Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002 Sped. abb. post.

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Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002 Sped. abb. post.
RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA
ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI
Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002
Sped. abb. post. - comma 20, lett. b,
art. 2 - L. 23/12/1996 - n. 662 Fil. Bologna
Riforma del sistema
previdenziale
Da dove siamo partiti
di Michele Stefano Busi
L’editoriale
di Luciano Savino
6
7
L’azione
preventiva
della Cassa
Ragionieri
11 di Giuliano Cazzola
Avviata
la nuova
riforma
della Cassa
Verso una
nuova
frontiera
di Paoo Salvadori
4
di Gianni Sarrocco
9
15
Una riforma
attesa
da tempo
di Massimo Lusuriello
37
Gli aspetti
giuridici
della rifoma
previdenziale
di Silvano Piccininno
17
39
In copertina “Sei Poeti Toscani” del Vasari
Delibera
comitato
delegati
43
Venere e
Amore
di Elena Marotta
45
47
Lettere
alla Cassa
5
L’EDITORIALE
RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE CASSA
NAZIONALE DI PREVIDENZA ED
ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI
E PERITI COMMERCIALI
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6
Trasparenti, rigorosi ed aperti
U
n anno difficile ma
importante per la nostra
categoria. Una stagione
ricca di idee, di proposte e di
progetti che con l’ausilio ed il
contributo di tutti potrà permetterci di guardare al futuro con
maggior sicurezza e fiducia, certi
di aver compiuto fino in fondo il
nostro dovere. Non senza qualche rinuncia e sacrificio, infatti,
abbiamo creato le premesse per
un rilancio in grande stile della
Cassa di Previdenza dei Ragionieri
Commercialisti, una realtà professionale che per prima ha deciso di
mettersi in discussione, sfidando
talvolta anche l’impopolarità,
pur di centrare un obiettivo vitale quale è quello di garantire nel
breve, medio e lungo periodo,
prestazioni previdenziali certe ed
adeguate. Ed i prossimi mesi,
saranno altrettanto importanti,
poiché permetteranno alla Cassa
ed ai suoi amministratori di dialogare ed interagire con gli associati in ogni parte d’Italia. L’intero
Consiglio di Amministrazione,
infatti - sulla base dei lavori che
continuerà a svolgere l’apposita
Commissione Previdenza, con la
diretta assistenza oltre che della
struttura, di qualificati esperti e
professionisti - si farà carico di
informare esaurientemente e con
tempestività i Collegi, coinvolgendo il maggior numero possibile di colleghi, in ordine alle
prospettate ipotesi di riforma al
sistema pensionistico, adottate
dalla C.N.P.R. ed unanimemente
approvate dal Comitato dei
Delegati, nel corso dell’ultima
riunione di giugno.
Desidero, pertanto, rivendicare
con orgoglio e soddisfazione,
come da più parti siano stati
rivolti inattesi riconoscimenti ed
attestati di stima all’operato di
un ente, quale il nostro si configura, che non ha inteso crogiolarsi su un presente tuttora più
che positivo e favorevole, ma
prepararsi ad un futuro incerto,
le cui insidie, se non affrontate
tempestivamente, potrebbero
rappresentare più di un rischio
per i pensionati di domani.
Rischi, i cui costi non sarebbe né
giusto né equo far pagare interamente alle nuove generazioni.
Quel che mi preme ribadire
ancora una volta, per fugare
dubbi, perplessità od equivoci, è
che il problema della nostra
Cassa (e credo di tutte o quasi
tutte le Casse) non attiene ai
“conti”, ma al recupero della
sostanziale equità di lungo periodo fra le generazioni.
Ed anche per questo, desidero
ringraziare tutti quegli iscritti
“meno giovani” che, ammirevolmente, con spirito solidaristico e
lungimiranza “paterna” non
hanno voluto far prevalere il proprio… vantaggio generazionale,
ma con grande senso di responsabilità, hanno compreso e condiviso l’utilità di quanto poi deliberato. Se prevenire, quindi, è
meglio che curare, crediamo di
aver elaborato, tutti insieme, un
progetto di riforma previdenziale
ad efficacia “preventiva”, che
assicurerà un equilibrio generale
di lunga durata e, soprattutto, la
certezza di prestazioni dignitose.
Prevedere, infatti, non basta.
E’ anche indispensabile provvedere!
Luciano Savino
Riforma del sistema
previdenziale
• di Michele Stefano Busi*
H
o avuto (ed ho tuttora)
l’onore e l’onere di presiedere la Commissione
Consiliare Area Contributi e
Previdenza (della quale fanno
parte i Consiglieri Ielo e Saltarelli
ed alla quale è stata assicurata l’assidua presenza del Presidente
Savino e del Vice Presidente
Salvadori), insediata dal Consiglio
di Amministrazione con il compito, tra gli altri, di impostare e fornire al Consiglio medesimo,
prima ed al Comitato dei Delegati,
poi, ogni utile elemento per le successive decisioni in materia di
riforma previdenziale.
Sento il dovere, pertanto – in
occasione
dello
“Speciale
Previdenza” che la nostra rivista
ha inteso dedicare al problema –
di richiamare, sia pure brevemente, i passaggi più significativi che
hanno caratterizzato il “tratto di
strada” fin qui percorso.
LA PREMESSA
Nel dicembre 2000 la categoria,
chiamata al rinnovo degli Organi
della Cassa, accordava il proprio
consenso alla “Lista Rinnovamento
nella Continuità” il cui programma
elettorale conteneva, tra gli obiettivi più significativi, quello relativo
alla Riforma Previdenziale con il
“passaggio dall’attuale sistema a
ripartizione a quello della contri-
buzione/capitalizzazione” precisando che detta riforma “è auspicata da tutti gli economisti e deve
essere perseguita in una fase di
risorse finanziarie abbondanti,
non quando il sopravvenire di fatti
patologici la renda necessaria ed
inevitabilmente dolorosa”.
IL METODO SEGUITO
Nel luglio 2001, a sei mesi dall’insediamento, il Consiglio di
Amministrazione, nel commissionare la redazione triennale del
Bilancio Tecnico a 15 anni, così
come prescritto dalla legge, riteneva di ampliare l’incarico –
peraltro in analogia a decisioni
analoghe di altre Casse e su sollecitazione della Commissione
Bicamerale recepita dai Ministeri
Vigilanti – affidando ad altro
Attuario anche la redazione del
Bilancio Tecnico a 40 anni.
Lo stesso Consiglio di Amministrazione, in ragione dell’impegno assunto con la categoria,
affidava alla Commissione consiliare “Area contributiva e
Previdenza” il compito di procedere ai necessari approfondimenti sulla base delle elaborazioni via via prodotte dagli
Attuari sulle ipotesi di riforma.
Intanto, il Comitato dei Delegati
del novembre 2001, formulava
specifica
sollecitazione
al
Consiglio di Amministrazione
perché si procedesse alla Riforma
Previdenziale: un gruppo di
Delegati si asteneva dalla votazione del Bilancio di Previsione
2002, causa la mancata indicazione della data del 30.06.2002,
quale termine entro il quale varare
la Riforma.
La Commissione consiliare ed il
Consiglio di Amministrazione
procedevano quindi nei lavori,
acquisendo i primi risultati sia
giuridici che tecnico-attuariali e
convenivano, peraltro, sulla
opportunità di fornire ogni utile
informazione nei vari incontri
programmati con i Rappresentanti
Regionali, delegati alla funzione
di cui all’art. 30 dello Statuto (trasparenza) e loro tramite ai
Delegati ed agli Iscritti.
LE PROBLEMATICHE
EMERSE
Al di là dei dati tecnici, facenti
capo alle elaborazioni statisticoattuariali, venivano esaminati i
problemi “strutturali” comuni ad
altre Casse se non anche al mondo
della previdenza in generale,
quali:
• l’andamento demografico;
• la “flessibilità” del mercato del
lavoro;
• le nuove dimensioni del “Welfare”;
e specifici della categoria, quali:
• la riforma dell’ordinamento
professionale del 1992;
• la riforma dei cicli universitari;
• la riforma della previdenza dei
Ragionieri ex lege 414/91;
• il Dlgs 509/94 di privatizza-
riflessioni/1
Da dove siamo partiti
7
riflessioni/1
8
zione;
• la L. 335/1995 (art. 3, co. 12);
• la “mini-riforma” del 1997/1998;
e più in particolare
• il reddito medio dei contribuenti
(40.000 Euro);
• la contribuzione media (3.600
Euro);
• la elevata percentuale (oltre il
40%) di contribuenti al minimo;
• il crescente numero delle prestazioni (3604 di cui 1452 ai
superstiti);
• il rapporto contributi (tutti) prestazioni (tutte) intorno al 60%;
• il rapporto iscritti pensionati
(decrescente, ancorchè su base
9/1);
• l’importo medio delle prestazioni (Vecchiaia 23.000 Euro, anzianità 30.000 Euro, superstiti 8.000
Euro).
Problemi “strutturali” che a
medio-lungo periodo avrebbero
inciso sull’equilibrio tecnicofinanziario della gestione e che
pertanto imponevano (come in
parte impongono ancora) di essere affrontati e risolti per tempo
evitando così soluzioni tardive e
sicuramente più traumatiche.
Del resto, non a caso, altre Casse
ed in particolare quella dei Dottori
commercialisti, avevano imboccato la strada della riforma pur
dichiarando di non avere situazioni di “urgenza”.
I RIMEDI IPOTIZZATI
QUALI
Dall’analisi complessiva della
situazione, veniva confermata
la necessità/opportunità della
riforma radicale che prevedesse:
a) un sistema di finanziamenti
a capitalizzazione;
b) un metodo di calcolo contributivo della prestazione;
c) le conseguenti modifiche
statutarie e regolamentari;
COME
Nel sostanziale rispetto del prorata, peraltro previsto dalla L.
335/95 (art. 3, co.12). Trattasi del
rispetto dei c.d. “diritti acquisiti”,
tali nei limiti e con le caratteristiche via via delineati dalla giurisprudenza
della
Corte
Costituzionale.
QUANDO
Anche sulla base delle esplicite
indicazioni dei Delegati, trovavano conferma la volontà e l’auspicio
che la Riforma venisse realizzata
entro il minor tempo possibile.
Sulla base dei citati primi
approfondimenti, la Commissione
“
Dall’analisi complessiva della situazione,
veniva confermata la
necessità/opportunità
della riforma radicale
che prevedesse tre
rimedi ipotizzati
Cassa hanno doverosamente
mantenuto un corretto raccordo
informativo con il Consiglio
Nazionale. Valga in proposito
riportare lo stralcio del verbale
redatto a conclusione dell’assemblea del citato Consiglio
Nazionale con i Presidenti di
Collegio del 12.06.02: “Ultimati
gli interventi, il Presidente
William Santorelli riprende la
parole per alcune brevi considerazioni. Dopo aver ringraziato il
Presidente Luciano Savino ed il
Direttore Generale Aldo Urbini
per la sensibilità dimostrata
nell’accettare l’invito ad esporre, per la prima volta nella storia della categoria, i contenuti
di una riforma che si preannuncia epocale, il Presidente
William Santorelli raccomanda
ai Presidenti di Collegio di
affrontare queste delicate
tematiche con spirito sereno e
desiderio di condivisione e,
rivolgendosi al collega Savino,
lo incita a ricercare un’intesa
all’interno della categoria fondata sull’equità e su una ragionevole composizione degli
interessi espressi”.
E’ con soddisfazione, infine,
concludendo questo breve excursus, ricordare la decisione del
Comitato dei Delegati, assunta
alla unanimità dopo un dibattito
molto partecipato, ancorchè
comprensibilmente sofferto.
Si è in attesa, ad oggi, della prescritta approvazione Ministeriale,
rispetto alla quale non si è mancato di assumere le più idonee iniziative.
Intanto proseguono i lavori per
dare seguito al completamento
della riforma nei termini prefigurati dalle linee guida tracciate dal
Comitato dei Delegati.
”
Consiliare ed il Consiglio di
Amministrazione
ritenevano
doveroso fornire ai Componenti
del Comitato ex art. 30 dello
Statuto, la sintesi dei propri
lavori dedicati anche alla analisi/approfondimento/studio dell’attuale Regolamento di previdenza e finalizzati alla elaborazione di proposte di modifiche intese
a garantire nel tempo il sostanziale equilibrio della gestione.
Sono seguite, quindi, numerose
riunioni, tutte improntate alla
massima, consapevole e proficua
partecipazione, fino alla redazione
della proposta del Consiglio di
Amministrazione portata al
Comitato dei Delegati del 22 giugno 2002.
Mi sembra peraltro opportuno
rammentare che gli Organi della
*Consigliere d’Amministrazione e
Presidente della Commissione Area
Contributiva e Previdenza Acnpr
frontiera
“
A questa assemblea sarà proposto di esplorare nuovi orizzonti e ricercare altri sbocchi
per il finanziamento dei regimi
pensionistici obbligatori: un vero e
proprio passaggio a nord-ovest.”
Con queste parole Giuliano
Cazzola ha evocato davanti al
Comitato dei delegati del 22 giugno scorso, il mito del “passaggio a nord-ovest” e, con esso,
quello conseguente della “nuova
frontiera”.
La “nuova frontiera” non è solo un
orizzonte fisico, ma è, innanzi
tutto, lo spazio ideale che scorgono
davanti a sé le forze animate da
spirito innovatore. A mia memoria,
fu un giovane e carismatico presidente degli Stati Uniti, John
Fitzgerald Kennedy, che introdusse questa idea di “nuova frontiera”
nelle menti delle generazioni di
quegli anni. “Due terzi dell’umanità vive in condizioni di miseria
intollerabile... una ‘nuova frontiera’ ci attende…”
Con questa idea di “nuova frontiera” Kennedy innestò sull’antico
tronco del liberalesimo insopprimibili esigenze di giustizia sociale.
Non che altri liberals, soprattutto
filosofi ed economisti, non abbiano detto le stesse cose prima e
dopo di lui (basta pensare a John
Stuart Mill, che quasi un secolo
prima parlò di una felicità impossibile in mezzo alla miseria dilagante, o a Luigi Einaudi, che scrisse
sulla necessità dell’intervento
dello stato per imporre “un’uguaglianza nei punti di partenza”, o, più recentemente, a Ralf
Dahrendorf, con la sua visione di
una società simile
ad una “lunga marcia” dove qualcuno viene sempre
lasciato sul traguardo ad aspettare
ed a soccorrere l’ultimo), ma Kennedy
ne parlò in modo
tale che tutte le
generazioni nate a
ridosso della guerra
subirono il fascino
di quella ideale
nuova frontiera e
sentirono l’esigenza
di un nuovo impegno, di un newbeginning.
Furono quelli gli anni della costruzione del Welfare State. In tutto
l’Occidente, sull’onda di uno sviluppo economico senza precedenti, fu allora possibile ridistribuire
ingenti quantità di ricchezza ed
uno dei modi scelti per questa redistribuzione fu la costruzione di
sistemi previdenziali sempre più
orientati verso forme di ripartizione. In tal modo, infatti, si dava un
dividendo alle vecchie generazioni
e si faceva una allettante promessa
alle nuove. Ciò è stato possibile
per il fatto che i regimi a ripartizione hanno una natura intrinsecamente redistributiva, in quanto i
contributi versati dagli iscritti al
fondo non vengono accreditati su
conti individuali, ma sono destinati a pagare prestazioni previdenziali commisurate ai redditi conseguiti. Su questi presupposti, non
essendovi alcuna relazione tra contributi e prestazioni, il sistema pre-
• di Paolo Salvadori*
John Fitzgerald Kennedy
videnziale a ripartizione può mantenere nel tempo le promesse che
fa solo a condizione:
a) che aumenti continuamente il
numero degli iscritti al fondo (e in
genere la popolazione) in modo da
rinviare ad un tempo molto lontano l’inevitabile resa dei conti;
b) o, non necessariamente in
maniera alternativa, che aumentino i redditi degli iscritti e, contemporaneamente, siano introdotti
limiti, tendenzialmente sempre più
bassi, alle prestazioni;
c) che, comunque, il rapporto
iscritti/pensionati si mantenga
vicino a 10. In tal caso, infatti, 10
iscritti mantengono un pensionato
e questo rapporto comporta la corresponsione di contributi che sono
stati storicamente accettati dalla
platea dei contribuenti.
Come è facile verificare queste
condizioni erano tutte presenti in
quegli anni e nella nostra categoria
riflessioni/2
Verso una nuova
“Diventerà cruciale
l’attenzione ai costi della
struttura ed ai rendimenti
dei capitali investiti”
9
riflessioni/2
10
lo sono stati fino a tutta la prima
metà degli anni ’90 ed anche oltre.
Le cose però sono ora mutate, in
particolare per la nostra categoria,
ma più in generale sono mutate per
la società nel suo insieme.
“Nessuna minestra è gratis” disse a
cavallo degli anni ’80 il monetarista Milton Friedman e proprio in
quegli anni si cominciarono a
rimeditare i contenuti ed a vedere i
limiti dello stato sociale, che stava
sempre più avviluppandosi in
forme di tipo assistenzialistico.
Contemporaneamente a queste
riflessioni, lo sviluppo economico
perse di vigore ed insieme ad esso
perse di intensità la crescita demografica; pertanto, la necessità di
costruire le basi di produzione di
una nuova ricchezza si impose e
sostituì ben presto le politiche
semplicemente
redistributive.
D’altra parte, per distribuire ricchezza occorre accumularla, e
poiché quella che c’era era già
stata distribuita, occorreva fondare una “nuova economia” che si
riproponesse obbiettivi di crescita
e di accumulazione.
E’ questa la fase che stiamo ora
vivendo. Certo, è meno suggestiva
della precedente e, tuttavia, il
compito che essa ci assegna è
quello di fondare una “new economy” come premessa indispensabile ad una nuova fase redistributiva. E’ questa l’epoca in cui
occorre produrre e, quindi, le
risorse umane e materiali vanno
essenzialmente destinate a questo
scopo.
Il tempo che viviamo richiede,
dunque, inevitabilmente, per il
versante che ci interessa più da
vicino, l’accantonamento dei
sistemi previdenziali redistributivi
e la loro sostituzione con sistemi
contributivi, con sistemi, cioè, che
promettono prestazioni, fatti salvi
i necessari aspetti solidaristici,
strettamente correlate ai contributi
versati. Tanto più questo passag-
gio è necessario, quanto più si
rifletta sul fatto che in questi casi i
contributi, non dovendo essere
ripartiti, ma dovendo essere investiti nel tessuto produttivo, con-
“
Questo
passaggio
comporterà dei sacrifici, ma essi saranno
equamente ripartiti su
tutta la popolazione
degli iscritti
responsabilità, hanno in sé le energie per poter assumere decisioni di
questo tipo e con questa tempestività.
Certo, questo passaggio comporterà dei sacrifici, ma essi saranno equamente ripartiti su tutta la
popolazione degli iscritti e,
quindi, saranno per ciò stesso
sopportabili, come hanno esattamente compreso i delegati che
hanno approvato unanimemente
la proposta del consiglio. Si
può, quindi, ben dire che il passaggio al sistema contributivo
conclude il processo di privatizzazione della Cassa, portandolo
al suo naturale compimento.
Adesso si apre una nuova fase.
Accanto al pilastro previdenziale obbligatorio che abbiamo
prefigurato, dovrà presto essere
introdotto un fondo complementare, che integrerà e darà un senso
definitivo a tutto il processo riformatore che abbiamo messo in
moto. Inoltre, l’attenzione ai costi
della struttura ed ai rendimenti dei
capitali investiti diventerà cruciale. E’, infatti, del tutto evidente
che minori spese e maggiori rendimenti si tradurranno immediatamente in maggiori pensioni. Ad
una gestione burocratica, caratteristica delle gestioni puramente
erogatorie, come sono tipicamente
quelle che contraddistinguono i
sistemi a ripartizione, dovrà sostituirsi una gestione dinamica tesa
al contenimento dei costi ed all’incremento dei rendimenti, sia pure
in un’ottica di rischio necessariamente bassa.
E’ questa, dunque, la “nuova frontiera” che tutti noi siamo chiamati
ad esplorare e sono convinto che
lo faremo con il coraggio e la lungimiranza che hanno ispirato la
recente decisione del Comitato
dei delegati.
”
corrono per tale via a fornire il
risparmio necessario al finanziamento dei nuovi investimenti. Essi
contribuiscono, cioè, ad innescare
una spirale virtuosa di sviluppo,
legando insieme prestazioni future
e crescita economica, anche se,
per altri versi, proprio questo legame costituisce il limite specifico
dei sistemi a capitalizzazione.
Il Comitato dei delegati con la
decisione assunta all’unanimità il
22 Giugno scorso, ha dato un forte
segnale politico in questa direzione. Si è messo, per così dire, si
parva licet, nel senso della storia.
Ed è in questi momenti che si vede
la bontà delle scelte strategiche
operate nel passato. E’ infatti
bene sottolinearlo: questa opzione
non sarebbe stata possibile se la
Cassa non fosse stata a suo tempo
privatizzata. Non è nello stile, ma
direi di più, non è nel DNA dello
Stato (di qualsiasi stato) adottare
provvedimenti con venti anni di
anticipo rispetto al momento in
cui le patologie diventano irreversibili. Solo assetti privatistici, in
cui la libertà si associa al senso di
*Vicepresidente Cassa
Previdenza Ragionieri
L’intervento di Giuliano Cazzola al Comitato dei Delegati del 21 giugno 2002
L’azione preventiva
della Cassa Ragionieri
D
Giuliano Cazzola
dunque, un rapporto tra attivi e
pensioni pari a 8,7 a 1, peggiore
di quello in essere anni or sono,
ma comunque assolutamente
migliore di quelli di altre gestioni); una Cassa che presenta netti
avanzi di gestione, si appresta ad
adottare (come vedremo tra poco)
misure molto impegnative sul
versante dei trattamenti agli iscritti; in particolare di quelli che
costituiscono l’ostacolo invalicabile dei propositi riformatori: le
coorti dei lavoratori più anziani
per i quali il momento della quiescenza è entrato ormai nelle
aspettative di vita di un futuro a
portata di mano e che oppongono
una fiera resistenza ai cambiamenti.
Insomma, l’attuale situazione
economica e patrimoniale della
Cassa può essere giudicata positi-
vamente; eppure si ritiene necessario procedere ad interventi di
riforma. Questa apparente contraddizione si spiega, sollevando
il capo dalle vicende contingenti
ed osservando taluni processi critici, già in atto o soltanto annunciati, destinati però a rafforzarsi e
ad estendersi, fino a produrre, nel
tempo, effetti destabilizzanti.
Sono questi processi, ormai alle
viste, che spingono per il cambiamento, prima che sia tardi. È saggio ed opportuno intervenire ora,
quando ancora ci sono il tempo e
le risorse per affrontare i problemi
con gradualità ed equità, anche
facendosi carico dei tanti problemi che le trasformazioni implicano. Taluni problemi strutturali
produrranno effetti che possono,
al massimo, essere ritardati, ma
che sono già scritti nel futuro
riflessioni/3
a tanti anni lavoro al pari
di un topo nel formaggio
- all’interno dei grandi
enti previdenziali e mi occupo di
sistemi pensionistici. Questa è la
prima volta che mi capita di assistere (e in qualche modo di essere coinvolto) in un’azione di
carattere preventivo, rivolta cioè a
provvedere, adesso, ad eventi
destabilizzanti destinati a prodursi tra qualche decennio.
Una assunzione di responsabilità,
questa, che fa onore alla vostra
categoria e al gruppo dirigente
della
Cassa
Ragionieri.
L’esperienza insegna che è sempre positivo riuscire a decidere al
momento giusto, senza rinvii,
rinunce al proprio ruolo, concessioni ad interessi particolari. Ma,
solitamente, le persone sono ben
orientate quando si trovano ad
operare all’interno di istituzioni
corrette e positive.
Va riconosciuto, allora, che il
modello di autogoverno di cui al
dlgs n. 509/1994 - ha indotto gli
organi delle Casse privatizzate a
farsi interamente carico anche dei
problemi di prospettiva e a non
affidarsi ai provvedimenti di
“ultima istanza” da parte di uno
Stato sul quale è stabilito che non
possano gravare oneri di sorta.
Così, in occasione di queste giornate di lavoro, l’opinione pubblica sarà chiamata ad assistere a un
fenomeno che sembrerebbe incredibile, se ci limitassimo ai tradizionali metri di misura.
Una Cassa che ha trentamila
iscritti e che eroga circa tremila e
seicento prestazioni (che vanta,
11
riflessioni/3
Il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita
12
della categoria.
Oltre alle solite ragioni che finiscono per determinare la crisi dei
regimi pensionistici obbligatori
(gli andamenti demografici, l’incremento anche qualitativo delle
prestazioni, eccetera) nel caso dei
ragionieri e dei periti commerciali c’è un motivo in più: peseranno,
infatti, le modifiche dell’ordinamento professionale a partire dai
cicli scolastici. Ne deriveranno
processi di esaurimento del bacino di alimentazione della Cassa,
nella sua specificità: il che vuol
dire strangolare un sistema a
ripartizione.
Si tratta di un problema comune
alle libere professioni (legato alla
riforma degli ordini e alla evoluzione stessa delle caratteristiche
professionali).
Nel vostro caso il fenomeno presenta tratti di urgenza derivanti da
un processo legislativo molto
avanzato e determinato. Non a
caso, anche la Cassa dei dottori
commercialisti ha proceduto a
misure correttive e lo ha fatto
come ha dichiarato il suo
Presidente non in vista di un’ipotetica unificazione con la vostra
Cassa di previdenza, ma per esigenze legate esclusivamente alle
prospettive della loro.
Tornando a noi e al meritorio
lavoro compiuto in questi mesi, in
stretto rapporto con alcuni tra i
migliori esperti di scienze giuridiche ed attuariali, verrebbe da
chiedersi come mai vi è disponibilità per lo meno a discutere di
problematiche in generale tanto
ostiche ed impopolari. In verità,
con le decisioni che prenderete e
che altre Casse hanno preso o
assumeranno (nulla è mai facile)
si chiude con alcune decisioni
operative un dibattito aperto da
anni e si apre una nuova fase. Si
correggono alcuni aspetti insostenibili (frutto delle disponibilità
che sembrano esistere è successo
così in tutti i regimi, ma è solo
un’illusione ottica al momento
della introduzione del metodo
retributivo in un contesto positivo
per quanto riguarda il rapporto
attivi-pensioni), poi si comincia a
ragionare di riforme.
È prova di un primo approdo di
un dibattito in corso da anni, l’indagine compiuta dall’Adepp in
collaborazione col Censis, pubblicata nel 2000, in cui si affermava testualmente: Il trascorrere del
tempo implicherà un consistente
incremento dei flussi di spesa per
i trattamenti previdenziali e un
impoverimento della base contributiva, con conseguente decremento delle entrate contributive,
dovuto al progressivo saturarsi
del mercato del lavoro di alcuni
settori del mondo professionale.
Come ho potuto ricordare, negli
incontri e nei convegni a cui
l’Adepp e le Casse associate
hanno avuto la cortesia di invitarmi, credo che nessuna categoria
possa sottrarsi all’esigenza di
definire, in tempi utili, regole
sostenibili e solidali nei confronti
delle generazioni future, anche in
vista delle trasformazioni dei
rispettivi “mercati del lavoro”.
Già in quel momento era presente, nei responsabili delle Casse a
gestione privatizzata, una ragio-
nevole consapevolezza del dovere
di agire.
Cito di nuovo testualmente
l’Indagine Adepp-Censis laddove
affermava che molti enti privatizzati hanno già adottato il metodo
contributivo di calcolo dei trattamenti. Altri hanno esteso il periodo di riferimento per il calcolo
delle prestazioni. Alcuni enti
hanno avviato una politica attiva
di disincentivazione o di graduale
eliminazione delle pensioni di
anzianità; altri hanno costituito
fondi di previdenza complementare; altri ancora stanno intervenendo, ritoccandole verso l’alto,
sulle aliquote contributive; altri,
infine, hanno imposto un tetto
massimo alle singole prestazioni
previdenziali annue.
In sostanza, le Casse dei professionisti si trovano a vivere il loro
momento della verità. Possono
scegliere - come hanno fatto altri
regimi in passato - di raschiare il
fondo del barile a vantaggio di
coloro che si accingono ad andare
in pensione ora e nei prossimi
anni; oppure possono, con equilibrio, tutelare le aspettative attuali
senza ledere gli interessi di quelli
che verranno. Ed hanno questa
gamme di scelte proprio perché
l’acqua non è alla gola.
Scegliendo questa seconda via, in
sostanza, le categorie dei professionisti si trovano nella condizione ideale per “pensare in grande”,
per avviare riforme strutturali,
rispettose delle diverse esigenze
esistenti in ogni aggregazione
sociale. A questa assemblea sarà
proposto, allora, di esplorare
nuovi orizzonti e ricercare altri
sbocchi per il finanziamento dei
regimi pensionistici obbligatori:
un vero e proprio “passaggio a
nord-ovest” non limitato soltanto
all’introduzione di un sistema
contributivo che resti nell’ambito
della ripartizione, ma capace di
avventurarsi nel campo della
mente premianti” alle generazioni
prossime ad andare in pensione,
ma sprovviste di percorsi contributivi lineari. Si pensi alla completa introduzione del calcolo
retributivo (la pensione ragguagliata alle medie reddituali degli
ultimi anni di lavoro) avvenuta,
tra la fine degli anni 60 e l’inizio
degli anni 70, per i lavoratori
dipendenti privati e nel 1990 per
quelli autonomi. Queste misure
consentirono veri e propri aggiustamenti, assai onerosi per il sistema previdenziale, oltre ad innescare, per anni, prassi di miglioramenti dei trattamenti in atto, sorti
quando il rapporto contributi-prestazioni era favorevole e proseguiti anche nel momento in cui
iniziò un inesorabile declino.
La ripartizione è come un perfido
veleno che produce assuefazione
ed induce alla deresponsabilizzazione verso gli equilibri del sistema, perché non si è chiamati a
rispondere in prima persona degli
errori compiuti. Da questo assetto, tuttavia, non si esce facilmente, se non a costo di
imporre, nei sistemi
maturi, alle generazioni future il duplice onere di sostenere per decenni le
pensioni in essere
ed
accantonare
contemporaneamente
ulteriori
risorse per organizzare il proprio
destino da pensionati. Il problema è
quello di impostare, con equilibrio,
un sistema misto,
rivolto
“quanto
meno” a ripartire il
rischio e ad operare sia sul piano di
una copertura solidaristica, di base, a
ripartizione, sia su
quello del confronto sui mercati. A livello del sistema nel suo
complesso, questa distinzione
dei ruoli è affidata sinergicamente ai grandi regimi obbligatori, da un lato, ai fondi pensione, dall’altro.
Non è detto, però, che questo
schema (regime obbligatorio a
ripartizione + fondo pensione,
volontario e privato, a capitalizzazione) debba valere in tutti
i casi e per ogni situazione.
Sappiamo, ad esempio, che i
fondi pensione (di natura privato-collettiva) nel caso delle
categorie dei liberi professionisti hanno attecchito ancora
meno che in generale nel mondo
del lavoro dipendente. È il caso,
allora, di riflettere “col legislatore e le autorità vigilanti” su
tali limiti e valutare se non sia
venuto il momento di intraprendere strade nuove. Pertanto se le
Casse saranno in grado di resistere, come intendono fare, alle
lusinghe del “dividendo” della
ripartizione a favore delle classi
riflessioni/3
capitalizzazione. Di varcare,
cioè, il traguardo della privatizzazione vera (ben oltre quella solo
gestionale).
La differenza tra i due metodi di
finanziamento è “almeno in teoria” molto chiara. Con la ripartizione, si impiegano gli apporti
delle persone in attività per pagare le pensioni vigenti, mediante
una catena di Sant’Antonio di cui
lo Stato è garante e che inanella,
nel tempo, le diverse generazioni,
inducendolo a comportamenti
forzatamente solidali. L’importo
dei trattamenti è definito dalle
norme sulla base di criteri e parametri “artificiali”. Con la capitalizzazione, invece, ognuno è
padrone del proprio destino pensionistico: la sua prestazione, al
momento dell’uscita dal mercato
del lavoro, sarà determinata dal
montante accantonato e dai relativi interessi. Nella ripartizione
sono, dunque, altri (gli attivi) a
sostenere l’onere della solidarietà; nella capitalizzazione ognuno pensa per sé, ma il suo risparmio previdenziale per lunghi
decenni è al servizio del bene collettivo. E, se ben investito, cresce
progressivamente di valore.
Naturalmente, i casi di scuola non
sono sempre e interamente applicabili alla vita reale. È noto che
quasi tutti i grandi sistemi obbligatori, al momento in cui furono
istituiti o successivamente, trovarono conveniente organizzarsi
secondo il metodo della ripartizione. Ai tempi d’oro della previdenza obbligatoria, gli andamenti
demografici, l’organizzazione del
mercato del lavoro e i tassi di crescita economica erano tutte lance
spezzate a favore della ripartizione, anche perché tale impostazione consentiva di distribuire (in
una situazione in cui molti erano
gli attivi e pochi i pensionati, tanti
i giovani e meno gli anziani) veri
e propri “dividendi” “politica-
13
riflessioni/3
14
ormai vicine alla pensione sarà
loro senz’altro possibile impiegare nuove risorse in esperienze
di finanziamento a capitalizzazione, totale o parziale che
siano.
Una scelta siffatta collocherebbe in una dimensione diversa
una serie di problemi che assillano le Casse, a partire dalla
questione delle riserve e della
“profondità”, nel tempo, delle
proiezioni attuariali. In fondo,
nel meccanismo del dlgs. n.
509, restavano delle contraddizioni irrisolte: la privatizzazione ha riguardato la forma giuridica degli enti, ma non il sistema di finanziamento che rimaneva a ripartizione e si arrestava, persino, davanti ad un’opzione per quella forma di capitalizzazione virtuale e simulata
che costituisce il modello portante della legge n. 335/1995.
Da qui provengono tutte le
incertezze che gravano sull’esperienza e che si sono manifestate nei casi di altre Casse “privatizzate”, connotate da andamenti maggiormente squilibrati.
Il dlgs. n. 509 si limitava a fornire un quadro di risposte
“esterne” - affidate a norme e a
controlli - rispetto all’esigenza
di garantire i lavoratori anche in
futuro. L’adozione, anche solo
parziale, di forme di capitalizzazione recherebbe un complesso di garanzie e salvaguardie
“intrinseche” all’impianto di
finanziamento del sistema e ai
criteri in base ai quali stabilire il
livello della prestazione, pur nel
quadro naturalmente della ricerca di ulteriori strumenti di
“governance”
per
quanto
riguarda la gestione finanziaria
dei versamenti contributivi.
È agevole comprendere, infatti,
che è ben diverso svolgere la
funzione del soggetto che incassa i flussi della contribuzione
obbligatoria nelle modalità sancite dalla legge (e immediatamente se ne serve per corrispondere la prestazione ai pensionati) da quella di chi è tenuto ad
investire proficuamente gli
apporti della contribuzione proprio al fine di determinare i
“
La linea proposta
dal Consiglio di Amministrazione cerca di chiudere il cerchio e realizzare con i risparmi derivanti dagli interventi
normativi un tendenziale pareggio, a regime,
nell’ambito della quota
regolata col retributivo
re di “opting out”, quando si
cerca di passare dal metodo di
finanziamento a ripartizione a
quello, in tutto o in parte, a
capitalizzazione, si pone un problema complesso, dirimente:
occorre trovare una soluzione
per le prestazioni in essere.
Così, visto che non esiste uno
“zio d’America” pronto alla
bisogna, diventa necessario,
osservando il problema dalla
parte dei contribuenti, imporre ad un gruppo di generazioni un doppio sacrifico: quello
di farsi carico col proprio reddito sia della solidarietà con
le generazioni precedenti (sul
terreno della ripartizione) e
quello di provvedere a se
stessi con risorse aggiuntive
(sul versante della capitalizzazione).
Con le proposte che saranno
presentate, invece, si tenta
una soluzione nuova.
Come vedremo, la linea proposta dal Consiglio di amministrazione cerca di chiudere il cerchio e realizzare con i risparmi
derivanti dagli interventi normativi un tendenziale pareggio,
a regime, nell’ambito della
quota regolata col metodo retributivo. In sostanza, si chiede
alle generazioni più anziane di
affrontare e risolvere, in larga
misura, i problemi critici del
sistema di cui godono, affinché,
nel futuro, interamente o pro
rata, ognuno sia arbitro del proprio destino pensionistico.
Naturalmente, allo stato degli
atti, il profilo delle proposte
appartiene più ad una logica di
interdizione urgente rispetto ad
alcuni istituti critici che alla
ricerca di una nuova regolamentazione, che viene rinviata
sia pure entro termini certi e
definiti.
”
rendimenti necessari al pagamento, a tempo debito, della
pensione.
Non a caso, il legislatore - che
ha voluto contornare di regole
finanziarie e gestionali nonchè
di procedure di controllo e vigilanza le forme di previdenza
complementare - non potrà
ignorare l’esigenza di individuare principi equipollenti a cui
dovranno attenersi gli organi
amministrativi, investiti dal
“ciclone” del finanziamento e
della gestione a capitalizzione.
Sarà necessario, allora, prefigurare, per questi aspetti innovativi, nuove discipline di garanzia
che prendano a riferimento in
quanto applicabili possibile e
magari anche in chiave di autoregolamentazione - il quadro
normativo previsto per i fondi
pensione e più in generale per la
gestione
del
risparmio.
Concludendo, un ultimo aspetto
merita di essere sottolineato. Di
solito, quando si adottano misu-
Giuliano Cazzola
L’analisi di Gianni Sarrocco de “Il Tempo”
Avviata la nuova riforma
della
Cassa
Il Comitato dei Delegati ha deliberato un
piano previdenziale dettagliato in due fasi per
evitare un pericoloso scontro generazionale
“
Stanley Becker
livello potenziale, in ogni riforma. Una riforma in
due fasi che prevede il blocco delle pensioni d’anzianità, la sospensione della perequazione automatica al di sopra del minimo e l’applicazione di
un sistema di liquidazione provvisoria delle pensioni che garantisce l’80 per cento del trattamento
dovuto.
Misure, queste, già in vigore dallo scorso 22 giungo mentre entro il prossimo mese di dicembre il
cosiglio d’amministrazione della Cassa provvederà a presentare una vera e propria riforma strutturale impostat sul passaggio dal sistema a ripartizione a quello a capitalizzazione. Un altro pilastro
sarà l’introduzione del metodo di calcolo contributivo legato al criterio del pro-rata. Inoltre ci
sarà una rimodulazione delle aliquote e la base di
calcolo avrà come platea tutti i redditi versati dal
1977.
Tutto ciò sarà base di discussione all’interno della
categoria perché è interesse comune che questa
riforma decolli con una sorta di consenso generale. "Una riforma - sottolinea Ezio Maria Reggiani,
presidente del sindacato nazionale ragionieri aperta alla discussione generale perché va nella
riflessioni/4
Le riforme vanno affrontate soltanto dopo
che si è riusciti ad avere un quadro completo
della situazione economico-finanziaria”.
Una raccomandazione, questa, che il Premio
Nobel per l’Economia 1992, l’americano Stanley
Becker, economista puro e liberista della scuola di
Chicago, era solito premettere ad ogni ragionamento su qualsiasi tipo di riforma che poteva interessare il settore pubblico come quello privato.
E bene ha fatto la Cassa dei ragionieri a mettere a
fuoco la riforma del sistema pensionistico. Una
mossa che viene a inserirsi in un periodo alquanto "caldo" dal momento che sui temi della riforma
previdenziale è in atto un dialogo (o braccio di
ferro, a seconda dei punti di vista) tra governo e
parti sociali.
Così i ragionieri iniziano a mettere ordine in casa
propria mentre a livello nazionale c’è un clima più
sereno dopo l’accordo tra i consigli nazionali dei
dottori commercialisti e dei ragionieri dopo un
lungo periodo di muro contro muro sulle modalità
di attuazione della professione unica.
La riforma del sistema pensionistico messa a
punto dalla Cassa previdenziale dei ragionieri
risponde per certi versi a una logica di gioco d’anticipo, mutuando un paragone calcistico. Infatti
l’impianto costruito servirà anche e soprattutto a
sanare tutti quegli inconvenienti che si sarebbero
verificati nel corso degli anni futuri. E ciò con
gravi ripercussioni economiche che avrebbero
coinvolto l’intera categoria e anche l’esistenza
stessa della Cassa. Un rischio comune ad altre
realtà previdenziali autonome in caso di immobilismo.
Un piano chiaramente d’attacco, quasi a futura
memoria, quello preparato e varato dalla Cassa
dei ragionieri. Con un taglio che piace sia ai giovani che agli anziani, quasi a voler evitare così un
pericoloso scontro generazionale che è insito, a
15
giusta direzione senza provocare uno scontro tra
generazioni in quanto si pone attenzione anche
alle situazioni pregresse".
La logica di questa riforma ha alla base anche
l’accordo “storico” sull’unificazione dell’albo dei
ragionieri con quello dei dottori commercialisti
con il problema della fusione dei rispettivi enti
previdenziali. L’intesa recentemente raggiunta tra
i Consigli nazionali per omologare i requisiti dei
praticanti. Infatti i rispettivi presidenti, Antonio
Tamborrino e William Santorelli, sotto gli auspici
dei sottosegretari Maria Grazia Siliquini e
Michele Vietti, hanno concordato di rendere omologhi i percorsi di accesso alle professioni attraverso la costituzione della nuova professioe economico-giuridico-contabile.
Due i punti più interessanti della riforma.
Uno è quello che stabilisce che a decorrere dal 1
gennaio 2003 e comunque non oltre il 31 dicembre 2004, la rivalutazione degli importi delle pensioni erogate trova applicazione limitatamente al
trattamento minimo. In sede di approvazione
della riforma si procederà alla revisione della
disciplina attualmente vigente in tema di perequazione automatica. E poi la misura annua delle
pensioni di vecchiaia è pari, per ogni anno di
effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 percento
della media di tutti i redditi professionali annuali
riferita sia ai redditi dichiarati dall’iscritto ai fini
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche
(Irpef), sia ai redditi convenzionali relativi al
periodo dal 1977 al 1991, fatti salvi i benefici di
cui all’articolo 31 della legge114/1991. La relativa misura non potrà comunque essere inferiore
all’80% di quella derivante dall’applicazione
delle modalità di calcolo previgenti.
Infine le pensioni così liquidate saranno successivamente riliquidate, con effetto dalla data delle
rispettive decorrenze, in base ai criteri, ove più
favorevoli, che verranno definitivamente adottati
in sede di riforma del sistema, fermo restando
che, comunque, anche l’importo definitivo riliquidato non potrà essere inferiore alla predetta
misura dell’80 per cento.
Gianni Sarrocco
Albo unico, c'è l'accordo tra dottori e ragionieri commercialisti
riflessioni/4
Approvato un documento che apre le porte alla nuova professione
16
Storico accordo siglato dai presidenti
dei Consigli nazionali dei dottori e dei
ragionieri commercialisti, Antonio
Tamborrino e William Santorelli. Un
documento comune approvato dai due
Ordini pone fine a mesi e mesi di
discussioni e rende finalmente concreta la prospettiva di un moderno Albo
unico. In attuazione della riforma dei
cicli universitari, si legge nella nota
congiunta, i due Ordini sono favorevoli
ad una legge ordinaria che istituisca
un'unica professione in ambito economico-giuridico-contabile denominata
"Dottore commercialista ed esperto
contabile". Un sì a patto che la nuova
normativa preveda i seguenti principi:
1) il mantenimento del titolo professionale di "dottore commercialista",
riservato ai laureati quinquennali da
iscriversi nella sezione A dell'Albo
unico; 2) l'iscrizione dei futuri laureati
triennali nella sezione B dell'Albo
unico con il titolo di "esperto contabile"; 3) la disciplina, a regime, del
governo degli organi nazionali e locali
della professione unica sulla base del
principio della proporzionalità e rappresentatività, assicurando comunque alla componente della sezione A
un numero minimo di rappresentanti
non inferiore alla metà e l'elettorato
passivo per la nomina del presidente;
4) l'indicazione delle attività oggetto
della professione unica, individuando
distintamente quelle riservate agli
iscritti nella sezione A e, tra queste,
quelle attribuite anche agli iscritti
nella sezione B, assicurando comunque alla professione unica nuove
necessarie riserve e/o esclusive a
tutela della qualità delle prestazioni
professionali nell'interesse generale
della collettività; 5) l'inserimento, nella
sezione A dell'Albo unico, degli attuali
appartenenti agli Ordini dei dottori
commercialisti ed ai Collegi dei ragionieri, questi ultimi con il titolo professionale di "ragioniere commercialista", con specifica distinta indicazione, per ciascuno, della anzianità di
iscrizione, del titolo di studio, del titolo professionale e dell'Ordine e/o
Collegio di provenienza; 6) per tutto il
periodo transitorio di anni 9 (nove),
che decorrerà dalla data di scioglimento degli attuali organismi dirigenti, di cui al successivo punto 10), l'attribuzione delle presidenze e delle
maggioranze dei componenti dei
nuovi organi, nazionali e locali, ai dottori commercialisti, le vicepresidenze
ai ragionieri; 7) la possibilità di svolgere parte del tirocinio professionale
durante il corso di studi specialistico
e l'esenzione da una delle prove scrit-
te dell'esame di stato all'esito di un
corso realizzato sulla base di specifiche convenzioni stipulate tra le università e gli ordini locali; 8) la previsione di norme, in materia previdenziale, che salvaguardino tassativamente i diritti acquisiti provvedendo a
disciplinare, essendovene i presupposti, gli eventuali conguagli a favore
degli aventi diritto; 9) la gestione, da
parte degli organi del nuovo Albo
unico, del registro di tutti i "revisori
contabili", con invariate disciplina e
funzioni per coloro che non sono
iscritti negli albi tenuti dagli ordini, in
modo tale da poter anche esercitare,
tra l'altro, sull'intero comparto e in
maniera omogenea, il necessario controllo di qualità di recente raccomandato a livello europeo; 10) la proroga
della durata in carica degli attuali
organismi dirigenti, nazionali e locali,
delle professioni coinvolte non inferiore a due anni dall'entrata in vigore
della legge, in modo tale da assicurare una graduale e controllata introduzione della riforma; 11) la protezione
di tutti i titoli professionali indicati,
nonché l'esplicita preclusione all'utilizzo anche del termine abbreviato di
"commercialista" che comunque compete ai soli iscritti nella sezione A del
nuovo Albo Unico.
INS
ERT
O
DA
STA
CCA
Armonizzazione delle riforme
per un sistema pensionistico
comune nell’intera Zona dell’Euro1
di Marialuisa Ceprini
MIT, Sloan School of Management, Cambridge (MASS.)
([email protected])
Il premio Nobel Franco Modigliani con la professoressa Marialuisa Ceprini
Un'analisi dettagliata del progetto è offerta dagli autori Modigliani, Ceprini nel loro saggio "Un sistema pensionistico comune Europeo.
Capitalizzazione: Privatizzazione o compartecipazione del rischio in un portafoglio comune?". Ed. Italiana Assoprevidenza n. 9, 2002; Ed.
Inglese Review Wirtschafts Politische Blatter No.9, 2002. L'autore desidera ringraziare Luciano Savino, Aldo Urbini, Roberto de Dominicis,
Daniela Antoniani (Presidente, direttore generale, vice direttore e dirigente della CNPR), Giovanni Lucianelli (direttore responsabile della
rivista Ragionieri & Previdenza) ed Emiliano Paolini (Capo ufficio Organi Collegiali della Cassa e segretario di redazione della rivista) per
la disponibilità dei dati e l’assistenza ricevuta durante la stesura del presente lavoro.
1
RE
1. UN
SISTEMA COMUNE
ARMONIZZATO PER RISOLVERE
LA CRISI DEI SISTEMI
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
PENSIONISTICI
EUROPEI
In Europa il tasso medio di contribuzione è del 18%, in alcuni Paesi intorno al 20%, in Spagna eccede il 25%, e
l’Italia con il 40,4% (32,7% INPS e
7,5% TFR) è largamente in testa alla
classifica. Questi dati confermano che
l'alta contribuzione sta creando seri
problemi di insolvenza, o deficit
preoccupanti, ai sistemi pensionistici
Europei. Inoltre, una eccessiva contribuzione, cioè un’alta forbice tra costo
del lavoro e busta paga, produce effetti
negativi sul sistema economico perché
impoverisce i lavoratori riducendo la
busta paga, incentiva l’evasione contributiva e fiscale attraverso la piaga
del lavoro nero, e disincentiva il lavoro riducendo il tasso di partecipazione ed il reddito. Infine, rende poco
competitivo il costo del lavoro con
effetto negativo sulle esportazioni
nette e quindi sull’occupazione.
Due spiegazioni dell’elevata contribuzione media e l’ampio divario dei
contributi tra i Paesi dell’Euro sono:
1) alti tassi di sostituzione, e 2) inefficiente metodo di finanziamento. In
teoria, alti tassi di sostituzione
dovrebbero essere coperti da alti
contributi. La giusta combinazione è
data dal trade-off tra generosità e
onerosità del sistema. Oltre limiti
modesti, gli individui dovrebbero
essere liberi di decidere quanto
risparmiare e investire secondo le
proprie preferenze, in termini di allocazione delle risorse e di tolleranza
del rischio.
Questa comune circostanza offre
l'opportunità unica per intraprendere
riforme coordinate che conducano ad
un comune sistema pubblico pensionistico, per l’intera Zona dell'Euro. Il
nostro approccio conduce di per sé
alla portabilità del fondo2 (incoraggiando fortemente la mobilità del
lavoro, dipendente e professionale,
che è vitale per il mantenimento della
piena occupazione in un sistema a
cambi fissi), e alla diversificazione del
portafoglio di tutti i titoli del Mercato
dell'Euro, il cui rendimento sarebbe
più stabile rispetto a quello ottenibile
da un portafoglio esclusivamente
nazionale. Non solo i Paesi Europei
beneficerebbero delle economie di
scala e della diversificazione internazionale, ma anche e significativamente, unendo gruppi diversi di partecipanti, diminuirebbero il rischio delle
passività, tipico difetto della ripartizione. E' dimostrabile che un sistema pensionistico comune beneficia
positivamente della diversificazione
demografica e del rischio dei titoli.
Un sistema comune vuol dire capitale
comune che richiede l'esistenza di
riserve, proprie di ciascun Paese. Tali
riserve saranno investite in tutti i titoli dell'Unione Europea, incluse anche
quote di altri mercati mondiali.
La portabilità del fondo, oltre all'aspetto economico richiede una regolamentazione giuridica valida per l'intera Zona dell'Euro.
2
II
3. Sostituzione di una parte della
ripartizione con una componente a capitalizzazione attraverso
una graduale e sostenibile transizione
che rifletta ciò che è veramente possibile in un contesto storico istituzionale. L'ipotesi di creare una quota a
capitalizzazione nei sistemi pensionistici obbligatori a ripartizione, trasformandoli in sistemi misti, riguarda sia i
fondi dei dipendenti pubblici e privati
sia le casse professionali. L'ombrello
di un sistema pensionistico comune
caratterizzato dalla portabilità dei
fondo riguarderebbe tutti i lavoratori,
dipendenti e professionisti, garantendo la loro mobilità in tutti i Paesi della
Zona dell'Euro. E' compito del pilastro complementare, tramite i cosìddetti "pacchetti imprenditoriali" che,
diversificare l'offerta dei benefici, selezionando e rendendo un'impresa più
o meno competitiva.
Ovviamente, l’esistenza di problemi di
transizione, di regolamentazione giuridica e di intento politico, implica
che il raggiungimento di un sistema
unificato, sebbene rappresenti il
nostro ambito traguardo, potrebbe
richiedere tempi lunghi per il suo
completamento. Siamo convinti che
questo sia il momento giusto per realizzare tale obiettivo perchè ora è il
momento opportuno di rivedere al
ribasso sia i tassi di sostituzione che i
contributi, anche se tale decisione è difficile da attuare.
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
Tutto ciò richiede una seria revisione dei meccanismi in atto3 . In particolare:
1. Adeguati tassi di sostituzione
che oggi sono squilibrati ed eccessivi
creando seri problemi di sostenibilità.
Ma oltre al tasso di sostituzione
medio, c’è un'altra misura, spesso
dimenticata in Europa, che meriterebbe una seria considerazione in una
riforma del sistema pensionistico
Europeo, e cioè il tasso di sostituzione
progressivo e “mean-tested”.
Prendiamo, ad esempio, gli Stati Uniti
dove il tasso di sostituzione medio è
il 50%, ed è reso accettabile da una
forte progressività che varia dal 90%,
per i redditi più bassi, al 25% per quelli più alti (con tetti sia ai benefici che
ai contributi). In Europa il tasso di
sostituzione medio è intorno al 70%,
l’Italia con l’80% è la più generosa, e
non a caso è il Paese con i contributi
più elevati.Viene quasi da pensare che
da ciò si riflettano scelte del passato
quando il paternalismo era giustificato dalla scarsa fiducia delle decisioni
individuali.
2. Revisione dell’età di pensionamento che in Europa è eccessivamente bassa, anche se il sistema ideale sarebbe quello dove il lavoratore
liberamente decide, entro limiti
appropriati, quanto vuole lavorare e
quando vuole riposarsi, ovviamente
con una pensione commisurata al
tempo di lavoro e ai contributi versati.
Modigliani, Ceprini (2002a).
3
III
2. RIPARTIZIONE E
CAPITALIZZAZIONE: VANTAGGI
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
E SVANTAGGI DEI DUE SISTEMI
IV
DI FINANZIAMENTO
Nella ripartizione i contributi correnti sono "consumati" per pagare le
pensioni correnti; e ogni generazione
assicura un diritto sulle risorse future
attraverso un patto intergenerazionale, imposto dallo Stato, per il quale il
lavoratore aderisce a mantenere il
pensionato. Un sistema del genere
può funzionare solo se i contributi
sono obbligatori, altrimenti i partecipanti preferirebbero uscire lasciando
il sistema senza le risorse necessarie
per pagare le pensioni. Invece, nella
capitalizzazione, i contributi correnti
sono investiti in attività finanziarie
(reali) che servono a coprire le pensioni future. Il capitale (contributi) é
accumulato ad interesse composto
fino al momento del ritiro quando,
convertito in vitalizio (pensione),
sosterrà il consumo del ritirato.
A regime, dopo aver versato tutti i
contributi, la capitalizzazione è preferibile alla ripartizione almeno sotto
quattro aspetti.
Primo, nella capitalizzazione, i contributi dipendono fondamentalmente
dal tasso di rendimento ottenuto dall'accumulazione dei contributi che
sono la riserva del sistema – più alto
è il rendimento, più basso è il contributo. Nella ripartizione, non esistendo riserve, per implicita natura del
fondo, il tasso di rendimento è irrilevante, ma il contributo dipende criti-
camente dal tasso di crescita (di lungo
periodo) dei salari (reali). Ciò accade
perché i benefici correnti sono finanziati dai contributi correnti, che sono
proporzionali ai salari correnti, ma i
contributi versati sono determinati
dai salari al tempo in cui furono definiti. Quindi, se i salari crescono, i
benefici eccedono i contributi per un
valore che aumenta secondo il tasso
di crescita (di lungo periodo). Infatti, il
tasso di crescita ha sulla relazione tra
contributi e benefici lo stesso effetto
che ha il tasso di interesse in un sistema a capitalizzazione. E' questa abilità
della ripartizione di offrire sui contributi l'equivalente di un tasso di interesse, che la rende attraente come via
alternativa per creare risorse.
Ma quale di questi due approcci provvede meglio al pensionamento?
Oppure, quale tra i due approcci
richiede una contribuzione minore
per dati benefici? Se l'economia fosse
più o meno stazionaria allora il contributo della capitalizzazione risulterebbe sempre più basso, perché le
riserve, accumulate per creare risorse, producono reddito riducendo la
contribuzione al di sotto dell’aliquota
di equilibrio. Ma molto sorprendentemente, se il tasso di interesse fosse
trascurabile, allora per data crescita,
riserve più alte, richiederebbero un
contributo maggiore, necessario per
mantenere un rapporto adeguato
Riserve/Salari in caso di un aumento
dei salari. Similmente, per date riserve, un più alto tasso di crescita richiede una contribuzione più larga. In
paygo. Secondo previsioni dell'OECD,
confermate nel rapporto del G-10,
nel 2040, il costo delle pensioni, per
Paesi come la Finlandia, la Germania,
e la Spagna eccede il 15%; mentre, per
l’Italia sarà oltre il 20%; la qual cosa è
coerente con la generosità degli schemi paygo, con la caduta delle nascite,
e con l’allungamento dell’aspettativa
di vita. Oggi, in Europa, in media tre
lavoratori e mezzo contribuiscono al
reddito di pensionamento di un pensionato. Ci si aspetta un peggioramento di questo rapporto entro il 2020
quando per ciascun pensionato ci
saranno solo due lavoratori e mezzo.
Si tratta di un aumento pauroso che
riflette l’allungamento della durata
della vita media dopo l’età del pensionamento. Questi dati, confermano la
forte pressione che subiscono i sistemi paygo, dando all’Europa il chiaro
messaggio del bisogno urgente di
intraprendere subito un’azione in
comune.
L'effetto dell'aumento del contributo
all'aumentare dell'aspettativa di vita è
così piccolo che può scomparire con
"l'indicizzazione" dell'età standard di
pensionamento all'aspettativa di vita.
In questo modo l'aumento del contributo compenserebbe il costo derivante dall'aumento del periodo atteso
del flusso dei pagamenti della pensione. Nella nostra proposta di riforma
(Modigliani-Ceprini), preferiamo mantenere l'eventuale opzione di andare
in pensione prima, piuttosto che ad
un'età standard, ma con una pensione
ridotta, che riflette una contribuzione
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
generale, riserve più alte ridurranno
la contribuzione attraverso il tasso di
interesse, ma lo aumenteranno attraverso il tasso di crescita. Da ciò si evince che, un sistema a capitalizzazione
richiederà una contribuzione più piccola
rispetto alla ripartizione, se e solo se, il
tasso di interesse eccede quello di crescita. Solo nell’ipotesi in cui il rendimento sia più piccolo della crescita, la
capitalizzazione richiede un contributo più alto della ripartizione. Ma, considerati gli attuali sviluppi demografici,
è molto improbabile che la crescita
ecceda il 2%, mentre serie storiche
indicano un tasso di rendimento
medio di lungo periodo tra il 4 e 6%.
Da ciò appare chiaro che il contributo nella capitalizzazione è più basso
rispetto alla ripartizione almeno della
metà o 2/3.
Secondo, il contributo della ripartizione è molto sensibile al tasso di
crescita, specialmente per livelli
molto bassi. Se la crescita si riduce, ad
esempio per il diminuito tasso di crescita della popolazione come sta
avvenendo in diversi Paesi occidentali, allora aumenta il numero di pensionati per attivo (rapporto di dipendenza) e, se non si aumenta il contributo
(o si tagliano i benefici), il sistema
diventa insolvente. L'Italia, misura uno
dei più bassi rapporti di dipendenza, con
tendenza al peggioramento nel futuro
(entro il 2020 è prevista una natalità
zero). L'invecchiamento della popolazione, in tutti i Paesi dell’OECD,
richiede quote crescenti del PIL per
pagare le pensioni promesse dal
V
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
VI
minore e un periodo di pensionamento più lungo. Per noi, l'unica variabile
ad avere un effetto apprezzabile sul
tasso di contribuzione è il tasso di
rendimento. E' interessante notare
che, per la nostra proposta, una diminuzione di 2 punti nel tasso di rendimento richiederebbe un aumento di
3 punti nel contributo, mentre, con la
ripartizione, la stessa diminuzione di 2
punti nel tasso di crescita provocherebbe un aumento di ben 8 punti nei
contributi.
Terzo, con la capitalizzazione i contributi risultano in un aumento delle
riserve fino alla maturità e poi nel mantenimento del rapporto Riserve/Salari.
Pertanto, contribuiscono allo stock di
Capitale, e del Risparmio, almeno fin
tanto che i salari crescono; mentre,
con la ripartizione sono usati per
pagare le pensioni e consumati dai
pensionati, non contribuendo affatto
al Capitale Nazionale o Risparmio. In
questo sistema una crescita più alta è
usata per aumentare i benefici (o
abbassare i contributi), alzando il consumo e non il risparmio.
Infine, la natura fiduciaria del fondo
paygo non permette alcun accantonamento, per cui l’enorme contribuzione obbligatoria è un credito illiquido
ed inutilizzabile per i lavoratori fino al
pensionamento. Invece, con la capitalizzazione le riserve accumulate nei
conti dei partecipanti possono essere
usate per autofinanziare temporanei
investimenti personali, sullo schema
dei noti piani pensionistici americani
401(K).
Ma allora, perché tanti Paesi hanno
scelto la ripartizione? La spiegazione
é semplice. Nella capitalizzazione la
pensione é pagata con il capitale accumulato nel conto di ciascun pensionato, pertanto, alla costituzione del
fondo chi é già in età pensionabile, ma
non ha versato contributi, non riceve
nulla; mentre, chi ha contribuito tutta
la vita lavorativa riceverà la pensione
piena. Invece, nella ripartizione, usando i contributi degli attivi, si riceve, fin
dal principio, e indipendentemente
dalla anzianità contributiva, la stessa
pensione alla quale si avrebbe diritto
se fossero stati versati tutti i contributi di una vita lavorativa. Per questa
ragione, quando si decide di introdurre un sistema pensionistico obbligatorio universale, la ripartizione è preferita. Ma istituire un sistema a ripartizione significa fare un "trasferimento"
a pensionati che, senza aver contribuito, ricevono la pensione a spese delle
generazioni future che perdono l’accumulazione di un sistema a capitalizzazione senza aver contribuito a quella scelta.
3. COSTI
EQUITÀ INTERGENERAZIONALE: I PROBLEMI
ED
DELLA TRANSIZIONE
Per sostituire la ripartizione con la
capitalizzazione bisogna trovare le
risorse necessarie a creare le riserve
del fondo per coprire le passività.Tale
accumulazione rappresenta il costo
della transizione che deve essere
equamente distribuito tra le correnti
nomica.
C'è poi il problema dell'equità intergenerazionale perché la generazione
della transizione pagherebbe di più
per accumulare un capitale che permetterà di pagare di meno alle generazioni future. In realtà questa affermazione è esagerata perché I) anche
se fosse necessario un contributo
addizionale, il contributo con la capitalizzazione sarebbe comunque inferiore a quello della ripartizione: II) il
costo può essere coperto da altre
fonti e non necessariamente da un
inasprimento dei contributi; III) l’incidenza del costo sulla generazione iniziale può essere ridotta allungando la
transizione; IV) il costo può essere
ridotto decidendo per una capitalizzazione “parziale”, o sistema misto
(parte a ripartizione e parte a capitalizzazione) che, offre maggiore flessibilità in caso di intervento sul problema dell’equità intergenerazionale.
4. CONDIZIONI DELLA
C.N.P.R. DOPO LA RIFORMA
In generale le Casse professionali
sono sistemi che, pur se ancora a
ripartizione, funzionano diversamente
dai fondi dei dipendenti pubblici e privati, perché, con la riforma del 1992,
hanno innescato, o sono in via di
attuarli, uno o più dei svariati meccanismi tra i quali l’abolizione di una
grossa fetta della quota dedicata
all’acquisizione immobiliare (questo è
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
e le future generazioni. Sembrerebbe
che durante la transizione i partecipanti debbano pagare due contributi,
uno per mantenere le promesse del
vecchio sistema, l’altro per costruire il
nuovo. Forse, per questa ragione,
molti preferiscono mantenere la
ripartizione applicando tulle quelle
misure necessarie per evitare, o
posporre, l’insolvenza: aumento della
contribuzione, diminuzione dei benefici,
innalzamento degli standard dell’età
pensionabile, aumento dell’immigrazione. Quest’ultima, correttamente controllata per non interferire con le
politiche di disoccupazione4 , potrebbe aiutare a rialzare quei bassi tassi di
dipendenza cambiando sostanzialmente la struttura della popolazione
attiva. Se le ultime due misure da sole
sono realisticamente insufficienti a
risolvere il problema, anche se considerate nell’ambito di una proposta di
capitalizzazione; la prima misura non è
accettabile considerato l'alto contributo obbligatorio medio Europeo, e la
seconda sarebbe troppo impopolare
per essere considerata, almeno che
non sia resa nota ai partecipanti.
Ma, anche se queste misure fossero in
grado di farci superare l’immediata
insolvenza, esse non ci farebbero
modificare il finanziamento paygo che
rimane: I) inaffidabile per l'alta sensibilità ai cambiamenti della crescita
economica e della popolazione e, II)
prospetticamente più caro per la prevista diminuzione della crescita ecoModigliani, Ceprini (2000, 2001).
4
VII
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
VIII
un vantaggio enorme che ha fortemente contribuito a formare il surplus di alcune Casse professionali),
ed una diversa gestione delle risorse, basata sull’allungamento dell’età
pensionabile, sull’applicazione di
uno specifico principio contributivo
per il calcolo della pensione (una
quota fissa più quote variabili per
scaglioni di reddito, o volume d'affari, dichiarato), e sulla riduzione del
tasso di sostituzione. Tutti fattori
positivi che rispecchiano i risultati
dichiarati dalle Casse, o meglio dai
Fondi dei professionisti. Ma, rappresentano una realtà ben lontana da
quella tutt'altro che florida dei
dipendenti, che discuteremo nei
prossimi paragrafi.
Esaminando le previsioni sviluppate
dalla Cassa Nazionale di Previdenza
e Assistenza dei Ragionieri e Periti
Commerciali (in seguito C.N.P.R.)
per i prossimi cinquanta anni, si
nota la preoccupante diminuzione
degli iscritti che la Cassa rischia
nelle prossime 2 o 3 decadi. Dai
dati (forse un pò eccessivi) emerge
con chiarezza il serio problema del
calo demografico con conseguente
invecchiamento della popolazione
che stanno affrontando tutti i Paesi
occidentali compresa l'Italia che
misura uno tra i più elevati tassi di
dipendenza. Questo problema è
ulteriormente dimostrato dal picco
della fascia giovane dei partecipanti
che tra un paio di decadi, come
minimo, si troverà al momento del
pensionamento. (36/40 anni), anche
se, è importante ricordare che il
fondo previdenziale C.N.P.R. è un
fondo piuttosto giovane. Certo
sembra assurdo, guardando il flusso
crescente degli iscritti fino ad oggi,
accettare un fenomeno del genere,
ma onestamente non dipende dalla
Cassa, bensì è la Cassa che lo subisce. Con l’eccezione di qualche
avvertimento (ad esempio, negli
ultimi tre anni, si notano un rallentamento del reddito e del volume
d'affari dichiarati e un crescente
numero di prestazioni erogate a
fronte di un calo di quelle al minimo forse a causa di una inadeguata
perequazione, in parte provocati
dall'introduzione della riforma, in
parte dalla recessione economica
ed in parte dalle vicissitudini createsi a seguito dei fatti dell’11 settembre) quasi tutti i dati ad oggi si
presentano soddisfacenti, se poi, ad
esempio, vogliamo confrontarli con
quelli dei fondi pubblici, allora sono
addirittura floridi (il rapporto
iscritti/pensionati della Cassa è 9/1,
quello dei pubblici 1/1).
I risultati, secondo i dati a disposizione, offrono alla Cassa il vantaggio del tempo necessario per definire adeguatamente strumenti, tecniche e strategie della manovra da
adottare per evitare squilibri futuri.
Questi dovrebbero includere: I) un
monitoraggio costante e frequente dei dati, in modo da garantire la
rapidità di un’immediata informazione e degli interventi; II) una
rivalutazione del patrimonio
zazione di un sistema previdenziale
comune europeo, a favore della
mobilità del lavoratore, dipende dai
sistemi omogenei veicolati dalla
portabilità dei fondi.
5. CONDIZIONI
DEL SISTEMA
PENSIONISTICO ITALIANO
DEI DIPENDENTI PUBBLICI E
PRIVATI PRIMA E DOPO
LE RIFORME
Prima delle riforme, il sistema pensionistico pubblico italiano era miseramente strutturato, pensato malamente e pieno di ingiustizie principalmente a favore dei ricchi, forse intenzionalmente o forse per ignoranza. Di
conseguenza ha generato elevatissimi
tassi di contribuzione obbligatoria,
oltre il 40% del salario, e 1/3 del costo
totale del lavoro (almeno per i lavoratori dipendenti di imprese private ed
istituzioni pubbliche, ma ci sono
anche contributi di altri fondi con
ogni tipo di regole). Gli irragionevoli
benefici sono offerti da tre distinti
istituti. Il primo, è il corrente sistema a
ripartizione INPS, appesantito dal
forte effetto dell'invecchiamento della
popolazione e dagli alti tassi di sostituzione. Il secondo, in via di estinzione5
, è la pensione di anzianità, che è assolutamente orripilante per chiunque
abbia familiarità con i principi attuariali. La pensione di anzianità permette di andare in pensione dopo un
certo
numero
di
anni
di
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
immobiliare, attualmente in bilancio
al costo storico; III) un controllo
alla politica di diversificazione del
patrimonio mobiliare in bilancio
portato globalmente, per garantire
un portafoglio altamente diversificato secondo gli studi della moderna finanza; IV) la preparazione di
almeno 2 o 3 (conservatore, medio,
espansivo) scenari di previsione
(fondamentale per un'accurata analisi attuariale); V) l'applicazione
del calcolo contributivo usando il
tasso di crescita effettivo realizzato
ed estendendo l'allacciamento dei
contributi alla media dei guadagni
percepiti durante la vita lavorativa e
non solo sugli ultimi quindici anni,
ed infine; VI) analisi dei vantaggi e
svantaggi di una possibile fusione
tra le casse professionali o quantomeno tra quelle analoghe, sarebbe
una strategia per la quale tutti i
soggetti che aderiscono beneficerebbero delle economie di scala e
di scopo, ma anche e significativamente eliminerebbero il rischio
delle passività. A questo punto sarà
facile individuare le risorse, o come
credo una loro combinazione, per
sostituire parte della ripartizione
con una quota a capitalizzazione,
aumentando l'efficienza di un sistema che già fa la sua parte. In sintesi, un sistema misto, analogo a quello che proponiamo per il fondo
dipendenti pubblici e privati, di
seguito riportato, perché l’armoniz-
Le riforme hanno predisposto l’eliminazione graduale delle pensioni di anzianità dal sistema, che dovrebbero scomparire definitivamente nel 2050.
5
IX
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
contribuzione, ricevendo la stessa
pensione piena alla quale un individuo avrebbe diritto se avesse raggiunto l'età ordinaria di pensionamento (vecchiaia), senza riguardo
all’età effettiva della persona.
L’assurdità5bis delle pensioni di anzianità è ingigantita dal divieto di cumulo, imposto dal Governo per scoraggiare il lavoro dei nuovi pensionati.
Come risultato, atteso e inevitabile, è
aumentato il lavoro nero e l’evasione
contributiva e fiscale. Infine, il terzo
istituto, è il TFR che matura al lavoratore il diritto alla liquidazione di un
salario mensile per ogni anno di lavoro svolto. Il contributo obbligatorio
annuale del 7,70% (1/13) dal salario, è
accumulato ad un tasso di interesse
contrattuale fissato ad un livello
nominale di 11/2% più 2/3 dell'inflazione. In qualunque momento rappresenta un suo prestito all'impresa.
Le riforme Amato, Dini, Prodi stanno
correggendo alcuni dei difetti
sopraindicati, inoltre, stabilendo un
graduale taglio dei tassi di sostituzione, tra il 2000 e il 2050, ed un
progressivo allacciamento dei contributi alla media dei guadagni percepiti durante tutta la vita lavorativa
(metodo “contributivo”), anziché
all’ultimo salario (metodo "retributivo").Tutto questo mira ad eliminare,
gradualmente (2050) lo scandalo
È di questi giorni la proposta del Governo per l’eliminazione totale del divieto di cumulo tra lavoro e pensione, che ci auguriamo venga approvato.
Il deficit pensionistico, che oggi è del 2,6% (in aumento fino al 2030 con punte del 6%), scenderà a zero nel 2050. La rimanente parte del 10%, ancora esistente nel 2050, è un deficit di protezione sociale (GIAS); pertanto, dovrebbe essere nella spesa sociale. Per questo motivo non lo includiamo nei dati usati
per le nostre simulazioni. La manovra di trasferire volontariamente il 2,50% del TFR a schemi di pensione complementari, come innovativamente disposto
dalla Riforma Dini, non ha avuto successo per almeno due ragioni: a) eccessivi contributi obbligatori che non lasciano spazio ad ulteriore risparmio, e b)
mancanza di incentivi specifici per investire nei fondi complementari (come discusso nel paragrafo 7).
5BIS
6
X
delle pensioni di anzianità.
Stranamente, le riforme, per quanto
abbiano offerto una migliore eguaglianza, sono state strenuamente
ostacolate dai Sindacati, slittati drasticamente verso i pensionati. Le tre
riforme, mantenendo la struttura
mista del sistema, parte a capitalizzazione (TFR) e parte a ripartizione
(INPS, ed altri fondi obbligatori),
hanno allontanato il sistema dalla
bancarotta e da un pesante drenaggio
al Tesoro, introducendo una modifica
unica e fondamentale nella componente a ripartizione: i benefici non
sono più calcolati usando un predeterminato tasso di crescita fisso dei
salari ma usando il tasso di crescita
effettivo realizzato. Concettualmente,
cambia la natura del sistema da benefici definiti (DB) a contributi definiti
(DC). Finanziariamente, rimuove il
pericolo dell'insolvenza che sorge da
una inconsistenza tra il tasso fisso,
usato per calcolare i benefici, e il
tasso realizzato. Dal momento che la
crescita Italiana è prevista in diminuzione, a causa di un drammatico calo
del tasso di natalità e dell'agganciamento della pensione ai contributi, il
tasso di sostituzione è previsto in
calo abbassando il livello della pensione di almeno 10 punti, anche se a regime il contributo sarà ancora eccessivo6. Proprio un uso più efficiente del
PER AUMENTARE LE PENSIONI
Ci opponiamo al provvedimento di
base che obbligherebbe i lavoratori a
trasferire tutto il TFR da un finanziamento a basso rendimento al datore
di lavoro a conti individuali in fondi
pensionistici privati, una parziale imitazione della privatizzazione Cilena,
per le seguenti ragioni7 :
I. La proposta del Governo aumenta
i benefici pensionistici aumentando la
liquidazione del TFR che, nei conti
individuali, si accumulerebbe ad un
tasso di mercato invece che all'attuale basso rendimento pagato dal datore di lavoro, senza fare nulla per ridurre i contributi e la devastante forbice.
II. Il Governo con i conti individuali
mette a rischio la pensione dei lavoratori, e la deprime con gli alti costi di
gestione. Nella proposta ModiglianiCeprini (MC) il TFR è trasferito in un
Nuovo Fondo comune, ad un costo di
gestione trascurabile ed un rendimento garantito dal Governo.
III. Assicurandosi il TFR per aumentare le pensioni elimina l'unica possibilità per tagliare i contributi.
IV. Il guadagno dei lavoratori corrisponde alla perdita dei datori di lavo-
ro, che è la differenza tra interesse di
mercato e agevolato, meno le alte
commissioni ai managers dei fondi. In
sostanza è una mera forma di redistribuzione senza giustificazione perché l'effetto netto è negativo (le
risorse perse nella poco utile gestione dei conti individuali) e non produce benefici come la riduzione della
forbice tra costo del lavoro e busta
paga del nostro approccio.
V. Infine, la privatizzazione in conti
individuali sostituisce lo schema DB
con uno DC. Il diritto ad una pensione prevedibile e garantita, è sostituito
da un "biglietto della lotteria", performance variabile ed incerta del proprio portafoglio individuale. La pensione dipenderà dalla fortuna nella
scelta del proprio portafoglio, o dalla
data di pensionamento, o dall'andamento del mercato. Imporre, o incoraggiare, la gente a rischiare la propria
pensione, è inconciliabile con lo spirito di un sistema pensionistico pubblico, che tende ad assicurare una pensione minima. Invero, se si comprende
che la privatizzazione non privatizza
l'ammontare e il tempo della contribuzione, e limita severamente le scelte del portafoglio, si deve concludere
che la privatizzazione privatizza la cosa
sbagliata: il rischio!
Un altro effetto indesiderabile è la
creazione di disuguaglianze artificiali
nella distribuzione della pensione. Nei
portafogli individuali la media dei rendimenti di tutti i portafogli è simile al
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
TFR ha indirizzato la nostra soluzione, ma, prima di procedere rivisiteremo la riforma che senza successo
è stata proposta dal precedente
governo, nuovamente ipotizzata da
quello in carica.
5.1 PROPOSTA DEL GOVERNO:
TFR IN PORTAFOGLI PRIVATI
Modigliani, Ceprini (2002, 2002a).
7
XI
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
XII
rendimento dell’intero mercato, che è
esattamente quello del nostro portafoglio comune. Ma i rendimenti dei
singoli portafogli misurano larghe
dispersioni a parità di contribuzione,
appesantite dagli inutili costi di gestione dei fondi.Alcuni faranno meglio ed
altri peggio e, purtroppo, tra questi ci
saranno molti il cui reddito è troppo
basso per permettersi un rischio del
genere.
Per ovviare al danno secco che i datori di
lavoro subirebbero con la manovra, il
governo offre loro alcune misure che
avrebbero l’effetto di spostare parte
del costo dalle imprese ad altri soggetti. La prima è una modesta de-contribuzione (3-5 punti) per i nuovi
assunti precedentemente disoccupati.
L'effetto dell'impatto della manovra è
incerto: nel breve periodo potrebbero
anche aumentare le entrate dell'INPS
se l’aumento dell'occupazione del
gruppo dei nuovi assunti fosse proporzionalmente maggiore della riduzione del contributo; ma, nel lungo
periodo creerebbe un ulteriore deficit.
La seconda è una promessa di offrire ai datori di lavoro un prestito speciale per ricollocare quello perso con
il TFR. Ma non si capisce come tale
promessa possa essere mantenuta,
data l’integrazione dei mercati finanziari Europei, almeno che il governo
offra una garanzia sul prestito privilegiato o paghi la differenza fra tasso
agevolato e tasso di mercato, aumentando il deficit di bilancio.
Possiamo concludere che l'aumento
della pensione, proposto dal Governo
senza cambiare l'alto tasso di contribuzione, è un "regalo" ai lavoratori (e
ai fondi pensione) a spese dei datori
di lavoro, delle banche, dei contribuenti, ed apparentemente, dei parasubordinati, il cui contributo obbligatorio aumenterebbe dal 13 al 17% per
garantire la copertura finanziaria delle
manovre.
5.2 PROPOSTA MODIGLIANICEPRINI (MC):TFR DA PRESTITO
ALL'IMPRESA A PRESTITO AL NF
PER DIMINUIRE I CONTRIBUTI
La proposta MC riduce i contributi,
mantenendo inalterati i benefici promessi dalla Dini, e consiste nel "ridirigere" il TFR da prestito obbligatorio al
datore di lavoro a prestito obbligatorio al Nuovo Fondo (NF) essenzialmente alle stesse condizioni. Il contributo TFR del 7,50% continuerebbe ad
essere raccolto dai datori di lavoro
ma trasferito al NF dove verrebbe
accumulato ad un tasso di interesse
composto e restituito al momento
del pensionamento alle stesse condizioni dei datori di lavoro, preservando
il diritto del beneficio della liquidazione.Tale diritto può essere compensato anticipando liquidità, sull’esempio
dei fondi pensione americani 401K,
con l'offerta di prestiti sulla base delle
proprie riserve che, accumulate nel
conto di ciascun partecipante servirebbero come linea di credito, con
rigide regole di restituzione, dipendenti dalla natura del prestito. Il tasso
a carico dovrebbe essere commisurato a quello che i partecipanti guada-
La proposta MC condivide con la privatizzazione l’idea di passare alla capitalizzazione (anche se parziale) dove i
contributi investiti in attività finanziarie rappresentano le risorse per pagare le pensioni, mantenendo lo schema
DB e rigettando quello DC, così
come le redistribuzioni causali del
reddito.
Due strumenti garantiscono DB reali
(esclusi gli aggiustamenti a fini redistributivi). Il primo, investe i contributi
in un portafoglio comune diversificato,
rappresentativo dell’intero mercato,
con azioni e obbligazioni rispettivamente di circa 2/3 ed 1/3, gestito ad
un costo molto basso sotto la supervisione di una commissione di esperti
prestigiosi (per garantire la trasparenza della gestione). Il secondo, un "swap"
tra il NF ed il Tesoro, scambia il rendimento incerto del portafoglio di mercato dietro pagamento del Tesoro di
un rendimento reale fisso (5%lordo)
prudentemente al di sotto del rendimento di mercato reale atteso (prima
delle tasse). In questo il rischio che il
rendimento di mercato si scosti da
quello garantito dal NF è trasferito
allo Stato che, con la sua dimensione
e vita infinita, è in una posizione
migliore per assorbire questo rischio;
inoltre, può spalmare il rischio di un
singolo portafoglio su un’intera generazione, e quello di una generazione
di lavoratori su molte generazioni. Ma
soprattutto, potrebbe assumere il
ruolo di assicuratore di ultima istanza,
dando finalmente sicurezza ai più
anziani.
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
gnano nei loro conti del NF aumentato delle commissioni di gestione del
portafoglio. Se il diritto al prestito
debba essere illimitato, come nel
piano Americano, o limitato ad una
lista di necessità specifiche, è questionabile, ma per qualunque tasso la lista
dovrebbe essere generosa, considerando che la prudenza di prendere a
prestito è incoraggiata dall'obbligo
della restituzione. E questo obbligo
potrebbe ben essere un miglioramento nel sistema Italiano del prelievo
opzionale, dal momento che protegge
i benefici pensionistici.
In questo modo, il NF non è finanziato
dal TFR, che è restituito al momento del
pensionamento, ma dalla differenza tra
il rendimento aggiustato del suo portafoglio e il tasso agevolato al quale è preso
in prestito. Rimane da risolvere il problema di una compensazione adeguata ai datori di lavoro che perderebbero il beneficio di un credito a basso
costo, diversamente la riforma risulterebbe in un inaccettabile mero trasferimento di risorse dal datore di
lavoro al lavoratore. Tale compensazione corrisponde al debito del TFR
moltiplicato la differenza tra tasso di
mercato e tasso agevolato, a sua volta
approssimativamente uguale al guadagno dei partecipanti, slittando il TFR
dal datore di lavoro al NF comune, in
modo che possa disporne come
risorsa necessaria per abbattere i
contributi. Inoltre, il trasferimento
avrebbe l'effetto benefico di ridurre la
forbice e di assicurare un più stabile
contributo obbligatorio.
XIII
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
5.3 CAPITALIZZAZIONE:
PRIVATIZZAZIONE (GOVERNO)
O COMPARTECIPAZIONE
DEL RISCHIO (MC)?
In almeno cinque profili la privatizzazione del portafoglio e del rischio
(Governo) è inferiore alla compartecipazione del rischio in un portafoglio
comune (MC): I) Sostituisce lo
schema DB (pensione sicura) con
quello DC (pensione aleatoria); II)
Conduce ad arbitrarie redistribuzioni del reddito; III) Rende difficile
uno schema a benefici progressivi e
mean-tested; IV) Tende ad aumentare il gap tra ricco e povero in due
modi: a) il ricco ha maggiore esperienza, migliore informazione, ma
soprattutto migliore assorbimento
dei rischi realizzando rendimenti più
alti; b) la pensione basata sui portafogli individuali eliminerebbe ogni forma
di redistribuzione della ricchezza,
nella quale una frazione dell’accumulazione del ricco oggi è usata per
sostenere la pensione del povero; V)
Sacrifica una significante porzione
della pensione per le commissioni di
gestione dei fondi individuali, specie
dei piccoli portafogli. Questo è confermato dall’esperienza del SudAmerica dove le commissioni dei
conti (ampiamente oltre 2,5%) sono
molto più alte rispetto al basso costo
di gestione (circa 1%) del nostro portafoglio comune.
La Tavola 1 allegata mostra che iniziamo a tagliare i contributi a partire dal
primo anno come il NF comincia a
maturare i primi "vitalizi" da trasferire
all'INPS fino al 2050, quando il NF
raggiunge il contributo di equilibrio
del 23% (TFR incluso). I risultati simmetrici (Tavola 2 e Grafico) mostrano
chiaramente costi e benefici dei differenti obiettivi: l'obiettivo del
Governo è di aumentare le pensioni di quasi 9 punti percentuali al
costo permanente del 40%; l'obiettivo della proposta MC è diminuire
i contributi di altrettanti 9 punti
(40% in meno). Riduzione che
dovrà essere distribuita tra i partecipanti. I lavoratori liberamente
decideranno se investire la loro
quota in un "secondo pilastro" – in
conti individuali in fondi pensione
approvati8 , a seconda delle loro
preferenze e grado di assunzione
del rischio.
Il nuovo sistema ricreerebbe fiducia nei sistemi pubblici pensionistici, particolarmente rilevante per i
giovani che oggi pensano che in
futuro, per loro, non ci saranno più
benefici.
5.4 CHI
SOSTERRÀ IL COSTO
DELLA RIFORMA ?
Concettualmente, il guadagno dei
lavoratori corrisponde esattamente
alla perdita dei datori di lavoro, cioè
l'ammontare del prestito moltiplicato
per la differenza tra il tasso "di opportunità di mercato" e il tasso contrattuale fisso del TFR. Ciononostante,
8
Come il contributo del pilastro obbligatorio scende, il comportamento dei lavoratori potrebbe essere più favorevole a partecipare in piani pensionistici
complementari, allo scopo di assicurarsi un più alto reddito e mantenere i loro standard di vita durante il pensionamento.
XIV
XV
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
Tavola 1
Tavola 2
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
XVI
Aliquota di equilibrio INPS, (col.1), Sussidio statale o deficit (col.2), e contribuzione INPS con la proposta MC (col.4) sono
calcolati al netto della quota sociale GIAS del 10%. La (col.6) rappresenta l’accumulazione di tutto il TFR (7,50%) nel NF,
ad un tasso composto del 4%, di cui, per la proposta MC, una parte (col.3) è usata per diminuire i contributi obbligatori
INPS, ed una parte (col.5) per liquidare il TFR, ad un tasso di interesse composto del 1%. Infine, la (col.7) rappresenta il
trasferimento di tutto il TFR (7,50%) al NF. Il ritardo interesse è al tempo (t-1) del NF.
(a) I contributi includono la contribuzione obbligatoria all’INPS e per il TFR (7,50%).
(b) Riforma Dini a regime: La contribuzione del 31,94% include: a) il 24,44% dell'INPS, b) il 5% del TFR (trattenuto dall'impresa a titolo di finanziamento), e il 2,50% del TFR alla previdenza complementare in conti individuali volontari, disposto dalla Dini. I benefici includono: la liquidazione, al tasso di interesse composto del 1%, della quota TFR del 2,50% che
si azzera per l’impresa; più la liquidazione, al tasso di interesse composto del 1%, della quota TFR del 5% che rimane a
carico dell’impresa secondo regole stabilite con i lavoratori.
(c) Proposta riforma Governo a regime: La contribuzione del 31,94% include il 24,44% dell'INPS e tutto il 7,50% del TFR
alla previdenza complementare in conti individuali obbligatori in fondi privati. I benefici includono la liquidazione di tutto il
TFR, all’interesse composto del 1%, che si azzera per l’impresa; più b) i benefici che maturano, al tasso di interesse composto del 4%, trasferendo tutto il TFR in C.I. obbligatori in piani privati.
(d) Proposta riforma MC a regime: La contribuzione del 23,01% comprende il 15,51% dell'INPS, e tutto il TFR (7,50%), versato nel Nuovo Fondo (NF) parzialmente per abbattere la contribuzione obbligatoria INPS, e parzialmente per liquidare tutto
il TFR, al tasso di interesse composto del 1%.
imprese devono essere indennizzate
perdendo il prestito del TFR.
Il Governo ha suggerito di coprire
questa perdita con una "de-contribuzione", noi suggeriamo di ripartire la
riduzione del 9% nel 7%, o quasi, per
diminuire i contributi dei lavoratori
(più alta busta paga); il rimanente 2%,
o quasi, come "de-contribuzione",
trattenuta dall'impresa a titolo di
indennizzo per la perdita del TFR.
6. UNA
SOLUZIONE
ALTERNATIVA PIÙ RADICALE
La proposta di riforma MC tende a
ridurre l'enorme peso dei contributi
trasformando il TFR da un prestito
alle imprese ad un investimento in un
fondo comune con un rendimento
più alto e intende utilizzare poi la differenza tra i rendimenti per una graduale riduzione dei contributi (aggiustata della perdita subita dai datori di
lavoro). Si deve notare che con un
costo del lavoro invariato, un contributo più basso è equivalente ad una
busta paga più alta. Ma, bisogna riconoscere che la proposta MC non è la
sola via possibile per ridurre i contributi.
Una alternativa ovvia è quella di "abolire
il TFR" come prestito obbligatorio al
datore di lavoro, oppure, che è la stessa
cosa, permettere al datore di lavoro di
trattenerlo, ma poi restituirlo al lavoratore. Ciò significa che ci sarebbe un
immediato abbattimento dei contributi
(aumento della busta paga) uguale (o
aggiustato) all'ammontare del contributo
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
l'ammontare corrente del guadagno
e della perdita può essere abbastanza differente, per le parti, a
causa della differenza tra l'ammontare preso a prestito e dato in prestito, e del tasso di opportunità.
Rispetto al primo, il debito TFR
verso i lavoratori, che le imprese
devono sostituire perdendo il TFR,
dipende dall'ammontare del debito
accumulato verso ciascun lavoratore.
Questo, a sua volta, dipende dalla lunghezza del servizio di lavoro con lo
stesso datore, o anzianità al tempo
della liquidazione. Ogni qualvolta un
lavoratore se ne va, o cambia lavoro, il
debito del datore è ripagato. Nelle
nostre simulazioni abbiamo assunto
una lunghezza standard di servizio di
40 anni ed un rendimento di mercato
lordo del 5%. Queste assunzioni implicano un guadagno del 9%, ma sono
inappropriate per calcolare la perdita
delle imprese per rimpiazzare il prestito del TFR. Primo, l'attuale durata di
servizio con lo stesso datore di lavoro è di gran lunga inferiore ai 40 anni,
probabilmente 20, sicché il debito da
rimpiazzare è più piccolo di quasi la
metà. Secondo, supponiamo che il
governo possa aiutare l'impresa ad
assicurarsi il necessario credito da
rimpiazzare a condizioni favorevoli,
per esempio, attraverso un'effettiva
garanzia. Quindi, considerando che
l'impresa può rimpiazzare il tasso
reale del 1% con qualcosa come il 3%,
troviamo che il costo può essere stimato intorno al 2-3% dei salari, e questo è l'ammontare per il quale le
XVII
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
XVIII
per il TFR. Questo ribasso è immediato e
costante nel tempo.
"L'abolizione del TFR" e la proposta
del Governo, entrambe sottraggono il
TFR al datore di lavoro.Tuttavia, nella
proposta del Governo deve essere
forzatamente investito in un fondo di
pensione autorizzato dove rimane
illiquido fino al pensionamento; mentre, con "l'abolizione", il lavoratore può
decidere liberamente che cosa fare con
l'ammontare che riceve oggi per sempre (potrebbe avere un forte incentivo ad investire una parte in un fondo
pensione volontario, considerando le
risorse disponibili addizionali e la
perdita dei benefici causata "dall'abolizione" del TFR).
Quale sistema è preferibile? La
risposta dipende a chi si vuole lasciare la libertà di scelta: all'individuo, alla
società, oppure parzialmente al lavoratore? Forse quest'ultima è la scelta
preferibile.
Infine, confrontando l'abolizione con
la proposta MC, queste hanno in
comune l'obiettivo di ridurre i contributi, ma il sentiero della riduzione
è piuttosto differente: con "l'abolizione" la riduzione è immediata del
7,50% e rimane per sempre; nella
proposta MC, il sentiero dell'abbattimento non è necessariamente
unico, e saranno necessarie almeno
2 decadi prima che l'abbattimento
eguagli quel (7,50%), ma, alla fine lo
supererà e raggiungerà il suo punto
di equilibrio.
Chiaramente questi differenti sentieri hanno implicazioni molto significa-
tive riguardo al problema dell'equità
intergenerazionale. "L'abolizione" del
TFR è molto più favorevole ai lavoratori anziani al tempo della riforma.
Inoltre, "l'abolizione" fa perdere i
benefici del TFR che sono mantenuti
dalla proposta MC, ma questi possono essere acquisiti investendo una
parte dell'abbattimento in qualche
fondo privato. Il fatto che l'abbattimento sia più veloce della proposta
MC suggerisce la probabilità di uno
sviluppo più rapido del blocco dell'attività del NF, la qual cosa merita
una seria considerazione.
7. IL
SECONDO PILASTRO
DEL SISTEMA
PENSIONISTICO ITALIANO
La riduzione dei contributi obbligatori libera un'apprezzabile porzione
di risparmio parte della quale
potrebbe essere investita volontariamente dai lavoratori in qualche
fondo pensionistico privato. La
Riforma Dini disponeva innovativamente il trasferimento volontario di
una quota del 2,50% del TFR in fondi
pensione complementari. Ma la
manovra non ebbe successo almeno
per due motivi: I) eccessivi contributi obbligatori che non lasciano spazio
ad un ulteriore investimento di
risparmio, II) piani pensionistici privati fiscalmente disincentivanti.
Secondo il nostro punto di vista, una
revisione alla legge corrente dovrebbe tener conto di quattro punti
essenziali per garantire il principio
CONCLUSIONE:
DAL 2000 AL 2050
La conclusione è che una soluzione
razionale di lungo periodo alla
domanda di come finanziare le pensioni obbligatorie dei fondi pubblici o
delle Casse professionali in un futuro
prevedibile, è quella di affidarsi interamente ad un sistema misto del tipo a
Benefici Definiti, dove la componente
a capitalizzazione è basata sulla compartecipazione del rischio in un portafoglio comune, secondo le linee che
abbiamo suggerito.
Invece, rimane aperta la discussione
riguardante i metodi ed i tempi della
transizione, anche se la risposta
appropriata a queste delicate domande può essere data solo all'interno di
un contesto istituzionale specifico
(come abbiamo fatto per gli USA,
l’Italia, e la Spagna).
Il coraggio di realizzare una riforma
comune europea della previdenza
sociale bisogna trovarlo ora, proprio
perché è urgente. In questo
momento, infatti, si offre all’Europa
l’opportunità unica: intraprendere
riforme coordinate che risultino poi
integrate in un sistema pensionistico pubblico comune, capace di offrire a tutti i lavoratori europei quel
giusto trade-off tra generosità e
onerosità del sistema.
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
fondamentale della libertà individuale9 . Primo, i lavoratori dovrebbero
liberamente entrare in Fondi Aperti o di
categoria, ricevendo gli stessi benefici. Secondo, ogni partecipante
dovrebbe avere il diritto di gestire un
proprio portafoglio in alternativa ad un
fondo e, Terzo, il diritto di autofinanziarsi attraverso un prestito personale
dal proprio conto, secondo regole
specifiche. Quarto, i contributi al fondo
dovrebbero essere esenti da tasse, sempre secondo regole definite.
Ovviamente, l'esenzione dovrebbe
essere applicata anche al rendimento
del capitale nel fondo; mentre, i benefici dovrebbero seguire i criteri delle
attuali leggi Europee, in attesa di una
Legge in comune per l'intera Zona
dell'Euro.
Particolarmente, il quarto punto
della revisione focalizza una differenza fondamentale tra la normativa
fiscale italiana e quella americana in
materia di piani pensionistici volontari. Per la prima, sono tassati sia l'investimento, cioè il contributo al
fondo, che il rendimento del capitale
nel fondo. Per la seconda, invece,
sono tassati i benefici, in altre parole,
quando il capitale esce dal fondo
viene tassato come normale fonte di
reddito. Inoltre, l'approccio americano matura tutti quei vantaggi tipici in
una tassazione progressiva, importante per i pensionati che tendono
ad avere un reddito più basso rispetto al tempo in cui erano lavoratori10
Ceprini, Modigliani (1998a).
Ceprini (2002b).
9
10
XIX
Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini
Bibliografia
XX
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Ceprini, ML.
Modigliani F.
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L’Unione Nazionale Giovani Ragionieri plaude alle norme appena varate
Una riforma
attesa da tempo
“La delibera del Comitato
dei delegati rappresenta la
manifestazione di un grande
senso di responsabilità”
• di Massimo Lusuriello*
tutela della persona e della personalità umana, entrambe consacrate nella Carta Costituzionale del
nostro Stato. Si tratta di un dato di
fatto positivo purché non ci si faccia condizionare dai fiumi di
parole (e di scritti) che creano
confusione, non producono proposte e fanno smarrire la via del
traguardo da raggiungere: la
razionalizzazione di tutto il
vastissimo panorama previdenziale, basato sulla corretta predisposizione dei mezzi finanziari
necessari e sulla utilizzazione
degli stessi, che dovrebbe tendere
al riconoscimento di rendite pensionistiche decorose per tutti.
- Il secondo punto è uno degli inevitabili limiti dell’animo umano:
la tendenza di ciascuno a curare il
proprio “particulare” senza interessarsi di quant’altro accade
intorno a noi.
- Quanto affermato al terzo punto,
la preoccupazione delle giovani
classi appare del tutto giustificata,
tenuto conto degli scenari
macroeconomici e del quadro
sociale in continua evoluzione,
non sempre positivo.
Personalmente, oggi esprimo il
mio pensiero con un pizzico di
ottimismo in più rispetto a qualche mese fa, e con una sostanziale soddisfazione.
Soddisfazione maturata nel registrare che, finalmente, la categoria dei ragionieri commercialisti
ha varato la “sua” riforma previdenziale.
Una riforma fortemente voluta da
molti, giovani e meno giovani,
ma soprattutto da chi, presa
coscienza dei problemi esistenti,
ha ritenuto che andava ristabilito
un equilibrio tra entrate contributive e prestazioni erogate.
l’opinione
L
’argomento previdenza, in
particolare le pensioni, è
diventato ormai una sorta
di campo di esercitazione, cui
nessuno intende far mancare il
proprio contributo.
La ratio di tale fenomeno è da
ricercare:
1) nel fatto che non esiste previdenza e non si può ragionare in
materia pensionistica, senza tener
conto della enorme quantità di
mezzi e di interessi finanziari
necessari per affrontare tutti i problemi connessi;
2) nell’aspirazione, il desiderio o
la speranza di ottenere il massimo
possibile ed al più presto, di tutti
coloro che, lavoratori autonomi o
lavoratori dipendenti (pubblici e
privati), sono in procinto di raggiungere la meta della tanto attesa
rendita pensionistica;
3) nella preoccupazione delle giovani generazioni che, non a torto,
vedono agitare da più parti lo
spettro del dissesto finanziario dei
fondi pensione.
- Il primo punto è senza dubbio il
frutto della diffusione della cultura collettiva, carente nei tempi
passati, orientata ad ottenere il
soddisfacimento delle istanze
sociali al riconoscimento della
37
l’opinione
38
L’Unione Giovani Ragionieri,
su questo tema, ha da tempo
assunto una posizione netta e
coerente, manifestata in più
occasioni, e da sempre ha rincorso un obiettivo condiviso:
ristabilire un’equità nel sistema
previdenziale in vigore fino ad
oggi.
I giovani, sicuramente più interessati alle sorti della propria Cassa
di Previdenza, hanno presentato
le loro istanze, le loro proposte ed
espresso il loro disagio.
Insomma hanno fornito, senza
dubbio, il loro contributo al dibattito apertosi all’interno della categoria.
Dibattito che, in alcuni momenti,
ha dato l’impressione di rimanere
circoscritto ad un mero e futile
scontro generazionale.
Fortunatamente, le reali motivazioni ed i problemi di fondo sono
emersi ed hanno preso il sopravvento su tutte quelle interpretazioni errate che si volevano attribuire al problema.
Le nostre istanze sono state quindi accolte, quasi totalmente, e la
delibera dell’assemblea dei delegati del giugno scorso, rappresenta la manifestazione di un grande
senso di responsabilità, di maturità e di consapevolezza.
Oggi siamo portati a guardare il
“tema previdenza” con un occhio
più tranquillo.
Il sistema di finanziamento a
capitalizzazione con il calcolo
contributivo delle prestazioni, è
il sistema in equilibrio per natura, e che nulla regala.
Per questi motivi
la nostra visione è
di una previdenza
più serena, pur
consapevoli, nel
contempo, che i
problemi non sono
terminati.
I rendimenti ottenuti dai versamenti
contributivi
saranno decisivi
per il successo di
questo sistema e
nella determinazione delle prestazioni obbligatorie.
Siamo
pertanto
consci che occorrerà
un’ottima
gestione
delle
risorse correnti e patrimoniali
ma certi che i vertici della
nostra Cassa di Previdenza,
sapranno gestire il “nostro”
patrimonio con oculatezza e
raziocinio.
*Presidente Unione Nazionale
Giovani Ragionieri
Chi è...
Massimo Lusuriello
Massimo Lusuriello, nato a Genova, 39 anni, sposato, un
figlio, esercita la professione di ragioniere commercialista a
Genova ed è iscritto al Collegio dei
Ragionieri dal luglio 1985.
Già Presidente dell’Unione Giovani
Ragionieri di Genova, ricopre la
carica di Presidente dell’Unione
Nazionale Giovani Ragionieri
Commercialisti dal 7
novembre 1998, essendo
al suo secondo mandato.
L’intervento di Silvano Piccininno al Comitato dei Delegati del 21 giugno 2002
Gli aspetti giuridici
della riforma
previdenziale
I
La sede della Corte Costituzionale
stessa Corte Costituzionale ha
superato, ripetutamente e, direi,
costantemente, questa primitiva
impostazione.
La Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che quando vi sono
esigenze di bilancio e di equilibrio finanziario che mettono in
discussione se non anche la
sopravvivenza dell’ente, certamente la capacità dell’ente di far
fronte ai futuri impegni relativi
alle prestazioni garantite dalla
Costituzione, in questo caso
occorre trovare un equilibrio fra
esigenze di tutela dei soggetti ed
esigenze di garanzia di quella
stessa tutela nei confronti della
generalità dei soggetti, cioè di
tenuta del sistema, che è nell’interesse della stessa garanzia di tutela evidentemente.
Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale, ma
anche quella ordinaria, ormai si è
attestata su posizioni sufficiente-
mente chiare e cioè che l’unico
limite realmente esistente agli
interventi sui sistemi esistenti,
cioè sugli ordinamenti vigenti, è
quello dato dagli effetti patrimoniali già verificatisi, per cui è
giunta a sostenere che è possibile
intervenire anche sui trattamenti
già in atto, naturalmente soltanto
in ordine ai ratei futuri di questi e
non anche per il passato (C. Cost.
n. 211 del 1997).
E allora, nel momento in cui ci si
pone il problema di introdurre un
sistema a capitalizzazione, occorre chiedersi se possiamo introdurlo solo per il futuro o anche per il
passato, così come possiamo e
dobbiamo chiederci se le misure
che vogliamo adottare, come
quelle che abbiamo sentito ipotizzare, di interventi, peraltro, cauti
sia sul versante dei contributi che
delle prestazioni (una diversa
definizione delle pensioni di
anzianità, un regime di sospensio-
riflessioni/5
l passaggio da un sistema a
ripartizione ad uno a capitalizzazione pone un primo quesito: quali interventi l’ordinamento
ci consente di adottare con gli
strumenti oggi esistenti? Il problema più semplice e più immediato è che quando si interviene
su un sistema previdenziale, l’elemento primo con il quale occorre
fare i conti sono, inevitabilmente,
i princìpi costituzionali che disciplinano la materia; infatti, non
possiamo dimenticarci che siamo
un ente privatizzato che gestisce
una forma pubblicistica di assicurazione sociale obbligatoria che
rientra di pieno diritto nella tutela
garantita dall’articolo 38 della
Costituzione.
E quindi il primo problema che ci
siamo posti è se e nell’eventualità
in che misura i princìpi costituzionali possano costituire un limite o
comunque determinare significativamente le possibili scelte
davanti a noi.
Ci siamo ovviamente imbattuti
per prima cosa nel problema, noto
a tutti dei cosiddetti diritti acquisiti, e anche qui abbiamo cercato
di fare un po' di chiarezza in una
giurisprudenza costituzionale che
risale ormai a più di 15 anni fa.
Dopo alcune pronunce iniziali, in
specie la sentenza 349 del 1985 in
cui si diceva che non era consentito al legislatore di modificare
arbitrariamente le regole in prossimità dell’avvicinarsi del traguardo della pensione, perché al
di là dei diritti occorreva tenere
conto anche delle aspettative in
fase ormai troppo avanzata, la
39
riflessioni/5
40
ne, di congelamento, di rimodulazione della perequazione automatica delle pensioni), trovino
anch’esse un limite nei princìpi
costituzionali.
Al riguardo, la giurisprudenza
costituzionale è ricca, ma qui
basta ricordare che, per quanto
riguarda la pensione di anzianità,
la Corte Costituzionale, più di una
volta, ha detto che non esiste una
garanzia costituzionale dell’evento generatore di bisogno “anzianità”, mentre esiste una garanzia
costituzionale degli eventi generatori di bisogno, “vecchiaia”,
“invalidità” e “morte” (oltre. agli
altri contemplati poi per altre
forme di assicurazioni nel sistema
dell’art. 38 della Costituzione).
E quindi, da questo punto di vista,
noi abbiamo la consapevolezza di
poter intervenire su questo tipo di
prestazioni, così come abbiamo la
consapevolezza di poter intervenire con meccanismi di rimodulazione certamente ma anche - se
necessario per esigenze finanziarie - di temporaneo congelamento
o sospensione, del meccanismo di
perequazione. Ed infatti ancora
una volta la Corte Costituzionale
ha ammonito che se anche è vero
che c’è un principio secondo cui
le prestazioni devono essere e
devono mantenersi nel tempo
“adeguate”, è altrettanto vero che
questo non significa di necessità,
automatismo nell’adeguamento e
soprattutto automatismo nell’adeguamento integrale al costo della
vita, dal momento che il legislatore ha una ampia discrezionalità di
intervento, essendogli precluso
soltanto di eliminare radicalmente
e permanentemente ogni meccanismo perequativo.
Se, quindi, fondamentalmente
limiti troppo significativi dal
punto di vista costituzionale possiamo dire che non ne esistano,
più complesso e più delicato è il
problema di verificare se esistono
limiti nell’attuale ordinamento,
derivanti dalla legge ordinaria,
visto che noi non siamo legislatori ma siamo enti privatizzati ai
quali per altro la legge (il decreto
legislativo n. 509 del 1994)
garantisce una autonomia che non
esito a definire anche normativa.
Ed infatti, quando nell’articolo 2
comma secondo si dispone che
“
La Corte Costituzionale ha detto che
non esiste una garanzia costituzionale dell’evento generatore di
bisogno “anzianità”,
mentre esiste una
garanzia per “vecchiaia”, “invalidità” e
“morte”
in atto, a mio giudizio, non significa immodificabilità della
gamma di prestazioni che l’ordinamento già contempla; il mantenimento dell’attività istituzionale
in atto riguarda innanzitutto i soggetti ai quali quella attività fino
allora per legge si era rivolta e,
significa, inoltre, mantenere gli
interventi di tutela sociale nei
confronti degli iscritti.
Del resto, se invece la legge
avesse voluto diversamente,
invece di parlare di mantenimento dell’attività in atto
avrebbe parlato di mantenimento delle prestazioni o del
regime di prestazioni in atto.
Quindi anche da questo punto
di vista a me pare che non
sarebbe impedito dal dettato
normativo del decreto 509 in
ipotesi un intervento sulla
gamma delle prestazioni sia di
tipo trasformativo, sia di tipo
sospensivo o, in ipotesi estrema, anche abolitivo della pensione di anzianità, non delle altre
pensioni perché, come ho detto,
queste hanno un regime di garanzia costituzionale.
Ma, posto che, in buona sostanza,
la nostra autonomia ci consentirebbe di intervenire su questo versante, dobbiamo ancora verificare
su quali altri versanti la nostra
autonomia ci consentirebbe di
intervenire, perché dobbiamo fare
i conti con la nota norma dell’articolo 3, 12° comma della legge
335 del 1995 che detta alcune
regole fondamentali per gli enti
previdenziali privatizzati, e in
particolare detta la regola del
principio del pro-rata. Quindi
quello che avevamo visto non
costituire un ostacolo costituzionale, cioè l’introduzione di nuove
norme anche per chi deve ancora
andare in pensione, in ordine a
quello che è l’assetto vigente e
quindi con riferimento anche
all’anzianità maturata, qui invece
”
occorre comunque realizzare l’equilibrio finanziario, è evidente
che l’equilibrio finanziario si può
realizzare evitando il rischio del
commissariamento e del successivo scioglimento, solo agendo
sulle due leve, quella relativa alla
contribuzione e quella relativa
alle prestazioni: affidare la manovra di riequilibrio soltanto a criteri di mera gestione amministrativa o contabile, evidentemente
non è possibile.
D’altro canto è anche vero che
quel decreto pone alcuni limiti su
almeno due punti, ma su questi
punti noi non interverremo: mi
riferisco alla obbligatorietà dell’iscrizione (lo ha già detto anche la
Corte Costituzionale con la sentenza 248 del ’97) ed al mantenimento dell’attività istituzionale in
atto al momento in cui l’ente è
stato privatizzato.
Qui bisogna intendersi: il mantenimento dell’attività istituzionale
nazionale e generale, la possibilità di rimodulare e/o sospendere
temporaneamente alcuni istituti,
ad esempio il meccanismo della
perequazione automatica, che
oggi viene accordata nella misura
del 100% laddove, come voi
sapete, nella assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni
sostitutive ed esclusive di essa
“
Da parte della
Cassa è stato deciso
di fare un salto di
qualità realizzando il
primo esempio, a
memoria d’uomo, di
un passaggio dalla
ripartizione alla capitalizzazione pura
sistema di capitalizzazione virtuale, come è già stato definito,
o di calcolo della pensione col
sistema contributivo prefigurato
dalla legge 335. Ma da parte
della Cassa è stato deciso –
come ha ricordato molto bene il
Prof. Cazzola all’inizio e anche
poi il Prof. Ottaviani – di fare un
salto di qualità, realizzando il
primo esempio, a memoria
d’uomo, di un passaggio dalla
ripartizione alla capitalizzazione pura, cioè all’accumulo
reale di contribuzioni, di montanti contributivi, per i quali
poi si porrebbe, come è già
stato detto, un problema di
nuove regole per i relativi
investimenti a garanzia degli
interessi degli iscritti.
Orbene, se vogliamo introdurre un sistema a capitalizzazione, cioè qualcosa di più del
sistema di calcolo contributivo previsto dalla 335, dobbiamo porci il problema se questo sia consentito dalle norme
appena ricordate.
Queste norme devono essere
lette criticamente e con intelligenza, al di là del dato testuale
che fa riferimento alla legge
335. Perché? Perché in realtà, a
base della deliberazione di
carattere generale di operare il
passaggio al sistema a capitalizzazione, esiste – ce lo dicono gli
attuari – un problema finanziario non eludibile per la tenuta
stessa del sistema e per la garanzia delle future prestazioni, conseguente all’andamento demografico in freno, nonché all’attuale regime della professione.
Se questa esigenza è reale, dobbiamo trovare tutti gli spazi di
praticabilità che la legge ci consente per ovviare a questa esigenza reale, forti del convincimento che questa esigenza è già
ben presente nel sistema legislativo sia della legge n.335 del
”
(anche degli autonomi), viene calcolata sulla base di tre fasce percentuali, in funzione di quote di
livelli di pensione (calcolate per
multipli del livello minimo del
trattamento minimo).
Il problema più rilevante che ci si
è posti, naturalmente collegato
all’innovazione più significativa,
è quello del passaggio al sistema a
capitalizzazione.
Ancora una volta, la norma,
all’articolo 3, 12° comma, ci dice
che gli enti privatizzati possono
optare per il passaggio al sistema
contributivo definito ai sensi della
presente legge. Ed il successivo
decreto n.103 del 1996, quello
relativo agli enti privatizzati
cosiddetti di seconda generazione, indica come metodo necessario quello del calcolo delle pensioni secondo il sistema contributivo di cui alla legge 335. Questi
due riferimenti sono puntualmente effettuati con riguardo al
riflessioni/5
potrebbe trovare un limite su questa indicazione molto precisa e
puntuale del principio del pro-rata
che però, ripeto, non è una indicazione costituzionale. A proposito
del principio del pro-rata, noi
abbiamo cercato di dare una lettura sistematica di quella norma:
esso è limitato alle ipotesi, espressamente previste nella norma
medesima, di determinati tipi di
interventi che presuppongono la
possibilità di distinguere una
anzianità maturata pregressa
rispetto alla data di introduzione
della modifica e un’anzianità successiva. Su questa anzianità pregressa non è possibile, secondo il
principio del pro-rata, intervenire:
per esempio, non sarebbe certamente possibile e lo abbiamo
escluso (anche perché sarebbe
stato probabilmente anche eccessivo rispetto ai fini che ci si proponeva di riequilibrio del bilancio), introdurre un sistema contributivo anche per il passato, anche
se qualche tentazione può essere
venuta, dati gli oneri pesanti che il
sistema retributivo introdotto nel
’91 comporta. Ma questo stesso
principio del pro-rata, abbiamo
pensato che non sia di impedimento, ad esempio, per procedere
alla determinazione di un parametro per la determinazione del reddito su cui calcolare la pensione
retributiva oggi e domani nella
prospettiva di riforma che vi ha
tracciato il Prof. Ottaviani.
E così, per la quota retributiva di
pensione, prevista nello schema
di riforma, abbiamo pensato ad un
sistema di determinazione del
reddito che tenga conto di un dato
medio riferito a un periodo più
ampio rispetto che all’attuale
periodo vigente di 14 su 19 anni,
o 15 su 20 a breve.
Ancora, ci è sembrato che non
contrasti con i princìpi dell’articolo 3, 12° comma, anzi direi che è
coerente alle scelte fatte sul piano
41
riflessioni/5
42
1995, sia del decreto n.509 del
1994.
La connotazione essenziale
degli enti privatizzati è, infatti,
la libertà da finanziamenti pubblici e la garanzia dell’equilibrio finanziario con le proprie
risorse: se viene meno questo
viene meno la ragione stessa di
esistere dell’ente privatizzato di
previdenza. E se questa è una
esigenza connaturale all’esistenza dell’ente, è chiaro che
essa ha tutta la sua valenza
sistematica e ci deve condurre
anche nella interpretazione delle
norme a realizzare e rendere
praticabile questo obiettivo.
Anche perché, a mio giudizio, è
ben diversa la situazione dell’assicurazione generale obbligatoria, peraltro di lavoratori
subordinati, in cui il passaggio
ad un sistema di capitalizzazione reale avrebbe comportato
una doppia imposizione sulle
attuali generazioni che riferita
all’elevato numero di iscritti
alla gestione, evidentemente
avrebbe messo in crisi l’intero
sistema, soprattutto in tempi in
cui occorre fare i conti anche
con la precarizzazione e flessibilizzazione dei rapporti di
lavoro.
In altri termini, da questo punto
di vista, c’era una ragione perché per la legge n.335 del 1995
il passaggio alla capitalizzazione o al sistema contributivo
fosse solo virtuale, anche perché l’assicurazione generale
obbligatoria realizza una solidarietà di carattere generale.
Il nostro sistema invece, è
improntato ad una solidarietà
più ristretta, di categoria, si ispira al principio dell’autosufficienza, ha per destinatari dei
professionisti, cioè lavoratori
autonomi, e perciò non implica
oneri a carico delle imprese,
laddove un passaggio alla capi-
talizzazione reale nel sistema
dell’assicurazione obbligatoria
significa non solo duplicazione
di contribuzione per gli attivi,
(cioè, per i pensionandi), ma
anche duplicazione di contribuzione per le imprese. Intendo
con ciò dire che la nostra situazione è inusualmente diversa da
quella dell’e.g.o. e perciò che
non può non venire in considerazione l’insegnamento che ci
viene ancora una volta dalla
Corte Costituzionale.
E cioè che in un sistema caratterizzato da pluralità dei regimi
previdenziali, pluralità, peraltro,
conforme a Costituzione, non è
consentita né possibile la comparazione fra sistemi, al punto
che ci si può chiedere, anzi ci si
deve chiedere, se l’uguaglianza
di trattamento per sistemi diversi, come l’assicurazione generale obbligatoria e la previdenza
di un ordine professionale di un
ente privatizzato non si ponga in
contrasto con l’articolo 3 della
Costituzione che richiede discipline diseguali per situazioni
diseguali. In definitiva, gli spazi
di interpretazione delle norme
vigenti, nella direzione da noi
auspicata, non mancano, però,
dobbiamo essere consapevoli
che, essendo anche i primi che
si avventurano su questa strada,
non sarà facile raggiungere l’obiettivo e, quindi, dovremo mettere tutto il nostro impegno e
soprattutto tutta la nostra capacità di convincimento con argomenti, che poi non sono soltanto argomenti formali, come ho
cercato di spiegare, ma anche
argomenti sostanziali, perché è
nella forza delle cose che o si
adotta il sistema di capitalizzazione o non si garantisce la
sopravvivenza del sistema.
Siamo, quindi, alla vigilia di
uno sforzo non indifferente,
soprattutto sotto quest’ultimo
profilo della introduzione di un
sistema a capitalizzazione, ma
io sono fiducioso, così come i
miei colleghi che mi hanno preceduto, nella riuscita del tentativo e comunque sono anche fiducioso che una volta che si dia
l’esempio, in qualche modo altri
poi verranno dietro facendoci
buona compagnia
Silvano Piccininno
Chi è...
Silvano Piccininno
Silvano Piccininno, romano, 63 anni, magistrato dal 1974
presso la pretura di Milano, di Roma e presso il tribunale di
Roma. Responsabile del Servizio Problemi giuridici del
Lavoro della Confindustria (1993-1998). Avvocato cassazionista. Incaricato dell’insegnamento di diritto alla sicurezza
sociale presso la Scuola di Perfezionamento e
Specializzazione in diritto del lavoro dell’Università degli
Studi di Chieti. Incaricato dell’insegnamento di diritto alla
sicurezza sociale, tutela previdenziale del reddito presso la
Scuola di Perfezionamento e Specializzazione dell’Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”. Docente L.U.M.S.A.
Componente della Commissione istituita presso il Ministero
del lavoro per la riforma della previdenza sociale.
IL COMITATO DEI DELEGATI DELL’ASSOCIAZIONE
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA
A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI
● Vista la legge 9 febbraio 1963, n. 160;
● Vista la legge 30 dicembre 1991, n. 414;
● Visto lo Statuto dell’Associazione ed il
Regolamento di Esecuzione deliberati nella riunione del 26 novembre 1994 ed approvati con D.I.
dell’11 luglio 1995 e successive modificazioni;
● Visto l’art. 2 comma 2 del D. Lgs. 30 giugno
1994, n. 509, che impone alle associazioni o fondazioni che gestiscono forme di assicurazione
obbligatoria, l’adozione dei provvedimenti necessari per assicurare l’equilibrio del bilancio in coerenza
con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da
redigersi periodicamente;
● Visto l’art. 3 comma 12 della legge 8 agosto
1995, n. 335, che, allo scopo di assicurare tale
equilibrio, determina, pur nel rispetto dell’autonomia degli enti, in quindici anni l’arco temporale rilevante ai fini della valutazione della stabilità della
gestione;
● Visto, ancora, l’art. 3 comma 12 della legge 8
agosto 1995, n. 335 laddove dispone che in esito
alle risultanze del bilancio tecnico quindicennale, gli
enti privatizzati, gestori di forme di previdenza
obbligatoria, adottino, al fine di assicurare l’equilibrio di bilancio “provvedimenti di variazione delle
aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto
del principio del pro-rata in relazione alle anzianità
già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”;
● Presa visione del bilancio tecnico, elaborato sulla
base di previsioni di durata quindicennale, nonché
delle connesse proiezioni economiche di lungo
periodo (40 anni) e delle relative risultanze in ordine al futuro equilibrio finanziario della gestione;
● Esaminate, altresì, le previsioni demografiche
elaborate dagli esperti all’uopo incaricati sia in relazione alla popolazione degli attivi in generale sia
della specifica popolazione dei futuri appartenenti
alla categoria;
● Preso atto che l’andamento negativo delle previsioni demografiche è destinato ad alterare il rapporto, attualmente esistente, tra attivi e pensionati,
con i conseguenti riflessi negativi, sull’equilibrio
finanziario della gestione a ripartizione oggi esistente;
● Viste le valutazioni al riguardo espresse dalla
Commissione Area Contributiva e Previdenza e dai
Rappresentanti regionali (ex art. 30 dello Statuto)
circa la conseguente necessità di procedere alla
revisione delle norme statutarie e regolamentari
attualmente vigenti in materia di previdenza;
● Viste le proposte del Consiglio di Amministrazione,
conformi al programma sottoposto nel novembre
2000 al Comitato dei Delegati in sede elettorale, in
particolare per quanto concerne la necessità, ai
sensi dell’art. 3, comma 12 della legge 8 agosto
1995 n. 335, di porre termine al sistema retributivo
a ripartizione oggi vigente per passare ad un sistema contributivo a capitalizzazione, quale solo sistema idoneo a garantire certezza nelle prestazioni
future e, soprattutto, a realizzare una diversa e più
equa solidarietà tra le generazioni che tenga conto
del nuovo rapporto tra attivi e pensionati conseguente alla previsione, operata dagli esperti, della
futura riduzione degli iscritti;
● Ritenuto che, in attesa di procedere alla riforma
del sistema previdenziale, sia necessario adottare
alcuni interventi propedeutici al passaggio al nuovo
sistema di gestione finanziaria;
● Ritenuto che, in attuazione dell’art. 3, comma 12,
della legge 8 agosto 1995 n. 335 sia necessario
procedere, nell’immediato, sul versante delle uscite
per prestazioni;
● Visto, altresì, l’art. 49 del Regolamento di
Esecuzione che disciplina le modalità di erogazione
e di calcolo delle pensioni erogate dalla Cassa,
individuando nella media dei 14 redditi professionali annuali più elevati fruiti negli ultimi diciannove
anni, il reddito da porre attualmente a base del calcolo della pensione;
● Visto l’art. 42 del Regolamento di Esecuzione
che disciplina l’istituto della rivalutazione degli
importi delle pensioni;
● Ritenuto necessario - in attesa della riforma del
sistema previdenziale della Cassa, finalizzata all’adozione del regime contributivo – procedere, nell’immediato e con carattere di provvisorietà, sia nei
riguardi degli attivi all’ampliamento della base di
calcolo delle prestazioni, anche in modo da tener
conto, a fini di maggior equità, della necessità di
ridurre l’incidenza sull’ammontare delle pensioni
retributive, dell’anzianità relativa al periodo dal 1
gennaio 1977 al 31 dicembre 1991, assistito da
contribuzione convenzionale, sia nei riguardi degli
attuali pensionati alla temporanea sospensione
della rivalutazione degli importi pensionistici eccedenti il trattamento minimo;
● Ritenuto che tale ampliamento dovrà essere
rimodulato per essere uniformato alla disciplina che
verrà definitivamente adottata in sede di riforma del
documenti
nell’assemblea straordinaria del 22 giugno 2002 ha approvato con voto favorevole
di 156 delegati presenti (nessuno contrario e nessuno astenuto) la seguente deliberazione
43
sistema, per il computo della pensione, o della
quota di pensione, che sarà determinata con il
sistema retributivo in applicazione del principio legislativo del pro-rata;
● Considerato in particolare che all’ampliamento
del periodo di riferimento previsto dall’art. 49 del
Regolamento non è di ostacolo il combinato disposto dell’art. 1 comma 18 e dell’articolo 3 comma 12
della Legge 335/95;
● Ritenuto che le misure sopradette non risultano,
peraltro, sufficienti a realizzare il mantenimento nell’immediato dell’equilibrio della gestione e che, per
questo, è necessario anche procedere alla temporanea sospensione delle norme vigenti in tema di
pensioni di anzianità, stante l’elevato numero di
potenziali richiedenti l’accesso alla medesima;
● Visto in particolare l’art. 50 del Regolamento di
Esecuzione che disciplina l’accesso alla pensione
di anzianità nonché i criteri per il relativo calcolo;
● Ritenuto necessario procedere alla temporanea sospensione dell’applicazione del su citato
articolo 50;
DELIBERA
In attesa della più generale ed articolata riforma del
sistema previdenziale della Cassa, basata sul passaggio dall’attuale sistema retributivo a ripartizione
ad un sistema contributivo a capitalizzazione:
1. Di apportare all’art. 42 la seguente modifica:
Il comma 1 viene così integrato: “A decorrere dal 1°
gennaio 2003 e comunque non oltre il 31.12.2004,
la rivalutazione degli importi delle pensioni erogate
trova applicazione limitatamente al trattamento
minimo. In sede di approvazione della riforma si
procederà alla revisione della disciplina attualmente vigente in tema di perequazione automatica”.
documenti
2. Di apportare le seguenti modificazioni ed integrazioni all’art. 49 del Regolamento di Esecuzione
dell’Associazione.
I commi 2, 4 e 11 dell’art. 49 del vigente
Regolamento sono così modificati:
44
● comma 2: “Fino al 31.12.2002 per le pensioni il
cui diritto sia maturato successivamente alla data
del 22.06.2002 la misura annua delle pensioni di
vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media di
tutti i redditi professionali annuali riferita sia ai redditi dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), sia ai redditi
convenzionali relativi al periodo dal 1977 al 1991,
fatti salvi i benefici di cui all’art. 31 della Legge
414/1991. La relativa misura non potrà comunque
essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione delle modalità di calcolo previgenti.
Le pensioni così liquidate saranno successivamente riliquidate, con effetto dalla data delle rispettive
decorrenze, in base ai criteri, ove più favorevoli,
che verranno definitivamente adottati in sede di
riforma del sistema, fermo restando che, comunque, anche l’importo definitivo riliquidato non potrà
essere inferiore alla predetta misura dell’80%”.
● Il comma 4, dell’articolo 49, è così sostituito:
“La misura annua minima della pensione non può
essere inferiore a Euro 9.000,00”.
Comma 11: E’ abrogato
3. Di integrare l’articolo 50 (pensione di anzianità)
con il seguente comma aggiuntivo:
“A decorrere dal 22 giugno 2002 e fino al 31 dicembre 2004 è sospesa l’applicazione delle disposizioni contenute nei commi precedenti.
Tale sospensione non opera nei riguardi degli iscritti che avendo già conseguito i requisiti per il relativo diritto lo abbiano esercitato mediante presentazione in data anteriore al 22.06.2002 della prescritta domanda, fermo restando che le relative prestazioni saranno provvisoriamente liquidate e successivamente riliquidate nella misura di cui all’art. 49,
ove la cancellazione dall’albo non sia intervenuta
prima del 22 giugno 2002”;
- di inviare la presente deliberazione, in ragione di
competenza, al Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 31
dello Statuto della Cassa.
IL COMITATO DEI DELEGATI DÀ MANDATO
AL
CONSIGLIO
DI
AMMINISTRAZIONE
di predisporre entro il corrente anno il progetto di
riforma strutturale secondo le seguenti linee guida,
progetto che dovrà essere rimesso ai Delegati
almeno 30 giorni prima della data fissata per la
relativa discussione:
● passaggio dal sistema di finanziamento a ripartizione a sistema di finanziamento a capitalizzazione;
● conseguente adozione del metodo di calcolo
contributivo, con rispetto del principio del pro-rata
previsto all’articolo 3, comma 12, della L. 335/95;
● rimodulazione delle aliquote contributive (art. 36
del Regolamento);
● disciplina definitiva della base di calcolo della
quota di pensione relativa all’anzianità pregressa
da valutare con il sistema retributivo;
● modifiche delle norme statutarie e regolamentari
in termini conseguenti e coerenti con le precedenti
linee, introducendo ogni eventuale correttivo
necessario a garantire l’equilibrio del Fondo.
Venere e Amore
Michelangelo
e la nuova bellezza ideale
• di Elena Marotta
L
a mostra “Venere e Amore
Michelangelo e la nuova
bellezza ideale”, allestita ai
piedi del celeberrimo David, nella
Galleria dell’Accademia di
Firenze (fino al 3 novembre prossimo), mette in luce, per la prima
volta in assoluto, il nuovo ideale
di bellezza femminile espresso da
Michelangelo. L’iniziativa è promossa dal Ministero per i Beni e
le attività culturali, dalla
Soprintendenza speciale per il
Polo Museale fiorentino, dalla
Galleria dell'Accademia di
Firenze, dall'Opificio delle Pietre
Dure, da Villa I Tatti: The Harvard
University Center for Italian
Renaissance Studies, da Casa
Buonarroti e da Firenze Musei,
l'esposizione è curata da Franca
Falletti e Jonathan Katz Nelson,
affiancati da un prestigioso comitato scientifico internazionale.
Aprono la mostra alcuni studi di
Michelangelo sul tema della dea
dell’amore: saranno riuniti quattro
schizzi di una Venere antica, provenienti dal British Museum,
facenti parte in origine di un unico
foglio, posti a confronto con un
bronzetto antico e con un bozzetto in terracotta di Casa
Buonarroti, proposti come opera
di Michelangelo stesso.
La mostra illustra poi la collaborazione intercorsa nel 1532-33 fra
tre grandi artisti - Michelangelo,
Pontormo e Bronzino – e il loro
ragionieri & cultura
Ponendo al centro la magnifica opera Venere e cupido (Firenze, Galleria
dell’Accademia) dipinta da Pontormo su disegno di Michelangelo, la mostra sviluppa
il tema del nudo femminile e dell’amore nell’opera del Buonarroti e il dibattito che su
questi argomenti si sviluppò a Firenze fra artisti e letterati.
45
ragionieri & cultura
46
mecenate Bartolomeo Bettini che
commissionò loro la decorazione
della sua camera nel palazzo di
famiglia a Firenze. Per ornarne la
parete Michelangelo fornì un
disegno a grandezza naturale della
Venere e cupido che Pontormo
realizzò su tavola. Questo magnifico dipinto viene presentato ora
al termine di un accurato restauro.
Era prevista inoltre, nelle lunette,
la raffigurazione dei poeti toscani
che avevano cantato d’amore.
Vasari ricorda che il Bronzino
realizzò i ritratti di Dante,
Petrarca e Boccaccio, finora ritenuti persi. Sarà qui presentato al
pubblico un dipinto inedito a
forma di lunetta che raffigura
Dante, probabilmente identificabile come l’originale del
Bronzino. Venere non arrivò
infatti mai in casa Bettini, perché
il quadro appena terminato fu
confiscato dai Medici; in occasione di questa mostra sarà finalmente riunita con Dante, realizzando così, dopo cinque secoli, il
progetto
di
Michelangelo,
Pontormo e Bronzino.
Si esporranno quindi due disegni
preparatori,
quello
di
Michelangelo per la Venere e
cupido (Londra, British Museum)
e quello di Bronzino per la Testa
di Dante (Monaco, Staatliche
Graphische Sammlung), insieme
a un importante dipinto del
Vasari, Sei Poeti Toscani,
(Minneapolis, Institute of Arts)
che riprende i ritratti dei poeti,
tutte opere mai precedentemente
esposte a Firenze.
La mostra indaga anche su altre
tipologie di nudo femminile
disteso che Michelangelo ha sviluppato negli anni immediatamente precedenti alla creazione
della Venere e Cupido: la Leda, la
Notte e l’Aurora. Per illustrare
questo nuovo ideale di bellezza
saranno esposte due opere di gran
fascino e raramente viste: il dise-
gno a grandezza naturale della
Leda del Rosso Fiorentino
(Londra, Royal Academy) e la
Notte di Michele di Ridolfo del
Ghirlandaio (Roma, Galleria
Colonna), entrambe ispirate ai
famosi prototipi di Michelangelo.
In questa sezione la splendida tela
Venere e Cupido di Tiziano,
risposta veneziana all'ideale femminile di Michelangelo.
Poeti e letterati dell’epoca lodarono la bellezza della Venere “disegnata da Michelangelo e colorita
da Pontormo”, mentre numerosi
artisti vi si ispirarono: fra questi
la mostra espone una smagliante
tavola con Venere, amore e satiro
del Bronzino, anch’essa della
Galleria Colonna, una replica
coeva del disegno a
grandezza naturale
di
Michelan
gelo (Napoli,
Museo
di
Capodimonte)
ed opere di
Pontormo e di
Allori provenienti
dalla
Galleria degli Uffizi
e dal Louvre.
Quattro nudi femminili, che in passato erano stati
rivestiti pudicamente, grazie
ai
restauri
eseguiti
per questa
esposizione,
torneranno a
mostrarsi
come sono
nati dalle mani
degli artisti. Questi
interventi riguardano la
Venere di Michelangelo
e Pontormo dell’Acca
demia, una replica
inedita del Vasari di
proprietà
delle
Gallerie Fiorentine e le due tavole della Galleria Colonna.
In appendice alla mostra, una
sezione dedicata allo studio, attraverso le indagini diagnostiche, di
cinque delle versioni di Venere e
Cupido conosciute, sezione curata dall’Opificio delle Pietre Dure
e Laboratori di Restauro di
Firenze.
La possibilità di studiare il disegno sottostante dei quattro dei
dipinti della serie (quello della
Galleria dell’Accademia; quello
della Galleria Colonna di Roma;
quello del Museo di Capodimonte
di Napoli; quello in deposito presso la Scuola Normale Superiore
di Pisa), attraverso la sofisticata
tecnica dello scanner a infrarosso
messo
a
punto
dall’Istituto Nazionale di
Ottica Applicata di
Firenze, ha consentito di
effettuare dei paragoni
metrici tra i vari dipinti.
Le misurazioni sono realmente comparabili grazie
al fatto che la strumentazione produce immagini
esenti da deformazione
ottica.
Se ne ricava una serie di
informazioni interessanti circa l’effettiva
derivazione da un
originale comune
(il perduto cartone di Michelan
gelo), cui i
diversi artisti
responsabili dei
dipinti, si attennero con quasi
maniacale precisione.
@
lettere ettere
alla Cassa
lettere alla Cass
alla
Cassa
L
L’attività di controllo
Da più parti vengono chieste notizie in merito ai controlli sulle pensioni di anzianità, relativamente a quei motivi di sopravvenuta incompatibilità che possano portare alla sospensione della prestazione.
Come è noto l’Associazione, pur essendo un Ente privato, svolge
un’attività di natura pubblicistica; ne consegue, pertanto, che i controlli, in generale e non soltanto sui pensionati di anzianità, vengono
svolti sulla base di precise disposizioni di legge.
Infatti, gli artt. 44 e 46 del R.E. (ex artt. 20 e 22 Legge n. 414/91) prevedono specifico diritto dell’Associazione ad ottenere “in ogni momento
dai competenti uffici delle imposte dirette e dell’I.V.A. le informazioni
relative alle dichiarazioni ed agli accertamenti definitivi concernenti i
ragionieri e periti commerciali nonché i pensionati della categoria”.
Tali verifiche, quindi, si concretizzano in controlli incrociati fra i dati
in possesso dell’Associazione e quelli degli altri soggetti istituzionali
(Uffici I.V.A., Agenzia delle Entrate, ecc.).
Inoltre, le procedure di controllo vengono attivate anche mediante
l’invio di questionari per conoscere elementi rilevanti in ordine alla
iscrizione ed alla contribuzione.
Va detto, infine, che analoghi controlli vengono effettuati attraverso
visure presso la Camera di Commercio e presso il Registro dei
Revisori Contabili.
@
Egregio Direttore,
sono un iscritto alla Cassa ed al
Collegio di Lucca dal 1979 ed ho 64
anni di età pertanto non ho diritto a
pensione al raggiungimento dei 65
anni non avendo a tale data maturato
i 30 anni di contributi.
Potrei al 31/12/2003 cancellarmi dall’albo ed aspettare il raggiungimento
dei 70 anni di età per richiedere la
pensione
avendo
maturato
al
31/12/2003 25 anni di contributi?
Qualora decidessi di richiedere il rimborso dei contributi versati dopo la
cancellazione dall’albo posso chiederli in qualsiasi momento oppure
tale diritto si prescrive nel tempo?
Lettera firmata
Egregio ragioniere,
La risposta all’ipotesi prospettata, con
riferimento alla maturazione dei requisiti
47
lettere alla Cassa lettere alla Cass
(età anagrafica settanta anni ed anzianità contributiva di 25 anni maturata al
31.12.2003) non può che essere affermativa. Con riferimento invece alla restituzione dei contributi, tutti gli iscritti che
al compimento del sessantacinquesimo
anno di età cessino o siano cessati dall’iscrizione all’Associazione senza aver
maturato i requisiti assicurativi per il diritto a pensione, possono ottenere la restituzione dei contributi soggettivi versati;
la restituzione spetta anche ai superstiti
dell’iscritto e tale diritto non si prescrive
nel tempo.
Egregio ragioniere,
l’art. 50 del Regolamento di Esecuzione
dispone che la pensione di anzianità è corrisposta con quaranta anni di effettiva iscrizione e contribuzione e comunque con un
minimo di 58 anni di età e 35 di iscrizione
e contribuzione. Si fa presente che nella
riunione del Comitato dei Delegati del 22
giugno u.s., è stato deliberato di sospendere tale tipo di prestazione fino al
31.12.2004. Riguardo l’onere di ricongiunzione (punto 5 della Sua nota), si conferma
la deducibilità dal reddito imponibile, sulla
base delle norme del D.L. 47/2000.
Gentile Direttore,
sono iscritto alla Cassa Nazionale di
Previdenza dal 31/01/1989 con matricola n. ..., avendo ricongiunto 1202
settimane, pari a 23 anni 1 mese 14
giorno, in ottemperanza alla legge n.
45 del 05/03/1990, Le pone alcuni quesiti: 1) in che anno e mese posso inoltrare domanda di pensione di anzianità? 2) da quando decorrà la pensione? 3) a quanto ammonterà la pensione considerando per il futuro un reddito medio di lit. 150.000.000 annui?
4) da quale data decorrerà la cessazione dell’attività e la cancellazione
dall’Albo professionale? 5) dal 2001,
così come prevede il D.L. 47 del
18/02/2000 art. 1 e 19, posso detrarre,
come onere deducibile, l’importo
complessivo dei contributi che sto
versando a seguito della ricongiunzione?
Lettera firmata
Gentile Direttore,
Sono pensionato dal 01/06/1997 ma
ho proseguito l’attività professionale,
versando i relativi contributi. Il
25/09/1992 richiesi la liquidazione
della pensione versando un contributo di L. 114.420.721, ricevendo la riliquidazione. Il 24/11/1995 presentai la
domanda di ricongiunzione di periodi
assicurativi da me pagati all’INPS dal
1945 al 1947. Da allora non ho saputo
più nulla. Gradirei fare qualche cosa;
quale potrebbe essere il costo della
ricongiunzione e quali benefici me ne
potrebbero derivare.
Lettera firmata
@
48
Egregio ragioniere,
la risposta alla Sua domanda non può
che essere negativa in quanto l’istituto
della ricongiunzione, così come disciplinato nella L. 45/90, è previsto in favore
degli iscritti al Fondo.
@
a lettere alla Cassa lettere alla Ca
Egregio Direttore,
Sono ragioniere nato il 16/07/1984 ed
iscritto alla Cassa dal 15/11/1978. Al
compimento del 65° anno di età avrò
maturato 26 anni ed 8 mesi di iscrizione alla Cassa e quindi non dovrei
avere diritto all’ottenimento della
pensione. Ho , credo, due alternative:
1) chiedere il raggiungimento nel
Fondo della C.N.P.R. di periodi contribuzione versati all’Inps. 2) chiedere il riscatto della laurea in giurisprudenza.
È possibile sapere quale “strada” sia
preferibile in modo da consentirmi
per tempo di regolarizzare la mia
posizione?
Lettera firmata
Egregio ragioniere,
la strada della ricongiunzione è sicuramente quella che le consentirebbe di
raggiungere i requisiti di iscrizione e
contribuzione minimi all’età di 65 anni. Il
riscatto della laurea in giurisprudenza
non è consentito in quanto la laurea non
è stata necessaria ai fini della iscrizione
all’Albo professionale
Gentile Direttore,
alcuni colleghi mi riferiscono che ad
oggi la convenzione per mutui agevolati tra la cassa e la cariplo (ora bci
intesa) non e' stata rinnovata.
avendo nel 2001 gia' stipulato in convenzione un contratto di mutuo con
la cariplo, chiedo cortesemente di
sapere (se confermata la notizia di
cui sopra) che fine fara' ovvero se in
caso di mancato rinnovo della convenzione, gli accordi "agevolati"
resteranno in vigore per i contratti
esistenti.
Lettera firmata
Egregio ragioniere,
i contratti di mutuo stipulati precedentemente alla cessazione della convenzione con Banca Intesa, resteranno in
vigore.
Gentile Direttore,
sono un ragioniere commercialista
iscritto alla Cassa dal 15/07/1986, ho
scoperto che potrei riscattare l'anno
di militare effettuato da 25/09/1981
al 24/09/1982. Ho effettuato la pratica
nel biennio 01/11/1982 - 31/10/1984.
Sono stato dipendente dal 01/01/1985
al 30/06/1986.
Desiderei gentilmente sapere se:
- per il riscatto del servizio militare
sono dovuti contributi e se si per
quale importo?
- per il riscatto del periodo di pratica
sono dovuti contributi e se si per
quale importo?
Lettera firmata
Egregio ragioniere,
è possibile riscattare sia l’anno di militare
che il periodo di praticantato. In entrambi
i casi si calcola un “contributo” a suo carico. L’Ufficio Riscatti dell’Associazione è a
Sua completa disposizione per effettuare
i calcoli suddetti.
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lettere alla Cassa lettere alla Cass
Egregio Direttore,
sono un iscritto alla Cassa di
Previdenza dei Ragionieri ed ho ricevuto il M.AV. con scadenza 10 settembre 2002. Premetto che non ho
ancora adempiuto al versamento per
motivi personali. Rispetto all’anno
passato ho però subito un forte
decremento sia del reddito che del
volume di affari I.V.A.
Vorrei che mi si confermasse quanto
mi è stato detto per telefono da un
gentile dipendente della nostra
Cassa. Sul sito internet, ho potuto
constatarlo personalmente, è presente un programma di calcolo della
contribuzione annua.
L’operatore con i dati che ho dichiarato nel modello A19/2002 ha determinato l’importo del contributo
annuo che è risultato inferiore al
M.AV. di cui sopra. Mi è stato detto di
non pagare e di inviare, anche via
fax, una richiesta per una esatta
determinazione del dovuto che mi
verrà addebitato direttamente nel
M.AV. con scadenza dicembre dell’anno in corso. Ho ricevuto una
esatta indicazione? Oppure devo
intanto pagare il M.AV. e poi chiedere
il rimborso dell’importo eccedente?
Lettera firmata
fessionale e/o del volume di affari I.V.A.
Per questo motivo è stato predisposto
sul sito della Cassa, www.cassaragionieri.it, un programma facilmente utilizzabile dagli iscritti per controllare l’ammontare della contribuzione annuale.
Per lo stesso motivo è stata predisposta
la procedura descritta per telefono che
permette il discarico presso la Banca
incaricata della riscossione dei contributi, dell’importo “imputato” ad ogni
iscritto, affinché l’esatto dovuto venga
inviato con il M.AV. di dicembre, che
non è calcolato come acconto sui dati
reddituali dell’anno precedente bensì
come effettivo dovuto, sui dati dichiarati nel modello A19 dell’anno in corso.
@
Gentile iscritto,
l’indicazione ricevuta è corretta. Siamo
consapevoli che un certo numero di
iscritti, anche se esiguo non per questo
meno importante di tutti gli altri, possono subire a distanza di un anno forti
decrementi nell’importo del reddito pro-
50
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