Zalone: «Un comico è come un cantante rock
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Zalone: «Un comico è come un cantante rock
Cultura e spettacoli LIBERTÀ Sabato 30 luglio 2011 41 Zalone: «Un comico è come un cantante rock» Bobbio Film Festival: ieri sera l’incontro con Bellocchio BOBBIO - La conferenza stampa di Checco Zalone è un piccolo capolavoro di comicità, di buon gusto e di garbo. Nel senso che quando vedi lui e Marco Bellocchio dialogare non di massimi sistemi ma del cinema italiano, hai l’impressione di respirare davvero un’aria fresca, quasi rarefatta. Non c’è via di scampo. Gli estremi si congiungono e si stimano anche. Sorride di gusto il regista di Vincere, mostra deferenza Checco Zalone: il tutto in un clima di grande affetto e di sincera stima. Difficile immaginare solo qualche anno fa che un’accoppiata tanto improbabile quanto sorprendente potesse trovar spazio al Bobbio Film Festival. Cresce questa manifestazione, cresce e individua nuovi percorsi destinati a fare scuola: la multimedialità e la contaminazione dei linguaggi rappresentano un dato di fatto. Zelig è stata la palestra di Checco, che è fenomeno intergenerazionale, ma il cinema lo ha reso straordinariamente popolare, un’icona della quale lo stesso Checco sembra avere paura. C’è anche Pietro Valsecchi, il produttore di questo personaggio che in passato ha sostenuto anche alcuni film di Marco Bellocchio. Tutto è nato molti anni fa quando Valsecchi propose a Bellocchio una Fiat 1100 usata, ma non se ne fece nulla. Storie lontane rivissute ieri pomeriggio. Checco è il nuovo eroe del botteghino ma apparentemente pare indifeso, forse anche timido, surreale e mai provocatorio. Al termine dell’incontro con i giornalisti, i ragazzi del corso di critica cinematografica e i surreali e inafferrabili redattori di Radio Shock, va al pianoforte e regala ai presenti una perla della sua stralunata comicità: gli Uominisessuali, un tormentone che fa il verso a Povia. Stravagante, qualunquista nel senso in cui ognuno di noi può identificarsi in Checco, Zalone sa essere accattivante e sorprendente. Il primo film Cado dalle Nubi gli è scoppiato in mano come una bomba e il secondo, Che bella giornata ha incassato in una sola stagione più di tutto il cinema italiano che conta. Checco ieri sera ha detto di non gradire la macchina da guerra che ruota attorno al suo personaggio. E’ pugliese ma potrebbe vivere a Bobbio, sta allo scherzo e ti dà l’idea di non essere invadente. Ci tiene a far bene il suo mestiere e sostiene che un comico è come un cantante rock: a 30 anni è eccitante ma dopo i 50 può essere patetico, gli fa eco Marco Bellocchio quando aggiunge che il grande Chaplin negli ultimi film aveva perso lo smalto e la comicità della prima gioventù. Pietro Valsecchi è Re Mida e Checco la BOBBIO Dall’alto: Checco Zalone, Pietro Valsecchi e Marco Bellocchio; il comico di Zelig con alcuni fans (f. Bersani) sua gallina delle uova d’oro: «Quando mio figlio vedendo Zelig mi segnalò Checco - conclude - capii che Zalone sarebbe diventato un personaggio assolutamente originale. Gli anni ’80 hanno espresso comici come Troisi e Benigni, Nuti e Verdone che continua a regalarci un ottimo cinema, Checco ha qualcosa di diverso, racchiude una comicità senza eguali: non è gridata, cinica né volgare». Ha ragione. Mauro Molinaroli «Reggio Calabria, un luogo dell’anima» Incontro con la regista Alice Rohrwacher dopo la proiezione di “Corpo Celeste” BOBBIO - Suscitare spunti di riflessione sui grandi temi del nostro tempo. C’è riuscita la giovane regista Alice Rohrwacher nella sua opera prima Corpo Celeste, presentata l’altra sera al Bobbio Film Festival. Non era facile affrontare tutti gli argomenti in gioco: la religione, lo snaturamento della chiesa e il degrado delle istituzioni. Eppure l’effetto della pellicola è stato quello di offrire uno sguardo personalissimo senza imporre scelte allo spettatore. La Rohrwacher, voce flebile e pacata, ha spiegato le sue posizioni nel dibattito condotto dal critico di Repubblica Luca Mosso: «La chiesa nel film è un mezzo per indagare sull’imbarbarimento della società», ha detto. «Reggio Calabria, la città in cui ho deciso di ambientare il lungometraggio, racchiude un humus che favorisce il tema della fede e delle istituzioni religiose». La pellicola ha un’origine del tutto insolita: «Avevo gira- La regista Alice Rohrwacher al cinema Le grazie e in strada con Paola Pedrazzini e Marco Bellocchio( foto Bersani) to - spiega - quasi esclusivamente documentari. Su suggerimento del mio produttore Carlo Cresto-Dina ho provato ad ambientare un lungometraggio a Reggio Calabria, città che conosco particolarmente, ed ha preso inizio un percorso che mi ha portato a narrare la trasformazione di questa realtà calabrese e delle dinamiche pervasive dei media sulla nostra vita quotidiana». Aggiunge: «Ho iniziato quindi una ricerca che mi ha portato a frequentare i giovani, la parrocchia, i corsi di catechismo. Ho raccolto spunti da cui partire per costruire la sceneggiatura, che non ha avuto nessun intento documentaristico». Attorno ai personaggi di don Mario e della catechista Santa ruota il film mentre il personaggio di Marta è venuto quasi al termine della sceneggiatura: «Io per prima - commenta la regista - mi ritengo neofita degli ambienti parrocchiali e per questo avevo bisogno di uno sguardo fresco e ingenuo; il mondo visto con gli occhi di una giovane tredicenne alla ricerca della sua strada mi è sembrato il più adatto. Marta vive in un mondo in cui tutto è preconfezionato: dal cibo ai brani del Vangelo imparati a memoria senza conoscerne il significato. Marta esprime dunque il proprio bisogno di autenticità». E prosegue: «La città di Reggio Calabria rappresentata nella sua durezza e in tutta la sua drammaticità, un luogo dell’anima. Non è un punto geograficamente collocabile nel corpo celeste». Definito dalla critica il miglior esordio per una regista appena ventottenne, la Rohrwacher sta ora pensando a una seconda opera. Sarà incentrata sulla mutazione del paesaggio agricolo, sta di fatto però che Corpo Celeste è un film emotivamente coinvolgente, una pellicola in cui ci si può identificare, ma si può anche prenderne le distanze, vero è che il film può essere un percorso di crescita che non va oltre i titoli di coda. Ergo, una riflessione su noi stessi e sul mondo in cui viviamo. Ma. Mol. Nomadelfia si racconta con le danze Pubblico stregato dallo spettacolo della comunità fondata da don Zeno Saltini PIACENZA - In questo difficile momento l’aspirazione, neanche tanto inconfessata, di molti di noi è vivere lontano dai guai, magari in un’oasi di serenità. C’è, ci sono, neanche tanto lontano, senza rifugiarsi in utopie. Basta osservare Nomadelfia, famosa comunità fondata dal carismatico don Zeno Saltini (1900-81) che Piacenza ha avuto modo di conoscere direttamente l’altra sera. Per la tournée 2011 la nostra città ha ospitato Serate di Nomadelfia, brillante spettacolo soprattutto di ballo ma anche di intrattenimento tenuto da bambini e giovani della comunità che ha incantato il numeroso pubblico sistemato, dai “Nomadelfi”, in piazzetta Mercanti. Forse oggi si parla meno di Nomadelfia che rimane pur sempre un’isola felice, un modello sociale plasmato sul cristianesimo primitivo dominato da forte rigore etico e morale. Conta oltre 300 persone, circa 60 famiglie riunite in gruppi di 5-6, composte da figli propri e in affido e tutti impegnati in artigianato, agricoltura … sempre senza riscontri monetari perché “il denaro - secondo don Zeno - è buon servitore ma pessimo padrone”. All’interno le scuole sono obbligatorie fino a 18 anni, poi esame di Stato da privatisti e ora stanno allestendo un’università per accentuare il confronto, sviluppare la collaborazione. Variopinto e movimentato, il programma «è stato concepito ci dice Sefora, addetta stampa in tre forme: la danza attuata dai giovani come messaggio di pace, diversa ricreazione. Poi video per gli adulti, per parlare, coinvolgere le persone. Infine chiacchierata di don Ferdinando Neri, successore di don Zeno». Sul grande palco allestito dai Nomadelfi i bravissimi artisti hanno subito conquistato con danze ecumeniche: gitana, Alcuni momenti dello spettacolo che la comunità di Nomadelfia ha proposto in piazzetta Mercanti (foto Cravedi) tarantella, irlandese, Charleston e messicana. Quindi Nomadelfia oggi, video sull’organizzazione della comunità in- sediata vicino a Grosseto dove prevale sempre un vigoroso spirito di solidarietà. Progressiva escalation con Studiosi da tutta Italia oggi a Bobbio per un convegno su San Colombano BOBBIO - Arrivano studiosi da tutta Italia per parlare del santo di Bobbio. Sono passati quasi 1400 anni dall’arrivo di Colombano, il santo missionario, monaco e abate, in Langobardia, arrivato dall’Irlanda. Era il 612. Un convegno di carattere storico e scientifico sull’argomento è previsto per questo pomeriggio, alle 16.30, nell’auditorium di Santa Chiara del palazzo co- munale di Bobbio. A presiedere i lavori, sarà Mario Pampanin dell’università degli studi di Pavia, presidente dell’associazione Amici di San Colombano. Alla tavola rotonda, prenderanno parte Flavio Nuvolone dell’università di Friburgo, con un intervento dal titolo “Con Pietro al centro della Vita divina: Colombano alle prese con territorio e festività”, e Laura Pa- ladino dell’università La sapienza di Roma per un’analisi su “Colombano e la cultura gaelica”. Dopo un interludio musicale, il piacentino Domenico Ponzini presenterà al pubblico una ricerca dal titolo I Miracula Sancti Columbani: piccolo saggio della cultura monastica del X secolo. Infine, Elena Percivaldi di Milano chiuderà l’incontro con “L’alfabeto Ogam dall’Iber- impegnative “figurazioni acrobatiche”, sirtaki e altra danza irlandese. Notevole poi Nomadelfia e la sua storia, secondo nia all’Europa con i monaci irlandesi”. Tramite le sue numerose fondazioni San Colombano, considerato come il “santo europeo” contribuì alla diffusione in Europa del monachesimo irlandese, stabilendo una regola monastica che in seguito si assimilò a quella benedettina. Santo europeo, secondo una definizione di Papa Benedetto XVI, perché in una lettera lo stesso santo scrisse gli europei devono essere un unico popolo, un “corpo solo” in cui le barriere etniche e culturali vanno superate. video dalle cui immagini in bianco e nero trasparivano i sacrifici sostenuti per creare tale realtà. Interessante inoltre la danza western, davvero divertente l’esibizione circense dei facchini, splendida la danza indiana prima del breve sermone di don Ferdinando che ha prima ricordato «il piacentino don Luigi (poi Enzo) Bertè, primo successore di don Zeno» e aggiunto poi «come il nostro sia il Vangelo della Parola per vivere fraternamente. Il vangelo non è cosa interiore, essere noi stessi è causa di gioia. Nomadelfia smentisce il generale pessimismo. Siamo come le prime comunità cristiane». Infine in un crescendo di luci e colori e straripante allegria la danza russa, emblema della vitalità e della purezza di Nomadelfia. el. mal. Fabio Bianchi