Le Notizie sui Paesi di Origine dei richiedenti protezione più
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Le Notizie sui Paesi di Origine dei richiedenti protezione più
Le Notizie sui Paesi di Origine dei richiedenti protezione più presenti in Emilia Romagna Newsletter giugno 2016 AFGHANISTAN Conflitti interni civili/etnici/religiosi 30 giugno: almeno 30 persone hanno perso la vita e altre 50 sono rimaste ferite in seguito all'esplosione di due bombe, fatte detonare dai talebani al passaggio di un convoglio di autobus della polizia afghana nei pressi di Kabul. I veicoli in questione stavano riportando i cadetti nella capitale dal centro di addestramento sito nella provincia di Wardak. Dalla nomina del loro nuovo leader, i talebani hanno intensificato gli attacchi contro l'esercito e la polizia afghana (fonte BBC news – per l'informazione vedi qui). 24-26 giugno: almeno 12 persone, tra membri delle forze di sicurezza afghane e civili, sono stati uccisi e altre 18 sono rimaste ferite durante gli scontri tra militanti nel gruppo terroristico "Stato Islamico" e le forze governative, avvenuti nel distretto di Kot, provincia di Nangarhar, est del Paese. Le fonti consultate riportano che diverse case sarebbero state bruciate, mettendo in figa centinaia di persone, e 5 civili sarebbero stati rapiti (fonti Radio Free Europe/Radio Liberty e Reliefweb – per l'informazione vedi qui, qui e qui). 21-22 giugno: almeno 24 persone che viaggiavano dentro un autobus tra Kandahar e Herat, nella parte occidentale del Paese, sono state rapite dai talebani. Trattasi solo dell'ultimo di una lunga serie di episodi che stanno rendendo sempre più pericoloso mettersi in viaggio nel Paese. Secondo quanto affermato da un portavoce dei talebani, Qari Yusuf Ahmadi, il numero degli ostaggi sarebbe stato 27 e 21 sarebbero stati rilasciati il giorno successivo, in quanto giudicati non collegati al governo afghano filo occidentale. Gli altri 6, ha proseguito Ahmadi, proveranno cosa significa quella che i talebani chiamano “giustizia islamica” (fonti Reliefweb e Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui e qui). 20 giugno: 14 guardie di sicurezza nepalesi hanno perso la vita e altre 8 persone sono rimaste ferite durante un attacco suicida, realizzato dai talebani a Kabul. Il gruppo di guardie nepalesi, deputato a garantire la sicurezza dell'ambasciata canadese nella capitale afghana, stava viaggiando da Kabul verso Jalalabad, quando l'autobus è stato avvicinato da un uomo a piedi che si è fatto esplodere. Si tratta solo del più eclatante attacco di una nuova serie, presumibilmente innescata dalla decisione del governo degli Stati Uniti di incrementare l'autorità del proprio esercito di condurre azioni aeree contro i talebani (fonti Radio Free Europe/Radio Liberty e Reliefweb – per l'informazione vedi qui e qui). 11 giugno: 6 ufficiali di polizia sono stati uccisi durante un attacco diretto contro gli edifici amministrativi del distretto di Haska Mina, provincia di Nangarhar, e realizzato da uomini armati affiliati al gruppo terroristico “Stato Islamico”. Ufficiali locali riportano che, durante la battaglia, hanno perso la vita anche 15 terroristi, mentre 7 sono rimasti feriti (fonte Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui). 10 giugno: 4 persone sono state uccise e altre 40 ferite durante l'esplosione avvenuta presso la moschea del villaggio di Hisara, provincia di Nangarhar, mentre erano riuniti per le preghiere del venerdì. Tra i morti, si conta anche l'Imam della moschea. Nessun gruppo la rivendicato l'azione (fonte Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui). 7-8 giugno: 12 membri delle forze di sicurezza del Paese, tra cui 7 poliziotti, 3 soldati e 2 ufficiali del National Directorate of Security, catturati nel corso di alcune recenti imboscate nella provincia di Ghazni, est del Paese, sono stati uccisi dai talebani, difronte agli abitanti del distretto di Andar. Nel frattempo, altri militanti dello stesso gruppo terroristico hanno fermato un autobus lungo la strada principale nei pressi della capitale della provincia di Kunduz e hanno sequestrato 40 passeggeri (fonte Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui). 5 giugno: un membro del Parlamento, Sher Wali Wardak, è rimasto ferito a Kabul, a seguito dell'esplosione di una bomba posizionata vicino alla sua abitazione ed è morto lungo la strada per l'ospedale. Altre 11 persone, tra cui cinque guardie del corpo del parlamentare, sono rimaste ferite. Nessun gruppo ha rivendicato l'azione. Tuttavia, l'attacco è avvenuto poche ore dopo che i talebani assalissero l'edificio del Tribunale di Puli Alam, capitale della provincia di Logar, uccidendo almeno 7 persone, incluso il nuovo procuratore capo, Mohammad Akram Nejat, e ferendone più di 20, inclusi i magistrati riuniti per decidere della sorte di sei talebani già arrestati (fonti BBC news. Radio Free Europe/Radio Liberty e Reliefweb – per l'informazione vedi qui, qui, qui e qui). 2-3 giugno: 17 persone di etnia Hazara, in viaggio su veicoli civili nel nord del Paese, sono state sequestrate da uomini armati nel distretto di Sancharak, provincia di Sar-e-Pul. L'azione non è stata rivendicata dai talebani. Comunque, tutti gli ostaggi sono stati rilasciati il giorno seguente. Il governatore della provincia, Whadat, ha affermato che gli anziani e i residenti del luogo hanno mediato per ottenerne il rilascio (fonti ReliefWeb e Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui e qui). 2 giugno: due degli ostaggi rapiti il 31 maggio sono stati uccisi dai talebani e i loro corpi sono stati ritrovati lungo uno strada della provincia settentrionale di Kunduz. Il portavoce della polizia, Hejratullah Akbari, afferma che le forze di sicurezza locali hanno lanciato un'operazione volta a trarre in salvo i rimanenti 8 ostaggi (fonte Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui). Conflitti interstatali 13-16 giugno: dopo gli scontri a fuoco presso il passo Torkham, durati diversi giorni, Pakistan e Afghanistan hanno raggiunto un accordo sul cessate il fuoco. Ufficiali della polizia della provincia di Nangarhar riferiscono della morte di almeno 3 soldati afghani e 1 ufficiale militare pakistano, nonché del ferimento di oltre 40 persone (di cui diversi civili) da entrambe le parti. Presso il passo di Khyber, invece, la situazione resta tesa. Attualmente Afghanistan e Pakistan condividono 2200 chilometri di confine disputato (fonti Reliefweb e Radio Free Europe/Radio Liberty – per l'informazione vedi qui, qui e qui). Violazioni dei diritti umani 6 giugno: il giornalista statunitense, David Jilkey della NPR (National Public Radio) e il suo interprete afghano, Zabiullah Tamanna, sono rimasti uccisi in un'imboscata nella provincia di Helmand, sud del Paese. Secondo le fonti consultate, il veicolo su cui viaggiavano avrebbe preso fuoco dopo essere stato colpito da una bomba. Nell'attacco avrebbe perso la vita anche l'autista del veicolo, un soldato afghano (fonti Reporteurs sans frontieres e BBC news – per l'informazione vedi qui e qui). BANGLADESH Conflitti interni civili/etnici/religiosi 10 giugno: un lavoratore di un monastero Hindu, Nityaranjan Pande, è stato attaccato ed ucciso da diverse persone in Bangladesh, in quello che la polizia ritiene trattarsi dell'ennesimo attacco contro laici e minoranze. L'omicidio segue quello di un prete Hindu, il cui corpo, con la testa quasi staccata, è stato ritrovato in un campo il 7 giugno. Nonostante l’attacco al monastero non sia stato rivendicato, la responsabilità di altri simili, avvenuti in precedenza, è stata quasi sempre attribuita a o rivendicata da estremisti islamici. La lista delle vittime degli attacchi realizzati da gruppi islamisti in Bangladesh continua ad allungarsi e include blogger laici, accademici, attivisti per i diritti degli omosessuali e membri di minoranza religiose, compresi Mulsumani Sciiti, Sufi e Ahmadi, Cristiani e Hindu (fonte BBC news – per l'informazione vedi qui). 5 giugno: Mahmuda Aktar, moglie dell’ufficiale di polizia di alto rango, Supt Babul Aktar, è stata uccisa, a causa del ruolo chiave svolto dal marito nelle indagini sugli omicidi commessi dagli Islamisti, in particolare quelle concernenti il gruppo Islamico Jamayetul Mujahideen in Bangladesh (JMB). Supt Aktar era a capo dell’operazione di polizia che, nell'ottobre 2015, ha garantito l’arresto del capo dei JMB, Mohammed Javed, ucciso in un’esplosione mentre conduceva la polizia al nascondiglio dei suo gruppo (fonte BBC news – per l'informazione vedi qui). Operazioni di polizia e giudiziarie 10-16 giugno: le forze di sicurezza bengalesi hanno presumibilmente arrestato più di 11000 persone coinvolte nell’ondata di omicidi di blogger con inclinazioni laiche o atee, non musulmani, membri della comunità LGBT e di altri intellettuali progressisti o liberali. Nel rispetto della legge, i detenuti dovrebbero essere incriminati sulla base di prove certe e portati immediatamente dinanzi a un giudice o, in alternativa, immediatamente rilasciati (fonte HRW – per l'informazione vedi qui). Violazione dei diritti umani 27 giugno: Amnesty International (AI) ha invitato le autorità del Bangladesh a lasciar cadere, immediatamente ed in maniera incondizionata, le accuse di “danno all’immagine”, mosse contro il rinomato giornalista indipendente Probir Sikder dal Ministro degli enti locali, Khandker Mosharraf Hossain. Il caso ha suscitato le proteste della società civile, mentre i mass-media lo hanno definito come un nuovo tentativo delle autorità di zittire i media indipendenti e l’informazione critica. Negli ultimi anni, le autorità del Bangladesh hanno irrigidito il loro atteggiamento verso la stampa indipendente e perseguito numerosi giornalisti ed editori per il semplice fatto di aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione (fonte AI – per l'informazione vedi qui). 13 giugno: durante la 32esima sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, l’Alto commissariato, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha espresso profonda preoccupazione per l'incremento, in Bangladesh, del numero di omicidi di liberi pensatori, minoranze religiose e attivisti LGBT. E, pertanto, si è rivolto alle autorità bengalesi, chiedendo loro di indagare e perseguire gli artefici di questi feroci crimini, con il pieno rispetto dei diritti umani. E a tutti gli ufficiali di governo e leader religiosi e politici, affinché condannino senza riserve gli attacchi alla libertà e aumentino gli sforzi per proteggere le minoranze colpite (fonte OHCHR – per l'informazione vedi qui). COSTA D'AVORIO Studi/relazioni 13 giugno: Human Rights Watch (HRW) e il Rassemblement des Acteurs Ivoriens des Droits Humains denunciano le minacce, le espulsioni arbitrarie, le estorsioni e gli abusi perpetrati dall’agenzia governativa di Sviluppo delle Foreste (SODEFOR) nelle 231 aree di tutela forestale della Costa d’Avorio. Secondo le informazioni raccolte dalle due Organizzazioni, il SODEFOR sarebbe solito espellere, senza preavviso, i contadini residenti in queste aree, spesso dando fuoco alle loro case e proprietà e/o mettendo in atto violenze fisiche e psicologiche. Inoltre, le stesse Organizzazioni riportano di numerosi casi in cui le autorità ivoriane avrebbero estorto loro somme di denaro o pagamenti in natura (fonte HRW – per l'informazione vedi qui). ERITREA Conflitti interstatali 13 giugno: la stampa internazionale riferisce di nuovi gravi scontri lungo il confine eritreoetiope. Un manipolo militare eritreo sarebbe avanzato in territorio etiope, vicino alla città di Tserona, mentre, durante il contrattacco, i soldati etiopi avrebbero occupato alcuni villaggi eritrei. Altri scontri si sarebbero registrati nei pressi della città di Zalambessa a sud di Senafe. I due governi, etiope ed eritreo, continuano ad accusarsi vicendevolmente in merito alla responsabilità dell'inizio delle aggressioni. Anche se la situazione sembra essersi già ridimensionata, questi scontri/attacchi risultano essere i più gravi degli ultimi anni (fonti Reliefweb e Jeune Afrique – per informazioni vedi qui e qui). Studi/relazioni 8 giugno: la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sull'Eritrea pubblica il secondo rapporto sulle violazioni diffuse e sistematiche dei diritti umani perpetrate in Eritrea, da cui risulta che, rispetto al rapporto precedente, non è possibile registrare alcun miglioramento significativo. La Commissione riferisce che, dal 1991 a oggi, in Eritrea continuano a essere commesse gravi violazioni dei diritti umani: schiavitù e detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, tortura, persecuzioni, stupri e omicidi. Secondo, la Commissione, in assenza di una sostanziale riforma della legge e delle istituzioni, l'Eritrea non è nella condizione di assicurare che i responsabili delle menzionate violazioni siano processati e, se giudicati colpevoli, condannati. Pertanto, raccomanda al Consiglio di Sicurezza di riferire la situazione sull'Eritrea al procuratore della Corte penale internazionale e agli Stati membri delle Nazioni Unite di esercitare l'obbligo di perseguire e estradare qualsiasi individuo sospettato di aver commesso crimini internazionali in Eritrea (fonti OHCHR e Aljazeera – per informazioni vedi qui e qui). Violazioni dei diritti umani 21 giugno: Human Rights Watch (HRW) manifesta viva preoccupazione per le conclusioni raggiunte dalla Commissione d'inchiesta sulla situazione in Eritrea. Le violazioni dei diritti umani – il servizio militare a tempo indeterminato, la detenzione senza processo, la negazione dei diritti di espressione, di stampa, di riunione e di religione, l’uso della tortura e le condizioni carcerarie inumane – restano diffuse e sistematiche. Pertanto, chiede al Governo eritreo di approvare le riforme essenziali, di attuare le raccomandazioni delle Organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e di ratificare lo Statuto di Roma. Inoltre, profondamente preoccupata del fatto che le migliaia di richiedenti asilo eritrei in fuga dal proprio Paese ogni mese vengano sottoposti a detenzione arbitraria nei campi profughi dei Paesi vicini e siano in costante rischio di respingimento, HRW raccomanda il Consiglio per i diritti umani dell'ONU di sollecitare tutti gli Stati membri affinché rispettino il diritto di libera circolazione dei cittadini eritrei, consentano loro di presentare domanda di asilo, la esaminino in modo equo e permettano ai rappresentanti dell'UNHCR di visitare gli eritrei posti in detenzione (fonte HRW – per l'informazione vedi qui). GAMBIA Decisioni di organi giudiziari 6 giugno: il Tribunale di Potenza (ordinanza nella causa n. 2797/2016) riconosce lo status di protezione sussidiaria a un cittadino gambiano, fuggito dal Paese di origine per paura di essere arrestato dalle autorità locali che lo accusavano di essere coinvolto in un giro di prostituzione omosessuale. Nello specifico, il Tribunale, ritenuto che, in questo caso, non può essere riconosciuto lo status di rifugiato, in quanto non risultano provati gli atti persecutori, conclude che sussiste per il ricorrente un rischio effettivo di essere arrestato e sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti nel Paese di origine. A supporto di questa conclusione, il Tribunale allega le notizie sulla dittatura del Gambia e le conseguenti violazioni dei diritti degli omosessuali, reperibili sia su fonti internazionali accreditate (www.greenreport.it e Amnesty International) sia su quelle nazionali (www.ilfattoquotidiano.it e www.ilgiornale.it) (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). Studi/relazioni 2 giugno: Amnesty Intenational (AI) pubblica uno studio dal titolo “Dangerous to dissent: Human rights under threat in Gambia”, in cui cerca di fare una panoramica sulla situazione dei diritti umani in Gambia a partire dalle elezioni presidenziali del novembre 2011. Secondo AI la situazione è molto chiara: in Gambia, la libertà di espressione è fortemente limitata, i giornalisti sono costretti ad auto-censurarsi o, in alternativa, a subire atti di violenza e persecuzione; parimenti, i gruppi politici dell'opposizione sono destinatari di importanti restrizioni delle libertà di assemblea e di espressione; mentre i rappresentanti della società civile subiscono continue violenze, quali minacce e/o arresti e detenzioni arbitrarie. Alla luce di questa panoramica, AI conclude che il Gambia ha un bisogno evidente e urgente di riforme serie, a maggior ragione in vista delle prossime elezioni presidenziali (dicembre 2016), che possano garantire a tutti i gambiani di esprimere liberamente la loro opinione. Pertanto, a questo fine, rivolge una serie di raccomandazioni alle autorità gambiane e alla comunità internazionale (fonte AI – per l'informazione vedi qui). MALI Accordi di pace 20 giugno: a un anno dalla firma degli accordi di pace di Algeri, il Comitato di controllo si riunisce a Bamako per fare il punto sui risultati ottenuti e per programmare le prossime tappe. Con riferimento al passato, si rileva che il nord del Mali resta ancora insicuro, in quanto il disaccordo tra le parti coinvolte nell'attuazione dell'accordo, l'assenza di autorità in loco e, ovviamente, l'esistenza di gruppi armati indipendenti hanno rallentato il processo di adozione delle decisioni necessarie. Sugli obiettivi futuri, si ricorda la necessità di creare le pattuglie miste e di nominare le personalità che dirigeranno le autorità interinali (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). 15 giugno: il governo e i gruppi armati firmatari dell'accordo di pace di Algeri si sono accordati per la creazione di autorità interinali nelle 5 regioni amministrative del nord del Paese. Conformemente al documento – sottoscritto dal Ministro per la ricostruzione delle Regioni del nord, Hamadou Konaté, e da due rappresentanti dei gruppi pro-Bamako e dell'ex-ribellione – queste autorità andranno a sostituire le attuali collettività territoriali del nord, azione cui si deve affiancare l'adozione di misure transitorie, quale l'istituzione di un meccanismo operativo di coordinamento (Mécanisme opérationnel de coordination o MOC), incaricato di condurre le operazioni di pattugliamento misto, di riorganizzare le forze governative e di supportare le autorità indipendenti (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). Azioni delle Organizzazioni internazionali 29 giugno: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta una risoluzione con cui dispone il prolungamento di un anno del mandato della Missione ONU in Mali (MINUSMA) e l'incremento delle forze impiegate nel Paese, per mezzo sia dell’invio supplementare di 2500 caschi blu sia del dispiegamento di contingenti europei altamente specializzati. La decisione, presa a seguito della raccomandazione del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, è stata proposta dalla Francia e adottata all’unanimità dai 15 stati membri. La missione ha come priorità l’attuazione dell’accordo di pace stipulato un anno fa ad Algeri tra il governo e i gruppi armati attivi nel nord del Paese, ma anche la protezione dei civili, per mezzo sia di pattugliamenti sia, ove necessario, di attacchi mirati ai jihadisti. Tuttavia, l'ONU si è anche impegnata a garantire maggiore protezione ai caschi blu, oggetto dal 2013 di ricorrenti attacchi armati posti in essere dai gruppi jihadisti, esortando a tal fine anche l'intervento dei soldati francesi presenti nel Sahel (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). Decisioni di organi giudiziari 21 giugno: il Tribunale di Genova (ordinanza nella causa n. 13641/2015) riconosce la necessità dell'attribuzione della protezione umanitaria ad un cittadino del Mali, fuggito dal suo Paese in seguito a un conflitto insorto con le autorità locali con riferimento alla proprietà di un campo. Nello specifico, verificata la credibilità del ricorrente e esclusa la sussistenza delle condizioni per la concessione di uno status di protezione internazionale, il Tribunale conclude che, se occorre ammettere che “nella zona di Bamako di provenienza del ricorrente non sussiste una situazione di violenza indiscriminata”, d'altra parte, viste le note carenze del sistema di giustizia maliano, “è probabile che ove [il ricorrente] dovesse fare rientro a Bamako, difficilmente riuscirebbe a vedere tutelati i propri diritti rispetto agli abusi asseritamente subiti” (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). 6 giugno: il Tribunale di Potenza (ordinanze nelle cause 2475/2015, 2471/2015 e 2477/2015) riconosce lo status di protezione sussidiaria a tre cittadini del Mali. Nello specifico, il Tribunale ritiene che sia verificata la condizione della minaccia grave e individuale alla vita dei ricorrenti derivante dalla situazione di violenza generale e indiscriminata nel Paese e, a fondamento di questa conclusione, allega le fonti internazionali più accreditate (il rapporto 2013 di Amnesty International, le raccomandazioni fatte nel 2012 dall'UNHCR) e gli atti emanati dagli organi centrali del Ministero dell'Interno (la relazione 2012 della Commissione nazionale per il diritto di asilo, le notizie pubblicate sul sito www.viaggiaresicuri.it) (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). Gruppi armati presenti sul territorio 18 giugno: un nuovo gruppo politico-militare, l'Alleanza nazionale per la salvaguardia dell'identità peule e il ripristino della giustizia (Alliance nationale pour la sauvegarde de l’identité peule et la restauration de la justice o ANSIPRJ), fondato e capitanato da Oumar Aldjana, ha iniziato le sue attività nel centro del Mali, andando così ad aggiungersi alla miriade di gruppi già presenti nell'area. Nel corso di una intervista, Oumar ha affermato che il gruppo opererà ovunque si trovino dei maliani di etnia peule, allo scopo di difenderli dalle illegittime aggressioni poste in essere dall'esercito nazionale, in ragione dell'automatica erronea associazione dei peule ai gruppi jihadisti o indipendentisti (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). 17 giugno: a poche settimane dalla sua creazione, la situazione nella nuova regione amministrativa di Taoudenni, nord del Paese – una delle aree più vaste, desertiche e scarsamente popolate del Mali – resta estremamente problematica. In assenza di una qualsiasi presenza militare nell'area (dei soldati maliani, dei caschi blu MINUSMA o delle forze francesi Barkhane), la situazione risulta completamente fuori dal controllo dello Stato: i due gruppi che controllano l'area, il Mouvement arabe de l’Azawad (MAA) e Al-Qaïda au Maghreb islamique (Aqmi), coabitano pacificamente e garantiscono la sicurezza dei convogli che trasportano droga (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). 11 giugno: il controllo della regione centrale del Mali è conteso da diversi gruppi armati. Nell’area di Machina, oltre a banditi di strada, ladri di bestiame e bande di auto-difesa, sono attivi due gruppi. Il primo, Katiba Macina, che costituirebbe il ramo locale del gruppo jihadista Ansar Eddine e sembrerebbe riconducibile al “Front de libération du Macina” (FLM), agisce prevalentemente nelle vicinanza di Tenenkou, Nampala e Dioura, attaccando rappresentanti dello Stato e caschi blu. Il secondo gruppo, denominabile gli uomini di Hama Foune, dal nome del suo comandante, persegue gli obiettivi della de-radicalizzazione e del disarmo dei giovani “Peuls du Macina”, entrati nei ranghi di gruppi jihadisti negli ultimi anni, al fine di favorire il loro inserimento nel processo di “disarmo, de-mobilizzazione e reintegrazione”, previsto dagli accordi di pace di Algeri. Nelle aree di Hayré, Seeno e Gourma sono presenti tre gruppi. Il Gatia, parte della coalizione “Piattaforma”, operativa nel nord del Paese, che si è recentemente avvicinato alla Coalition des mouvements de l’Azawad (CMA), abbandonando così la sua tendenza filo governativa, e che è impegnato nella lotta contro i ribelli e i jihadisti, ma (presumibilmente) anche nel traffico di droga. Il Ganda Izo, movimento armato a dominanza Peul, poco attivo e mal equipaggiato, per lo più impegnato nel reclutamento di giovani combattenti. Il Dewral Pulaaku, ufficialmente un’associazione finalizzata alla difesa degli interessi dei Peul e alla prevenzione di conflitti inter-comunitari, considerata da molti come una organizzazione volta al riciclaggio dei jihadisti (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). Studi/relazioni 30 giugno: l’agenzia di notizie IRIN pubblica l’articolo Trouble in the heart of Mali, che analizza la situazione della sicurezza nel Paese ad un anno dagli accordi di pace di Algeri, firmati (in due tempi) dal governo e dai due principali gruppi armati attivi nel nord. In particolare, si riporta che, se le aree settentrionali del Mali restano ancora insicure, quelle centrali cominciano a destare preoccupazione: accanto alla formazione di nuovi gruppi armati, si registra un incremento del raggio di azione dei combattenti jihadisti. Inoltre, si sottolinea come i caschi blu della missione MINUSMA continuino ad essere oggetto di attacchi armati da parte di diverse fazioni (fonte IRIN news – per l'informazione vedi qui). NIGERIA Comunicati terroristici 6 giugno: un nuovo gruppo, che si fa chiamare la forza congiunta per la liberazione del Niger Delta (Joint Niger Delta Liberation Force o JNDLF) ha affermato che attaccherà presto obiettivi strategici in tutta la Nigeria, tra cui la villa presidenziale, le sedi dei ministeri del Governo e del Parlamento, le imprese petrolifere statali, la banca centrale di Abuja. Il Consiglio direttivo del JNDLF ha dichiarato che il gruppo ha la missione di far soffrire il governo federale e le compagnie petrolifere, come i residenti del Niger Delta hanno sofferto per il degrado e inquinamento ambientali ("We will make (the) federal government and oil companies suffer as they have made the people of the Niger Delta region suffer over the years from environmental degradation and environmental pollution”). Questa dichiarazione va contro l'impegno, espresso pubblicamente da altri gruppi impegnati nella lotta contro gli impianti petroliferi del Niger Delta, di unirsi in un fronte comune che eviti qualsiasi azione potenzialmente lesiva della vita umana (fonte Reliefweb – per l'informazione vedi qui). Conflitti interni civili/etnici/religiosi 18 giugno: 2 persone sono state uccise e centinaia costrette a fuggire in Camerun da affiliati al gruppo terroristico di Boko Haram, arrivati nel villaggio di Wumbi, stato di Borno, su 10 motociclette. I terroristi hanno saccheggiato le scorte di cibo e, in seguito, incendiato le case. Si tratterebbe del secondo attacco in questo villaggio in una settimana (fonte Reliefweb – per l'informazione vedi qui). 16 giugno: 24 persone (di cui molte donne), riunite in una veglia funebre nel villaggio di Kuda, stato di Adamawa, sono state uccise da militanti del gruppo terroristico di Boko Haram che hanno volontariamente aperto il fuoco contro di loro. Durante questo attacco, diverse persone sono state ferite, le riserve di cibo saccheggiate e le case incendiate. La fonte consultata riporta che i combattenti di Boko Haram avrebbero intensificato gli attacchi nei villaggi siti in questa area dopo la liberazione della città di Gulak da parte delle forze governative (fonti Jeune Afrique e Reliefweb – per l'informazione vedi qui e qui). 14 giugno: 4 persone sono state uccise e 4 donne rapite da affiliati al gruppo terroristico di Boko Haram, arrivati nel villaggio di Kutuva, stato di Borno, su 6 motociclette. Questo tipo di azioni, in passato molto frequenti, dall'inizio del 2015 sono diventate sempre più rare in questa regione (fonte Reliefweb – per l'informazione vedi qui). 10 giugno: 4 donne sono state obbligate a uscire dalle loro abitazioni e subito dopo sgozzate nel centro del villaggio di Mairari, a 80 km da Maiduguri, Stato di Borno. Secondo alcune testimonianze, si tratterebbe di un atto realizzato da militanti del gruppo terroristico di Boko Haram al fine di punire i mariti delle vittime, vuoi per il rifiuto di combattere nelle file dei ribelli islamisti vuoi per la loro presunta attività di informatori presso le autorità governative (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). Decisioni di Commissioni territoriali 8 giugno: Melting Pot Europa pubblica una decisione resa il 29 ottobre 2015 dalla Commissione per il riconoscimento per la Protezione internazionale di Salerno, che riconosce lo status di rifugiato a una cittadina nigeriana, nata e cresciuta nella città di Lagos, in quanto vittima di tratta internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Nello specifico, la Commissione rileva che, in caso di rientro nel Paese di origine, la richiedente potrebbe essere nuovamente vittima di tratta in quanto i suoi sfruttatori intendono rivalersi su di lei per il mancato pagamento integrale del debito contratto e, pertanto, corre un rischio effettivo di subire persecuzioni per appartenenza a un determinato gruppo sociale (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). Decisioni di Organi giudiziari 7 giugno: il Tribunale di Genova (ordinanza nella causa n. 16161/2015) riconosce lo status di protezione sussidiaria a una cittadina nigeriana, nata a Benin City, che dichiara di essere fuggita dal suo Paese per sottrarsi alle violenze dello zio paterno. Nello specifico, il Tribunale, ritenuto credibile il racconto della ricorrente, conclude che, nel caso in esame, sussiste la condizione della minaccia grave e individuale alla vita della ricorrente, derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno e cita, a tal fine i diversi rapporti di Amnesty International che riportano la grave situazione di stato di conflitto in tutta la Nigeria, ricordando che “la giurisprudenza di legittimità ... e la Corte Europea dei diritti dell'Uomo ... hanno attribuito pieno valore probatorio ai documenti e rapporti elaborati anche da organizzazioni non governative” (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). 6 giugno: il Tribunale di Genova (ordinanza nella causa n. 12910/2015) riconosce lo status di protezione sussidiaria a una cittadina nigeriana, di fede cristiana, che dichiara di essersi allontanata dalla Nigeria per sfuggire alle gravi minacce del padre del fidanzato, contrario alla loro unione. Nello specifico, il Tribunale, pur condividendo le argomentazioni della Commissione territoriale sulla genericità e lacunosità del racconto della ricorrente, conclude che risulta provata la condizione della minaccia grave e individuale alla vita della ricorrente derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno, in quanto, così come dimostrato dai rapporti pubblicati da Amnesty International tra il 2013 e il 2016 e dalle informazioni presenti sul sito del Ministero dell'Interno www.viaggiaresicuri.it, la Nigeria si caratterizza per “il perdurante conflitto a sfondo politico, etnico e religioso ed il clima generale di violenza, in un contesto di carenza di condizioni minime di sicurezza” (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l'informazione vedi qui). Operazioni multinazionali 15-24 giugno: in risposta agli attacchi sanguinari in Niger (6 giugno) e in Camerun (29 giugno), ha preso avvio un'operazione, cosiddetta di tripla-offensiva contro il gruppo terroristico di Boko Haram, condotta da una forza multinazionale mista (FMM) attorno all'area del lago Ciad: a nord-ovest operano le forze nigerine e ciadiane, mentre la zona a sud-ovest è coperta da quelle nigeriane e camerunesi. Gli obiettivi dell'operazione sono molteplici: rendere sicure le zone di confine; distruggere le basi già esistenti delle milizie di Boko Haram e impedire la creazione di nuove; accerchiare i jihadisti nella foresta di Sambisa, già loro roccaforte, e spingerli a fuggire verso il nord (fonte Jeune Afrique – per l'informazione vedi qui). Rifugiati/sfollati interni 6 giugno: l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ricorda che, in conseguenza degli attacchi realizzati dai combattenti di Boko Haram a Dugwaba, stato di Adamawa – nel corso del quale 8 dei 14 villaggi sono stati distrutti e circa 100 persone sono state uccise – 15.000 persone circa hanno cercato rifugio nelle città di Yola e Numan, stato di Adamawa, e nello stato di Kano, centro-nord della Nigeria. La stessa Agenzia dichiara di essere molto preoccupata per le sorti delle persone che stanno facendo ritorno a Dugwaba, dove la sicurezza non è ancora garantita e mancano le condizioni per riprendere una una vita dignitosa e, pertanto, invita tutti i residenti in quest'area a posticipare il rientro (fonte UNHCR – per l'informazione vedi qui). Studi/relazioni 13 giugno: nell'articolo “The Niger Delta Avengers: A New Threat to Oil Producers in Nigeria”, apparso sulla rivista Terrorism Monitor, si riporta che, dall'inizio del 2016, gli impianti petroliferi siti nel Niger Delta sono stati ripetutamente attaccati da affiliati al gruppo Niger Delta Avengers (NDA), che hanno costretto le principali compagnie petrolifere ad allontanare il personale. Nonostante il governo abbia dichiarato di voler adottare misure volte a ridurre il disagio dei locali e l'influenza dei ribelli, fino a quando queste azioni non otterranno il supporto di tutte le parti coinvolte – obiettivo non facile se si considera che i locali sono testimoni di violenze perpetrate ai loro danni dalle autorità governative mentre inseguivano i ribelli – saranno destinate a fallire (fonte The Jamestown Foundation – per l'informazione vedi qui). 6 giugno: nello studio “Nigeria: The Challenge of Military Reform”, l'International Crisis Group (ICG) riporta che l'esercito nigeriano sta attraversando una fase di profondo declino, in conseguenza sia dell'inefficacia della sua azione contro Boko Haram sia del suo scollegamento con il principio fondamentale della tutela dei diritti umani. Sebbene – anche grazie all'intervento delle forze alleate – abbia fatto registrare delle vittorie significative contro gli islamisti, l'efficacia della sua azione continua a essere pregiudicata dall'impopolarità derivante, in particolare, dalla corruzione del sistema e dalle ripetute e gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni sia dei civili, accidentalmente coinvolti nei conflitti in corso, sia degli avversari. Secondo l'ICG, l'esercito nigeriano abbisogna di una riforma profonda, che investa l'intero settore della difesa nazionale, dalle gerarchie, al meccanismo di monitoraggio e verifica, fino all'amministrazione (fonte ICG – per l'informazione vedi qui). Violazioni dei diritti umani 30 giugno: il dipartimento di Stato degli Stati Uniti include la Nigeria nella lista dei Paesi che fanno ancora uso dei bambini soldato (fonte HRW – per l'informazione vedi qui). 10 giugno: in seguito a indagini condotte sul campo, a Onitsha, stato di Anambra, Amnesty International (AI) conferma che, tra il 29 e il 30 maggio scorsi, l'esercito nigeriano ha deliberatamente e illegittimamente attaccato e ucciso diversi membri, non armati, del movimento pro-Biafra (Indigenous people of Biafra o IPOB), riunitisi per un evento commemorativo. Secondo le testimonianze raccolte, i militari governativi avrebbero aperto il fuoco contro gli IPOB già nella notte prima della manifestazione, mentre si riposavano in case e chiese. Dalle ferite riportate alla schiena, risulta che gli IPOB stavano fuggendo e, pertanto, l'esercito non avrebbe agito in autodifesa. Il numero esatto di vittime e feriti resta ancora sconosciuto, in quanto l'esercito nigeriano avrebbe fatto sparire i corpi. AI chiede al governo nigeriano di aprire immediatamente un'inchiesta indipendente sulle uccisioni illegittime e, in seguito, processare e condannare i responsabili (fonte AI – per l'informazione vedi qui). 6 giugno: Amnesty International (AI) ricorda che, solo negli ultimi 6 mesi, l'esercito nigeriano ha ucciso illegittimamente almeno 350 persone e permesso che altre 168 (inclusi bambini) morissero nelle prigioni militari. Pertanto, invita il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a rivolgersi con urgenza all'Alto Commissario per i diritti umani, affinché favorisca il monitoraggio e il resoconto dettagliato delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario perpetrate dall'esercito nazionale nigeriano nella lotta contro il gruppo terroristico di Boko Haram; il governo nigeriano a chiudere i centri di detenzione militare e a favorire l'avvio di indagini imparziali ed effettive sulle violazioni commesse, nonché la condanna dei responsabili (fonte AI – per l'informazione vedi qui). PAKISTAN Conflitti interni civili/etnici/religiosi 24 giugno: almeno 5 persone sono rimaste uccise e 32 ferite in seguito all'esplosione di una bomba nella città di Quetta, nel Balochistan. Nessun gruppo ha rivendicato l’attacco, ma, come è ben noto, la città si trova vicino al confine sud-est con l'Afghanistan, roccaforte dei talebani (fonti DAWN e Radio Free Europe/Radio Liberty – per l’informazione vedi qui e qui). Decisioni di organi giudiziari 16 giugno: il Tribunale di Genova (ordinanza della causa n. 12538/2015) ha riconosciuto lo status di protezione sussidiaria a un cittadino pakistano, allontanatosi dal suo Paese a causa delle minacce di morte rivoltegli in conseguenza della denuncia presentata nei confronti dei presunti assassini del cugino, appartenenti a pericolose e potenti famiglie della sua zona di residenza. In particolare, accertata la credibilità del ricorrente, il Tribunale ritiene che, in questo caso, sussista la condizione del rischio effettivo di subire un danno grave e individuale alla vita in caso di rimpatrio in Pakistan. Danno che, conclude il Tribunale, “proviene da soggetti privati in una situazione in cui gli organi dello stato di provenienza non possono fornire al ricorrente una idonea protezione”, difatti, come confermato anche dal rapporto 2014-2015 di Amnesty International, “i fatti narrati dal ricorrente rappresent[a]no un quadro sintomatico di pericolosità per l'incolumità dello stesso, rappresentato dalla conservazione di un sistema di vendette private, sostanzialmente tollerato o non efficacemente contrastato nel paese di origine” (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l’informazione vedi qui). 14 giugno: la Corte d'Appello di Trieste (sentenza n. 386/2016) accoglie il ricorso, presentato contro la decisione del Tribunale di Trieste da un cittadino pakistano dalla provincia del Kashmir, e gli riconosce lo status di protezione sussidiaria. A fondamento della sua decisione, la Corte adduce la situazione di profonda insicurezza in cui versa il Kashmir e, in generale, tutto il Pakistan, così come riportato sia da fonti nazionali (relazione della Commissione nazionale per il diritto di asilo e informazioni reperibili sul sito www.viaggiaresicuri.it) sia da fonti internazionali (il rapporto 20142015 di Amnesty International). E conclude che “la situazione di violenza indiscriminata e diffusa in larghe zone del Paese ... stante il perdurante e il diffondersi di conflitti tra esercito e i numerosi gruppi di talebani che vi operano in un clima generale di violenza e in un contesto di assoluta carenza delle condizioni minime di sicurezza” induce a ritenere che, in questo caso, sussista un pericolo effettivo per l'incolumità del ricorrente in caso di rimpatrio in Pakistan (fonte Progetto Melting Pot Europa – per l’informazione vedi qui). Operazioni di polizia e giudiziarie 8 giugno: una donna è stata arrestata nella città di Lahore, per aver bruciato viva sua figlia, in quanto quest'ultima si era opposta al diniego della famiglia di sposare un uomo di sua scelta. Le donne che vengono uccise per delitto d’onore nel Paese sono circa 1000 all’anno (fonte Radio Free Europe/Radio Liberty – per l’informazione vedi qui). 3 giugno: i responsabili dell'omicidio di Maria Sadaqat, l'insegnate malmenata e bruciata viva a Murree (Punjab) per aver rifiutato di sposare l'uomo prescelto dalla famiglia, sono stati arrestati. Anche se, lo scorso febbraio, il Punjab ha approvato una legge che punisce ogni forma di violenza contro le donne, l’omicidio d’onore resta un fatto ricorrente (fonti BBC News e Radio Free Europe/Radio Liberty – per l’informazione vedi qui, qui e qui). Studi/relazioni 9 giugno: il Ministro degli Interni del Regno Unito (UK Home Office) pubblica un nuovo documento “Country Information and Guidance” sul Pakistan, intitolato “Pakistan: Prison conditions”, volto a definire la fondatezza del timore dei cittadini pakistani di essere posti sotto regime detentivo in caso di rimpatrio nel loro Paese, in ragione delle condizioni carcerarie che configurerebbero tortura o trattamenti inumani e degradanti. In generale, l'UK Home Office definisce le condizioni carcerarie del Pakistan molto precarie, riferendo di sovraffollamento e di inadeguatezza di cibo e cure. Tuttavia, ritiene che la soglia della tortura o trattamenti inumani e degradanti non possa dirsi automaticamente superata e vada accertata caso per caso. In particolare, riporta che i maltrattamenti più rilevanti o condizioni detentive peggiori si registrano con riferimento agli appartenenti a minoranze religiose, agli accusati di blasfemia e ai condannati alla pena di morte. Obiettivo di questo documento è quello di fornire dati precisi e aggiornati sul Paese di origine dei richiedenti di nazionalità pakistana al fine di supportare le autorità competenti del Regno Unito a decidere sull'attribuzione dell'asilo, della protezione umanitaria ovvero di altra forma di permesso (fonte GOV.UK – per l’informazione vedi qui). Violazioni dei diritti umani 23 giugno: i rifugiati afgani che vivono nel territorio del Pakistan, specialmente nell’area di Peshawar, subiscono continue violenze da parte della polizia pakistana, quali controlli arbitrari e sequestro dei permessi di soggiorno. Le fonti consultate riferiscono, inoltre, di arresti arbitrari e privazioni della libertà personale presso le stazioni di polizia, nonché di successivi rilasci solo dopo l'intervento di un ufficiale dell’UNHCR o di altra autorità influente dell’area. Da diverso tempo, il governo pakistano manifesta la volontà di espellere con la forza i rifugiati afgani, anche quelli che risiedono in Pakistan dagli anni '80 (fonti IRIN news e UNHCR – per l’informazione vedi qui e qui). 14 giugno: Human Rights Watch (HRW) riferisce del recente incremento in Pakistan del numero di delitti d’onore (perlopiù a danno di giovani donne) e, pertanto, invita il governo ad adottare un approccio “di tolleranza zero”. Se è vero che la legge vigente contempla, in capo alla famiglia della vittima, la facoltà di perdonare l'assassinio (spesso membro della stessa famiglia), che in tal modo evita il procedimento penale, HRW ricorda che, nel mese di marzo 2016, il Senato ha approvato una riforma sul delitto d’onore – ancora in attesa di approvazione da parte dell’assemblea nazionale – che eliminerebbe questa possibilità. Oltre all'approvazione della riforma, HRW raccomanda al governo di adottare un atteggiamento più duro anche nei confronti degli organi di polizia, sempre pronti a piegarsi ai favori sia dei politici sia dei religiosi (fonte HRW – per l’informazione vedi qui). NOTA GENERALE Nel mese di giugno, sono stati pubblicati i seguenti tre documenti di interesse generale: - il rapporto sulla tratta delle persone, relativo ai mesi da marzo 2015 a febbraio 2016 (Trafficking in Persons Report 2016), del dipartimento di Stato degli Stati Uniti (US Department of State), reperibile qui; - i rapporti per Paese sul terrorismo, relativi al 2015 (Country Reports on Terrorism 2015), del dipartimento di Stato degli Stati Uniti (US Department of State), reperibile qui; - rapporto sulle attività condotte dal Ufficio delle Nazioni Unite per l'Africa dell'ovest e il Sahel, nel periodo dal 1 gennaio al 30 giugno 2016, in Benin, Bolivia, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Togo (Report on the activities of the United Nations Office for West Africa and the Sahel), del Segretario Generale delle Nazioni Unite (UN Secretary-General), reperibile qui. 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