad
alto ed a basso peso molecolare distinguono i diversi gruppi ad un livello di significatività pari a pW0.01, mentre il pH ed la II frazione distinguono ad un livello di
pW0.05. Le sostanze umiche provenienti da alcuni rimboschimenti hanno manifestano elevata attività biologica di tipo auxinico evidenziando come il cambio d’uso
del suolo induca modificazioni non solo nel turnover della sostanza organica ma anche nelle loro interazioni con le piante.
Introduzione
Il suolo rappresenta la maggior riserva mondiale di carbonio il
cui contenuto dipende da condizioni ambientali, biogeochimiche e dall’uso
del suolo (Bouwman, 1990). Negli ecosistemi naturali l’evoluzione della sostanza organica del suolo dipende dalla densità e tipologia della copertura vegetale e dall’attività dei microrganismi; piante arboree ed erbacee producono infatti lettiere aventi composizioni diverse e quindi dotate di quantità differenti di lignina, cellulosa e fenoli (Johansson, 1986). Il cambiamento d’uso del suolo modifica in modo decisivo la quantità, composizione, turn-over
della sostanza organica e la fertilità del terreno (Bouwman, 1990). L’inAtti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 297-306 (2001)
298
Sessi et al.
fluenza antropica sull’ecosistema suolo si riflette sulle caratteristiche strutturali e chimiche delle sostanze umiche (Hanschmann et al., 1997) e di conseguenza sull’attività biologica delle stesse. Le sostanze umiche interagiscono infatti con il metabolismo della pianta in relazione al loro peso molecolare e alla struttura conformazionale dei polimeri (Vaughan et al., 1985). Gli
effetti delle sostanze umiche sulla pianta possono essere di tipo diretto e indiretto; tra i primi ricordiamo l’effetto sulla crescita e sullo sviluppo, tra i secondi l’azione sulla respirazione, fotosintesi, assorbimento di macro e micro
elementi dal terreno (Tan, 1998). I composti umici interagiscono con i meccanismi di ossidoriduzione di superficie delle radici dei vegetali (Pinton et
al., 1985) e con il grado di attività e il polimorfismo degli enzimi di parete.
Inoltre essi hanno attività auxino e gibberellino–simile, attività che può essere collegata al contenuto in gruppi fenolici e carbossilici (Nardi et al.,
1999). Lo studio ha previsto l’analisi di suoli montani sottoposti a cambiamento d’uso. Sono stati caratterizzati il turnover della sostanza organica e
l’attività biologica delle sostanze umiche in tre diverse formazioni vegetali:
agrosteto, nardeto e rimboschimento artificiale di abete rosso.
Materiali e metodi
Area di studio
Nell’ambito del progetto UE Ecomont (No ENVA-CT95-0179)
è stato realizzato dal Centro di Ecologia Alpina un rilevamento pedologico
della Piana delle Viote (M. Bondone –Trento) alla scala di 1:5000 durante il
quale sono stati realizzati 45 profili secondo le indicazioni del Soil Survey
Division Staff e classificati in base alla tassonomia della FAO-Unesco
(1990). Sono stati selezionati 16 profili pedologici dei quali 6 appartenenti
ad aree soggette a rimboschimento con Picea abies L. Karst, 3 ricoperti da
associazioni Sirvesio-Nardetum-strictae e 7 dall’associazione Scorzonera
aristatae-Agrostidetum tenuis. Alcune caratteristiche stazionali dei suoli sono riportate in tabella 1.
Analisi chimiche e biochimiche
Il CO è stato determinato con il metodo ossidimetrico impiegando K2Cr2O7 1N (Walkley and Black, 1934) e l’azoto con il metodo
Kjeldahl. I componenti umici sono stati estratti con il metodo Brenner e Less
(1949) ed il contenuto di carbonio umico è stato determinato per via ossidimetrica utilizzando K2Cr2O7 0.1N.
Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di
sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo
299
Tabella 1 Breve descrizione delle stazioni oggetto di studio.
Profilo Orizzonti
Copertura
considerati
vegetale†
P19
OH, A, BE, Bt
R
P23
A, BE, Bt
R
P35
P43
OH, AE, Bs1
A, AE
R
R
P44
Ah, AE, BE, Bt1 R
P45
P1
A, E, EB
Ah, A, Bw
R
A
P4
Ah, AE, EB, Bt
A
P5
P31
P32
P34
P42
A, Bw
AE, Ap, EB
AE, BE, Bt
A, BE, Bt
A, BE, Bt
A
A
A
A
A
P6
P7
P22
A, E, Bt
Ah, AE, Bhs
AE, E, Bt
N
N
N
Substrato pedogenetico
(1990)
Depositi morenici misti
Loess su depositi morenici,
metamorfici
Depositi morenici misti
Depositi morenici misti
calcarei ricoperti di loess
Loess su depositi di versante
calcarei
Detrito calcareo di versante
Loess su depositi morenici
calcarei
Loess su depositi morenici
calcarei
Detrito calcareo di versante
Depositi morenici misti
Depositi morenici misti
Depositi morenici misti
Loess su depositi morenici
calcarei
Depositi morenici metamorfici
Depositi morenici metamorfici
Depositi morenici metamorfici
Classificazione FAO
Luvic Phaeozem
Haplic Alisol
Cambic Podzol
Haplic Luvisol
Haplic Luvisol
Haplic Luvisol
Haplic Luvisol
Haplic Luvisol
Eutric Cambisol
Luvic Phaeozem
Haplic Halisol
Haplic Acrisol
Ferric-Haplic Acrisol
Haplic Acrisol
Haplic Podzol
Gleyic Acrisol
† R = rimboschimento, A = agrosteto, N = nardeto
La ripartizione delle sostanze umiche estratte (I frazione>100Kdaltons, II frazione 100-10Kdaltons, III frazione<10Kdaltons), in
colonne di Sephadex G-100, è stata ottenuta con il metodo descritto da
Ferrari e Dell’Agnola (1963). La quantità di acido indolacetico (AIA) presente nelle sostanze umiche è stata determinata utilizzando un test immunoenzimatico (Phytodetek-IAA, Sigma) ed i fenoli mediante il reattivo FolinCiocalteus (Box, 1983).
Le attività invertasica, esterasica e perossidasica sono state valutate in germogli di Picea abies (L.) Karsten di 12 giorni cresciuti in piastre Petri sterili alla temperatura di 25°C e umidità costante. La determinazione dell’attività invertasica è avvenuta seguendo il metodo indicato da
Arnold (1965), l’attività esterasica secondo la procedura di Junge e Klees
(1984) e quella perossidasica utilizzando il metodo di Putter (1974). L’analisi
elettroforetica degli estratti è stata eseguita come descritto da Laemmli
(1970).
300
Sessi et al.
Analisi statistica
Per evidenziare la presenza di correlazioni tra le diverse variabili analizzate, i dati relativi ai parametri chimici dei 50 orizzonti sono stati utilizzati per il calcolo della matrice di correlazione. I campioni sono stati quindi suddivisi in gruppi che tengono conto sia della diversa copertura sia del diverso tipo di orizzonte e, mediante il test non parametrico di Kruskal-Wallis,
si è determinata l’esistenza di differenze tra i diversi gruppi. In un secondo
tempo, è stata calcolata la matrice di correlazione per i parametri biochimici
relativi all’attività biologica degli orizzonti A, AE e Ap. Tutte le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il programma SPSS versione 8.0.
Risultati e discussioni
In tabella 2 è riportata la matrice di correlazione delle variabili
chimiche considerate per i 50 orizzonti relativi ai 16 profili oggetto di studio. Da un esame della tabella si evince come pH e rapporto carbonio umico su carbonio organico (Cu/CO) e pH e CO siano inversamente correlati tra
loro rispettivamente per pW0.001 e per pW0.01, mentre pH e II frazione risultano inversamente correlati per pW0.05. Il CO e il rapporto C/N, come il
CO e il contenuto in fenoli sono direttamente correlati tra loro per pW0.01,
mentre il CO e la I frazione sono direttamente correlati per pW0.001. Il rapporto Cu/CO è direttamente correlato alla I ed alla II frazione rispettivamente
per pW0.05 e per pW0.01, mentre è inversamente correlato alla III frazione
per pW0.001. La presenza di una correlazione inversa tra il pH e il contenuto di sostanza organica, come tra il pH e la quantità in humus, spiega come
nei terreni acidi il turn-over della sostanza organica sia orientato verso un accumulo. La correlazione tra il pH e il peso molecolare apparente delle sostanze umiche, come tra il pH e la resa in humus giustifica la presenza della III frazione nelle situazioni in cui l’evoluzione della sostanza organica è
più veloce (Stevenson, 1986). Il contenuto in sostanza organica è direttamente correlato al rapporto C/N, alla presenza della I frazione ed al contenuto in fenoli. Infatti è noto che ad elevati contenuti di sostanza organica corrispondono elevati valori del rapporto C/N ed elevate quantità di fenoli
(Vaughan et al., 1985). Dall’analisi del test di Kruskal-Wallis si evince che
il CO, la I e la III frazione distinguono i diversi gruppi ad un livello di significatività pari a pW0.01, mentre il pH ed la II frazione li distinguono ad
un livello di pW0.05. La matrice di correlazione dei parametri chimici e biochimici degli orizzonti A, AE ed Ap mostra che il contenuto in fenoli e l’attività esterasica e perossidasica sono inversamente correlati per pW0.05.
Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di
sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo
301
Tabella 2 Matrice di correlazioni dei parametri chimici relativi ai 16 profili
studiati (N = 50 orizzonti).
pH
pH
Correlazione
di Pearson
Sig. (2-code)
N
CO
Correlazione
di Pearson
Sig. (2-code)
N
C/N
Correlazione
di Pearson
Sig. (2-code)
N
CU/CO Correlazione
di Pearson
Sig. (2-code)
N
I
Correlazione
frazione di Pearson
Sig. (2-code)
N
II
Correlazione
frazione di Pearson
Sig. (2-code)
N
III
Correlazione
frazione di Pearson
Sig. (2-code)
N
fenoli Correlazione
di Pearson
Sig. (2-code)
N
CO
C/N CU/CO
1.000 -0.368 0.003
I
II
III fenoli
frazione frazione frazione
-0.765
-0.230 -0.334
0.440 -0.056
0
50
-0.368
0.008 0.986
50
50
1.000 0.376
0.000
50
0.324
0.108
50
0.785
0.018
50
0.048
0.001 0.697
50
50
-0.583 0.399
0.008
50
0.003
0.0 0.007
50
50
0.376 1.000
0.022
50
-0.032
0.000
50
0.139
0.742
50
0.138
0.000 0.004
50
50
-0.212 0.026
0.986
50
-0.765
0.007
0.0
50
50
0.324 -0.032
0.828
50
1.000
0.336
50
0.310
0.340
50
0.363
0.139 0.860
50
50
-0.520 0.052
0.000
50
-0.230
0.022 0.828
50
50
0.785 0.139
0.0
50
0.310
0.028
50
1.000
0.009
50
-0.163
0.000 0.718
50
50
-0.555 0.358
0.108
50
-0.334
0.000 0.336
50
50
0.048 0.138
0.028
50
0.363
0.
50
-0.163
0.258
50
1.000
0.000 0.011
50
50
-0.730 -0.120
0.018 0.742 0.340
50
50
50
0.440 -0.583 -0.212
0.009
50
-0.520
0.258
50
-.555
0.
50
-0.730
0.000 0.408
50
50
1.000 -0.147
0. 0.308
50
50
-0.147 1.000
0.001
50
-0.056
0.000 0.139
50
50
0.399 0.026
0.000
50
0.052
0.000
50
0.358
0.000
50
-0.120
0.697
50
0.004 0.860
50
50
0.718
50
0.011
50
0.408
50
0.308
50
0.
50
L’attività esterasica è direttamente correlata al peso molecolare
apparente delle sostanze umiche per pW0.01. L’attività invertasica è inversamente correlata al pH per pW0.05, mentre è direttamente correlata al CO
per pW0.05. L’attività perossidasica è direttamente correlata alla I frazione
umica ad un livello di significatività pari a pW0.01 ed è direttamente correlata al contenuto in acido indolacetico per pW0.01. L’attività invertasica e
l’attività esterasica sono inversamente correlate fra loro ad un livello di si-
302
Sessi et al.
gnificatività pari a pW0.05. Un approfondimento dello studio mediante l’attività enzimatica è stato effettuato attraverso la tecnica elettroforetica, tecnica che permette di evidenziare il polimorfismo isoenzimatico e di correlarlo
all’attività ormono-simile delle sostanze umiche (Nardi et al., 1996). Il profilo elettroforetico, relativo all’attività esterasica (Fig. 1), evidenzia differenze quantitative e qualitative rispetto al controllo nei germogli cresciuti in presenza di AIA e delle sostanze umiche. Le diversità sono particolarmente evidenti nei campioni trattati con gli estratti umici degli orizzonti A, Ah e AE
dei siti rimboschiti P19 e P44. In questi zimogrammi infatti è presente una
banda proteica che non si riscontra nel controllo né negli altri campioni. Il
profilo elettroforetico delle perossidasi (Fig. 2) mette in luce la presenza di
una nuova banda nei trattati con AIA e con le sostanze umiche di P44Ah.
L’attività biologica dei composti umici provenienti dal sito P19 e P44 è paragonabile a quella indotta dall’AIA.
Fig. 1. Analisi elettroforetica dell'esterasi.
P1Ah P1A
P4Ah
P4AE
P44Ah P44AE
Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di
sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo
P5A
P32AE
P19A
H2O
303
AIA
Conclusioni
I parametri chimici impiegati hanno messo in luce la diversa
evoluzione della sostanza organica nei suoli oggetto di studio. In particolare: il pH, il contenuto in fenoli, la complessità molecolare delle sostanze
umiche ed il loro contenuto in acido indolacetico influenzano diversamente
le risposte metaboliche nei germogli di abete rosso. Differenze significative
tra le praterie ed i rimboschimenti sono emerse dal test di Kruskal-Wallis tuttavia, a causa della scarsità dei siti presi in esame, non è stato possibile adottare il test per il confronto a due a due fra i gruppi. Studi precedenti avevano delineato come le sostanze umiche provenienti da terreni acidi stimolassero nelle piante attività auxino-simili, mentre frazioni umiche derivanti da
304
Sessi et al.
terreni neutri incrementassero le attività gibberellino-simili (Calabrese et al.,
1998). Questo studio dimostra che l’attività invertasica essendo inversamente correlata al pH è tipica di ambienti neutri o basici, mentre l’attività esterasica manifestandosi in alternativa all’attività invertasica è caratterizzante
degli ambienti acidi. Le sostanze umiche provenienti da alcuni rimboschimenti hanno manifestano un comportamento simile a quello dell’acido indolacetico indicando una spiccata attività biologica. Il cambio d’uso del suolo può indurre quindi modificazioni non solo nel turn-over della sostanza organica, ma anche nell’evoluzione delle sostanze umiche e nelle loro interazioni con le piante.
Fig. 2. Analisi elettroforetica della perossidasi.
P1Ah
P1A
P4Ah
P44Ah
P5A
Caratterizzazione del turnover della sostanza organica del suolo e studio dell’attività biologica di
sostanze umiche in ecosistemi montani sottoposti a cambiamenti d’uso del suolo
P32AE
P19A
H2O
305
AIA
Ringraziamenti
Gli autori desiderano ringraziare i Dr. M.S. Calabrese, P. Magazzini e G. Sartori per la descrizione ed il campionamento dei profili di suolo ad esclusione di P42, P43, P44, P45.
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307
DISTRIBUZIONE
DI CU, FE, MN E ZN NEI SUOLI
ALLUVIONALI DELLA PIANA DI RIETI E CONFRONTO
TRA LA LORO CONCENTRAZIONE NEGLI ORIZZONTI
SUPERFÍCIALI E SOTTOSUPERFICIALI
Spadoni M.*, Panusa A.**, Lorenzoni P.*, De Simone C.*
* Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo. Sezione di Conservazione del Suolo
Via Casette, 1 - 02100 Rieti
** Agenzia Nazionale Protezione Ambiente
Via Vitaliano Brancati, 48 - 00144 Roma
Riassunto
Oggetto del presente lavoro è stato lo studio delle concentrazioni di Cu, Fe, Mn,
e Zn, nell’orizzonte arato (Ap) ed in quello sottostante, nei suoli della Piana di Rieti,
allo scopo di evidenziare analogie o diversità di comportamento in funzione delle
caratteristiche dei suoli e della contiguità con attività antropiche, collegate sia alla
vicinanza del centro urbano che alla presenza di un’agricoltura di tipo intensivo.
I risultati ottenuti indicano come l’analisi congiunta delle frazioni estraibili in
DTPA ed in Acqua Regia sia in grado di fornire informazioni riguardo alla natura
ed alla portata dei fenomeni di accumulo dei differenti metalli lungo il profilo, nonché suggerire alcuni valori di riferimento indispensabili allo studio dell’evoluzione
futura del contenuto e della distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nell’area studiata.
Introduzione
La piana di Rieti è una delle maggiori aree alluvionali dell’Appennino centrale; presenta un uso intensivo del suolo a fini agronomici caratterizzato dalla diffusione di colture di tipo cerealicolo-industriale costituite prevalentemente da mais, frumento, barbabietola da zucchero e, in subordine, da
girasole e soia. L’area si trova in continuità con il centro urbano di Rieti che
occupa la sua parte sud orientale. Durante l’Olocene, l’evoluzione morfologica e sedimentaria della pianura è stata guidata dai processi idrodinamici del
Fiume Velino, che oggi la attraversa con un corso meandriforme, da SE a NW,
e da quelli dei suoi principali affluenti, i fiumi Turano e Cantaro (Ferreli et al.,
1990). Numerosi corsi d’acqua minori, provenienti dai rilievi immediatamente circostanti, hanno dato origine a strutture sedimentarie, tipo conoide di deiezione, profondamente interdigitate con i sedimenti della piana.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 307-317 (2001)
308
Spadoni et al.
Una considerevole azione di controllo morfologico e sedimentario è stata svolta dall’uomo nel corso degli ultimi duemila anni, attraverso
una costante azione di bonifica (Leggio & Serva, 1991). Questa ha comportato il parziale svuotamento del lago che originariamente occupava gran parte dell’area (Lacus Velinus), la creazione di canali preposti al drenaggio delle acque, la realizzazione di arginature artificiali a protezione dei coltivi ed
altro ancora. L’area è caratterizzata da un gradiente topografico, da sud a
nord, che porta la pianura dai 390 m s.l.m., a sud, fino ai 370 m s.l.m. nel
suo margine settentrionale. Qui persistono due specchi d’acqua residuali
(Lago Lungo e Lago di Ripasottile) la cui dinamica è rigidamente controllata da un impianto idrovoro.
La pedogenesi, avvenuta in quest’area su sedimenti alluvionali a
granulometria variabile, in regime di umidità udico, ha dato origine a suoli
scarsamente evoluti, appartenenti all’Ordine degli Entisuoli, in corrispondenza dei sedimenti maggiormente sabbiosi e ad Inceptisuoli in corrispondenza
dei sedimenti più fini. Questi ultimi presentano talora caratteristiche vertiche
in dipendenza della tipologia e dell’abbondanza della frazione argillosa.
In un tale ambiente, rappresentativo di numerose aree centroappenniniche, appare evidente l’utilità di valutare il comportamento dei principali micronutrienti in funzione sia delle caratteristiche chimico-fisiche dei
suoli, la cui influenza sulla mobilità e sulla biodisponibilità di tali elementi
è ben nota (Harter 1983; McGrath et al., 1988; Fernandez-Falcon et al.,
1994; Lorenzoni et al., 1996), che delle attività antropiche.
Il presente lavoro si è dunque prefisso di studiare le concentrazioni di Cu, Fe, Mn, e Zn, nell’orizzonte arato (Ap) ed in quello sottostante,
nei suoli della Piana di Rieti, allo scopo di evidenziare analogie o diversità
di comportamento in funzione sia del variare di alcuni parametri pedologici
(pH, contenuto in Carbonio organico totale e tessitura) che della presenza,
attuale o passata, di specifiche attività umane.
Materiali e metodi
Da un campionamento condotto secondo uno schema “random
stratificato”, su una superficie complessiva di 90 Km2 nella piana di Rieti,
sono stati selezionati 48 campioni di suolo rappresentativi di cinque distinte
aree geografiche e di differenti contesti morfo-pedologici. Le aree sono state denominate come segue: Comunali (Al), Laghi (A2), S.Pastore (A3), Città
(A4), Nucleo industriale (A5).
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro
concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali
309
I campioni sono stati prelevati sia dall’orizzonte superficiale
arato (Ap: 0-45 cm) che da quello immediatamente sottostante (45-60 cm).
Sono state determinate le principali caratteristiche pedologiche dei suoli,
quali la tessitura, il pH in H2O e in KCl e il carbonio organico totale (COT).
Data la scarsità d’informazione che l’analisi del solo contenuto totale fornisce circa la frazione assimilatile (Tessler et al., 1979), le concentrazioni dei
micronutrienti presi in considerazione (Cu, Fe, Mn, e Zn) sono state analizzate sia nella loro frazione estraibile in DTPA (acido dietilentriamminopentacetico ad azione chelante), utilizzata come stima della frazione assimilatile, che in quella estraibile in acqua regia, rappresentativa della frazione totale presente nel suolo. L’estrazione è stata eseguita in accordo con le indicazioni del MIRAAF (1994). Tutti gli estratti sono stati analizzati mediante
spettrofotometria ad assorbimento atomico (apparecchio Perkin Elmer,
Modello 1100 B).
Lo studio della correlazione lineare tra le variabili studiate (coefficiente di Pearson) e delle loro statistiche descrittive è stato condotto con
il software SPSS 6.1 (SPSS inc.).
Risultati
Uno schema riassuntivo dei principali suoli della piana di Rieti
è riportato in tabella 1. Le tessiture più fini sono presenti nelle aree morfologicamente più depresse e generalmente distanti dall’attuale posizione degli alvei principali; per contro, la diffusione di tessiture con una più marcata componente sabbiosa si trova in prossimità del Fiume Velino. I suoli presenti nelle aree depresse presentano altresì un considerevole contenuto in
carbonio organico totale in relazione ad uno stato di saturazione idrica del
suolo più prolungata nel tempo, e quindi ad una più lenta attivazione dei processi di mineralizzazione.
Tabella 1 – Corrispondenza tra tessitura e classificazione dei suoli nella Piana di
Rieti (da Spadoni et al., 1999).
Tessitura prevalente dei suoli
Classificazione secondo Soil Taxonomy 1997
Sabbiosi:
Limosi:
Argilloso - Limosi:
Argillosi:
Typic Udifluvents, Aeric Fluvaquents
Fluventic Eutrochrepts, Fluvaquentic Eutrochrepts
Vertic Eutrochrepts
Typic Chromuderts
Le aree di campionamento selezionate risultano rappresentative
di differenti contesti geografici e geomorfologici.
310
Spadoni et al.
• Comunali (A1). Area soggetta ad agricoltura di tipo intensivo, ubicata
nel settore meridionale della piana di Rieti ad una quota non inferiore ai 380
m s.l.m. e posizionata tra il F. Velino ed il F. Turano. Fino ad epoche relativamente recenti veniva frequentemente alluvionata dalle periodiche esondazioni dei due corsi d’acqua che innescavano processi di deposizione di sedimenti progressivamente più fini nelle aree più distali. Tessitura variabile in
dipendenza della distanza dai corsi d’acqua, da franco-sabbiosa a franco-limoso-argillosa.
• Laghi (A2). Area ubicata al margine settentrionale della piana di Rieti
in posizione morfologica depressa ad una quota di circa 370 m s.l.m., la cui
gestione è improntata ad un utilizzo agricolo intensivo. I suoli sono soggetti a condizioni semipermanenti di idromorfia dovute alla superficialità della
falda idrica, presentano una tessitura caratterizzata da un contenuto in argilla mai inferiore al 35%, una notevole abbondanza di carbonio organico (anche superiore al 7%), che può aumentare nell’orizzonte sottosuperficiale in
presenza di condizioni di saturazione permanente dei suoli, e pH relativamente basso (pHKCl sempre inferiore a 7).
• S. Pastore (A3). Area soggetta ad agricoltura intensiva, ubicata nella
parte centrale della piana di Rieti intorno ai 375 m s.l.m. in posizione morfologica intermedia tra Al e A2. I suoli possiedono una sensibile componente limosa, sempre superiore al 45%, e COT intorno all’1%.
• Città (A4). Area inserita nel perimetro urbano o in posizione limitrofa,
soggetta ad agricoltura di tipo intensivo ancora in atto o praticata fino a tempi recenti. Contiguità con vie di comunicazione di medio-alta frequentazione. Suoli a tessitura franca con componenti argillose o limose più o meno
marcate e COT compreso tra l’1 e il 2 %.
• Nucleo industriale (A5). Area inserita nel territorio del nucleo industriale della città, costituita da suoli incolti da oltre 15 anni, appartenenti ad
una conoide di deiezione limitrofa alla piana di Rieti. Vista l’assenza di una
recente omogeneizzazione dell’orizzonte superficiale Ap, il campionamento
è stato condotto considerando due orizzonti a profondità comprese tra 0-10
cm e 10-20 cm. Tessiture franche o franco-argillose, COT anche superiore al
2% e pH dell’orizzonte superficiale medio-bassi rispetto ai valori medi della piana reatina.
I suoli campionati testimoniano diverse tipologie di gestione ed
utilizzo. I principali parametri pedologici nei suoli di ciascuna area e la loro
variabilità nei due orizzonti campionati sono riportati in tabella 2 e in figura la (pHKCl e pHH2O) e 1b (C organico totale %).
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro
concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali
311
Tabella 2 – Valori assunti dai principali parametri pedologici nelle 5 aree studiate.
Sono riportati gli intervalli di oscillazione dei valori. FS=franco sabbioso,
FLA=franco limoso argilloso, AL=argilloso limoso, F=franco, FA=franco argilloso.
Area
Profondità Tessitura
pH(H2O)
pH(KCl)
COT%
Comunali
A1
Laghi
A2
S. Pastore
A3
Città
A4
Nucleo ind.
A5
0-45
45-60
0-45
45-60
0-45
45-60
0-45
45-60
0-10
10-20
8,0
8,0
7,9
7,5
8,1
8,0
7,9
8,0
7,5
8,0
7,1
7,1
6,8
6,8
7,0
7,0
7,0
7,3
6,9
7,2
0,8
0,7
1,8
1,4
0,9
0,6
1,1
0,7
1,2
0,9
FS - FLA
FS - FLA
AL - FLA
AL - FLA
F - FL - FLA
F - FL - FLA
F - FL - FLA- FA
F - FL - FLA- FA
F - FA
F - FA
-
8,2
8,2
8,1
8,2
8,2
8,3
8,1
8,2
8,0
8,1
-
7,3
7,2
7,0
7,4
7,3
7,3
7,3
7,6
7,0
7,3
-
1,9
1,0
7,3
7,2
2,4
1,1
2,0
1,3
2,3
1,4
Fig. 1 – a) pH in H2O e in KCl a confronto nei due orizzonti studiati. b) Contenuto
percentuale in Carbonio Organico Totale a confronto nei due orizzonti studiati.
a
b
312
Spadoni et al.
In tabella 3 sono riportati i valori di concentrazione rinvenuti
per Cu, Fe, Mn e Zn nei campioni studiati, mentre il confronto diretto tra
l’andamento delle concentrazioni dei vari elementi negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali è illustrato in figura 2a-h.
Tab. 3 – Concentrazione di Cu, Fe, Mn e Zn nei due orizzonti superficiali dei suoli
studiati. Viene riportato il valore medio espresso in mg/kg e, tra parentesi, la
deviazione standard.
Area
Prof.
Cu (mg/kg)
cm DTPA TOT
0-45 4,27 38,95
Comunali
(0,90) (19,31)
A1
45-60 3,71 35,80
(0,11) (12,02)
0-45 4,76 48,92
Laghi
(2,08) (24,23)
A2
45-60 4,52 44,47
(2,13) (21,86)
0-45 4,17 39,64
S. Pastore
(3,27) (14,38)
A3
45-60 2,80 30,46
(1,35) (7,20)
0-45 15,06 61,20
Città
(6,64) (28,68)
A4
45-60 8,18 40,04
(5,64) (12,99)
0-10 10,82 62,45
Nucleo ind.
(9,45) (28,24)
A5
10-20 9,50 57,37
(6,60) (20,35)
Fe (mg/kg)
DTPA TOT
29,75 28418
(10,72) (10233)
32,20 33045
(7,37) (7312)
84,27 36290
(55,75) (5506)
104,32 30071
(81,61) (9711)
41,64 31666
(10,58) (6888)
23,52 32928
(4,88) (6715)
29,58 29510
(5,20) (7108)
21,66 29618
(6,98) (9407)
23,53 28524
(7,71) (6282)
24,74 29101
(6,81) (4124)
Mn (mg/kg)
DTPA TOT
21,0 596,2
(11,8) (161,1)
14,7 682,4
(2,3) (137,0)
21,7 558,3
(10,4) (164,8)
16,8 322,1
(11,5) (107,6)
27,6 705,5
(8,8) (149,0)
15,7 657,3
(3,6) (169,1)
32,5 777,7
(9,5) (171,9)
17,9 554,1
(4,3) (152,0)
40,5 1115,5
(13,1) (281,2)
30,1 960,1
(5,5) (148,0)
Zn (mg/kg)
DTPA TOT
2,51 71,2
(0,71) (24,3)
1,05 77,9
(0,22) (19,5)
3,42 90,7
(0,55) (15,8)
1,48 80,4
(0,88) (23,7)
3,93 74,7
(1,26) (16,3)
0,88 74,8
(0,54) (15,4)
4,58 77,8
(2,26) (21,7)
1,00 76,2
(0,51) (24,2)
3,09 66,6
(0,78) (11,3)
1,05 69,6
(0,27) (8,0)
Dall’osservazione dei valori di concentrazione del Fe[DTPA] si
evidenzia come, in quattro delle cinque aree considerate (Al, A3, A4 e A5),
i valori siano non dissimili e compresi tra 11,70 e 58,58 mg/kg. Valori sensibilmente più elevati (con una media di 84,27 mg/kg e fino ad un max di
241,6 mg/kg) sono invece stati riscontrati nell’area A2. Ciò si deve probabilmente imputare all’elevato contenuto di sostanza organica dei suoli qui
presenti (tabella 2), ai pH più bassi rispetto a quelli delle altre aree e all’ambiente scarsamente aerato, fattori che stimolano la formazione di complessi pseudosolubili con la componente organica. A sostegno di quanto sopra si noti la spiccata somiglianza tra gli andamenti illustrati nelle figure lb
e 2c che illustrano, rispettivamente, l’andamento del contenuto in C organico totale e quello delle concentrazioni in Fe[DTPA] , e gli elevati valori dei
loro coefficienti di correlazione riportati in tabella 4. Complessivamente i
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro
concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali
313
Fig. 2 - Concentrazioni a confronto di Cu (a-b), Fe (c-d), Mn (e-f) e Zn (g-h) nei
due orizzonti studiati.
314
Spadoni et al.
valori di concentrazione non sembrano presentare differenze significative tra
l’orizzonte superiore e quello inferiore.
Anche per quanto riguarda la concentrazione di Fe totale la
principale differenziazione si evidenzia nei suoli dell’area A2. Qui le concentrazioni superiori nell’orizzonte Ap rispetto a quelle dell’orizzonte sottosuperficiale (figura 2d), sono da imputarsi alla maggiore mobilizzazione, sotto forma di carbonato, del Fe ridotto nell’orizzonte sottostante l’Ap. Il ferro
è qui infatti soggetto ai processi di migrazione legati alle oscillazioni stagionali della falda subsuperficiale.
Il Mn mostra una distinzione abbastanza chiara tra le concentrazioni dell’orizzonte Ap e quelle dell’orizzonte sottostante per ciò che riguarda sia l’estraibile in DTPA che per il contenuto totale. In particolare, i
valori di concentrazione risultano essere, nella maggior parte dei casi, distintamente superiori nell’orizzonte Ap (tabella 3) specialmente nell’area
A2, in modo del tutto analogo a quanto evidenziato per il Fe. Tale risultanza è conforme alle analogie comportamentali dei due elementi e alla loro simile risposta alle diverse caratteristiche pedologiche. In assoluto, i valori più
elevati, per entrambe le frazioni estratte, si rinvengono nei suoli dell’area urbana (A4) e della contigua area industriale (A5) (tabella 3, figura 2e-f).
Le concentrazioni di Cu appaiono complessivamente molto simili nei due orizzonti studiati, sia relativamente alla frazione estraibile in
DTPA che a quella totale (tabella 3 e figure 2a e 2b). Una significativa eccezione è però rappresentata dai suoli dell’area A4 in cui si nota un chiaro
incremento dei valori nell’orizzonte Ap. In questo caso, alla luce della storia colturale della zona contigua all’area urbanizzata, si può ragionevolmente ipotizzare una relazione tra l’accumulo di questo elemento nell’orizzonte
superficiale e l’utilizzo del solfato rameico (CuSO4) nell’ambito della coltivazione della vite, attuata fino a tempi relativamente recenti al fine di proteggere tale pianta da funghi e patogeni (Massullo, 1998). Tale processo di
relativo arricchimento è favorito da due proprietà dell’elemento: la capacità
che ha il Cu di fissarsi in modo molto forte ai siti di scambio delle argille,
alla sostanza organica e agli ossidi di Fe, Al e Mn, e la conseguente scarsa
mobilità di tale elemento lungo il profilo pedologico. Quest’ultima è anche
rafforzata dai valori di pH[H2O] relativamente alti e mai inferiori a 7,9. Le
caratteristiche dell’elemento, pertanto, associate con le proprietà pedologiche
dei suoli studiati, hanno indotto un arricchimento sia nella frazione “assimilabile”, quella legata alle argille e parzialmente alla sostanza organica, sia in
quella totale, ovvero in quella più strettamente legata agli ossidi.
In accordo con quanto riportato in letteratura (Adriano, 1986),
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro
concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali
315
il contenuto in Zn lungo il profilo pedologico sembra differenziarsi solo per
le concentrazioni della frazione assimilabile mentre risulta pressoché identico per ciò che riguarda il totale.
Lo Zn[DTPA] presenta concentrazioni costantemente più elevate
nell’orizzonte Ap (concentrazioni fino a 4 o 5 volte maggiori) come è chiaramente visibile dalla figura 2g. Si nota inoltre una marcata variabilità dei
valori della concentrazione nell’orizzonte Ap a fronte di una relativa costanza dei valori osservati nell’orizzonte sottostante, come appare dai valori della deviazione standard riportati in tabella 3. Ciò suggerisce la possibile esistenza di fenomeni locali di accumulo nell’orizzonte superiore, da confrontare con un “valore di fondo”, indipendente dall’ubicazione del campione e
dalle caratteristiche pedologiche, costituito dai valori di concentrazione nell’orizzonte sottosuperficiale. Il comportamento diversificato dello Zn[DTPA]
è anche evidenziato dal basso valore del coefficiente di correlazione esistente tra le concentrazioni dell’elemento nei due orizzonti considerati (tabella
4). L’origine di questo elemento nei suoli potrebbe essere legato all’utilizzo,
diffuso in questa area, di fertilizzanti complessi.
Tab. 4 – Coefficienti di correlazione di Pearson tra gli elementi, il pH e il COT%,
nonché tra le concentrazioni nei due orizzonti.
Coefficienti di correlazione (Pearson)
PH[H2O]
PH[KCl]
C%
0-45/45-60cm
Cu [DTPA]
Cu [tot]
Fe
[DTPA]
Fe
[tot]
Mn [DTPA]
Mn [tot]
Zn [DTPA]
Zn [tot]
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
0-45 cm
45-60 cm
-0,2967
-0,3702
-0,4946*
-0,6453**
-0,0658
-0,1064
-0,0916
0,0446
-0,4089
-0,5280**
-0,3852
-0,1909
-0,0245
-0,2098
-0,0485
-0,0085
0,1041
0,0808
-0,3596
-0,4801*
-0,4285*
-0,4003
-0,6395
-0,3541
-0,2666
-0,2870
-0,2669
0,0165
0,0249
-0,2886
-0,5516**
-0,4238*
-0,1612
-0,1249
0,0496
0,2493
0,9175**
0,7836**
0,5650
0,2809
-0,1924
0,0872
-0,3075
-0,4213*
-0,0086
0,5085*
0,4815*
0,3633
0,8716**
0,8483**
0,7899**
0,7850**
0,6958**
0,7712**
0,1348
0,8942**
*0,01<p<0,05 **p<0,01
Nessuna differenziazione è invece presente nelle concentrazioni di Zn[tot] per il quale le analisi mostrano una notevole concordanza dei valori nei due orizzonti (tabella 3 e figura 2h). I valori assoluti delle concen-
316
Spadoni et al.
trazioni di tutti gli elementi studiati, stando a quanto riportato in bibliografia, rientrano negli intervalli attesi per suoli analoghi a quelli da noi esaminati (Adriano, 1986) e non denotano carenze o superamento di soglie limite.
Conclusioni
L’interazione tra i processi pedogenetici e l’attività antropica ha
influenzato considerevolmente la distribuzione areale delle concentrazioni di
Cu, Fe, Mn e Zn e l’abbondanza di tali elementi lungo i due orizzonti più superficiali dei suoli della piana di Rieti. La valutazione delle differenti condizioni idrogeologiche e morfologiche dell’area, nonché, della contiguità dei
suoli con il centro abitato, ha permesso di evidenziare differenze e analogie
di comportamento degli elementi studiati e di mettere a fuoco l’esistenza di
fenomeni di accumulo.
L’analisi congiunta della frazione estraibile in DTPA e di quella estraibile in Acqua Regia, ha potuto fornire informazioni essenziali riguardo alla natura e all’entità dei processi di accumulo e migrazione degli
elementi lungo il profilo, consentendo anche una puntuale valutazione dell’influenza delle attività antropiche. Il confronto tra i diversi estratti, affiancato dall’analisi dei principali parametri pedologici, si è dimostrato pertanto
fondamentale per uno studio integrato dei suoli che voglia chiarire sia la dinamica dei processi naturali che l’influenza dell’attività dell’uomo.
Lo studio delle concentrazioni estraibili in DTPA e in Acqua
Regia ha inoltre fornito utili valori di riferimento che costituiscono una tappa fondamentale per la comprensione dell’evoluzione futura dei processi che
sono alla base dell’accumulo e della migrazione lungo il profilo di Cu, Fe,
Mn e Zn.
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HARTER R.D., 1983. Effect of soil pH on adsorption of Lead, Copper, Zinc and Nickel. Soil Sci. Am. J., 47, 47-51.
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25/26.
Distribuzione di Cu, Fe, Mn e Zn nei suoli alluvionali della piana di Rieti e confronto tra la loro
concentrazione negli orizzonti superficiali e sottosuperficiali
317
LORENZONI P., DE SIMONE C., SPADONI M., GUIDOTTI M., COLASANTI G., ONORATI B., 1996. Influenza di
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MASSULLO G., 1998. La conca reatina: agricoltura e ambiente fra ottocento e novecento. Atti del Convegno Geografico
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MIRAAF, 1994. Metodi ufficiali di analisi chimica dei suoli, 207 pp.
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TESSLER A.. CAMBELL P.G.C. and BISSON, 1979. Sequential extraction procedure for the speciation of particulate
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319
DINAMICA
DELLA STRUTTURA IN UN SUOLO
FRANCO ARGILLOSO INVESTITO A VIGNETO E
SOTTOPOSTO A DIVERSE MODALITÀ DI GESTIONE 1
Nadia Vignozzi, Sergio Pellegrini, Marcello Pagliai 2
Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo – Firenze
Riassunto
Sono stati studiati gli effetti di diverse tecniche alternative di gestione del vigneto, inerbimento e lavorazioni ridotte, sulla struttura del suolo, durante l’arco
completo di un anno. La caratterizzazione della struttura è stata eseguita attraverso
la quantificazione della porosità, mediante analisi di immagine, e la determinazione
della stabilità degli aggregati.
I risultati hanno evidenziato che non ci sono rilevanti differenze fra i valori di
porosità delle diverse tesi a confronto in nessuna delle epoche studiate. Il terreno
inerbito con trifoglio presenta sempre una macroporosità molto ben distribuita; in
tutte le altre tesi la distribuzione dimensionale dei pori non presenta differenze molto pronunciate, in particolare la porosità di tipo allungato tende a spostarsi nelle classi dimensionali più piccole. Per quanto riguarda la stabilità strutturale, è interessante notare come in tutte le epoche di campionamento i valori più alti di stabilità degli aggregati si riscontrano nel terreno inerbito con trifoglio; le altre tesi inerbite mostrano un andamento discontinuo e valori sempre più bassi rispetto al trifoglio. La
stabilità degli aggregati più bassa è stata comunque sempre rilevata nel terreno sottoposto a rippatura, ove peraltro dalle osservazioni micromorfologiche si riscontra la
formazione di croste superficiali.
Introduzione
Nelle aree viticole dell’Italia centrale e meridionale la gestione
del suolo prevede ancora le pratiche tradizionali, consistenti in lavorazioni
superficiali eseguite durante la tarda primavera e l’estate; gli scopi di tali lavorazioni sono: eliminare le malerbe, preservare il contenuto idrico del suolo e interrare i fertilizzanti.
1 Ricerca condotta nell'ambito del progetto "Chianti Classico 2000" in collaborazione con il
Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose dell'Università degli Studi di
Pisa.
2 L'impostazione, la discussione e la stesura del lavoro è da attribuirsi in parti uguali ai tre
autori.
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 319-327 (2001)
320
Vignozzi et al.
D’altra parte l’esperienza ha ampiamente dimostrato che le lavorazioni continue sono fra i maggiori responsabili della degradazione del
suolo; tanto più dove, a causa della disposizione dei filari, queste sono eseguite a rittochino. Per questo motivo in alcuni ambienti, dove l’attenzione alla protezione delle risorse paesaggistiche e ambientali comincia ad affermarsi, si vanno diffondendo sempre più alcune tecniche di gestione del suolo alternative alle tradizionali, anche se le condizioni pedo-climatiche non
sono ottimali.
I risultati di ricerche preliminari (Vignozzi et al., 1997) hanno
evidenziato, seppure in modo e misura diversa in rapporto all’ambiente pedo-climatico, l’influenza positiva, in generale, dell’introduzione di tecniche
di gestione del vigneto alternative alle tradizionali sulla struttura del suolo;
in particolare, dell’adozione dell’inerbimento in quanto maggiormente capace rispetto alle lavorazioni sia pure ridotte di ridurre i rischi erosivi.
Il presente lavoro rappresenta un ulteriore approfondimento per
la valutazione di questi modelli di gestione. Riportando gli effetti dei diversi tipi di inerbimento e delle lavorazioni ridotte sulla struttura del terreno durante l’arco completo di un anno si intende valutare la dinamica di questo
importante indicatore delle qualità fisiche del suolo al fine di contribuire all’individuazione del modello di gestione che meglio si adatta all’esigenza
dell’ambiente considerato.
La struttura è stata caratterizzata attraverso la quantificazione
della porosità mediante analisi di immagine su sezioni sottili preparate da
campioni indisturbati di suolo e tramite la determinazione dell’indice di stabilità strutturale.
Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta in un vigneto sperimentale denominato “Lilliano” situato nel comune di Castellina in Chianti. Nel campo, caratterizzato da un terreno franco argilloso e una disposizione dei filari secondo la massima pendenza, è in corso una sperimentazione volta a valutare gli effetti di diverse modalità di gestione del vigneto – 1) lavorazione con
ripper, 2) inerbimento naturale, inerbimento controllato con 3) Bromus catarticum, con 4) Lolium perenne+Festuca rubra e con 5) Trifolium subterraneum – sulle qualità fisiche del suolo legate ai rischi di erosione ed alla
protezione dell’ambiente.
L’esperimento è stato programmato prevedendo tre campiona-
Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse
modalità di gestione
321
menti durante l’arco completo di un anno - settembre ’96, maggio ’97, settembre ’97.
Le misure di porosità sono state effettuate su campioni indisturbati di terreno prelevati nello strato superficiale (0-10 cm) delle parcelle, con sei ripetizioni per tesi. I campioni sono stati essiccati seguendo il metodo che prevede la sostituzione dell’acqua con acetone e impregnati sotto
vuoto con una resina poliestere; una volta induriti, da ogni campione è stata
preparata una sezione sottile, verticalmente orientata, delle dimensioni di 6x7
cm e dello spessore di 20-25 µm (Murphy, 1986). Le sezioni sottili sono state esaminate mediante un analizzatore di immagine, usando il software IMAGE-PRO PLUS, prodotto dalla “Media Cybernetics” (Silver Spring - USA),
per le misure di porosità.
I pori sono stati caratterizzati secondo la loro forma (espressa
dal seguente fattore di forma: perimetro2/(4π.area)), e divisi in tre gruppi
morfologici: pori più o meno regolari (fattore di forma 1-2); pori irregolari
(fattore di forma 2-5); pori allungati (fattore di forma >5). I pori di ciascun
gruppo sono stati poi ulteriormente suddivisi in classi dimensionali secondo
il loro diametro equivalente per i regolari e irregolari e secondo la loro larghezza per quelli allungati (Pagliai et al., 1983, 1984). Le sezioni sono state inoltre esaminate al microscopio polarizzatore Zeiss R POL a 25 ingrandimenti per le osservazioni micromorfologiche.
L’indice di stabilità di struttura è stato determinato sulla frazione 1-2 mm di campioni di terreno prelevati nello strato superficiale (0-10
cm), seguendo il metodo a determinazione unica con depurazione dalla sabbia ed oscillazione verticale. L’indice di stabilità di struttura è definito dall’espressione (C-D/A+B-D).100, dove A è il peso degli aggregati all’inizio
della determinazione, C il peso degli aggregati rimasti dopo 30’ di oscillazione raccolti, mediante getto di acqua distillata, dal cestello in una capsula
di vetro ed essiccati in stufa a 105°C, B il peso della capsula di vetro, D il
peso della sabbia (Pagliai et al., 1997). Ogni determinazione è stata effettuata
in triplo.
Risultati
I risultati hanno evidenziato che non ci sono rilevanti differenze fra i valori di porosità delle diverse tesi a confronto in nessuna delle epoche studiate (Figg. 1 e 2).
322
Vignozzi et al.
Figura 1 – Effetto di differenti modalità di gestione del suolo sulla porosità espressa come percentuale dell’area occupata dai pori per sezione sottile di terreno (media di sei ripetizioni) nelle tre diverse epoche di campionamento. (Le tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di Duncan al livello del 5%).
Porosità totale
18
16
14
%
a
a
a
ab a
12
10
a
ripper
inerb. nat
bromus
lol+fest
trifoglio
a
a
a
b
b
8
6
a
ab
b
a
4
2
0
set-96
mag-97
set-97
Figura 2 – Effetto di differenti modalità di gestione del suolo sulla porosità allungata espressa come percentuale dell’area occupata dai pori allungati per sezione sottile
di terreno (media di sei ripetizioni) nelle tre diverse epoche di campionamento. (Le
tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di Duncan al livello del 5%).
Porosità allungata
12
a
10
8
% 6
a
a
a a
ab
a a
b
4
a
a
a
b
b
b
2
0
set-96
mag-97
set-97
ripper
inerb. nat
bromus
lol+fest
trifoglio
Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse
modalità di gestione
323
In tutte le tesi ad eccezione del trifoglio sia la porosità totale che
quella allungata mostrano un andamento discontinuo; in particolare si nota
che la percentuale di porosità diminuisce nei campioni di terreno prelevati a
maggio, soprattutto in quelli sottoposti a lavorazione. Questo risultato è giustificato dal fatto che il campionamento è stato eseguito circa un mese dopo
la lavorazione e durante questo intervallo di tempo si sono registrate piogge
di notevole intensità; la copertura vegetale ha avuto in questo caso una funzione molto importante nel proteggere gli strati superficiali del terreno dall’azione battente delle piogge.
Confrontando la distribuzione dimensionale dei pori per le diverse tesi in ciascuna delle tre epoche di campionamento non si notano, ad
eccezione del trifoglio, differenze molto pronunciate; analizzando l’evoluzione, durante l’arco completo di un anno, della distribuzione dimensionale
nell’ambito di ciascuna tesi è evidente come la porosità di tipo allungato tende a spostarsi nelle classi dimensionali più piccole. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente nella tesi lavorata con ripper (Fig. 3) indicando
un compattamento della struttura del terreno con riduzione della continuità
dei pori soprattutto in senso verticale.
Il trifoglio sembra avere con il tempo una azione miglioratrice
(Fig. 4); si nota infatti un aumento della porosità di tipo allungato nelle classi comprese fra 50 e 500 µm, cioè proprio di quei pori detti di trasmissione
che secondo Greenland (1977) ed altri autori (Pagliai e De Nobili, 1993) sono i più importanti per i flussi idrici e lo sviluppo degli apparati radicali. L
aumento di questi pori origina una struttura poliedrica subangolare distribuita omogeneamente lungo il profilo in cui i pori stessi mostrano un’ottima
continuità in senso verticale garantendo l’infiltrazione dell’acqua.
Per quanto riguarda la stabilità strutturale, è interessante notare
come in tutte le epoche di campionamento i valori più alti si riscontrano nel
terreno inerbito con trifoglio; le altre tesi inerbite mostrano un andamento
discontinuo e valori sempre più bassi rispetto al trifoglio (Fig. 5). Comunque,
i più bassi valori di stabilità degli aggregati sono stati sempre rilevati nel terreno sottoposto a rippatura, ove peraltro dalle osservazioni micromorfologiche si riscontra la formazione di croste superficiali (Fig. 6) le quali riducono l’infiltrazione dell’acqua aumentando il ruscellamento superficiale e quindi i rischi erosivi.
324
Vignozzi et al.
Figura 3 – Distribuzione dimensionale dei pori, espressa come diametro eqivalente
per i pori regolari e irregolari e larghezza per i pori allungati, nelle tre epoche di
indagine.
Ripper - Settembre 1996
Pori Regolari
8
Pori Irregolari
Pori Allungati
POROSITA' (%)
7
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
500-1000
> 1000
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
Ripper - Maggio 1997
Pori Regolari
8
Pori Irregolari
Pori Allungati
POROSITA' (%)
7
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
500-1000
> 1000
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
Ripper - Settembre 1997
Pori Regolari
8
Pori Irregolari
Pori Allungati
POROSITA' (%)
7
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
500-1000
> 1000
Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse
modalità di gestione
325
Figura 4 – Distribuzione dimensionale dei pori, espressa come diametro equivalente per i pori regolari e irregolari e larghezza per i pori allungati, nelle tre epoche di
indagine.
Trifoglio - Settembre 1996
Pori Regolari
POROSITA' (%)
8
7
Pori Irregolari
Pori Allungati
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
500-1000
> 1000
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
Trifoglio - Maggio 1997
Pori Regolari
8
Pori Irregolari
Pori Allungati
POROSITA' (%)
7
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
500-1000
> 1000
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
Trifoglio - Settembre 1997
Pori Regolari
POROSITA' (%)
8
Pori Irregolari
Pori Allungati
7
6
5
4
3
2
1
0
< 100
100-200
200-300
300-400
400-500
CLASSI DIMENSIONALI (µ
µ m)
500-1000
> 1000
326
Vignozzi et al.
Figura 5 – Indice di stabilità strutturale delle diverse tesi poste a confronto nelle
tre epoche di campionamento (Le tesi contrassegnate, all’interno della stessa epoca, dalla stessa lettera non sono significativamente differenti impiegando il test di
Duncan al livello del 5%).
Indice di stabilità di struttura
95
90
85
ab
80
75
70
a
a
a
ab
a
b
ab
ab
c
b b
b
b
c
ripper
inerb. nat.
bromus
lol+fest
trifoglio
65
60
set-96
mag-97
set-97
Figura 6 – Macrofotografie di sezioni sottili, verticalmente orientate, dello strato
superficiale (0-6 cm) di un terreno sottoposto a inerbimento controllato con
Trifolium subterraneum (sinistra) e lavorazione con ripper (destra). Altezza della
macrofotografia 3 cm.
Dinamica della struttura in un suolo franco argilloso investito a vigneto e sottoposto a diverse
modalità di gestione
327
Conclusioni
I risultati indicano che nell’ambiente pedo-climatico oggetto di
indagine l’inerbimento con trifoglio sembra essere la tecnica di gestione migliore. L’impiego di questa essenza consente una buona strutturazione del
terreno, mantenendola stabile nel tempo. In generale comunque, in questo
ambiente, qualunque inerbimento è da preferirsi alle lavorazioni, anche se ridotte, in quanto la copertura vegetale migliora la struttura e impedisce la formazione di croste superficiali, che insieme al compattamento e alla presenza di suole di lavorazione rappresentano gli aspetti principali della degradazione fisica del suolo.
Il presente lavoro è inoltre un’ulteriore conferma dell’importanza della metodologia utilizzata nel determinare la porosità del terreno. Nel
caso studiato il dato di porosità totale non avrebbe quantificato le reali caratteristiche strutturali del suolo; lo studio del sistema dei pori nel suo complesso attraverso l’analisi di immagine e le osservazioni micromorfologiche,
ha consentito di ottenere risultati interessanti in quanto l’arrangiamento dei
pori ha permesso di definire il tipo di struttura e una valutazione funzionale
dei pori stessi.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano la Sig.ra M. Morandi, il Sig. G. D’Egidio e il Sig. A. Rocchini per l’assistenza tecnica, nonché la Dr.ssa O. Grasselli per la programmazione e realizzazione del piano di campionamento.
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329
MESSA
A PUNTO E PRIME APPLICAZIONI DI UN
SISTEMA SPERIMENTALE PER LO STUDIO DELLE
TRASFORMAZIONI DI MATERIALI ORGANICI NEL
SISTEMA SUOLO-PIANTA
Zaccheo P.a, Crippa L.a, Ricca G.b, Cabassi G.a
a Dipartimento di Produzione Vegetale, sez. Fisiologia delle Piante Coltivate e Chimica Agraria
Università degli Studi di Milano
b Centro di Studio per le Sostanze Naturali del C.N.R.,
Dipartimento di Chimica Organica e Industriale, Università di Milano
Riassunto
In questo lavoro viene presentato un approccio metodologico per lo studio della
decomposizione nel suolo di residui organici impiegati come ammendanti (residui
colturali, compost, fanghi, reflui, letami ecc.) e del conseguente rilascio di nutrienti. La separazione del materiale organico dal substrato di incubazione consente di effettuare bilanci di massa, di determinare quantitativamente l’evoluzione di carbonio,
azoto e altri elementi minerali a seguito della decomposizione, e di seguire le trasformazioni della componente organica con tecniche spettroscopiche quali la spettroscopia DRIFT. Il metodo viene sperimentato impiegando tre materiali organici:
due compost di differente origine e piante di mais essiccate e macinate.
Introduzione
Le tecniche di confinamento di materiali organici in ambiente
separato dal substrato di incubazione possono essere vantaggiosamente adottate nello studio degli effetti del compostaggio sull’intensità e la dinamica
dei processi di decomposizione che avvengono dopo l’incorporazione di tali materiali nel suolo. Scarse sono infatti le conoscenze circa il comportamento di compost di diversa origine, o prodotti in condizioni differenti, una
volta introdotti nel suolo, dove l’intensa attività radicale e la presenza della
biomassa microbica possono indurre nuovamente una trasformazione della
sostanza organica, seppur già stabilizzata dal precedente processo di compostaggio (Genevini & Zaccheo, 1998; Zaccheo et al., 1993). La tecnica di confinamento dei materiali organici simula la compartimentalizzazione degli aggregati di sostanza organica nel suolo, addensati in ‘hot spots’ ad elevata
Atti del Convegno SISS “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo”,
Gressoney-Saint Jean, 22-25 giugno 1999: 329-335 (2001)
330
Zaccheo et al.
densità microbica, e consente la separazione tra il substrato esplorato dalle
radici (suolo, sabbia o altro substrato) ed i campioni dei diversi materiali, che
vengono posti in un ambiente confinato nel quale è tuttavia garantito il passaggio di aria, soluzione circolante e cellule microbiche. Questa tecnica, mutuata dagli studi sulle trasformazioni delle lettiere in suoli naturali (con l’impiego delle cosiddette ‘litter bags’) (Bocock & Gilbert,1957), permette di effettuare bilanci di massa e di quantificare il rilascio dei nutrienti, nonché di
valutare l’effetto di variazioni dei parametri ambientali sui ritmi e sulle modalità di decomposizione. Inoltre il materiale, al termine della sperimentazione, può essere sottoposto ad analisi chimiche e spettroscopiche senza l’interferenza del substrato minerale o della biomassa radicale. Le analisi relative alla quota di nutrienti assorbita dalle piante o presenti in forma solubile
nel substrato possono inoltre consentire di associare la potenzialità fertilizzante a breve termine dei compost alle frazioni labili della sostanza organica, la cui caratterizzazione e valutazione quantitativa sono rese possibili dalle peculiarità del metodo sperimentale.
Materiali e metodi
I contenitori dei materiali organici sono costituiti da due dischi
Millipore (diametro 46 mm, porosità 2 µ) in lana di vetro con legante acrilico, distanziati da un anello in gomma (spessore 5mm) saldato ai dischi con
colla siliconica, delimitanti un volume interno utile di 6.6 cc. Le cialde così
ottenute, pesate individualmente prima dell’allestimento della prova, vengono successivamente riempite con un corrispondente volume dei residui organici previamente essiccati e macinati, inoculato con circa 70 mg di un suolo fertile, quindi sigillate e pesate nuovamente. Ogni cialda viene posta orizzontalmente a circa 5 cm di profondità in vasetti (vol. 300 ml) riempiti di
sabbia silicea lavata, che viene portata al 50% della capacità idrica massima.
Per seguire l’evoluzione della CO2 dai materiali in studio, 5 vasetti per trattamento vengono posti in barattoli a chiusura ermetica (vol. 1 l) con un becker contenente NaOH 0.5 N, che viene titolata con HCl 0.5 N. In altri 5 vasetti per trattamento vengono trapiantate tre piantine di lattuga (var.
Augusta), fertilizzate con una soluzione contenente fosforo e potassio in
quantità corrispondenti a 150 unità/ha di P2O5 e 240 di K2O, meso e microelementi. Entrambe le prove sono condotte in serra, con identiche condizioni climatiche. Al termine della prova (30 giorni) le piantine intere vengono separate dalla sabbia, lavate e determinato il peso secco e il contenuto in
azoto Kjieldahl. Le cialde di entrambe le prove vengono estratte, liberate dal-
Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni
di materiali organici nel sistema suolo-pianta
331
le radici eventualmente aderenti alla superficie esterna e pesate (secco a 105°
C). Il materiale organico estratto dalle cialde delle 5 repliche viene miscelato, pesato e analizzato per il contenuto in carbonio (metodo Springer e Klee),
azoto Kjieldahl, ceneri. L’analisi statistica dei dati è stata effettuata mediante ANOVA e le differenze tra le tesi valutate con LSD (p=0.05). Gli spettri
FTIR sono stati ottenuti con tecniche di riflettanza diffusa mescolando 20 mg
di campione con 300 mg di KBr. Spettri medi ottenuti da 4 campioni diversi dei materiali al tempo iniziale e a quello finale di incubazione, così come
proposto da Bak, 1998, sono stati elaborati secondo l’algoritmo proposto da
Banerjee & Li (1991) per la sottrazione spettrale. Questo algoritmo, chiamato ‘Dewiggle’ individua il fattore di scalatura dello spettro sottraendo come quello che minimizza il modulo dell’area della derivata prima dello spettro residuo. Viene così eliminato l’effetto della componente lineare della linea di base e lo spettro residuo viene individuato con il criterio della minima complessità.
Risultati e conclusione
Le caratteristiche dei materiali organici impiegati nella messa a
punto del metodo sono riportate in Tab. 1. Il mais è stato scelto come materiale di riferimento dei compost, in quanto a veloce degradazione nel suolo;
gli indici di umificazione e germinazione caratterizzano i due compost come
materiali di qualità simile, pur essendo costituiti a partire da scarti organici
differenti (residui ligno-cellulosici il compost A, frazione umida di RSU miscelata a scarti verdi il compost B).
Tab. 1 - Caratteristiche analitiche dei materiali organici
Materiali
Indice di
umificazione
(HI)
Indice di
germinazione
(IG)
C/N
pH
Compost A (verde)
Compost B (misto)
Mais (piante essiccate)
0.33
0.40
n.d.
0.74
0.72
n.d.
15.0
14.6
18.9
8.4
8.0
6.0
I risultati della perdita in sostanza secca dopo 30 giorni di incubazione, riportati in Tab. 2, evidenziano marcate differenze tra tutti i trattamenti; in particolare, la degradazione di quasi il 50% della sostanza secca
del mais indica una intensa attività biologica all’interno delle cialde, con liberazione di composti solubili e evoluzione di CO2. Molto più contenute sono risultate le trasformazioni subite dai due compost, che sono stati comun-
332
Zaccheo et al.
que degradati in misura significativamente diversa, maggiore per il compost
B. Il sistema adottato risulta pertanto in grado di evidenziare, data la contenuta variabilità interna, differenze nel comportamento di matrici organiche
simili e a buona resistenza alla degradazione chimica e biologica.
Tab. 2 - Perdita di massa dei materiali organici (% s.s.)
Materiali
Compost A
Compost B
Mais
con piante
1.81 a
5.26 b
45.65 c
senza piante
s.d.
1.60 a
0.07
4.91 b
0.10
46.82 c
1.32
s.d.
0.16
0.28
1.52
*valori seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05
Sulla perdita in peso non sembra aver influito la presenza delle
piante, che tuttavia, stante la limitazione nella disponibilità azotata, di sola
derivazione organica, hanno avuto un accrescimento limitato e, presumibilmente, una ridotta influenza sull’ambiente esplorato dalle radici. L’andamento dell’emissione di CO2 (Fig.1) rivela differenti cinetiche di degradazione dei materiali, con una immediata liberazione di CO2 in seguito a incubazione di mais seguita da una brusca caduta a valori molto bassi, e un minore e più costante andamento della degradazione per entrambi i compost.
Fig.1 - Evoluzione della CO2 dai materiali durante l'incubazione
mg C-CO2/vaso
60
50
40
A
B
M
30
20
10
0
0
10
20
30
giorni
40
50
Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni
di materiali organici nel sistema suolo-pianta
333
La caratterizzazione chimica dei materiali effettuata all’inizio e
al termine della prova, rapportata al calo in massa dei materiali, fornisce i
valori delle perdite in carbonio e azoto riportate in Tab. 3. Si nota come le
differenze tra i materiali siano più accentuate rispetto alle perdite di massa,
pur seguendo lo stesso andamento.
Tab. 3 - Perdite di carbonio e azoto
Materiali
Compost A
Compost B
Mais
Carbonio
Senza piante
Con piante
mg/vaso %
mg/vaso %
39.4 b* 4.91
28.38 a 3.54
68.2 ns 7.47
65.64 ns 7.19
134.2 ns 40.76 133.0
40.41
Azoto
Senza piante
Con piante
mg/vaso %
mg/vaso %
6.47 ns 12.09
5.98
11.19
5.56 ns 8.90
6.34
14.6
6.69 a 40.0
8.85 b 50.88
*valori sulla riga seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05
Nei compost, la percentuale di azoto mineralizzato è risultata
superiore a quella del carbonio, presumibilmente per la più facile degradazione di proteine originarie o neosintetizzate nel corso del processo di compostaggio. Tale effetto è particolarmente marcato nel compost A, come dimostrato dal minor rapporto tra carbonio e azoto liberatisi (Tab. 4), pur partendo da uguali rapporti C/N.
La presenza di piante influenza
l’intensità della mineralizzazione dell’azoto,
perso in maggior misura sia dal compost B
che dal mais, mentre il compost A risulta liMateriali
C/N
berare più carbonio in assenza di piante.
perdite
L’accrescimento radicale ed epigeo delle pianCompost A
4.74
tine di lattuga è stato marcatamente influenzaCompost B
10.35
to dalla presenza dei residui organici in traMais
15.03
sformazione (Tab. 5). L’intensa degradazione
del mais ha infatti fornito una quantità di azoto sufficiente a garantire maggiori produzioni di sostanza secca e un maggiore assorbimento di azoto delle piantine di lattuga rispetto a quelle cresciute in presenza dei compost.
Tab. 4 - Rapporto tra carbonio e azoto liberati dai materiali nel corso della prova
Tab. 5 - Produzione di sostanza secca e contenuto in azoto delle piante di lattuga
Materiali
Compost A
Compost B
Mais
Testimone
Produzione secca
Azoto
mg/vaso
mg/vaso
N assorbito/
N liberato *100
117.3 c*
0.979 c
8.57
86.8 b
0.789 b
5.09
347.3 d
2.073 d
25.27
66.0 a
0.466 a
*valori seguiti da lettera diversa segnalano differenze significative per p=0.05
**N assorbito è calcolato sottraendo N testimone
334
Zaccheo et al.
Fig. 2 - Spettri DRIFT del compost B all'inizio e al termine dell'incubazione
(in alto) e spettro sottraendo (in basso)
Queste ultime si sono giovate della degradazione dei materiali,
producendo una maggiore biomassa e assorbendo più azoto rispetto alle
piantine di controllo cresciute in vasetti contenenti cialde riempite con sola
sabbia. Lo stimolo all’accrescimento e la quantità globale di azoto assorbito
dalle piantine in presenza dei compost, tuttavia, non è risultato funzione della perdita di massa dei materiali, in quanto si è osservata maggior crescita in
presenza del compost A, che ha liberato una quota lievemente inferiore di
azoto e, soprattutto, molto più ridotta di carbonio. Tale comportamento potrebbe essere da imputare alla minore crescita della biomassa microbica svi-
Messa a punto e prime applicazioni di un sistema sperimentale per lo studio delle trasformazioni
di materiali organici nel sistema suolo-pianta
335
luppatasi a spese dei composti labili del carbonio del compost A, e quindi alla minor immobilizzazione dell’azoto mineralizzato. Nel caso del mais, la
immediata liberazione di carbonio rivelata dall’intensa evoluzione della CO2
e quindi presumibilmente dell’azoto potrebbe aver garantito, attraverso il rapido turnover della biomassa microbica, una costante disponibilità di azoto
anche per le esigenze di crescita dei vegetali. Infine, l’applicazione della
spettroscopia DRIFT all’analisi dei materiali prima e dopo incubazione nel
suolo, seppur ancora da mettere a punto con idonei metodologie di trattamento degli spettri ottenuti, ha consentito di evidenziare, attraverso lo spettro ottenibile per differenza tra spettro iniziale e finale, la scomparsa di componenti significative del materiali di partenza. In Fig. 2, ad esempio, lo spettro residuo del compost B evidenzia una forte banda a 1650 cm-1 riconducibile al segnale amide I dei polipeptidi.
In conclusione, il metodo sperimentale proposto può essere vantaggiosamente impiegato negli studi sul comportamento dei compost nel sistema suolo-pianta, in quanto può consentire di correlare le modificazioni
che avvengono nei materiali con gli effetti sul sistema suolo-pianta.
Bibliografia
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Soil, 9, 179-185.
GENEVINI P.L., ZACCHEO P. 1998. Aspetti agronomici. In: Compost e agricoltura (a cura di P.L.Genevini). pp. 133160. Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Milano.
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composted ryegrass. Plant and Soil, 148:193-201.
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of Vibrational Spectr., 2,4 (http://www.ijvs.com/ volume2/edition4/section2.htm).
Indice Atti Convegno “La scienza del suolo in Italia: bilancio di fine secolo” (2001)
Indice degli Autori
Adamo P. .........................................................15
Agnelli A.........................................................29
Alianello A....................................................205
Aromolo R. ...................................................153
Baffi C.............................................................57
Barberis R. ......................................................43
Bazzoffi P. .....................................................215
Beccaloni E. ....................................................49
Benedetti A. ....................................................71
Beni C. ..........................................................153
Beone G.M......................................................57
Biondi F.A.......................................................63
Bouma J ............................................................3
Bragaloni M. .................................................283
Cabassi G. .....................................................329
Canali S...........................................................71
Castelli F. ......................................................125
Castrignanò A. ................................................81
Celi L. .............................................................29
Coli A............................................................177
Colucci R. .......................................................81
Convertini G............................103-113-133-145
Corti G. ...........................................................29
Costantini E.A.C. ..........................................125
Crippa L. .......................................................329
De Giorgio D. ........................................133-145
Degl’Innocenti A. ...........................................29
Dell’Abate M.T. ............................................205
Dell’Orco S. ....................................................71
De Siena C. ...................................................297
De Simone C.................................................307
Di Blasi N. ....................................................289
Di Dio C..........................................................63
Ferrazza P. .....................................................153
Ferri D. ......................................81-103-113-133
Figliolia A. .......................................63-153-227
Francaviglia R...............................................185
Frosi P. ..........................................................297
Giacomi V. ....................................................227
Ginanni M. ....................................................177
Gomez L.H....................................................195
Iori M. ...........................................................125
La Cava P..........................................81-133-145
Lorenzoni P. ...........................................125-307
Lupo M. .................................................245-261
Magini S........................................................125
Maiorana M. ..........................................103-113
Marchetti A. ..................................................185
Marchetti R. ..................................................165
Marcucci A....................................................153
Martinelli N.....................................................81
Mazzoncini M. ..............................................177
Mecella G. ......................................185-195-289
Miciulla O. ....................................................205
Mirabella A. ..................................................269
Montagna G. .................................................215
Montemurro F. .......................................133-145
Musmeci L. .....................................................49
Nardi S...................................................237-297
Natarelli L. ....................................................215
Nicolini G. .............................................237-297
Pagliai M.......................................................319
Panichi A.......................................................215
Panusa A. ......................................................307
Papini R.........................................................215
Pellegrini S. ...........................................215-319
Pennelli B......................................................227
Piccini C........................................................289
Pizzeghello D.........................................237-297
Pugliese A. ......................................................43
Raimondi S..............................125-245-261-269
Raspa G.........................................................195
Rea E.............................................................283
Ricca G..........................................................329
Risaliti R. ......................................................177
Rizzo V..........................................................133
Roccuzzo G.....................................................71
Rossi G..........................................................227
Scandella P......................................185-195-289
Screpis S. ......................................................269
Sessi E...........................................................297
Silva S. ............................................................57
Silvestri N. ....................................................177
Socciarelli S. ...................................................63
Spadoni M. ....................................................307
Spallacci P. ....................................................165
Stelluti M. .......................................................81
Tomasi M. .....................................................297
Tullio M. .......................................................283
Tusa D. ..........................................................261
Ugolini F.C......................................................29
Vignozzi N. ...................................................319
Vingiani S........................................................15
Violante P. .......................................................15
Zaccheo P. .....................................................329
I
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