F. Kafka, Un sogno

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F. Kafka, Un sogno
IL
R AC C O N TO FA N TA S T I C O E SUR R E A L E
Franz Kafka
Un sogno
GENERI
Sognare la morte può capitare a tutti, al limite sognare anche la propria
tomba, ma di certo sognare di vedere al lavoro un disegnatore intento
a scrivere la propria epigrafe è davvero inquietante.
1. imperterrita: che
non si lascia turbare,
impassibile.
2. tumulo: cumulo di
terra che si eleva sul terreno.
3. tocco: copricapo ton-
do e senza tesa.
4. artificio: espediente
per raggiungere un determinato scopo; anche
maestria, abilità.
1
Così sognava Josef K.:
Era una bella giornata e K. uscì per andare a passeggio. Non aveva
fatto due passi che si trovò al cimitero. Era un luogo pieno di viali
tracciati a capriccio, con una quantità di giri inutili; ma lui scivolava su uno di questi viali come un rapido torrente, con imperterrita1
elasticità. Ancora da lontano il suo sguardo si posò su un tumulo2
di terra scavata di recente, e decise di fermarsi lì; quel tumulo aveva
per lui uno strano fascino, tanto che temeva di non raggiungerlo abbastanza presto. A volte però gli pareva di perderlo di vista, c’erano
delle bandiere che glielo nascondevano, bandiere che sventolavano
battendo tra loro a tutto spiano; non si scorgeva chi le portasse, ma
laggiù pareva regnare molta allegria.
I suoi occhi erano ancora fissi in distanza, quando tutt’a un tratto vide
il medesimo tumulo lì sul viale, già quasi alle sue spalle. Saltò veloce
nell’erba, e poiché il viale, abbandonato dal suo piede, continuava
a scorrere, vacillò e cadde in ginocchio proprio davanti al tumulo.
Dietro la fossa due uomini reggevano in aria una lapide; non appena
comparso K., la conficcarono nel terreno, dove restò come murata.
Immediatamente da un cespuglio uscì un terzo uomo, che subito K.
individuò come un artista. Portava soltanto un paio di pantaloni e
una camicia male allacciata; in testa aveva un tocco3 di velluto, e in
mano una comune matita, con la quale, mentre s’avvicinava, andava
tracciando figure nell’aria.
Con quella matita cominciò a disegnare in cima al marmo: la lastra
era molto alta, tanto che non aveva bisogno di curvarsi, ma piuttosto
di sporgersi, poiché il tumulo lo separava dalla lapide, e lui non voleva calpestarlo; perciò se ne stava in punta di piedi, appoggiandosi con
la mano sinistra al piano della lastra. Grazie a un abilissimo artificio4,
con quella matita comune riusciva a scrivere a lettere d’oro; scrisse:
qui giace... Ogni lettera risultava bella e perfetta, profondamente scolpita in oro massiccio. Disegnate quelle due parole, si voltò e guardò
K.: questi, curiosissimo di vedere come la scritta proseguiva, non gli
fece neppure attenzione e continuò a fissare la lapide. L’uomo si accinse di nuovo a scrivere, ma non vi riuscì, qualcosa glielo impediva;
lasciò ricadere la matita e si volse ancora a guardare K. Stavolta anche
K. guardò lui e comprese che si trovava in grande imbarazzo, ma non
poteva spiegarne il motivo. Tutta la sua vivacità di poco prima era
svanita. Anche K. ora si sentiva imbarazzato, e i due si scambiavano
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5. con estrema riluttanza: molto malvolen-
tieri.
GENERI
6. malcerto: incerto.
7. arabeschi: disegni
composti da linee intricate, bizzarre.
occhiate smarrite, per via di quell’antipatico malinteso inspiegabile a
entrambi. Ed ecco che, assai inopportuna, cominciò a suonare una
campanella della cappella dei defunti; l’artista agitò la mano in aria
e il suono tacque, per riprendere dopo breve tempo, sommesso, e
poi subito interrompersi senza alcun cenno particolare: sembrava che
avesse solo voluto fare una prova. K., desolato per il disagio in cui
vedeva l’artista, cominciò a piangere e singhiozzò a lungo, coprendosi
con le mani il viso. L’artista, dopo aver atteso che K. si calmasse, alla
fine, non vedendo altra via d’uscita, si decise a continuare a scrivere;
e il primo trattino da lui disegnato fu per K. come una liberazione,
ma era evidente che l’artista lo eseguiva con estrema riluttanza5, la
scrittura non era più bella come prima, l’oro sembrava insufficiente, il
tratto appariva sbiadito e malcerto6 ; solo cresceva la grandezza della
lettera. Era un J, ed era già quasi terminato, quando l’artista menò
un calcio furibondo nel tumulo, facendo volare la terra tutt’intorno.
K. finalmente capì: ma era troppo tardi per pregarlo di smettere; affondò le dieci dita nella terra, che non oppose quasi alcuna resistenza. Tutto sembrava predisposto, quel sottile velo di terriccio era solo
una mostra, e al di sotto si apriva un gran buco dalle pareti a picco,
nel quale K. sprofondò, mentre un blando risucchio lo rovesciava
sul dorso. Ma nello stesso istante in cui, protendendo ancora la nuca
verso l’alto, egli veniva accolto da quell’impenetrabile voragine, lassù,
sopra la lapide, tra ornatissimi arabeschi7, sfrecciava il suo nome.
Estasiato a quella vista, si svegliò.
(da La metamorfosi e altri racconti, trad. di E. Castellani, Garzanti, Milano, 1974, adatt.)
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Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education