Le modifiche apportate all`ordinamento penale dal DL 1 luglio 2013

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Le modifiche apportate all`ordinamento penale dal DL 1 luglio 2013
Le modifiche apportate dal DECRETO-­‐LEGGE 1 luglio 2013, n. 78 convertito in legge 9 agosto 2013, n. 94 (in G.U. 19-­‐8-­‐2013, n. 193). Il D.L . 1 luglio 2013, n.78, contenente “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”, poi convertito con Legge n. 94 del 9 agosto 2013, appare di notevole importanza in quanto ha apportato delle rilevanti modifiche al nostro codice penale, a quello di procedura penale ed all’ordinamento penitenziario, finalizzate a porre rimedio al problema del sovraffollamento delle carceri italiane, ritenute inadeguate, rispetto a quelle delle altre grandi nazioni europee ad ospitare la popolazione penitenziaria, così come da ultimo affermato dalla C.E.D.U. nella celebre sentenza Torreggiani1. Soffermandoci sulle predette modifiche pare opportuno iniziare la nostra disamina da quelle apportate all’art 280 co. 2 c.p.p. Com’è noto, in tema di misure cautelari, l’art 280 c.p.p. impedisce che, di regola, possano applicarsi misure coercitive e interdittive al di sotto di una soglia minima di gravità del delitto addebitato. In particolare il secondo comma della norma in questione, prima delle già citate modifiche normative, consentiva l’applicazione della custodia in carcere ai soli delitti punibili nel massimo con la reclusione di almeno quattro anni o con l’ergastolo. Ciò premesso, in conformità a quanto previsto dall'art. 1 co. 0 (a) del d.l., il limite di pena per l'applicabilità della custodia cautelare in carcere è stato innalzato da 4 a 5 anni di reclusione. Unica eccezione, peraltro ritenuta in contrasto con l’art. 3 Cost., attiene al delitto di finanziamento illecito ai partiti (art.7 l. 195/1974), per il quale è prevista l’applicabilità della custodia cautelare nonostante esso sia punito con una pena massima di 4 anni di reclusione. Sempre a proposito della materia delle misure cautelari, è stato modificato l’art 274 co.2 lett. c) c.p.p. che, nel prevedere l’esigenza cautelare del pericolo che l’imputato commetta determinate categorie di delitti, stabiliva che la custodia cautelare (ossia il carcere o gli arresti domiciliari) poteva essere disposta soltanto quando per tali delitti era prevista la pena della reclusione di almeno quattro anni; ebbene, anche questo limite è stato innalzato a cinque anni in sede di conversione del decreto. A subire delle modifiche rilevanti, come peraltro anticipato nella premessa, non è stato soltanto il codice di procedura penale ma anche quello penale e, nello specifico, l’art 612 bis c.p. In particolare, l’entrata in vigore della normativa in questione ha determinato l’innalzamento della pena massima prevista per il delitto di stalking, che è ora punito con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni. È stato, pertanto, innalzato il limite massimo della pena previsto per tale reato (che prima era punito nel massimo con la reclusione fino a quattro anni…) al fine di consentire l’applicabilità della custodia cautelare che, in caso contrario, non avrebbe potuto trovare applicazione a seguito delle modifiche apportate all’art. 280 co 2 c.p.p. Trattandosi, tuttavia, di modifica “in peius” nei confronti dell’imputato, l'innalzamento di pena 1 Con sentenza dell’8 gennaio 2013, la C.E.D.U ha deciso nel caso Torreggiani e altri c. Italia, intervenendo nuovamente in materia di sovraffollamento carcerario. Con questa sentenza-­‐pilota emessa ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, la C.E.DU. ha affermato che l’eccessivo affollamento degli istituti di pena italiani rappresenta un problema strutturale del nostro Paese. Secondo la C.E.D.U. vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione e sono necessari interventi radicali e tempestivi. previsto dall'art. 612 bis c.p. è però destinato ad operare -­‐ ai sensi dell'art. 2 co. 4 c.p. -­‐ solo per i fatti consumati dopo l'entrata in vigore della legge: da ciò la conclusione che gli imputati che si trovano in questo momento in custodia cautelare per un fatto di stalking commesso prima del 20 agosto 2013 potranno chiederne la revoca ai sensi dell'art. 299 c.p.p. Connessa a tali modifiche appare anche quella inerente all’art. 284 c.p.p., in materia di arresti domiciliari. Ebbene, in virtù del nuovo co 1-­‐bis della suddetta norma, il giudice prima di disporre l’applicazione di tale misura dovrà eseguire una valutazione sull’idoneità del luogo di esecuzione della stessa in considerazione delle “prioritarie esigenze di tutela della persona offesa del reato”. Tale disposizione è finalizzata a soddisfare le esigenze di tutela della persona offesa nei reati come i maltrattamenti o lo stalking, “laddove la vicinanza dell'autore delle condotte (alla vittima) potrebbe agevolarlo nella reiterazione delle stesse o nella perpetrazione di delitti più gravi". Si precisa che, per effetto del richiamo che l'art. 47 ter o.p. fa all'art. 284 c.p.p., anche il tribunale di sorveglianza sarà tenuto a compiere la valutazione sull'idoneità del domicilio, nel disporre le modalità di esecuzione della detenzione domiciliare. Di fondamentale importanza appare altresì la modifica dell’art. 656 co.5 c.p.p., in tema di sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive che, fino all’entrata in vigore della normativa in questione trovava applicazione limitatamente alle pene detentive non superiori a tre anni (o a sei anni nel caso di condannato tossicodipendente). Il decreto legge -­‐ non investito da emendamenti, sul punto, in sede di conversione – ha previsto la possibilità di sospendere le condanne fino a 4 anni "nei casi previsti dall'art. 47 ter co. 1”, ossia nei confronti di: “donna incinta; madre (o padre) di prole, convivente, di età inferiore ai dieci anni; persona in gravi condizioni di salute; ultrasessantenne se inabile anche parzialmente; minore di anni ventuno”. Sempre rivolte a garantire l’ampliamento dell’operatività del meccanismo sospensivo di cui all’art.656 co 5 c.p.p. appaiono le modifiche concernenti la misura alternativa della liberazione anticipata ex art. 54 o.p.. A tal proposito si rileva come il nuovo co.4 bis della suindicata norma prevede che il p.m. qualora il condannato abbia trascorso dei periodi di custodia cautelare o abbia espiato delle pene effettive -­‐ sospenda le proprie determinazioni, trasmettendo senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza competente, affinché decida in merito all'applicazione dell'art. 54 o.p. Solo a seguito dell'ordinanza del magistrato, il p.m. potrà emettere il provvedimento ex art. 656 c.p.p., o sospendendo l'ordine di esecuzione, qualora per effetto degli sconti di pena ex art. 54 co.p., la pena sia 'scesa' al di sotto dei livelli di cui al co. 5 o, viceversa, emettendo l'ordine di esecuzione quando la pena residua da scontare sia superiore a tali livelli. Occorre evidenziare come il provvedimento in esame (sul punto non modificato in sede di conversione) non incide sulla disciplina della liberazione anticipata, che rimane invariata quanto a presupposti e ad effetti (già l'art. 54 o.p. prevedeva infatti la possibilità di computare, ai fini degli sconti di pena, anche eventuali periodi di custodia cautelare): la novità consiste solo nell'anticipazione del giudizio del magistrato di sorveglianza -­‐ da effettuare, come di norma, secondo la procedura di cui all'art. 69 bis o.p. -­‐ prima dell'emissione dell'ordine di esecuzione da parte del p.m., al fine di evitare inutili passaggi dal carcere a chi -­‐ per effetto appunto di una successiva pronuncia del magistrato di sorveglianza -­‐ potrebbe poi essere scarcerato in tempi brevi. Rimarranno esclusi da tale meccanismo soltanto coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere e i condannati per un delitto di cui all’art 4 bis o.p..2 Come si è già detto, la procedura di cui al co. 4 bis dell'art. 656 c.p.p. non opera nei confronti dei soggetti che, nel momento in cui la sentenza diviene definitiva, si trovano in custodia cautelare per il fatto oggetto della condanna. In questo caso il p.m. dovrà procedere, come di regola, ad emettere l'ordine di esecuzione di cui al co. 1 dell'art. 656 c.p.p. Tuttavia, secondo quanto previsto dal nuovo co. 4 ter dell'art. 656 c.p.p. (anch'esso non modificato in sede di conversione) "se ricorrono i presupposti di cui al co. 4 bis" -­‐ ossia se, computando gli sconti applicabili ex art. 54 o.p., la pena rimane entro i limiti di cui al co. 5 -­‐ al p.m. è fatto carico di trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza, così da sollecitare una rapida applicazione degli sconti di pena e consentirne una più rapida uscita dal circuito carcerario. Infine sempre con riferimento all’art. 656 c.p.p. si rileva come sia stata soppresse alcune preclusioni di cui al co.9 ed in particolare la soppressione della lettera c), ossia del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione per i recidivi reiterati di cui all'art. 99, co. 4, c.p. Infatti, come si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto legge, tale disposizione si fonda sulla constatazione della scarsa significatività, in termini di difesa sociale, della presunzione assoluta di pericolosità a carico di questa categoria di condannati. Quanto alla legge di ordinamento penitenziario, un primo gruppo di disposizioni contenute nel provvedimento in esame mira all'eliminazione degli automatismi fondati su presunzioni 2 Articolo 4 bis o.p. Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti) 1. Fermo quanto stabilito dall’articolo 13-­‐ter del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della legge 26 luglio 1975, n. 354, fatta eccezione per la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-­‐bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo nonché per i delitti di cui agli articoli 416-­‐bis e 630 del codice penale, 291-­‐quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborano con la giustizia a norma dell’articolo 58-­‐ter. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei predetti delitti, ai quali sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dagli articoli 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, o 114 del codice penale, ovvero la disposizione dell’articolo 116, secondo comma, dello stesso codice, i benefici suddetti possono essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Quando si tratta di detenuti o internati per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale ovvero di detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma del codice penale, 291-­‐ter del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 416 realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I e dagli articoli 609-­‐bis, 609-­‐quater, 609-­‐quinquies, 609-­‐octies del codice penale e all’articolo 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80 comma 2, del predetto testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva. 2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto. 2bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1, terzo periodo, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. 3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali. 3bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3. assolute di pericolosità. Con particolare riferimento al recidivo reiterato, è stato soppresso: -­‐ il divieto di concessione della detenzione domiciliare tra i 3 e i 4 anni di pena (co. 1.1. art. 47 ter o.p.); -­‐ il divieto di accesso alla detenzione domiciliare infra-­‐biennale (co. 1 bis art. 47 ter o.p.). Altre modifiche della legge di ordinamento penitenziario sono funzionali a valorizzare il lavoro del detenuto, considerato -­‐ a ragione -­‐ un potente antidoto contro la recidiva. In questo senso, innanzitutto, sono stati potenziati gli incentivi fiscali a vantaggio di coloro che assumono detenuti e internati, sia nella forma di più vantaggiosi sgravi contributivi, sia di nuovi crediti di imposta (tali previsioni, introdotte in sede di conversione, non hanno in realtà interessato l'.o.p., bensì le l. 381/1991 e 193/2000). In secondo luogo, con l'introduzione di un nuovo co. 4 bis all'art. 21 o.p., si è prevista la possibilità di ammettere "di norma" i detenuti e gli internati a lavori di pubblica utilità, cioè a prestazioni lavorative fornite a titolo volontario e gratuito, disciplinate -­‐ in quanto compatibili -­‐ con le modalità previste nell'art. 54 del d.l. 2000/274 (relativo al lavoro di pubblica utilità, quale sanzione sostituiva nel sistema del giudice di pace). Tuttavia a seguito degli emendamenti operati in sede di conversione, l'area di operatività di questa nuova forma di lavoro di pubblica utilità appare piuttosto esigua, posto che la sostituzione: 1) può essere operata solo per pene fino ad un anno di detenzione (nel testo originario del decreto legge, non erano invece previsti limiti di pena); 2) opera solo nell'ipotesi in cui il reato diverso da quello di cui all'art. 73 co. 5 sia stato "commesso per una sola volta". Sono stati, infine, ampliati i compiti assegnati al Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie all’interno del quadro normativo fissato dal decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2012. In conclusione può, dunque, affermarsi che appare apprezzabile lo sforzo del legislatore che finalmente sembra avere fatto dei passi in avanti al fine di porre rimedio al problema della inadeguatezza del sistema penitenziario italiano, sperando che tali modifiche avranno un concreto effetto deflattivo della popolazione carceraria. Dott. Ignazio Cardinale