LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016 Avv

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LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016 Avv
LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI
Viterbo, 20 maggio 2016
Avv. Marco Sgroi
1. Nozioni generali. La cornice giuridica nel processo civile
(ordinario di cognizione) – una breve rassegna delle principali
norme regolatrici (2).
7. Le perizie di parte e le perizie stragiudiziali (cenni) (80).
8. Le altre sedi in cui può essere svolta una CTU (una brevissima
panoramica) (88).
2. La CTU deducente e la CTU percipiente (7).
3. Le situazioni successive al deposito. Le cause di nullità della
relazione del CTU (9).
9. L’intervento dell’Esperto nel processo di esecuzione. Brevi
cenni sulle principali novità introdotte dalla L. 132/2015
(111).
4. La responsabilità / Le responsabilità del CTU. Le sanzioni (45).
10. I compensi spettanti al CTU. La normativa (148).
5. La risoluzione di questioni insorte nello svolgimento della CTU
– l’intervento del giudice (69).
11. I compensi spettanti all’Esperto per l’attività svolta nel
processo esecutivo (novità introdotte dalla L. 132/2015)
(165).
6. La valutazione della CTU da parte del giudice (75).
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1. NOZIONI GENERALI: un po’ di “architettura” normativa.
Come avremo modo di vedere, la disciplina della CTU in sede civilistica costituisce una sorta di paradigma ove sono
espressi dei principi applicabili anche altrove, in contesti processuali differenti. I riferimenti normativi principali sono
contenuti nella parte dedicata al processo ordinario di cognizione.
Non che il legislatore processuale sia stato prodigo.
Nel codice di rito le norme in tema di Consulenza tecnica d’ufficio non sono in effetti molte.
Si tratta:
• degli artt. 61-64: siamo nella parte delle “Disposizioni generali” sul processo civile, che si occupa di definire il
“profilo” disciplinare degli organi giudiziari e, in particolare, degli “ausiliari” del Giudice; in questi articoli si
introduce nello specifico la figura del CTU (61), si spiega sinteticamente cosa fa (62) e si danno indicazioni –
diciamo così - sullo status di CTU e sulle possibilità di ricusazione (63), nonché sulla responsabilità civile e
penale (64);
• degli 191-201: questi articoli dettano norme che potremmo definire “operative” (con riferimento alla nomina,
al giuramento, alle modalità di astensione e di ricusazione, alle attività, alle modalità di documentazione
dell’attività ecc.); l’art. 201 si occupa del Consulente tecnico di parte (CTP).
• degli articoli 696 e 696bis: qui “l’ambiente” è quello dei procedimenti speciali (si è dunque fuori dal contesto
del processo ordinario) e, segnatamente, quello dei cd. procedimenti di “istruzione preventiva” connotati da
esigenze di urgenza (696) ovvero di finalità di composizione di una lite (696bis).
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UN “OCCHIO” ALLE DISPOSIZIONI D’ATTUAZIONE:
Altre norme sono poi collocate fra le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (artt. 13-23, 89-92).
Il fatto che alcune norme siano nelle disposizioni d’attuazione non ne sminuisce l’importanza.
Tutt’altro.
Tali disposizioni non vanno assolutamente trascurate.
Gli art. 13 – 19 danno le indicazioni imprescindibili per diventare CTU (albo, formazione, iscrizione ecc.).
Gli artt. 19 – 21 si occupano della disciplina, del procedimento disciplinare e delle sanzioni.
Gli artt. 22- 23 trattano della distribuzione degli incarichi e della vigilanza sulla distribuzione.
Gli artt. 89-92 dettano importanti norme operative.
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Chiariti preliminarmente quali siano i principali riferimenti normativi all’interno del codice, cominciamo ad occuparci
della “sostanza”.
COSA È UNA CTU?
Certo, la domanda può apparire banale e/o superflua. E forse, almeno in parte, lo è.
Proviamo però a non banalizzare (troppo) la risposta.
Anzitutto possiamo dire: la CTU è UN PROCEDIMENTO NEL PROCEDIMENTO
Dal punto di vista del rito, possiamo poi aggiungere una notazione:
la CTU costituisce UN SUB PROCEDIMENTO DI CARATTERE TECNICO, intendendosi con il termine “tecnico” il fatto
che esso sarà condotto, nel merito, alla luce di quella particolare “tecnica” alla quale il giudice avrà ritenuto di
ricorrere per aver ausilio nella decisione.
Tale sotto-procedimento si inserisce nel contesto del procedimento “principale” (quello che, in senso stretto, è il
“processo” instaurato dall’attore).
È però utile sottolineare che tutto ciò (: il sub procedimento) si svolge soltanto in seguito alla decisione del giudice
che abbia ritenuto l’intervento di un siffatto ausiliario utile ed opportuno.
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“QUANDO” LA CTU?
Al CTU il giudice stesso fa ricorso per integrare le proprie conoscenze nell’attività di VALUTAZIONE e
APPREZZAMENTO delle prove che le parti HANNO GIÀ OFFERTO.
Abbiamo detto prima che l’art. 61 c.p.c. definisce la figura ed il ruolo del Consulente tecnico nel processo.
“Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o
più consulenti di particolare competenza tecnica.
La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma
delle disposizioni di attuazione al presente codice”.
Egli è dunque un ausiliario del giudice, dotato di particolare competenza tecnica, al quale il giudice può ricorrere
“quando è necessario”.
Diamo una minima notazione marcatamente processualistica (non me ne vogliate; qua e là sarà necessario, ma
cercherò di non enfatizzare).
La CTU rientra nella piena disponibilità, anche temporale, del giudice.
Essendo nella piena disponibilità del giudice, è anche vero che la sua eventuale sollecitazione ad opera delle parti
non è soggetta ai termini di preclusione previsti per le attività istruttorie delle parti del giudizio (attore, convenuto,
terzi intervenuti).
Il corollario è che le parti potranno proporre (ed, eventualmente, riproporre) la relativa istanza fino alla fine del
giudizio.
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DOVREBBE A QUESTO PUNTO ESSERE CHIARO IL MOTIVO PER IL QUALE LA CTU NON VENGA CONSIDERATA
TECNICAMENTE UN “MEZZO DI PROVA”.
Il “mezzo di prova” è infatti quello strumento che, dal punto di vista processuale, è a disposizione delle parti. E
rientra nella scelta difensiva della parte proporlo o meno (in gergo si dice, più propriamente, “articolare”) purché
tempestivamente (entro determinati termini).
Come detto, così invece non è per la CTU, anche se normalmente sono le parti a segnalarne al Giudice l’esigenza.
D’altra parte è innegabile che la CTU rientri nondimeno tra i mezzi istruttori.
È infatti un “mezzo” per la VALUTAZIONE e APPREZZAMENTO delle prove che le parti HANNO GIÀ offerto.
Dal punto di vista sistematico, ciò trova conferma nel fatto che, in sede di disciplina operativa, la regolamentazione
della CTU sia contenuta negli articoli 191-201 c.p.c. che è la “sezione” dedicata alla “istruzione probatoria”.
In ogni caso, la CTU resta quindi uno/lo strumento che consente al giudice di acquisire un bagaglio di conoscenze ed
esperienze tecniche che sfuggono all’ordinaria preparazione di un magistrato nella valutazione delle prove che le
parti hanno già offerto.
Tutto questo parlare della CTU che non è nella disponibilità delle parti serve anche a sottolineare il perché la CTU
non possa essere utilizzata dalle parti come via alternativa rispetto all’assolvimento dell’onere probatorio, che è il
principio su cui si fonda il processo civile ed è espresso all’art. 2697 c.c., a mente del quale: “Chi vuole far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
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ATTENZIONE PERÒ A QUANTO SEGUE
2. TIPI DI CTU
Occorre distinguere
La cd CTU deducente, che è un mezzo di valutazione di dati e/o fatti già acquisiti al processo ed è eseguita dopo lo
svolgimento delle prove propriamente dette. È questa il linea di massima la CTU di cui abbiamo parlato finora.
La cd CTU percipiente, che si ha quando al consulente sia demandato l’accertamento di fatti determinabili solo con
ricorso a specifiche cognizioni tecniche.
Il fatto che sia ammissibile la CTU Percipiente sembrerebbe smentire quanto detto sul fatto che essa sia un mezzo di
valutazione e apprezzamento delle prove che le parti hanno già offerto. Ma non è così e occorre intendere il perché,
anche per tentare di definire meglio i confini ed i limiti dell’attività di “percezione” demandata in tali casi al CTU.
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LA CTU “PERCIPIENTE”
Anzitutto deve dirsi che la CTU “percipiente” è ammessa in casi e contesti processuali particolari.
(Alcuni esempi: perizia medico-legale per verificare gli stati di incapacità; perizia per verificare la sussistenza di
determinati requisiti necessari per la corresponsione di prestazioni previdenziali; perizia genetica nelle cause di
riconoscimento e disconoscimento di paternità; perizia grafologica per verificare l’autografia di una firma; perizia in
appalto e vendita, per quantificare il minor valore del bene a seguito della presenza di vizi; perizia in materia di
esame bilancio o risultanze bancarie; perizia in tema di immissioni).
In generale, si può dire che la CTU finisce per costituire una vera e propria fonte di prova se il fatto non sia
percepibile nella sua intrinseca natura se non attraverso cognizioni o strumentazioni tecniche che il giudice non
possiede (Cass. 20695/2013).
Anche in caso di CTU percipiente, la parte NON si può tuttavia sottrarre all’onere probatorio rimettendosi in toto
all’accertamento svolto dal consulente. È infatti necessario che quantomeno vengano dedotte le circostanze e gli
elementi specifici posti a fondamento del diritto azionato (Cass. nn. 1181/2014, 26151/2011, 3130/2011, 6155/2009,
24620/2007): la CTU non può infatti mai risolversi nell’accertamento di fatti che non sono stati nemmeno affermati
ed allegati in giudizio a sostegno delle proprie domande ed eccezioni.
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3. LE SITUAZIONI SUCCESSIVE AL DEPOSITO E LE CAUSE DI NULLITÀ DELLA RELAZIONE DEL CTU.
Successivamente al deposito della relazione possono verificarsi talune situazioni che sono, in linea di massima,
connesse alla qualità della relazione ed alla qualità dell’operato del CTU
In conseguenza il CTU può anche essere chiamato a rispondere personalmente (ma sul punto, si tornerà avanti).
Vediamo cosa può accadere, a grandi linee:
A) si possono chiedere CHIARIMENTI, convocando il CTU all’uopo ad un’apposita udienza;
B) può essere chiesto un SUPPLEMENTO DI PERIZIA;
C) si può chiedere la RINNOVAZIONE delle indagini;
D) possono esser contestate delle mancanze tali da chiedere la SOSTITUZIONE del CTU;
E) può essere contestato al CTU il compimento di attività non conformi a quanto previsto dalle norme,
evidenziando la NULLITÀ della perizia.
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I CHIARIMENTI
Rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la possibilità di richiedere chiarimenti al Consulente.
I chiarimenti possono essere resi per iscritto.
Quello che però più frequentemente accade è che anzitutto sia chiesto al CTU di rendere i chiarimenti nel
contraddittorio con le parti, convocandolo ad un’apposita udienza.
In proposito ricordiamo che
• l’art. 194 c.p.c. prevede che il CTU “assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice”;
• l’art. 197 c.p.c. stabilisce che il Presidente del Collegio decidente può convocare il CTU “quando lo ritiene
opportuno”. Ovviamente, in caso di controversie a decisione monocratica, a convocarlo è il Giudice
Unico.
Motivi della richiesta:
• quando il giudice ritenga che la relazione peritale non abbia risposto adeguatamente ai quesiti posti;
• quando risulti necessario chiarire o approfondire certi aspetti o circostanze che lo stesso CTU non ha sviluppato
in maniera adeguata o ha trascurato nell’elaborazione della relazione.
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L’esigenza di chiarimenti è normalmente rappresentata delle parti, magari per strategia processuale.
La “procedimentalizzazione” del processo di elaborazione della CTU ha tuttavia ridotto drasticamente la possibilità
che la richiesta di chiarimenti sia animata da intento dilatorio.
Il Legislatore del 2009 ha infatti introdotto il 3° co. dell’art. 195 c.p.c. ove si stabilisce che
la relazione debba essere “trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con
ordinanza resa all’udienza di cui all’articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il
quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla
successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle
parti e una sintetica valutazione sulle stesse”.
Prima che sia depositata la relazione definitiva, deve dunque svilupparsi un contraddittorio tecnico.
Il CTU deve trasmettere la consulenza alle parti costituite (a mio avviso, sicuramente agli avvocati). Va bene ogni
forma di comunicazione che garantisca la possibilità di provare la conoscenza legale. In caso siano stati nominati dei
CTP, la si può inviare a costoro, previo accordo.
Al fine di evitare contestazioni, qualora siano ad esempio sorte questioni inerenti alla regolarità della nomina di uno
dei CTP, è preferibile inviare comunque la relazione ai procuratori o, se proprio si vuole, inviarla a tutti e due.
Nell’epoca delle PEC questo non dovrebbe costituire certo un onere insostenibile.
NB: Se al Consulente d’Ufficio sono stati richiesti chiarimenti da fornire per iscritto, senza convocazione all’udienza, e
tali chiarimenti siano relativi all’indagine già espletata che non comportino l’acquisizione di ulteriori nuovi dati o
elementi di valutazione, il Consulente non è tenuto all’obbligo di comunicazione alle Parti, dato che l’art. 90, disp.
att. c.p.c. esige questo adempimento (in linea di massima) solo con riferimento all’inizio delle attività peritali.
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IL SUPPLEMENTO DI PERIZIA.
È un’eventualità che può (in ipotesi) far seguito ai chiarimenti.
Disposto il supplemento, Il CTU è chiamato a compiere ulteriori attività in risposta ad eventuali nuovi quesiti posti
dal Giudice.
Per lo svolgimento di tali attività ulteriori, nel rispetto del principio del contraddittorio, occorrerà fissare nuove
riunioni o operazioni, con preventivo avviso alle Parti nella forma prevista dalla norma contenuta all’art. 90 disp. att.
c.p.c.
Riportiamo l’art. 90 disp. att. c.p.c.
Il consulente tecnico che, a norma dell’articolo 194 del codice, è autorizzato a compiere indagini senza che
sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni,
con dichiarazione inserita nel processo verbale d’udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere.
Il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di
parte consentite dall’articolo 194 del codice.
In ogni caso deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti defensionali.
Suggerimento operativo: se il supplemento di perizia è stato disposto alla fine dell’udienza in cui sono stati resi i
chiarimenti, conviene indicare a verbale l’inizio delle operazioni peritali supplementari ai fini della comunicazione. Si
eviteranno successivi problemi di comunicazione.
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ATTENZIONE:
Deve essere sottolineato che
- il supplemento NON FA maturare il diritto ad alcun ulteriore compenso per il CTU, se si imponga per chiarire
lacune o inesattezze della perizia;
- il supplemento IMPONE la corresponsione di un ulteriore compenso
se è volto ad una spiegazione del precedente giudizio tecnico, con illustrazione delle fasi e modalità
dell’opera svolta e con ulteriore dispendio di attività utile all’economia della causa;
se comporta attività ulteriore ed estranea rispetto a quella già espletata e remunerata.
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LA RINNOVAZIONE DELLE INDAGINI E/O LA SOSTITUZIONE DEL CTU
La rinnovazione delle indagini e la sostituzione del CTU sono previste all’art. 196 c.p.c.
L’art. 196 c.p.c. contiene una norma dal contenuto perentorio.
Essa stabilisce che
il giudice ha sempre la facoltà “di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione
del consulente tecnico”.
La RINNOVAZIONE delle indagini implica che le indagini siano state ultimate e che vi sia una valutazione del giudice
di insufficienza dei risultati raggiunti dalla consulenza espletata ovvero di attività espletata dal CTU
• per vizi di forma che rendono la consulenza stessa inutilizzabile;
• per carenze negli accertamenti.
È una valutazione discrezionale del giudice, insindacabile in Cassazione, se correttamente motivata.
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La SOSTITUZIONE del consulente presuppone invece che le indagini siano ancora in corso.
Essa può essere disposta in caso di comportamento inottemperante del consulente.
Per esempio,
• con riferimento al rispetto dei termini, ovvero
• con riferimento all’obbligo di comunicare tempestivamente un motivo di ricusazione, ovvero
• in caso di grave negligenza o grave imperizia dell’ausiliare (ad esempio, quando il CTU, al quale il
Giudice abbia specificamente chiesto di svolgere una determinata attività per espletare l’incarico,
senza giustificazione ometta di svolgere tale attività).
Il provvedimento di sostituzione, pur rientrando tra i poteri discrezionali del giudice, deve essere adeguatamente
motivato e preferibilmente preceduto dall’audizione dell’interessato.
La sostituzione può discendere anche da una situazione di incompatibilità non tempestivamente rilevata.
In generale, l’eventuale situazione di incompatibilità (cfr. art. 51 c.p.c.) che non venga fatta valere entro i prescritti
tre giorni prima della comparizione resta definitivamente sanata e non più successivamente deducibile.
La giurisprudenza fa tuttavia salva la possibilità di disporre rinnovazione dell’istruttoria o sostituzione del CTU ai
sensi dell’art. 196 c.p.c. (Cass. Lav. n. 3105/2004, Cass. n. 3364/2001), anche se va sottolineato che in tali casi la
rinnovazione/sostituzione non è un effetto automatico del tardivo rilevamento della situazione di incompatibilità.
La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che di regola la mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del
CTU nel termine di legge preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di
incompatibilità: la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, non rilevando che il consulente tecnico non
abbia osservato l’eventuale obbligo astensione (Cass. 12004/2009).
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“LA” o “LE” NULLITÀ DELLA PERIZIA.
“La” nullità o “Le” nullità.
Successivamente al deposito della relazione possono poi verificarsi talune SITUAZIONI che, anche queste come le
altre, sono connesse in linea di massima a valutazioni sulla qualità della relazione ovvero a contestazioni che
ineriscono in modo specifico all’attività svolta dal CTU.
Talune ipotesi possono condurre all’annullamento della perizia.
Può essere utile suddividere le varie ipotesi di nullità in due macrocategorie, in base al tipo di vizio che sta alla base.
Possono esserci
• VIZI (cause) di tipo formale
• VIZI (cause) di tipo sostanziale.
La nullità può anche essere parziale e riguardare soltanto quella parte della relazione che si fonda su
accertamenti/valutazioni viziate da nullità.
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Annullamento della consulenza per cause (VIZI) FORMALI
Le prime ipotesi riguardano l’aspetto formale dell’attività o, se vogliamo, l’esteriorità dell’atto.
Alcuni esempi:
- la mancanza della sottoscrizione da parte del tecnico nominato
- la sottoscrizione della perizia da altro professionista e non da quello nominato
- la sopravvenuta cancellazione del CTU designato dall’albo dei periti.
L’ultimo caso, però, secondo qualcuno, non determina necessariamente nullità della consulenza, anzitutto poiché
rientra nel potere del Giudice, come più volte detto, la facoltà di nominare quale consulente anche un soggetto
diverso da quelli iscritti negli appositi albi istituiti presso i Tribunali.
Ricordiamo infatti che l’art. 22, 3° co., disp. att. c.p.c. stabilisce che: “Le funzioni di consulente presso la corte
d’appello sono normalmente affidate agli iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Se l’incarico è conferito ad
iscritti in altri albi o a persone non iscritte in alcun albo, deve essere sentito il primo presidente e debbono
essere indicati nel provvedimento i motivi della scelta”.
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Secondo la tesi prevalente, l’individuazione del nominativo fatta nell’ambito degli iscritti all’albo del tribunale a cui
appartiene il giudice della controversia non costituirebbe, in particolare, obbligo:
• nel caso di nomina dell’ausiliario del giudice nelle procedure esecutive immobiliari, parlando la legge
in proposito di “esperto” (cfr. artt. 568, 569 e 576 c.p.c., 173 bis disp. att. c.p.c.), non già di vero e
proprio “consulente tecnico d’ufficio”;
• nel caso di nomina dell’ausiliario del giudice nelle procedure fallimentari, sempre in ragione del
disposto letterale che parla di “stimatore” (cfr. artt. 172 e 204 L.F.) e non di “consulente tecnico
d’ufficio”.
Si tratta però di situazioni caratterizzate sostanzialmente in modo diverso, visto il diverso contesto in cui le attività
peritali dell’esperto e dello stimatore si inseriscono. Sia il processo esecutivo, sia la procedura fallimentare sono
preordinate all’obiettivo specifico di liquidare (= rendere liquido) il patrimonio del debitore (esecuzione) e
dell’imprenditore fallito (fallimento) al fine di consentire la soddisfazione dei creditori.
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Per non incorrere in violazioni di ordine formale, di regola il CTU di regola deve:
- prestare giuramento (ma sul punto, v. infra);
- redigere la relazione in lingua italiana;
- sottoscrivere la relazione;
- controllare cha la copia da lui sottoscritta coincida perfettamente con quella da lui depositata – sia
conforme, si dice.
La terza ipotesi (conformità della copia all’originale) è stata ridimensionata con l’avvento del processo civile
telematico.
Tralasciando l’ipotesi (di per sé irrealistica - o quantomeno “limite” - della predisposizione di CTU in lingua straniera)
cause formali di nullità sono della perizia sono
• la sopravvenuta cancellazione del CTU designato dall’albo dei periti
(in quest’ultimo caso, abbiamo appena ricordato quanto dispone l’art. 22 disp. Att. c.p.c.: non si può
parlare di vera e propria automatica causa di nullità della consulenza, poiché rientra nel potere del
Giudice la facoltà di nominare, motivandolo, quale consulente anche un soggetto diverso da quelli iscritti
negli appositi albi istituiti presso i Tribunali. È d’altro canto possibile che la cancellazione rilevi
effettivamente, ad esempio quando essa discenda come sanzione da un procedimento disciplinare);
• il mancato giuramento
Il mancato giuramento può essere eccepito anche dalla parte come vizio formale.
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Sul mancato giuramento occorre però fare dei distinguo.
La giurisprudenza ritiene infatti che il giuramento possa essere eseguito anche dopo l’espletamento
dell’incarico, purché al deposito della relazione.
Inoltre, anche in caso di mancanza di giuramento, non si potrebbe a stretto rigore parlare di nullità totale
dal momento che, secondo un orientamento, il giudice potrebbe comunque valutare le risultanze peritali
almeno come argomenti di prova atipica.
Cos’è la prova atipica? In breve, è una prova non codificata dalla legge.
Il discorso si fa più delicato per la CTU cd. percipiente.
Qui al CTU è chiesto l’accertamento dei fatti e, quindi, occorrerebbe avere sicuramente un approccio più
rigoroso.
Ricordiamo infatti che la CTU PERCIPIENTE può costituire una vera fonte oggettiva di prova:
• ove un fatto non sia percepibile nella sua intrinseca natura se non con cognizioni o strumentazioni
tecniche che il giudice non possiede;
• quando l’accertamento risulti di più agevole, efficace e funzionale, se l’indagine sia condotta da un
ausiliario dotato di specifiche cognizioni.
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Altre cause di nullità, sotto il profilo formale:
- la mancata sottoscrizione o conformità delle copie all’originale della CTU depositata
(ma un problema del genere, con l’avvento, del PCT dovrebbe essere superato)
- La sottoscrizione della perizia da un professionista diverso dall’incaricato.
La mancata apposizione della firma nel verbale attestante il giuramento costituisce invece mera irregolarità e non
comporta alcun profilo di invalidità.
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“ANNULLAMENTO DELLA CONSULENZA PER (VIZI) CAUSE SOSTANZIALI”
Le cause di nullità sostanziale di regola si realizzano quando la violazione incide sul
CONTRADDITTORIO E SUL DIRITTO ALLA DIFESA.
Si può dire che l’intero processo civile sia improntato all’osservanza del cd. principio del contraddittorio.
Sostanzialmente esso impone il rispetto della parità di facoltà processuali fra le parti.
Il principio in questione ha matrice costituzionale.
Nell’art. 111 Cost. si prevede in particolare che il processo si debba svolgere sempre nel pieno rispetto del
contraddittorio tra le Parti che si presentano al Giudice, terzo imparziale (2° co.).
Nessuna attività processuale può essere validamente eseguita se alcuna delle Parti non abbia potuto partecipare a
esso in quanto non preventivamente informata.
Nel contesto del processo civile, il principio del contraddittorio è espressamente previsto all’art. 101 c.p.c.:
Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la
quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.
Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione,
assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla
comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.
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La legge processuale ribadisce così il diritto alla difesa previsto a livello costituzionale all’art. 24, secondo il quale “la
difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di procedimento”.
Dovendo essere rispettato dal Giudice, a maggior ragione l’osservanza del principio del contraddittorio si imporrà
ovviamente anche al CTU nello svolgimento dell’attività peritale.
Ne consegue che, quando il CTU compia le indagini peritali senza l’intervento del magistrato (cioè: nella normalità
dei casi), si deve consentire alle Parti di intervenire alle operazioni di persona ovvero a mezzo dei loro difensori,
ovvero di consulenti tecnici (di parte, appunto) se nominati nel rispetto di quanto previsto all’art. 201, c.p.c., al fine
di poter formulare osservazioni, richieste o presentare memorie ai sensi degli artt. 194 e 195 c.p.c.
La violazione del principio del contraddittorio può determinare la nullità della perizia.
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Ma la legge, si sa, è ispirata a principi che si combinano fra loro e che incarnano esigenze diverse.
Detto altrimenti, per quanto importante, non esiste soltanto il principio del contraddittorio. O, se vogliamo, anche il
principio del contraddittorio ha delle regole attraverso le quali deve essere fatto valere. Le notazioni che seguono ci
consentiranno di circoscrivere meglio il concetto/sanzione “nullità” in sede processuale.
Abbiamo detto infatti che la violazione del principio del contraddittorio “PUÒ” determinare la nullità. Il fatto che la
sanzione “nullità” sia eventuale è da ricondurre alla sussistenza di temperamenti, anch’essi di principio, tesi a far
prevalere la sostanza sulla forma.
I temperamenti consistono nel fatto che
• l’art. 156, commi 2 e 3, c.p.c., prevede che la nullità non possa essere pronunciata se l’atto ha
raggiunto il suo scopo; quindi se si dimostra che la parte non ha subito un effettivo pregiudizio al
suo diritto di difesa, avendo - ad esempio - avuto comunque notizia dell’inizio delle attività o
comunque avendovi partecipato, non può essere pronunciata la nullità;
• inoltre si tratta di cd. nullità relativa, come peraltro tutte le nullità riguardanti l’espletamento della
CTU, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., ne resta precluso il rilievo, e l’invalidità è
sanata, se l’eccezione non viene sollevata tempestivamente nella prima istanza o difesa
successiva al deposito della relazione, ovvero, nel caso del contumace, nel suo atto di costituzione.
Tradotto in pratica: la violazione del contraddittorio deve essere accertata in concreto e non in astratto.
Ad esempio, anche in assenza di avvisi alle Parti, la relazione non può essere dichiarata nulla quando risulti
chiaro che la Parte non raggiunta dall’avviso ha avuto comunque la possibilità di partecipare alle operazioni.
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ATTENZIONE:
il mancato rispetto del termine assegnato per il deposito della perizia NON determina la nullità della consulenza,
ferma ovviamente restando la possibilità per il giudice di procedere a) alla sostituzione del perito ex art. 196 c.p.c.
ovvero b) alla riduzione del compenso ex art. 52 DPR n. 115/2002.
Occorre tuttavia considerare che l’art. 81bis, ultimo comma, disp. att. c.p.c., introdotto dalla L. 69/2009 e poi
modificato dal D.L. 138/2011, n. 138 (convertito con Legge 148/2011), ove è
stabilito che l’inosservanza dei termini fissati nel calendario processuale dal Giudice PUÒ
costituire una violazione disciplinare da parte del CTU e PUÒ dunque essere considerata ai
finì della nomina o della valutazione dello stesso.
Nel rito del lavoro invece, l’art. 424, 3° co., c.p.c., prevede che il termine fissato dal giudice non sia superiore a venti
giorni e non sia prorogabile. Inoltre, nelle controversie di appello soggette al rito del lavoro, l’art. 441 c.p.c. impone
al consulente di depositare l’elaborato almeno dieci giorni prima dell’udienza di rinvio.
In questi ultimi casi, l’inosservanza di tali termini comporta la nullità della CTU.
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Rassegna delle principali cause di annullamento (per violazioni di carattere sostanziale)
Le cause più frequenti di nullità (totale o parziale) della relazione sono rappresentate da:
• la mancata comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali alle parti;
• la mancata comunicazione di ripresa delle operazioni peritali;
• la mancata partecipazione delle Parti alle operazioni peritali;
• la partecipazione alle operazioni peritali di consulenti tecnici di parte non regolarmente nominati;
• la partecipazione di persone non autorizzate alle operazioni peritali;
• l’acquisizione e valutazione di documenti non ritualmente prodotti in causa;
• l’espletamento di indagini o compiti non consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente.
Possiamo quindi trattare le ipotesi di nullità elencate suddividendole in tre gruppi organizzati in ragione del fatto che
il difetto riguardi la comunicazione – la partecipazione – l’effettuazione di attività non consentita.
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Difetto di comunicazione alle Parti
La comunicazione che più rileva è quella con cui le parti vengono avvisate dell’inizio delle operazioni peritali.
Sempre meglio comunicare quale sia la data in cui cominceranno le operazioni peritali a verbale in udienza, dopo il
giuramento.
Altrimenti il CTU ha l’obbligo di dare l’avviso di inizio delle operazioni peritali, comunicando alle Parti il giorno,
l’ora e il luogo di inizio (si veda l’art. 90, 1° co., disp. att. c.p.c.).
Le modalità con cui il CTU provvederà ad avvisare le Parti possono essere:
• mediante comunicazione da parte del CTU al Cancelliere, che a propria volta informerà le Parti;
• con comunicazione personale ai legali delle Parti o ai Consulenti di Parte eventualmente nominati, a
mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con altro sistema che sia in grado di dimostrare
l’avvenuta ricezione da parte del destinatario (ovviamente, anche per PEC).
Da evitare - per ovvi motivi - l’avviso tramite telefonata, per l’intuitiva inidoneità del mezzo a fornire la prova
dell’avviso nell’ipotesi in cui il destinatario neghi di aver ricevuto la telefonata.
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D’altra parte, dopo che le operazioni peritali siano avviate, l’avviso relativo al compimento di attività ulteriori non è
sempre necessario.
Ad esempio nel caso in cui si sia stabilito che le operazioni debbano proseguire in altra data specifica e successiva.
Della data di “prosieguo” occorre invece dare comunicazione se il consulente rinvii le operazioni a data da destinarsi
e successivamente le riprenda.
La giurisprudenza ha statuito che, ove il CTU rinvii le operazioni ad una data determinata comunicando ciò alle
parti, ma successivamente, prima della data indicata, esegua un’ulteriore operazione peritale omettendo di
darne avviso alle parti, l’inosservanza dell’obbligo di avviso può dar luogo a nullità della consulenza, sempre
che ciò abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa
(Cass. 18598/2008).
Il perito poi non è obbligato alle comunicazioni alle parti nei casi in cui compia attività meramente acquisitiva di
elementi emergenti da pubblici registri e quella di semplice valutazione di dati in precedenza acquisiti. Queste
attività non integrano vere e proprie indagini tecniche e, quindi, possono essere compiute senza preventivo avviso.
Questo riguarda anche informazioni reperibili dal Giudice, a meno che non si tratti di richiesta di chiarimenti che
comportino esigenze di ulteriori indagini e accertamenti poiché, in tal caso, vi sarebbero i presupposti per il
supplemento di consulenza e l’esigenza di definire, nel contraddittorio delle parti, l’ampliamento o, in ogni caso, i
limiti delle operazioni supplementari.
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ATTENZIONE:
La comunicazione di avvio delle operazioni peritali NON deve poi essere effettuata con riguardo al CONTUMACE.
Tale atto non rientra tra quelli che tassativamente l’art. 292 c.p.c. prevede debbano esser notificati al predetto
contumace (Cass. n. 16143/2012).
Ovviamente, fa eccezione il caso in cui la collaborazione del contumace sia indispensabile per l’espletamento
del mandato peritale. Si pensi al caso in cui la CTU consista nell’incarico di ispezione sulla persona del
contumace o su beni nella disponibilità del contumace.
Brevemente, per chi non lo sapesse, CHI È IL CONTUMACE?
È colui che, pur evocato correttamente in giudizio, abbia scelto di non costituirsi e di non difendersi nel processo,
restando inerte. La sentenza che sarà emessa farà stato anche nei suoi confronti.
Ma la legge stabilisce che, fin tanto che il processo è in corso, dovranno essergli notificati soltanto un numero
limitato di atti (l’elenco è contenuto, appunto, all’art. 292 c.p.c.).
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L’avviso previsto all’art. 90, disp. att. c.p.c., deve essere obbligatoriamente dato alle parti altresì
• nel caso di rinnovazione della consulenza disposta dal Giudice ;
• una volta chiuse le operazioni peritali, qualora il CTU ritenga che sia necessario procedere ad altre
indagini.
A parte i casi appena evidenziati, la regola vuole invece che incomba sulle Parti l’onere di informarsi sul
proseguimento delle indagini al fine di parteciparvi.
Nel caso in cui il consulente, pur essendovi tenuto, non abbia avvisato le Parti o qualora l’avviso sia stato comunicato
in forma non idonea, la consulenza tecnica è nulla per la violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla
difesa. A meno che i legali o i CTP non siano, in qualche modo, intervenuti lo stesso nonostante l’omesso avviso.
Si ribadisce che la nullità della consulenza tecnica, nel caso in cui questa presenti vizi inerenti alle comunicazioni sulle
operazioni peritali, ha carattere relativo. Essa quindi può essere sanata se la sussistenza del vizio non sia dedotto
nella prima difesa o udienza successiva al deposito della stessa.
Ricordiamo infatti che l’omessa comunicazione dell’inizio delle operazioni dà luogo a nullità solo se ciò determina un
concreto pregiudizio del diritto di difesa e se sia stata eccepita dalla parte interessata entro la prima udienza o
istanza successiva al deposito della relazione (Cass. 5775/2001).
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Difetto di partecipazione delle Parti
L’ipotesi è stata in parte già trattata.
Suggerimento:
Se all’avvio delle operazioni peritali mancano TUTTI i legali delle Parti o dei CTP eventualmente nominati, anche se il
CTU abbia effettuato regolare comunicazione, potrebbe essere opportuno per il CTU verbalizzare l’assenza e fissare
una nuova data per l’inizio delle operazioni, dandone nuovo avviso alle Parti.
Se siano presenti solo i difensori o i legali di una parte o di alcune delle parti, ma gli avvisi sono stati regolarmente
inviati a tutti, il CTU può invece senza indugio avviare le indagini e non è tenuto a dare alcun avviso alle Parti
ingiustificatamente assenti.
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Altre cause di nullità che attengono a difetti inerenti alla “partecipazione”.
• La partecipazione alle operazioni peritali di consulenti tecnici di parte non regolarmente nominati
• La partecipazione di persone non autorizzate alle operazioni peritali.
La legge è perentoria.
Alle operazioni possono partecipare soltanto le parti in causa, i loro procuratori legali, i rispettivi consulenti tecnici,
nonché persone in rappresentanza delle parti e legali mediante idonea procura.
Non possono in alcun modo intervenire invece alle operazioni i soggetti estranei al processo e/o coloro che non ne
abbiano comunque titolo.
L’art. 201, 1° co., c.p.c., statuisce: “Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti
un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.
La nomina del CTP, quindi, va fatta con deposito di atto in cancelleria (o con modalità diverse stabilite nell’ordinanza,
ovvero depositando la nomina a mezzo PCT. Se la nomina avviene in modo diverso, essa sarà viziata da irregolarità).
L’art. 91, 2° co., disp. att. c.p.c., prevede, infatti, che
“Il cancelliere deve dare comunicazione al consulente tecnico di parte, regolarmente nominato, delle indagini
predisposte dal consulente d’ufficio, perché vi possa assistere a norma degli articoli 194 e 201 del Codice”
In caso di sopravvenuto impedimento del CTP nominato a partecipare alle operazioni deve ritenersi ammessa la
sostituzione con altro soggetto, debitamente dotato di poteri (conferiti con apposita procura). Ricordiamo che la
partecipazione alle operazioni peritali di un CTP irregolarmente nominato può comportare nullità della relazione
peritale, in quanto in concreto potrebbe violare il diritto di difesa dell’altra parte (Cass. 9231/2001).
32
Il discorso è diverso per i COLLABORATORI DEL CTU.
In linea generale il CTU deve procedere direttamente alle indagini che gli sono demandate, in quanto l’incarico ha
l’importanza dell’ufficio pubblico ed è a carattere strettamente personale. Nulla tuttavia esclude che egli possa
avvalersi di collaboratori, dell’operato dei quali assume comunque ogni responsabilità.
È peraltro pacificamente ammesso che ciò possa avvenire anche senza che vi sia stata un’espressa autorizzazione del
giudice in tal senso. Il CTU può infatti avvalersi dell’ausilio di collaboratori e specialisti per il compimento di
particolari indagini o l’acquisizione di elementi di giudizio (per tutte, Cass. n. 16471/2009).
Vi sono tuttavia delle ragioni pratiche che suggeriscono di richiedere comunque al giudice l’autorizzazione e ciò
massimamente quando la collaborazione di prestatori ulteriori comporti un aggravio di spesa. La ragione è
facilmente comprensibile ed è tesa ad evitare che, in sede di liquidazione delle spettanze, tale spesa non venga
riconosciuta al CTU come rimborsabile ex art. 56 DPR n. 115/2002.
In ogni caso, ove si avvalga di collaboratori, il CTU deve valutare la loro opera, assumendone la responsabilità
giuridica, scientifica e morale, laddove trasfonda i risultati di tali collaborazioni nella propria relazione. Resta
ovviamente inteso che l’attività del collaboratore non possa sostituire integralmente quella del CTU (Cass. n.
21728/2006).
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È POSSIBILE LA DELEGA DI FUNZIONI?
Sulla possibilità che il CTU deleghi la propria funzione, bisogna intendersi. È possibile che sia prevista, ma è in
concreto assai raro. Normalmente l’incarico al CTU è affidato in considerazione di una particolare e specifica
competenza. Ne consegue che il consulente debba svolgere personalmente l’incarico e non possa delegarlo ad altri
(Cass. 412/1989).
Diversa è invece l’ipotesi in cui il CTU chieda al giudice di essere affiancato da altro consulente specialista in altra
disciplina.
La Cassazione avverte tuttavia che non deve esservi un’integrale “traslazione dell’incarico giudiziario del perito
d’ufficio allo specialista”, ma il consulente deve elaborare il proprio documento peritale contenente anche
autonome considerazioni (nella specie, si trattava di considerazioni medico legali), sicché l’operato dello specialista
non risulti integralmente sostitutivo di quello del consulente (Cass. 21728/2006).
Nel caso di affiancamento del CTU con uno specialista, è peraltro possibile che il giudice, valutate le circostanze,
conferisca apposito incarico di consulenza anche allo specialista. In tale eventualità, si sarà ovviamente in presenza di
due distinte consulenze tecniche d’ufficio.
Resta da aggiungere che, anche per le spese relative alle attività strumentali svolte dai prestatori d’opera di cui il CTU
sia stato autorizzato ad avvalersi, trovano applicazione le misure degli onorari previsti dagli artt. 50-56 DPR n.
115/2002 (Cass. n. 10978/2012).
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Arriviamo al terzo gruppo di difetti “sostanziali” che possono determinare la nullità della CTU: il gruppo di difetti che
ha a che fare con attività non consentite.
Ricordiamo anzitutto che l’art. 194 c.p.c. dispone che il CTU “compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le
indagini di cui all'articolo 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a
domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.
Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle
operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori e possono presentare al consulente, per
iscritto o a voce, osservazioni e istanze”.
Qui di seguito, in particolare, un aspetto assai rilevante:
la valutazione di atti e documenti non ritualmente prodotti in causa.
Si deve preliminarmente ribadire che gli elementi sui quali si fonda il giudizio tecnico del CTU devono essere gli stessi
su cui il Giudice potrebbe fondare la propria decisione nella sentenza. L’ovvia conseguenza è che l’esperto non potrà
giungere a conclusioni basandosi sui fatti o circostanze che non siano già state ritualmente dedotte o provate in
giudizio (è il cd. principio dispositivo, cfr. art. 99 c.p.c.).
Di regola, quindi, il CTU può esaminare soltanto documenti ritualmente prodotti dalle Parti e validamente acquisiti
agli atti del processo. Ci sono delle eccezioni: ad esempio, per quanto riguarda la perizia contabile, per la quale la
legge prevede espressamente che il CTU possa esaminare anche documenti non prodotti in causa e menzionarli nella
relazione (art. 198 c.p.c.).
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Istanze e/o osservazioni delle parti
È poi altrettanto certo che, ai sensi dell’art. 194, 3° co., c.p.c., i legali ed i Consulenti di Parte, nel corso delle
operazioni peritali, possano produrre istanze e/o osservazioni, anche oralmente (cioè a prescindere dal
contraddittorio formalizzato all’art. 195 c.p.c.).
La valutazione delle istanze e/o osservazioni delle parti
Anche tali istanze/osservazioni devono essere oggetto di adeguata valutazione da parte del CTU. Va però anche
chiarito che le osservazioni, le consulenze di parte e le note critiche redatte dai CTP, costituiscono semplici
allegazioni difensive di tipo tecnico, prive di autonomo valore probatorio.
Il valore delle istanze e/o osservazioni delle parti
I chiarimenti resi dalle parti al CTU o le informazioni da lui assunte da terzi non hanno valore confessorio, né
negoziale; le informazioni in particolare non possono essere considerate vere e proprie prove testimoniali. La
giurisprudenza li ritiene infatti elementi aventi valore meramente indiziario di argomento di prova, rientranti nelle
cosiddette prove atipiche (Cass. n. 14652/2012).
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Sulla base di quanto appena sottolineato torniamo sulla (possibilità di)
valutazione di atti e documenti non ritualmente prodotti in causa.
Il principio-base è: “Se non vi è consenso delle parti, l’acquisizione di documenti non ritualmente prodotti configura
una causa di nullità che vizia l’attività del consulente e determina la nullità della sentenza” (Trib. Roma, 23/11/2005).
Anche questa affermazione ha a che fare con il rispetto del principio del contraddittorio.
Ma la problematica involge anche la materia dei “Poteri del CTU” e dei limiti a questi poteri.
In proposito, la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione ampia dei poteri del CTU, forzando in parte l’art. 194, 1°
co., c.p.c., secondo il quale il consulente “può essere autorizzato dal giudice a domandare chiarimenti alle parti, ad
assumere informazioni dai terzi”.
Il concetto è stato precisato e si è così ritenuto che il CTU, senza bisogno di autorizzazione del giudice, possa in
particolare assumere dalle parti informazioni, MA SOLTANTO quando le richieste di informazioni tendono ad
accertare fatti strettamente accessori, costituenti presupposti tecnici necessari per rispondere ai quesiti posti.
L’oggetto della richiesta del CTU alle parti non può determinare invece l’integrazione di accertamento sui fatti e sulle
statuizioni posti a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti, che come tali devono essere dedotti e
provati dalle parti. Qualora gli accertamenti del CTU sconfinassero da tali limiti, essi sarebbero nulli e privi di
qualunque valore probatorio, neppure indiziario.
Tutto chiaro in astratto; meno in concreto.
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Sicuramente, dal punto di vista pratico, il problema non si pone ove la CTU sia stata disposta prima dello spirare dei
termini di preclusione previsti nel processo (si fa riferimento alle memorie di precisazione od istruttorie di cui all’art.
183 c.p.c.).
È anche bene ricordare in proposito che, nello svolgimento delle operazioni il CTU è un pubblico ufficiale: pertanto
ha fede privilegiata quanto verbalizzato ed avvenuto innanzi a lui e le verbalizzazioni fanno piena prova fino a
querela di falso per attestare le informazioni ricevute e fatti accaduti in sua presenza (cfr. Cass. n. 14652/2012).
Il problema si pone invece quando le “informazioni” a cui fa riferimento l’art. 194 c.p.c. provengano, ad esempio, da
documenti non prodotti dalle parti in giudizio.
Quali sono i limiti di acquisizione e quali i limiti di utilizzo?
Secondo la giurisprudenza, tali documenti possono essere utilizzati dal CTU, solo
• se ciò avviene nel contraddittorio tra le parti
• se è indicata la fonte di acquisizione
• se sono utili ai fini della decisione
• se si tratta di documenti rilevanti dal punto di vista strettamente tecnico al fine di dimostrare fatti accessori e
secondari, non direttamente posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.
Il principio è consolidato: Cass. n. 19816/2013, Cass. n. 14577/2012, Cass. n. 14549/2010, fra le tante. Ad esempio,
secondo Cass. n. 14577/2012, il CTU può acquisire la “documentazione relativa alla certificazione catastale ed alla
regolarità urbanistica dell’immobile oggetto di divisione”. Nell’applicazione pratica c’è qualche discordanza.
Secondo la dottrina, ad esempio, potrebbero essere acquisite anche le “cartelle cliniche, radiografie e mappe
catastali”.
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Vi sono casi particolari, tuttavia, in cui la legge prevede che il CTU sia autorizzato ad utilizzare documentazione non
agli atti.
Una disciplina specifica in tema è stabilita:
- (come già accennato) dall’art. 198 comma 2 c.p.c. in tema di consulenza contabile, ove è previsto che il
consulente “sentite le parti, e previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti
in causa. Di essi, tuttavia, senza il consenso di tutte le parti, non può fare menzione nei processi verbali o nella
relazione”;
- dall’art. 121 comma 5 D.Lgs. n. 30/2005, cd. codice della proprietà industriale, che statuisce come “nella
materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti
dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti. Ciascuna parte può nominare
più di un consulente”.
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Qualora il CTU utilizzasse documenti al di fuori delle limitazioni sopra esposte, l’elaborato peritale sarebbe viziato da
nullità. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di nullità relativa ex art. 157, 2° co., c.p.c., con la conseguenza che il
difetto dovrebbe ritenersi sanato ove non tempestivamente fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al
deposito della relazione peritale.
C’è poi la diversa questione del valore probatorio degli accertamenti e delle risposte fornite dal consulente, OLTRE I
LIMITI DEFINITI DAL PERIMETRO DEI QUESITI AFFIDATIGLI, ma in materia attinente o comunque non estranea
all’oggetto dell’indagine peritale.
In tali ipotesi si parla di argomenti di prova, ed in particolare di prova atipica, non dubitandosi della possibilità per il
giudice del merito di trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio che travalica i
limiti del mandato, purché non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata
disposta (cfr. Cass. n. 11594/2006, Cass. n. 5965/2004).
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Sull’acquisizione e valutazione di documenti non ritualmente prodotti in causa, è tuttavia utile evidenziare quanto
recentemente ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 12921 del 23 giugno 2015) con approccio rigoroso alla materia.
I consulenti tecnici d’ufficio non possono acquisire dati e documenti che non facciano parte del processo non
essendo stati prodotti nei termini dalle parti. I Consulenti del giudice non si possono infatti sostituire alle parti
perché ciò andrebbe a violare i termini previsti per il deposito di documenti (Cass. 12921/2015).
Nella fattispecie la Corte ha confermato la sentenza che aveva dichiarato nulla la consulenza tecnica d’ufficio, poiché
il CTU aveva acquisito autonomamente una serie di documenti comprovanti i costi di alcuni lavori perduti e i relativi
quantitativi. È stata respinta la tesi secondo cui "al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari
per svolgere l’accertamento affidatogli (Cass. n. 1901 del 2010 ed altre)".
La Corte di cassazione, pur ricordando che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientri nel potere del consulente
tecnico d’ufficio attingere "aliunde" notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni
formanti oggetto del suo accertamento” ha chiarito che ciò sia ammissibile soltanto “quando ciò sia necessario per
espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del
convincimento del giudice purché ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il
controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del
2008; Cass. n. 1901 del 2010).
L’esercizio di tale facoltà è legittimo se ispirato al “criterio guida” per cui l’acquisizione si presenti “funzionale
all’espletamento dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto
al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio”.
41
Riassumendo, il potere di attingere al di fuori del processo viene riconosciuto legittimo quando sia funzionale a
portare a termine l’indagine e sia necessario. In sostanza, l’attività è ammissibile
• per acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a
termine l’indagine
• per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi,
esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di
locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati
per verificare che l’indennità di esproprio sia stata correttamente quantificata)".
Anche in tali casi il principio del contraddittorio deve essere rispettato. Così il CTU potrà anche acquisire documenti
non prodotti se indispensabili all’accertamento di una situazione di comune interesse: ad esempio gli atti di
frazionamento che servono ad individuare il confine tra due fondi.
Tuttavia anche quando può acquisire dati tecnici di riscontro rispetto “alle affermazioni e produzioni documentali
delle parti, il CTU deve “indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire loro di verificarne l’esatto e
pertinente prelievo".
In buona sostanza, sicuramente l’acquisizione da parte del CTU di dati e documenti che non si trovano nei fascicoli di
parte può avere la funzione di riscontro e di verifica rispetto alle allegazioni delle parti.
Se invece i predetti presupposti sono violati, la perizia è nulla e, sollevata tempestivamente l’eccezione, la
conseguenza che ne scaturisce è l’inutilizzabilità della CTU e di tutto il materiale con essa acquisito.
42
Ulteriori brevi notazioni sugli accertamenti aggiuntivi (non sull’acquisizione di documenti, su cui v. sopra)
Quando opera senza la presenza del Giudice (cioè, si ripete, nella normalità dei casi), il CTU può compiere tutti gli
accertamenti che ritenga necessari per rispondere ai quesiti del magistrato collegati con l’oggetto della perizia.
Come già visto, egli può
• attingere a notizie non rilevabili dagli atti processuali
• ottenere copie di documenti da enti e uffici pubblici
• assumere informazioni da terzi o acquisire dalle Parti o da terzi documenti che non siano stati prodotti in
giudizio, previo consenso della controparte.
Sarebbe però opportuno che il Giudice, al momento di affidare l’incarico al CTU, chiarisse i compiti che lo stesso è
chiamato ad assolvere, visto che una volta introdotti nel processo quei fatti che le Parti non avevano contemplato,
risulterà difficile per il Giudice non tenerne conto in sede di decisione.
Riguardo al potere d’indagine del CTU, va inoltre precisato che qualora sia stato affidato il compito di svolgere
indagini per ricostruire determinati fatti o situazioni, il CTU può raccogliere notizie e informazioni anche senza
specifica autorizzazione ed i risultati di tali indagini costituiscono elementi probatori acquisiti al processo e utilizzabili
dal Giudice per il proprio convincimento.
43
Considerazioni conclusive.
Si può dunque concludere il discorso sulla/sulle nullità della consulenza tecnica, confermando che essa è in qualche
modo sempre legata alla violazione del principio del contraddittorio. Si badi in proposito che il vizio, da questo punto
di vista, può invalidare il lavoro del consulente anche se lo stesso sia scientificamente ineccepibile.
Si ribadisce d’altro canto che di regola la nullità è relativa ed è sanabile: può essere rilevante soltanto se fatta valere
tempestivamente, alla prima udienza successiva al deposito della relazione, ovvero nella prima attività processuale
comunque successiva al deposito, restando il vizio altrimenti sanato.
L’ulteriore conseguenza è che dunque non è consentito in sede di legittimità far valere la nullità della consulenza non
tempestivamente eccepita precedentemente, nel corso giudizio di merito. La nullità, poi, non può in ogni caso
essere pronunciata se la violazione non ha impedito il raggiungimento dello scopo previsto (art. 156, c.p.c.) (Cass.
5312/2004).
Si ricordi infine che la nullità della CTU ne comporta la rinnovazione con spese a carico del CTU e relativo (possibile)
risarcimento dei danni eventualmente causati alle Parti ai sensi degli artt. 162 e 64 c.p.c.
44
4. LA RESPONSABILITÀ / LE RESPONSABILITÀ DEL CTU. LE SANZIONI.
Nello svolgimento della propria attività, quale ausiliario del Giudice nell’ambito del processo, IL CTU SVOLGE UNA
FUNZIONE PUBBLICA che comporta assunzione di responsabilità e conseguenze che possono rilevare a livello:
• disciplinare;
• civile;
• penale.
Nel compimento dell’incarico il CTU deve in particolare
• manifestare indipendenza professionale e intellettuale
• avere la competenza specifica per l’incarico
• comportarsi con l’obiettività, la correttezza e la trasparenza richieste dall’incarico
• svolgere l’incarico con diligenza e scrupolo.
• inoltre rispettare le norme deontologiche proprie dell’ordine professionale di appartenenza.
45
LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE
La responsabilità disciplinare del CTU opera sia sul piano professionale, poiché egli è iscritto ad un albo
professionale, sia specificamente ai sensi degli artt. 19 e ss. disp. att. c.p.c., in quanto professionista iscritto all’Albo
dei CTU.
In proposito, l’art. 19, disp. att. c.p.c., stabilisce che
il Presidente del Tribunale, d’ufficio o su istanza del Procuratore della Repubblica o del Presidente dell’ordine
professionale di appartenenza, esercita un’attività di controllo e vigilanza sull’operato dei CTU e può
promuovere procedimenti disciplinari contro i consulenti
• che non hanno tenuto una condotta morale specchiata
• che non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti.
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Abbiamo già visto che il mancato rispetto dei termini processuali da parte del CTU può costituire illecito disciplinare
(art. 81bis, disp. att. c.p.c.).
Hanno rilevanza di carattere disciplinare:
• i casi di condanne penali e civili
• le sanzioni disciplinari e amministrative per fatti anche non inerenti al mandato del CTU (queste ultime anche
se non di grave entità possono comunque incidere sull’esercizio della professione dell’esperto, in quanto
denotano mancanza di senso civico e sfregio della legalità).
D’altro canto, relativamente ai fatti di astratta rilevanza penale, occorre intendersi:
il Consiglio di Stato ha ritenuto, per esempio, che l’iscrizione all’Albo dei CTU non possa essere legittimamente
negata al consulente tecnico se nei suoi confronti sono siate sporte denunzie senza che sia seguita la relativa
condanna (Cons. di St. 1550/1996).
47
Esemplificazione di ipotesi che possono condurre a RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE.
Nei confronti del CTU il Presidente del Tribunale può adottare provvedimenti disciplinari qualora, in seguito al
conferimento d’incarico, l’esperto:
• rifiuti, ingiustificatamente, di prestare il proprio ufficio (si v. in proposito, l’art. 63 c.p.c.)
• non compaia all’udienza per il giuramento senza giustificato motivo;
• non depositi la relazione nel termine previsto senza giustificato motivo;
• non avvisi le parti dell’inizio delle operazioni peritali con conseguente nullità e/o rinnovo della consulenza;
• mostri negligenza nell’espletamento dell’incarico;
• assuma il mandato senza avere una adeguata e specifica preparazione.
48
SANZIONI
Contro i consulenti che non hanno tenuto una condotta morale specchiata o che non hanno ottemperato agli
obblighi derivati dagli incarichi ricevuti, il Presidente del Tribunale può promuovere il procedimento disciplinare,
d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del Presidente dell’associazione professionale
d’appartenenza (art. 19 disp. att. c.p.c.).
L’azione disciplinare può comportare l’applicazione delle seguenti sanzioni (art. 20 disp. att. c.p.c.):
• l’avvertimento (un rimprovero formale al CTU per la mancanza commessa o per il comportamento tenuto, con
esortazione a non ricadervi);
• la sospensione dall’albo per un tempo non superiore ad un anno (essa incide ovviamente sulla professione del
Consulente sospeso, dal momento che, come conseguenza, A) non potrà essere nominato, B) non potrà
accettare l’incarico se nominato C) e, qualora abbia già prestato giuramento e/o intrapreso operazioni peritali,
non potrà proseguire nell’espletamento del mandato affidatogli per tutta la durata della sospensione. Resta
inteso che, alla fine di tale periodo, il Consulente potrà riprendere l’esercizio delle sue funzioni senza ulteriori
provvedimenti da parte del Comitato, su cui infra);
• la cancellazione dall’albo (è la sanzione più grave; trattasi di sanzione espulsiva definitiva che impedisce al
professionista di esercitare ulteriormente il proprio ruolo).
49
COMPETENZA NEL GIUDIZIO DISCIPLINARE
La competenza nel giudizio disciplinare spetta al Comitato disciplinare (art. 19 e 14 disp. att. c.p.c.).
Esso è formato
• dal Presidente del Tribunale
• dal Procuratore della Repubblica
• da un professionista iscritto all’Albo professionale designato dal Consiglio dell’ordine o dal
Collegio di categoria a cui appartiene il Consulente Tecnico sottoposto al giudizio disciplinare.
Vi è anche un Comitato disciplinare di secondo grado (art. 21 e successivi rinvii agli artt. 15 e 5 disp. att. c.p.c.) che
decide sui giudizi d’impugnazione avverso le decisioni adottate dal Comitato disciplinare. Esso è composto
• dal Primo Presidente della Corte di Appello,
• dal Procuratore generale della Repubblica
• dal Presidente dell’ordine forense
• dal Presidente dell’ordine professionale a cui l’interessato appartiene.
50
BREVEMENTE SUL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE (art. 21 disp. Att. c.p.c.):
L’avvio coincide con la comunicazione della contestazione al CTU.
Se il Presidente del Tribunale ritenga necessario promuovere il procedimento disciplinare nei confronti del
Consulente, comunica formalmente al CTU la contestazione dell’addebito disciplinare e “raccoglie” la risposta scritta
del consulente.
Se la risposta scritta non chiarisce la posizione, il CTU viene invitato con biglietto di Cancelleria a presentarsi
personalmente per l’audizione davanti al Comitato disciplinare previsto dall’art. 14 disp. att. c.p.c..
Dopo l’audizione, il Comitato
• può disporre di non procedere, richiedendo l’archiviazione del caso, qualora le risposte alle contestazioni
fornite dal tecnico risultino soddisfacenti;
• può decidere di applicare le sanzioni dell’avvertimento, della sospensione e della cancellazione dall’Albo,
qualora ritenga che il CTU non abbia tenuto una condotta morale specchiata o non abbia ottemperato agli
obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti, ai sensi dell’art. 20 disp. att. c.p.c..
Trattandosi di organo collegiale, la decisione del Comitato sarà presa a maggioranza di voti.
IMPUGNAZIONE: Entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento di “primo grado”, il Consulente può presentare
reclamo al Comitato disciplinare di secondo grado. Il collegio d’appello, decidendo nel merito, può anche
riesaminare i fatti e valutare se confermare o meno la sanzione. La decisione del Comitato in sede di Appello non è
ulteriormente impugnabile (salvo quanto previsto dall’art. 111 Cost.).
51
LA RESPONSABILITÀ CIVILE
Qualora il perito nominato dal Giudice violi i propri doveri di diligenza e correttezza o svolga in modo non conforme
ed adeguato o ingiusto il proprio incarico e con la propria condotta abbia recato danni alle Parti ha l’obbligo di
risarcire il danno così cagionato.
Dal punto di vista civilistico, la responsabilità del CTU è disciplinata dall’art. 64 c.p.c. e dagli artt. 1218, 1176, 2043 e
segg. c.c.
Recita l’art. 64 c.p.c. (rilevante anche sotto il profilo penalistico; lo vedremo tra poco):
• “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti.
In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono
richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con la ammenda fino a € 10.329,00. Si applica l’articolo
35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.
La natura della responsabilità è extracontrattuale e l’ingiustizia del danno (richiesta dall’art. 2043 cc) è riguardata
analizzando il comportamento del CTU alla stregua delle leges artis della professione di appartenenza.
I presupposti perché il CTU risarcisca i danni alle parti del giudizio nel corso del quale ha operato come consulente
non sono però di facile verificazione.
52
Occorre infatti che il CTU abbia violato i suoi doveri con dolo o colpa grave nei casi di particolare difficoltà (art. 2236
c.c.) o con colpa semplice negli altri casi (art. 1176 comma 2 c.c.) che tale violazione abbia causato un danno.
Da questo ultimo punto di vista, perché ciò possa dirsi effettivamente accaduto occorre, quindi,
• che l’errore sia fatto proprio dal giudice
• che sia provato che la soccombenza è stata causata dalla attività illecita del consulente
• che la sentenza sia passata in giudicato
• che la stessa sia stata revocata ex art. 395 n. 2 c.p.c. (“se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque
dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della
sentenza”) o ex art. 395 n. 4 c.p.c. (“se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure
quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto
non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”).
QUESTIONE DIVERSA: la domanda diretta ad ottenere dal consulente tecnico la restituzione di somme corrispostegli
in relazione ad una consulenza poi dichiarata nulla. Qui si fa valere il diritto della parte alla ripetizione di un indebito
oggettivo; una controprestazione in danaro per una prestazione che è mancata, in quanto la relazione, viziata per
qualche aspetto, è stata annullata. Tale domanda non trova preclusione, diretta o indiretta, nelle disposizioni
dell’art. 64 c.p.c. - che concernono la responsabilità aquiliana del consulente per i danni cagionati con fatto
illecito (Cass. 11474/1992).
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Nonostante quanto appena detto sulle difficoltà dell’azione civile di responsabilità, esemplifichiamo lo stesso talune
ipotesi in cui, al ricorrere di tutti i presupposti richiesti dalla legge, si potrebbe lamentare la responsabilità civile
del CTU. Si tratta di negligenze in ambito civile. Ci occupiamo delle situazioni in cui rileva la colpa (non parliamo di
situazioni di dolo per l’ovvia considerazione che il dolo presuppone l’intenzionalità).
Le più frequenti possono essere:
• la perdita o distruzione da parte del CTU, anche involontariamente, della cosa controversa o dei documenti
affidatigli;
• la mancata esecuzione di accertamenti o indagini irrepetibili;
• l’inadeguata preparazione nell’espletamento del mandato conferitogli dal Giudice;
• il rifiuto o il ritardo nel deposito della relazione peritale, senza giustificato motivo;
• le ipotesi di sostituzione del CTU e di rinnovo della consulenza dovute all’imperizia dello stesso, con
conseguente annullamento dell’attività espletata.
• Infine, tutti i casi in cui la negligenza del CTU abbia comportato
una eccessiva durata del processo;
la soccombenza di una delle parti;
l’esborso di spese di una delle parti per dimostrare l’erroneità delle conclusioni della consulenza
tecnica;
la percezione da parte del CTU di un compenso per una prestazione poi risultata inutile.
54
RESPONSABILITÀ PENALE DEL CONSULENTE
Anzitutto va nuovamente sottolineato che il CTU ha la veste di Pubblico Ufficiale e pertanto, ai sensi dell’art. 357,
c.p., in qualità ausiliario del Giudice, può incorrere in una serie di reati direttamente a ciò collegati.
Fra essi, il peculato, la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio.
Come già segnalato, anche sotto questo profilo rileva quanto prevede l’art. 64 c.p.c. che, al 1° co., c.p.c., per le
consulenze in ambito processuale civilistico: “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale
relative ai periti”.
Per effetto dell’estensione al CTU delle norme penali dettate per il perito, il CTU risponde penalmente per:
• esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.);
• rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), che dovrebbe prevalere per specialità sul delitto di omissione o
rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.);
• falsa perizia (art. 373 c.p.)
55
Al 2° co., l’art. 64 c.p.c. prevede poi un’autonoma fattispecie contravvenzionale per il CTU che incorra in colpa grave
nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti.
In base al citato art. 64, 2° co., c.p.c., infatti, il consulente tecnico “che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli
atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con la ammenda fino a € 10.329,00. Si applica
l’articolo 35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.
La colpa grave si verifica non in caso di semplici errori od omissioni, ma quando il CTU incorre in violazioni od
omissioni apprezzabili non già secondo il parametro della diligenza propria del buon consulente, ma secondo la
diligenza richiesta secondo comune esperienza (es.: evidenti vizi logici, inosservanza palese del contraddittorio,
distruzione o perdita della cosa affidata per mancanza di diligenza, ecc.).
56
Posto che alcune ipotesi di colpa grave le abbiamo già segnalate in tema di responsabilità civile, si può qui
aggiungere che si può configurare la colpa grave se:
• il CTU smarrisce documenti originali e non più riproducibili dal contenuto dei fascicoli di parte;
• il CTU perde o distrugge la cosa controversa o documenti affidatogli;
• il CTU omette di eseguire accertamenti irripetibili;
• il CTU non avvisa le parti sulla data d’inizio delle operazioni peritali provocando l’annullamento della
consulenza su istanza di parte;
• il CTU redige una consulenza non idonea o incompleta con conseguente innovazione della stessa;
• il CTU assume l’incarico conferitogli dal Giudice pur non avendo un’adeguata e specifica conoscenza tecnica nel
settore oggetto della consulenza richiesta e redige pertanto un elaborato viziato da errori.
ATTENZIONE: Per l’integrazione del reato previsto dall’art. 64, comma 2, c.p.c., è peraltro “necessario che la colpa
grave del consulente conduca ad un risultato erroneo degli accertamenti richiestigli, rimanendo invece prive di
rilievo le eventuali erronee scelte metodologiche od operative che non influiscono sull’esito degli stessi” (Cass. pen.
29506/2014).
L’applicazione dell’art. 35 c.p. – richiamato nella seconda parte del 2° co. Dell’art. 64 c.p.c. - impone infine la
sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte.
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Vediamo brevemente qualche ipotesi di reato rilevante anche se, per evidenti limiti nella presente trattazione,
circoscriveremo rigorosamente i riferimenti, riportando nella sostanza unicamente la fattispecie:
art. 366 c.p. - Rifiuto di uffici legalmente dovuti
Si punisce con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da 30 euro fino a 516 euro,
il CTU, nominato dal Giudice, che ottenga con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o
prestare il suo ufficio
il perito che rifiuti
o di dare le proprie generalità
o di prestare il giuramento richiesto
o di assumere o di adempiere le proprie funzioni.
La condanna comporta inoltre l’interdizione dalla professione o dall’arte.
ATTENZIONE: Va chiarito che il perito nominato per l’espletamento di un incarico che non compaia all’udienza fissata
per il giuramento senza giustificare il motivo dell’assenza con tale comportamento non viola, tuttavia, l’art. 366 cp.
La mancata comparizione non può essere equiparata al rifiuto di assumere l’incarico. Né, in concreto, ostacola il
funzionamento della giustizia.
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Art. 373 c.p. – Falsa perizia o interpretazione
Si punisce con la reclusione da 2 a 6 anni il perito che, nominato dall’autorità giudiziaria,
dà pareri o interpretazioni mendaci
afferma fatti non conformi al vero.
È stato precisato che il delitto di falsa perizia “non è configurabile, per difetto del carattere offensivo della condotta,
quando le affermazioni non conformi al vero vertono su circostanze irrilevanti e, come tali, inidonee a fuorviare la
decisione e, quindi, il corretto funzionamento dell’Autorità giudiziaria” (Trib. Milano, 20 aprile 2007).
In questo caso la condanna comporta l’interdizione dai pubblici uffici, oltre che dalla professione o dall’arte.
La ritrattazione: Per evitare la condanna per falsa perizia è possibile ritrattare, purché il CTU – in sede civile - lo
faccia prima che sia pronunciata una sentenza di merito definitiva (art. 376 c.p.), anche se non irrevocabile. In sede
penale la non punibilità per il colpevole si ha se il CTU ritratti il falso e manifesti il vero non oltre la chiusura del
dibattimento.
Esclude la punibilità anche la sussistenza di alcune ipotesi descritte all’art. 384 c.p. (stati di necessità et similia).
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Visto che si parla qui di “falsa perizia”, bisogna intendersi sul significato di falso. Incidentalmente deve perciò essere
ricordato che, ai sensi dell’art. 195, c.p.c., la relazione del CTU, pur contenendo tutti gli accertamenti e i risultati delle
indagini tecniche compiute dallo stesso, non ha carattere di prova privilegiata, ma è soggetta al libero e discrezionale
apprezzamento del Giudice come tutti gli altri mezzi di prova. Ne consegue che non è ammissibile querela di falso
per il contenuto della consulenza tecnica, la quale non fa pubblica fede delle affermazioni o contestazioni o giudizi in
essa contenuti.
Attenzione invece, da questo punto di vista, al verbale redatto dal CTU.
In qualità di Pubblico Ufficiale, il verbale costituisce atto pubblico, anche riguardo ai fatti che il CTU asserisca essersi
verificati in sua presenza, per cui nei suoi confronti, sotto questo profilo, si può procedere con querela di falso.
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Art. 374 c.p. - Frode processuale
Reato punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni
È questa la fattispecie in cui il perito, nell’esecuzione di una perizia, modifichi artificiosamente lo stato dei luoghi o
delle cose o delle persone su cui si deve svolgere la consulenza.
Va precisato che la modifica dello stato dei luoghi non integra questo reato quando essa sia talmente evidente e
percepibile a prima vista da non poter indurre in errore nessuno.
Al contrario, il reato di frode processuale sussiste invece, ogni qual volta la modifica possa risultare percepibile
soltanto dopo un esame non superficiale ma ben dettagliato e possa, quindi, sfuggire a un occhio non
particolarmente esperto.
Ovviamente, la parte che abbia subito un concreto pregiudizio in conseguenza dell’operato dell’esperto, anche in
sede processo penale, potrà far valere il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. innanzi al Giudice
competente per valore e territorio.
Il danno è normalmente quantificabile sommando tutte le spese sostenute per l’adozione di provvedimenti ritenuti
necessari in conseguenza di un errata consulenza, nonché le spese affrontate per dimostrare l’erroneità della
consulenza d’ufficio.
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Il codice penale, in relazione agli artt. 373 e 374 c.p., prevede anche delle aggravanti oggettive (art. 375 c.p.),
imponendo
• la pena della reclusione da 3 a 8 anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a 5 anni;
• la pena della reclusione da 4 a 12 anni se dal fatto deriva una condanna superiore a 5 anni;
• la pena con reclusione da 6 a 20 anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.
Il riferimento è – evidentemente - a perizie svolte in sede penale.
Va sottolineato come al perito si possano applicare, pur in assenza di uno specifico richiamo, le norme incriminatrici
relative al delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.),
“Il patrocinatore o il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca
nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria o alla
Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a
cinquecentosedici euro.
La pena è aumentata:
1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.
Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a milletrentadue euro, se il fatto è
commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina [la pena di morte o]
l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni”.
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Possono essere applicate altresì le disposizioni relative alle altre infedeltà del patrocinatore o Consulente Tecnico
(art. 381 c.p.),
“Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria, presta
contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti
contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e
con la multa non inferire a lire duecentomila.
La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da lire centomila a un milione, se il patrocinatore o il
consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello
stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria”.
Un po’ di giurisprudenza.
“Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 381 c.p. (Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico),
per stabilire l’identità o la diversità del procedimento, deve farsi non astratto riferimento ai criteri utilizzati per
individuare la identità o diversità delle cause nel processo civile (parti, petitum, causa petendi . ..), bensì concreto
riferimento allo "stesso procedimento" nel quale si polarizzano interessi contrapposti tra le parti avverse. Alla luce del
bene tutelato dalla norma, l’opposizione agli atti esecutivi appare un mero incidente all’interno del procedimento di
esecuzione, cosicché deve considerarsi un segmento dello "stesso procedimento", irrilevante essendo a questi fini la
natura del giudizio (esecutivo o di cognizione)” (Cass. pen. 11424/1995).
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“La fattispecie prevista dall’art. 381 comma 2 c.p. (Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico)
configura un reato istantaneo, in quanto la condotta vietata è la assunzione del patrocinio o della consulenza, non
già l’attività di patrocinio o di consulenza che, in conseguenza di tale condotta, viene successivamente esplicata. Ne
consegue che il momento consumativo del reato va individuato nella assunzione dell’incarico, ossia nel momento in
cui viene conferito e accettato il mandato professionale” (Cass. pen. 11424/1995).
“Per la sussistenza dei delitti di patrocinio o di consulenza infedele (art. 380 c.p.) e le altre infedeltà del patrocinatore
o del consulente tecnico (art. 381 c.p.), è strutturalmente necessaria la instaurazione di un procedimento dinanzi
all’autorità giudiziaria, quale elemento costitutivo del reato, cosicché ritenere compresa nella previsione legislativa
anche "le attività prodromiche" alle cause poi instaurate tra le parti integra una violazione del principio di tipicità del
precetto penale” (Cass. pen. 4668/1995).
Tali fattispecie quindi presuppongono, quale elemento costitutivo del reato, la sussistenza di un procedimento
dinanzi all’autorità giudiziaria.
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In conclusione, occorre sottolineare che il CTU sia soggetto sovente a tentativi di corruzione e subornazione (art. 377
c.p.), attuati con diverse modalità. Il suggerimento banale è di prestare assoluta attenzione a non rimanere coinvolto
e mostrarsi sempre pronto a denunciare al Giudice ogni sospetto tentativo da parte di chiunque.
Come detto al principio del discorso in tema di responsabilità penale del CTU, assumendo il consulente tecnico la
funzione di Pubblico Ufficiale in qualità ausiliario del Giudice, egli può incorrere in una serie di reati direttamente
collegati a tale ruolo.
Fra essi, il peculato, la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio.
Questa non può essere la sede per affrontare sistematicamente l’analisi di tali fattispecie, anche perché ci
troverebbe di fronte a delle problematiche significative che esulano dalla presente trattazione. Mi limito quindi a
riportare qui le fattispecie per come previste dal codice penale.
Anzitutto il codice penale prevede diverse Ipotesi di corruzione:
Art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d’ufficio) Il pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve
per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a
un anno.
Art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare
o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai
doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la
reclusione da due a cinque anni.
65
La pena è aumentata se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o
pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale
appartiene.
La pena è aumentata (art. 319bis c.p.) se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici
impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il
pubblico ufficiale appartiene.
Art. 319ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari) Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p. sono commessi per favorire o
danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto
anni.
Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della
reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o
all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.
Art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) Le disposizioni dell’art. 319 si applicano anche
all’incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all’art. 318 c.p. si applicano anche alla persona incaricata di un
pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.
In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.
Art. 321 c.p. (Pene per il corruttore) Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’art. 319, nell’art. 319bis, nell’articolo 319-ter e nell’art. 320 c.p. in relazione alle suddette ipotesi degli artt. 318 e 319 c.p., si applicano
anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.
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Art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione) Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un
pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a
compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel
primo comma dell’art. 318 c.p., ridotta di un terzo.
Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o
a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora
l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’art. 319 c.p., ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che riveste la
qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato
per le finalità indicate dall’art. 318 c.p.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita
una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’art. 319 c.p.
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Da segnalare, infine, come siano diversi dalla corruzione i reati di:
A. concussione (art. 317 c.p.): Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua
qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo,
denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.
B. abuso d’ufficio (art. 323 c.p.): Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle
funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in
presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente
procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con
la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.
C. rifiuto od omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.): Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che
indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine
pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due
anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro
trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per
esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni.
Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della
richiesta stessa.
68
5. RISOLUZIONE DI QUESTIONI NELLO SVOLGIMENTO DELLA CTU - L’INTERVENTO DEL GIUDICE
L’argomento è stato in parte già toccato in precedenza, quando sono state trattate le nullità.
Cerchiamo di evitare le ripetizioni.
Ci limitiamo dunque a ricordare che l’art. 196 c.p.c. attribuisce al giudice la facoltà di disporre la rinnovazione delle
indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico.
In sintesi
- La RINNOVAZIONE implica che le indagini siano state ultimate e che vi sia una valutazione del giudice di
insufficienza dei risultati raggiunti dalla consulenza espletata, o per vizi di forma che rendono la consulenza
stessa inutilizzabile, o per carenze negli accertamenti.
- La SOSTITUZIONE del consulente presuppone invece che le indagini siano ancora in corso, e può essere
disposta in caso di comportamento inottemperante del consulente, per esempio con riferimento al rispetto
dei termini ovvero all’obbligo di tempestivamente comunicare un motivo di ricusazione, ovvero in caso di
grave negligenza o grave imperizia dell’ausiliare.
Per superare problemi connessi all’imminente scadenza dei termini per il deposito della relazione il CTU può far
ricorso al giudice, prima della scadenza del termine per il deposito, al fine di ottenere la proroga dei termini,
rappresentando delle specifiche esigenze in proposito.
69
Non ritorniamo nemmeno sull’acquisizione di documenti, né sui chiarimenti che il CTU può essere autorizzato (dal
giudice) a richiedere alle parti.
Ribadiamo unicamente quanto segue circa l’efficacia probatoria dei chiarimenti resi dalle parti al CTU e attribuibile
alle informazioni da lui assunte da terzi: dette dichiarazioni di chiarimento non hanno valore confessorio o negoziale,
mentre le informazioni non possono essere considerate vere e proprie prove testimoniali. La giurisprudenza li ritiene
elementi aventi valore meramente indiziario di argomento di prova, rientranti nelle cosiddette prove atipiche (Cass.
n. 14652/2012).
Nello sviluppo delle operazioni peritali, possono poi insorgere delle problematiche.
Ci si può trovare, ad esempio, di fronte all’impedimento d’accesso ai luoghi d’indagine.
A volte le Parti cercano di rallentare gli accertamenti e le operazioni del Consulente. Se ciò accade, il CTU non può
proseguire la propria attività e deve sospenderla, dando atto nel processo verbale di sopralluogo della circostanza
avvenuta. Sarà poi necessario presentare al Giudice un’apposita istanza ove sarà spiegato l’accaduto e si chiederà al
magistrato di assumere la decisione opportuna.
La questione è risolta in modo affatto diverso in sede di esecuzione, stante le peculiarità di quel processo.
Sul punto, torneremo avanti.
In sede di giudizio di cognizione il Giudice può invece ricorrere all’applicazione dell’art. 116, 2° co., c.p.c., ove - anche
per scoraggiare eventuali comportamenti ostruzionistici, dilatori e defatigatori - è stabilito che il giudice possa
desumere “argomenti di prova (…) dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in
generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.
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Impedimento di accesso al consulente della parte avversaria ovvero alla controparte.
Altre volte può accadere che l’accesso sia impedito non al CTU, bensì al consulente della parte avversaria ovvero alla
controparte stessa, che magari abbia accompagnato il proprio consulente alle operazioni peritali.
Questo accade soprattutto quando il luogo dell’ispezione è costituito dalla proprietà di una delle parti in contesa.
In linea di massima, nel primo caso (impedimento all’accesso al CTP della controparte), pur potendo svolgere
ugualmente le proprie operazioni, sarebbe opportuno che il CTU non procedesse oltre poiché, in assenza del
Consulente di una parte (correttamente nominato, proprio fine di seguire e controllare le attività del CTU), si rischia
seriamente di realizzare una violazione del principio del contradditorio e del diritto alla difesa della stessa.
Nel caso in cui l’accesso sia invece impedito direttamente alla controparte, è necessario distinguere.
Se la parte non è accompagnata dal legale e non ha nominato il CTP, non consentire ad essa di
partecipare alle attività nella proprietà della controparte viola il principio del contraddittorio ed il diritto
alla difesa. In tale circostanza è opportuno che il CTU valuti se, pur potendo svolgere propria attività, non
violi il principio sopraddetto. Il consiglio è di essere prudenti e di verbalizzare nel modo più asettico.
Se la parte è assistita dal proprio Consulente di fiducia ritualmente nominato o dal proprio legale, la sua
estromissione dagli accertamenti tecnici NON costituisce violazione al principio del contraddittorio e
diritto alla difesa, in quanto questa – attraverso i propri fiduciari (consulente, difensore) – è messa nelle
condizioni di svolgere regolarmente qualsiasi attività.
Se la Parte o il soggetto in causa svolge in proprio anche il compito dell’esperto, ovvero la figura del CTP,
in quanto esperta nella materia della controversia e quindi in grado di rappresentarsi personalmente, il
CTU non può permettere che la controparte neghi accesso alla proprietà. Pertanto, nell’ipotesi di
ostinato impedimento, il CTU deve necessariamente interrompere le operazioni, verbalizzare l’accaduto
e presentare un’istanza al Giudice per l’assunzione della decisione del caso.
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È da dire che il Giudice nel processo di cognizione non ha potere di ordinare l’accesso coatto (cioè con l’utilizzo della
forza pubblica) del consulente nella proprietà della parte avversa, ma può convocare le Parti in udienza per chiedere
spiegazione della condotta e ammonirla sulla relativa responsabilità e, quando possibile, ordinare all’esperto di
svolgere le proprie attività dall’esterno della proprietà, rimettendo il resto delle operazioni ad una valutazione
documentale.
Si ribadisce d’altra parte che, qualora il perito non possa svolgere alcuna attività, il Giudice può ricorrere
all’applicazione dell’art. 116, 2° co., c.p.c., ove anche per scoraggiare eventuali comportamenti ostruzionistici è
stabilito che il giudice possa desumere “argomenti di prova (…) dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni
che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.
Qualora sia necessario svolgere ispezioni in proprietà di terzi a norma dell’art. 118, 1° co., c.p.c., è opportuno che il
CTU chieda un’apposita autorizzazione al Giudice. Può - ad esempio - insorgere l’esigenza di dover svolgere
misurazioni o rilievi presso la proprietà di terzi. Se il Giudice emette l’ordine di ispezione (a condizione che essa possa
svolgersi “senza grave danno”), il terzo non si può sottrarre senza giusto motivo; se lo fa, è prevista una sanzione.
La riforma del processo civile, intervenuta con la Legge n. 69/2009, ha elevato la sanzione pecuniaria che risulta
attualmente compresa tra 250 e 1.500,00 € per i casi di ingiustificato rifiuto del terzo (art. 118, 4° co., c.p.c.).
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Possono poi presentarsi altre situazioni delicate.
È il caso dell’accesso presso la proprietà della parte contumace nel procedimento.
Ricordiamo qui che la comunicazione di avvio delle operazioni peritali NON deve essere data al CONTUMACE.
Tale atto non rientra infatti tra quelli che tassativamente l’art. 292 c.p.c. prevede debbano esser notificati al
contumace (Cass. n. 16143/2012).
Ovviamente, l’esigenza pratica di comunicare con il contumace ci sarà invece nel caso in cui la collaborazione di
quest’ultimo sia indispensabile per l’espletamento delle operazioni peritali. Si pensi – appunto - al caso in cui la CTU
consista e/o preveda nell’incarico di ispezione sulla persona del contumace o su beni nella disponibilità del
contumace.
È dunque necessario che il CTU valuti sempre attentamente la situazione. Nel caso di dubbi, è buona norma chiedere
al Giudice cosa fare e, ove necessario, specifiche autorizzazioni per l’attività.
73
Come già ricordato in precedenza, dal punto di vista formale l’art. 195, 3° co., c.p.c. prevede che fra consulente
dell’ufficio e le parti (tramite consulente di fiducia e/o avvocato difensore) si sviluppi un contraddittorio tecnico.
Si stabilisce infatti che
“la relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con
ordinanza resa all’udienza di cui all’articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il
quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla
successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle
parti e una sintetica valutazione sulle stesse” (art. 195, 3° co., c.p.c.).
È di tutta evidenza che la finalità sia quella di anticipare il contraddittorio tecnico davanti al CTU, cercando di evitare
per quanto possibile successive richieste di chiarimenti defatiganti e dilatorie dalle difese delle parti, così come
situazioni in cui, successivamente al deposito dell’elaborato, emerga l’esigenza di integrare la perizia.
È d’altro canto sicuro che i termini concessi per le osservazioni alla bozza siano ordinatori ex art. 152, 2° co., c.p.c., in
quanto la natura perentoria del termine deve essere sancita espressamente dalla legge e tali termini non sono
qualificati come perentori.
Pertanto, tali termini possono essere prorogati, pur se con i limiti dell’art. 154 c.p.c., e cioè se sia stata fatta idonea
istanza prima della scadenza, restando ragionevolmente fermo che il periodo della proroga non possa essere
superiore a quello originario.
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6. LA VALUTAZIONE DELLA CTU DA PARTE DEL GIUDICE.
Dopo il deposito, il giudice esamina la relazione. Se l’elaborato NON risulta sufficientemente chiaro od esauriente o
sono emersi ulteriori aspetti da verificare o da chiarire, d’ufficio o su istanza di parte, abbiamo già visto che il Giudice
può disporre:
— la convocazione a chiarimenti del consulente;
— l’esecuzione di indagini suppletive;
— l’integrale rinnovazione della perizia (art. 196 c.p.c.);
— la sostituzione del consulente ove sussistano gravi motivi (art. 196 c.p.c.).
Se invece non sono necessari ulteriori provvedimenti o chiarimenti da parte del CTU, il giudice liquida il compenso al
consulente, ponendolo provvisoriamente a carico solidale delle parti o, se la CTU l’ha richiesta solo una delle parti, a
carico di quest’ultima (ma sulla “solidarietà necessaria” della parti innanzi al CTU, si veda quel che si dirà al proposito
del compenso) .
Nei rapporti fra le parti del giudizio, la ripartizione definitiva delle spese di lite viene poi stabilita con la sentenza
definitiva, secondo i criteri della soccombenza (art. 91 c.p.c.).
Per i procedimenti in camera di consiglio, se il presidente lo ritiene opportuno può invitare il consulente ad assistere
alla discussione e ad esprimere il suo parere in camera di consiglio in presenza delle parti che possono chiarire o
presentare le loro ragioni tramite i loro difensori (art. 197 c.p.c.).
75
Andiamo ad occuparci nello specifico della valutazione della CTU da parte del giudice.
Come noto, nell’assumere la decisione il giudice non è vincolato dalle risultanze della consulenza d’ufficio e questo
anche se nella CTU sono contenute valutazioni ed accertamenti tecnici che non sarebbe stato possibile svolgere
altrimenti.
Dalle deduzioni del consulente tecnico, infatti, il giudice è libero di trarre autonome, purché logiche, conclusioni
(Cass. 9922/2001; App. Milano 2114/2001).
Questo principio è espresso dal noto brocardo latino per cui il giudice è peritus peritorum e tale resta anche se abbia
affidato al CTU l’incarico di valutare tecnicamente i fatti ed i documenti già acquisiti, ovvero di eseguire accertamenti
(nei limiti prima visti).
Sono necessarie tuttavia delle precisazioni:
• la libera valutazione del giudice riguarda soltanto i pareri di carattere tecnico e scientifico espressi dal
consulente;
• se nella perizia siano contenuti veri e propri accertamenti di fatto, il giudice potrà/dovrà trarre dai medesimi
argomenti di prova ex art. 116 2° co., c.p.c.
È stato in proposito osservato (a mio sommesso avviso, correttamente) che la teoria della libera valutazione del
giudice quale peritus peritorum rappresenti spesso una “utopia”, di fatto sempre più incompatibile con
l’assegnazione, al consulente, di compiti che richiedono complicate indagini scientifiche, magari svolte con l’ausilio di
particolari strumenti tecnici.
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Ciò che rileva è comunque il RAPPORTO TRA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA E CONCLUSIONI DELLA CTU.
La giurisprudenza distingue diverse situazioni.
Se il giudice riconosca come convincenti le conclusioni cui è giunto il perito e tali conclusioni non siano fatte
oggetto di specifiche e motivate censure ad opera delle parti o dei rispettivi CTP, il giudice non è tenuto ad
esporre specificamente le ragioni del suo convincimento, atteso che l’obbligo di motivazione è già assolto con
l’indicazione delle fonti del convincimento e, quindi, con il richiamo alla perizia (Cass. 10222/2009).
Parimenti, qualora il giudice intenda aderire alle conclusioni peritali e le stesse già si siano fatte carico di
replicare alle contrarie deduzioni delle parti, la motivazione può limitarsi al richiamo dell’elaborato peritale,
proprio perché già questo dà conto del percorso logico che sorregge le conclusioni raggiunte e del
superamento dei rilievi critici mossi (Cass. n. 10123/2009).
Ove invece il giudice ritenga di condividere le conclusioni della CTU pur in presenza di critiche precise e
puntuali mosse alla perizia, ed astrattamente idonee ad incidere sulla decisione, relativamente alle quali la CTU
stessa non prende posizione, l’onere di motivazione sarà più pregnante, dovendo il giudice giustificare
l’adesione alle conclusioni peritali e disattendere le particolareggiate e circostanziate critiche ad esse rivolte
(Cass. n. 29208/2008).
Allo stesso modo, in caso di dissenso rispetto alle conclusioni del CTU, il giudice deve motivare adeguatamente
ed esaurientemente le ragioni che lo inducono a discostarsi dalle valutazioni formulate.
Lo stesso obbligo di motivazione incombe infine sul giudice quando, espletate più consulenze con risultati
difformi, ritenga di aderire ad uno dei pareri, a meno che, aderendo alla seconda consulenza, la stessa non
abbia già dato conto del perché debba essere disattesa la precedente (da ultimo, Cass. n. 19572/2013); o
quando, nell’ambito di un’unica consulenza, opti per una tra le molteplici soluzioni prospettate dal perito.
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Come notazione ulteriore, si aggiunge che la CTU espletata in un diverso giudizio, fra le stesse od altre parti, può
essere apprezzata come principio di prova (Cass. n. 15714/2010) e, quindi, con valutazione più rigorosa da parte del
Giudice, ai fini della decisione (Cass. n. 7364/2012).
Il giudice di merito può infatti tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica
acquisita:
in un diverso processo civile (ad esempio, che sia estinto), anche se esso è stato dichiarato nullo per vizio di
costituzione del giudice: ciò che rileva è che l’accertamento peritale sia stato ritualmente acquisito nel
successivo giudizio e che su di esso vi sia stato il contraddittorio tra le parti (Cass. 11140/2009);
anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti se la relativa documentazione sia stata ritualmente
acquisita al processo civile (nella specie il giudice del lavoro ha tenuto in considerazione le risultanze di una
consulenza contabile ordinata in sede penale avente ad oggetto li comportamento illecito del dipendente di
una banca citata in giudizio da un creditore del dipendente) (Cass. 28855/2008).
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RICAPITOLANDO:
Il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del
CTU ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a
riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella
relazione (Cass. 22657/2011).
Al contrario, il giudice non può esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla
consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass.
26594/2006; Cass. 3492/2002).
Risulta d’altro canto controverso se si possa impugnare o meno una sentenza perché sia carente di motivazione
relativamente alla mancata analisi e presa in considerazione da parte del giudice delle opposte osservazioni
formulate dei consulente tecnico di parte (Cass. 6165/2001; Cass. 5687/2001).
La CTU svoltasi prima della chiamata in causa di una delle parti processuali deve ritenersi inutilizzabile nel rapporto
processuale con questa parte; a quest’ultima non si può imporre di accettare il processo nello stato in cui trova: la
consulenza è, da questo punto di vista, priva di qualsiasi effetto probatorio, anche solo indiziario (Cass. 14487/2008).
Se nel corso del giudizio vengono espletate più consulenze tecniche in tempi diversi e con risultati difformi, il giudice
può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, ma deve fornire adeguata e specifica motivazione del
suo convincimento: in particolare, quando intende uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad aderire
ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo
consulente (Cass. 26036/2009).
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7. LE PERIZIE DI PARTE E LE PERIZIE STRAGIUDIZIALI (CENNI)
Le perizie stragiudiziali nascono da indagini tecniche svolte da esperti al di fuori del giudizio.
Le parti interessate incaricano uno o più consulenti di verificare o accertare lo stato di determinati luoghi o le
condizioni o la qualità in cui si trovano determinate cose.
Per attribuire un maggior valore ed attendibilità, la perizia, redatta per iscritto, può essere asseverata dai tecnici che
l’hanno redatta. L’asseverazione è una procedura che si realizza, sostanzialmente, tramite un giuramento che viene
prestato in tribunale, generalmente innanzi ad un cancelliere, dal tecnico che ha predisposto la perizia.
Le perizie stragiudiziali, anche se asseverate con giuramento, hanno il valore probatorio di indizio; se prodotte in
giudizio, il loro apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice che, però, non è obbligato a
tenerne conto (Cass. 9551/2009; Cass. 4437/1997; Trib. Milano 5 febbraio 2008).
La perizia giurata depositata da una parte dunque “non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che
il consulente asserisce di aver accertato. Non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio
di un siffatto mezzo di prova, ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente
da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è
obbligato in nessun caso a tenere conto. Alla parte che ha prodotto la perizia giurata, è peraltro riconosciuta la
facoltà di dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, che, se
confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova, sulla quale allora il
giudice di merito dovrà, esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione ai fui della decisione”
(Cass. 4437/1997).
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Per orientamento consolidato le perizie di parte costituiscono dunque semplici allegazioni difensive di carattere
tecnico, senza una autonoma efficacia probatoria (Cass. 1049/1975). Esse integrano “semplici mezzi di difesa come le
deduzioni e argomentazioni dell’avvocato, soggette al libero apprezzamento del giudice” (Corte cost. 124/1995).
D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità è dell’avviso che il giudice del merito possa fondare in propria decisione
anche su una consulenza tecnica stragiudiziale, a condizione però che fornisca adeguata motivazione di tale sua
valutazione (Cass. 2574/1992).
Non è ammissibile, di conseguenza, un’accettazione acritica di una perizia stragiudiziale, anche se si ribadisce che,
alla stregua del principio del libero convincimento del giudice vigente nel nostro ordinamento, è stato ritenuto
corretto porre a base della decisione una consulenza stragiudiziale di parte (v. tra le altre, Cass. 1325/1984; Casa,
3882/1981; Cass. 5286/1980).
Per converso, il giudice di merito non è tenuto nemmeno a motivare specificamente il proprio dissenso rispetto alla
perizia giurata, qualora ponga considerazioni con questa incompatibili a base del proprio convincimento (Cass.
1902/2002).
81
Ciò che - in ogni caso - conta è dunque che il giudice del merito spieghi adeguatamente le ragioni che lo hanno
condotto alla decisione. Da questo punto di vista, ai fini di una esauriente motivazione, egli può anche limitarsi far
proprie le conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. 2574/1992) senza doversi soffermare sui rilievi dei CTP se “nella
relazione [il CTU] abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte” (Cass. 8355/2007).
In questo caso, le contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia, anche se non espressamente confutate, restano
implicitamente disattese se incompatibili con le argomentazioni accolte.
Si conferma dunque sia che le critiche di parte che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal
consulente tecnico siano considerate mere allegazioni difensive, sia che il fatto che se le critiche di parte vengono
disattese, ciò non possa configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c.
Alla base di quanto sopra c’è l’idea che le conclusioni e valutazioni del consulente d’ufficio godano, dunque, di un
maggior rilievo rispetto a quelle dei consulenti di parte, in quanto il CTU è un ausiliare diretto del giudice. Ha in
proposito osservato la Cassazione che il giudice non è tenuto un riesame critico dell’elaborato peritale al quale presti
la propria adesione “per la garanzia che questa offre in ragione della sua provenienza da un ausiliario del giudice e
del suo espletamento sul contraddittorio tra le parti” (Cass. 1416/1987).
82
Se tutto questo è vero, è altrettanto innegabile che la consulenza di parte non può essere ridotta sempre e
comunque ad un mero atto difensivo, soprattutto quando (come in verità accade nella massima parte dei casi) sia
caratterizzata da contenuti squisitamente tecnici. Tali contenuti non sempre possono essere disattesi sic et
simpliciter dal giudice in favore della relazione del consulente d’ufficio, soprattutto “quando i rilievi contenuti nella
consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella
consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio
di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” (Cass. 245/1993),
Qualunque sia l’angolo di osservazione, la soluzione del problema ha dunque a che fare con l’obbligo di motivazione
del giudice.
Pertanto, nel caso in cui “si renda necessario confutare specifici e pertinenti argomenti in contrario enunciati dalla
difese tecniche delle parti, deve invece essere dato conto dell’iter logico seguito per la formazione di un determinato
convincimento sulla base di relazioni tecniche extragiudiziali di parte, soprattutto quando queste siano state oggetto
di critiche specifiche per le contrapposte difese” (Cass. 1416/1987). Tale orientamento è confermato anche da altra
decisione, secondo la quale, “è affetta vizio di motivazione la sentenza di merito che, di fronte a circostanziate
critiche mosse dal perito di parte alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non le abbia in alcun modo prese in
considerazione e si sia invece limitata a far proprie le argomentazioni svolte dall’ausiliario del giudice” (Cass.
4797/2007).
83
NOMINA DEI CTP
Nell’ambito della consulenza tecnica d’ufficio le parti possono, appunto, nominare dei CTP (art. 201 c.p.c.). Nel
trattare dell’attività e dei poteri dei difensori delle parti, l’art. 87 c.p.c. stabilisce infatti che le parti possano farsi
assistere da uno o più avvocati, ma anche da un consulente tecnico.
Una volta effettuata la nomina del CTP, non è possibile delegare ad altri professionisti l’incarico ricevuto, a meno
che, per motivi oggettivamente giustificabili, il CTP si trovi sull’impossibilità di espletare il mandato. In tal caso, può
essere richiesta la sostituzione dello stesso, con istanza al Giudice.
Il CTP
• non è tenuto a prestare giuramento
• non è ricusabile
• è però soggetto alle disposizioni del codice penale relative ai patrocinatori consulenti infedeli.
In particolare, secondo l’art. 380 c.p. (patrocinio infedele), il CTP che sia infedele ai propri doveri professionali e arrechi perciò nocumento agli
intereressi della Parte da lui assistita, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa non inferiore a 516,00 euro. La pena può essere
aumentata se il CTP ha commesso il fatto colludendo con la Parte avversaria o se il fatto è commesso a danno di un imputato. In tal caso, il CTP
può essere punito anche con l’interdizione dai pubblici uffici o dalla professione.
A sensi dell’art. 381 c.p. (altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico), se il CTP presta contemporaneamente la sua consulenza a
favore parti contrarie, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa non inferiore a 103,00 euro. Qualora invece il CTP, dopo aver
assistito una Parte, in un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, assume, senza il consenso di questa, la consulenza della Parte avversaria, è
punito con la reclusione fino a 1 anno e con la multa da 51,00 a 516,00 euro. Anche in tal caso, come sopra, un’eventuale condanna comporta per
il Consulente di Parte l’interdizione dai pubblici uffici e dalla professione.
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Correlata alla ricordata norma generale contenuta all’art. 87 c.p.c., è appunto l’art.201 c.p.c., secondo cui, con
l’ordinanza di nomina del consulente tecnico, il giudice assegna alle parti un termine entro il quale nominare i propri
consulenti di parte.
I CTP hanno facoltà
• di assistere alle indagini del consulente di ufficio
• di partecipare alle udienze in camera di consiglio ogni qual volta vi interviene il consulente del giudice, per
chiarire e svolgere le proprie osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.
Sostanzialmente, il consulente di parte svolge un ruolo assimilabile a quello del difensore: ha cioè la funzione di
assistere la parte fornendo le proprie cognizioni tecniche su fatti, per l’accertamento o la valutazione dei quali, il
giudice ha nominato un consulente d’ufficio. Si può quindi definire un difensore tecnico.
Nel corso delle indagini, le parti, i loro difensori ed i consulenti (art. 194, 2° co., c.p.c.) possono intervenire alle
operazioni e presentare osservazioni ed istanze verbali o scritte.
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Nominare o meno un proprio consulente rientra in ogni caso nella facoltà delle parti.
Occorre tuttavia precisare che nel caso di nomina di CTU, le parti possono nominare un CTP (uno solo per parte,
secondo Trib. Verbania 17/12/2010) mentre, ove non ci sia incarico per lo svolgimento di una CTU, le parti NON
possono nominare CTP.
La Corte Cost. n.124/1995 ha, a questo proposito, dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale
posta sul contenuto dell’articolo 201 c.p.c. nella parte in cui, allorché NON SIA disposta la consulenza d’ufficio,
non è consentito alle parti di nominare un proprio consulente.
Questa la ratio della decisione della Corte costituzionale:
“Le consulenze di parte, pur inerendo all’istruzione probatoria, non costituiscono mezzi di prova ma semplici
allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo valore probatorio, sicché, coerentemente, la norma
impugnata autorizza la nomina dei consulenti tecnici di parte tolti nel caso di nomina del consulente tecnico d’ufficio,
le cui funzioni parimenti sono preordinate, non ad accertare fatti rilevanti ai fini della decisione, bensì ad acquisire
elementi di valutazione ovvero a ricostruite circostanze attraverso una specifica preparazione, a scopo di controllo
sugli elementi di prova forniti dalle parti e in funzione ausiliaria del giudice” (Corte Cost. n.124/1995).
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Da un punto di vista operativo, come già segnalato, per la nomina del CTP si segnala che le parti NON SONO TENUTE
a scegliere un professionista iscritto all’albo di cui all’art. 13 ss. disp. att. c.p.c., in ragione del piano disposto letterale
della norma.
Il termine concesso dal Giudice per la nomina dei CTP è certamente ordinatorio; ma altrettanto certamente, come
per ogni altro termine ordinatorio, il suo mancato rispetto senza che sia chiesta la proroga prima della scadenza ex
art. 154 c.p.c., ha gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio ed impedisce la concessione di un
nuovo termine.
Come già detto in precedenza, le eventuali ammissioni del CTP, in sede di chiarimenti ex art. 194 c.p.c., non hanno
valore confessorio, ma possono incidere solamente sull’onere di motivazione da parte del giudice.
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8. LE ALTRE SEDI IN CUI PUÒ ESSERE SVOLTA UNA CTU
(UNA BREVISSIMA PANORAMICA).
ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO (ATP)
Se una parte ha urgenza di ottenere con rapidità la verifica delle condizioni in cui si trova un luogo o una cosa,
temendo che questi mutino nell’attesa dei tempi necessari per l’espletamento di una CTU nel corso di un giudizio
ordinario, può ricorrere all’accertamento tecnico preventivo (ATP).
La caratteristica principale di questo procedimento cautelare di assunzione preventiva della prova è la provvisoria
indipendenza dal giudizio di ammissibilità e di rilevanza della prova, che sarà, invece, oggetto di valutazione
nell’autonomo e successivo giudizio di merito,
L’ATP può avere ad oggetto:
- la verifica sullo stato dei luoghi (art. 696, 1° co., c.p.c.);
- la verifica sulla qualità o condizione di cose (art. 696, 1° co., c.p.c.);
- la valutazione sulle cause e i danni relativi all’oggetto della verifica (art. 696, 2° co., c.p.c.).
Ad esempio, se una parte ha la necessità di effettuare dei lavori di riparazione su un edificio che, avendo subito dei
danni, è in pericolo di crollo, non potendo certo attendere l’instaurazione di una causa ordinaria per la verifica dello
stato dei luoghi, può ricorrere all’ATP come mezzo di istruzione preventiva.
L’ATP può essere richiesto sia prima della causa di merito, sia nel corso di una causa già instaurata.
La differenze sta nelle sfumature dell’urgenza nell’attività di verifica, urgenza che tuttavia deve sussistere in ogni
caso.
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Modalità e svolgimento di un ATP
Prima della causa l’ATP si instaura con un’istanza da presentare innanzi al giudice che sarebbe competente a
conoscere la causa di merito cioè tribunale in composizione monocratica o giudice di pace (art. 693, 1° co., c.p.c.).
L’istanza deve avere la forma del ricorso, deve contenere l’indicazione dei motivi d’urgenza che giustificano la
richiesta di assunzione preventiva della consulenza, nonché l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle
quali la prova è preordinata ( 693, 3° co., c.p.c.) ed anche la domanda di merito cui l’atto è finalizzato, pena
l’inammissibilità (Trib. Milano 26/2/2003),
Il presidente del tribunale o il giudice di pace, accertata e rilevata l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso, fissa con
decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando alla parte istante un termine perentorio entro il quale
notificare il ricorso ed il pedissequo decreto alla controparte (art. 694 c.p.c.).
All’esito di una cognizione sommaria, assunte se necessario sommarie informazioni, il presidente del tribunale o il
giudice di pace provvede sull’istanza con ordinanza (reclamabile: Corte cost. 144/2008):
— se ritiene che non vi siano i presupposti per l’emanazione della misura cautelare, rigetta la domanda;
— se accoglie la domanda, ammette l’istruzione preventiva, designa il giudice che deve provvedervi (art. 695
c.p.c.), nomina un consulente tecnico e fissa la data di inizio delle operazioni peritali (art. 696, 3° co., c.p.c.).
Dette operazioni devono avere come unico oggetto la verifica della situazione di fatto esistente in quel momento; il
giudice può anche domandare al consulente indagini concernenti le cause e l’entità del danno lamentato (Cass.
29563/2009).
Lo svolgimento delle operazioni peritali è analogo a quello della CTU.
89
Come detto, l’ATP può essere chiesta anche in corso di causa (art. 699 c.p.c.). Questo avviene quando, già instaurato
il giudizio di merito, ma prima che si giunga alla fase processuale dell’istruzione probatoria, una delle parti, per
ragioni di particolare urgenza, ritenga necessaria l’assunzione preventiva di una prova che con alta probabilità non
sarebbe più disponibile al momento dell’istruzione ordinaria.
In tal caso la parte interessata propone apposita istanza; il giudice, dopo aver sentito le parti, provvede con
ordinanza. Il procedimento segue le medesime regole di quello instaurato prima della causa
L’istanza di istruzione preventiva può essere proposta anche durante l’interruzione o sospensione del giudizio.
EFFICACIA DELL’ATP
Nel successivo giudizio di merito, la parte che ne ha interesse può, quindi, decidere di produrre, come mezzo di
prova, le indagini svolte tramite l’ATP.
Questa, come tutte le altre prove, è sottoposta alla valutazione del giudice di merito e viene acquisita nel giudizio
soltanto se ritenuta ammissibile (presupposto dell’urgenza) e rilevante (art. 698 c.p.c.).
Gli eventi descritti in sede di ATP (stato dei luoghi, la qualità e le condizioni delle cose) possono essere considerati
dal giudice come fonte di prova delle loro cause, se consentono logicamente di risalire alla conoscenza delle stesse,
ma anche come base dell’indagine da affidare ad un ulteriore CTU nel corso del processo (Cass. 8600/2001).
L’acquisizione della relazione ATP agli atti non necessita di un provvedimento formale. È sufficiente la sua materiale
apprensione nel fascicolo d’ufficio dell’ATP e che il giudice l’abbia poi esaminata traendone elementi per il proprio
convincimento (Cass. 2369/2009; Cass. 17990/2004; Cass. 4139/2001). Il giudice, quindi, valuta la relazione dell’ATP
liberamente, potendo anche ritenerla irrilevante e/o non considerarla ai fini della decisione.
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CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA
Questa forma di consulenza tecnica può essere disposta prima dell’inizio della causa di merito, anche in assenza di
una situazione di pericolo ed è finalizzata a far arrivare le parti ad una composizione amichevole delle liti prima
dell’apertura del giudizio di merito.
Si può ricorrere a questo strumento solo se l’oggetto della consulenza è un accertamento o determinazione di
crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatti illeciti (art. 696bis, 1°
co., prima parte, c.p.c.).
Il giudice, a seguito dell’istanza di parte, fissa l’udienza di comparizione ed il termine per la notifica alla controparte;
nomina il consulente e stabilisce il giorno di inizio delle operazioni (art. 696bis, 1° co., seconda parte, c.p.c.).
Anche in questo caso, lo svolgimento delle operazioni peritali è analogo a quello della CTU.
Il provvedimento di ammissione della consulenza tecnica preventiva non ha natura decisoria e definitiva della
controversia, ma ha carattere provvisorio e strumentale (Cass. 14301/2007).
Anche in questo tipo di consulenza i quesiti sottoposti devono avere natura tecnica e non giuridica (Trib. Bari
18/6/2011).
Prima di depositare la relazione, il consulente tenta la conciliazione tra le parti (art. 696bis, 1° co., terza parte, c.p.c.).
91
Il tentativo di questa conciliazione prima del giudizio ha lo scopo di provare a dissuadere le parti in conflitto
dall’instaurare la causa di merito. Sulla base delle risultanze prospettate loro dal consulente, le parti possono infatti
avere una conoscenza anticipata sul possibile esito della futura causa acquisendo così maggiori elementi per
decidere (in particolare la parte cui è stato prospettato un esito sfavorevole) di comporre amichevolmente la lite.
Se la conciliazione riesce, viene redatto processo verbale dotato di efficacia di titolo esecutivo, sia ai fini
dell’espropriazione, sia per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziaria (art. 696bis, 2° co., e 3° co., c.p.c.).
Il processo verbale è esente dall’imposta di registro (art. 696bis, 4° co., c.p.c.).
Se invece la conciliazione fallisce, il consulente provvede a depositare la relazione tecnica in cancelleria che viene
acquisita agli atti per il successivo giudizio di merito (art. 696bis, 5° co., c.p.c.).
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LA CTU IN SEDE ARBITRALE
L’arbitrato è un istituto regolato nel codice di rito (cd. arbitrato “rituale”).
Le parti, in materie in cui hanno la disponibilità dei diritti, rimettono la decisione ad uno o più arbitri (purché in
numero dispari) scelti di comune accordo.
L’arbitrato può essere anche “irrituale”. In particolare, si dirà irrituale quell’arbitrato in cui le parti stabiliscano, con
una convenzione, di seguire delle particolari regole procedimentali difformi da quelle previste nel codice di rito per
l’arbitrato rituale.
È pacifico che nel corso del procedimento arbitrale possa essere disposta CTU.
Non prevedendosi norme specifiche con riferimento alla CTU, nel Titolo del codice che disciplina l’arbitrato, devono
ritenersi applicabili le norme già analizzate.
Va tuttavia specificato che le parti potrebbero convenire di regolare anche l’aspetto della CTU nel modo che loro
ritengono più opportuno, purché nel rispetto del principio del contraddittorio.
93
“MEDIACONCILIAZIONE” E PERIZIA
L’art. 8, 4° co., del D.Lgs. 28/2010, recante la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali (in gergo detta anche “mediaconciliazione”) stabilisce:
“Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti
negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le
modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti”.
È noto che nel corso del procedimento di mediazione vi siano questioni di riservatezza fra le parti, imposti anche
all’organismo di mediazione.
Art. 9
Dovere di riservatezza
1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque Nell’ambito del
procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle
informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso
della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza
nei confronti delle altre parti.
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Art. 10
Inutilizzabilità e segreto professionale
1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere
utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo
l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.
Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere
deferito giuramento decisorio.
2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni
acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al
mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie
previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.
Orbene, queste difficoltà hanno indotto parte della dottrina ad escludere l’utilizzabilità della perizia che sia stata
fatta svolgere nel corso del procedimento di mediazione.
Recentemente la giurisprudenza di merito (Trib. di Roma 17/3/2014) si è tuttavia espressa in tema di efficacia delle
risultanze della perizia svolta nel corso del procedimento di mediazione, distinguendone l’efficacia rispetto alle
risultanze della CTU.
Anzitutto si precisa che le risultanze della relazione peritale svolta in sede di mediazione sono liberamente e
validamente contestabili dalle parti, ad ogni livello (mediazione e processo).
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Poi si osserva:
“Invero, se come ritenuto, le risultanze della perizia in mediazione sono, in linea di principio, in sede giudiziale
ammissibili ed utilizzabili, è ben diverso il valore e l’efficacia delle stesse rispetto a quelle della consulenza
tecnica di ufficio”.
E ciò in quanto la consulenza in mediazione non fa “parte degli strumenti apprestati dal codice di rito per
l’acquisizione, formazione e valutazione della prova, perché non disposta, controllata e diretta dal giudice, e
perché l’esperto in mediazione non è un ausiliario del giudice (per tutti gli effetti connessi e) con la conseguenza
che anche le sue possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti e ostacoli nei rapporti
esterni” (Trib. di Roma, 17/3/2014).
Tuttavia, rileva ancora il tribunale di Roma,
“il nostro ordinamento conosce ed autorizza le prove atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali
principi dell’ordinamento stesso (e fra questi principalmente quello del contraddittorio).
Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le
circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti.
Meno frequentemente per fondarvi la sentenza, più spesso per trarne argomenti ed elementi utili di formazione
del suo giudizio.
Ovvero, aspetto niente affatto secondario, per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale
(più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’art. 185bis c.p.c.” (Trib. di Roma, 17/3/2014).
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Per la migliore comprensione, resta qui da chiarire quale sia il contenuto dell’art. 185bis c.p.c., che è stato introdotto
nel 2013 (art. 77, 1° co. lett. a), D.L. 69/2013, conv. In L. 98/2013) e stabilisce che il giudice di merito possa formulare
una Proposta di conciliazione (questa è anche la Rubrica dell’articolo):
“Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove
possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di
questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di
conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”.
Nella sostanza, si ipotizza che il giudice possa formulare la propria proposta di conciliazione basandosi sulle
risultanze della perizia svolta nel procedimento di mediazione.
97
LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
La giurisdizione amministrativa può essere:
A) GIURISDIZIONE DI LEGITTIMITÀ: si impugna il provvedimento amministrativo affetto da uno dei tre tipi di vizi di
legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere).
Il Giudice Amministrativo (G.A.) può solo annullare l’atto illegittimo ma non può riformare, né sostituire l’atto
annullato.
B) GIURISDIZIONE DI MERITO: viene censurato l’atto anche sotto il profilo della convenienza e dell’opportunità.
Il G.A. può annullare l’atto anche per vizi di merito amministrativo, oltre che per motivi di illegittimità,
riformando il provvedimento in tutto o in parte ed anche sostituendolo. È una giurisdizione di tipo eccezionale.
L’ipotesi più importante di giurisdizione di merito è sicuramente rappresentata dal giudizio di ottemperanza,
che è quel giudizio instaurato con ricorso al giudice amministrativo affinché la pubblica amministrazione si
uniformi ad una precedente decisione del giudice ordinario o del giudice amministrativo.
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Altre ipotesi di giurisdizione di merito (in cui potrebbero essere chiamati ad operare i consulenti tecnici sono):
a) ricorsi per contestazioni sui confini di Comuni e di Province;
b) ricorsi in materia di consorzi per opere idrauliche per le quali provvede lo Stato in concorso con le province e
con gli enti interessati o alle quali concorre lo Stato;
c) ricorsi per la classificazione delle strade provinciali e comunali;
d) ricorsi contro provvedimenti della P.A. in merito ad opere di privato interesse;
e) ricorsi contro provvedimenti del Prefetto e contro le deliberazioni in materia di apertura, ricostruzione o
manutenzione delle strade comunali e provinciali;
f) ricorsi in materia di consorzi per Province, Comuni, enti morali o privati, per opere stradali a carattere
ultraprovinciale;
g) ricorsi in materia di consorzi per opere idrauliche poste dalla legge a carico dei proprietari frontisti.
(per elenco completo v. art. 134 del Cpa)
C) GIURISDIZIONE ESCLUSIVA: è possibile far valere la lesione di diritti soggettivi.
La fondamentale ragione per la quale il Legislatore ha previsto la giurisdizione esclusiva nasce dal fatto che, in
taluni rapporti, i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono così indissolubilmente intrecciati che sarebbe
ardua la loro suddivisione ai fini della giurisdizione.
Anche questa giurisdizione è eccezionale e le ipotesi sono tassative.
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Tra le ipotesi più rilevanti più rilevanti in cui possono essere chiamati ad operare i CTU ricordiamo:
1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo;
2) ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici;
3) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento
amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni;
4) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia
urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del
Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice
ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza
dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;
5) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche
mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione
per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la
determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa
o ablativa.
(Per l’elenco completo delle ipotesi di Giurisdizione esclusiva si v. art. 133 C.p.a.)
100
Fra gli strumenti utilizzati dal giudice amministrativo per accertamenti tecnici c’è anche la consulenza tecnica
d’ufficio.
Infatti l’art. 63 del nuovo codice del processo amministrativo (contenuto nel DLgs 104/2010) statuisce che
“qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari
competenze tecniche, il giudice può ordinare l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre
una consulenza tecnica”.
Volendo semplificare al massimo la trattazione, possiamo dire che la consulenza tecnica nel processo amministrativo
si presenta assimilabile a quella disciplinata dal codice di procedura civile, ma con gli adattamenti del caso.
Ciò vale sia per il giudizio di legittimità, sia per la giurisdizione esclusiva.
Molteplici sono gli accertamenti tecnici indispensabili perché il giudice amministrativo si possa esprimere in modo
corretto.
Facciamo degli esempi:
• esame delle caratteristiche idrogeologiche del suolo ai fini della costruzione di determinati fabbricati ed
opere pubbliche;
• verifica di impianti ed installazioni pericolosi o nocivi;
• analisi in tema di inquinamento acustico o elettromagnetico ed in genere verifiche ambientali;
• esame progetti nelle gare per l’aggiudicazione di lavori con il sistema dell’appalto-concorso ecc..
101
Il nuovo codice del processo amministrativo disciplina la CONSULENZA TECNICA all’art. 67 C.p.a.
“1. Con l'ordinanza con cui dispone la consulenza tecnica d'ufficio, il collegio nomina il consulente, formula i quesiti e fissa il termine entro cui il
consulente incaricato deve comparire dinanzi al magistrato a tal fine delegato per assumere l'incarico e prestare giuramento ai sensi del comma 4.
L'ordinanza è comunicata al consulente tecnico a cura della segreteria.
2. Le eventuali istanze di astensione e ricusazione del consulente sono proposte, a pena di decadenza, entro il termine di cui al comma 1.
3. Il collegio, con la stessa ordinanza di cui al comma 1, assegna termini successivi, prorogabili ai sensi dell'articolo 154 del codice di procedura
civile, per:
a) la corresponsione al consulente tecnico di un anticipo sul suo compenso;
b) l'eventuale nomina, con dichiarazione ricevuta dal segretario, di consulenti tecnici delle parti, i quali, oltre a poter assistere alle operazioni del
consulente del giudice e a interloquire con questo, possono partecipare all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che è presente il consulente
del giudice per chiarire e svolgere, con l'autorizzazione del presidente, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche;
c) la trasmissione, ad opera del consulente tecnico d'ufficio, di uno schema della propria relazione alle parti ovvero, se nominati, ai loro consulenti
tecnici;
d) la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;
e) il deposito in segreteria della relazione finale, in cui il consulente tecnico d'ufficio dà altresì conto delle osservazioni e delle conclusioni dei
consulenti di parte e prende specificamente posizione su di esse.
4. Il giuramento del consulente è reso davanti al magistrato a tal fine delegato, secondo le modalità stabilite dall'articolo 193 del codice di
procedura civile.
5. Il compenso complessivamente spettante al consulente d'ufficio è liquidato, al termine delle operazioni, ai sensi dell'articolo 66, comma 4, primo
e terzo periodo.
102
Ricordiamo che anche in sede di giudizio amministrativo, a seconda che il giudice affidi al consulente tecnico solo
l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti, ovvero anche quello di accertare i fatti stessi, si
distinguerà tra consulente deducente e consulente percipiente.
Nel primo caso (consulenza deducente ) la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha
per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso
(consulenza percipiente) la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova.
Naturalmente ciò non significa che le parti possano sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei fatti
posti a fondamento della propria pretesa all’attività del consulente.
È necessario, invece, che
1) la parte deduca quanto meno il fatto che pone a fondamento della propria pretesa;
2) il giudice ritenga che il fatto sia tale da poter essere ricostruito dal consulente;
3) l’accertamento richieda cognizioni tecniche che il giudice non possiede oppure che vi siano altri motivi che
impediscono o sconsigliano al giudice di procedere personalmente.
Anche con i nuovi artt. 63, 66 e 67 del codice del processo amministrativo è ipotizzabile che si possa continuare ad
utilizzare la tradizionale “verificazione” (cfr. art. 66 C.p.a., procedimento che avviene nel contraddittorio tra le parti
ed è devoluto ad un’amministrazione terza) nelle ipotesi di accertamenti di fatto di relativa semplicità e che si utilizzi
invece la CTU per gli accertamenti di fatto più complessi e controversi, nonché per l’acquisizione di valutazioni e
giudizi tecnici.
103
La possibilità di devolvere al CTU l’effettuazione di valutazioni tecniche in ordine al materiale probatorio
eventualmente acquisito (consulente deducente) ha indotto i commentatori a porre in relazione l’ammissibilità di
tale nuovo mezzo istruttorio anche con la ritenuta sindacabilità della discrezionalità tecnica, in vista della quale
risulta particolarmente preziosa, se non indispensabile, la collaborazione del CTU (così recentemente il Consiglio di
Stato).
DISCREZIONALITÀ TECNICA
Brevemente, sul concetto di discrezionalità tecnica.
La discrezionalità tecnica ricorre quando l’esame di fatti o di situazioni rilevanti per l’esercizio del potere pubblico
necessiti del ricorso a cognizioni tecniche o scientifiche di carattere specialistico (ad esempio, per la verifica di
sussistenza dei prerequisiti di carattere tecnico che siano richiesti dalla legge).
Nell’esercizio della discrezionalità tecnica, quindi, l’Amministrazione compie una valutazione di fatti alla stregua di
canoni scientifici e tecnici.
104
APPLICAZIONI PRATICHE
In materia di edilizia, la consulenza tecnica d’ufficio viene utilizzata spesso al fine di consentire al giudice di
conoscere lo stato dei luoghi e di verificare se una o più norme tecniche contenute nei regolamenti edilizi, nelle
norme tecniche di attuazione degli strumenti pianificatori o nelle leggi nazionali (o regionali) siano state applicate
correttamente.
Inoltre si ricorre alla consulenza tecnica per calcolare l’ammontare dell’eventuale risarcimento dei danni connessi
alla illegittimità degli atti autorizzatori o dei comportamenti adottati dalla P.A.
Numerose sono, in particolare, le ipotesi di giudizi per risarcimento danni da occupazione divenuta illegittima, in cui
il consulente tecnico è stato nominato per accertare l’estensione della superficie occupata, l’irreversibile
trasformazione del fondo, l’esistenza di aree residue occupate e non utilizzate, ecc.
Tuttavia è da tener presente che, in ripetute occasioni il giudice amministrativo, ha ritenuto di non ammettere la
consulenza tecnica richiesta dai ricorrenti e ha respinto la domanda di risarcimento danni in quanto non provata.
105
LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE
Sinteticissimamente:
Le fattispecie più ricorrenti di ricorso alla consulenza tecnica in sede ambito penale, non assimilabili fra loro ma
differenti nel loro sviluppo e nei loro effetti processuali, sono:
• la consulenza tecnica del Pubblico Ministero nell’indagine preliminare (ai sensi dell’art 359 c.p.p., si prevede
che il Pubblico Ministero, qualora vi sia la necessità di svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che
richiedono specifiche competenze tecniche, possa nominare un Consulente Tecnico che potrà essere
autorizzato ad assistere a singoli atti indagine).
• la consulenza tecnica nell’udienza preliminare (il Giudice, qualora ritenga necessario acquisire nuovi dati e
informazioni ai fini della decisione, può disporre l’ammissione di una consulenza tecnica; il contributo del
Consulente Tecnico si concretizza, in tal caso, in una esposizione orale davanti al Giudice).
• la consulenza tecnica “endoperitale” (Quando è stata disposta perizia, ciascuna Parte può nominare propri
consulenti, in numero non superiore, per ciascuna delle parti, a quello dei periti).
• la consulenza tecnica “extraperitale” (In questo caso, il Consulente Tecnico è quello nominato fuori dei casi di
perizia e la consulenza è detta, appunto, extraperitale), l’art. 233, c. 1, c.p.p., stabilisce che quando non è stata
disposta perizia, ciascuna Parte possa nominare, in numero non superiore a due, i propri Consulenti Tecnici.
Questi possono esporre al Giudice il proprio parere anche attraverso memorie, a norma dell’art. 121 c.p.p.
106
Anzitutto, bisogna distinguere, dal punto di vista tecnico, i termini “perizia” e “consulenza”.
Entrambi si riferiscono al medesimo “mezzo di prova”, consistente in indagini, accertamenti e valutazioni di
natura tecnica, che, discrezionalmente, il Giudice, il Pubblico Ministero e le altre parti del processo penale
possono disporre, allorquando ciò appaia loro necessario, in ambiti nei quali – come si legge nell’art. 220 c.p.p.
– siano richieste specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
Nel linguaggio specialistico del processo penale tuttavia il PERITO è nominato dal Giudice (e, dunque, tale
nomina si collocherà, sovente, nella fase del giudizio, che è successiva a quella delle indagini preliminari),
mentre il CONSULENTE è nominato dalle parti del processo penale, che sono Pubblico Ministero, imputato o
persona offesa dal reato (parte civile, successivamente all’esercizio dell’azione penale).
Per quanto concerne i consulenti nominati dal Pubblico Ministero occorre poi distinguere:
• la nomina non comunicata alle Parti e operata ai sensi dell’art. 359, c.p.p., per il compimento di attività
coperte da segreto istruttorio, delle quali è però possibile una ripetibiità durante il dibattimento;
• la nomina ai sensi dell’art. 360 c.p.p., che riguarda, invece, accertamenti cosiddetti “irripetibili”, per la quale è
invece prevista la comunicazione alle Parti che, a loro volta, hanno la facoltà di nominare i propri Consulenti
Tecnici.
107
SEDI DI SVOLGIMENTO
La perizia si svolge
A) avanti al Giudice per le indagini preliminari
B) durante l’udienza preliminare
C) nel dibattimento ai sensi dell’arti 508 c.p.p.
D) nel procedimento di esecuzione e di sorveglianza ai sensi, rispettivamente, dell’art. 666, 5° co., e dell’art. 678
c.p.p.
Non di rado, tuttavia, si verifica che, pur essendo ancora in corso le indagini preliminari, si renda necessario
ricorrere alla perizia.
Ciò avviene nelle forme
E) dell’incidente probatorio (disciplinato dagli artt. 392 e seguenti c.p.p.), con nomina, per l’appunto, di un
perito, da parte del Giudice per le indagini preliminari.
Si tratta di una sorta di eccezionale anticipazione dell’istruttoria processuale, non essendosi ancora concluse le
indagini dirette dal Pubblico Ministero.
Ai sensi dell’art. 220, 2° co., c.p.p., non è ammessa una perizia per stabilire l’abitualità o la professionalità nel
reato, la tendenza a delinquere il carattere e la personalità dell’imputato e le qualità psichiche indipendenti da
fattori patologici.
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SCOPO DELLA PERIZIA IN SEDE PENALE
Lo scopo in sede penale, così come nel processo civile, è quello di fornire al Giudice tutte le conoscenze
specialistiche che lo stesso non possiede per la risoluzione delle questioni sorte nel procedimento, non
altrimenti superabili.
L’art. 220, 1° co, c.p.p., prevede che la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini acquisire dati o
valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
L’incarico viene affidato a un Perito esperto nella materia oggetto d’indagine, con il compito di svolgere indagini
per conto dell’autorità o con il compito di acquisire dati o di valutare tutti gli elementi già a disposizione, di
analizzare i risultati della preventiva indagine acquisizione.
NUMERO DI PERITI
Quanto al numero dei periti che il Giudice può nominare, l’art. 221 c.p.p. non prevede un limite (possono darsi
dunque collegi peritali).
Un limite numerico, invece, è imposto alle parti del processo penale dagli artt. 225 e 233 c.p.p. (sopra citato).
La prima norma presuppone che vi sia stata la nomina di uno o più periti da parte del Giudice; in tal caso, il
Pubblico Ministero e le parti private potranno nominare propri consulenti, in numero non superiore a quello dei
periti.
L’art. 233 c.p.p., invece, per l’ipotesi in cui il Giudice NON abbia disposto alcuna perizia, impone al Pubblico
Ministero ed alle altre parti di non nominare più di due consulenti tecnici; tuttavia, entrambe le norme
richiamate sembrano riferirsi, esclusivamente, alla fase del giudizio e non anche a quella delle indagini
preliminari.
109
Resta da aggiungere soltanto che anche in sede penale il Giudice ha il ruolo di peritus peritorum.
Egli può anche giungere a conclusione di certezza sulla base di altre prove, tali da rendere superflua la perizia,
avvalendosi magari delle proprie e personali competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
Altre fattispecie:
La nomina del CTU è obbligatoria nelle cause per sinistri marittimi, qualora la causa presenti questioni tecniche (cfr.
artt. 599 e 600 cod. nav.).
110
9. L’INTERVENTO DELL’ESPERTO NEL PROCESSO DI ESECUZIONE.
BREVI CENNI SULLE PRINCIPALI NOVITÀ INTRODOTTE DALLA L. 132/2015
Il processo di esecuzione forzata è regolato sistematicamente nel Libro III del codice di procedura civile; ma norme
significative e rilevanti si trovano anche nel codice civile (Libro IV, Titolo IV in linea di massima, ma alcune
disposizioni sono collocate anche in altri ambiti).
Cos’è l’esecuzione forzata?
È il procedimento finalizzato a REALIZZARE COATTIVAMENTE (in modo forzato, appunto) il diritto di un creditore
accertato in una sentenza o in un provvedimento giudiziale dotati di esecutività, ovvero portati da un titolo a cui la
legge riconosce il privilegio di questa qualità esecutiva (si parla in generale di “titolo esecutivo”, art. 474 c.p.c.:
leggendolo ci si avvede che l’elenco è ricco e contempla altri atti oltre alle sentenze; si pensi ai titoli di credito come
le cambiali).
Con il processo di esecuzione si attua la garanzia patrimoniale che, in via generale, la legge impone al debitore: art.
2740 c.c.: “Nell’adempimento delle obbligazioni, il debitore risponde con tutto il suo patrimonio presente e futuro”.
111
Con l’esecuzione, secondo un tradizionale insegnamento, l’ordinamento riafferma il monopolio della forza ed il
creditore troverà dunque soddisfazione, vedendosi reintegrato nel vantaggio perduto per effetto del
comportamento inadempiente del debitore.
Cosa vuol dire?
Che, nel rispetto delle forme previste dalla legge di rito,
• si potrà procedere all’espropriazione forzata dei beni di proprietà del debitore, vendendoli al fine di distribuire
il ricavato della vendita, destinandolo alla soddisfazione dei creditori (esecuzione forzata cd in forma
generica).
L’esecuzione in forma generica può riguardare
o beni mobili presso il debitore
o beni mobili presso il terzo (che a propria volta sia debitore dell’esecutato)
o beni immobili
o beni indivisi (che rimanda alle regole della divisione nel codice civile)
o contro il terzo proprietario (che è un caso particolare che, però, dal punto di vista formale rinvia alle
regole generali)
112
• in talune situazioni, si potrà procedere facendo sì che il debitore sia forzato ad adempiere, compiendo l’atto
che non ha fisiologicamente compiuto pur essendovi tenuto (esecuzione forzata in forma specifica).
L’esecuzione in forma specifica può essere poi distinta in
o Esecuzione per consegna di cose mobili o rilascio di immobili
o Esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare
Anche nell’ambito di questi procedimenti svolge un ruolo il Consulente tecnico d’ufficio.
In questo contesto, la legge tuttavia parla di “Esperto” o “Ausiliario Giudiziario” e questa è una distinzione non
soltanto nominale, perché in effetti rispetto al CTU come l’abbiamo conosciuto sono apprezzabili delle sostanziali
differenze (che man mano cercheremo di evidenziare).
Un avviso: ai nostri fini, pur restando avvertiti di tale distinzione, per semplificare l’esposizione, utilizzeremo
indifferentemente i nomi “consulente” ed “esperto”.
113
La consulenza tecnica anche in questi ambiti è uno strumento importante.
Orbene, possiamo così sintetizzare la posizione del Consulente nell’esecuzione forzata:
• nell’esecuzione in forma generica, il Consulente ricopre il ruolo di ausiliario del Giudice delle Esecuzioni (GE)
con l’incarico di procedere alla valutazione dei beni pignorati, oltre all’accertamento di elementi necessari per
la vendita (indicazione di trascrizioni, o iscrizioni pregiudizievoli, rapporti locativi ecc. L’elenco dei compiti è
stato ampliato con l’entrata in vigore della Legge 132/2015 di conversione del D.L. 83/2015).
• nell’esecuzione in forma specifica, il CTU è sempre una figura che coadiuva il Giudice e concretizza le azioni
necessarie al fine di attuare e rendere esecutiva la decisione dello stesso GE.
114
ESECUZIONI IMMOBILIARI
Anzitutto va detto che, nel contesto delle procedure esecutive immobiliari, dato che la legge utilizza in proposito il
nome “esperto” (cfr. artt. 568, 569 e 576 c.p.c., 173bis disp. att. c.p.c.) e non già di “consulente tecnico d’ufficio”, non
vi sarebbe obbligo di individuare il nominativo di tale tecnico fra quelli degli iscritti all’Albo del Tribunale (art. 22, 1°
co., disp. att. c.p.c.).
Lo stesso sembrerebbe potersi affermare nel caso di nomina dell’ausiliario del giudice nelle procedure fallimentari,
sempre in ragione del tenore letterale delle nome ove si rinviene il nomen “stimatore” (cfr. artt. 172 e 204 L.F.) e non
di “consulente tecnico d’ufficio”.
Si veda anche l’art. 107 L.F. che prevede il rinvio alle procedure previste dal codice di rito per la fase dell’esecuzione.
Segnalato preliminarmente ciò, va anche sottolineato come la materia “esecuzioni” sia in continuo fermento e
movimento.
In una decina d’anni si sono susseguite una serie di riforme che hanno modificato in modo robusto l’impianto
rispetto all’assetto originario previsto nel codice di rito e nella legge fallimentare.
Importanti novità nel processo esecutivo sono state introdotte dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, dalla Legge 28
dicembre 2005, n. 263 e da quella 24 febbraio 2006, n. 52.
Significative variazioni sono poi intervenute con la recente L. 132/2015, entrata in vigore (relativamente) da poco.
Cercheremo di illustrare tali principali novità, occupandoci della materia nella prospettiva in cui ciò possa interessare
la figura dell’Esperto.
115
Come vedremo, tutte le riforme che si sono susseguite hanno perseguito lo scopo di accelerare i tempi del processo
di esecuzione cercando di semplificare, per quel che è possibile, una materia particolarmente complessa se non
addirittura contorta. Non è questa ovviamente la sede per dare giudizi sui risultati ottenuti, né sulle modalità con cui
si è inteso (e tuttora si intende) perseguire l’obiettivo di semplificazione.
Le riforme del 2015 hanno introdotto novità sostanziali anche in merito all’attività dell’esperto, in particolar modo a
proposito di
• assunzione dell’incarico
• documentazione consegnata dai creditori
• quesiti
• operazioni
• modalità di consegna della relazione
• termini per il deposito della relazione peritale
• svolgimento di attività conseguenti alle osservazioni proposte dalle Parti.
Da ultimo, segnaliamo che da pochissimi giorni è entrata in vigore una nuova mini-riforma del processo esecutivo e
della legge fallimentare, adottata con D.L. 59/2016 (datato 3/5/2016).
116
L’Attività preliminare alla emissione dell’ordinanza di vendita ai fini della determinazione del valore del bene
(art. 568 c.p.c.)
Il decreto legge 83/2015 convertito dalla legge 132/2015 ha integralmente riscritto l’art. 568 c.p.c. recante la
identificazione dei criteri per la determinazione del valore dell’immobile dettando una disposizione che è
immediatamente applicabile anche ai procedimenti già pendenti, oltre che a quelli promossi successivamente
all’entrata in vigore del nuovo testo di legge (trattandosi di decreto legge è entrato in vigore subito, con
l’emanazione, il 27/6/2015).
Ecco il testo dell’art. 568 c.p.c. (post riforma)
1. Agli effetti dell’espropriazione il valore dell’immobile è determinato dal giudice avuto riguardo al valore di mercato sulla
base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato ai sensi dell’articolo 569, primo comma.
2. Nella determinazione del valore di mercato l’esperto procede al calcolo della superficie dell’immobile, specificando quella
commerciale, del valore per metro quadro e del valore complessivo, esponendo analiticamente gli adeguamenti e le
correzioni della stima, ivi compresa la riduzione del valore di mercato praticata per l’assenza della garanzia per vizi del bene
venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera distinta per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, lo stato d’uso e di
manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché
per le eventuali spese condominiali insolute.
117
L’art. 568 c.p.c. post riforma elimina il riferimento previgente, per la determinazione del valore del bene immobile, ai
criteri desueti del codice di rito (artt. 13 e 15 c.p.c.) che nemmeno sono più menzionati.
Sempre l’art. 568 c.p.c. impone la nomina dell’esperto. Ciò si deduce dall’abrogazione della norma nella parte in cui
prevedeva la facoltà di determinare il valore dell’immobile con criteri diversi dalla stima.
Viene espressamente valorizzato il ruolo del giudice, al quale è rimesso il potere di fissare il valore di mercato del
bene avvalendosi delle nozioni tecniche fornite dall’esperto (“Agli effetti della espropriazione il valore dell’immobile è
determinato dal giudice sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato ai sensi dell’art. 569
primo comma”).
L’art. 568 c.p.c., infine, enuncia chiaramente il principio secondo cui valore del bene non deve corrispondere
necessariamente a quello commerciale che potrebbe essere ricavato attraverso una vendita volontaria e non forzata
dello stesso cespite.
Tali conclusioni si ricavano dal fatto che, ai sensi del 2° comma:
“Nella determinazione del valore di mercato l’esperto procede al calcolo della superficie dell’immobile,
specificando quella commerciale, del valore per metro quadro e del valore complessivo, esponendo
analiticamente gli adeguamenti e le correzioni della stima, ivi compresa la riduzione del valore di mercato
praticata per l’assenza di garanzia per vizi del bene venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera distinta
per gli oneri di regolarizzazione urbanistica; lo stato d’uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli
oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché per le eventuali spese condominiali
insolute”.
118
Appare infatti di tutta evidenza che la determinazione del valore dell’immobile, oltre a doversi fondare su una stima
tecnica trasparente ed estremamente dettagliata, calcolata sulla base degli indici generalmente rilevanti nella
determinazione del valore di mercato degli immobili (superficie dell’immobile, con specificazione di quella
commerciale, valore per metro quadro, stato d’uso e di manutenzione) deve tenere conto
o delle circostanze di fatto o giuridiche che incidono sulla immediata utilizzabilità del bene (stato di possesso, i
vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo),
o delle spese immediatamente computabili (oneri di regolarizzazione urbanistici ed eventuali spese condominiali
insolute)
o nonché del fatto che il suo valore commerciale va ridotto tenendo conto del pregiudizio che ogni potenziale
interessato all’acquisto può subire giusta la peculiare disciplina della vendita forzata.
La garanzia per vizi nel caso di aggiudicazione non è sovrapponibile a quella apprestata nel caso di vendita volontaria;
né può tralasciarsi il fatto che lo stato di possesso del bene potrebbe rendere necessaria una liberazione lunga e
faticosa che è destinata a durare ben oltre la data della emanazione del decreto di trasferimento.
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Novità di “tempistica”
La nomina dell’esperto
Le modalità di conferimento dell’incarico (art. 569, 1° co., c.p.c., post 2015)
Nel sistema ante 2006, la nomina dell’esperto veniva effettuata dal GE durante la prima udienza (ex art. 569 c.p.c.),
con la comparizione delle parti.
Nel sistema post 2006 (a decorrere dal 1° marzo 2006) la nomina dell’esperto era stata anticipata. Ad essa si doveva
provvedere entro 30 giorni dal deposito della documentazione di cui all’art. 567 c.p.c.
Nell’art. 569 c.p.c. (in versione pre 2015) si stabiliva infatti che il giudice, con un unico provvedimento dal contenuto
articolato,
• nominasse l’esperto,
• disponesse la convocazione dinanzi a sé per il giuramento
• fissasse “l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori di cui all’art. 498 che non siano intervenuti” da
celebrarsi nei centoventi giorni dalla emanazione del decreto recante tali indicazioni (art. 569, 1° co., c.p.c.).
L’obiettivo perseguito dal legislatore del 2006 era quello di far sì che l’esperto, effettuato il giuramento, redigesse la
relazione e la inviasse in copia, prima dell’udienza di comparizione delle parti finalizzata alla programmazione della
successiva attività liquidatoria, ai creditori procedenti o intervenuti ed al debitore.
Si è parlato in proposito di una forma di contraddittorio “semplificato” al fine di dare alle parti la possibilità di
intervenire anche in questa fase, proponendo osservazioni sulla relazione peritale.
120
Il legislatore dei 2015 ha novellato l’art. 569, 1° co., c.p.c.
Questo il nuovo testo:
1. A seguito dell’istanza di cui all’articolo 567 il giudice dell’esecuzione, entro quindici giorni dal deposito della documentazione di cui al secondo
comma dell’articolo 567, nomina l’esperto che presta giuramento in cancelleria mediante sottoscrizione del verbale di accettazione e fissa
l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori di cui all’articolo 498 che non siano intervenuti. Tra la data del provvedimento e la data
fissata per l’udienza non possono decorrere più di novanta giorni.
2. All’udienza le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita, e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni
agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle.
3. Nel caso in cui il giudice disponga con ordinanza la vendita forzata, fissa un termine non inferiore a novanta giorni, e non superiore a
centoventi, entro il quale possono essere proposte offerte d’acquisto ai sensi dell’articolo 571. Il giudice con la medesima ordinanza stabilisce le
modalità con cui deve essere prestata la cauzione, se la vendita è fatta in uno o più lotti, il prezzo base determinato a norma dell’articolo 568,
l’offerta minima, il termine, non superiore a centoventi giorni dall’aggiudicazione, entro il quale il prezzo dev’essere depositato, con le modalità
del deposito e fissa, al giorno successivo alla scadenza del termine, l’udienza per la deliberazione sull’offerta e per la gara tra gli offerenti di cui
all’articolo 573. Quando ricorrono giustificati motivi, il giudice dell’esecuzione può disporre che il versamento del prezzo abbia luogo ratealmente
ed entro un termine non superiore a dodici mesi. Il giudice provvede ai sensi dell’articolo 576 solo quando ritiene probabile che la vendita con tale
modalità possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell’articolo 568.
4. Con la stessa ordinanza, il giudice può stabilire che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli
offerenti e, nei casi previsti, l’incanto, nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche.
5. Se vi sono opposizioni il tribunale le decide con sentenza e quindi il giudice dell’esecuzione dispone la vendita con ordinanza.
6. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale essa deve essere notificata, a cura del creditore che ha chiesto la vendita o di
un altro autorizzato, ai creditori di cui all’articolo 498 che non sono comparsi.
Il legislatore del 2015 ha quindi ridotto ulteriormente i tempi di durata della espropriazione immobiliare per cercare
di contenere il dispendio di energie processuali.
121
Anzitutto, è stato dimezzato il termine per la nomina dell’esperto fissato ora in 15 giorni (non più 30) dal deposito
della documentazione ipocatastale.
Resta l’obbligo di fissare “l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori di cui all’articolo 498 che non siano
intervenuti”. Ma: “Tra la data del provvedimento e la data fissata per l’udienza non possono decorrere più di novanta
giorni”.
Si è inoltre stabilito che il giudice, nominato l’esperto e fissata la prima udienza di comparizione delle parti dinanzi a
sé, non debba convocare l’esperto affinché quest’ultimo possa prestare il giuramento alla sua presenza.
L’art. 569 c.p.c. riformulato, infatti, stabilisce che l’esperto “presta il giuramento in cancelleria mediante
sottoscrizione del verbale di accettazione”.
Il consulente nominato deve, pertanto, comparire dinanzi al cancelliere, ragionevolmente in una data prestabilita dal
giudice della esecuzione e prestare il giuramento di bene e fedelmente procedere alle operazioni affidategli (art. 161
disp. att. c.p.c.).
Attenzione: l’art. 569 novellato nel 2015 prevede, come si è visto, che la prima udienza di comparizione delle parti,
che in precedenza era previsto dovesse tenersi entro 120 giorni dalla adozione del provvedimento recante la sua
fissazione, debba aver luogo entro 90 giorni dalla data del citato provvedimento.
Vi è - come già segnalato - una significativa riduzione dei tempi.
Il dato è vieppiù rilevante se si considera che, anche in questo caso, la disposizione dettata dall’art. 569, 1° co., c.p.c.,
è immediatamente applicabile a tutti i procedimenti esecutivi, anche quelli pendenti alla data del 27/6/2015 (data di
entrata in vigore del D.L. 83/2015).
122
Va d’altro canto evidenziato che i termini previsti per la adozione del provvedimento complesso di cui all’art. 569, 1°
co, c.p.c., nonché per la successiva celebrazione della udienza di prima comparizione delle parti, anche in questo
caso sono ordinatori e non perentori.
La loro violazione non incide, dunque, sul successivo svolgimento del processo.
È controversa la impugnabilità con la opposizione agli atti esecutivi del provvedimento recante la nomina
dell’esperto.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il decreto di nomina dell’Esperto non sarebbe autonomamente impugnabile.
La dottrina è invece favorevole alla proponibilità dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. ritenendo il
decreto di nomina dell’esperto un provvedimento idoneo a recare pregiudizio al debitore determinando
l’incremento dei costi del procedimento esecutivo come, ad esempio, potrebbe verificarsi ove il debitore avesse
proposto un’istanza di conversione ed il giudice, ritenendo di non sospendere l’esecuzione, avesse comunque
nominato l’esperto.
123
L’attività dell’esperto
il contenuto della relazione (art. 173bis disp. Att. c.p.c.)
La relazione dell’esperto non si esaurisce più nella mera stima del valore dell’immobile.
La relazione assume infatti la funzione di documento informativo del processo in relazione al quale il giudice opera le
sue scelte e dal quale gli offerenti traggono elementi utili a valutare la convenienza dell’affare.
Ecco il testo dell’art. 567 c.p.c.
1. Decorso il termine di cui all’articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la
vendita dell’immobile pignorato.
2. Il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro sessanta giorni [prima: 120] dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso
l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla
trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e
dei registri immobiliari.
3. Il termine di cui al secondo comma può essere prorogato una sola volta su istanza dei creditori o dell’esecutato, per giusti motivi e per una
durata non superiore ad ulteriori sessanta giorni. Un termine di sessanta giorni è inoltre assegnato al creditore dal giudice, quando lo stesso
ritiene che la documentazione da questi depositata debba essere completata. Se la proroga non è richiesta o non è concessa, oppure se la
documentazione non è integrata nel termine assegnato ai sensi di quanto previsto nel periodo precedente, il giudice dell’esecuzione, anche
d’ufficio, dichiara l’inefficacia del pignoramento relativamente all’immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione.
L’inefficacia è dichiarata con ordinanza, sentite le parti. Il giudice, con l’ordinanza, dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Si
applica l’articolo 562, secondo comma. Il giudice dichiara altresì l’estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati.
124
Compiti dell’esperto.
Anzitutto l’esperto è ultimo garante della completezza della documentazione ipocatastale poiché l’art. 567, 2° co.,
c.p.c., gli attribuisce lo specifico compito di controllare la completezza di quest’ultima “segnalando immediatamente
al giudice” i documenti “mancanti o inidonei” (art. 173bis, 2° co., disp. att., c.p.c.).
Il controllo della documentazione da parte dell’esperto va eseguito “prima di ogni attività”, già in sede di
conferimento d’incarico ai sensi del citato art. 173bis disp. att. c.p.c..
Visto che generalmente vengono esclusi dal deposito i certificati di destinazione urbanistica e le mappe censuarie, il
controllo è spesso limitato nei fatti, potendo essere controllati i soli estratti del catasto e i certificati delle iscrizioni e
trascrizioni (peraltro sempre più spesso sostituiti, nella prassi comune, dai certificati notarili).
Spetta d’altra parte all’esperto acquisire di sua iniziativa la documentazione non prevista dall’art. 567, 2° co., c.p.c.
ma necessaria per l’espletamento del suo incarico (ad esempio, appunto i certificati di destinazione urbanistica e le
mappe censuarie).
125
Contenuto della relazione
La relazione di stima ha ora un contenuto assai articolato che, come anticipato, non si può ridurre alla mera
valutazione del bene. L’art. 173bis disp. att. c.p.c., come novellato dal D.L. 83/2015 convertito con modifiche dalla
legge 132/2015, stabilisce in particolare:
1. L’esperto provvede alla redazione della relazione di stima dalla quale devono risultare:
1) l’identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali;
2) una sommaria descrizione del bene;
3) lo stato di possesso del bene, con l’indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale è occupato, con particolare riferimento alla
esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento;
4) l’esistenza di formalità, vincoli o oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene, che resteranno a carico dell’acquirente, ivi compresi i
vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico;
5) l’esistenza di formalità, vincoli e oneri, anche di natura condominiale, che saranno cancellati o che comunque risulteranno non opponibili
all’acquirente;
6) la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o
aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa;
7) in caso di opere abusive, il controllo della possibilità di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380 e gli eventuali costi della stessa; altrimenti, la verifica sull’eventuale presentazione di istanze di condono, indicando il soggetto
istante e la normativa in forza della quale l’istanza sia stata presentata, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in
sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere; in ogni altro caso, la verifica, ai fini della istanza di condono che
l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste dall’articolo 40, sesto comma,
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ovvero dall’articolo 46, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
specificando il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria;
8) la verifica che i beni pignorati siano gravati da censo, livello o uso civico e se vi sia stata affrancazione da tali pesi, ovvero che il diritto sul
bene del debitore pignorato sia di proprietà ovvero derivante da alcuno dei suddetti titoli;
9) l’informazione sull’importo annuo delle spese fisse di gestione o di manutenzione, su eventuali spese straordinarie già deliberate anche se il
relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali spese condominiali non pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia, sul
corso di eventuali procedimenti giudiziari relativi al bene pignorato.
126
2. L’esperto, prima di ogni attività, controlla la completezza dei documenti di cui all’articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando
immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei.
3. L’esperto, terminata la relazione, ne invia copia ai creditori procedenti o intervenuti e al debitore, anche se non costituito, almeno trenta [prima,
45] giorni prima dell’udienza fissata ai sensi dell’articolo 569 del codice, a mezzo posta elettronica certificata ovvero, quando ciò non è possibile, a
mezzo telefax o a mezzo posta ordinaria.
4. Le parti possono depositare all’udienza note alla relazione purché abbiano provveduto, almeno quindici giorni prima, ad inviare le predette note
al perito, secondo le modalità fissate al terzo comma; in tale caso l’esperto interviene all’udienza per rendere i chiarimenti.
Ricapitolando:
L’esperto, nella relazione, già per effetto della riforma del 2006, doveva procedere a fornire
1) l’identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali;
2) la sommaria descrizione del bene;
3) lo stato di possesso del bene e l’indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale l’occupazione avviene,
con particolare riferimento all’esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento;
4) l’esistenza di formalità, vincoli o oneri anche di natura condominiale, gravanti sul bene e che resteranno a carico
dell’acquirente, ivi compresi i vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli
connessi con il suo carattere storico-artistico;
5) l’esistenza di formalità, vincoli e oneri anche di natura condominiale che saranno cancellati o che comunque
risulteranno non opponibili all’acquirente;
6) la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello
stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente
normativa.
127
A tali contenuti se ne devono aggiungere altri, richiesti ora dal legislatore del 2015.
Anche in questo caso, occorre a precisare che l’art. 173bis disp. att, c.p.c., post riforma è immediatamente
applicabile a far data dal 27 giugno 2015 ai processi esecutivi pendenti, con l’ovvia esclusione di quelli in cui sia stato
già conferito l’incarico all’esperto.
7) in caso di opere abusive, il controllo della possibilità di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 36 del decreto del
Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380 e gli eventuali costi della stessa; altrimenti, la verifica
sull’eventuale presentazione delle istanze di condono, indicando il soggetto istante e la normativa in forza della
quale l’istanza sia stata presentata, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le
eventuali oblazioni già corrisposte e da corrispondere; in ogni altro caso, la verifica, ai fini dell’istanza di condono che
l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste
dall’art. 40, comma sesto, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ovvero dell’art. 46, quinto comma del decreto del
Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380, specificando il costo per il conseguimento del titolo in
sanatoria;
8) la verifica che i beni pignorati siano gravati da censo, livello o uso e se vi sia stata affrancazione da tali pesi,
ovvero che il diritto sul bene del debitore pignorato sia di proprietà ovvero derivante da alcuno dei suddetti titoli;
9) l’informazione sull’importo annuo delle spese fisse di gestione o di manutenzione, su eventuali spese
straordinarie già deliberate anche se il relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali, spese condominiali non
pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia, sul corso di eventuali procedimenti giudiziari relativi al
bene pignorato.
128
Nella pratica, cosa accade?
Anzitutto l’esperto espleta l’incarico dovendo necessariamente accedere all’interno dell’immobile.
Sarebbe preferibile che l’accesso comportasse anche la documentazione fotografica dello stato dei luoghi.
L’ACCESSO è indispensabile per constatare
• lo stato di possesso del bene
• le condizioni di manutenzione del bene
• se siano state realizzate opere abusive non visibili in virtù di una mera osservazione generale del fabbricato.
In caso di ostacoli e/o impedimenti (non rari) dal debitore o dai terzi, l’esperto deve informare il giudice
dell’esecuzione affinché quest’ultimo possa autorizzare l’accesso forzoso o, preferibilmente, possa ottenere l’ordine
di liberazione ai sensi dell’art. 560 c.p.c.
Solo dopo aver acquisito il certificato catastale aggiornato, nonché gli altri documenti depositati ritenuti necessari
per lo svolgimento dell’incarico (estratto di mappa, scheda planimetrica dei catasto fabbricati e/o del catasto terreni,
certificato di attualità catastale, tipo di mappale di inserimento in mappa del fabbricato, eventuali frazionamenti,
certificato di destinazione urbanistica) l’esperto potrà procedere alle necessarie verifiche urbanistico-edilizie ed alla
identificazione del bene.
L’ordinanza di vendita ed il successivo decreto di trasferimento debbono recare la descrizione dell’immobile tenendo
conto delle risultanze del catasto alla data della vendita.
La relazione dell’esperto costituisce anche il documento informativo essenziale per valutare se il pignoramento rechi
la compiuta descrizione dell’immobile, in modo da rendere opponibile ai terzi, in virtù della trascrizione nei registri
immobiliari, il vincolo pignoratizio.
129
INFORMAZIONI AGGIUNTIVE: AD ESEMPIO, SULLA FISCALITÀ.
L’esperto può essere anche incaricato di fornire elementi utili al fine di accertare se la vendita forzata sia
assoggettabile ad I.V.A. ovvero ad imposta di registro (se il terreno pignorato sia o meno edificabile, se il fabbricato
abbia destinazione abitativa o non abitativa, se si tratta di abitazione di lusso, ecc.).
È da dire che la fiscalità immobiliare negli anni ha visto numerose modifiche. Con l’emanazione del D.L. 83/2012 n.
83, convertito dalla L. 134/2012, è stato modificato l’art. 10 del DPR 633/72. In sostanza, le cessioni di fabbricati sia
ad uso abitativo che strumentali per natura costituiscono operazioni esenti, con l’eccezione delle cessioni effettuate
• dalle imprese costruttrici
• dalle imprese che vi hanno eseguito opere di ristrutturazione edilizia, ristrutturazione urbanistica, restauro e
risanamento conservativo, purché le cessioni in questo caso siano effettuate entro cinque anni dalla
ultimazione della costruzione o dell’intervento.
Viene però riconosciuta al cedente la facoltà di optare per l’assoggettamento ad IVA, da esercitarsi con espressa
manifestazione nel relativo atto di vendita.
Nel caso di espropriazione forzata, che è una vendita non volontaria, sarebbe opportuno consentire all’esecutato di
poter esercitare l’opzione per l’imposizione IVA. Visto il regime attuale, in caso di silenzio dell’esecutato o di mancata
opzione per l’imponibilità, la vendita sarà IVA-esente e quindi sarà dovuta l’imposta di registro.
130
INFORMAZIONI AGGIUNTIVE: AD ESEMPIO, SUI BENI IMMOBILI INDIVISI:
Se il pignoramento abbia ad oggetto beni indivisi è opportuno chiedere all’esperto
• se sia possibile separare in natura la quota del bene pignorato di cui sia titolare il debitore, ovvero
• se possa essere predisposto un progetto divisionale con la determinazione di conguagli, previo apprezzamento
circa l’eventuale svalutazione commerciale della vendita limitata alla quota.
È, infatti, fondamentale che il giudice, nel corso della prima udienza di comparizione delle parti disponga di tali
notizie al fine di assumere i provvedimenti di cui all’art. 600 c.p.c. inserito nel capo di codice che disciplina
l’espropriazione dei beni indivisi, a cui abbiamo fatto cenno al principio di questa sezione.
131
INFORMAZIONI AGGIUNTIVE: AD ESEMPIO, SULLA CERTIFICAZIONE DI PRESTAZIONE ENERGETICA.
Un’ultima notazione, sui compiti dell’esperto in relazione alla normativa sulla prestazione energetica dell’immobile
subastato.
A seguito della modifica dell’art. 6 co. 3 d.lgs. n. 192 del 2005 ad opera dell’art. 2 d.lgs. n. 311 del 2006, che aveva
previsto l’OBBLIGO DI ALLEGAZIONE DELLA CERTIFICAZIONE DI QUALIFICAZIONE ENERGETICA, non più al solo all’atto compravendita,
ma a tutti gli atti di trasferimento dell’immobile a titolo oneroso, si era ritenuto che la sanzione della nullità prevista
da tale norma si riferisse anche al decreto di trasferimento. Per espressa previsione dell’art. 13, 8° co., dello stesso
decreto legislativo, la sanzione della nullità poteva, comunque, essere fatta valere dal solo acquirente.
Il quadro normativo è stato poi ripetutamente modificato fino a quando nel 2011 il decreto legislativo n. 28 ha
integrato il contenuto dell’articolo 6 aggiungendo il comma 3, per effetto del quale “nei contratti di compravendita o
di locazione di edifici o di singole unità immobiliari” doveva essere inserita apposita clausola con la quale l’acquirente
o il conduttore davano atto di aver ricevuto le informazioni e la in ordine alla certificazione energetica degli edifici.
Si era, pertanto, posto il problema di stabilire se una tale clausola dovesse essere inserita anche nei decreti di
trasferimento anche alla luce della disposizione citata, come novellata.
Era prevalsa la soluzione negativa, nonostante qualche isolata pronuncia favorevole di alcuni giudici di merito (Trib.
Napoli 20/4/2011).
Il tenore letterale dell’art. 6, 3° co., che faceva riferimento unicamente agli atti di compravendita, sembrava riferibile
unicamente alle vendite volontarie. Diversamente dalla locuzione previgente – più ampia - atti di trasferimento a
titolo oneroso.
132
Con il D.L. 145/2013 (convertito il L. 9/2014) si è nuovamente modificato il citato art. 6, 3° co., ampliando una volta
ancora la categoria.
Ecco il testo: “Nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso e
nei nuovi contratti di locazione di edificio di singole unità immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita
clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione,
comprensiva dell’attestato; in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici copia dell’attestato di
prestazione energetica deve essere altresì allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unità
immobiliari. In caso di omessa dichiarazione od allegazione, se dovuta, le parti sono soggette al pagamento, in solido
e in parti uguali della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 18.000; la sanzione è da euro 1.000 a
euro 4.000 per i contratti di locazione di singole unità immobiliari e, se la durata della locazione non eccede i tre anni,
essa è ridotta alla metà. L’accertamento e la contestazione della violazione sono svolti dalla Guardia di Finanza o,
all’atto della registrazione di uno dei contratti previsti dal presente comma, dall’Agenzia delle Entrate, ai fini
dell’ulteriore corso del procedimento sanzionatorio ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689”
Il riferimento agli “atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso” esclude dunque la lettura restrittiva della norma
e, come è stato osservato dalla dottrina, sembra coerente con la finalità della disposizione volta alla promozione ed
al miglioramento delle prestazioni energetiche di tutti gli edifici, a prescindere dalla tipologia dell’atto di
trasferimento.
L’art. 6 trova dunque applicazione anche ai trasferimenti immobiliari realizzati nell’ambito delle procedure esecutive.
Conseguenze:
• Occorre che gli immobili oggetto di espropriazione vengano muniti della certificazione energetica e che tale
attestato venga allegato al decreto di trasferimento.
133
Pertanto, occorre incaricare l’esperto di rilevare “l’indice di prestazione energetica contenuto nell’attestato di
certificazione energetica”.
Nel caso in cui l’immobile sia sprovvisto, occorre attivarsi, anche con la collaborazione dell’esperto, perché lo stesso
venga rilasciato.
In proposito, con tre decreti interministeriali dei 26 giugno 2015, pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 16 luglio
2015, il Ministero dello Sviluppo Economico ha emanato le linee guida nazionali per la certificazione energetica
degli edifici, per l’applicazione dalle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e la definizione delle
prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici ed ha definito schemi e modalità per la compilazione della relazione
tecnica di progetto ai fini della applicazione delle prescrizioni e dei requisiti minimi di prestazione energetica degli
edifici.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha anche previsto, all’appendice C del decreto, un format di indicatore delle
prestazioni energetiche per gli annunci commerciali che dovrà essere utilizzato anche per gli annunci da effettuare
nelle vendite immobiliari.
134
Appare, invece, più complesso soddisfare l’altra previsione contenuta nell’art. 6, 3° co., citato, quella secondo cui è
necessario inserire nell’atto una specifica clausola con la quale l’acquirente dichiara di aver ricevuto le informazioni e
la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici,
Poiché il decreto di trasferimento è un atto del giudice estraneo alla partecipazione dell’aggiudicatario e di qualsiasi
altra parte privata deve escludersi che l’atto possa contenere una dichiarazione dell’aggiudicatario.
A tale proposito potrebbe prospettarsi che la dichiarazione venga resa dall’aggiudicatario o in udienza o con un atto
separato e che tale atto venga conservato nel fascicolo della procedura ed allegato al decreto.
Evidentemente, però, anche sotto tale profilo, tale dichiarazione presuppone comunque che l’esperto abbia fornito
nella relazione tutte le notizie utili a conoscere la prestazione energetica del bene subastato.
135
Il deposito della relazione
la comunicazione alle parti della relazione (art. 173bis disp. att. c.p.c.)
Terminatala relazione, l’esperto
“ne invia copia ai creditori procedenti o intervenuti e al debitore, anche se non costituito, a mezzo posta
ordinaria o posta elettronica, nei rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione;
la trasmissione e la ricezione-dei documenti informatici e teletrasmessi” (alt. 173bis, 3° co., disp. att. c.p.c.).
Anche da questo punto di vista, sono state apportate alcune modifiche dal legislatore del 2015.
L’art. 173bis disp. att. c.p.c. (pre riforma 2015) stabiliva che il predetto invio dove essere eseguito almeno 45 prima
della udienza fissata dal giudice dinanzi a sé, ai sensi dell’art 569, 1° co., c.p.c., per la comparizione delle parti.
Il D.L. 83/2015 ha ridotto il termine, fissato ora in 30 giorni.
Si ribadisce: l’art. 173bis disp. att. è immediatamente applicabile anche ai procedimenti pendenti a meno che, alla
data di entrata in vigore del decreto legge (27/6/2015), sia stato già conferito l’incarico.
Per effetto dell’attuale formulazione dell’art. 173bis disp. att. c.p.c., per predisporre la relazione l’esperto dispone
dunque di 60 giorni dalla data del conferimento dell’incarico.
136
Infatti:
- da una parte, tra la data di adozione del decreto recante la sua nomina e la data della prima udienza di
comparizione non debbono intercorrere più di 90 giorni;
- dall’altra, l’esperto deve inviare il suo elaborato alle parti almeno 30 giorni prima di quest’ultima udienza.
Deve essere peraltro ribadito che, sebbene questi termini dell’art. 173bis disp. att. c.p.c. siano ordinatori, in
quanto finalizzati esclusivamente al più celere svolgimento del processo, l’esperto ha tuttavia l’onere di
rispettarli e di inviare tempestivamente la relazione alle parti, consentendo al G.E. di adottare l’ordinanza di
vendita e/o di delega all’udienza di cui all’art. 569 c.p.c.
La violazione del termine per l’invio della relazione può infatti determinare (anzi, di regola determina)
l’esigenza di un rinvio per consentire alle parti l’esame della perizia con un notevole prolungamento del
tempi della procedura che, per il resto, si svolge sempre a “contraddittorio semplificato”.
137
Ricevuta la relazione trasmessa dall’esperto, le parti possono depositare all’udienza eventuali note alla relazione
stessa, purché abbiano provveduto nei quindici giorni prima ad inviare queste ultime al perito, secondo le modalità
fissate all’art. 173bis, 3° co., disp. att. c.p.c.
Se le parti inviano le note all’esperto, quest’ultimo ha l’obbligo di presenziare all’udienza per rendere i chiarimenti.
In caso di mancato invio delle note, l’esperto non è tenuto a comparire anche se può essere convocato qualora il
giudice ritenga opportuno assumere da lui ulteriori informazioni.
L’anticipazione dello scambio di notizie tra l’esperto e le parti ha l’evidente finalità di consentire al giudice di
risolvere immediatamente gli eventuali problemi di carattere tecnico insorti e di provvedere all’emissione
l’ordinanza di vendita alla prima udienza di comparizione fissata al sensi dell’art. 569 c.p.c. (ecco il cd. contraddittorio
semplificato, appunto).
Da segnalare come parte della dottrina ritenga che la mancata trasmissione delle note all’esperto non precluda alle
parti il diritto di sollevare contestazioni fino all’udienza.
138
PROCESSO ESECUTIVO IN FORMA SPECIFICA
Partiamo dall’art. 612 c.p.c.:
“Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di
non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione, che siano
determinate le modalità dell’esecuzione.
Il giudice dell’esecuzione provvede, sentita la Parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale Giudiziario
che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita
o alla distruzione di quella compiuta”.
La Corte di Cassazione (sent. n. 6621/2008) ha osservato che, per procedere all’esecuzione di una sentenza o di un
altro provvedimento di condanna per violazione di obblighi di fare e di non fare, in difetto di spontaneo
adempimento, il diritto accertato debba essere attuato nelle forme previste dalle disposizioni degli artt. 612 e 613
c.p.c., le quali demandano esclusivamente al Giudice dell’esecuzione la concreta determinazione delle modalità
dell’esecuzione e il potere di dirimere le contestazioni al riguardo, eventualmente insorgenti.
Il processo esecutivo, infatti, resta sempre il processo, intrapreso su impulso del creditore, che ha la finalità di
realizzare la soddisfazione del credito.
Se si è di fronte alla violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo che è stata emessa la relativa sentenza di
condanna,occorre dunque che il creditore promuova ricorso al Giudice dell’esecuzione, affinché con specifico
provvedimento definisca le modalità dell’esecuzione.
139
Udienza per il processo di esecuzione
Presentato il ricorso con cui inizia il procedimento di esecuzione, il Giudice fissa l’udienza per l’audizione delle Parti
interessate e, in tale sede, decide le modalità di svolgimento di esecuzione.
Nella medesima sede nomina l’ufficiale Giudiziario e i terzi incaricati di compiere o distruggere l’opera secondo le
modalità stabilite.
Il Giudice dell’esecuzione per tutto il procedimento svolge una funzione integrativa, dal momento che, qualora vi sia
la necessità, dovrà provvedere a colmare eventuali lacune, incertezze e genericità inerenti alle modalità già
prescritte, potendo anche modificare le modalità stabilite nel titolo stesso, qualora risultassero inidonee o
oggettivamente inattuabili.
Ausiliario Giudiziario
Nei casi di esecuzione in forma specifica può accadere che la nomina dell’ufficiale Giudiziario non sia sufficiente per
risolvere le incombenze esecutive poiché costui, nel compimento di particolari attività di tipo pratico, spesso ha
necessità di essere assistito e coadiuvato da un tecnico esperto nella materia oggetto di esecuzione.
Ai sensi dell’art. 68 c.p.c., anche in tali casi può dunque essere nominato un esperto che, in tale contesto, prende il
nome di “Ausiliario Giudiziario” e può supportare l’Ufficiale Giudiziario nell’espletamento dell’incarico ricevuto.
140
Oggetto dell’esecuzione in forma specifica
Il procedimento di esecuzione in forma specifica può comportare spesso un decorso di tempo assai lungo e
complesso per lo svolgimento di varie e diverse incombenze e la risoluzione delle problematiche non avviene mai in
un’unica udienza.
Per tali motivi l’Ausiliario Giudiziario, nel processo di esecuzione in forma specifica, svolge un ruolo fondamentale,
dato che a costui spetta la valutazione e la determinazione, su indicazione del Giudice, delle modalità di esecuzione e
lo svolgimento delle opere necessarie ad attuare il provvedimento giurisdizionale.
Compiti dell’Ausiliario, in sintesi.
Esemplificativamente, nell’ambito delle esecuzioni che possono coinvolgere proprietà immobiliari, ad esempio, i
compiti che incombono sull’Ausiliario possono riguardare
• la rimozione di opere realizzate in violazione di diritti
• la costruzione di manufatti indebitamente rimossi
• il completamento di opere edili già iniziate
141
Operando in tale settore, dunque, l’Ausiliario dovrà anche dirigere i lavori, prestando assistenza tecnica, e
provvedere alla compilazione di tutta la documentazione necessaria
o al fine di appaltare le prestazioni
o da presentare alle pubbliche amministrazioni per ottenere le opportune autorizzazioni.
Spetta dunque all’Ausiliario operare affinché l’ordinanza del Giudice possa trovare effettiva esecuzione, per cui
anche se l’incarico affidatogli è quello di assistere l’Ufficiale Giudiziario, nella pratica, per il completo svolgimento
delle attività necessarie, l’Ausiliario opera a stretto contatto con il Giudice, anche attraverso istanze da presentare
nel caso insorgano problematiche per l’esecuzione o per richiedere la nomina di un esperto (ulteriore) in un
particolare settore di svolgimento dell’incarico o per scegliere la modalità di esecuzione più idonea qualora si
presentino varie possibilità operative.
Non vanno sottovalutate tuttavia le difficoltà operative e di comunicazione a cui l’esperto va incontro operando con
soggetti diversi e in particolari contesti ambientali.
Infatti, poiché è indispensabile la conoscenza dei luoghi oggetto d’intervento, al fine di valutare le modalità con cui
operare per attuare quanto disposto dal Giudice, l’esperto dovrà fissare tutte le operazioni peritali da svolgere
rilevando dagli atti misure, dati, informazioni necessarie) progetti e documenti vari, nonché tutta la documentazione
utile (compresa quella fotografica) relativa allo stato dei luoghi.
142
Dopo l’accurata analisi di tutti i dati raccolti durante le operazioni peritali, l’Ausiliario potrà procedere alla
valutazione e alla decisione delle modalità con cui eseguire gli interventi necessari. Predisporrà, dunque, un
capitolato comprensivo di tutte le opere da effettuare, provvederà poi a consegnarlo all’ufficiale Giudiziario, il quale
inviterà le ditte interessate a partecipare per l’assegnazione dell’appalto.
La ditta che risulterà assegnataria dello svolgimento dei lavori e l’ufficiale Giudiziario dovranno quindi sottoscrivere il
contratto d’appalto.
Nel frattempo l’esperto dovrà predisporre e presentare alle pubbliche amministrazioni tutta la documentazione
prevista dalla legge per ottenere il rilascio delle dovute autorizzazioni e quant’altro, al fine di dar corso ai prescritti
interventi. Se necessario, dovrà poi redigere anche il progetto delle opere.
Presenza dell’Ausiliario in cantiere
Una volta iniziate le opere, l’Ausiliario ha il compito
- di assistere (come detto) ai lavori come direttore dei lavori e responsabile e coordinatore della sicurezza.
- di predisporre la contabilità degli stessi lavori, attraverso un documento consuntivo di contabilità o, qualora
vi sia necessità, attraverso la certificazione degli stati di avanzamento dei lavori.
143
Al termine degli interventi, l’Ausiliario
o dovrà redigere un certificato di regolare esecuzione dei lavori (secondo quanto previsto dalla legge)
o dovrà provvedere alla comunicazione di fine lavori, all’attestazione di conformità e di
abitabilità/agibilità, alla registrazione di eventuali variazioni catastali e a ogni altra iniziativa
necessaria per concludere le operazioni
o presentare all’ufficiale Giudiziario una sintetica relazione riepilogativa contenente anche il
rendiconto dei lavori rimessi dalla ditta
o presentare la propria parcella calcolata sulla base delle tariffe previste per l’attività di ausilio
all’autorità giudiziaria.
Sarà compito dell’ufficiale Giudiziario controllare tutta la documentazione (compreso il rendiconto e la parcella di cui
sopra) e poi presentarla al Giudice.
144
Si può dunque dire che l’Ausiliario, nell’espletamento del proprio incarico nell’ambito della procedura di esecuzione
forzata in forma specifica, svolga operazioni non dissimili da quelle che compie il Consulente Tecnico d’ufficio nel
processo di cognizione (si pensi allo svolgimento delle operazioni peritali, alle indagini, all’acquisizione dei documenti
vari ecc.), ma si occupa anche della redazione del capitolato, del progetto delle opere, ove necessario, dell’assistenza
tecnica nel corso dello svolgimento dei lavori, della contabilità degli stessi con apposito documento di contabilità,
della certificazione di ultimazione delle operazioni.
È dunque compito dell’Ausiliario attuare concretamente e materialmente, secondo le proprie competenze tecniche,
il provvedimento giurisdizionale, mentre non gli competono invece valutazioni in ordine ai quesiti posti dal Giudice.
Qualora poi l’Ausiliario incaricato abbia necessità di farsi assistere da un esperto (ulteriore) per l’espletamento di
particolari operazioni per le quali è richiesta una specifica abilitazione che non possiede (si consideri, ad esempio, la
sicurezza nel cantiere), l’Ausiliario medesimo dovrà richiedere al Giudice, come nel processo di cognizione,
l’autorizzazione alla nomina di tali soggetti o nell’udienza di conferimento d’incarico, ovvero mediante apposita
istanza qualora la necessità emerga successivamente.
145
Spese nel processo di esecuzione: chi paga?
Si ricordi poi che, nell’ambito del processo di esecuzione, il creditore che promuove tale procedimento deve
sostenere anticipatamente tutte le spese necessarie allo svolgimento delle attività previste.
Nello specifico, queste spese comprendono:
oneri per l’assistenza dell’Ausiliario e di altri professionisti che sono chiamati a operare nel corso dello
svolgimento delle operazioni,
costi e oneri concessori o amministrativi,
costo di tutti i lavori svolti dalle imprese incaricate dall’ufficiale Giudiziario
in generale, qualunque altro onere utile ad attuare il provvedimento.
La Parte istante poi presenterà al Giudice dell’esecuzione la nota delle spese anticipate, vistata dall’ufficiale
Giudiziario, a nome dell’art. 614 c.p.c., per ottenere il relativo rimborso.
La Parte istante ha infatti diritto al rimborso di tutte le spese anticipate, sia per le operazioni materiali di esecuzione
dell’obbligo, sia per i soggetti impegnati in dette azioni.
Tale rimborso potrà essere ottenuto presentando al Giudice domanda di decreto d’ingiunzione ai sensi dell’art. 614
c.p.c.
Il Giudice, poi, quando riconosce giustificate le somme denunciate dalla Parte, pronuncia il decreto ingiuntivo
immediatamente esecutivo.
146
Per quel riguarda più specificamente l’Ausiliario, sarebbe opportuno che questi presentasse alla Parte istante una
nota preventiva al riguardo, indicando approssimativamente le spese che nel corso del tempo dovrà affrontare.
Al termine delle proprie attività, l’Ausiliario dovrà inoltre provvedere a compilare un dettagliato rendiconto di tutti
gli oneri affrontati.
Il compenso dell’Ausiliario, calcolato come per i consulenti tecnici d’ufficio sulla base di quanto statuito dal D.P.R. n.
115/2002 e dal D.M. 30 maggio 2002 dovrà essere presentato, a mezzo istanza di liquidazione, al Giudice che ha
provveduto alla nomina.
147
10. I COMPENSI SPETTANTI AL CTU. LA NORMATIVA.
La materia del calcolo dei compensi è particolarmente complessa ed articolata.
il sistema delle fonti della materia dei compensi è così costituito:
• D.P.R. n. 115/2002 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese
giustizia, che disciplina i compensi degli ausiliari del magistrato: Periti, Consulenti Tecnici, interpreti e
traduttori)
• D.M. 30/5/2002 (che ha riformulato le tabelle degli onorari fissi e variabili già approvate con il D.P.R. 14
novembre 1983, n. 280 successivamente adeguate con il D.P.R. n. 352/1988)
• art. 4 della Legge n. 319/1980 (inerente alle modalità di applicazione delle “vacazioni”).
In dettaglio, la liquidazione del compenso del CTU è disciplinata
• dagli artt. 49 ss. DPR n. 115/2002, che determinano i criteri generali di liquidazione
• il DM 30/5/2002 fissa invece la misura degli onorari.
148
MODALITÀ DELLA LIQUIDAZIONE
La liquidazione va fatta con decreto motivato che è provvisoriamente esecutivo ex art. 168 DPR n. 115/2002.
Ex art. 49 comma 2 DPR n. 115/2002, vi sono tre modalità possibili di liquidazione del compenso:
onorari fissi
onorari variabili
onorari a tempo
149
1) Per alcune consulenze gli onorari sono fissi. Ciò significa che la misura dei compensi è predeterminata in modo
rigido.
Le tabelle allegate al D.M. 30 maggio 2002 prevedono un compenso con onorari fissi solo per quattro categorie
di prestazioni:
•
•
•
•
per la perizia in materia medico-legale (art. 20);
per esami alcoolimetrici (art. 22);
per la ricerca del tasso percentuale carbossiemoglolinemico (art, 23);
per accertamenti diagnostici su animali (art. 26).
150
2) Per le consulenze che non rientrano nelle categorie che comportano onorari fissi, gli onorari sono variabili.
La variazione è tra un minimo ed un massimo previsto dalla norma, con riferimento
• a due valori monetari indicati
• ovvero a due percentuali del valore di stima effettuato.
Spetta al giudice, sulla base della difficoltà, completezza e pregio dell’attività, così come sancito dall’art. 51
comma 1 DPR n. 115/2002, optare per la concreta indicazione del compenso.
ATTENZIONE ALLE MODALITÀ APPLICATIVE DI QUESTO CRITERIO, quando la variabilità è “a percentuale”.
La determinazione degli onorari variabili a percentuale infatti prevede aliquote differenziate per scaglioni di
valore. Tuttavia, non vanno applicate le sole aliquote corrispondenti al valore massimo della controversia.
Occorre infatti procedere alla “SCOMPOSIZIONE” del valore oggetto dell’accertamento.
La percentuale del primo scaglione va quindi applicata al primo importo risultante dalla scomposizione fino al
raggiungimento del valore limite del primo scaglione; sulla parte eccedente l’importo del primo scaglione, si
applicherà la percentuale del secondo scaglione fino al raggiungimento del valore limite del secondo scaglione;
sulla parte eccedente l’importo del secondo scaglione, si applicherà poi la percentuale del terzo scaglione e si
procede così sino all’ultimo importo risultante dalla scomposizione.
La giurisprudenza ha peraltro chiarito che lo scaglione massimo di valore configura comunque un limite non
superabile, anche se il valore della controversia superi lo scaglione più alto (Cass. n. 7852/1997).
151
3) C’è poi un criterio residuale, quello degli onorari a tempo, che vale per tutte le ipotesi di consulenze per le
quali non è previsto un diverso criterio di calcolo. In questi casi, il pagamento si calcola sulla base di unità di
tempo: le cd. vacazioni.
Ai sensi dell’art. 4 L. n. 319/1980, ogni vacazione corrisponde a 2 ore di lavoro ma, per ogni giorno di lavoro,
non possono essere liquidate più di 4 vacazioni (in totale, dunque, 8 ore).
Ai sensi dell’art. 1 DM 30/5/2002, la prima vacazione è liquidata in € 14,68 ma deve essere chiaro che per
“prima vacazione” deve intendersi solo quella che segna l’inizio dell’attività del CTU (inizio delle operazioni
peritali) e non quella che segna l’inizio di ogni singola giornata lavorativa (Cass. n. 857/1968).
Le vacazioni successive alla prima sono liquidate in € 8,15 ciascuna.
La decisione di liquidare gli onorari a tempo e non a percentuale spetta al giudice ed è incensurabile in sede di
legittimità se adeguatamente motivata.
152
Diciamo subito che il sistema di liquidazione del compenso del CTU è da considerare oggettivamente modesto,
soprattutto se riguardato sotto il profilo delle vacazioni e ad alcuni onorari fissi.
Esso è stato tuttavia ritenuto non illegittimo sotto il profilo dell’inadeguatezza dei compensi e del loro divario con i
compensi previsti per analoghe prestazioni dalle tariffe professionali, sul presupposto che l’incarico peritale
costituisce un munus publicum (con il prestigio che a ciò, almeno in astratto, si accompagna) non assimilabile
all’esercizio della libera professione (cfr. Cass. 18070/201; Cass. 27905/1990), pur se occorre comunque “assicurare
un ragionevole risultato economico in funzione del tempo e dell’impegno prestato” (Cass. 18070/2012).
153
Principio dell’omnicomprensività del compenso.
Art. 29 D.M. 30/5/2002:
“Tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito nelle presenti tabelle, sono comprensivi della
relazione sui risultati dell’incarico espletato, della partecipazione alle udienze e di ogni altra attività
concernente i quesiti”.
Nel caso di onorari fissi o variabili, essi attengono dunque anche alla stesura della relazione, all’esame degli atti, alla
partecipazione alle udienze e ad ogni altra attività necessaria all’espletamento dell’incarico.
Gli onorari possono peraltro essere
AUMENTATI sino al 100% per le prestazioni di eccezionale importanza e sino al 20%, in caso di
urgenza dichiarata dal giudice (artt. 52, 1° co., e 51, 2° co., DPR n. 115/2002);
RIDOTTI in caso di ritardo nel deposito dell’elaborato (art. 52 comma 2 DPR n. 115/2002).
154
Art. 53 DPR n. 115/2002:
ACCERTAMENTI DISTINTI
In caso di incarico a diversi CTU per accertamenti distinti, a ciascun consulente spetta autonomamente il compenso
secondo la liquidazione propria della consulenza espletata.
Se l’incarico è unitario, ma l’indagine è articolata in una pluralità di quesiti
• se ciò comporta accertamenti fra loro distinti ed autonomi, il compenso è dovuto per ogni singolo
accertamento (Cass. 7186/2007)
• se gli accertamenti non siano autonomi ma preordinati alla soluzione di un’unica questione, l’incarico
deve essere considerato unico ed unico il compenso (cfr. Cass. n. 12027/2010).
“Per la liquidazione del compenso al consulente tecnico, cui sia stato conferito l’incarico di procedere alla stima di più immobili, si deve
determinare un unico compenso ricorrendo al sistema di liquidazione degli onorari a percentuale indicato dal d.p.r. n. 352 del 1988, e non
determinare un compenso per ciascuna delle stime effettuate, in quanto la pluralità delle valutazioni effettuate dal Ctu non esclude l’unicità
dell’incarico, e la conseguente unitarietà del compenso, ma rileva esclusivamente ai fini della determinazione giudiziale dell’ammontare del
compenso stesso, potendo costituire elemento di apprezzamento della complessità e del pregio dell’attività svolta dal professionista” (Cass.
174/2003)
PERIZIA COLLEGIALE
nel caso di perizia collegiale, il compenso è determinato sulla base di quello che sarebbe spettato al singolo
consulente, aumentato del 40% per ciascun componente del collegio.
155
ATTENZIONE:
DEVE ESSERE ESCLUSO IL DIRITTO AL COMPENSO del consulente IN TUTTI I CASI IN CUI LA SUA ATTIVITÀ NON SIA
NEPPURE ASTRATTAMENTE UTILIZZABILE NELL’AMBITO DEL PROCESSO, perché non conferente all’incarico
conferito o perché svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità
Cass. 234/2011: “Il diritto del consulente tecnico d’ufficio alla liquidazione del compenso non sussiste in tutti i casi in
cui la sua attività non sia neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perché non conferente
all’incarico conferitogli, giacché esso non trova fondamento in una disposizione dell’autorità giudiziaria, ai sensi
dell’art. 1 L. 319/19080 ed attualmente degli artt. 49 e ss. D.P.R. 115/2002, sia in quanto detta attività sia stata
svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità, non potendo qualificarsi come eseguite delle prestazioni
delle quali è vietato al giudice ed alle parti di giovarsi nel processo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che aveva liquidato il compenso al c.t.u. nonostante la declaratoria di nullità della consulenza per violazione
del principio del contraddittorio). (Cassa e decide nel merito, Trib. Brindisi, 20/05/2004)”.
Cass. 7632/2006: “In tema di compenso degli ausiliari del giudice, nel procedimento di opposizione al provvedimento
che liquida il compenso al consulente tecnico, ai sensi dell’art. 11 della 319/1980, non compete al giudice la
valutazione dell’influenza e dell’utilità della consulenza tecnica (il cui apprezzamento è riservato al giudice della
controversia in sede di cognizione del merito), bensì quella circa la rispondenza dell’opera svolta dall’ausiliario ai
quesiti postigli. Ne consegue che, nel caso in cui tutto l’elaborato debba ritenersi fuori d’opera rispetto al quesito, al
consulente non spetta alcun compenso”.
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COMPENSO PER SUPPLEMENTO DI PERIZIA
(ne abbiamo già parlato, ma qui ribadiamo)
Il supplemento non impone di regola ulteriori compensi,
• se esso è scaturito per il necessario chiarimento di inesattezze della relazione.
Il supplemento impone ulteriori compensi solo se volto
• ad una spiegazione del precedente giudizio tecnico, con illustrazione delle fasi e modalità dell’opera
svolta e con ulteriore dispendio di attività utile all’economia della causa;
• ad attività ulteriore ed estranea rispetto a quella già espletata e remunerata.
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REGIME DELLE SPESE
Sussiste il diritto al rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico, senza necessità di preventiva
autorizzazione del giudice, ma resta ferma il potere del giudice di valutare circa la reale necessità della spesa (art. 56
DPR n. 115/2002).
È prevista l’indennità di viaggio e di soggiorno, in caso di trasferta fuori dal luogo di residenza (art. 49).
Tuttavia la liquidazione non può essere effettuata secondo i criteri fissati per le trasferte dei funzionari dello Stato
dalla legge n. 417/1978, implicitamente richiamata dall’art. 55, 1° co., ma ora abrogata dalla L. n. 266/2006 (v. Cass.
18070/2012).
Le misure degli onorari previsti dagli artt. 50-56 DPR n. 115/2002 vigono anche per le spese relative alle attività
strumentali svolte dai prestatori d’opera di cui il CTU sia stato autorizzato ad avvalersi (Cass. 10978/2012).
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ALCUNE NOTAZIONI “PRE-CONCLUSIVE”
• In caso di omessa corresponsione del fondo spese al CTU da parte di chi sia stato onerato dal giudice, il CTU
non può rifiutarsi di svolgere l’incarico.
• Allo stesso modo, il CTU non può rifiutarsi di accettare l’incarico o di adempiere all’incarico ricevuto qualora il
giudice non disponga l’anticipo.
• La domanda di liquidazione delle spettanze degli ausiliari del giudice deve essere presentata a pena di
decadenza trascorsi cento giorni dal compimento delle operazioni (art. 71 comma 2 DPR n. 115/2002) e tale
norma non è costituzionalmente illegittima (Corte Cost. n. 306/2012).
Ciò significa che decorsi cento giorni dall’esecuzione dell’incarico, si decade dal diritto di presentare la
domanda di liquidazione.
• Ad un diverso livello, deve essere anche evidenziato che la responsabilità delle liquidazione e dei pagamenti
ordinati è dei magistrati e dei funzionari amministrativi.
Costoro sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle
loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa (art. 172 DPR n.
115/2002).
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SUGGERIMENTI PER LA PREDISPOSIZIONE
DELLA DOMANDA DI LIQUIDAZIONE
È consigliabile che la domanda contenga
- le informazioni utili sul procedimento (indicazioni del ruolo d’iscrizione, riferimenti delle parti, dei difensori
e le date delle relative udienze)
- la descrizione succinta delle varie fasi dell’incarico (ciò consentirà al Giudice di valutare e considerare,
concretamente, tutte le attività svolte dal CTU;
- il richiamo alle normative applicate per determinare l’onorario richiesto (tabelle allegate al D.M. 30 maggio
2002);
- la descrizione succinta dell’incarico, con indicazione delle eventuali difficoltà e particolarità incontrate del
mandato;
- il computo degli onorari (per il calcolo degli onorari, tabelle allegate al D.M. 30 maggio 2002 sugli onorari
fissi e variabili; per onorari a tempo, l’art. 4, Legge n. 319/1980, aggiornato ai sensi dell’art. 1, D.M. 30
maggio 20002). L’applicazione delle vacazioni qualora non sia stato possibile far ricorso alle tabelle o per
mancanza di riferimenti con cui determinare il valore della controversia.
- il computo dettagliato e delle spese. In riferimento alle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico, il
consulente deve indicare, nella sezione di calcolo, tutte le somme relative sia alle spese documentate
(producendo documenti di spesa in copia), sia a quelle non documentabili.
- Infine, dopo aver dettagliato, è opportuno inserire in conclusione un riepilogo indicando semplicemente
tutti gli importi.
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OPPOSIZIONE AL DECRETO DI LIQUIDAZIONE
Avverso il decreto di liquidazione delle spese a favore del CTU può essere spiegata opposizione, ex art. 170 DPR n.
115/2002, dalle parti, dal PM e dallo stesso perito.
Il procedimento è monocratico.
Contraddittori necessari sono tutte le parti (Cass. n. 23192/2012), che possono stare in giudizio personalmente,
nonché il Ministero della Giustizia laddove la liquidazione sia a carico dell’erario (Cass. n. 3312/2014).
Il procedimento è ora disciplinato dall’art. 15 D.Lgs. n. 150/2011 nelle forme del rito sommario di cognizione.
Il ricorso deve essere presentato di regola al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il Giudice che ha liquidato le
spettanze.
L’efficacia del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto disposto dall’art. 5 del decreto
medesimo.
L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
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IL TERMINE PER IMPUGNARE
A seguito della riformulazione del citato articolo 170 da parte del D.Lgs. n. 150, è stato abrogato il termine di venti
giorni previsto per l’opposizione e, quindi, per un certo periodo non è stato chiaro quale sia il termine di decadenza
per l’impugnazione.
Secondo la circolare del Ministero di Giustizia 7/11/2012 il termine dovrebbe essere di 30 giorni, così come previsto
per il rito sommario.
Va evidenziato tuttavia che la Corte di Cassazione (ord. 6652/2015) ha sollevato di ufficio la questione di
costituzionalità della disposizione (art. 170 DPR n. 115/2002) nella parte in cui non prevede più la decadenza
dell’interessato dalla proposizione della impugnazione nei venti giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Muovendo dalla considerazione che la previsione di un termine decadenziale non può ricavarsi in via interpretativa
dal sistema e che, dunque, l’art. 170 DPR 115/2002 non è suscettibile di una lettura costituzionalmente orientata, la
Suprema Corte ha ritenuto che le modifiche normative introdotte dal DLgs. n. 150/2011 sul punto, sarebbero
incostituzionali per eccesso di delega.
162
ATTENZIONE
La Corte costituzionale pochi giorni fa ha però dichiarato non fondato il predetto dubbio di costituzionalità.
Con la sentenza n. 106 del 12/5/2016, la Corte ha infatti ritenuto che, nell’interpretazione del sistema post D.Lgs.
150/2011, il decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario – emesso dal giudice che lo ha nominato – sia
impugnabile/opponibile nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento.
Non vi è dunque alcun vuoto normativo in materia.
E la ragione è da ricondurre ad una combinazione di rimandi legislativi per cui l’art. 15, 1° co., del d.lgs. n. 150 del
2011 dispone che le opposizioni ai decreti in tema di spese di giustizia «sono regolate dal rito sommario» (artt.
702bis e ss. c.p.c.) e, per il rito sommario, si prevede appunto che “il provvedimento adottato in prima istanza dal
giudice monocratico si consolidi in giudicato se non è appellato «entro trenta giorni dalla sua comunicazione o
notificazione»” (Corte costituzionale, sent. 106/2016).
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In ultimo, un’annotazione sulla la natura solidale del debito delle parti nei confronti del CTU.
Nei confronti del consulente stesso le parti sono tenute (di norma solidalmente) al pagamento del compenso
liquidatogli con il decreto ex art. 168 del citato DPR 115/2002.
Atteso che la prestazione del CTU è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è
resa, l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve
gravare solidalmente su tutte le parti del giudizio (Cass. nn. 6199/1996, 20314/2006, 23586/2008, 28094/2009).
Nel rapporto fra le parti ed il CTU si prescinde dunque dalla soccombenza che, invece, è un criterio valido per la
ripartizione delle spese del giudizio fra le parti. Da ciò si deduce che se anche il giudice, nel provvedere alla
liquidazione, abbia posto l’onere della relativa corresponsione in tutto o in parte a favore di una delle parti, questo
non esclude la natura solidale del debito di tutte le parti (anche quella vittoriosa) nei confronti del CTU.
L’eventuale ripartizione del compenso tra le parti è infatti rilevante solo ai fini del rapporto interno tra le stesse, e
quindi ai fini del regresso fra loro, ma non nei confronti del CTU.
Detto meglio: la regolamentazione definitiva nella sentenza per quanto concerne le spese del consulente tecnico
d’ufficio, ex artt. 91 e ss. c.p.c., ha efficacia solo tra le parti in causa.
Nel rapporto CTU-parti non è dunque rilevante il principio per cui in sede processuale, come riconosciuto dalla
Cassazione, il compenso del CTU non possa essere posto, nemmeno parzialmente, a carico della parte vittoriosa
(anche tale possibilità, tuttavia, può essere ammessa discrezionalmente dal Giudice, qualora motivata) (Cass.
6019/2015).
164
11. I COMPENSI SPETTANTI ALL’ESPERTO PER L’ATTIVITÀ SVOLTA NEL PROCESSO ESECUTIVO.
LE PRINCIPALI NOVITÀ INTRODOTTE DALLA L. 132/2015.
Anche in sede di esecuzione la liquidazione del compenso all’esperto deve essere effettuata in conformità alle norme
che disciplinano la liquidazione delle spettanze degli “ausiliari del magistrato” contenute nel TU delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (DPR 115/2002, artt. 49 e seguenti).
Come già visto, la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con D.M. del
Ministro della giustizia, di concerto con Ministro dell’economia e delle finanze.
Il compenso per le attività dell’esperto ai sensi dell’art. 173bis c.p.c. dovrebbe essere effettuato ai sensi dell’art. 13
delle tabelle approvate con D.M. 30 maggio 2002.
Tale articolo prevede la determinazione dell’onorario dovuto per “la perizia e la consulenza tecnica in materia di
estimo” mediante un calcolo da compiersi a percentuale tenendo conto del valore del bene stimato.
165
Poiché l’onorario dovrebbe ritenersi omnicomprensivo di tutte le attività funzionali a rispondere ai quesiti (stesura
della relazione, partecipazione alle udienze, sopralluogo), il calcolo del compenso compiuto ai sensi dell’est. 13
dovrebbe esaurire la liquidazione da compiersi in favore dell’esperto.
Va, però, evidenziato che l’esame dell’art. 173bis disp. att. c.p.c. rende palese come l’incarico conferito all’esperto
non si esaurisca nella stima del bene atteso che le indagini che quest’ultimo deve compiere travalicano la
determinazione del valore e sono complessivamente funzionali a redigere un documento informativo recante tutte
le notizie utili per la collocazione sul mercato dell’immobile.
Tali considerazioni giustificano la scelta, operata ormai in modo diffuso nella prassi, di integrare la liquidazione
dell’onorario di cui all’art. 13 del D.M. citato, con la liquidazione di un ulteriore compenso che, ove non sia
determinabile facendo riferimento a voci specifiche (cfr. art. 12 del DM 30/5/2002: determinazione dell’onorario per
la redazione del progetto planimetrico), può essere determinato utilizzando il criterio del tempo (con la utilizzazione
del sistema delle cd. vacazioni).
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LE PROBLEMATICHE CIRCA LA LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO IN CASO DI STIMA DI UNA PLURALITÀ DI IMMOBILI
È controverso come si debba procedere alla liquidazione del compenso nel caso di stima di una pluralità di immobili.
Un primo orientamento giurisprudenziale afferma che le pluralità delle operazioni di valutazione affidate al
consulente non esclude l’unicità dell’incarico e la conseguente unitarietà del compenso, ma rileva solo ai fini della
determinazione giudiziale del compenso a percentuale che deve essere stabilito con riferimento al valore
complessivo degli immobili.
Un altro orientamento sostiene tuttavia che all’esperto che abbia provveduto alla valutazione di una pluralità di cose
pignorate competano distinti onorari per ognuno degli importi stimati a meno che l’espletamento abbia richiesto
operazioni peritali puramente ripetitive.
La tesi che appare preferibile è però quella secondo cui il compenso dovrebbe essere liquidato con riferimento al
valore complessivo dei beni pignorati se questi ultimi hanno caratteri di evidente omogeneità.
Diversa soluzione può invece essere adottata se, per le particolari caratteristiche degli immobili o per la loro diversità
tipologica (ad esempio: pignoramento di abitazioni e di terreni), sia stato necessario porre in essere operazioni di
consulenza diversificate.
167
Sull’assetto dei compensi dell’Esperto è intervenuta la riforma del 2015 (decreto legge 83/2015, convertito con L.
132/2015).
Per quel che qui interessa, va sottolineato come sia stato aggiunto all’art. 161 disp. att. c.p.c. un terzo comma a
tenore del quale
“Il compenso dell’esperto e dello stimatore nominato dal giudice o dall’ufficiale giudiziario, è calcolato sulla
base del prezzo ricavato dalla vendita. Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in misura
superiore al cinquanta per cento calcolato sulla base del valore di stima”.
Tale disposizione applicabile a far data dal 27 giugno 2015 vara un principio (quello della determinazione del
compenso sulla base del prezzo ricavato dalla vendita) già introdotto da tempo nell’ambito della espropriazione
mobiliare così determinando la estensione della sua applicazione anche alla espropriazione immobiliare e presso
terzi.
L’art 518, 3° co., c.p.c., come riformulato a decorrere dal 1° marzo 2006, prevede infatti che il giudice dell’esecuzione
nel liquidare i compensi all’esperto incaricato di stimare i beni mobili rinvenuti dall’ufficiale giudiziario nei luoghi
appartenenti al debitore debba tener conto dei valori di effettiva vendita o assegnazione dei beni.
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Ciò posto, è agevole individuare i problemi connessi all’adozione di un criterio siffatto.
D’alta parte, è sicuramente altrettanto agevole individuare le esigenze che sono alla base di una tale scelta
normativa. L’art 161 disp. att. c.p.c., per come riformulato, ha infatti la precipua finalità di disincentivare stime
irrealistiche, scongiurando il rischio che l’esperto, incaricato dal giudice, indichi un valore degli immobili oggetto di
procedura superiore al reale valore di realizzo nell’ambito di una vendita forzata.
Una stima irrealistica comporterebbe un evidente pregiudizio per il processo che dovrebbe protrarsi per lungo
tempo in attesa che il prezzo di vendita possa raggiungere il valore effettivo del bene.
Peraltro gli eventuali effetti distorsivi di stime errate possono essere evitati dallo stesso giudice dell’esecuzione che
conserva il potere di effettuare una valutazione critica dell’operato dell’esperto poiché, in ultima analisi,
spetta a lui, ai sensi dell’art. 568 c.p.c., la determinazione definitiva del valore dell’immobile sulla base non solo degli
elementi forniti dall’esperto ma anche di quelli evidenziati dalle parti (e dai loro consulenti).
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Deve peraltro essere osservato che il criterio dettato dall’art. 161, 3° co., disp. att. c.p.c., riguarda unicamente i
processi che si chiudono con la vendita del bene pignorato e con la distribuzione del ricavato.
In tutti gli altri casi (conversione, estinzione, chiusura anticipata della procedura), pur in mancanza di una
disposizione specifica, la liquidazione del compenso all’esperto non può che essere operata sulla base della stima
effettuata dallo stesso esperto.
Una situazione particolare può verificarsi in presenza di una istanza di conversione poiché il giudice, in sede di
determinazione della somma da versare in conversione, non può che determinare il compenso sulla base del
valore stimato dall’esperto salvo dover poi eventualmente revocare il provvedimento e rideterminare il compenso
nel caso in cui il debitore decada dal beneficio dell’art. 495 c.p.c. e si debba procedere alla successiva vendita del
bene all’esito della quale il valore di realizzo potrebbe discostarsi da quello di stima.
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Anche rispetto a questa modifica normativa deve osservarsi che, se la finalità di accelerare la durata del
procedimento esecutivo è certamente meritevole di apprezzamento, il pregiudizio cui si espone il processo potrebbe
essere anche superiore a quello che astrattamente si prefiggeva di evitare.
L’art. 161, 3° co., disp. att. c.p.c., aggiunge peraltro che “Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in
misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima”.
Il differimento della liquidazione definitiva del compenso dell’esperto nell’ambito della espropriazione immobiliare
potrebbe, tuttavia, essere foriero di conseguenze pregiudizievoli per la diversità dei parametri di riferimento per la
liquidazione dell’acconto e per la liquidazione del saldo.
Il giudice dell’esecuzione potrebbe così essere chiamato a tornare più volte sulla liquidazione del compenso
all’esperto adottando, in un primo momento, un decreto di liquidazione provvisorio ragguagliato alla metà del
compenso che spetterebbe sulla scorta dei parametri individuati dal riferimento al valore stimato nella relazione e, in
seconda battuta, essere costretto ad emanare un ulteriore decreto per la differenza da ragguagliarsi al valore
effettivo di aggiudicazione.
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