Cass. 11/9/12 n. 15166 - Rivista critica di diritto del lavoro

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Cass. 11/9/12 n. 15166 - Rivista critica di diritto del lavoro
Autorità: Cassazione civile sez. lav.
Data: 11 settembre 2012
Numero: n. 15166
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE
Antonio
- Presidente
Dott. AMOROSO
Giovanni
- Consigliere Dott. BRONZINI
Giuseppe
- Consigliere Dott. BALESTRIERI Federico
- Consigliere Dott. BERRINO
Umberto
- rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25580/2010 proposto da:
L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA
227,
presso lo studio dell'avvocato PERSI Fabrizio,
che
lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrente contro
TELECOM ITALIA SPARKLE S.P.A.;
- intimata Nonchè da:
TELECOM ITALIA SPARKLE S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,
presso lo studio dell'avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BOCCIA FRANCO RAIMONDO, ROMEI
ROBERTO, giusta delega in atti;
- ricorrente e controricorrente incidentale contro
L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA
227,
presso lo studio dell'avvocato PERSI FABRIZIO,
che
lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 1357/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA,
depositata il 27/10/2009 r.g.n. 10461/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/04/2012 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito l'Avvocato PERSI FABRIZIO;
udito l'avvocato GAETANO GIANNI' per delega ARTURO MARESCA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l'accoglimento motivi tre e
quattro del ricorso principale, rigetto degli altri motivi, rigetto
ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell'8/6/04 il giudice del lavoro del Tribunale di Roma respinse il ricorso proposto da L.C.
nei confronti di Telemedia International Italia s.p.a. col quale il ricorrente aveva formulato le seguenti
domande: declaratoria del diritto alla conservazione del trattamento percepito a titolo di "indennità
estero" quale parte integrante della retribuzione mensile, con condanna della resistente al pagamento
delle relative differenze retributive; accertamento del TFR maturato alla data del 31/5/02;
diritto all'inquadramento nella qualifica di dirigente a far tempo dall'1/11/96 ed alle relative differenze
retributive; accertamento dell'avvenuta dequalificazione professionale a partire dall'1/10/01;
reintegra nelle mansioni svolte sino a tale data e risarcimento dei danno professionale ed all'immagine.
A seguito di gravame interposto dal L. la Corte d'appello di Roma - sezione lavoro, con sentenza del 17/2
- 27/10/09, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata, dichiarando che il TFR maturato
dall'appellante alla data del 31/5/02 ammontava ad euro 52.657,02 per effetto del computo dei cosiddetti
premi incentivi e dell'indennità estero.
La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione sulla base delle seguenti motivazioni: - L'indennità
estero, pur rivestendo carattere retributivo, era compensativa dei disagi correlati a fatto che l'attività
lavorativa doveva essere prestata all'estero ((OMISSIS)), come attestato dalle espressioni adoperate
nelle pattuizioni del 13/11/96 e del 10/1/00, per cui non poteva essere più percepita una volta venuto
meno il distacco all'estero; unitamente alla erogazione di tale indennità erano stati previsti un rimborso
forfettario per il ristoro delle spese all'estero ed un rimborso delle spese per gli spostamenti; le norme
collettive di riferimento, vale a dire l'art. 38 del ccnl 9/9/96 e l'art. 51 del ccnl 28/6/00, richiamavano
senza alcuna previsione di deroga la disciplina legale di cui all'art. 2120 c.c., per cui l'indennità estero ed
i premi incentivi, percepiti con continuità, entravano a far parte della base di calcolo del TFR; i compiti e
le mansioni descritti nel ricorso risultavano proprio quelli del livello di appartenenza, per cui nessuna delle
funzioni espletate era riferibile alla qualifica dirigenziale reclamata; non si era avuto il lamentato
demansionamento, in quanto la prova svolta in primo grado aveva evidenziato che al momento del
rientro in Italia del L. l'intero settore al quale il medesimo era addetto era stato interessato da un
processo organizzativo che aveva coinvolto tutti gli addetti; le allegazioni formulate in ordine al danno
alla professionalità ed all'immagine erano rimaste prive di specificazione. Per la cassazione della sentenza
propone ricorso il L., il quale affida l'impugnazione a sei motivi di censura.
Resiste con controricorso la Telecom Italia Sparkle S.p.A. che propone, a sua volta, ricorso incidentale ai
cui accoglimento si oppone il lavoratore.
Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
1. Col primo motivo il L. denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 2103 e 2113
cod. civ., in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo che la Corte d'appello, nel valutare se
l'indennità estero perseguiva finalità remunerative della professionalità, come affermato da esso
ricorrente, o meramente compensative dei disagi sostenuti per lo svolgimento dell'attività all'estero,
aveva preso in esame esclusivamente una parte degli accordi intercorsi tra le parti, vale a dire quelli della
lettera-contratto del 10.1.2000, trascurando, in tal modo, la disamina del contenuto delle altre due
lettere-contratto del 13/11/96 e del 16/10/01 ed applicando, conseguentemente, in malo modo le norme
generali di ermeneutica contrattuale.
A conforto di tale critica il ricorrente aggiunge che il principio di garanzia della irriducibilità della
prestazione comporta che ogni trattamento economico legato alla professionalità intrinseca delle
mansioni, come nella fattispecie, rimane definitivamente acquisito alla retribuzione del lavoratore, per cui
la Corte di merito non avrebbe dovuto limitare l'indagine alla interpretazione letterale di un solo
documento, ma avrebbe dovuto accertare se da altri atti o comportamenti delle parti nel loro complesso
discendevano elementi favorevoli al mantenimento della suddetta indennità, entrata ormai a far parte
della retribuzione.
Il motivo è infondato.
Anzitutto, non è affatto vero che i giudici d'appello si siano imitati ad interpretare la fattispecie in esame
alla luce della sola lettera-contratto del 10 gennaio 2000, dal momento che i medesimi hanno rilevato
che, attraverso la pattuizione individuale scaturita dall'accettazione, da parte del L., della lettera del 13
novembre 1996, l'indennità estera mensile forfettaria era stata espressamente correlata al "periodo di
permanenza a (OMISSIS)", tanto che nello stesso documento era stato precisato che "tale indennità
forfettaria estera si intende a tutti gli effetti sostitutiva di quanto previsto al medesimo titolo nel CCNL
nonché dell'Accordo di armonizzazione di Telecom Italia spa, in particolare agli artt. 19 e 21" e che "la
corresponsione della stessa cesserà inoltre al suo rientro in Italia".
I giudici d'appello hanno, inoltre, evidenziato che la stretta correlazione tra l'erogazione dell'indennità in
esame ed il distacco all'estero presse la TMI USA risultava confermata nella pattuizione del 10.1.2000 e
che, in occasione della concordata temporanea sospensione dei rapporto di lavoro, come da lettera TMI
Italia del 16/10/2001, le parti avevano convenuto che al rientro in Italia sarebbe stato garantito al L. un
trattamento economico non inferiore a quello in essere al momento della sospensione, con le
modificazioni legali e contrattuali nel frattempo intervenute, e che le integrazioni economiche correlate al
raggiungimento degli obiettivi che Telemedia International Usa Inc. avesse deciso eventualmente di
corrispondergli in relazione al periodo lavorativo estero sarebbero state riconosciute al suo rientro ai fini
della maturazione degli effetti collegati dalle norme di legge all'anzianità di servizio.
Quindi, alla luce della lettura complessiva dei predetti accordi e non solo di quello del 10/1/2000, i giudici
d'appello hanno tratto il libero convincimento, adeguatamente motivato, che a predetta indennità, pur
rivestendo carattere retributivo, per essere correlata alla specifica attività da svolgersi all'estero, ed
assumendo, nel contempo, natura compensativa dei relativi disagi, così come attestato dalle espressioni
letterali utilizzate nelle summenzionate pattuizioni, non poteva essere più percepita una volta cessato il
distacco all'estero, per cui non è dato ravvisare alcuna violazione dei canoni dell'ermeneutica contrattuale
di cui si duole il ricorrente.
2. Col secondo motivo si denunzia l'insufficiente motivazione della pronuncia circa un fatto controverso e
decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dall'oggetto della stessa domanda, cioè
l'indennità estera, in quanto, a dire del ricorrente, le clausole che nelle sue pattuizioni del 13/11/96 e del
10/1/2000 prevedevano la sospensione del trattamento al momento del rientro in Italia non potevano
costituire a ragione legittimante della contestata condotta datoriale. Ne consegue, secondo tale
prospettazione, che anche le affermazioni della Corte territoriale al riguardo appaiono apodittiche, non
potendo considerarsi la funzione remunerativa del disagio, assicurata dalla predetta indennità, come
insita nel solo fatto dello svolgimento del lavoro all'estero.
Anche tale motivo, attraverso il quale si prospetta la stessa questione di cui alla precedente censura,
sebbene dal diverso punto di vista di un supposto vizio motivazionale, è infondato.
Invero, la motivazione della Corte territoriale sul punto non si rivela affatto insufficiente e non merita le
censure di apoditticità atteso che la stessa ha correttamente interpretato il senso letterale degli accordi
delle parti ne loro complesso, così come emerso dalla disamina delle espressioni letterali dei suddetti
documenti, finendo per convincersi, con ragionamento immune da vizi di natura logico- giuridica e,
perciò, sottratto ai rilievi di legittimità, che la preminente funzione compensativa dei disagi assolta dal
sistema di erogazione dell'indennità in esame escludeva, nell'intento manifestato dalle parti nelle predette
lettere-contratto, che la stessa potesse essere corrisposta anche nel periodo lavorativo susseguente ai
rientro del dipendente dall'estero, mentre poteva concorrere solo ai fini del computo del trattamento di
fine rapporto.
A quest'ultimo riguardo la Corte di merito ha constatato, con congrua motivazione, che accanto
all'erogazione dell'indennità in esame era stata prevista dalle parti anche la corresponsione di un importo
forfettario volto a ristorare le spese correlate ai distacco all'estero, oltre che il rimborso delle spese per gli
spostamenti per ragioni di servizio, per cui tutto ciò contribuiva a far ritenere che i contraenti avevano
ben chiara la differenza tra rimborsi di spese effettuate per lo svolgimento della prestazione e
l'erogazione di una indennità erogata mensilmente in misura forfettaria, comprensiva di vitto ed alloggio,
evidenziandosi, ancora una volta, la differenza tra la giustificazione causale dell'indennità in questione,
connessa esclusivamente al lavoro svolto all'estero, e la sua partecipazione, per quei periodi, al computo
dell'anzianità di servizio ai fini del trattamento di fine rapporto.
3. Col terzo motivo è segnalata l'insufficiente motivazione della pronuncia circa un fatto controverso e
decisivo, in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dall'invocato inquadramento nella superiore
qualifica di dirigente, sostenendosi che la motivazione sarebbe insufficiente quanto al confronto tra
compiti effettivamente svolti e qualifica rivendicata, a fronte di un ricorso che conteneva gli elementi utili
per i necessari approfondimenti istruttori.
4. Col quarto motivo è, invece, denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 245 e
420 c.p.c., degli artt. 1362, 1363, 1369, 2095 e 2103 cod. civ., dell'art. 1 del ccnl 1995- 1998 per i
dirigenti di aziende industriali e dell'art. 14 del ccnl 9/9/1996 dei dipendenti delle aziende di
telecomunicazione, in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3.
Viene, in pratica, riproposta la questione di cui al terzo motivo sotto l'aspetto della violazione di legge,
sostenendosi che la Corte di merito, pur avendo correttamente ricondotto la fattispecie in esame
nell'alveo della norma di riferimento di cui all'art. 2103 c.c., avrebbe, tuttavia, omesso di effettuare il
giudizio di equivalenza tra le mansioni concretamente svolte e la qualifica contrattuale rivendicata.
Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe nemmeno tenuto conto delle declaratorie
contrattuali di riferimento e non avrebbe identificato i requisiti scriminanti tra l'una e l'altra qualifica,
operazione, questa, che le avrebbe consentito di ricondurre le mansioni svolte alla declaratoria
appropriata.
Il L. si duole, altresì, della mancata ammissione della prova testimoniale articolata sulle mansioni oggetto
della domanda di inquadramento superiore, con conseguente omessa applicazione dei principi in materia
di valutazione delle prove.
Osserva la Corte che il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, data l'identità
della questione trattata, seppur sotto le diverse angolazioni del vizio motivazionale e di quello di
violazione di legge.
Ebbene, entrambi i motivi sono infondati.
La Corte d'appello ha, infatti, correttamente eseguito il necessario raffronto tra le mansioni che il
ricorrente assumeva di aver svolto e quelle della declaratoria contrattuale dell'invocato superiore
inquadramento dirigenziale, pervenendo, in tal modo, alla conclusione che quelle effettivamente espletate
rientravano nella qualifica di appartenenza propria del ricorrente.
Al riguardo, i giudici d'appello hanno posto l'accento sul fatto che i compiti, le attività, i margini di
iniziativa ed i poteri discrezionali, nel livello e nel quadro, come descritti nel ricorso di primo grado,
risultavano essere propri del livello di inquadramento, cioè della qualifica e del profilo professionale da
ultimo attribuiti al L., vale a dire il "livello H responsabile di struttura - professionista master", a sua volta
rispondente alla relativa declaratoria del ccnl di riferimento.
All'esito del suddetto accertamento i medesimi giudici hanno avuto, quindi, modo di verificare che
nessuna delle funzioni che il L. aveva riferito di aver svolto era riconducile alla qualifica dirigenziale che,
nella previsione della contrattazione collettiva dei dirigenti delle aziende industriali dell'1/1/95 31/12/98, doveva essere connotata da poteri decisionali correlati alla specifica funzione della promozione,
del coordinamento, della gestione e realizzazione degli obiettivi di impresa, mentre l'attività descritta in
ricorso, indipendentemente da una eventuale conferma testimoniale, era in ogni caso priva di
quell'ampiezza di poteri e di iniziativa da rapportare alla rappresentanza dell'intera azienda ovvero di una
sua parte notevole.
D'altra parte è bene ricordare che (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007) "il difetto di motivazione, nel
senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto
dall'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento
svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale
obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile
l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il
predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando
vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato
attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest'ultimo caso, il motivo di ricorso si
risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso
giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sui fatto, sicuramente estranea
alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione
adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in
esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che
il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso
ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse".
Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni
del materiale istruttorio operate dai giudici d'appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e
perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall'interpretazione delle
declaratorie contrattuali di riferimento, per cui le stesse non meritano affatto le censure mosse coi
predetti motivi di doglianza.
5. Col quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, della insufficiente motivazione
della pronuncia circa un fatto controverso e decisivo in relazione alla questione del demansionamento, il
cui relativo materiale probatorio non sarebbe stato adeguatamente valutato dal collegio, il quale avrebbe
fondato il suo convincimento su presupposti di fatto errati, escludendo numerose risultanze istruttorie ed
errando nel giudizio su grado di specificità delle allegazioni in ordine al lamentato danno alla
professionalità ed all'immagine.
6. Col sesto motivo il ricorrente ripropone la questione del demansionamento, ma ai sensi dell'art. 360
c.p.c., n. 3, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 420 c.p.c., nonché degli
artt. 2103, 1218 e 2697 c.c., in quanto assume che la Corte d'appello avrebbe potuto porre a
fondamento della decisione le nozioni di comune esperienza con riguardo alla privazione delle mansioni
per un periodo prolungato, mentre avrebbe trascurato diverse risultanze istruttorie e non avrebbe
considerato che l'azienda non aveva assolto l'onere probatorio di dimostrare di aver assegnato il
dipendente a compiti consoni alle mansioni di assunzione o al livello successivamente acquisito.
Anche gli ultimi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente in ragione della identica questione del
presunto demansionamento ad essi sottesa, sono infondati.
Invero, con adeguata motivazione logico-giuridica, come tale esente da vizi di legittimità, la Corte
territoriale ha avuto modo di appurare che le prove espletate nel giudizio di primo grado avevano
evidenziato che al momento del rientro in Italia del L. l'intero settore a quale il medesimo era addetto era
interessato da un processo riorganizzativo che aveva coinvolto tutti gli addetti, i quali erano stati chiamati
a provvedere a situazioni ed esigenze peculiari ed emergenti correlate alla fase di ristrutturazione.
Inoltre, la stessa Corte ha spiegato che le allegazioni formulate dal L. in ordine al danno alla
professionalità ed all'immagine erano rimaste prive della specificazione e della puntualità necessaria per
fondare una richiesta di risarcimento del danno in via equitativa.
Oltretutto, non può sfuggire a questa Corte che, anche in occasione della formulazione dell'ultimo motivo
di censura del presente ricorso, il L., pur dolendosi della mancata disamina del materiale probatorio da
parte dei giudici d'appello, omette di specificare quali furono in concreto i mezzi di prova che quei giudici
non avrebbero esaminato e in che modo essi avrebbero potuto incidere sulle sorti della decisione.
In definitiva, il ricorso principale va rigettato.
Quanto al ricorso incidentale della società è da rilevare che lo stesso poggia sull'unico motivo della
denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 2120 c.c. e dell'art. 1362 c.c. in relazione all'art. 360
c.p.c., n. 3, in quanto si contesta l'inclusione dell'indennità estero nel computo del trattamento di fine
rapporto.
In pratica, la società sostiene che una parte dei compenso, cioè quella afferente il rimborso spese, non
aveva natura retributiva e non poteva, pertanto, concorrere al calcolo del T.F.R..
Il motivo è infondato, Invero, la norma di cui all'art. 2120 c.c., non risulta essere stata erroneamente
applicata dai giudici d'appello, i quali hanno spiegato che accanto all'indennità estero era stata prevista
l'erogazione di un importo forfettario volto a ristorare le spese correlate al distacco all'estero (punto 4,
secondo paragrafo, della lettera 13/11/96), oltre che il rimborso per le spese dovute agli spostamenti per
esigenze di servizio, per cui l'indennità in esame, corrisposta in maniera continuativa nel periodo di
applicazione all'estero del dipendente, finiva per avere in relazione a quel periodo una funzione
retributiva, seppur compensativa dei disagi durante la permanenza all'estero, e non vi erano ragioni, data
anche la mancata previsione di deroghe pattizie alla disciplina legale di cui all'art. 2120 c.c., anzi
richiamata dagli accordi collettivi (art. 38 del ccnl 9/9/96 ed art. 51 del ccnl 28/6/00), per escluderla dal
calcolo del trattamento di fine rapporto.
Inoltre, la Corte di merito ha puntualizzato che la circostanza per la quale tali somme venivano erogate
anche a titolo di adeguamento della retribuzione al costo della vita nei paese estero di destinazione, al
fine di mantenere inalterato il potere d'acquisto della retribuzione all'estero, confermava il carattere
retributivo dell'emolumento in questione ai fini del T.F.R., pur permanendo la sua funzione compensativa
della maggiore gravosità e del disagio ambientale dell'attività lavorativa prestata all'estero.
In definitiva, la "ratio decidendi" posta dal giudice del gravame a base della contestata decisione sul
punto resiste alla generica censura rivolta dalla difesa della società che, oltretutto, non investe la
questione nella sua interezza, limitandosi a richiamare quella parte dell'indennità che, a suo giudizio,
assolveva alla funzione di rimborso spese, quando, invece, i giudici dei secondo grado hanno spiegato che
dalle pattuizioni era emerso che i contraenti avevano mostrato di avere ben chiara la differenza tra
rimborsi di spese effettuate per lo svolgimento della prestazione e l'erogazione di una indennità erogata
mensilmente in misura forfettaria, comprensiva di vitto ed alloggio.
Quindi, anche il ricorso incidentale va rigettato.
La reciproca soccombenza delle parti induce la Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012