La Chiesa non ha niente da guadagnare dall`equivoco

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La Chiesa non ha niente da guadagnare dall`equivoco
“La Chiesa non ha niente da guadagnare dall'equivoco”
intervista a Johan Bonny, a cura di “De Morgen”
in “il regno-blog.blogspot.it” del 5 gennaio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)
Pubblicata dal giornale di lingua fiamminga De Morgen il 27 dicembre 2014, l'intervista a Mons.
Bonny, vescovo di Anversa, è stata resa nota il 29 dicembre in francese dal blog
http://belgicatho.hautetfort.com/, e ripresa da “L'indice del Sinodo” (Blog de Il Regno per seguire
in diretta il Sinodo 2014-2015).
Tutto è cominciato con una lettera. Johan Bonny ha interpellato il Vaticano affinché aprisse le sue
porte agli omosessuali e alle coppie divorziate. Ma oggi, il vescovo di Anversa va oltre, sostiene
una benedizione delle relazioni gay, lesbiche, bisessuali. “Esiste una diversità di relazioni di cui la
Chiesa può riconoscere la qualità”.
Bonny ha iniziato la sua offensiva nel 2014. Il papa “del rinnovamento” Francesco gli ha dato le ali.
È per questo che Bonny ha scritto la lettera indirizzata a Roma. Nello stesso periodo il vescovo di
Anversa si è scontrato con i demoni del passato. Infatti, ancora poco tempo fa, grande è stata
l'indignazione quando un prete, riconosciuto nel passato colpevole di abusi sessuali su un minore, è
stato nominato a Middelkerke. Il vescovo di Bruges, Jozef De Kezel, ha dichiarato in seguito di
aver commesso un errore di giudizio.
Bonny, che ha operato a lungo a Bruges, è molto imbarazzato da questa storia, ma non vuole
criticare De Kezel. “Non è mio compito giudicare una decisione di un collega. Il vescovo De Kezel
ha detto lui stesso di aver mancato di giudizio rispetto al carattere delicato di quella nomina. Ha
detto di aver preso la decisione giusta da un punto di vista formale, ma senza tener conto
dell'aspetto sociale. È in quello che ci si ritrova in difficoltà”.
Comprende l'indignazione pubblica?
Naturalmente, comprendo assolutamente. Esiste un trauma in riferimento agli abusi sessuali nella
Chiesa, l'indignazione proviene dagli strati profondi di quel trauma. La Chiesa deve tener conto di
quello. Allo stesso tempo, bisogna anche essere giusti. Il nostro comportamento deve andare
incontro alle emozioni delle vittime, ma deve anche essere in accordo con le regole della giustizia
elementare e con i diritti della difesa. La giustizia fa anch'essa costantemente questo esame di
“pesare i pro e i contro”, cercando la soluzione più giusta.
Per questo trovo che la Chiesa dovrebbe ancor di più affidarsi a competenze esterne per ciò che
riguarda quei temi. Se facciamo da soli l'esame del “pesare i pro e i contro”, non otterremo
l'appoggio e l'approvazione della società. Invece, se siamo assistiti da giuristi e psichiatri,
mostreremo chiaramente di non voler agire con negligenza, ma di essere veramente interessati al
benessere comune. La Chiesa non ha niente da guadagnare dall'equivoco.
Però l'idea dell'impunità di fronte ai preti pedofili continua. Troppi preti sospettati non
compaiono davanti a un tribunale, dice la critica.
Penso che quella critica sia ingiusta. Come in tutte le categorie, bisogna che la giustizia possa fare il
suo lavoro per i casi di pedofilia. Tutti i nostri dossier vanno alla giustizia e sono i giudici che
prendono le decisioni in materia di azione giudiziaria. Non bisogna dimenticare che dopo la crisi
pedofila del 2010, ci sono cadute addosso montagne di dossier prescritti. Molto spesso, si tratta di
vittime che non sono mai comparse in giustizia e che hanno cominciato a parlare per la prima volta.
A partire dal 2010, abbiamo sistematicamente fatto pervenire i dossier alla giustizia, anche quelli
prescritti. Ci sono stati dei casi per cui la giustizia ha espresso una prescrizione, ma per i quali le
vittime sono state indirizzate verso il centro di arbitraggio per abusi sessuali nella Chiesa. Potevano
percepirvi un indennizzo. Questo sistema ha funzionato molto bene negli ultimi cinque anni”.
Ma cosa fate con i casi “moderati”: dei preti che sono stati perseguiti, ma che vogliono
riprendere le loro funzioni, è possibile?
In tutti i casi, applichiamo la tolleranza zero. L'abuso non può ripetersi. La nostra prevenzione deve
funzionare bene. Ma talvolta ci possiamo anche trovare in una situazione molto difficile da
giudicare. Che cosa è successo? Quali funzioni questa persona può ancora svolgere? Un compito
amministrativo o pastorale nel quale non può essere in contatto con bambini o giovani? È in quei
casi che dobbiamo appellarci all'aiuto, all'accompagnamento, al sostegno professionale esterno.
Talvolta, è come se nella Chiesa ci fosse una paura a prendere delle decisioni sui casi di
pedofilia e di comunicarli chiaramente. Come se foste presi in un dilemma: “qualunque sia la
decisione, sarà sempre percepita come sbagliata”.
Si, ci ritroviamo chiaramente con questo problema. C'è dal 2010 una perdita di fiducia, e la
credibilità non la si recupera in quattro anni. Nel 2010, ero a Roma e laggiù ho avuto una lunga
conversazione con un vescovo australiano. Anche lui alcuni anni prima aveva dovuto affrontare
degli scandali di pedofilia nella sua Chiesa. “Non si faccia illusioni”, mi aveva detto. “Avrete
bisogno di almeno dieci anni per recuperare la vostra credibilità”. Ed è vero.
Ma dal 2010 abbiamo fatto una montagna di lavoro. Non conosco nessuna istituzione che abbia
preso questo problema con tale serietà, con tanto volontà e impegno. Abbiamo ascoltato molte
testimonianze privilegiando la credibilità della vittima e con pochissime esigenze di forma. E questo
per fatti già prescritti da tempo e che è difficile verificare. Abbiamo lavorato in collaborazione con
la giustizia ed è stata istituita una commissione di arbitraggio. Del resto, tutto questo lavoro è stato
fatto con la supervisione di una commissione parlamentare speciale. Tutti questi elementi devono
contribuire ad ottenere l'approvazione e l'appoggio della società.
In settembre, lei ha scritto una lettere al Vaticano, nella quale afferma che la Chiesa deve
mostrare maggiore rispetto per l'omosessualità, per le persone divorziate e per le relazioni
moderne. Qual è stata la scintilla che l'ha decisa ad inviare quella lettera rendendola
pubblica?
Nessuno mi ha chiesto di scrivere quella lettera, è una cosa che è venuta da me. Mi è stata affidata
una diocesi con delle persone che vi vivono. Per dirlo in linguaggio biblico: è stato affidato un
gregge ad un pastore, ed è mio dovere occuparmene il meglio possibile. Questo vuol dire in
particolare che devo esprimere ciò che si vive all'interno della comunità dei credenti. Quali sono le
loro preoccupazioni? Quali sono le loro gioie?
Naturalmente, ciò che è importante per me è che papa Francesco cambiato certi punti di riferimento.
Questo ha risvegliato in me molte cose. Non posso restare spettatore neutro di fronte a quei
cambiamenti, voglio parteciparvi. Del resto, tutti ad un certo momento della vita si trovano
confrontati con relazioni, amicizie, rapporti di parentela, educazione dei figli. Non dobbiamo negare
che esistono all'interno della Chiesa dei traumi a questo proposito. Troppe persone si sono sentite
escluse per molto tempo. Questa perdita di fiducia, la Chiesa non può ripararla se non parlando in
maniera aperta e sincera dei temi che preoccupano veramente le persone.
Molti reagiscono con sollievo e sono contenti del fatto che lei parli in maniera aperta delle
relazioni e delle forme familiari moderne. Ma altrettante persone si chiedono perché c'è
voluto tanto tempo.
Comprendo perfettamente. Come vescovi, abbiamo creduto per troppo tempo che fosse impossibile
discutere di certi insegnamenti o regole disciplinari. Per non mandar via i nostri credenti, agivamo
con pragmatismo. Così si è creato un solco sempre più grande tra l'insegnamento ufficiale della
Chiesa e la pratica quotidiana.
Ma c'è un'altra ragione per la quale questa nuova apertura ha impiegato così tanto tempo. (Riflette
un po'). Voglio formularlo in termini positivi. Papa Paolo VI e soprattutto papa Giovanni Paolo II
erano personaggi eminenti e grandi papi. Hanno giustamente puntato sul matrimonio. C'erano molti
lati positivi nella loro storia, ma allo stesso tempo questo non corrispondeva totalmente a ciò che la
gente oggi pensa o sente rispetto a quelle tematiche. Con papa Francesco, c'è stato un po' di
movimento. Nella sua lettera “la gioia del vangelo”, pubblicata alla fine del 2013, ha davvero
cambiato i punti di riferimento rispetto a quanto poteva essere discusso. Ha reso l'insegnamento
della Chiesa più vicino alla realtà vissuta e ha dato maggiore spazio alla diversità nel dibattito.
Ha avuto una reazione alla sua lettera?
“No, non ho avuto nessuna risposta ufficiale da Roma.
È un buon segno o un cattivo segno?
Mi hanno sempre detto: niente nuove, buone nuove. No, seriamente: in novembre, ero a Roma per
una riunione, e allora diversi cardinali, vescovi e teologi sono venuti a dirmi che avevano letto la
mia lettera con molto interesse e mi hanno ringraziato. Ho sentito che gli stessi problemi li
preoccupavano e che volevano partecipare attivamente al dibattito.
Al sinodo dei vescovi in ottobre, non è stato trovato nessun consenso riguardo a omosessuali,
lesbiche, bisessuali, e ai divorziati. Erano soprattutto i vescovi dell'Africa e dell'Asia che
rimanevano fermi sui punti di vista conservatori. Una sconfitta?
Niente affatto. Prima di Francesco, c'era uno statu quo ufficiale a proposito di questi temi e
pochissime possibilità di discussione. In meno di due anni, il papa è riuscito a mettere in moto una
discussione sull'argomento. Mi creda: all'interno di una comunità mondiale molto diversificata
come la Chiesa cattolica, questo non è scontato.
Secondo lei, che cosa è possibile, a lungo termine? La Chiesa darà la benedizione alle coppie
gay, lesbiche e bisessuali?
Personalmente, credo che nella Chiesa ci dovrebbe essere maggiore apertura per il riconoscimento
della qualità di fondo di una coppia gay, lesbica o bisessuale. Questa forma di vita a due deve
rispondere alle stesse esigenze del matrimonio religioso. I valori di fondo sono per me più
importanti della forma istituzionale. L'etica cristiana difende la relazione duratura e l'esclusività, la
fedeltà e la cura per l'altro sono centrali. Accanto a questo c'è ancora l'apertura per la vita nuova, o
almeno la responsabilità che i partner si assumono per essere generosi in ciò che si dà ai figli e ai
giovani. Bisogna accettare che quei criteri siano presenti in una diversità di relazioni e bisogna
cercare di dare una forma a quelle relazioni.
Pensa che sia possibile che delle coppie gay, lesbiche o bisessuali che hanno l'ambizione di
vivere secondo l'etica della Chiesa abbiano la possibilità di potersi sposare religiosamente?
Non voglio negare che la particolarità di una relazione uomo donna sia un elemento stabile della
nostra tradizione cristiana. In un primo tempo, privilegeremo questa relazione uomo donna, la cui
fecondità può dar vita ad un figlio. Tale relazione manterrà all'interno della Chiesa il suo carattere
sacramentale e la sua liturgia propria.
Ma questa particolarità non deve restare esclusiva e non esclude che esista una diversità di
relazione di cui la Chiesa può riconoscere la qualità fondamentale.
In effetti, dobbiamo cercare un riconoscimento formale della “relazionalità” presente in molte
coppie gay, lesbiche o bisessuali credenti. Questo deve essere un riconoscimento sacramentale del
matrimonio? Forse la Chiesa dovrebbe piuttosto riflettere alla diversità di forme di riconoscimento.
Questa discussione è la stessa per il matrimonio civile. In Belgio, esiste lo stesso modelle sia per le
relazioni uomo-donna che per le relazioni omosessuali. Ma esistono altre possibilità, che secondo
me sono altrettanto valide. Forse non è necessario mettere tutte le relazioni in uno stesso modello.
Perché sia chiaro: lei dice che la Chiesa deve riconoscere formalmente le relazioni gay,
lesbiche e bisessuali?
Come nella nostra società esiste una diversità di inquadramenti legali per i partner, allo stesso
modo, nella Chiesa, dovrebbe esserci una diversità di forme di riconoscimento. In questo modo, si
impedisce di cadere nell'ingranaggio delle discussioni ideologiche complesse. Sono un sostenitore
di una diversità di forme di riconoscimenti che partono dalla pratica pastorale o dal pensiero
pastorale piuttosto che dalle discussioni di principio. Perché questi ultimi portano spesso delle
controversie e generano spesso la discordia. Diversi nonni mi hanno spiegato che erano contenti che
io avessi scritto quella lettera. Non sono interessati ad una discussione di principio. Vogliono prima
di tutto mantenere uniti i loro figli e i loro nipoti, che siano gay, lesbiche, bisessuali o no. Perché li
amano tutti allo stesso modo.
A Natale, vogliono anche invitare la loro nipote che vive con un'amica lesbica senza che questo crei
delle tensioni. La vita è concreta fino a questo punto, non è vero? Problemi così concreti si possono
risolvere con molta umanità e comprensione, ma non con discussioni di principio. La stessa
dinamica è attiva nella Chiesa. La comunità ecclesiale è una grande famiglia e la mia prima
preoccupazione è sapere come favorire quel riflesso. In effetti, non voglio minimizzare il significato
delle questioni dottrinali, ma come vescovo mi riconosco soprattutto nei nonni. Anch'io voglio
mantenere la famiglia unita. Voglio che tutti i membri della famiglia continuino a frequentarsi, a
festeggiare il Natale insieme e a formare una comunità solidale.
Il 2015 sarà probabilmente per lei un anno molto speciale. L'arcivescovo André Léonard
compirà 75 anni, il che implica che debba lasciare il posto a qualcun altro. Lei è visto come il
possibile successore. È una funzione che vorrebbe esercitare?
Io continuo a dire: sono sei anni che sono diventato vescovo di Anversa ed è già stato un grande
esercizio. Con molti collaboratori, ho lavorato duramente per il futuro di questa diocesi. Per questo,
ho dovuto, di tanto in tanto, oppormi a certe tradizioni. Si cerca di costruire qualche cosa, e questo
richiede molta energia. Questi sforzi, non si possono rifare tutti gli anni. Preferisco lavorare a
progetti a lungo termine, ed è ciò che faccio per il momento.
Mi trovo molto bene ad Anversa. Naturalmente, mantengo aperta l'altra opzione, ma, per quanto mi
riguarda, preferisco continuare ciò che ho cominciato, ad Anversa.