Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002 Sped. abb. post.
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Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002 Sped. abb. post.
RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI Periodico - Anno IX - n. 7-8/2002 Sped. abb. post. - comma 20, lett. b, art. 2 - L. 23/12/1996 - n. 662 Fil. Bologna Riforma del sistema previdenziale Da dove siamo partiti di Michele Stefano Busi L’editoriale di Luciano Savino 6 7 L’azione preventiva della Cassa Ragionieri 11 di Giuliano Cazzola Avviata la nuova riforma della Cassa Verso una nuova frontiera di Paoo Salvadori 4 di Gianni Sarrocco 9 15 Una riforma attesa da tempo di Massimo Lusuriello 37 Gli aspetti giuridici della rifoma previdenziale di Silvano Piccininno 17 39 In copertina “Sei Poeti Toscani” del Vasari Delibera comitato delegati 43 Venere e Amore di Elena Marotta 45 47 Lettere alla Cassa 5 L’EDITORIALE RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI Via Pinciana, 35 - 00198 Roma - tel. 06 84 46 71 www.ragionieriprevidenza.it Direttore Editoriale LUCIANO SAVINO Direttore Responsabile GIOVANNI LUCIANELLI Comitato di Direzione GIUSEPPE AMBROSECCHIA, MICHELE STEFANO BUSI, VITO FONTANA, GIULIO GATTO, SERGIO MARIO GHISONI, RAFFAELE GIGLIO, LUIGI IELO, MAURO LUCAFERRI, PAOLO SALTARELLI, PAOLO SALVADORI, CONCETTA FERRARI, ROLANDO CHIOCCHINI, MARCELLO DE RENZI, GIULIANO FERRARA, ANTONINO MAGGI, Commissione Stampa RAFFAELE GIGLIO GIUSEPPE AMBROSECCHIA, VITO FONTANA Coordinamento Organizzativo ALDO URBINI Coordinamento di Redazione DANIELA MARIA ANTONIANI Segretario di Redazione EMILIANO PAOLINI Hanno collaborato GIANNI SARROCCO, GIULIANO CAZZOLA, MASSIMO LUSURIELLO, SILVANO PICCININNO, ELENA MAROTTA, MARIALUISA CEPRINI Progetto Grafico e Impaginazione DIALOGOS S.R.L. - ALESSANDRO PENNA editoriale Stampa BETAGRAF spa - Bologna Realizzazione Editoriale ITALPRESS servizi per la comunicazione Via G. 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Ed i prossimi mesi, saranno altrettanto importanti, poiché permetteranno alla Cassa ed ai suoi amministratori di dialogare ed interagire con gli associati in ogni parte d’Italia. L’intero Consiglio di Amministrazione, infatti - sulla base dei lavori che continuerà a svolgere l’apposita Commissione Previdenza, con la diretta assistenza oltre che della struttura, di qualificati esperti e professionisti - si farà carico di informare esaurientemente e con tempestività i Collegi, coinvolgendo il maggior numero possibile di colleghi, in ordine alle prospettate ipotesi di riforma al sistema pensionistico, adottate dalla C.N.P.R. ed unanimemente approvate dal Comitato dei Delegati, nel corso dell’ultima riunione di giugno. Desidero, pertanto, rivendicare con orgoglio e soddisfazione, come da più parti siano stati rivolti inattesi riconoscimenti ed attestati di stima all’operato di un ente, quale il nostro si configura, che non ha inteso crogiolarsi su un presente tuttora più che positivo e favorevole, ma prepararsi ad un futuro incerto, le cui insidie, se non affrontate tempestivamente, potrebbero rappresentare più di un rischio per i pensionati di domani. Rischi, i cui costi non sarebbe né giusto né equo far pagare interamente alle nuove generazioni. Quel che mi preme ribadire ancora una volta, per fugare dubbi, perplessità od equivoci, è che il problema della nostra Cassa (e credo di tutte o quasi tutte le Casse) non attiene ai “conti”, ma al recupero della sostanziale equità di lungo periodo fra le generazioni. Ed anche per questo, desidero ringraziare tutti quegli iscritti “meno giovani” che, ammirevolmente, con spirito solidaristico e lungimiranza “paterna” non hanno voluto far prevalere il proprio… vantaggio generazionale, ma con grande senso di responsabilità, hanno compreso e condiviso l’utilità di quanto poi deliberato. Se prevenire, quindi, è meglio che curare, crediamo di aver elaborato, tutti insieme, un progetto di riforma previdenziale ad efficacia “preventiva”, che assicurerà un equilibrio generale di lunga durata e, soprattutto, la certezza di prestazioni dignitose. Prevedere, infatti, non basta. E’ anche indispensabile provvedere! Luciano Savino Riforma del sistema previdenziale • di Michele Stefano Busi* H o avuto (ed ho tuttora) l’onore e l’onere di presiedere la Commissione Consiliare Area Contributi e Previdenza (della quale fanno parte i Consiglieri Ielo e Saltarelli ed alla quale è stata assicurata l’assidua presenza del Presidente Savino e del Vice Presidente Salvadori), insediata dal Consiglio di Amministrazione con il compito, tra gli altri, di impostare e fornire al Consiglio medesimo, prima ed al Comitato dei Delegati, poi, ogni utile elemento per le successive decisioni in materia di riforma previdenziale. Sento il dovere, pertanto – in occasione dello “Speciale Previdenza” che la nostra rivista ha inteso dedicare al problema – di richiamare, sia pure brevemente, i passaggi più significativi che hanno caratterizzato il “tratto di strada” fin qui percorso. LA PREMESSA Nel dicembre 2000 la categoria, chiamata al rinnovo degli Organi della Cassa, accordava il proprio consenso alla “Lista Rinnovamento nella Continuità” il cui programma elettorale conteneva, tra gli obiettivi più significativi, quello relativo alla Riforma Previdenziale con il “passaggio dall’attuale sistema a ripartizione a quello della contri- buzione/capitalizzazione” precisando che detta riforma “è auspicata da tutti gli economisti e deve essere perseguita in una fase di risorse finanziarie abbondanti, non quando il sopravvenire di fatti patologici la renda necessaria ed inevitabilmente dolorosa”. IL METODO SEGUITO Nel luglio 2001, a sei mesi dall’insediamento, il Consiglio di Amministrazione, nel commissionare la redazione triennale del Bilancio Tecnico a 15 anni, così come prescritto dalla legge, riteneva di ampliare l’incarico – peraltro in analogia a decisioni analoghe di altre Casse e su sollecitazione della Commissione Bicamerale recepita dai Ministeri Vigilanti – affidando ad altro Attuario anche la redazione del Bilancio Tecnico a 40 anni. Lo stesso Consiglio di Amministrazione, in ragione dell’impegno assunto con la categoria, affidava alla Commissione consiliare “Area contributiva e Previdenza” il compito di procedere ai necessari approfondimenti sulla base delle elaborazioni via via prodotte dagli Attuari sulle ipotesi di riforma. Intanto, il Comitato dei Delegati del novembre 2001, formulava specifica sollecitazione al Consiglio di Amministrazione perché si procedesse alla Riforma Previdenziale: un gruppo di Delegati si asteneva dalla votazione del Bilancio di Previsione 2002, causa la mancata indicazione della data del 30.06.2002, quale termine entro il quale varare la Riforma. La Commissione consiliare ed il Consiglio di Amministrazione procedevano quindi nei lavori, acquisendo i primi risultati sia giuridici che tecnico-attuariali e convenivano, peraltro, sulla opportunità di fornire ogni utile informazione nei vari incontri programmati con i Rappresentanti Regionali, delegati alla funzione di cui all’art. 30 dello Statuto (trasparenza) e loro tramite ai Delegati ed agli Iscritti. LE PROBLEMATICHE EMERSE Al di là dei dati tecnici, facenti capo alle elaborazioni statisticoattuariali, venivano esaminati i problemi “strutturali” comuni ad altre Casse se non anche al mondo della previdenza in generale, quali: • l’andamento demografico; • la “flessibilità” del mercato del lavoro; • le nuove dimensioni del “Welfare”; e specifici della categoria, quali: • la riforma dell’ordinamento professionale del 1992; • la riforma dei cicli universitari; • la riforma della previdenza dei Ragionieri ex lege 414/91; • il Dlgs 509/94 di privatizza- riflessioni/1 Da dove siamo partiti 7 riflessioni/1 8 zione; • la L. 335/1995 (art. 3, co. 12); • la “mini-riforma” del 1997/1998; e più in particolare • il reddito medio dei contribuenti (40.000 Euro); • la contribuzione media (3.600 Euro); • la elevata percentuale (oltre il 40%) di contribuenti al minimo; • il crescente numero delle prestazioni (3604 di cui 1452 ai superstiti); • il rapporto contributi (tutti) prestazioni (tutte) intorno al 60%; • il rapporto iscritti pensionati (decrescente, ancorchè su base 9/1); • l’importo medio delle prestazioni (Vecchiaia 23.000 Euro, anzianità 30.000 Euro, superstiti 8.000 Euro). Problemi “strutturali” che a medio-lungo periodo avrebbero inciso sull’equilibrio tecnicofinanziario della gestione e che pertanto imponevano (come in parte impongono ancora) di essere affrontati e risolti per tempo evitando così soluzioni tardive e sicuramente più traumatiche. Del resto, non a caso, altre Casse ed in particolare quella dei Dottori commercialisti, avevano imboccato la strada della riforma pur dichiarando di non avere situazioni di “urgenza”. I RIMEDI IPOTIZZATI QUALI Dall’analisi complessiva della situazione, veniva confermata la necessità/opportunità della riforma radicale che prevedesse: a) un sistema di finanziamenti a capitalizzazione; b) un metodo di calcolo contributivo della prestazione; c) le conseguenti modifiche statutarie e regolamentari; COME Nel sostanziale rispetto del prorata, peraltro previsto dalla L. 335/95 (art. 3, co.12). Trattasi del rispetto dei c.d. “diritti acquisiti”, tali nei limiti e con le caratteristiche via via delineati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. QUANDO Anche sulla base delle esplicite indicazioni dei Delegati, trovavano conferma la volontà e l’auspicio che la Riforma venisse realizzata entro il minor tempo possibile. Sulla base dei citati primi approfondimenti, la Commissione “ Dall’analisi complessiva della situazione, veniva confermata la necessità/opportunità della riforma radicale che prevedesse tre rimedi ipotizzati Cassa hanno doverosamente mantenuto un corretto raccordo informativo con il Consiglio Nazionale. Valga in proposito riportare lo stralcio del verbale redatto a conclusione dell’assemblea del citato Consiglio Nazionale con i Presidenti di Collegio del 12.06.02: “Ultimati gli interventi, il Presidente William Santorelli riprende la parole per alcune brevi considerazioni. Dopo aver ringraziato il Presidente Luciano Savino ed il Direttore Generale Aldo Urbini per la sensibilità dimostrata nell’accettare l’invito ad esporre, per la prima volta nella storia della categoria, i contenuti di una riforma che si preannuncia epocale, il Presidente William Santorelli raccomanda ai Presidenti di Collegio di affrontare queste delicate tematiche con spirito sereno e desiderio di condivisione e, rivolgendosi al collega Savino, lo incita a ricercare un’intesa all’interno della categoria fondata sull’equità e su una ragionevole composizione degli interessi espressi”. E’ con soddisfazione, infine, concludendo questo breve excursus, ricordare la decisione del Comitato dei Delegati, assunta alla unanimità dopo un dibattito molto partecipato, ancorchè comprensibilmente sofferto. Si è in attesa, ad oggi, della prescritta approvazione Ministeriale, rispetto alla quale non si è mancato di assumere le più idonee iniziative. Intanto proseguono i lavori per dare seguito al completamento della riforma nei termini prefigurati dalle linee guida tracciate dal Comitato dei Delegati. ” Consiliare ed il Consiglio di Amministrazione ritenevano doveroso fornire ai Componenti del Comitato ex art. 30 dello Statuto, la sintesi dei propri lavori dedicati anche alla analisi/approfondimento/studio dell’attuale Regolamento di previdenza e finalizzati alla elaborazione di proposte di modifiche intese a garantire nel tempo il sostanziale equilibrio della gestione. Sono seguite, quindi, numerose riunioni, tutte improntate alla massima, consapevole e proficua partecipazione, fino alla redazione della proposta del Consiglio di Amministrazione portata al Comitato dei Delegati del 22 giugno 2002. Mi sembra peraltro opportuno rammentare che gli Organi della *Consigliere d’Amministrazione e Presidente della Commissione Area Contributiva e Previdenza Acnpr frontiera “ A questa assemblea sarà proposto di esplorare nuovi orizzonti e ricercare altri sbocchi per il finanziamento dei regimi pensionistici obbligatori: un vero e proprio passaggio a nord-ovest.” Con queste parole Giuliano Cazzola ha evocato davanti al Comitato dei delegati del 22 giugno scorso, il mito del “passaggio a nord-ovest” e, con esso, quello conseguente della “nuova frontiera”. La “nuova frontiera” non è solo un orizzonte fisico, ma è, innanzi tutto, lo spazio ideale che scorgono davanti a sé le forze animate da spirito innovatore. A mia memoria, fu un giovane e carismatico presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, che introdusse questa idea di “nuova frontiera” nelle menti delle generazioni di quegli anni. “Due terzi dell’umanità vive in condizioni di miseria intollerabile... una ‘nuova frontiera’ ci attende…” Con questa idea di “nuova frontiera” Kennedy innestò sull’antico tronco del liberalesimo insopprimibili esigenze di giustizia sociale. Non che altri liberals, soprattutto filosofi ed economisti, non abbiano detto le stesse cose prima e dopo di lui (basta pensare a John Stuart Mill, che quasi un secolo prima parlò di una felicità impossibile in mezzo alla miseria dilagante, o a Luigi Einaudi, che scrisse sulla necessità dell’intervento dello stato per imporre “un’uguaglianza nei punti di partenza”, o, più recentemente, a Ralf Dahrendorf, con la sua visione di una società simile ad una “lunga marcia” dove qualcuno viene sempre lasciato sul traguardo ad aspettare ed a soccorrere l’ultimo), ma Kennedy ne parlò in modo tale che tutte le generazioni nate a ridosso della guerra subirono il fascino di quella ideale nuova frontiera e sentirono l’esigenza di un nuovo impegno, di un newbeginning. Furono quelli gli anni della costruzione del Welfare State. In tutto l’Occidente, sull’onda di uno sviluppo economico senza precedenti, fu allora possibile ridistribuire ingenti quantità di ricchezza ed uno dei modi scelti per questa redistribuzione fu la costruzione di sistemi previdenziali sempre più orientati verso forme di ripartizione. In tal modo, infatti, si dava un dividendo alle vecchie generazioni e si faceva una allettante promessa alle nuove. Ciò è stato possibile per il fatto che i regimi a ripartizione hanno una natura intrinsecamente redistributiva, in quanto i contributi versati dagli iscritti al fondo non vengono accreditati su conti individuali, ma sono destinati a pagare prestazioni previdenziali commisurate ai redditi conseguiti. Su questi presupposti, non essendovi alcuna relazione tra contributi e prestazioni, il sistema pre- • di Paolo Salvadori* John Fitzgerald Kennedy videnziale a ripartizione può mantenere nel tempo le promesse che fa solo a condizione: a) che aumenti continuamente il numero degli iscritti al fondo (e in genere la popolazione) in modo da rinviare ad un tempo molto lontano l’inevitabile resa dei conti; b) o, non necessariamente in maniera alternativa, che aumentino i redditi degli iscritti e, contemporaneamente, siano introdotti limiti, tendenzialmente sempre più bassi, alle prestazioni; c) che, comunque, il rapporto iscritti/pensionati si mantenga vicino a 10. In tal caso, infatti, 10 iscritti mantengono un pensionato e questo rapporto comporta la corresponsione di contributi che sono stati storicamente accettati dalla platea dei contribuenti. Come è facile verificare queste condizioni erano tutte presenti in quegli anni e nella nostra categoria riflessioni/2 Verso una nuova “Diventerà cruciale l’attenzione ai costi della struttura ed ai rendimenti dei capitali investiti” 9 riflessioni/2 10 lo sono stati fino a tutta la prima metà degli anni ’90 ed anche oltre. Le cose però sono ora mutate, in particolare per la nostra categoria, ma più in generale sono mutate per la società nel suo insieme. “Nessuna minestra è gratis” disse a cavallo degli anni ’80 il monetarista Milton Friedman e proprio in quegli anni si cominciarono a rimeditare i contenuti ed a vedere i limiti dello stato sociale, che stava sempre più avviluppandosi in forme di tipo assistenzialistico. Contemporaneamente a queste riflessioni, lo sviluppo economico perse di vigore ed insieme ad esso perse di intensità la crescita demografica; pertanto, la necessità di costruire le basi di produzione di una nuova ricchezza si impose e sostituì ben presto le politiche semplicemente redistributive. D’altra parte, per distribuire ricchezza occorre accumularla, e poiché quella che c’era era già stata distribuita, occorreva fondare una “nuova economia” che si riproponesse obbiettivi di crescita e di accumulazione. E’ questa la fase che stiamo ora vivendo. Certo, è meno suggestiva della precedente e, tuttavia, il compito che essa ci assegna è quello di fondare una “new economy” come premessa indispensabile ad una nuova fase redistributiva. E’ questa l’epoca in cui occorre produrre e, quindi, le risorse umane e materiali vanno essenzialmente destinate a questo scopo. Il tempo che viviamo richiede, dunque, inevitabilmente, per il versante che ci interessa più da vicino, l’accantonamento dei sistemi previdenziali redistributivi e la loro sostituzione con sistemi contributivi, con sistemi, cioè, che promettono prestazioni, fatti salvi i necessari aspetti solidaristici, strettamente correlate ai contributi versati. Tanto più questo passag- gio è necessario, quanto più si rifletta sul fatto che in questi casi i contributi, non dovendo essere ripartiti, ma dovendo essere investiti nel tessuto produttivo, con- “ Questo passaggio comporterà dei sacrifici, ma essi saranno equamente ripartiti su tutta la popolazione degli iscritti responsabilità, hanno in sé le energie per poter assumere decisioni di questo tipo e con questa tempestività. Certo, questo passaggio comporterà dei sacrifici, ma essi saranno equamente ripartiti su tutta la popolazione degli iscritti e, quindi, saranno per ciò stesso sopportabili, come hanno esattamente compreso i delegati che hanno approvato unanimemente la proposta del consiglio. Si può, quindi, ben dire che il passaggio al sistema contributivo conclude il processo di privatizzazione della Cassa, portandolo al suo naturale compimento. Adesso si apre una nuova fase. Accanto al pilastro previdenziale obbligatorio che abbiamo prefigurato, dovrà presto essere introdotto un fondo complementare, che integrerà e darà un senso definitivo a tutto il processo riformatore che abbiamo messo in moto. Inoltre, l’attenzione ai costi della struttura ed ai rendimenti dei capitali investiti diventerà cruciale. E’, infatti, del tutto evidente che minori spese e maggiori rendimenti si tradurranno immediatamente in maggiori pensioni. Ad una gestione burocratica, caratteristica delle gestioni puramente erogatorie, come sono tipicamente quelle che contraddistinguono i sistemi a ripartizione, dovrà sostituirsi una gestione dinamica tesa al contenimento dei costi ed all’incremento dei rendimenti, sia pure in un’ottica di rischio necessariamente bassa. E’ questa, dunque, la “nuova frontiera” che tutti noi siamo chiamati ad esplorare e sono convinto che lo faremo con il coraggio e la lungimiranza che hanno ispirato la recente decisione del Comitato dei delegati. ” corrono per tale via a fornire il risparmio necessario al finanziamento dei nuovi investimenti. Essi contribuiscono, cioè, ad innescare una spirale virtuosa di sviluppo, legando insieme prestazioni future e crescita economica, anche se, per altri versi, proprio questo legame costituisce il limite specifico dei sistemi a capitalizzazione. Il Comitato dei delegati con la decisione assunta all’unanimità il 22 Giugno scorso, ha dato un forte segnale politico in questa direzione. Si è messo, per così dire, si parva licet, nel senso della storia. Ed è in questi momenti che si vede la bontà delle scelte strategiche operate nel passato. E’ infatti bene sottolinearlo: questa opzione non sarebbe stata possibile se la Cassa non fosse stata a suo tempo privatizzata. Non è nello stile, ma direi di più, non è nel DNA dello Stato (di qualsiasi stato) adottare provvedimenti con venti anni di anticipo rispetto al momento in cui le patologie diventano irreversibili. Solo assetti privatistici, in cui la libertà si associa al senso di *Vicepresidente Cassa Previdenza Ragionieri L’intervento di Giuliano Cazzola al Comitato dei Delegati del 21 giugno 2002 L’azione preventiva della Cassa Ragionieri D Giuliano Cazzola dunque, un rapporto tra attivi e pensioni pari a 8,7 a 1, peggiore di quello in essere anni or sono, ma comunque assolutamente migliore di quelli di altre gestioni); una Cassa che presenta netti avanzi di gestione, si appresta ad adottare (come vedremo tra poco) misure molto impegnative sul versante dei trattamenti agli iscritti; in particolare di quelli che costituiscono l’ostacolo invalicabile dei propositi riformatori: le coorti dei lavoratori più anziani per i quali il momento della quiescenza è entrato ormai nelle aspettative di vita di un futuro a portata di mano e che oppongono una fiera resistenza ai cambiamenti. Insomma, l’attuale situazione economica e patrimoniale della Cassa può essere giudicata positi- vamente; eppure si ritiene necessario procedere ad interventi di riforma. Questa apparente contraddizione si spiega, sollevando il capo dalle vicende contingenti ed osservando taluni processi critici, già in atto o soltanto annunciati, destinati però a rafforzarsi e ad estendersi, fino a produrre, nel tempo, effetti destabilizzanti. Sono questi processi, ormai alle viste, che spingono per il cambiamento, prima che sia tardi. È saggio ed opportuno intervenire ora, quando ancora ci sono il tempo e le risorse per affrontare i problemi con gradualità ed equità, anche facendosi carico dei tanti problemi che le trasformazioni implicano. Taluni problemi strutturali produrranno effetti che possono, al massimo, essere ritardati, ma che sono già scritti nel futuro riflessioni/3 a tanti anni lavoro al pari di un topo nel formaggio - all’interno dei grandi enti previdenziali e mi occupo di sistemi pensionistici. Questa è la prima volta che mi capita di assistere (e in qualche modo di essere coinvolto) in un’azione di carattere preventivo, rivolta cioè a provvedere, adesso, ad eventi destabilizzanti destinati a prodursi tra qualche decennio. Una assunzione di responsabilità, questa, che fa onore alla vostra categoria e al gruppo dirigente della Cassa Ragionieri. L’esperienza insegna che è sempre positivo riuscire a decidere al momento giusto, senza rinvii, rinunce al proprio ruolo, concessioni ad interessi particolari. Ma, solitamente, le persone sono ben orientate quando si trovano ad operare all’interno di istituzioni corrette e positive. Va riconosciuto, allora, che il modello di autogoverno di cui al dlgs n. 509/1994 - ha indotto gli organi delle Casse privatizzate a farsi interamente carico anche dei problemi di prospettiva e a non affidarsi ai provvedimenti di “ultima istanza” da parte di uno Stato sul quale è stabilito che non possano gravare oneri di sorta. Così, in occasione di queste giornate di lavoro, l’opinione pubblica sarà chiamata ad assistere a un fenomeno che sembrerebbe incredibile, se ci limitassimo ai tradizionali metri di misura. Una Cassa che ha trentamila iscritti e che eroga circa tremila e seicento prestazioni (che vanta, 11 riflessioni/3 Il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita 12 della categoria. Oltre alle solite ragioni che finiscono per determinare la crisi dei regimi pensionistici obbligatori (gli andamenti demografici, l’incremento anche qualitativo delle prestazioni, eccetera) nel caso dei ragionieri e dei periti commerciali c’è un motivo in più: peseranno, infatti, le modifiche dell’ordinamento professionale a partire dai cicli scolastici. Ne deriveranno processi di esaurimento del bacino di alimentazione della Cassa, nella sua specificità: il che vuol dire strangolare un sistema a ripartizione. Si tratta di un problema comune alle libere professioni (legato alla riforma degli ordini e alla evoluzione stessa delle caratteristiche professionali). Nel vostro caso il fenomeno presenta tratti di urgenza derivanti da un processo legislativo molto avanzato e determinato. Non a caso, anche la Cassa dei dottori commercialisti ha proceduto a misure correttive e lo ha fatto come ha dichiarato il suo Presidente non in vista di un’ipotetica unificazione con la vostra Cassa di previdenza, ma per esigenze legate esclusivamente alle prospettive della loro. Tornando a noi e al meritorio lavoro compiuto in questi mesi, in stretto rapporto con alcuni tra i migliori esperti di scienze giuridiche ed attuariali, verrebbe da chiedersi come mai vi è disponibilità per lo meno a discutere di problematiche in generale tanto ostiche ed impopolari. In verità, con le decisioni che prenderete e che altre Casse hanno preso o assumeranno (nulla è mai facile) si chiude con alcune decisioni operative un dibattito aperto da anni e si apre una nuova fase. Si correggono alcuni aspetti insostenibili (frutto delle disponibilità che sembrano esistere è successo così in tutti i regimi, ma è solo un’illusione ottica al momento della introduzione del metodo retributivo in un contesto positivo per quanto riguarda il rapporto attivi-pensioni), poi si comincia a ragionare di riforme. È prova di un primo approdo di un dibattito in corso da anni, l’indagine compiuta dall’Adepp in collaborazione col Censis, pubblicata nel 2000, in cui si affermava testualmente: Il trascorrere del tempo implicherà un consistente incremento dei flussi di spesa per i trattamenti previdenziali e un impoverimento della base contributiva, con conseguente decremento delle entrate contributive, dovuto al progressivo saturarsi del mercato del lavoro di alcuni settori del mondo professionale. Come ho potuto ricordare, negli incontri e nei convegni a cui l’Adepp e le Casse associate hanno avuto la cortesia di invitarmi, credo che nessuna categoria possa sottrarsi all’esigenza di definire, in tempi utili, regole sostenibili e solidali nei confronti delle generazioni future, anche in vista delle trasformazioni dei rispettivi “mercati del lavoro”. Già in quel momento era presente, nei responsabili delle Casse a gestione privatizzata, una ragio- nevole consapevolezza del dovere di agire. Cito di nuovo testualmente l’Indagine Adepp-Censis laddove affermava che molti enti privatizzati hanno già adottato il metodo contributivo di calcolo dei trattamenti. Altri hanno esteso il periodo di riferimento per il calcolo delle prestazioni. Alcuni enti hanno avviato una politica attiva di disincentivazione o di graduale eliminazione delle pensioni di anzianità; altri hanno costituito fondi di previdenza complementare; altri ancora stanno intervenendo, ritoccandole verso l’alto, sulle aliquote contributive; altri, infine, hanno imposto un tetto massimo alle singole prestazioni previdenziali annue. In sostanza, le Casse dei professionisti si trovano a vivere il loro momento della verità. Possono scegliere - come hanno fatto altri regimi in passato - di raschiare il fondo del barile a vantaggio di coloro che si accingono ad andare in pensione ora e nei prossimi anni; oppure possono, con equilibrio, tutelare le aspettative attuali senza ledere gli interessi di quelli che verranno. Ed hanno questa gamme di scelte proprio perché l’acqua non è alla gola. Scegliendo questa seconda via, in sostanza, le categorie dei professionisti si trovano nella condizione ideale per “pensare in grande”, per avviare riforme strutturali, rispettose delle diverse esigenze esistenti in ogni aggregazione sociale. A questa assemblea sarà proposto, allora, di esplorare nuovi orizzonti e ricercare altri sbocchi per il finanziamento dei regimi pensionistici obbligatori: un vero e proprio “passaggio a nord-ovest” non limitato soltanto all’introduzione di un sistema contributivo che resti nell’ambito della ripartizione, ma capace di avventurarsi nel campo della mente premianti” alle generazioni prossime ad andare in pensione, ma sprovviste di percorsi contributivi lineari. Si pensi alla completa introduzione del calcolo retributivo (la pensione ragguagliata alle medie reddituali degli ultimi anni di lavoro) avvenuta, tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, per i lavoratori dipendenti privati e nel 1990 per quelli autonomi. Queste misure consentirono veri e propri aggiustamenti, assai onerosi per il sistema previdenziale, oltre ad innescare, per anni, prassi di miglioramenti dei trattamenti in atto, sorti quando il rapporto contributi-prestazioni era favorevole e proseguiti anche nel momento in cui iniziò un inesorabile declino. La ripartizione è come un perfido veleno che produce assuefazione ed induce alla deresponsabilizzazione verso gli equilibri del sistema, perché non si è chiamati a rispondere in prima persona degli errori compiuti. Da questo assetto, tuttavia, non si esce facilmente, se non a costo di imporre, nei sistemi maturi, alle generazioni future il duplice onere di sostenere per decenni le pensioni in essere ed accantonare contemporaneamente ulteriori risorse per organizzare il proprio destino da pensionati. Il problema è quello di impostare, con equilibrio, un sistema misto, rivolto “quanto meno” a ripartire il rischio e ad operare sia sul piano di una copertura solidaristica, di base, a ripartizione, sia su quello del confronto sui mercati. A livello del sistema nel suo complesso, questa distinzione dei ruoli è affidata sinergicamente ai grandi regimi obbligatori, da un lato, ai fondi pensione, dall’altro. Non è detto, però, che questo schema (regime obbligatorio a ripartizione + fondo pensione, volontario e privato, a capitalizzazione) debba valere in tutti i casi e per ogni situazione. Sappiamo, ad esempio, che i fondi pensione (di natura privato-collettiva) nel caso delle categorie dei liberi professionisti hanno attecchito ancora meno che in generale nel mondo del lavoro dipendente. È il caso, allora, di riflettere “col legislatore e le autorità vigilanti” su tali limiti e valutare se non sia venuto il momento di intraprendere strade nuove. Pertanto se le Casse saranno in grado di resistere, come intendono fare, alle lusinghe del “dividendo” della ripartizione a favore delle classi riflessioni/3 capitalizzazione. Di varcare, cioè, il traguardo della privatizzazione vera (ben oltre quella solo gestionale). La differenza tra i due metodi di finanziamento è “almeno in teoria” molto chiara. Con la ripartizione, si impiegano gli apporti delle persone in attività per pagare le pensioni vigenti, mediante una catena di Sant’Antonio di cui lo Stato è garante e che inanella, nel tempo, le diverse generazioni, inducendolo a comportamenti forzatamente solidali. L’importo dei trattamenti è definito dalle norme sulla base di criteri e parametri “artificiali”. Con la capitalizzazione, invece, ognuno è padrone del proprio destino pensionistico: la sua prestazione, al momento dell’uscita dal mercato del lavoro, sarà determinata dal montante accantonato e dai relativi interessi. Nella ripartizione sono, dunque, altri (gli attivi) a sostenere l’onere della solidarietà; nella capitalizzazione ognuno pensa per sé, ma il suo risparmio previdenziale per lunghi decenni è al servizio del bene collettivo. E, se ben investito, cresce progressivamente di valore. Naturalmente, i casi di scuola non sono sempre e interamente applicabili alla vita reale. È noto che quasi tutti i grandi sistemi obbligatori, al momento in cui furono istituiti o successivamente, trovarono conveniente organizzarsi secondo il metodo della ripartizione. Ai tempi d’oro della previdenza obbligatoria, gli andamenti demografici, l’organizzazione del mercato del lavoro e i tassi di crescita economica erano tutte lance spezzate a favore della ripartizione, anche perché tale impostazione consentiva di distribuire (in una situazione in cui molti erano gli attivi e pochi i pensionati, tanti i giovani e meno gli anziani) veri e propri “dividendi” “politica- 13 riflessioni/3 14 ormai vicine alla pensione sarà loro senz’altro possibile impiegare nuove risorse in esperienze di finanziamento a capitalizzazione, totale o parziale che siano. Una scelta siffatta collocherebbe in una dimensione diversa una serie di problemi che assillano le Casse, a partire dalla questione delle riserve e della “profondità”, nel tempo, delle proiezioni attuariali. In fondo, nel meccanismo del dlgs. n. 509, restavano delle contraddizioni irrisolte: la privatizzazione ha riguardato la forma giuridica degli enti, ma non il sistema di finanziamento che rimaneva a ripartizione e si arrestava, persino, davanti ad un’opzione per quella forma di capitalizzazione virtuale e simulata che costituisce il modello portante della legge n. 335/1995. Da qui provengono tutte le incertezze che gravano sull’esperienza e che si sono manifestate nei casi di altre Casse “privatizzate”, connotate da andamenti maggiormente squilibrati. Il dlgs. n. 509 si limitava a fornire un quadro di risposte “esterne” - affidate a norme e a controlli - rispetto all’esigenza di garantire i lavoratori anche in futuro. L’adozione, anche solo parziale, di forme di capitalizzazione recherebbe un complesso di garanzie e salvaguardie “intrinseche” all’impianto di finanziamento del sistema e ai criteri in base ai quali stabilire il livello della prestazione, pur nel quadro naturalmente della ricerca di ulteriori strumenti di “governance” per quanto riguarda la gestione finanziaria dei versamenti contributivi. È agevole comprendere, infatti, che è ben diverso svolgere la funzione del soggetto che incassa i flussi della contribuzione obbligatoria nelle modalità sancite dalla legge (e immediatamente se ne serve per corrispondere la prestazione ai pensionati) da quella di chi è tenuto ad investire proficuamente gli apporti della contribuzione proprio al fine di determinare i “ La linea proposta dal Consiglio di Amministrazione cerca di chiudere il cerchio e realizzare con i risparmi derivanti dagli interventi normativi un tendenziale pareggio, a regime, nell’ambito della quota regolata col retributivo re di “opting out”, quando si cerca di passare dal metodo di finanziamento a ripartizione a quello, in tutto o in parte, a capitalizzazione, si pone un problema complesso, dirimente: occorre trovare una soluzione per le prestazioni in essere. Così, visto che non esiste uno “zio d’America” pronto alla bisogna, diventa necessario, osservando il problema dalla parte dei contribuenti, imporre ad un gruppo di generazioni un doppio sacrifico: quello di farsi carico col proprio reddito sia della solidarietà con le generazioni precedenti (sul terreno della ripartizione) e quello di provvedere a se stessi con risorse aggiuntive (sul versante della capitalizzazione). Con le proposte che saranno presentate, invece, si tenta una soluzione nuova. Come vedremo, la linea proposta dal Consiglio di amministrazione cerca di chiudere il cerchio e realizzare con i risparmi derivanti dagli interventi normativi un tendenziale pareggio, a regime, nell’ambito della quota regolata col metodo retributivo. In sostanza, si chiede alle generazioni più anziane di affrontare e risolvere, in larga misura, i problemi critici del sistema di cui godono, affinché, nel futuro, interamente o pro rata, ognuno sia arbitro del proprio destino pensionistico. Naturalmente, allo stato degli atti, il profilo delle proposte appartiene più ad una logica di interdizione urgente rispetto ad alcuni istituti critici che alla ricerca di una nuova regolamentazione, che viene rinviata sia pure entro termini certi e definiti. ” rendimenti necessari al pagamento, a tempo debito, della pensione. Non a caso, il legislatore - che ha voluto contornare di regole finanziarie e gestionali nonchè di procedure di controllo e vigilanza le forme di previdenza complementare - non potrà ignorare l’esigenza di individuare principi equipollenti a cui dovranno attenersi gli organi amministrativi, investiti dal “ciclone” del finanziamento e della gestione a capitalizzione. Sarà necessario, allora, prefigurare, per questi aspetti innovativi, nuove discipline di garanzia che prendano a riferimento in quanto applicabili possibile e magari anche in chiave di autoregolamentazione - il quadro normativo previsto per i fondi pensione e più in generale per la gestione del risparmio. Concludendo, un ultimo aspetto merita di essere sottolineato. Di solito, quando si adottano misu- Giuliano Cazzola L’analisi di Gianni Sarrocco de “Il Tempo” Avviata la nuova riforma della Cassa Il Comitato dei Delegati ha deliberato un piano previdenziale dettagliato in due fasi per evitare un pericoloso scontro generazionale “ Stanley Becker livello potenziale, in ogni riforma. Una riforma in due fasi che prevede il blocco delle pensioni d’anzianità, la sospensione della perequazione automatica al di sopra del minimo e l’applicazione di un sistema di liquidazione provvisoria delle pensioni che garantisce l’80 per cento del trattamento dovuto. Misure, queste, già in vigore dallo scorso 22 giungo mentre entro il prossimo mese di dicembre il cosiglio d’amministrazione della Cassa provvederà a presentare una vera e propria riforma strutturale impostat sul passaggio dal sistema a ripartizione a quello a capitalizzazione. Un altro pilastro sarà l’introduzione del metodo di calcolo contributivo legato al criterio del pro-rata. Inoltre ci sarà una rimodulazione delle aliquote e la base di calcolo avrà come platea tutti i redditi versati dal 1977. Tutto ciò sarà base di discussione all’interno della categoria perché è interesse comune che questa riforma decolli con una sorta di consenso generale. "Una riforma - sottolinea Ezio Maria Reggiani, presidente del sindacato nazionale ragionieri aperta alla discussione generale perché va nella riflessioni/4 Le riforme vanno affrontate soltanto dopo che si è riusciti ad avere un quadro completo della situazione economico-finanziaria”. Una raccomandazione, questa, che il Premio Nobel per l’Economia 1992, l’americano Stanley Becker, economista puro e liberista della scuola di Chicago, era solito premettere ad ogni ragionamento su qualsiasi tipo di riforma che poteva interessare il settore pubblico come quello privato. E bene ha fatto la Cassa dei ragionieri a mettere a fuoco la riforma del sistema pensionistico. Una mossa che viene a inserirsi in un periodo alquanto "caldo" dal momento che sui temi della riforma previdenziale è in atto un dialogo (o braccio di ferro, a seconda dei punti di vista) tra governo e parti sociali. Così i ragionieri iniziano a mettere ordine in casa propria mentre a livello nazionale c’è un clima più sereno dopo l’accordo tra i consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri dopo un lungo periodo di muro contro muro sulle modalità di attuazione della professione unica. La riforma del sistema pensionistico messa a punto dalla Cassa previdenziale dei ragionieri risponde per certi versi a una logica di gioco d’anticipo, mutuando un paragone calcistico. Infatti l’impianto costruito servirà anche e soprattutto a sanare tutti quegli inconvenienti che si sarebbero verificati nel corso degli anni futuri. E ciò con gravi ripercussioni economiche che avrebbero coinvolto l’intera categoria e anche l’esistenza stessa della Cassa. Un rischio comune ad altre realtà previdenziali autonome in caso di immobilismo. Un piano chiaramente d’attacco, quasi a futura memoria, quello preparato e varato dalla Cassa dei ragionieri. Con un taglio che piace sia ai giovani che agli anziani, quasi a voler evitare così un pericoloso scontro generazionale che è insito, a 15 giusta direzione senza provocare uno scontro tra generazioni in quanto si pone attenzione anche alle situazioni pregresse". La logica di questa riforma ha alla base anche l’accordo “storico” sull’unificazione dell’albo dei ragionieri con quello dei dottori commercialisti con il problema della fusione dei rispettivi enti previdenziali. L’intesa recentemente raggiunta tra i Consigli nazionali per omologare i requisiti dei praticanti. Infatti i rispettivi presidenti, Antonio Tamborrino e William Santorelli, sotto gli auspici dei sottosegretari Maria Grazia Siliquini e Michele Vietti, hanno concordato di rendere omologhi i percorsi di accesso alle professioni attraverso la costituzione della nuova professioe economico-giuridico-contabile. Due i punti più interessanti della riforma. Uno è quello che stabilisce che a decorrere dal 1 gennaio 2003 e comunque non oltre il 31 dicembre 2004, la rivalutazione degli importi delle pensioni erogate trova applicazione limitatamente al trattamento minimo. In sede di approvazione della riforma si procederà alla revisione della disciplina attualmente vigente in tema di perequazione automatica. E poi la misura annua delle pensioni di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 percento della media di tutti i redditi professionali annuali riferita sia ai redditi dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), sia ai redditi convenzionali relativi al periodo dal 1977 al 1991, fatti salvi i benefici di cui all’articolo 31 della legge114/1991. La relativa misura non potrà comunque essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione delle modalità di calcolo previgenti. Infine le pensioni così liquidate saranno successivamente riliquidate, con effetto dalla data delle rispettive decorrenze, in base ai criteri, ove più favorevoli, che verranno definitivamente adottati in sede di riforma del sistema, fermo restando che, comunque, anche l’importo definitivo riliquidato non potrà essere inferiore alla predetta misura dell’80 per cento. Gianni Sarrocco Albo unico, c'è l'accordo tra dottori e ragionieri commercialisti riflessioni/4 Approvato un documento che apre le porte alla nuova professione 16 Storico accordo siglato dai presidenti dei Consigli nazionali dei dottori e dei ragionieri commercialisti, Antonio Tamborrino e William Santorelli. Un documento comune approvato dai due Ordini pone fine a mesi e mesi di discussioni e rende finalmente concreta la prospettiva di un moderno Albo unico. In attuazione della riforma dei cicli universitari, si legge nella nota congiunta, i due Ordini sono favorevoli ad una legge ordinaria che istituisca un'unica professione in ambito economico-giuridico-contabile denominata "Dottore commercialista ed esperto contabile". Un sì a patto che la nuova normativa preveda i seguenti principi: 1) il mantenimento del titolo professionale di "dottore commercialista", riservato ai laureati quinquennali da iscriversi nella sezione A dell'Albo unico; 2) l'iscrizione dei futuri laureati triennali nella sezione B dell'Albo unico con il titolo di "esperto contabile"; 3) la disciplina, a regime, del governo degli organi nazionali e locali della professione unica sulla base del principio della proporzionalità e rappresentatività, assicurando comunque alla componente della sezione A un numero minimo di rappresentanti non inferiore alla metà e l'elettorato passivo per la nomina del presidente; 4) l'indicazione delle attività oggetto della professione unica, individuando distintamente quelle riservate agli iscritti nella sezione A e, tra queste, quelle attribuite anche agli iscritti nella sezione B, assicurando comunque alla professione unica nuove necessarie riserve e/o esclusive a tutela della qualità delle prestazioni professionali nell'interesse generale della collettività; 5) l'inserimento, nella sezione A dell'Albo unico, degli attuali appartenenti agli Ordini dei dottori commercialisti ed ai Collegi dei ragionieri, questi ultimi con il titolo professionale di "ragioniere commercialista", con specifica distinta indicazione, per ciascuno, della anzianità di iscrizione, del titolo di studio, del titolo professionale e dell'Ordine e/o Collegio di provenienza; 6) per tutto il periodo transitorio di anni 9 (nove), che decorrerà dalla data di scioglimento degli attuali organismi dirigenti, di cui al successivo punto 10), l'attribuzione delle presidenze e delle maggioranze dei componenti dei nuovi organi, nazionali e locali, ai dottori commercialisti, le vicepresidenze ai ragionieri; 7) la possibilità di svolgere parte del tirocinio professionale durante il corso di studi specialistico e l'esenzione da una delle prove scrit- te dell'esame di stato all'esito di un corso realizzato sulla base di specifiche convenzioni stipulate tra le università e gli ordini locali; 8) la previsione di norme, in materia previdenziale, che salvaguardino tassativamente i diritti acquisiti provvedendo a disciplinare, essendovene i presupposti, gli eventuali conguagli a favore degli aventi diritto; 9) la gestione, da parte degli organi del nuovo Albo unico, del registro di tutti i "revisori contabili", con invariate disciplina e funzioni per coloro che non sono iscritti negli albi tenuti dagli ordini, in modo tale da poter anche esercitare, tra l'altro, sull'intero comparto e in maniera omogenea, il necessario controllo di qualità di recente raccomandato a livello europeo; 10) la proroga della durata in carica degli attuali organismi dirigenti, nazionali e locali, delle professioni coinvolte non inferiore a due anni dall'entrata in vigore della legge, in modo tale da assicurare una graduale e controllata introduzione della riforma; 11) la protezione di tutti i titoli professionali indicati, nonché l'esplicita preclusione all'utilizzo anche del termine abbreviato di "commercialista" che comunque compete ai soli iscritti nella sezione A del nuovo Albo Unico. INS ERT O DA STA CCA Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro1 di Marialuisa Ceprini MIT, Sloan School of Management, Cambridge (MASS.) ([email protected]) Il premio Nobel Franco Modigliani con la professoressa Marialuisa Ceprini Un'analisi dettagliata del progetto è offerta dagli autori Modigliani, Ceprini nel loro saggio "Un sistema pensionistico comune Europeo. Capitalizzazione: Privatizzazione o compartecipazione del rischio in un portafoglio comune?". Ed. Italiana Assoprevidenza n. 9, 2002; Ed. Inglese Review Wirtschafts Politische Blatter No.9, 2002. L'autore desidera ringraziare Luciano Savino, Aldo Urbini, Roberto de Dominicis, Daniela Antoniani (Presidente, direttore generale, vice direttore e dirigente della CNPR), Giovanni Lucianelli (direttore responsabile della rivista Ragionieri & Previdenza) ed Emiliano Paolini (Capo ufficio Organi Collegiali della Cassa e segretario di redazione della rivista) per la disponibilità dei dati e l’assistenza ricevuta durante la stesura del presente lavoro. 1 RE 1. UN SISTEMA COMUNE ARMONIZZATO PER RISOLVERE LA CRISI DEI SISTEMI Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini PENSIONISTICI EUROPEI In Europa il tasso medio di contribuzione è del 18%, in alcuni Paesi intorno al 20%, in Spagna eccede il 25%, e l’Italia con il 40,4% (32,7% INPS e 7,5% TFR) è largamente in testa alla classifica. Questi dati confermano che l'alta contribuzione sta creando seri problemi di insolvenza, o deficit preoccupanti, ai sistemi pensionistici Europei. Inoltre, una eccessiva contribuzione, cioè un’alta forbice tra costo del lavoro e busta paga, produce effetti negativi sul sistema economico perché impoverisce i lavoratori riducendo la busta paga, incentiva l’evasione contributiva e fiscale attraverso la piaga del lavoro nero, e disincentiva il lavoro riducendo il tasso di partecipazione ed il reddito. Infine, rende poco competitivo il costo del lavoro con effetto negativo sulle esportazioni nette e quindi sull’occupazione. Due spiegazioni dell’elevata contribuzione media e l’ampio divario dei contributi tra i Paesi dell’Euro sono: 1) alti tassi di sostituzione, e 2) inefficiente metodo di finanziamento. In teoria, alti tassi di sostituzione dovrebbero essere coperti da alti contributi. La giusta combinazione è data dal trade-off tra generosità e onerosità del sistema. Oltre limiti modesti, gli individui dovrebbero essere liberi di decidere quanto risparmiare e investire secondo le proprie preferenze, in termini di allocazione delle risorse e di tolleranza del rischio. Questa comune circostanza offre l'opportunità unica per intraprendere riforme coordinate che conducano ad un comune sistema pubblico pensionistico, per l’intera Zona dell'Euro. Il nostro approccio conduce di per sé alla portabilità del fondo2 (incoraggiando fortemente la mobilità del lavoro, dipendente e professionale, che è vitale per il mantenimento della piena occupazione in un sistema a cambi fissi), e alla diversificazione del portafoglio di tutti i titoli del Mercato dell'Euro, il cui rendimento sarebbe più stabile rispetto a quello ottenibile da un portafoglio esclusivamente nazionale. Non solo i Paesi Europei beneficerebbero delle economie di scala e della diversificazione internazionale, ma anche e significativamente, unendo gruppi diversi di partecipanti, diminuirebbero il rischio delle passività, tipico difetto della ripartizione. E' dimostrabile che un sistema pensionistico comune beneficia positivamente della diversificazione demografica e del rischio dei titoli. Un sistema comune vuol dire capitale comune che richiede l'esistenza di riserve, proprie di ciascun Paese. Tali riserve saranno investite in tutti i titoli dell'Unione Europea, incluse anche quote di altri mercati mondiali. La portabilità del fondo, oltre all'aspetto economico richiede una regolamentazione giuridica valida per l'intera Zona dell'Euro. 2 II 3. Sostituzione di una parte della ripartizione con una componente a capitalizzazione attraverso una graduale e sostenibile transizione che rifletta ciò che è veramente possibile in un contesto storico istituzionale. L'ipotesi di creare una quota a capitalizzazione nei sistemi pensionistici obbligatori a ripartizione, trasformandoli in sistemi misti, riguarda sia i fondi dei dipendenti pubblici e privati sia le casse professionali. L'ombrello di un sistema pensionistico comune caratterizzato dalla portabilità dei fondo riguarderebbe tutti i lavoratori, dipendenti e professionisti, garantendo la loro mobilità in tutti i Paesi della Zona dell'Euro. E' compito del pilastro complementare, tramite i cosìddetti "pacchetti imprenditoriali" che, diversificare l'offerta dei benefici, selezionando e rendendo un'impresa più o meno competitiva. Ovviamente, l’esistenza di problemi di transizione, di regolamentazione giuridica e di intento politico, implica che il raggiungimento di un sistema unificato, sebbene rappresenti il nostro ambito traguardo, potrebbe richiedere tempi lunghi per il suo completamento. Siamo convinti che questo sia il momento giusto per realizzare tale obiettivo perchè ora è il momento opportuno di rivedere al ribasso sia i tassi di sostituzione che i contributi, anche se tale decisione è difficile da attuare. Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini Tutto ciò richiede una seria revisione dei meccanismi in atto3 . In particolare: 1. Adeguati tassi di sostituzione che oggi sono squilibrati ed eccessivi creando seri problemi di sostenibilità. Ma oltre al tasso di sostituzione medio, c’è un'altra misura, spesso dimenticata in Europa, che meriterebbe una seria considerazione in una riforma del sistema pensionistico Europeo, e cioè il tasso di sostituzione progressivo e “mean-tested”. Prendiamo, ad esempio, gli Stati Uniti dove il tasso di sostituzione medio è il 50%, ed è reso accettabile da una forte progressività che varia dal 90%, per i redditi più bassi, al 25% per quelli più alti (con tetti sia ai benefici che ai contributi). In Europa il tasso di sostituzione medio è intorno al 70%, l’Italia con l’80% è la più generosa, e non a caso è il Paese con i contributi più elevati.Viene quasi da pensare che da ciò si riflettano scelte del passato quando il paternalismo era giustificato dalla scarsa fiducia delle decisioni individuali. 2. Revisione dell’età di pensionamento che in Europa è eccessivamente bassa, anche se il sistema ideale sarebbe quello dove il lavoratore liberamente decide, entro limiti appropriati, quanto vuole lavorare e quando vuole riposarsi, ovviamente con una pensione commisurata al tempo di lavoro e ai contributi versati. Modigliani, Ceprini (2002a). 3 III 2. RIPARTIZIONE E CAPITALIZZAZIONE: VANTAGGI Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini E SVANTAGGI DEI DUE SISTEMI IV DI FINANZIAMENTO Nella ripartizione i contributi correnti sono "consumati" per pagare le pensioni correnti; e ogni generazione assicura un diritto sulle risorse future attraverso un patto intergenerazionale, imposto dallo Stato, per il quale il lavoratore aderisce a mantenere il pensionato. Un sistema del genere può funzionare solo se i contributi sono obbligatori, altrimenti i partecipanti preferirebbero uscire lasciando il sistema senza le risorse necessarie per pagare le pensioni. Invece, nella capitalizzazione, i contributi correnti sono investiti in attività finanziarie (reali) che servono a coprire le pensioni future. Il capitale (contributi) é accumulato ad interesse composto fino al momento del ritiro quando, convertito in vitalizio (pensione), sosterrà il consumo del ritirato. A regime, dopo aver versato tutti i contributi, la capitalizzazione è preferibile alla ripartizione almeno sotto quattro aspetti. Primo, nella capitalizzazione, i contributi dipendono fondamentalmente dal tasso di rendimento ottenuto dall'accumulazione dei contributi che sono la riserva del sistema – più alto è il rendimento, più basso è il contributo. Nella ripartizione, non esistendo riserve, per implicita natura del fondo, il tasso di rendimento è irrilevante, ma il contributo dipende criti- camente dal tasso di crescita (di lungo periodo) dei salari (reali). Ciò accade perché i benefici correnti sono finanziati dai contributi correnti, che sono proporzionali ai salari correnti, ma i contributi versati sono determinati dai salari al tempo in cui furono definiti. Quindi, se i salari crescono, i benefici eccedono i contributi per un valore che aumenta secondo il tasso di crescita (di lungo periodo). Infatti, il tasso di crescita ha sulla relazione tra contributi e benefici lo stesso effetto che ha il tasso di interesse in un sistema a capitalizzazione. E' questa abilità della ripartizione di offrire sui contributi l'equivalente di un tasso di interesse, che la rende attraente come via alternativa per creare risorse. Ma quale di questi due approcci provvede meglio al pensionamento? Oppure, quale tra i due approcci richiede una contribuzione minore per dati benefici? Se l'economia fosse più o meno stazionaria allora il contributo della capitalizzazione risulterebbe sempre più basso, perché le riserve, accumulate per creare risorse, producono reddito riducendo la contribuzione al di sotto dell’aliquota di equilibrio. Ma molto sorprendentemente, se il tasso di interesse fosse trascurabile, allora per data crescita, riserve più alte, richiederebbero un contributo maggiore, necessario per mantenere un rapporto adeguato Riserve/Salari in caso di un aumento dei salari. Similmente, per date riserve, un più alto tasso di crescita richiede una contribuzione più larga. In paygo. Secondo previsioni dell'OECD, confermate nel rapporto del G-10, nel 2040, il costo delle pensioni, per Paesi come la Finlandia, la Germania, e la Spagna eccede il 15%; mentre, per l’Italia sarà oltre il 20%; la qual cosa è coerente con la generosità degli schemi paygo, con la caduta delle nascite, e con l’allungamento dell’aspettativa di vita. Oggi, in Europa, in media tre lavoratori e mezzo contribuiscono al reddito di pensionamento di un pensionato. Ci si aspetta un peggioramento di questo rapporto entro il 2020 quando per ciascun pensionato ci saranno solo due lavoratori e mezzo. Si tratta di un aumento pauroso che riflette l’allungamento della durata della vita media dopo l’età del pensionamento. Questi dati, confermano la forte pressione che subiscono i sistemi paygo, dando all’Europa il chiaro messaggio del bisogno urgente di intraprendere subito un’azione in comune. L'effetto dell'aumento del contributo all'aumentare dell'aspettativa di vita è così piccolo che può scomparire con "l'indicizzazione" dell'età standard di pensionamento all'aspettativa di vita. In questo modo l'aumento del contributo compenserebbe il costo derivante dall'aumento del periodo atteso del flusso dei pagamenti della pensione. Nella nostra proposta di riforma (Modigliani-Ceprini), preferiamo mantenere l'eventuale opzione di andare in pensione prima, piuttosto che ad un'età standard, ma con una pensione ridotta, che riflette una contribuzione Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini generale, riserve più alte ridurranno la contribuzione attraverso il tasso di interesse, ma lo aumenteranno attraverso il tasso di crescita. Da ciò si evince che, un sistema a capitalizzazione richiederà una contribuzione più piccola rispetto alla ripartizione, se e solo se, il tasso di interesse eccede quello di crescita. Solo nell’ipotesi in cui il rendimento sia più piccolo della crescita, la capitalizzazione richiede un contributo più alto della ripartizione. Ma, considerati gli attuali sviluppi demografici, è molto improbabile che la crescita ecceda il 2%, mentre serie storiche indicano un tasso di rendimento medio di lungo periodo tra il 4 e 6%. Da ciò appare chiaro che il contributo nella capitalizzazione è più basso rispetto alla ripartizione almeno della metà o 2/3. Secondo, il contributo della ripartizione è molto sensibile al tasso di crescita, specialmente per livelli molto bassi. Se la crescita si riduce, ad esempio per il diminuito tasso di crescita della popolazione come sta avvenendo in diversi Paesi occidentali, allora aumenta il numero di pensionati per attivo (rapporto di dipendenza) e, se non si aumenta il contributo (o si tagliano i benefici), il sistema diventa insolvente. L'Italia, misura uno dei più bassi rapporti di dipendenza, con tendenza al peggioramento nel futuro (entro il 2020 è prevista una natalità zero). L'invecchiamento della popolazione, in tutti i Paesi dell’OECD, richiede quote crescenti del PIL per pagare le pensioni promesse dal V Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini VI minore e un periodo di pensionamento più lungo. Per noi, l'unica variabile ad avere un effetto apprezzabile sul tasso di contribuzione è il tasso di rendimento. E' interessante notare che, per la nostra proposta, una diminuzione di 2 punti nel tasso di rendimento richiederebbe un aumento di 3 punti nel contributo, mentre, con la ripartizione, la stessa diminuzione di 2 punti nel tasso di crescita provocherebbe un aumento di ben 8 punti nei contributi. Terzo, con la capitalizzazione i contributi risultano in un aumento delle riserve fino alla maturità e poi nel mantenimento del rapporto Riserve/Salari. Pertanto, contribuiscono allo stock di Capitale, e del Risparmio, almeno fin tanto che i salari crescono; mentre, con la ripartizione sono usati per pagare le pensioni e consumati dai pensionati, non contribuendo affatto al Capitale Nazionale o Risparmio. In questo sistema una crescita più alta è usata per aumentare i benefici (o abbassare i contributi), alzando il consumo e non il risparmio. Infine, la natura fiduciaria del fondo paygo non permette alcun accantonamento, per cui l’enorme contribuzione obbligatoria è un credito illiquido ed inutilizzabile per i lavoratori fino al pensionamento. Invece, con la capitalizzazione le riserve accumulate nei conti dei partecipanti possono essere usate per autofinanziare temporanei investimenti personali, sullo schema dei noti piani pensionistici americani 401(K). Ma allora, perché tanti Paesi hanno scelto la ripartizione? La spiegazione é semplice. Nella capitalizzazione la pensione é pagata con il capitale accumulato nel conto di ciascun pensionato, pertanto, alla costituzione del fondo chi é già in età pensionabile, ma non ha versato contributi, non riceve nulla; mentre, chi ha contribuito tutta la vita lavorativa riceverà la pensione piena. Invece, nella ripartizione, usando i contributi degli attivi, si riceve, fin dal principio, e indipendentemente dalla anzianità contributiva, la stessa pensione alla quale si avrebbe diritto se fossero stati versati tutti i contributi di una vita lavorativa. Per questa ragione, quando si decide di introdurre un sistema pensionistico obbligatorio universale, la ripartizione è preferita. Ma istituire un sistema a ripartizione significa fare un "trasferimento" a pensionati che, senza aver contribuito, ricevono la pensione a spese delle generazioni future che perdono l’accumulazione di un sistema a capitalizzazione senza aver contribuito a quella scelta. 3. COSTI EQUITÀ INTERGENERAZIONALE: I PROBLEMI ED DELLA TRANSIZIONE Per sostituire la ripartizione con la capitalizzazione bisogna trovare le risorse necessarie a creare le riserve del fondo per coprire le passività.Tale accumulazione rappresenta il costo della transizione che deve essere equamente distribuito tra le correnti nomica. C'è poi il problema dell'equità intergenerazionale perché la generazione della transizione pagherebbe di più per accumulare un capitale che permetterà di pagare di meno alle generazioni future. In realtà questa affermazione è esagerata perché I) anche se fosse necessario un contributo addizionale, il contributo con la capitalizzazione sarebbe comunque inferiore a quello della ripartizione: II) il costo può essere coperto da altre fonti e non necessariamente da un inasprimento dei contributi; III) l’incidenza del costo sulla generazione iniziale può essere ridotta allungando la transizione; IV) il costo può essere ridotto decidendo per una capitalizzazione “parziale”, o sistema misto (parte a ripartizione e parte a capitalizzazione) che, offre maggiore flessibilità in caso di intervento sul problema dell’equità intergenerazionale. 4. CONDIZIONI DELLA C.N.P.R. DOPO LA RIFORMA In generale le Casse professionali sono sistemi che, pur se ancora a ripartizione, funzionano diversamente dai fondi dei dipendenti pubblici e privati, perché, con la riforma del 1992, hanno innescato, o sono in via di attuarli, uno o più dei svariati meccanismi tra i quali l’abolizione di una grossa fetta della quota dedicata all’acquisizione immobiliare (questo è Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini e le future generazioni. Sembrerebbe che durante la transizione i partecipanti debbano pagare due contributi, uno per mantenere le promesse del vecchio sistema, l’altro per costruire il nuovo. Forse, per questa ragione, molti preferiscono mantenere la ripartizione applicando tulle quelle misure necessarie per evitare, o posporre, l’insolvenza: aumento della contribuzione, diminuzione dei benefici, innalzamento degli standard dell’età pensionabile, aumento dell’immigrazione. Quest’ultima, correttamente controllata per non interferire con le politiche di disoccupazione4 , potrebbe aiutare a rialzare quei bassi tassi di dipendenza cambiando sostanzialmente la struttura della popolazione attiva. Se le ultime due misure da sole sono realisticamente insufficienti a risolvere il problema, anche se considerate nell’ambito di una proposta di capitalizzazione; la prima misura non è accettabile considerato l'alto contributo obbligatorio medio Europeo, e la seconda sarebbe troppo impopolare per essere considerata, almeno che non sia resa nota ai partecipanti. Ma, anche se queste misure fossero in grado di farci superare l’immediata insolvenza, esse non ci farebbero modificare il finanziamento paygo che rimane: I) inaffidabile per l'alta sensibilità ai cambiamenti della crescita economica e della popolazione e, II) prospetticamente più caro per la prevista diminuzione della crescita ecoModigliani, Ceprini (2000, 2001). 4 VII Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini VIII un vantaggio enorme che ha fortemente contribuito a formare il surplus di alcune Casse professionali), ed una diversa gestione delle risorse, basata sull’allungamento dell’età pensionabile, sull’applicazione di uno specifico principio contributivo per il calcolo della pensione (una quota fissa più quote variabili per scaglioni di reddito, o volume d'affari, dichiarato), e sulla riduzione del tasso di sostituzione. Tutti fattori positivi che rispecchiano i risultati dichiarati dalle Casse, o meglio dai Fondi dei professionisti. Ma, rappresentano una realtà ben lontana da quella tutt'altro che florida dei dipendenti, che discuteremo nei prossimi paragrafi. Esaminando le previsioni sviluppate dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Ragionieri e Periti Commerciali (in seguito C.N.P.R.) per i prossimi cinquanta anni, si nota la preoccupante diminuzione degli iscritti che la Cassa rischia nelle prossime 2 o 3 decadi. Dai dati (forse un pò eccessivi) emerge con chiarezza il serio problema del calo demografico con conseguente invecchiamento della popolazione che stanno affrontando tutti i Paesi occidentali compresa l'Italia che misura uno tra i più elevati tassi di dipendenza. Questo problema è ulteriormente dimostrato dal picco della fascia giovane dei partecipanti che tra un paio di decadi, come minimo, si troverà al momento del pensionamento. (36/40 anni), anche se, è importante ricordare che il fondo previdenziale C.N.P.R. è un fondo piuttosto giovane. Certo sembra assurdo, guardando il flusso crescente degli iscritti fino ad oggi, accettare un fenomeno del genere, ma onestamente non dipende dalla Cassa, bensì è la Cassa che lo subisce. Con l’eccezione di qualche avvertimento (ad esempio, negli ultimi tre anni, si notano un rallentamento del reddito e del volume d'affari dichiarati e un crescente numero di prestazioni erogate a fronte di un calo di quelle al minimo forse a causa di una inadeguata perequazione, in parte provocati dall'introduzione della riforma, in parte dalla recessione economica ed in parte dalle vicissitudini createsi a seguito dei fatti dell’11 settembre) quasi tutti i dati ad oggi si presentano soddisfacenti, se poi, ad esempio, vogliamo confrontarli con quelli dei fondi pubblici, allora sono addirittura floridi (il rapporto iscritti/pensionati della Cassa è 9/1, quello dei pubblici 1/1). I risultati, secondo i dati a disposizione, offrono alla Cassa il vantaggio del tempo necessario per definire adeguatamente strumenti, tecniche e strategie della manovra da adottare per evitare squilibri futuri. Questi dovrebbero includere: I) un monitoraggio costante e frequente dei dati, in modo da garantire la rapidità di un’immediata informazione e degli interventi; II) una rivalutazione del patrimonio zazione di un sistema previdenziale comune europeo, a favore della mobilità del lavoratore, dipende dai sistemi omogenei veicolati dalla portabilità dei fondi. 5. CONDIZIONI DEL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E PRIVATI PRIMA E DOPO LE RIFORME Prima delle riforme, il sistema pensionistico pubblico italiano era miseramente strutturato, pensato malamente e pieno di ingiustizie principalmente a favore dei ricchi, forse intenzionalmente o forse per ignoranza. Di conseguenza ha generato elevatissimi tassi di contribuzione obbligatoria, oltre il 40% del salario, e 1/3 del costo totale del lavoro (almeno per i lavoratori dipendenti di imprese private ed istituzioni pubbliche, ma ci sono anche contributi di altri fondi con ogni tipo di regole). Gli irragionevoli benefici sono offerti da tre distinti istituti. Il primo, è il corrente sistema a ripartizione INPS, appesantito dal forte effetto dell'invecchiamento della popolazione e dagli alti tassi di sostituzione. Il secondo, in via di estinzione5 , è la pensione di anzianità, che è assolutamente orripilante per chiunque abbia familiarità con i principi attuariali. La pensione di anzianità permette di andare in pensione dopo un certo numero di anni di Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini immobiliare, attualmente in bilancio al costo storico; III) un controllo alla politica di diversificazione del patrimonio mobiliare in bilancio portato globalmente, per garantire un portafoglio altamente diversificato secondo gli studi della moderna finanza; IV) la preparazione di almeno 2 o 3 (conservatore, medio, espansivo) scenari di previsione (fondamentale per un'accurata analisi attuariale); V) l'applicazione del calcolo contributivo usando il tasso di crescita effettivo realizzato ed estendendo l'allacciamento dei contributi alla media dei guadagni percepiti durante la vita lavorativa e non solo sugli ultimi quindici anni, ed infine; VI) analisi dei vantaggi e svantaggi di una possibile fusione tra le casse professionali o quantomeno tra quelle analoghe, sarebbe una strategia per la quale tutti i soggetti che aderiscono beneficerebbero delle economie di scala e di scopo, ma anche e significativamente eliminerebbero il rischio delle passività. A questo punto sarà facile individuare le risorse, o come credo una loro combinazione, per sostituire parte della ripartizione con una quota a capitalizzazione, aumentando l'efficienza di un sistema che già fa la sua parte. In sintesi, un sistema misto, analogo a quello che proponiamo per il fondo dipendenti pubblici e privati, di seguito riportato, perché l’armoniz- Le riforme hanno predisposto l’eliminazione graduale delle pensioni di anzianità dal sistema, che dovrebbero scomparire definitivamente nel 2050. 5 IX Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini contribuzione, ricevendo la stessa pensione piena alla quale un individuo avrebbe diritto se avesse raggiunto l'età ordinaria di pensionamento (vecchiaia), senza riguardo all’età effettiva della persona. L’assurdità5bis delle pensioni di anzianità è ingigantita dal divieto di cumulo, imposto dal Governo per scoraggiare il lavoro dei nuovi pensionati. Come risultato, atteso e inevitabile, è aumentato il lavoro nero e l’evasione contributiva e fiscale. Infine, il terzo istituto, è il TFR che matura al lavoratore il diritto alla liquidazione di un salario mensile per ogni anno di lavoro svolto. Il contributo obbligatorio annuale del 7,70% (1/13) dal salario, è accumulato ad un tasso di interesse contrattuale fissato ad un livello nominale di 11/2% più 2/3 dell'inflazione. In qualunque momento rappresenta un suo prestito all'impresa. Le riforme Amato, Dini, Prodi stanno correggendo alcuni dei difetti sopraindicati, inoltre, stabilendo un graduale taglio dei tassi di sostituzione, tra il 2000 e il 2050, ed un progressivo allacciamento dei contributi alla media dei guadagni percepiti durante tutta la vita lavorativa (metodo “contributivo”), anziché all’ultimo salario (metodo "retributivo").Tutto questo mira ad eliminare, gradualmente (2050) lo scandalo È di questi giorni la proposta del Governo per l’eliminazione totale del divieto di cumulo tra lavoro e pensione, che ci auguriamo venga approvato. Il deficit pensionistico, che oggi è del 2,6% (in aumento fino al 2030 con punte del 6%), scenderà a zero nel 2050. La rimanente parte del 10%, ancora esistente nel 2050, è un deficit di protezione sociale (GIAS); pertanto, dovrebbe essere nella spesa sociale. Per questo motivo non lo includiamo nei dati usati per le nostre simulazioni. La manovra di trasferire volontariamente il 2,50% del TFR a schemi di pensione complementari, come innovativamente disposto dalla Riforma Dini, non ha avuto successo per almeno due ragioni: a) eccessivi contributi obbligatori che non lasciano spazio ad ulteriore risparmio, e b) mancanza di incentivi specifici per investire nei fondi complementari (come discusso nel paragrafo 7). 5BIS 6 X delle pensioni di anzianità. Stranamente, le riforme, per quanto abbiano offerto una migliore eguaglianza, sono state strenuamente ostacolate dai Sindacati, slittati drasticamente verso i pensionati. Le tre riforme, mantenendo la struttura mista del sistema, parte a capitalizzazione (TFR) e parte a ripartizione (INPS, ed altri fondi obbligatori), hanno allontanato il sistema dalla bancarotta e da un pesante drenaggio al Tesoro, introducendo una modifica unica e fondamentale nella componente a ripartizione: i benefici non sono più calcolati usando un predeterminato tasso di crescita fisso dei salari ma usando il tasso di crescita effettivo realizzato. Concettualmente, cambia la natura del sistema da benefici definiti (DB) a contributi definiti (DC). Finanziariamente, rimuove il pericolo dell'insolvenza che sorge da una inconsistenza tra il tasso fisso, usato per calcolare i benefici, e il tasso realizzato. Dal momento che la crescita Italiana è prevista in diminuzione, a causa di un drammatico calo del tasso di natalità e dell'agganciamento della pensione ai contributi, il tasso di sostituzione è previsto in calo abbassando il livello della pensione di almeno 10 punti, anche se a regime il contributo sarà ancora eccessivo6. Proprio un uso più efficiente del PER AUMENTARE LE PENSIONI Ci opponiamo al provvedimento di base che obbligherebbe i lavoratori a trasferire tutto il TFR da un finanziamento a basso rendimento al datore di lavoro a conti individuali in fondi pensionistici privati, una parziale imitazione della privatizzazione Cilena, per le seguenti ragioni7 : I. La proposta del Governo aumenta i benefici pensionistici aumentando la liquidazione del TFR che, nei conti individuali, si accumulerebbe ad un tasso di mercato invece che all'attuale basso rendimento pagato dal datore di lavoro, senza fare nulla per ridurre i contributi e la devastante forbice. II. Il Governo con i conti individuali mette a rischio la pensione dei lavoratori, e la deprime con gli alti costi di gestione. Nella proposta ModiglianiCeprini (MC) il TFR è trasferito in un Nuovo Fondo comune, ad un costo di gestione trascurabile ed un rendimento garantito dal Governo. III. Assicurandosi il TFR per aumentare le pensioni elimina l'unica possibilità per tagliare i contributi. IV. Il guadagno dei lavoratori corrisponde alla perdita dei datori di lavo- ro, che è la differenza tra interesse di mercato e agevolato, meno le alte commissioni ai managers dei fondi. In sostanza è una mera forma di redistribuzione senza giustificazione perché l'effetto netto è negativo (le risorse perse nella poco utile gestione dei conti individuali) e non produce benefici come la riduzione della forbice tra costo del lavoro e busta paga del nostro approccio. V. Infine, la privatizzazione in conti individuali sostituisce lo schema DB con uno DC. Il diritto ad una pensione prevedibile e garantita, è sostituito da un "biglietto della lotteria", performance variabile ed incerta del proprio portafoglio individuale. La pensione dipenderà dalla fortuna nella scelta del proprio portafoglio, o dalla data di pensionamento, o dall'andamento del mercato. Imporre, o incoraggiare, la gente a rischiare la propria pensione, è inconciliabile con lo spirito di un sistema pensionistico pubblico, che tende ad assicurare una pensione minima. Invero, se si comprende che la privatizzazione non privatizza l'ammontare e il tempo della contribuzione, e limita severamente le scelte del portafoglio, si deve concludere che la privatizzazione privatizza la cosa sbagliata: il rischio! Un altro effetto indesiderabile è la creazione di disuguaglianze artificiali nella distribuzione della pensione. Nei portafogli individuali la media dei rendimenti di tutti i portafogli è simile al Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini TFR ha indirizzato la nostra soluzione, ma, prima di procedere rivisiteremo la riforma che senza successo è stata proposta dal precedente governo, nuovamente ipotizzata da quello in carica. 5.1 PROPOSTA DEL GOVERNO: TFR IN PORTAFOGLI PRIVATI Modigliani, Ceprini (2002, 2002a). 7 XI Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini XII rendimento dell’intero mercato, che è esattamente quello del nostro portafoglio comune. Ma i rendimenti dei singoli portafogli misurano larghe dispersioni a parità di contribuzione, appesantite dagli inutili costi di gestione dei fondi.Alcuni faranno meglio ed altri peggio e, purtroppo, tra questi ci saranno molti il cui reddito è troppo basso per permettersi un rischio del genere. Per ovviare al danno secco che i datori di lavoro subirebbero con la manovra, il governo offre loro alcune misure che avrebbero l’effetto di spostare parte del costo dalle imprese ad altri soggetti. La prima è una modesta de-contribuzione (3-5 punti) per i nuovi assunti precedentemente disoccupati. L'effetto dell'impatto della manovra è incerto: nel breve periodo potrebbero anche aumentare le entrate dell'INPS se l’aumento dell'occupazione del gruppo dei nuovi assunti fosse proporzionalmente maggiore della riduzione del contributo; ma, nel lungo periodo creerebbe un ulteriore deficit. La seconda è una promessa di offrire ai datori di lavoro un prestito speciale per ricollocare quello perso con il TFR. Ma non si capisce come tale promessa possa essere mantenuta, data l’integrazione dei mercati finanziari Europei, almeno che il governo offra una garanzia sul prestito privilegiato o paghi la differenza fra tasso agevolato e tasso di mercato, aumentando il deficit di bilancio. Possiamo concludere che l'aumento della pensione, proposto dal Governo senza cambiare l'alto tasso di contribuzione, è un "regalo" ai lavoratori (e ai fondi pensione) a spese dei datori di lavoro, delle banche, dei contribuenti, ed apparentemente, dei parasubordinati, il cui contributo obbligatorio aumenterebbe dal 13 al 17% per garantire la copertura finanziaria delle manovre. 5.2 PROPOSTA MODIGLIANICEPRINI (MC):TFR DA PRESTITO ALL'IMPRESA A PRESTITO AL NF PER DIMINUIRE I CONTRIBUTI La proposta MC riduce i contributi, mantenendo inalterati i benefici promessi dalla Dini, e consiste nel "ridirigere" il TFR da prestito obbligatorio al datore di lavoro a prestito obbligatorio al Nuovo Fondo (NF) essenzialmente alle stesse condizioni. Il contributo TFR del 7,50% continuerebbe ad essere raccolto dai datori di lavoro ma trasferito al NF dove verrebbe accumulato ad un tasso di interesse composto e restituito al momento del pensionamento alle stesse condizioni dei datori di lavoro, preservando il diritto del beneficio della liquidazione.Tale diritto può essere compensato anticipando liquidità, sull’esempio dei fondi pensione americani 401K, con l'offerta di prestiti sulla base delle proprie riserve che, accumulate nel conto di ciascun partecipante servirebbero come linea di credito, con rigide regole di restituzione, dipendenti dalla natura del prestito. Il tasso a carico dovrebbe essere commisurato a quello che i partecipanti guada- La proposta MC condivide con la privatizzazione l’idea di passare alla capitalizzazione (anche se parziale) dove i contributi investiti in attività finanziarie rappresentano le risorse per pagare le pensioni, mantenendo lo schema DB e rigettando quello DC, così come le redistribuzioni causali del reddito. Due strumenti garantiscono DB reali (esclusi gli aggiustamenti a fini redistributivi). Il primo, investe i contributi in un portafoglio comune diversificato, rappresentativo dell’intero mercato, con azioni e obbligazioni rispettivamente di circa 2/3 ed 1/3, gestito ad un costo molto basso sotto la supervisione di una commissione di esperti prestigiosi (per garantire la trasparenza della gestione). Il secondo, un "swap" tra il NF ed il Tesoro, scambia il rendimento incerto del portafoglio di mercato dietro pagamento del Tesoro di un rendimento reale fisso (5%lordo) prudentemente al di sotto del rendimento di mercato reale atteso (prima delle tasse). In questo il rischio che il rendimento di mercato si scosti da quello garantito dal NF è trasferito allo Stato che, con la sua dimensione e vita infinita, è in una posizione migliore per assorbire questo rischio; inoltre, può spalmare il rischio di un singolo portafoglio su un’intera generazione, e quello di una generazione di lavoratori su molte generazioni. Ma soprattutto, potrebbe assumere il ruolo di assicuratore di ultima istanza, dando finalmente sicurezza ai più anziani. Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini gnano nei loro conti del NF aumentato delle commissioni di gestione del portafoglio. Se il diritto al prestito debba essere illimitato, come nel piano Americano, o limitato ad una lista di necessità specifiche, è questionabile, ma per qualunque tasso la lista dovrebbe essere generosa, considerando che la prudenza di prendere a prestito è incoraggiata dall'obbligo della restituzione. E questo obbligo potrebbe ben essere un miglioramento nel sistema Italiano del prelievo opzionale, dal momento che protegge i benefici pensionistici. In questo modo, il NF non è finanziato dal TFR, che è restituito al momento del pensionamento, ma dalla differenza tra il rendimento aggiustato del suo portafoglio e il tasso agevolato al quale è preso in prestito. Rimane da risolvere il problema di una compensazione adeguata ai datori di lavoro che perderebbero il beneficio di un credito a basso costo, diversamente la riforma risulterebbe in un inaccettabile mero trasferimento di risorse dal datore di lavoro al lavoratore. Tale compensazione corrisponde al debito del TFR moltiplicato la differenza tra tasso di mercato e tasso agevolato, a sua volta approssimativamente uguale al guadagno dei partecipanti, slittando il TFR dal datore di lavoro al NF comune, in modo che possa disporne come risorsa necessaria per abbattere i contributi. Inoltre, il trasferimento avrebbe l'effetto benefico di ridurre la forbice e di assicurare un più stabile contributo obbligatorio. XIII Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini 5.3 CAPITALIZZAZIONE: PRIVATIZZAZIONE (GOVERNO) O COMPARTECIPAZIONE DEL RISCHIO (MC)? In almeno cinque profili la privatizzazione del portafoglio e del rischio (Governo) è inferiore alla compartecipazione del rischio in un portafoglio comune (MC): I) Sostituisce lo schema DB (pensione sicura) con quello DC (pensione aleatoria); II) Conduce ad arbitrarie redistribuzioni del reddito; III) Rende difficile uno schema a benefici progressivi e mean-tested; IV) Tende ad aumentare il gap tra ricco e povero in due modi: a) il ricco ha maggiore esperienza, migliore informazione, ma soprattutto migliore assorbimento dei rischi realizzando rendimenti più alti; b) la pensione basata sui portafogli individuali eliminerebbe ogni forma di redistribuzione della ricchezza, nella quale una frazione dell’accumulazione del ricco oggi è usata per sostenere la pensione del povero; V) Sacrifica una significante porzione della pensione per le commissioni di gestione dei fondi individuali, specie dei piccoli portafogli. Questo è confermato dall’esperienza del SudAmerica dove le commissioni dei conti (ampiamente oltre 2,5%) sono molto più alte rispetto al basso costo di gestione (circa 1%) del nostro portafoglio comune. La Tavola 1 allegata mostra che iniziamo a tagliare i contributi a partire dal primo anno come il NF comincia a maturare i primi "vitalizi" da trasferire all'INPS fino al 2050, quando il NF raggiunge il contributo di equilibrio del 23% (TFR incluso). I risultati simmetrici (Tavola 2 e Grafico) mostrano chiaramente costi e benefici dei differenti obiettivi: l'obiettivo del Governo è di aumentare le pensioni di quasi 9 punti percentuali al costo permanente del 40%; l'obiettivo della proposta MC è diminuire i contributi di altrettanti 9 punti (40% in meno). Riduzione che dovrà essere distribuita tra i partecipanti. I lavoratori liberamente decideranno se investire la loro quota in un "secondo pilastro" – in conti individuali in fondi pensione approvati8 , a seconda delle loro preferenze e grado di assunzione del rischio. Il nuovo sistema ricreerebbe fiducia nei sistemi pubblici pensionistici, particolarmente rilevante per i giovani che oggi pensano che in futuro, per loro, non ci saranno più benefici. 5.4 CHI SOSTERRÀ IL COSTO DELLA RIFORMA ? Concettualmente, il guadagno dei lavoratori corrisponde esattamente alla perdita dei datori di lavoro, cioè l'ammontare del prestito moltiplicato per la differenza tra il tasso "di opportunità di mercato" e il tasso contrattuale fisso del TFR. Ciononostante, 8 Come il contributo del pilastro obbligatorio scende, il comportamento dei lavoratori potrebbe essere più favorevole a partecipare in piani pensionistici complementari, allo scopo di assicurarsi un più alto reddito e mantenere i loro standard di vita durante il pensionamento. XIV XV Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini Tavola 1 Tavola 2 Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini XVI Aliquota di equilibrio INPS, (col.1), Sussidio statale o deficit (col.2), e contribuzione INPS con la proposta MC (col.4) sono calcolati al netto della quota sociale GIAS del 10%. La (col.6) rappresenta l’accumulazione di tutto il TFR (7,50%) nel NF, ad un tasso composto del 4%, di cui, per la proposta MC, una parte (col.3) è usata per diminuire i contributi obbligatori INPS, ed una parte (col.5) per liquidare il TFR, ad un tasso di interesse composto del 1%. Infine, la (col.7) rappresenta il trasferimento di tutto il TFR (7,50%) al NF. Il ritardo interesse è al tempo (t-1) del NF. (a) I contributi includono la contribuzione obbligatoria all’INPS e per il TFR (7,50%). (b) Riforma Dini a regime: La contribuzione del 31,94% include: a) il 24,44% dell'INPS, b) il 5% del TFR (trattenuto dall'impresa a titolo di finanziamento), e il 2,50% del TFR alla previdenza complementare in conti individuali volontari, disposto dalla Dini. I benefici includono: la liquidazione, al tasso di interesse composto del 1%, della quota TFR del 2,50% che si azzera per l’impresa; più la liquidazione, al tasso di interesse composto del 1%, della quota TFR del 5% che rimane a carico dell’impresa secondo regole stabilite con i lavoratori. (c) Proposta riforma Governo a regime: La contribuzione del 31,94% include il 24,44% dell'INPS e tutto il 7,50% del TFR alla previdenza complementare in conti individuali obbligatori in fondi privati. I benefici includono la liquidazione di tutto il TFR, all’interesse composto del 1%, che si azzera per l’impresa; più b) i benefici che maturano, al tasso di interesse composto del 4%, trasferendo tutto il TFR in C.I. obbligatori in piani privati. (d) Proposta riforma MC a regime: La contribuzione del 23,01% comprende il 15,51% dell'INPS, e tutto il TFR (7,50%), versato nel Nuovo Fondo (NF) parzialmente per abbattere la contribuzione obbligatoria INPS, e parzialmente per liquidare tutto il TFR, al tasso di interesse composto del 1%. imprese devono essere indennizzate perdendo il prestito del TFR. Il Governo ha suggerito di coprire questa perdita con una "de-contribuzione", noi suggeriamo di ripartire la riduzione del 9% nel 7%, o quasi, per diminuire i contributi dei lavoratori (più alta busta paga); il rimanente 2%, o quasi, come "de-contribuzione", trattenuta dall'impresa a titolo di indennizzo per la perdita del TFR. 6. UNA SOLUZIONE ALTERNATIVA PIÙ RADICALE La proposta di riforma MC tende a ridurre l'enorme peso dei contributi trasformando il TFR da un prestito alle imprese ad un investimento in un fondo comune con un rendimento più alto e intende utilizzare poi la differenza tra i rendimenti per una graduale riduzione dei contributi (aggiustata della perdita subita dai datori di lavoro). Si deve notare che con un costo del lavoro invariato, un contributo più basso è equivalente ad una busta paga più alta. Ma, bisogna riconoscere che la proposta MC non è la sola via possibile per ridurre i contributi. Una alternativa ovvia è quella di "abolire il TFR" come prestito obbligatorio al datore di lavoro, oppure, che è la stessa cosa, permettere al datore di lavoro di trattenerlo, ma poi restituirlo al lavoratore. Ciò significa che ci sarebbe un immediato abbattimento dei contributi (aumento della busta paga) uguale (o aggiustato) all'ammontare del contributo Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini l'ammontare corrente del guadagno e della perdita può essere abbastanza differente, per le parti, a causa della differenza tra l'ammontare preso a prestito e dato in prestito, e del tasso di opportunità. Rispetto al primo, il debito TFR verso i lavoratori, che le imprese devono sostituire perdendo il TFR, dipende dall'ammontare del debito accumulato verso ciascun lavoratore. Questo, a sua volta, dipende dalla lunghezza del servizio di lavoro con lo stesso datore, o anzianità al tempo della liquidazione. Ogni qualvolta un lavoratore se ne va, o cambia lavoro, il debito del datore è ripagato. Nelle nostre simulazioni abbiamo assunto una lunghezza standard di servizio di 40 anni ed un rendimento di mercato lordo del 5%. Queste assunzioni implicano un guadagno del 9%, ma sono inappropriate per calcolare la perdita delle imprese per rimpiazzare il prestito del TFR. Primo, l'attuale durata di servizio con lo stesso datore di lavoro è di gran lunga inferiore ai 40 anni, probabilmente 20, sicché il debito da rimpiazzare è più piccolo di quasi la metà. Secondo, supponiamo che il governo possa aiutare l'impresa ad assicurarsi il necessario credito da rimpiazzare a condizioni favorevoli, per esempio, attraverso un'effettiva garanzia. Quindi, considerando che l'impresa può rimpiazzare il tasso reale del 1% con qualcosa come il 3%, troviamo che il costo può essere stimato intorno al 2-3% dei salari, e questo è l'ammontare per il quale le XVII Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini XVIII per il TFR. Questo ribasso è immediato e costante nel tempo. "L'abolizione del TFR" e la proposta del Governo, entrambe sottraggono il TFR al datore di lavoro.Tuttavia, nella proposta del Governo deve essere forzatamente investito in un fondo di pensione autorizzato dove rimane illiquido fino al pensionamento; mentre, con "l'abolizione", il lavoratore può decidere liberamente che cosa fare con l'ammontare che riceve oggi per sempre (potrebbe avere un forte incentivo ad investire una parte in un fondo pensione volontario, considerando le risorse disponibili addizionali e la perdita dei benefici causata "dall'abolizione" del TFR). Quale sistema è preferibile? La risposta dipende a chi si vuole lasciare la libertà di scelta: all'individuo, alla società, oppure parzialmente al lavoratore? Forse quest'ultima è la scelta preferibile. Infine, confrontando l'abolizione con la proposta MC, queste hanno in comune l'obiettivo di ridurre i contributi, ma il sentiero della riduzione è piuttosto differente: con "l'abolizione" la riduzione è immediata del 7,50% e rimane per sempre; nella proposta MC, il sentiero dell'abbattimento non è necessariamente unico, e saranno necessarie almeno 2 decadi prima che l'abbattimento eguagli quel (7,50%), ma, alla fine lo supererà e raggiungerà il suo punto di equilibrio. Chiaramente questi differenti sentieri hanno implicazioni molto significa- tive riguardo al problema dell'equità intergenerazionale. "L'abolizione" del TFR è molto più favorevole ai lavoratori anziani al tempo della riforma. Inoltre, "l'abolizione" fa perdere i benefici del TFR che sono mantenuti dalla proposta MC, ma questi possono essere acquisiti investendo una parte dell'abbattimento in qualche fondo privato. Il fatto che l'abbattimento sia più veloce della proposta MC suggerisce la probabilità di uno sviluppo più rapido del blocco dell'attività del NF, la qual cosa merita una seria considerazione. 7. IL SECONDO PILASTRO DEL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO La riduzione dei contributi obbligatori libera un'apprezzabile porzione di risparmio parte della quale potrebbe essere investita volontariamente dai lavoratori in qualche fondo pensionistico privato. La Riforma Dini disponeva innovativamente il trasferimento volontario di una quota del 2,50% del TFR in fondi pensione complementari. Ma la manovra non ebbe successo almeno per due motivi: I) eccessivi contributi obbligatori che non lasciano spazio ad un ulteriore investimento di risparmio, II) piani pensionistici privati fiscalmente disincentivanti. Secondo il nostro punto di vista, una revisione alla legge corrente dovrebbe tener conto di quattro punti essenziali per garantire il principio CONCLUSIONE: DAL 2000 AL 2050 La conclusione è che una soluzione razionale di lungo periodo alla domanda di come finanziare le pensioni obbligatorie dei fondi pubblici o delle Casse professionali in un futuro prevedibile, è quella di affidarsi interamente ad un sistema misto del tipo a Benefici Definiti, dove la componente a capitalizzazione è basata sulla compartecipazione del rischio in un portafoglio comune, secondo le linee che abbiamo suggerito. Invece, rimane aperta la discussione riguardante i metodi ed i tempi della transizione, anche se la risposta appropriata a queste delicate domande può essere data solo all'interno di un contesto istituzionale specifico (come abbiamo fatto per gli USA, l’Italia, e la Spagna). Il coraggio di realizzare una riforma comune europea della previdenza sociale bisogna trovarlo ora, proprio perché è urgente. In questo momento, infatti, si offre all’Europa l’opportunità unica: intraprendere riforme coordinate che risultino poi integrate in un sistema pensionistico pubblico comune, capace di offrire a tutti i lavoratori europei quel giusto trade-off tra generosità e onerosità del sistema. Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini fondamentale della libertà individuale9 . Primo, i lavoratori dovrebbero liberamente entrare in Fondi Aperti o di categoria, ricevendo gli stessi benefici. Secondo, ogni partecipante dovrebbe avere il diritto di gestire un proprio portafoglio in alternativa ad un fondo e, Terzo, il diritto di autofinanziarsi attraverso un prestito personale dal proprio conto, secondo regole specifiche. Quarto, i contributi al fondo dovrebbero essere esenti da tasse, sempre secondo regole definite. Ovviamente, l'esenzione dovrebbe essere applicata anche al rendimento del capitale nel fondo; mentre, i benefici dovrebbero seguire i criteri delle attuali leggi Europee, in attesa di una Legge in comune per l'intera Zona dell'Euro. Particolarmente, il quarto punto della revisione focalizza una differenza fondamentale tra la normativa fiscale italiana e quella americana in materia di piani pensionistici volontari. Per la prima, sono tassati sia l'investimento, cioè il contributo al fondo, che il rendimento del capitale nel fondo. Per la seconda, invece, sono tassati i benefici, in altre parole, quando il capitale esce dal fondo viene tassato come normale fonte di reddito. Inoltre, l'approccio americano matura tutti quei vantaggi tipici in una tassazione progressiva, importante per i pensionati che tendono ad avere un reddito più basso rispetto al tempo in cui erano lavoratori10 Ceprini, Modigliani (1998a). Ceprini (2002b). 9 10 XIX Armonizzazione delle riforme per un sistema pensionistico comune nell’intera Zona dell’Euro di Marialuisa Ceprini Bibliografia XX Ceprini, ML., Modigliani, F. Ceprini, ML. Modigliani F. Modigliani, F., Ceprini, ML. Modigliani, F., Ceprini, ML., Muralidhar, A. (1998a). Fondi Pensione: L’Italia è sulla strada sbagliata. Ed. Il Sole 24 Ore, Febbraio 19, 1998. (1998b). Social Security Reform: una proposta per l’Italia, Economia Italiana, Rivista Quadrimestrale,Anno 1998, Numero 2, Maggio-Agosto, 275-305. (2000a).Welfare:The solution is In Europe. Unfortunately, the Government burns the TFR and postpones the pension reform. Ed. Il Sole 24Ore, Febbraio 17, 2000. (2002b). Managing investor’s expectations in private pension funds. Forthcoming in Review Wirtschafts Politische Blatter No.9, 2002. (1966).The Life Cycle Hypothesis of Saving, the Demand for Wealth and Supply for Capital, ed. Social Research No. 2, 1966. (1998c). “Riforma della Social Security, una proposta per l’Italia”, Rivista delle condizioni economiche in Italia. Ed. Banca di Roma, No 2, 1998, 177-201. (1998d) Un graduale cambiamento dalla ripartizione alla capitalizzazione. Ed. Il Sole 24 Ore, Dicembre 17, 1998. (1999a). Sistemi pensionistici a confronto: proposte per l’Italia. Atti del seminario tenuto presso la Banca di Roma con l’Università di Roma, Giugno 1999. (1999c). Come salvare I rendimenti e diminuire I contributi. Il Corriere della Sera, Settembre 1999. (2000). “La Riforma del Sistema Previdenziale, Un Patto tra le Generazioni, Una Sfida per il Paese”. Saggio pubblicato negli atti della conferenza tenuta presso la Confcommercio (Marzo 2000). (2000b). A Misguided Monetary Policy bears the main responsibility for the European unemployment. Review of Economic Policy Vol. XC LuglioAgosto 2000 of Confindustria. Reprinted by McMillan economic series 2000.Working paper WEL (World Economy Laboratory) at MIT No. 03, 2000. (2002).An alternative to the irresponsible proposal of the Government. Ed. Corriere Economia - IL Corriere della Sera, No. 3, Gennaio 28, 2002. (2002a).The Reform of the Government is irresponsible. L’Unità, No. 41, Febbraio 12, 2002. Reprinted by Rassegna CGIL No. 7, 2002; e Conquiste del Lavoro CISL, Febbraio 2002. (2002b). Un sistema pensionistico comune Europeo. Capitalizzazione: Privatizzazione o Compartecipazione del rischio in un portafoglio comune. Assoprevidenza n.9,2002. (2002b). A common European Pension System. Capitalization: Privatization or risk sharing in a common portfolio. Review Wirtschafts Politische Blatter No.9, 2002. (1999-2001). 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Si tratta di un dato di fatto positivo purché non ci si faccia condizionare dai fiumi di parole (e di scritti) che creano confusione, non producono proposte e fanno smarrire la via del traguardo da raggiungere: la razionalizzazione di tutto il vastissimo panorama previdenziale, basato sulla corretta predisposizione dei mezzi finanziari necessari e sulla utilizzazione degli stessi, che dovrebbe tendere al riconoscimento di rendite pensionistiche decorose per tutti. - Il secondo punto è uno degli inevitabili limiti dell’animo umano: la tendenza di ciascuno a curare il proprio “particulare” senza interessarsi di quant’altro accade intorno a noi. - Quanto affermato al terzo punto, la preoccupazione delle giovani classi appare del tutto giustificata, tenuto conto degli scenari macroeconomici e del quadro sociale in continua evoluzione, non sempre positivo. Personalmente, oggi esprimo il mio pensiero con un pizzico di ottimismo in più rispetto a qualche mese fa, e con una sostanziale soddisfazione. Soddisfazione maturata nel registrare che, finalmente, la categoria dei ragionieri commercialisti ha varato la “sua” riforma previdenziale. Una riforma fortemente voluta da molti, giovani e meno giovani, ma soprattutto da chi, presa coscienza dei problemi esistenti, ha ritenuto che andava ristabilito un equilibrio tra entrate contributive e prestazioni erogate. l’opinione L ’argomento previdenza, in particolare le pensioni, è diventato ormai una sorta di campo di esercitazione, cui nessuno intende far mancare il proprio contributo. La ratio di tale fenomeno è da ricercare: 1) nel fatto che non esiste previdenza e non si può ragionare in materia pensionistica, senza tener conto della enorme quantità di mezzi e di interessi finanziari necessari per affrontare tutti i problemi connessi; 2) nell’aspirazione, il desiderio o la speranza di ottenere il massimo possibile ed al più presto, di tutti coloro che, lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti (pubblici e privati), sono in procinto di raggiungere la meta della tanto attesa rendita pensionistica; 3) nella preoccupazione delle giovani generazioni che, non a torto, vedono agitare da più parti lo spettro del dissesto finanziario dei fondi pensione. - Il primo punto è senza dubbio il frutto della diffusione della cultura collettiva, carente nei tempi passati, orientata ad ottenere il soddisfacimento delle istanze sociali al riconoscimento della 37 l’opinione 38 L’Unione Giovani Ragionieri, su questo tema, ha da tempo assunto una posizione netta e coerente, manifestata in più occasioni, e da sempre ha rincorso un obiettivo condiviso: ristabilire un’equità nel sistema previdenziale in vigore fino ad oggi. I giovani, sicuramente più interessati alle sorti della propria Cassa di Previdenza, hanno presentato le loro istanze, le loro proposte ed espresso il loro disagio. Insomma hanno fornito, senza dubbio, il loro contributo al dibattito apertosi all’interno della categoria. Dibattito che, in alcuni momenti, ha dato l’impressione di rimanere circoscritto ad un mero e futile scontro generazionale. Fortunatamente, le reali motivazioni ed i problemi di fondo sono emersi ed hanno preso il sopravvento su tutte quelle interpretazioni errate che si volevano attribuire al problema. Le nostre istanze sono state quindi accolte, quasi totalmente, e la delibera dell’assemblea dei delegati del giugno scorso, rappresenta la manifestazione di un grande senso di responsabilità, di maturità e di consapevolezza. Oggi siamo portati a guardare il “tema previdenza” con un occhio più tranquillo. Il sistema di finanziamento a capitalizzazione con il calcolo contributivo delle prestazioni, è il sistema in equilibrio per natura, e che nulla regala. Per questi motivi la nostra visione è di una previdenza più serena, pur consapevoli, nel contempo, che i problemi non sono terminati. I rendimenti ottenuti dai versamenti contributivi saranno decisivi per il successo di questo sistema e nella determinazione delle prestazioni obbligatorie. Siamo pertanto consci che occorrerà un’ottima gestione delle risorse correnti e patrimoniali ma certi che i vertici della nostra Cassa di Previdenza, sapranno gestire il “nostro” patrimonio con oculatezza e raziocinio. *Presidente Unione Nazionale Giovani Ragionieri Chi è... Massimo Lusuriello Massimo Lusuriello, nato a Genova, 39 anni, sposato, un figlio, esercita la professione di ragioniere commercialista a Genova ed è iscritto al Collegio dei Ragionieri dal luglio 1985. Già Presidente dell’Unione Giovani Ragionieri di Genova, ricopre la carica di Presidente dell’Unione Nazionale Giovani Ragionieri Commercialisti dal 7 novembre 1998, essendo al suo secondo mandato. L’intervento di Silvano Piccininno al Comitato dei Delegati del 21 giugno 2002 Gli aspetti giuridici della riforma previdenziale I La sede della Corte Costituzionale stessa Corte Costituzionale ha superato, ripetutamente e, direi, costantemente, questa primitiva impostazione. La Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che quando vi sono esigenze di bilancio e di equilibrio finanziario che mettono in discussione se non anche la sopravvivenza dell’ente, certamente la capacità dell’ente di far fronte ai futuri impegni relativi alle prestazioni garantite dalla Costituzione, in questo caso occorre trovare un equilibrio fra esigenze di tutela dei soggetti ed esigenze di garanzia di quella stessa tutela nei confronti della generalità dei soggetti, cioè di tenuta del sistema, che è nell’interesse della stessa garanzia di tutela evidentemente. Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale, ma anche quella ordinaria, ormai si è attestata su posizioni sufficiente- mente chiare e cioè che l’unico limite realmente esistente agli interventi sui sistemi esistenti, cioè sugli ordinamenti vigenti, è quello dato dagli effetti patrimoniali già verificatisi, per cui è giunta a sostenere che è possibile intervenire anche sui trattamenti già in atto, naturalmente soltanto in ordine ai ratei futuri di questi e non anche per il passato (C. Cost. n. 211 del 1997). E allora, nel momento in cui ci si pone il problema di introdurre un sistema a capitalizzazione, occorre chiedersi se possiamo introdurlo solo per il futuro o anche per il passato, così come possiamo e dobbiamo chiederci se le misure che vogliamo adottare, come quelle che abbiamo sentito ipotizzare, di interventi, peraltro, cauti sia sul versante dei contributi che delle prestazioni (una diversa definizione delle pensioni di anzianità, un regime di sospensio- riflessioni/5 l passaggio da un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione pone un primo quesito: quali interventi l’ordinamento ci consente di adottare con gli strumenti oggi esistenti? Il problema più semplice e più immediato è che quando si interviene su un sistema previdenziale, l’elemento primo con il quale occorre fare i conti sono, inevitabilmente, i princìpi costituzionali che disciplinano la materia; infatti, non possiamo dimenticarci che siamo un ente privatizzato che gestisce una forma pubblicistica di assicurazione sociale obbligatoria che rientra di pieno diritto nella tutela garantita dall’articolo 38 della Costituzione. E quindi il primo problema che ci siamo posti è se e nell’eventualità in che misura i princìpi costituzionali possano costituire un limite o comunque determinare significativamente le possibili scelte davanti a noi. Ci siamo ovviamente imbattuti per prima cosa nel problema, noto a tutti dei cosiddetti diritti acquisiti, e anche qui abbiamo cercato di fare un po' di chiarezza in una giurisprudenza costituzionale che risale ormai a più di 15 anni fa. Dopo alcune pronunce iniziali, in specie la sentenza 349 del 1985 in cui si diceva che non era consentito al legislatore di modificare arbitrariamente le regole in prossimità dell’avvicinarsi del traguardo della pensione, perché al di là dei diritti occorreva tenere conto anche delle aspettative in fase ormai troppo avanzata, la 39 riflessioni/5 40 ne, di congelamento, di rimodulazione della perequazione automatica delle pensioni), trovino anch’esse un limite nei princìpi costituzionali. Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale è ricca, ma qui basta ricordare che, per quanto riguarda la pensione di anzianità, la Corte Costituzionale, più di una volta, ha detto che non esiste una garanzia costituzionale dell’evento generatore di bisogno “anzianità”, mentre esiste una garanzia costituzionale degli eventi generatori di bisogno, “vecchiaia”, “invalidità” e “morte” (oltre. agli altri contemplati poi per altre forme di assicurazioni nel sistema dell’art. 38 della Costituzione). E quindi, da questo punto di vista, noi abbiamo la consapevolezza di poter intervenire su questo tipo di prestazioni, così come abbiamo la consapevolezza di poter intervenire con meccanismi di rimodulazione certamente ma anche - se necessario per esigenze finanziarie - di temporaneo congelamento o sospensione, del meccanismo di perequazione. Ed infatti ancora una volta la Corte Costituzionale ha ammonito che se anche è vero che c’è un principio secondo cui le prestazioni devono essere e devono mantenersi nel tempo “adeguate”, è altrettanto vero che questo non significa di necessità, automatismo nell’adeguamento e soprattutto automatismo nell’adeguamento integrale al costo della vita, dal momento che il legislatore ha una ampia discrezionalità di intervento, essendogli precluso soltanto di eliminare radicalmente e permanentemente ogni meccanismo perequativo. Se, quindi, fondamentalmente limiti troppo significativi dal punto di vista costituzionale possiamo dire che non ne esistano, più complesso e più delicato è il problema di verificare se esistono limiti nell’attuale ordinamento, derivanti dalla legge ordinaria, visto che noi non siamo legislatori ma siamo enti privatizzati ai quali per altro la legge (il decreto legislativo n. 509 del 1994) garantisce una autonomia che non esito a definire anche normativa. Ed infatti, quando nell’articolo 2 comma secondo si dispone che “ La Corte Costituzionale ha detto che non esiste una garanzia costituzionale dell’evento generatore di bisogno “anzianità”, mentre esiste una garanzia per “vecchiaia”, “invalidità” e “morte” in atto, a mio giudizio, non significa immodificabilità della gamma di prestazioni che l’ordinamento già contempla; il mantenimento dell’attività istituzionale in atto riguarda innanzitutto i soggetti ai quali quella attività fino allora per legge si era rivolta e, significa, inoltre, mantenere gli interventi di tutela sociale nei confronti degli iscritti. Del resto, se invece la legge avesse voluto diversamente, invece di parlare di mantenimento dell’attività in atto avrebbe parlato di mantenimento delle prestazioni o del regime di prestazioni in atto. Quindi anche da questo punto di vista a me pare che non sarebbe impedito dal dettato normativo del decreto 509 in ipotesi un intervento sulla gamma delle prestazioni sia di tipo trasformativo, sia di tipo sospensivo o, in ipotesi estrema, anche abolitivo della pensione di anzianità, non delle altre pensioni perché, come ho detto, queste hanno un regime di garanzia costituzionale. Ma, posto che, in buona sostanza, la nostra autonomia ci consentirebbe di intervenire su questo versante, dobbiamo ancora verificare su quali altri versanti la nostra autonomia ci consentirebbe di intervenire, perché dobbiamo fare i conti con la nota norma dell’articolo 3, 12° comma della legge 335 del 1995 che detta alcune regole fondamentali per gli enti previdenziali privatizzati, e in particolare detta la regola del principio del pro-rata. Quindi quello che avevamo visto non costituire un ostacolo costituzionale, cioè l’introduzione di nuove norme anche per chi deve ancora andare in pensione, in ordine a quello che è l’assetto vigente e quindi con riferimento anche all’anzianità maturata, qui invece ” occorre comunque realizzare l’equilibrio finanziario, è evidente che l’equilibrio finanziario si può realizzare evitando il rischio del commissariamento e del successivo scioglimento, solo agendo sulle due leve, quella relativa alla contribuzione e quella relativa alle prestazioni: affidare la manovra di riequilibrio soltanto a criteri di mera gestione amministrativa o contabile, evidentemente non è possibile. D’altro canto è anche vero che quel decreto pone alcuni limiti su almeno due punti, ma su questi punti noi non interverremo: mi riferisco alla obbligatorietà dell’iscrizione (lo ha già detto anche la Corte Costituzionale con la sentenza 248 del ’97) ed al mantenimento dell’attività istituzionale in atto al momento in cui l’ente è stato privatizzato. Qui bisogna intendersi: il mantenimento dell’attività istituzionale nazionale e generale, la possibilità di rimodulare e/o sospendere temporaneamente alcuni istituti, ad esempio il meccanismo della perequazione automatica, che oggi viene accordata nella misura del 100% laddove, come voi sapete, nella assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni sostitutive ed esclusive di essa “ Da parte della Cassa è stato deciso di fare un salto di qualità realizzando il primo esempio, a memoria d’uomo, di un passaggio dalla ripartizione alla capitalizzazione pura sistema di capitalizzazione virtuale, come è già stato definito, o di calcolo della pensione col sistema contributivo prefigurato dalla legge 335. Ma da parte della Cassa è stato deciso – come ha ricordato molto bene il Prof. Cazzola all’inizio e anche poi il Prof. Ottaviani – di fare un salto di qualità, realizzando il primo esempio, a memoria d’uomo, di un passaggio dalla ripartizione alla capitalizzazione pura, cioè all’accumulo reale di contribuzioni, di montanti contributivi, per i quali poi si porrebbe, come è già stato detto, un problema di nuove regole per i relativi investimenti a garanzia degli interessi degli iscritti. Orbene, se vogliamo introdurre un sistema a capitalizzazione, cioè qualcosa di più del sistema di calcolo contributivo previsto dalla 335, dobbiamo porci il problema se questo sia consentito dalle norme appena ricordate. Queste norme devono essere lette criticamente e con intelligenza, al di là del dato testuale che fa riferimento alla legge 335. Perché? Perché in realtà, a base della deliberazione di carattere generale di operare il passaggio al sistema a capitalizzazione, esiste – ce lo dicono gli attuari – un problema finanziario non eludibile per la tenuta stessa del sistema e per la garanzia delle future prestazioni, conseguente all’andamento demografico in freno, nonché all’attuale regime della professione. Se questa esigenza è reale, dobbiamo trovare tutti gli spazi di praticabilità che la legge ci consente per ovviare a questa esigenza reale, forti del convincimento che questa esigenza è già ben presente nel sistema legislativo sia della legge n.335 del ” (anche degli autonomi), viene calcolata sulla base di tre fasce percentuali, in funzione di quote di livelli di pensione (calcolate per multipli del livello minimo del trattamento minimo). Il problema più rilevante che ci si è posti, naturalmente collegato all’innovazione più significativa, è quello del passaggio al sistema a capitalizzazione. Ancora una volta, la norma, all’articolo 3, 12° comma, ci dice che gli enti privatizzati possono optare per il passaggio al sistema contributivo definito ai sensi della presente legge. Ed il successivo decreto n.103 del 1996, quello relativo agli enti privatizzati cosiddetti di seconda generazione, indica come metodo necessario quello del calcolo delle pensioni secondo il sistema contributivo di cui alla legge 335. Questi due riferimenti sono puntualmente effettuati con riguardo al riflessioni/5 potrebbe trovare un limite su questa indicazione molto precisa e puntuale del principio del pro-rata che però, ripeto, non è una indicazione costituzionale. A proposito del principio del pro-rata, noi abbiamo cercato di dare una lettura sistematica di quella norma: esso è limitato alle ipotesi, espressamente previste nella norma medesima, di determinati tipi di interventi che presuppongono la possibilità di distinguere una anzianità maturata pregressa rispetto alla data di introduzione della modifica e un’anzianità successiva. Su questa anzianità pregressa non è possibile, secondo il principio del pro-rata, intervenire: per esempio, non sarebbe certamente possibile e lo abbiamo escluso (anche perché sarebbe stato probabilmente anche eccessivo rispetto ai fini che ci si proponeva di riequilibrio del bilancio), introdurre un sistema contributivo anche per il passato, anche se qualche tentazione può essere venuta, dati gli oneri pesanti che il sistema retributivo introdotto nel ’91 comporta. Ma questo stesso principio del pro-rata, abbiamo pensato che non sia di impedimento, ad esempio, per procedere alla determinazione di un parametro per la determinazione del reddito su cui calcolare la pensione retributiva oggi e domani nella prospettiva di riforma che vi ha tracciato il Prof. Ottaviani. E così, per la quota retributiva di pensione, prevista nello schema di riforma, abbiamo pensato ad un sistema di determinazione del reddito che tenga conto di un dato medio riferito a un periodo più ampio rispetto che all’attuale periodo vigente di 14 su 19 anni, o 15 su 20 a breve. Ancora, ci è sembrato che non contrasti con i princìpi dell’articolo 3, 12° comma, anzi direi che è coerente alle scelte fatte sul piano 41 riflessioni/5 42 1995, sia del decreto n.509 del 1994. La connotazione essenziale degli enti privatizzati è, infatti, la libertà da finanziamenti pubblici e la garanzia dell’equilibrio finanziario con le proprie risorse: se viene meno questo viene meno la ragione stessa di esistere dell’ente privatizzato di previdenza. E se questa è una esigenza connaturale all’esistenza dell’ente, è chiaro che essa ha tutta la sua valenza sistematica e ci deve condurre anche nella interpretazione delle norme a realizzare e rendere praticabile questo obiettivo. Anche perché, a mio giudizio, è ben diversa la situazione dell’assicurazione generale obbligatoria, peraltro di lavoratori subordinati, in cui il passaggio ad un sistema di capitalizzazione reale avrebbe comportato una doppia imposizione sulle attuali generazioni che riferita all’elevato numero di iscritti alla gestione, evidentemente avrebbe messo in crisi l’intero sistema, soprattutto in tempi in cui occorre fare i conti anche con la precarizzazione e flessibilizzazione dei rapporti di lavoro. In altri termini, da questo punto di vista, c’era una ragione perché per la legge n.335 del 1995 il passaggio alla capitalizzazione o al sistema contributivo fosse solo virtuale, anche perché l’assicurazione generale obbligatoria realizza una solidarietà di carattere generale. Il nostro sistema invece, è improntato ad una solidarietà più ristretta, di categoria, si ispira al principio dell’autosufficienza, ha per destinatari dei professionisti, cioè lavoratori autonomi, e perciò non implica oneri a carico delle imprese, laddove un passaggio alla capi- talizzazione reale nel sistema dell’assicurazione obbligatoria significa non solo duplicazione di contribuzione per gli attivi, (cioè, per i pensionandi), ma anche duplicazione di contribuzione per le imprese. Intendo con ciò dire che la nostra situazione è inusualmente diversa da quella dell’e.g.o. e perciò che non può non venire in considerazione l’insegnamento che ci viene ancora una volta dalla Corte Costituzionale. E cioè che in un sistema caratterizzato da pluralità dei regimi previdenziali, pluralità, peraltro, conforme a Costituzione, non è consentita né possibile la comparazione fra sistemi, al punto che ci si può chiedere, anzi ci si deve chiedere, se l’uguaglianza di trattamento per sistemi diversi, come l’assicurazione generale obbligatoria e la previdenza di un ordine professionale di un ente privatizzato non si ponga in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione che richiede discipline diseguali per situazioni diseguali. In definitiva, gli spazi di interpretazione delle norme vigenti, nella direzione da noi auspicata, non mancano, però, dobbiamo essere consapevoli che, essendo anche i primi che si avventurano su questa strada, non sarà facile raggiungere l’obiettivo e, quindi, dovremo mettere tutto il nostro impegno e soprattutto tutta la nostra capacità di convincimento con argomenti, che poi non sono soltanto argomenti formali, come ho cercato di spiegare, ma anche argomenti sostanziali, perché è nella forza delle cose che o si adotta il sistema di capitalizzazione o non si garantisce la sopravvivenza del sistema. Siamo, quindi, alla vigilia di uno sforzo non indifferente, soprattutto sotto quest’ultimo profilo della introduzione di un sistema a capitalizzazione, ma io sono fiducioso, così come i miei colleghi che mi hanno preceduto, nella riuscita del tentativo e comunque sono anche fiducioso che una volta che si dia l’esempio, in qualche modo altri poi verranno dietro facendoci buona compagnia Silvano Piccininno Chi è... Silvano Piccininno Silvano Piccininno, romano, 63 anni, magistrato dal 1974 presso la pretura di Milano, di Roma e presso il tribunale di Roma. Responsabile del Servizio Problemi giuridici del Lavoro della Confindustria (1993-1998). Avvocato cassazionista. Incaricato dell’insegnamento di diritto alla sicurezza sociale presso la Scuola di Perfezionamento e Specializzazione in diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Chieti. Incaricato dell’insegnamento di diritto alla sicurezza sociale, tutela previdenziale del reddito presso la Scuola di Perfezionamento e Specializzazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Docente L.U.M.S.A. Componente della Commissione istituita presso il Ministero del lavoro per la riforma della previdenza sociale. IL COMITATO DEI DELEGATI DELL’ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI ● Vista la legge 9 febbraio 1963, n. 160; ● Vista la legge 30 dicembre 1991, n. 414; ● Visto lo Statuto dell’Associazione ed il Regolamento di Esecuzione deliberati nella riunione del 26 novembre 1994 ed approvati con D.I. dell’11 luglio 1995 e successive modificazioni; ● Visto l’art. 2 comma 2 del D. Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che impone alle associazioni o fondazioni che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, l’adozione dei provvedimenti necessari per assicurare l’equilibrio del bilancio in coerenza con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi periodicamente; ● Visto l’art. 3 comma 12 della legge 8 agosto 1995, n. 335, che, allo scopo di assicurare tale equilibrio, determina, pur nel rispetto dell’autonomia degli enti, in quindici anni l’arco temporale rilevante ai fini della valutazione della stabilità della gestione; ● Visto, ancora, l’art. 3 comma 12 della legge 8 agosto 1995, n. 335 laddove dispone che in esito alle risultanze del bilancio tecnico quindicennale, gli enti privatizzati, gestori di forme di previdenza obbligatoria, adottino, al fine di assicurare l’equilibrio di bilancio “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”; ● Presa visione del bilancio tecnico, elaborato sulla base di previsioni di durata quindicennale, nonché delle connesse proiezioni economiche di lungo periodo (40 anni) e delle relative risultanze in ordine al futuro equilibrio finanziario della gestione; ● Esaminate, altresì, le previsioni demografiche elaborate dagli esperti all’uopo incaricati sia in relazione alla popolazione degli attivi in generale sia della specifica popolazione dei futuri appartenenti alla categoria; ● Preso atto che l’andamento negativo delle previsioni demografiche è destinato ad alterare il rapporto, attualmente esistente, tra attivi e pensionati, con i conseguenti riflessi negativi, sull’equilibrio finanziario della gestione a ripartizione oggi esistente; ● Viste le valutazioni al riguardo espresse dalla Commissione Area Contributiva e Previdenza e dai Rappresentanti regionali (ex art. 30 dello Statuto) circa la conseguente necessità di procedere alla revisione delle norme statutarie e regolamentari attualmente vigenti in materia di previdenza; ● Viste le proposte del Consiglio di Amministrazione, conformi al programma sottoposto nel novembre 2000 al Comitato dei Delegati in sede elettorale, in particolare per quanto concerne la necessità, ai sensi dell’art. 3, comma 12 della legge 8 agosto 1995 n. 335, di porre termine al sistema retributivo a ripartizione oggi vigente per passare ad un sistema contributivo a capitalizzazione, quale solo sistema idoneo a garantire certezza nelle prestazioni future e, soprattutto, a realizzare una diversa e più equa solidarietà tra le generazioni che tenga conto del nuovo rapporto tra attivi e pensionati conseguente alla previsione, operata dagli esperti, della futura riduzione degli iscritti; ● Ritenuto che, in attesa di procedere alla riforma del sistema previdenziale, sia necessario adottare alcuni interventi propedeutici al passaggio al nuovo sistema di gestione finanziaria; ● Ritenuto che, in attuazione dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995 n. 335 sia necessario procedere, nell’immediato, sul versante delle uscite per prestazioni; ● Visto, altresì, l’art. 49 del Regolamento di Esecuzione che disciplina le modalità di erogazione e di calcolo delle pensioni erogate dalla Cassa, individuando nella media dei 14 redditi professionali annuali più elevati fruiti negli ultimi diciannove anni, il reddito da porre attualmente a base del calcolo della pensione; ● Visto l’art. 42 del Regolamento di Esecuzione che disciplina l’istituto della rivalutazione degli importi delle pensioni; ● Ritenuto necessario - in attesa della riforma del sistema previdenziale della Cassa, finalizzata all’adozione del regime contributivo – procedere, nell’immediato e con carattere di provvisorietà, sia nei riguardi degli attivi all’ampliamento della base di calcolo delle prestazioni, anche in modo da tener conto, a fini di maggior equità, della necessità di ridurre l’incidenza sull’ammontare delle pensioni retributive, dell’anzianità relativa al periodo dal 1 gennaio 1977 al 31 dicembre 1991, assistito da contribuzione convenzionale, sia nei riguardi degli attuali pensionati alla temporanea sospensione della rivalutazione degli importi pensionistici eccedenti il trattamento minimo; ● Ritenuto che tale ampliamento dovrà essere rimodulato per essere uniformato alla disciplina che verrà definitivamente adottata in sede di riforma del documenti nell’assemblea straordinaria del 22 giugno 2002 ha approvato con voto favorevole di 156 delegati presenti (nessuno contrario e nessuno astenuto) la seguente deliberazione 43 sistema, per il computo della pensione, o della quota di pensione, che sarà determinata con il sistema retributivo in applicazione del principio legislativo del pro-rata; ● Considerato in particolare che all’ampliamento del periodo di riferimento previsto dall’art. 49 del Regolamento non è di ostacolo il combinato disposto dell’art. 1 comma 18 e dell’articolo 3 comma 12 della Legge 335/95; ● Ritenuto che le misure sopradette non risultano, peraltro, sufficienti a realizzare il mantenimento nell’immediato dell’equilibrio della gestione e che, per questo, è necessario anche procedere alla temporanea sospensione delle norme vigenti in tema di pensioni di anzianità, stante l’elevato numero di potenziali richiedenti l’accesso alla medesima; ● Visto in particolare l’art. 50 del Regolamento di Esecuzione che disciplina l’accesso alla pensione di anzianità nonché i criteri per il relativo calcolo; ● Ritenuto necessario procedere alla temporanea sospensione dell’applicazione del su citato articolo 50; DELIBERA In attesa della più generale ed articolata riforma del sistema previdenziale della Cassa, basata sul passaggio dall’attuale sistema retributivo a ripartizione ad un sistema contributivo a capitalizzazione: 1. Di apportare all’art. 42 la seguente modifica: Il comma 1 viene così integrato: “A decorrere dal 1° gennaio 2003 e comunque non oltre il 31.12.2004, la rivalutazione degli importi delle pensioni erogate trova applicazione limitatamente al trattamento minimo. In sede di approvazione della riforma si procederà alla revisione della disciplina attualmente vigente in tema di perequazione automatica”. documenti 2. Di apportare le seguenti modificazioni ed integrazioni all’art. 49 del Regolamento di Esecuzione dell’Associazione. I commi 2, 4 e 11 dell’art. 49 del vigente Regolamento sono così modificati: 44 ● comma 2: “Fino al 31.12.2002 per le pensioni il cui diritto sia maturato successivamente alla data del 22.06.2002 la misura annua delle pensioni di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media di tutti i redditi professionali annuali riferita sia ai redditi dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), sia ai redditi convenzionali relativi al periodo dal 1977 al 1991, fatti salvi i benefici di cui all’art. 31 della Legge 414/1991. La relativa misura non potrà comunque essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione delle modalità di calcolo previgenti. Le pensioni così liquidate saranno successivamente riliquidate, con effetto dalla data delle rispettive decorrenze, in base ai criteri, ove più favorevoli, che verranno definitivamente adottati in sede di riforma del sistema, fermo restando che, comunque, anche l’importo definitivo riliquidato non potrà essere inferiore alla predetta misura dell’80%”. ● Il comma 4, dell’articolo 49, è così sostituito: “La misura annua minima della pensione non può essere inferiore a Euro 9.000,00”. Comma 11: E’ abrogato 3. Di integrare l’articolo 50 (pensione di anzianità) con il seguente comma aggiuntivo: “A decorrere dal 22 giugno 2002 e fino al 31 dicembre 2004 è sospesa l’applicazione delle disposizioni contenute nei commi precedenti. Tale sospensione non opera nei riguardi degli iscritti che avendo già conseguito i requisiti per il relativo diritto lo abbiano esercitato mediante presentazione in data anteriore al 22.06.2002 della prescritta domanda, fermo restando che le relative prestazioni saranno provvisoriamente liquidate e successivamente riliquidate nella misura di cui all’art. 49, ove la cancellazione dall’albo non sia intervenuta prima del 22 giugno 2002”; - di inviare la presente deliberazione, in ragione di competenza, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 31 dello Statuto della Cassa. IL COMITATO DEI DELEGATI DÀ MANDATO AL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE di predisporre entro il corrente anno il progetto di riforma strutturale secondo le seguenti linee guida, progetto che dovrà essere rimesso ai Delegati almeno 30 giorni prima della data fissata per la relativa discussione: ● passaggio dal sistema di finanziamento a ripartizione a sistema di finanziamento a capitalizzazione; ● conseguente adozione del metodo di calcolo contributivo, con rispetto del principio del pro-rata previsto all’articolo 3, comma 12, della L. 335/95; ● rimodulazione delle aliquote contributive (art. 36 del Regolamento); ● disciplina definitiva della base di calcolo della quota di pensione relativa all’anzianità pregressa da valutare con il sistema retributivo; ● modifiche delle norme statutarie e regolamentari in termini conseguenti e coerenti con le precedenti linee, introducendo ogni eventuale correttivo necessario a garantire l’equilibrio del Fondo. Venere e Amore Michelangelo e la nuova bellezza ideale • di Elena Marotta L a mostra “Venere e Amore Michelangelo e la nuova bellezza ideale”, allestita ai piedi del celeberrimo David, nella Galleria dell’Accademia di Firenze (fino al 3 novembre prossimo), mette in luce, per la prima volta in assoluto, il nuovo ideale di bellezza femminile espresso da Michelangelo. L’iniziativa è promossa dal Ministero per i Beni e le attività culturali, dalla Soprintendenza speciale per il Polo Museale fiorentino, dalla Galleria dell'Accademia di Firenze, dall'Opificio delle Pietre Dure, da Villa I Tatti: The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, da Casa Buonarroti e da Firenze Musei, l'esposizione è curata da Franca Falletti e Jonathan Katz Nelson, affiancati da un prestigioso comitato scientifico internazionale. Aprono la mostra alcuni studi di Michelangelo sul tema della dea dell’amore: saranno riuniti quattro schizzi di una Venere antica, provenienti dal British Museum, facenti parte in origine di un unico foglio, posti a confronto con un bronzetto antico e con un bozzetto in terracotta di Casa Buonarroti, proposti come opera di Michelangelo stesso. La mostra illustra poi la collaborazione intercorsa nel 1532-33 fra tre grandi artisti - Michelangelo, Pontormo e Bronzino – e il loro ragionieri & cultura Ponendo al centro la magnifica opera Venere e cupido (Firenze, Galleria dell’Accademia) dipinta da Pontormo su disegno di Michelangelo, la mostra sviluppa il tema del nudo femminile e dell’amore nell’opera del Buonarroti e il dibattito che su questi argomenti si sviluppò a Firenze fra artisti e letterati. 45 ragionieri & cultura 46 mecenate Bartolomeo Bettini che commissionò loro la decorazione della sua camera nel palazzo di famiglia a Firenze. Per ornarne la parete Michelangelo fornì un disegno a grandezza naturale della Venere e cupido che Pontormo realizzò su tavola. Questo magnifico dipinto viene presentato ora al termine di un accurato restauro. Era prevista inoltre, nelle lunette, la raffigurazione dei poeti toscani che avevano cantato d’amore. Vasari ricorda che il Bronzino realizzò i ritratti di Dante, Petrarca e Boccaccio, finora ritenuti persi. Sarà qui presentato al pubblico un dipinto inedito a forma di lunetta che raffigura Dante, probabilmente identificabile come l’originale del Bronzino. Venere non arrivò infatti mai in casa Bettini, perché il quadro appena terminato fu confiscato dai Medici; in occasione di questa mostra sarà finalmente riunita con Dante, realizzando così, dopo cinque secoli, il progetto di Michelangelo, Pontormo e Bronzino. Si esporranno quindi due disegni preparatori, quello di Michelangelo per la Venere e cupido (Londra, British Museum) e quello di Bronzino per la Testa di Dante (Monaco, Staatliche Graphische Sammlung), insieme a un importante dipinto del Vasari, Sei Poeti Toscani, (Minneapolis, Institute of Arts) che riprende i ritratti dei poeti, tutte opere mai precedentemente esposte a Firenze. La mostra indaga anche su altre tipologie di nudo femminile disteso che Michelangelo ha sviluppato negli anni immediatamente precedenti alla creazione della Venere e Cupido: la Leda, la Notte e l’Aurora. Per illustrare questo nuovo ideale di bellezza saranno esposte due opere di gran fascino e raramente viste: il dise- gno a grandezza naturale della Leda del Rosso Fiorentino (Londra, Royal Academy) e la Notte di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Roma, Galleria Colonna), entrambe ispirate ai famosi prototipi di Michelangelo. In questa sezione la splendida tela Venere e Cupido di Tiziano, risposta veneziana all'ideale femminile di Michelangelo. Poeti e letterati dell’epoca lodarono la bellezza della Venere “disegnata da Michelangelo e colorita da Pontormo”, mentre numerosi artisti vi si ispirarono: fra questi la mostra espone una smagliante tavola con Venere, amore e satiro del Bronzino, anch’essa della Galleria Colonna, una replica coeva del disegno a grandezza naturale di Michelan gelo (Napoli, Museo di Capodimonte) ed opere di Pontormo e di Allori provenienti dalla Galleria degli Uffizi e dal Louvre. Quattro nudi femminili, che in passato erano stati rivestiti pudicamente, grazie ai restauri eseguiti per questa esposizione, torneranno a mostrarsi come sono nati dalle mani degli artisti. Questi interventi riguardano la Venere di Michelangelo e Pontormo dell’Acca demia, una replica inedita del Vasari di proprietà delle Gallerie Fiorentine e le due tavole della Galleria Colonna. In appendice alla mostra, una sezione dedicata allo studio, attraverso le indagini diagnostiche, di cinque delle versioni di Venere e Cupido conosciute, sezione curata dall’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze. La possibilità di studiare il disegno sottostante dei quattro dei dipinti della serie (quello della Galleria dell’Accademia; quello della Galleria Colonna di Roma; quello del Museo di Capodimonte di Napoli; quello in deposito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa), attraverso la sofisticata tecnica dello scanner a infrarosso messo a punto dall’Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze, ha consentito di effettuare dei paragoni metrici tra i vari dipinti. Le misurazioni sono realmente comparabili grazie al fatto che la strumentazione produce immagini esenti da deformazione ottica. Se ne ricava una serie di informazioni interessanti circa l’effettiva derivazione da un originale comune (il perduto cartone di Michelan gelo), cui i diversi artisti responsabili dei dipinti, si attennero con quasi maniacale precisione. @ lettere ettere alla Cassa lettere alla Cass alla Cassa L L’attività di controllo Da più parti vengono chieste notizie in merito ai controlli sulle pensioni di anzianità, relativamente a quei motivi di sopravvenuta incompatibilità che possano portare alla sospensione della prestazione. Come è noto l’Associazione, pur essendo un Ente privato, svolge un’attività di natura pubblicistica; ne consegue, pertanto, che i controlli, in generale e non soltanto sui pensionati di anzianità, vengono svolti sulla base di precise disposizioni di legge. Infatti, gli artt. 44 e 46 del R.E. (ex artt. 20 e 22 Legge n. 414/91) prevedono specifico diritto dell’Associazione ad ottenere “in ogni momento dai competenti uffici delle imposte dirette e dell’I.V.A. le informazioni relative alle dichiarazioni ed agli accertamenti definitivi concernenti i ragionieri e periti commerciali nonché i pensionati della categoria”. Tali verifiche, quindi, si concretizzano in controlli incrociati fra i dati in possesso dell’Associazione e quelli degli altri soggetti istituzionali (Uffici I.V.A., Agenzia delle Entrate, ecc.). Inoltre, le procedure di controllo vengono attivate anche mediante l’invio di questionari per conoscere elementi rilevanti in ordine alla iscrizione ed alla contribuzione. Va detto, infine, che analoghi controlli vengono effettuati attraverso visure presso la Camera di Commercio e presso il Registro dei Revisori Contabili. @ Egregio Direttore, sono un iscritto alla Cassa ed al Collegio di Lucca dal 1979 ed ho 64 anni di età pertanto non ho diritto a pensione al raggiungimento dei 65 anni non avendo a tale data maturato i 30 anni di contributi. Potrei al 31/12/2003 cancellarmi dall’albo ed aspettare il raggiungimento dei 70 anni di età per richiedere la pensione avendo maturato al 31/12/2003 25 anni di contributi? Qualora decidessi di richiedere il rimborso dei contributi versati dopo la cancellazione dall’albo posso chiederli in qualsiasi momento oppure tale diritto si prescrive nel tempo? Lettera firmata Egregio ragioniere, La risposta all’ipotesi prospettata, con riferimento alla maturazione dei requisiti 47 lettere alla Cassa lettere alla Cass (età anagrafica settanta anni ed anzianità contributiva di 25 anni maturata al 31.12.2003) non può che essere affermativa. Con riferimento invece alla restituzione dei contributi, tutti gli iscritti che al compimento del sessantacinquesimo anno di età cessino o siano cessati dall’iscrizione all’Associazione senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto a pensione, possono ottenere la restituzione dei contributi soggettivi versati; la restituzione spetta anche ai superstiti dell’iscritto e tale diritto non si prescrive nel tempo. Egregio ragioniere, l’art. 50 del Regolamento di Esecuzione dispone che la pensione di anzianità è corrisposta con quaranta anni di effettiva iscrizione e contribuzione e comunque con un minimo di 58 anni di età e 35 di iscrizione e contribuzione. Si fa presente che nella riunione del Comitato dei Delegati del 22 giugno u.s., è stato deliberato di sospendere tale tipo di prestazione fino al 31.12.2004. Riguardo l’onere di ricongiunzione (punto 5 della Sua nota), si conferma la deducibilità dal reddito imponibile, sulla base delle norme del D.L. 47/2000. Gentile Direttore, sono iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza dal 31/01/1989 con matricola n. ..., avendo ricongiunto 1202 settimane, pari a 23 anni 1 mese 14 giorno, in ottemperanza alla legge n. 45 del 05/03/1990, Le pone alcuni quesiti: 1) in che anno e mese posso inoltrare domanda di pensione di anzianità? 2) da quando decorrà la pensione? 3) a quanto ammonterà la pensione considerando per il futuro un reddito medio di lit. 150.000.000 annui? 4) da quale data decorrerà la cessazione dell’attività e la cancellazione dall’Albo professionale? 5) dal 2001, così come prevede il D.L. 47 del 18/02/2000 art. 1 e 19, posso detrarre, come onere deducibile, l’importo complessivo dei contributi che sto versando a seguito della ricongiunzione? Lettera firmata Gentile Direttore, Sono pensionato dal 01/06/1997 ma ho proseguito l’attività professionale, versando i relativi contributi. Il 25/09/1992 richiesi la liquidazione della pensione versando un contributo di L. 114.420.721, ricevendo la riliquidazione. Il 24/11/1995 presentai la domanda di ricongiunzione di periodi assicurativi da me pagati all’INPS dal 1945 al 1947. Da allora non ho saputo più nulla. Gradirei fare qualche cosa; quale potrebbe essere il costo della ricongiunzione e quali benefici me ne potrebbero derivare. Lettera firmata @ 48 Egregio ragioniere, la risposta alla Sua domanda non può che essere negativa in quanto l’istituto della ricongiunzione, così come disciplinato nella L. 45/90, è previsto in favore degli iscritti al Fondo. @ a lettere alla Cassa lettere alla Ca Egregio Direttore, Sono ragioniere nato il 16/07/1984 ed iscritto alla Cassa dal 15/11/1978. Al compimento del 65° anno di età avrò maturato 26 anni ed 8 mesi di iscrizione alla Cassa e quindi non dovrei avere diritto all’ottenimento della pensione. Ho , credo, due alternative: 1) chiedere il raggiungimento nel Fondo della C.N.P.R. di periodi contribuzione versati all’Inps. 2) chiedere il riscatto della laurea in giurisprudenza. È possibile sapere quale “strada” sia preferibile in modo da consentirmi per tempo di regolarizzare la mia posizione? Lettera firmata Egregio ragioniere, la strada della ricongiunzione è sicuramente quella che le consentirebbe di raggiungere i requisiti di iscrizione e contribuzione minimi all’età di 65 anni. Il riscatto della laurea in giurisprudenza non è consentito in quanto la laurea non è stata necessaria ai fini della iscrizione all’Albo professionale Gentile Direttore, alcuni colleghi mi riferiscono che ad oggi la convenzione per mutui agevolati tra la cassa e la cariplo (ora bci intesa) non e' stata rinnovata. avendo nel 2001 gia' stipulato in convenzione un contratto di mutuo con la cariplo, chiedo cortesemente di sapere (se confermata la notizia di cui sopra) che fine fara' ovvero se in caso di mancato rinnovo della convenzione, gli accordi "agevolati" resteranno in vigore per i contratti esistenti. Lettera firmata Egregio ragioniere, i contratti di mutuo stipulati precedentemente alla cessazione della convenzione con Banca Intesa, resteranno in vigore. Gentile Direttore, sono un ragioniere commercialista iscritto alla Cassa dal 15/07/1986, ho scoperto che potrei riscattare l'anno di militare effettuato da 25/09/1981 al 24/09/1982. Ho effettuato la pratica nel biennio 01/11/1982 - 31/10/1984. Sono stato dipendente dal 01/01/1985 al 30/06/1986. Desiderei gentilmente sapere se: - per il riscatto del servizio militare sono dovuti contributi e se si per quale importo? - per il riscatto del periodo di pratica sono dovuti contributi e se si per quale importo? Lettera firmata Egregio ragioniere, è possibile riscattare sia l’anno di militare che il periodo di praticantato. In entrambi i casi si calcola un “contributo” a suo carico. L’Ufficio Riscatti dell’Associazione è a Sua completa disposizione per effettuare i calcoli suddetti. 49 lettere alla Cassa lettere alla Cass Egregio Direttore, sono un iscritto alla Cassa di Previdenza dei Ragionieri ed ho ricevuto il M.AV. con scadenza 10 settembre 2002. Premetto che non ho ancora adempiuto al versamento per motivi personali. Rispetto all’anno passato ho però subito un forte decremento sia del reddito che del volume di affari I.V.A. Vorrei che mi si confermasse quanto mi è stato detto per telefono da un gentile dipendente della nostra Cassa. Sul sito internet, ho potuto constatarlo personalmente, è presente un programma di calcolo della contribuzione annua. L’operatore con i dati che ho dichiarato nel modello A19/2002 ha determinato l’importo del contributo annuo che è risultato inferiore al M.AV. di cui sopra. Mi è stato detto di non pagare e di inviare, anche via fax, una richiesta per una esatta determinazione del dovuto che mi verrà addebitato direttamente nel M.AV. con scadenza dicembre dell’anno in corso. Ho ricevuto una esatta indicazione? Oppure devo intanto pagare il M.AV. e poi chiedere il rimborso dell’importo eccedente? Lettera firmata fessionale e/o del volume di affari I.V.A. Per questo motivo è stato predisposto sul sito della Cassa, www.cassaragionieri.it, un programma facilmente utilizzabile dagli iscritti per controllare l’ammontare della contribuzione annuale. Per lo stesso motivo è stata predisposta la procedura descritta per telefono che permette il discarico presso la Banca incaricata della riscossione dei contributi, dell’importo “imputato” ad ogni iscritto, affinché l’esatto dovuto venga inviato con il M.AV. di dicembre, che non è calcolato come acconto sui dati reddituali dell’anno precedente bensì come effettivo dovuto, sui dati dichiarati nel modello A19 dell’anno in corso. @ Gentile iscritto, l’indicazione ricevuta è corretta. Siamo consapevoli che un certo numero di iscritti, anche se esiguo non per questo meno importante di tutti gli altri, possono subire a distanza di un anno forti decrementi nell’importo del reddito pro- 50 Le nostre Risposte alle vostre Domande Il veicolo d’informazione della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali aspetta in redazione i vostri quesiti. Posta Via G.B. Marino, 13 - 80125 Napoli Fax 081 556 49 01 e-mail [email protected]