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EURAC book 56
L’uomo nell’ecosistema:
una relazione bilanciata?
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Accademia Europea Bolzano
Viale Druso, 1
39100 Bolzano
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autorizzata soltanto con la citazione della fonte
(titolo e edizione).
Direttore responsabile: Stephan Ortner
Curatori: Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Chiara Maria Stella
Foto e immagine inizio capitoli: Uta Schirpke, Roberta Bottarin
Coordinazione: Roberta Bottarin, Uta Schirpke
Stampa: Esperia srl, Lavis (TN)
Contatto:
Istituto per l’Ambiente Alpino
Viale Druso, 1
39100 Bolzano
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Si ringrazia la Provincia Autonoma di Bolzano Agenzia provinciale per l’Ambiente
per il contributo finanziario.
ISBN 978-88-88906-55-3
L’uomo nell’ecosistema:
una relazione bilanciata?
XIX Congresso della Società Italiana di Ecologia
“Dalle vette alpine alle profondità marine”
Bolzano, 15-18 settembre 2009
Volume 1
Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Ulrike Tappeiner
in collaborazione con la Società Italiana di Ecologia
2010
Contenuto
Editorial advisors
9
Prefazione
10
Introduzione
11
Tavole Rotonde
13
Ecosystem Services Partnership, verso la costituzione di un gruppo italiano
(Alessandro Gretter)
15
Ecologia e produzione idroelettrica a confronto (Luca Dal Bello & Bruno Maiolini)
19
Pattern spaziali e processi ecologici
23
Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea:
sinergia fra ricerche in campo ed analisi satellitari
(Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola)
25
Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia
mediterranea: relazioni con alcune caratteristiche fogliari
e con la qualità della lettiera (Anna De Marco et al.)
37
Late spring decomposition rates in a second order stream: assessing
relationships among breakdown rates, decomposer diversity and
substrate morphology (Gina Galante et al.)
45
An instrument to assess the agro-ecological value of the
Lombardia plain (Northern Italy) from land-cover cartography:
preliminary results (Marta Maggi et al.)
59
Alpine-wide delineation of the potential treeline (Caroline Pecher et al.)
71
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della
taglia corporea sul processo di decomposizione fogliare in microcosmi
di laboratorio: quanto contano realmente le specie? (Angela Pluchinotta et al.)
77
A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System to monitor
climate aridity and drought in Mediterranean area (Luca Salvati et al.)
89
Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera:
una metodologia basata su parere esperto e immagini LiDAR
(Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato)
97
Premio Marchetti – Wolf prey selection and food availability in the
multi-prey ecosystem of Majella National Park, Abruzzo (Azzurra Valerio et al.)
105
Impatto antropico: effetto di disturbo o di controllo?
121
The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison
between Italy and Germany (Roberta Aretano et al.)
123
Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano:
nuove prospettive (Elisa Carraro et al.)
131
La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione
in ambito turistico (Valentina Castellani & Serenella Sala)
139
Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi
della Lombardia (Giulia Fiorese et al.)
149
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria: Governance sostenibile
e resilienza dei sistemi socio-ecologici (Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi)
159
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
(Rosalba Padula & Linda Cingolani)
169
Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato
(Lucia Porzio)
181
Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas
to quantify and monitor the human impact on biodiversity
(Francesco Rovero & Ruth DeFries)
189
The effectiveness of different management policy to support
the Natural Capital (Teodoro Semeraro et al.)
197
The integrated information system on water supply and wastewater
services: the Italian experience in the urban water survey
(Stefano Tersigni et al.)
205
The management of the marinas in the context of environmental security
(Donatella Valente et al.)
213
Come apprezzare i “servizi” offerti dagli ecosistemi?
6
221
Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali:
un caso di studio nel comune di Trento (Maria Giulia Cantiani et al.)
223
Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie
di sostenibilità (Maria Angela Cataldi et al.)
231
Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino,
caso della Val di Ledro (TN) (Alessandro Gretter et al.)
241
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente
lagunare (mangrovieto) delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico
(Bruno Menale et al.)
249
Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici nel Parco Naturale
Regionale “Litorale di Ugento” (Lecce, Italia) (Nicola Zaccarelli et al.)
259
Educazione ambientale oggi
269
Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze
in ambiente mediterraneo (Lucia Fanini et al.)
271
Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici
(Annastella Gambini et al.)
279
Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici
(Annastella Gambini et al.)
289
Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo
di conto (Giovanna Ranci Ortigosa et al.)
297
Ecologia: raccontami la storia del mio futuro
(Serenella Sala & Valentina Castellani)
307
Autori
315
7
Editorial advisors
Marco Abbiati – Università di Bologna in Ravenna
Antonella Bachiorri – Università di Parma
Alberto Basset – Università del Salento
Roberto Bertoni – CNR sede di Verbania
Ferdinando Boero – Università del Salento
Roberta Bottarin – Accademia Europea di Bolzano
Simona Castaldi – Seconda Università di Napoli
Roberto Danovaro – Università Politecnica delle Marche
Carlo Gaggi – Università di Siena
Bruno Maiolini – Istituto Agrario San Michele all’Adige
Antonio Mazzola – Università di Palermo
Marco Moretti – Swiss Federal Research Institute
Roland Psenner – Università di Innsbruck
Nico Salmaso – Istituto Agrario San Michele all’Adige
Massimo Tagliavini – Università di Bolzano
Ulrike Tappeiner – Accademia Europea di Bolzano/Università di Innsbruck
Pierluigi Viaroli – Università di Parma
Vito Zingerle – Museo Scienze Naturali di Bolzano
Giovanni Zurlini – Università del Salento
9
Prefazione
Dr. Luigi Minach*
Lasciando ai ricercatori della Società Italiana di Ecologia, delle Università nazionali ed estere, dei Centri di Ricerca e delle Agenzie per la protezione dell’ambiente il compito di indagare, nel corso del XIX congresso della S.It.E, sull’inluenza delle scale temporali e spaziali sugli ecosistemi, mi piace far notare come già la scelta di
Bolzano quale luogo per il congresso sia la dimostrazione tangibile di come tempo,
spazio, ecologia siano intrinsecamente collegati.
L’Alto Adige, terra di montagna, regione alpina, in epoche lontanissime era
un grande mare: Le Dolomiti altro non sono infatti che barriere marine tropicali, testimonianza originale della presenza del mare in questa terra. Ma non solo le rocce
testimoniano tale passato, anche la presenza di lora subtropicale in valli laterali della
provincia lasciano immaginare climi e geograie diversi dagli attuali.
L’Alto Adige è inoltre dimostrazione “vivente” di come cambiamenti locali
possano inluire a livello globale, penso ad esempio all’introduzione di tecniche costruttive di risparmio energetico di casaclima, alle piccole centrali di teleriscaldamento a biomassa locale ino alla sensibilizzazione degli abitanti di questo piccolo territorio verso stili di vita che tengano conto della limitata capacità di carico degli
ecosistemi alpini. Questi approcci locali, che per la loro limitata area d’inluenza potrebbero apparire di scarsa eicacia in un’ottica globale, hanno invece attraversato i
conini fondendosi e integrandosi con comportamenti e politiche ambientali virtuose di altre realtà.
Tenere insieme tempo, spazio, ecologia e sviluppo umano: una sida immane,
da afrontare a piccoli passi (minime distanze), a lungo termine (ragionare e procedere per tempi lunghi), con la conoscenza e rispetto di tutti gli ecosistemi interessati
dai processi messi in atto dalla specie umana (sostenibilità da parte della terra nel
tempo e nello spazio dell’umanità del Nord e del Sud).
Una sida non impossibile, anche il mare in Alto Adige in fondo sembrava
impossibile! Come Agenzia provinciale per l’ambiente abbiamo fatto nostri nel tempo questi compiti: conoscenza degli ecosistemi, monitoraggio dei parametri di qualità ambientali, misura dell’impatto delle attivita umane, ricerca ed adozione di misure di riduzione di tali impatti, sensibilizzazione verso uno stile di vita sostenibile.
* Direttore di Ripartizione dell’Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano
10
Introduzione
Roberta Bottarin*
I sistemi ecologici sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità sia spaziale
che temporale. La scala temporale condiziona tutta l’ecologia, la descrizione dei suoi
fenomeni, delle sue leggi, la vita delle specie. Il tempo va inteso, nel contesto ecologico, come velocità di cambiamento: non è l’estinzione di una specie che ci dovrebbe
preoccupare (le specie si sono sempre estinte…), ma la velocità con la quale essa avviene. Non è la crescita di una popolazione di alghe che ci deve fare allarmare, ma la
velocità con la quale queste si moltiplicano. Non è il cambiamento climatico che ci
deve fare rilettere, ma il fatto che ciò si veriichi ad un ritmo incalzante.
L’incorporazione della scala spaziale e temporale nelle teorie, nei modelli e nei
disegni di campionamento ci ha permesso negli anni di incrementare la nostra conoscenza di come la dinamica delle popolazioni e le interrelazioni fra specie rispondono
ai cambiamenti dell’ambiente, siano essi isici, quali la temperatura, o biologici, quali le relazioni preda-predatore.
I recenti passi avanti fatti in ambito tecnologico, software sempre più soisticati, tecniche analitiche sempre più speciiche hanno permesso di acquisire ed elaborare un numero sempre maggiore di dati, nonché di sviluppare modelli di processi
ecologici a varie scale spaziali e temporali. Le interrelazioni fra scala spaziale e temporale e la loro scelta appropriata negli studi ecologici rimangono spesso una sida
per gli ecologi.
Il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Ecologia ha voluto mettere in risalto l’importanza delle scale temporali e spaziali nell’ecologia e dimostrare
come queste possano fornire informazioni utili per comprendere e migliorare la gestione degli ecosistemi nella loro complessità.
* Coordinatrice Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC
11
Tavole Rotonde
Ecosystem Services Partnership,
verso la costituzione di un gruppo italiano
Alessandro Gretter
Hanno aderito circa 26 persone in rappresentanza di 11 diverse istituzioni
(Università del Salento, EURAC research, Università degli Studi di Trento, Università di Salerno, Ökoinstitut Bolzano, Istituto Federale Svizzero WSL, University of
Manitoba (Canada), IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund
Mach, Università di Urbino, Università di Milano Bicocca, Università de L’Aquila).
Rocco Scolozzi (IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach) fa un veloce excursus rispetto alle motivazioni che hanno portato alla
creazione di questa tavola rotonda, nata come spunto dai partecipanti del corso
“Conference on Modelling Ecosystem Service – MIMES” (www.mes2009.it) svoltosi ad Acaya (Lecce) nel maggio 2009.
Il prof. Giovanni Zurlini (Università del Salento) illustra la Ecosystem Services Partnership, di recente costituzione, ed il processo storico legato agli ecosystem
services ed alle inalità che una loro identiicazione e valutazione possono avere in
una prospettiva di conservazione degli ecosistemi stessi. La prospettiva attuale e futura è di comprendere le interferenze e raggiungere un maggior dettaglio di accuratezza anche nell’ottica di giungere ad una nuova elaborazione del Millennium Ecosystem Assessment con un dettaglio di scala inferiore a quello globale dove si possano
correggere i grossi limiti della precedente edizione. Per il contesto nazionale si auspica un processo “top-down” che sia in grado di porre in evidenza le molteplici speciicità caratterizzanti il territorio italiano. Viene poi visionato il sito uiciale della
Ecosystem Services Partnership (www.es-partnership.org) del quale la Dr. Irene
Petrosillo (Università del Salento) illustra alcune sezioni.
Il prof. Zurlini dichiara la disponibilità dell’Università del Salento a ricoprire
il ruolo di “focal point” per l’Italia, con la possibilità di accedere ad una serie di dati
condivisi, di fare circolare una newsletter attraverso l’iscrizione ad una mailing-list
rivolta a chi darà una dimostrazione di interesse, eventualmente anche attraverso
15
l’adesione diretta alla partnership internazionale. Il tutto in un’ottica di “valorizzare”
le informazioni e i dati raccolti ed elaborati in Italia sul tema degli ecosystem services.
Viene fatto un breve giro di presentazione dei partecipanti alla tavola rotonda,
mettendo in evidenza anche i temi di maggiore interesse e l’ambito spaziale di riferimento. Segue l’elenco dei partecipanti:
Cognome, nome
Organizzazione
Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse
Aretano Roberta
Università del Salento
Mappatura della percezione dei servizi
ecosistemici
Burlando Catie
Università di Manitoba, Canada
Biodiversità, CO2 sequestration,
trade-ofs social-ecological systems,
agricoltura sostenibile/agrobiodiversità,
polices developmentt
Cantiani Maria Giulia
Università di Trento – Dip di Ingegneria
Civile ed Ambientale
Coscieme Luca
Università degli studi de L’Aquila
Deutsch Nathan
Università di Manitoba, Canada
Carbon, biodiversity, common property,
community-based management
Disabatino Antonio
Università degli studi de L’Aquila –
Dip. Scienze Ambientali
Acque interne
Ferrari Marika
Università di Trento
Geneletti Davide
Università di Trento Facoltà di
Ingegneria
Gerosa Giacome
Università di Brescia
Goio Ilaria
Università di Trento –
Dip. di Economia
Funzione produttiva, protettiva, ricreativa
culturale, ecologica
Gretter Alessandro
IASMA Research and Innovation
Centre Fondazione Edmund Mach
Carbon, biodiversity, common property,
community-based management
Ianni Elena
Università di Trento Facoltà di
Ingegneria
Approccio eco sistemico, patrimonio
culturale, percezione, sostenibilità a livello
di comunità
Moretti Marco
Swiss Federal Research Institute WSL
(Svizzera)
Qualità di vita, valore ecologico
(habitat per specie), valore culturale
Notarnicola Claudia
EURAC research, Bolzano, Istituto per
Telerilevamento Applicato
Orsatti Cristina
IASMA Research and Innovation Centre Social/Human systems
Fondazione Edmund Mach
16
Applicazione alla Valutazione Ambientale
Strategica e pianiicazione territoriale
Cognome, nome
Organizzazione
Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse
Pecher Caroline
EURAC research, Bolzano, Istituto per
l’Ambiente Alpino
Petrosillo Irene
Università del Salento
Valutazioni del capitale naturale
Sala Serenella
Università degli Studi di Milano Bicocca
tutti
Santolini Riccardo
Università di Urbino
Bacini idrogeograici, boschi, zone umide
Schirpke Uta
EURAC research, Bolzano, Istituto per
l’Ambiente Alpino
Indicatori, cambiamenti ambientali e
valutazione
Scolozzi Rocco
IASMA Research and Innovation Centre A scala di paesaggio, tutti
Fondazione Edmund Mach
Semeraro Teodoro
Università del Salento
Smiraglia Daniela
Università di Salerno – Dip. di Scienze
Economiche e Statistiche
Tappeiner Ulrike
EURAC research, Bolzano, Istituto per
l’Ambiente Alpino & Università di
Innsbruck (Austria)
Production, recreation, provision,
biodiversità, scale issues
Valente Donatella
Università del Salento
Analisi di rischio dei servizi ecosistemici
Vecchiotti Filippo
Ökoinstitut Südtirol, Alto Adige
Impronta ecologica di realtà aziendali,
energie rinnovabili
Zaccarelli Nicola
Università del Salento
Supporting, cultural
Zubaryeva Alyona
Università del Salento
Zurlini Giovanni
Università del Salento
Mappatura dei servizi ecosistemici
Ecosystem services providers e disturbo nei
sistemi socio-ecologici alle diverse scale
Viene data lettura del programma provvisorio del workshop sugli Ecosystem
Services (intitolato “Solutions for sustaining Natural Capital and Ecosystem Services: Designino Socio-Ecological Institutions”) che si svolgerà a Salzau il 7-10 giugno 2010, cercando di evidenziare quale potrebbe essere il tema su cui presentare
una proposta italiana collettiva. Rispetto al tema “Designing socio-ecological institutions” viene evidenziato che diviene necessario fornire degli strumenti a favore delle
istituzioni. La pianiicazione è molto importante in quanto sono scelte che vengono
prese e che hanno una valenza molto lunga; appare rilevante che bisogna pensare alla
pianiicazione anche in un contesto globale di cambiamento. Una comprensione degli ecosystem services può rappresentare così una modalità per migliorare la comunicazione ed uno strumento di supporto fondamentale per la pianiicazione (planning
through Ecosystem Services).
Dalla discussione emerge che deve essere raforzato il legame tra biodiversità,
funzioni ecosistemiche e servizi ecosistemici, una maggiore conoscenza appare neces-
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saria specialmente sul primo legame e diviene importante capire le percezioni delle
popolazioni. Appare opportuno issare delle soglie, facendo divenire così rilevante il
collegamento tra il capitale sociale ed il capitale naturale e la comprensione ed inclusione delle conoscenze indigene/locali. Un argomento sotteso ma cruciale che emerge relativamente agli Ecosystem Services è quello dell’individuazione dei c.d. providers, usualmente connessi alle tipologie di habitat.
La tavola rotonda si conclude con la proposta operativa di veriicare le tempistiche per la deinizione dei contenuti di Salzau 2010 e tra i partecipanti di visionare
ed eventualmente proporre ulteriori o modiicare i temi contenuti nel primo draft di
programma. Alla luce di quanto sopra si propone allora, come gruppo Italiano, di
veriicare la possibilità di aggiungere una sessione per il Convegno di Salzau.
Per contatti ed informazioni: [email protected].
18
Ecologia e produzione idroelettrica
a confronto
Luca Dal Bello & Bruno Maiolini
Quanto mai attuale risulta l’importanza dell’energia idroelettrica e la sua spesso contrastante posizione rispetto all’ecologia. Il rapporto tra l’utilizzo idroelettroenergetico della risorsa acqua e le ricadute in ambito ecosistemico di questa particolare tipologia di gestione idrica, fonte energetica rinnovabile tanto importante quanto
spesso sottovalutata sono state argomento centrale di una della tavole rotonde del
congresso. Si tende infatti a dimenticare che, con una potenza idroelettrica di circa
17.623 MW distribuita tra 2.184 impianti, l’idroelettrico costituisce il 73,9 % di
tutta la potenza rinnovabile oggi installata in Italia, collocando il nostro paese al terzo posto in Europa, dietro solo a Svezia e Francia, in termini di energia prodotta da
idroelettrico. Gli impianti adibiti alla produzione idroelettrica sono ormai una realtà
consolidata del territorio alpino costituendo oltre all’indubbia utilità quale riserva
della risorsa acqua anche funzioni sociali e turistico-ricreative, sia a livello nazionale
sia nei vari ambiti locali. I bacini artiiciali instaurano infatti complesse interrelazioni
fra le speciiche e concrete esigenze antropiche per i quali questi sono richiesti, le rispettive scelte costruttive le diverse caratteristiche del territorio che li accoglie e le
specie viventi che vi si devono adattare.
Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse ecologico e ad una
crescente e difusa sensibilità per questi ecosistemi artiiciali interessati dalla iliera di
produzione idroelettrica, la cui gestione è regolata da normative europee e locali e la
cui fruizione ecologica e sociale è stata valorizzata da un crescente impegno che i vari
soggetti (agenzie per l’ambiente, istituti di ricerca e gestori degli impianti) pongono
nei confronti di questi sistemi idrici.
Il confronto tra le diverse esperienze singolarmente maturate nelle due Provincie Autonome di Trento e Bolzano ha rimarcato l’esigenza di raccordare le rispettive conoscenze e ha evidenziato una debole interazione tra comunità scientiica da
un lato e amministratori locali e gestori degli impianti dall’altro, sottolineando la necessità di estendere la discussione su questi sistemi e di raccogliere suggerimenti ed
informazioni in modo da poter comprendere maggiormente l’entità dell’ampio scenario di problematiche, inora accennate o afrontate in modo parziale.
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Per questi motivi la tavola rotonda ha posto in essere un utile occasione per
illustrare e sintetizzare i risultati in qui raggiunti da diversi progetti di ricerca attuati nelle Province Autonome di Bolzano e di Trento e cercare quel dialogo tra realtà
spesso erroneamente poste in contrapposizione: gli ecologi e i gestori della risorsa acqua. Un dialogo che, come ribadito nelle fasi introduttive dell’incontro, è “volto a
conciliare la necessità di mantenere i beneici e beni derivanti dagli ecosistemi acquatici con l’opportunità socio-economica di produrre energia idroelettrica”.
Tra i partecipanti, oltre al gruppo di lavoro del dottor Bruno Maiolini, occorre sottolineare la presenza dell’ing. Marina Maestri e dell’ing Stimpl dell’Azienda
Elettrica Ae-Ew, responsabile degli impianti di Senales, Vernago e Tell, in veste di
rappresentanti dei gestori degli impianti.
Per l’amministrazione provinciale di Bolzano erano presenti all’incontro la
dott.ssa Alberta Stenico, direttrice d‘uicio del laboratorio biologico provinciale
dell’Agenzia per l’ambiente e il p.i. Danilo Tait, sostituto direttore, nonché la dott.
ssa Renate Alber e la dott.ssa Birgit Lösch. Per l’uicio tutela acque era presente la
dott.ssa Barbara Vidoni. Gradita anche la presenza anche di rappresentanti della fondazione Edmund Mach, tra i quali occorre ricordare il dott. Andrea Zignin e la dott.
ssa Monica Tolotti.
La tavola rotonda si è aperta con una relazione del dottor Luca Dal Bello che
ha brevemente riassunto i risultati dei suoi studi condotti sui tre principali invasi artiiciali della Provincia Autonoma di Bolzano (nello speciico gli invasi di Resia, Senales e Zoccolo), evidenziando come dal punto di vista limnologico, per gli invasi
studiati in ambito altoatesino, le comunità biologiche presenti mostrino una monotonia minore diversità e una ridotta strutturazione rispetto ai corrispettivi laghi naturali e che la gestione idraulica (di tipo idroelettrico) risulti per queste comunità
relativamente ininluente in quanto il driver principale sembra essere la ricarica naturale (piovosità) anziché il prelievo operato dalle aziende.
Risalto è stato dato alla normativa vigente (europea, nazionale e i vari recepimenti in ambito locale) e alla necessità di ampliare gli studi di questi ambienti, non
trascurando l’intero corpo lacustre, data la complessità intrinseca del sistema in oggetto, con immissari estendo provenienti anche daaltre vallate e con uscite collocate
più a fondovalle dell’impianto.
Il successivo intervento del dottor Maiolini ha spostato l’interesse sui rilasci
operati dalle centrali idroelettriche, illustrando il fenomeno dell’Hydropeaking a carico delle centrali idroelettriche e sottolineando come gli obiettivi legati alla produ-
20
zione di energia idroelettrica assumono una nuova rilevanza, soprattutto in questo
momento di recepimento delle normative europee.
Sono stati proposti possibili scenari futuri e soluzioni a questo problema,
come ad esempio l’utilizzo di canali dove far deluire l’acqua turbinata o la realizzazione di opere di raccolta e successivamente di ripompaggio nel serbatoio recettore.
L’ultimo intervento è stato aidato all’ ing. Stimpl e alla ing. Maestri che,
dopo una breve presentazione della società AE-EW e delle sue competenze, hanno
esposto il loro punto di vista in qualità di amministratori di impianti idroelettrici,
evidenziando come molti dei problemi che i gestori si trovano ad afrontare vengono
spesso sottodimensionati o sono addirittura sconosciuti sia all’amministrazione pubblica sia soprattutto alla comunità scientiica. In particolar modo è stato posto l’accento su come il recepimento di alcune normative sia nazionali che locali vada ad
inluire non solo sulla riduzione di produzione ma che il loro peso vada a ricadere
inevitabilmente su tutta la collettività e sul consumatore in ultima istanza. Riferendosi ai rapporti con l’amministratore pubblico è stato espressa una richiesta di maggior chiarezza da parte degli organi istituzionali nel delineare il grado di responsabilità cui sono chiamati i gestori, che molte volte si sentono esclusi dalle decisioni
prese in merito alla problematica idroelettrica. Inine è stato rimarcato l’indubbia
competitività dell’idroelettrico quale fonte energetica rinnovabile, soprattutto nel
contesto territoriale locale (Bolzano e Trento).
L’evento ha permesso un primo incontro tra soggetti che raramente hanno la
possibilità di confrontarsi direttamente Vi è stata un’ampia condivisione nel ritenere
che la tematica in questione necessiti di un maggior impegno da parte di tutti i soggetti interessati e nella necessità di porre in essere, a breve termine, nuove forme di
cooperazione in modo da poter intraprendere un processo di perfezionamento e di
sintesi della rispettive esperienze maturate. La necessità di ampliare il bagaglio conoscitivo relativo a questi sistemi idrici permetterebbe un vantaggio in previsione anche
di futuri aggiornamenti normativi, favorendo una riqualiicazione di questa forma
energetica, che ancora risulta la più competitiva (anche in termini ecosistemici) rispetto a nuove forme di energie rinnovabili che attualmente non sono ancora in grado di fornire il necessario contributo in termini di potenza erogata o che sono ancora in una fase di post-sperimentazione.
21
Pattern spaziali
e processi ecologici
Analisi della biodiversità
nell’Ecoregione mediterranea: sinergia fra
ricerche in campo ed analisi satellitari
Biodiversity analysis in the
Mediterranean Eco-region: synergy of
ground and satellite monitoring
Roberto Cazzolla1* & Claudia Notarnicola2
1
WWF (Fondo mondiale per la Natura) Italia, IUCN (Unione mondiale per la conservazione
della Natura), via Marconi 4, 70023 Gioia del Colle (BA)
2
Istituto di Telerilevamento Applicato, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano
*[email protected]
Abstract
Questo lavoro presenta i risultati preliminari dell’analisi fra la biodiversità rilevata al
suolo e le caratteristiche del territorio in termini di uso del suolo (Land cover) e relative
variazioni temporali (Land change). L’area oggetto di studio copre una supericie di
circa 400 km2 ed appartiene all’Ecoregione Mediterraneo Centrale (Puglia), costituita
da aree boschive principalmente formate da boschi di latifoglie (querce) in forme
strutturali diferenti, da quella complessa (vegetazione arborea ed arbustiva) a quella
di pascolo arborato. Vi è, inoltre, una notevole estensione di macchia mediterranea,
con prevalenza di arbusti e garìga, con cespugli spesso isolati. Eccezionale in queste
aree è la ioritura di Orchidee.
All’analisi tramite rilievi al suolo (ricerche in campo, accompagnate da analisi di
laboratorio) che hanno anche previsto l’uso della tecnologia GPS per la georeferenziazione dei punti (hot spots) e dei transetti, è stato unito un monitoraggio efettuato
con dati satellitari ottici (immagini LANDSAT) per la valutazione dell’evoluzione e
del cambiamento dell’uso del suolo nell’arco degli ultimi 30 anni.
Introduzione
Questo lavoro di ricerca si inserisce all’interno dello studio quadro sulle 200
Ecoregioni della Terra ed, in scala nazionale (Bulgarini, 2007), sull’Ecoregione mediterranea (ERC Med). L’Ecoregione mediterranea è stata individuata tra i Global 200
come una delle aree a maggiore presenza di biodiversità (Purvis & Hector, 2007).
25
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
All’interno del territorio italiano, il WWF ha individuato le Aree Prioritarie di Conservazione di habitat naturali meritevoli di particolari tutele. Tra queste aree è stata
individuata la macroarea delle Murge e Valli luviali lucane (Provincia di Taranto,
Bari e Potenza).
L’area prioritaria, in territorio pugliese, si estende nelle due province di Bari e
Taranto, occupando i tavolati carbonatici e le aree collinari di Minervino Murge,
Gioia del Colle (De Libero, 1997), Martina Franca e Mottola. L’area delle Murge
ospita una ricca fauna entomologica legata agli ambienti aridi (Cazzolla, 2007), nonché moltissime specie ornitiche di interesse europeo, tra cui: Grillaio, Capovaccaio,
Nibbio reale, Occhione, e molti passeriformi. I principali fattori di interferenza con
la biodiversità sono l’inquinamento delle acque dei corpi idrici dell’area, i fenomeni
di erosione costiera nell’ambito dell’arco ionico, il rischio desertiicazione in vaste
aree della Puglia e della Basilicata a causa di fattori diversi, tra i quali deforestazione,
lo sfruttamento intensivo del terreno e delle risorse idriche e l’applicazione di pratiche agropastorali improprie, con conseguente degradazione e perdita di fertilità del
suolo ed il rischio incendi boschivi che contribuisce all’accelerazione della desertiicazione. In questo contesto, appare evidente come la rilevazione al suolo delle biodiversità delle specie deve essere accompagnata da uno strumento, come il dato satellitare (Corsi, 2004), che possa fornire una visione sinottica nello spazio e nel tempo
del territorio. A questo scopo, sono realizzate mappe dettagliate di copertura del suolo e di relativi cambiamenti negli anni per le principali classi vegetazionali presenti
sul territorio. I dati satellitari utilizzati in questo lavoro coprono l’arco degli ultimi
30 anni e sono stati acquisiti dai sensori multispettrali montati a bordo dei satelliti
LANDSAT che presentano una risoluzione variabile fra 60 m e 30 m.
L’obiettivo primario della ricerca è di individuare gli indicatori legati alla diversità biologica, con l’uso sinergico di immagini satellitari, in termini di uso del
suolo e rispettive variazioni temporali e rilievi in campo. Partendo da questo obiettivo, uno dei primi risultati è stato il calcolo di un indice di rarità delle varie classi di
uso del suolo e di correlarlo alle specie rare rilevate al suolo. É stata altresì realizzata
una possibile mappa di corridoi ecologici necessari per riconnettere i diferenti biomi. Ulteriori analisi dei hanno portato a redigere checklist della biodiversità; individuare gli areali di distribuzione e gli habitat; scoprire specie ritenute localmente
estinte e fortemente minacciate; rilevare i cambiamenti stagionali e temporali della
diversità speciica ed ecosistemica, rispettivamente; fornire una guida per le politiche
di conservazione del territorio (Cazzolla, 2009).
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Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea
L’approccio presentato per la valutazione della biodiversità si presta ad essere
estesa ad altre aree dell’ERC Mediterraneo.
Area di studio e metodologia
L’area oggetto di questo studio interessa i territori che dal centro focale individuato nel Comune di Gioia del Colle (BA) si espandono verso Turi, Acquaviva e
Sammichele a nord, Putignano e Noci (BA) ad est, Laterza, Castellaneta e Mottola
(TA) a sud e Matera e Santeramo (BA) ad ovest ed è stata individuata come area
campione per l’applicazione delle tecniche sperimentali, utilizzate in questa ricerca.
Le attività di ricerca sono state suddivise in 5 fasi, per una durata di quasi tre
anni:
Fase 1_ Sono state sfruttate le informazioni derivanti da immagini satellitari
LANDSAT ad alta risoluzione (da 60 m a 30 m di risoluzione) in combinazione con
ortofoto (0,5 m di risoluzione) per individuare i siti che sarebbero poi diventati i
luoghi per le analisi in campo. In questa fase iniziale, le immagini e le ortofoto sono
state utilizzate principalmente per individuare le aree dei rilievi in base all’uso del
suolo. Sono state selezionate aree boschive, di macchia mediterranea, di pascolo steppico, di murgia e di garìga che garantissero una discreta conservazione in termini
biologici ed, allo stesso tempo, fossero rappresentative dei vari biomi che compongono il mosaico di paesaggi che contraddistingue il territorio oggetto di studio.
Fase 2_ Sono state realizzate 3 campagne di ricerca per ogni luogo individuato, al ine di rilevare i mutamenti degli ambienti e le variazioni della biodiversità durante ogni stagione dell’anno. Si è individuato un transetto in base al metodo dei
quadrati casuali di Pielou (Pielou’s pooled-quadrat) e durante la fase di campagna
sono stati identiicati e catalogati tutti i dati biologici (lora, fauna, distribuzione delle specie, indicatori di qualità, minacce, ecc.), biometrici, geologici e geomorfologici
(Ivone, 2002) che caratterizzavano l’area oggetto di studio mediante rilevo diretto,
con determinazione acustico-visiva delle specie da parte di esperti ed indiretto mediante l’utilizzo di fototrappole, trappole ad esca, riconoscimento delle tracce (fatte,
borre, ossa, orme, ecc.). Sono stati prelevati campioni biologici e geologici per la successiva fase di laboratorio. Sono state realizzate, inoltre, campagne sperimentali notturne per lo studio degli animali con abitudini crepuscolari. È stata utilizzata l’innovativa tecnica di fotograia digitale a distanza, nota col nome di Fototrappolaggio,
27
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
che prevede l’utilizzo di uno strumento dotato di sensore termico IR in grado di attivare una fotocamera al passaggio di un corpo caldo. Tale apparecchio permette non
solo di identiicare le specie, ma anche di studiarne i comportamenti e le abitudini.
Fase 3_ Dopo ogni campagna di ricerca tutti i dati raccolti ed i campioni prelevati sono stati trasferiti in laboratorio, catalogati ed analizzati. Ogni scheda è stata
sottoposta a controlli incrociati al ine di veriicare la correttezza della nomenclatura
tassonomica e l’attinenza delle specie rilevate con le informazioni bibliograiche a disposizione e con gli areali di distribuzione delle specie.
I campioni animali, vegetali e minerali sono stati sottoposti ad analisi preliminare ad occhio nudo, per poi essere analizzati con stereomicroscopio (20-40x). È stato
creato un database fotograico georeferenziato, diferenziato per aree e per specie.
Fase 4_ Alla fase di rilievi al suolo è stata abbinata l’analisi delle immagini satellitari per l’individuazione delle diverse tipologie di copertura vegetale legate ai siti
di biomonitoraggio. Sono state realizzate mappe dettagliate di copertura del suolo e
di relativi cambiamenti negli anni per ogni classe vegetazionale identiicata, tramite
l’elaborazione di 5 immagini LANDSAT acquisite nel 1979, 1989, 1999, 2002 e
2007, di cui quella del 1979 con risoluzione 60 m e le altre con risoluzione 30 m.
Per la procedura di classiicazione è stato adottato un approccio semi-automatico basato sull’algoritmo di Massima Verosimiglianza (Schowengerdt, 1997). La nomenclatura standard CORINE (EC, 1993) è stata solo in parte modiicata ed adattata
alle caratteristiche dell’area, dominata oltre che da estese aree di seminativi, pascoli
arborati, uliveti-mandorleti, anche da formazioni naturali quali il bosco, la macchia
garìga ed il pascolo steppico (Ivone, 1997). L’accuratezza nella classiicazione delle
immagini è superiore al 90 %, tranne nell’immagine del 1979, dove la risoluzione
spaziale inferiore, 60 m, e la presenza di sole 4 bande rende diicoltosa l’identiicazione delle diverse classi.
Fase 5_ Inine sono stati analizzati i risultati (Fowler & Cohen, 2002) e realizzato un database georeferenziato.
28
Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea
Risultati e Discussione
Valutazione della diversità biologica
L’analisi della biodiversità ha portato ad individuare tre livelli principali di differenziazione: quello dei biomi, quello degli ecosistemi e quello delle specie (Owens,
1999).
Per il primo livello è stato possibile constatare come in un’area di dimensioni
relativamente ridotte (circa 400 km2) come quella studiata, vi siano ben 5 diferenti
biomi: il bosco di latifoglie, il bosco di conifere, la macchia mediterranea, la garìga
ed il pascolo steppico-murgia. L’intero territorio è apparso ricco di habitat ed eccezionalmente forgiato dalle forze geologiche. È presente, infatti, un intricato reticolo
idrograico al quale si associano cospicui fenomeni di carsismo con formazione di
gravine, lame, grotte ed inghiottitoi. Oltre alla biodiversità a livello dei biomi, è stata
realizzata un’analisi della diversità biologica a livello ecosistemico rilevando diferenti aspetti. La presenza di aree a boschi di latifoglie non ceduati garantisce la sopravvivenza di comunità speciiche ben strutturate e favorisce la presenza di cenosi (come
ad esempio quella tra Cerambice delle querce, Cerambix cerdo e Roverella, Quercus
pubescens) che favorisce a sua volta la diversiicazione delle nicchie ecologiche e,
quindi, la presenza di un maggior numero di specie (Cazzolla, 2006). Si è potuto
ipotizzare, grazie a questa ricerca, e per la prima volta, che una particolare cenosi (intesa come associazione tra specie che interagiscono tra loro) sia in grado di favorire la
formazione di nuove nicchie ecologiche (intese come spazi multidimensionali,
Hutchinson, 1954), utilizzabili da altre specie, che senza quella determinata nicchia
non sarebbero presenti. Da qui, ci si propone di presentare la teoria di “nicchia diversità-dipendente”, volendo indicare con tale deinizione il processo che porta ad
ottenere una correlazione positiva tra il numero presente di specie in una determinata area ed il numero di nuove nicchie disponibili. Si ipotizza, cioè, che mediante un
processo ciclico ed iterativo, l’incremento del numero di specie permette la realizzazione di nuove nicchie che, a sua volta, permette la colonizzazione di nuove specie
(che mediante i processi di immigrazione-emigrazione possono imbattersi in una
nicchia favorevole). Nel caso speciico, si è rilevato che la ceduazione, cioè il taglio
periodico (in media ogni 15 anni) del bosco, inluisce negativamente sull’ecosistema
(Tilman, 1982, 1996, 1997) alterando i cicli della materia (si è rilevata una minor
presenza di biomassa al suolo ed una minor concentrazione di sostanza organica nei
suoli ceduati) e modiicando la struttura delle comunità (non sono state rinvenute
29
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
specie litoiliche, come Cerambicidi e Lucanidi, in nessuna delle aree sottoposte a
ceduazione periodica). Sempre a livello ecosistemico si è potuto, inoltre, constatare,
abbinando le analisi satellitari alle ricerche di campo, che la presenza di ecotoni tra
due ecosistemi creando le condizioni favorevoli ad un aumento di biodiversità (Armstrong & McGehee, 1980) e di specie rare(è stata rilevata, ad esempio, un maggior
numero di specie di Orchidee). Ad ulteriore riprova, in una zona brulla sassosa marginale tra un bosco di Roverella ed un pascolo steppico, si è rilevata la nidiicazione
di tre coppie del raro e minacciato Occhione, Burhinus oedicnemus (Fig. 1), confermando l’importanza di quella zona ecotono per la sopravvivenza di una specie che
altrimenti non avrebbe a disposizione un territorio in cui nidiicare.
Figura 1: Occhione
A livello di diversità speciica è stata accertata, nell’area oggetto di studio, la
presenza di numerose specie rare ritenute localmente estinte (per la zona delle Murge
di sud-est) o in via di estinzione ed inserite negli elenchi delle Direttive Comunitarie
“Habitat” 92/43/CEE ed “Uccelli” 79/409/CEE e nelle Liste Rosse IUCN (D’Antoni S., 2003), tra queste: il Cerambice delle querce (Cerambix cerdo), il Saga pedo, la
Melanargia arge, la Coenargion mercuriale, l’Euplagia quadripunctaria, la Zerynthia
polixena (Fig. 2), il Rospo smeraldino (Bufo viridis), la Rana lessonae, la Testuggine di
Hermann (Testudo hermanni hermanni), il Ramarro occidentale (Lacerta bilineata),
la Lucertola campestre (Podarcis sicula), il Biacco (Coluber viridilavus), il Saettone
(Elaphe longissima), il Colubro leopardino (Elaphe situla), l’Albanella pallida (Circus
macrourus), il Falco Grillaio (Falco naumanni), il Falco pellegrino (Falco peregrinus),
il Gufo reale (Bubo bubo), il Nibbio reale (Milvus milvus), l’Occhione (Burhinus oedicnemus, Fig. 1), il Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), il Rinolofo di Mehely (Rhinolophus mehelyi), il Pipistrello di Savii (Hyspugo savii), il Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus), l’Istrice (Hystrix cristata); la Campanula
30
Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea
pugliese (Asyneuma limonifolium) e la Dictamnus albus. Il rilievo di un così elevato
numero di specie rare e minacciate in una ristretta porzione di territorio (area campione) ha confermato l’utilità di inserire questi ecosistemi all’interno delle aree ad
altissimo potenziale biologico dell’Ecoregione Mediterraneo centrale, tra le Global
200. Inoltre, sono state scoperte una nuova specie di orchidea, Ophrys rotundi (Cazzolla, 2010, Fig. 3) e numerosi insetti per i quali si sta procedendo a determinazione,
non appartenendo a nessuna specie già classiicata.
Figura 2: Zerynthia polixena
Figura 3: La nuova specie di orchidea
scoperta su Monte Rotondo
Ophrys rotundi (Cazzolla R., 2010)
31
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
La igura 4 riporta i siti dove sono state indivuate specie rare in correlazione
alla classe di uso del suolo dove sono state rilevate.
Figura 4: Carta dell’area campione oggetto di studio con indicazione delle specie rare
rinvenute durante i rilevi al suolo.
Risultati delle variazioni di uso del suolo rilevati da dati satellitari
Le analisi evidenziano come il territorio negli ultimi 30 anni non ha subito
delle modiiche drastiche, a parte un aumento della supericie occupata da oliveti e
mandorleti, o comunque da campi con estesa presenza di alberi. Per quanto riguarda
le supericie boschive, si notano variazioni minime per le latifoglie e conifere, che
possono essere considerate all’interno dell’accuratezza della classiicazione. Infatti
nell’ambito di un’analisi multitemporale numerose possono essere le fonti di errore,
tra cui la diferente fenologia durante le osservazione (le immagini analizzate appartengono a momenti fenologici diferenti, ad esempio maggio e settembre), il diverso
angolo di vista del sensore e del sole e gli efetti atmosferici (Song et al., 2003).
Tali considerazioni sono anche in accordo con analisi storiche efettuate su tali
classi. La supericie boschiva occupava nel 1911 circa il 14,6 % di quella agraria e si
riduceva a 11,9 % nel 1939. L’immediato dopoguerra ha visto una notevole opera di
rimboschimento che ha riportato la supericie boschiva a circa il 14,7 %. Attualmen-
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Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea
te in base a statistiche derivanti da CORINE 2000, nonché dall’analisi satellitare qui
riportata, la supericie occupata da boschi di conifere e latifoglie si aggira intorno al
12-13 % della supericie analizzata. Una caratteristica peculiare è la variabilità nella
età della vegetazione boschiva, infatti si incontrano non molto frequentemente piante ben sviluppate, a causa della ceduazione dei boschi. Per quanto riguarda il pascolo
steppico si denota una diminuzione che porta la sua supericie da 4,4 % a circa
2,5 %, in quanto parte di esso risulta trasformato in seminativo.
Un discorso diferente merita la garìga/macchia. Questa classe globalmente è
diminuita da circa 4,9 % a 2,7 % nell’arco di un intervallo temporale trentennale, dal
1979 al 2007. La garìga viene considerata uno stadio di degrado della macchia mediterranea sottoposta a continuo pascolo e incendio, inoltre è estremamente difusa
nelle situazioni pedologico-climatiche molto diicili, in cui altre piante non riescono
ad insediarsi. È solitamente costituita da vegetazione arbustiva sempreverde che lascia scoperte ampie porzioni del terreno. Infatti il rilevamento della stessa e la distinzione rispetto al bosco di latifoglie dipende proprio dal fatto che la garìga lascia scoperta una parte del suolo ed appare quindi spettralmente diferente dalle latifoglie
che invece sono più dense. Nelle date analizzate la presenza della garìga è essenzialmente localizzata all’interno delle aree boschive. Inine, si nota che nell’immagine
del 2007 è rilevabile un’area boschiva che è stata investita da un notevole incendio
nel luglio 2007 (classe in arancione nella Fig. 4).
Risultati preliminari sulla correlazione fra Land cover change e rilievi al
suolo delle specie rare
La mappa delle specie rare rinvenute sul territorio, così come riportata in igura 4, è stata posta in correlazione con l’indice di rarità dei principali ecosistemi
rinvenuti tramite il calcolo dell’uso del suolo. L’indice di rarità si basa sulla percentuale delle aree di interesse (in questo caso le classi latifoglie, conifere, macchia garìga
e pascolo steppico) rispetto all’area totale (400 km2) ed è stato calcolato per la mappa
di uso del suolo del 1979 e quella del 2007 (Fig. 5) (Angelini et al., 2009). Su queste
mappe sono stati sovrapposti i rilevamenti delle specie rare al ine di individuare
come esse si collocano rispetto ai cambiamenti di uso del suolo. Per ogni punto di
rilevamento è stato considerato un areale di 5x5 pixel (area 750 m2) ed individuata
la classe di rarità alla quale essi appartengono. Come si nota dal graico in igura 6, i
punti che nel 1979 si collocavano per la maggior parte in aree non considerate come
rare in base alla scala stabilita, nel 2007 invece si collocano per il 20 % in classe 2 e
33
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
per il 10 % in classe 4. Questa analisi preliminare indica come molte delle specie rare
si collocano in aree che nel periodo dal 1979 al 2007 hanno subito notevoli diminuzioni in percentuale sul territorio. Inoltre, considerando la igura 4, si nota la frammentazione degli ambienti che è spesso causa della perdita di strutturazione degli
stessi (Pignatti, 2005) e quindi di impoverimento della comunità (Schulze & Mooney, 1993), poiché la barriera isica non permette il naturale avanzamento continuativo delle successioni ecologiche. L’interruzione della continuità degli ecosistemi con
infrastrutture stradali, campi agricoli, aree industriali, ecc., crea le condizioni per
l’isolamento delle comunità e l’impoverimento genetico delle specie, rendendole più
vulnerabili alle variazioni dell’ambiente ed all’incrocio. Partendo dalla mappa in igura 4 si è realizzato un esempio di una mappa dei corridoi ecologici che permetterebbero di ridurre la frammentazione (Fig. 7).
Figura 5: Mappe indicanti l’indice di rarità (a sinistra 1979, a destra 2007), ossia la percentuale
di occupazione di ciascuna classe rispetto all’area totale di studio. Come riportato in legenda,
minore è la percentuale di area occupata, maggiore è il valore associato all’indice di rarità.
Figura 6: Percentuali degli
areali delle specie rare
individuate al suolo, in
relazione all’indice di rarità
delle classi di uso del suolo
indicato nelle mappe di
figura 5.
34
Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea
Figura 7: Carta dei
corridoi ecologici,
individuati come aree
buffer delle differenti
tipologie di suolo.
Conclusioni
Lo studio della biodiversità è ancora nella fase embrionale delle attività scientiiche, poiché solo negli ultimi tempi si sta ponendo l’accento sul valore della diversità biologica e sull’importanza che riveste, per l’uomo e l’intero pianeta, lo studio e
la conservazione di tale diversità.
Il lavoro qui presentato, realizzato su un area campione dell’Ecoregione Mediterraneo Centrale, vuole essere la proposta di un approccio per l’applicazione di
un’analisi di tipo qualitativo e quantitativo della diversità a vari livelli. Tale modello
può essere facilmente adattato agli studi su altre aree della stessa ecoregione o su altre
ecoregioni della Terra. La facilità di adattamento del protocollo sperimentale ed i risultati preliminari tramite la procedura con approccio top-down (da satellite con veriica al suolo) e bottom-up (dal suolo con veriica satellitare) consente di avere una
visione il più dettagliata possibile delle risorse naturali di un territorio. La sperimentazione dell’analisi sinergica satellitare-al suolo per lo studio della biodiversità
dell’Ecoregione mediterranea ha dato risultati ben superiori al previsto. Oltre alle
speciiche analisi sui tre livelli di diversità biologica individuati (biomi, ecosistemi,
specie) è stato possibile associare i dati rilevati da satellite alle indagini di campo e
creare un database georeferenziato (ed informatizzato) della biodiversità che ben si
presta ad ulteriori studi sul territorio.
35
Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola
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36
Decomposizione della lettiera
di quattro specie della macchia mediterranea:
relazioni con alcune caratteristiche fogliari
e con la qualità della lettiera
Litter decomposition of four species
of Mediterranean Maquis: relationships
with leaf traits and litter quality
Anna De Marco*, Carmen Arena, Angela Meola,
Maria Giordano & Amalia Virzo De Santo
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II,
Via Cinthia 4, 80126 Napoli
*[email protected]
Abstract
La velocità di decomposizione della lettiera di quattro specie tipiche della Macchia
Mediterranea, Q. ilex, P. angustifolia, P. lentiscus e Cistus sp., è stata misurata dopo circa
tre, sei e tredici mesi di incubazione in situ nella Riserva Naturale di Castel Volturno
(Caserta). Sono state valutate le relazioni tra velocità di decomposizione e 1) indice di
area fogliare speciica (SLA), 2) densità dei tessuti fogliari (LDMC), 3) grado di
scleroillia (GS), 4) contenuto in N, C e lignina e rapporto C/N della lettiera. Queste
caratteristiche possono inluenzare la colonizzazione e la utilizzazione della lettiera
da parte dei microrganismi e, di conseguenza, la sua resistenza alla decomposizione.
Dopo poco più di un anno la perdita di peso della lettiera era circa 50 % in cisto,
41 % in illirea e 32 % in leccio e lentisco. Nei primi tre mesi di incubazione la velocità
di decomposizione della lettiera è tanto maggiore quanto più alto è il valore di SLA
e diminuisce con l’aumento del valore di LDMC e GS. La correlazione decomposizione – SLA e decomposizione – GS è statisticamente signiicativa solo se si esclude la
illirea, che ha caratteristiche fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (spiccata
scleroillia) ma contenuto di lignina più basso non solo rispetto alle altre due specie
scleroille, ma anche rispetto al cisto (che ha caratteristiche mesoile). La velocità di
decomposizione è correlata negativamente al contenuto di lignina e al rapporto
lignina/N quando vengono considerate le quattro specie; se invece si considerano solo
illirea e cisto la correlazione diventa positiva. I risultati mostrano che la decomposizione della lettiera è la risultante degli efetti congiunti delle caratteristiche fogliari e
della composizione chimica della lettiera.
37
Anna De Marco et al.
Introduzione
La decomposizione è un processo fondamentale per il funzionamento di un
ecosistema poiché restituisce in forma inorganica i nutrienti, rendendoli nuovamente utilizzabili dalle piante, e contribuisce all’accumulo di materia organica nel suolo.
La velocità di decomposizione della lettiera è inluenzata dalla sua composizione chimica iniziale, ed in particolare dal contenuto in azoto (Berg, 2000) e nutrienti, dalle
concentrazioni di lignina e di cellulosa (Herman et al., 2008) e dai rapporti C/N e
lignina/N della lettiera (Berg & McClaughlerty, 2008).
Anche la struttura della foglia può inluenzare la velocità di decomposizione
della lettiera limitando la colonizzazione da parte dei microrganismi decompositori a
causa della elevata resistenza meccanica e/o dell’abbondanza di tessuti meccanici
(Cornelissen & hompson, 1997; Dahlgren et al., 2006). Alcune caratteristiche
strutturali delle foglie, come grado di scleroillia (GS), spessore fogliare, area fogliare
speciica (SLA) e densità dei tessuti fogliari (LDMC), sono stati proposti come indici idonei per la predizione della velocità di decomposizione (Gallardo e Merino,
1993, Gillon et al., 1994, Perez Harguindeguy et al., 2000). È noto che una elevata
area fogliare speciica e una bassa densità dei tessuti fogliari possono facilitare l’attacco dei tessuti da parte degli organismi decompositori e la penetrazione delle ife fungine (Cornelissen & hompson, 1997; Kazakou et al., 2006; 2009).
In questo lavoro è stata valutata l’inluenza della struttura fogliare e della composizione chimica della lettiera sulla velocità di decomposizione di quattro specie
tipiche della Macchia Mediterranea del sud Italia: Q. ilex, Ph. angustifolia, P. lentiscus
e Cistus sp.. Come indici della struttura fogliare sono stati utilizzati l’area fogliare
speciica (SLA), la densità dei tessuti fogliari (LDMC) ed il grado di scleroillia (GS).
Come indici della qualità della lettiera sono stati utilizzati il contenuto di azoto (N),
di lignina, di cellulosa, di sostanze solubili in detergenti acidi (ADSS), ed i rapporti
C/N e Lignina/N. La velocità di decomposizione è stata misurata a 3, 6 e 13 mesi di
incubazione ed è stata saggiata la correlazione con gli indici di struttura fogliare e di
qualità della lettiera.
38
Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea
Materiali e metodi
L’area di studio è situata nella Riserva Naturale di Castel Volturno (CE) lungo
la costa Tirrenica, a nord della Baia di Napoli. La Riserva, istituita nel 1977, si estende su una supericie totale di circa 268 ha, occupando una stretta fascia sabbiosa
compresa tra la foce dei Regi Lagni a nord, la foce del Lago Patria a sud e la Statale
Domitiana ad est. Nella Riserva sono presenti aree a macchia mediterranea dominata da: Quercus ilex L., Myrtus communis L., Arbutus unedo L., Pistacia lentiscus L.,
Phillyrea angustifolia L., Cistus spp., ed una pineta di impianto antropico (Pinus halepensis Miller, P. pinaster Aiton, P. pinea L.).
Il terreno è un Calcaric Arenosol (FAO, 1998) tipicamente sabbioso e privo
di scheletro.
Il clima è di tipo mediterraneo con temperature medie annuali di 16,8 °C
e precipitazioni di 609 mm (i dati si riferiscono alla Stazione di Castel Volturno a
26 m s.l.m. negli anni 2000-2006).
La raccolta della lettiera di Cistus sp., Phillyrea angustifolia, Pistacea lentiscus e
Quercus ilex è stata realizzata nel periodo di massima caduta fogliare (tra maggio e
luglio) nella macchia bassa della Riserva Naturale di Castel Volturno, collocando 25
reti sotto la chioma degli arbusti. In 8 siti diversi della stessa area di raccolta la decomposizione è stata studiata col metodo dei sacchetti di lettiera (Virzo et al., 1993).
La perdita di peso misurata dopo 92, 188 e 403 giorni, è riportata in mg g-1 gg-1 per
ciascuno dei tre periodi (0-92; 92-188; 188-403 giorni) assumendo una relazione lineare tra perdita di peso e tempo nell’intervallo considerato.
Sulle lettiere prima dell’incubazione sono stati determinati: la concentrazione
di N, il contenuto di ADSS (Sostanze Solubili in Detergenti Acidi), lignina e cellulosa. Il contenuto di azoto delle lettiere è stato determinato con un analizzatore NCS
(Elemental Analyser, Flash 112 Series EA) su campioni seccati a 75 °C e inemente
polverizzati. Il contenuto di ADSS, lignina e cellulosa è stato determinato secondo il
metodo di Goering & Van Soest (1970). Le caratteristiche fogliari (SLA, LDMC e
GS) sono state determinate su foglie verdi non senescenti (in numero di 10 per ciascuna specie in ogni sito) raccolte nella Riserva Naturale di Castel Volturno negli 8
siti di incubazione della lettiera. Le foglie prelevate erano di età comparabile, posizionate in piena luce e prive di evidenti danni creati da patogeni ed erbivori (Reich
et al., 1992; Westoby, 1998; Weiher et al., 1999).
L’area fogliare speciica (SLA) è stata misurata come rapporto tra supericie
fogliare e peso secco della foglia ed è stata espressa come cm2 g-1 peso secco. La den-
39
Anna De Marco et al.
sità dei tessuti fogliari (LDMC) è stata valutata come rapporto tra peso secco della
foglia e peso fresco a saturazione ed è stata espressa come mg peso secco g-1 peso fresco. Il grado di scleroillia (GS) è stato espresso in g peso secco mm-2 di supericie
fogliare.
La signiicatività delle diferenze è stata saggiata attraverso l’analisi della varianza (ANOVA ad una via) seguita dal test di Dunn o dal test di Tukey. Le correlazioni lineari sono state determinate attraverso il coeiciente di Spearman.
Risultati e discussione
In igura 1 è riportata la composizione chimica iniziale della lettiera relativa
alle 4 specie studiate che rappresenta una misura della loro degradabilità (Gallardo &
Merino, 1993; Virzo De Santo et al., 1993). In particolare, i valori più elevati di lignina si trovano in lentisco e leccio, mentre il contenuto maggiore di cellulosa è misurato in cisto e illirea. La lettiera di Cistus sp. è la più ricca di N mentre la più povera è la lettiera di leccio. Per le 4 diferenti lettiere sono stati considerati anche i
rapporti C/N e lignina/N, che possono essere importanti indici dell’andamento decompositivo; infatti quanto più bassi sono questi rapporti tanto più favorita sarà la
crescita dei decompositori e quindi più veloce la decomposizione della lettiera (Melillo et al., 1982; Harmon et al., 1990). Tra le diverse lettiere, quella di cisto presenta
il rapporto C/N più basso, mentre quelle di lentisco e leccio il rapporto lignina /N
più elevato, indicando una maggiore recalcitranza alla decomposizione per queste
due specie.
Per quanto riguarda le caratteristiche fogliari, Cistus sp. si distingue dalle altre
specie per i valori più elevati di SLA e per i valori più bassi di LDMC e GS (Fig. 2).
È noto che elevati valori di SLA e basso grado di scleroillia possono accelerare il processo di decomposizione, favorendo la colonizzazione dei tessuti da parte dei decompositori (Hansen & Coleman, 1998). Inoltre il cisto presenta una maggiore ricchezza in azoto rispetto alle altre tre specie e perciò sono attesi per questa specie tassi di
decomposizione più elevati.
40
Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea
Cistus sp. (C)
P. lentiscus (P)
Ph. angustifolia (Ph)
Q. ilex (Q)
Figura 1: Composizione chimica iniziale delle lettiere di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L.,
Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Castel Volturno.
Figura 2: Area fogliare specifica (SLA), densità dei tessuti fogliari (LDMC) e grado di sclerofillia (GS) delle foglie di Cistus sp., Phillyrea
angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus
ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Castel Volturno. Lettere diverse indicano differenze statisticamente significative.
Cistus sp. (C)
P. lentiscus (P)
Figura 3: Velocità di decomposizione delle
lettiere di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L.,
Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. in tre
successivi periodi dall’incubazione nella
Riserva Naturale di Castel Volturno. Lettere
diverse indicano differenze statisticamente
significative tra lettiere.
Ph. angustifolia (Ph)
Q. ilex (Q)
41
Anna De Marco et al.
Nei primi 3 mesi, le lettiere di Cistus sp. e Ph. angustifolia presentano una velocità di decomposizione signiicativamente maggiore rispetto a quella delle lettiere
di P. lentiscus e Q. ilex (Fig. 3). Nelle fasi più avanzate del processo si riduce la velocità di decomposizione e le diferenze tra specie si attenuano, ino a scomparire completamente. La perdita di peso rilevata dopo 403 giorni raggiunge il 50 % in Cistus
sp., il 41 % in Ph. angustifolia ed il 32 % in Q. ilex e P. lentiscus.
La decomposizione delle lettiere rilette le diferenze nella composizione chimica iniziale e nelle caratteristiche fogliari. Nella fase iniziale il tasso di decomposizione della lettiera è correlato positivamente con SLA e negativamente con LDMC e
con GS (Fig. 4).
Figura 4: Relazioni tra la velocità di decomposizione delle lettiere di Cistus sp. (∆), Phillyrea
angustifolia L. (◊), Pistacea lentiscus L. (M) e Quercus ilex L. () dopo 92 giorni di incubazione
e le caratteristiche fogliari, la concentrazione iniziale di lignina ed il rapporto lignina/N delle
lettiere. R2 è il coefficiente di correlazione di Spearman.
* = P<0.05; ** = P<0.01; *** = P<0.001 .
42
Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea
La relazione per SLA e GS è signiicativa solo se si esclude la lettiera di Ph. angustifolia. Il tasso di decomposizione diminuisce signiicativamente con l’aumento
del contenuto di lignina e del rapporto Lignina/N; considerando solo le lettiere di
Cistus sp. e Ph. angustifolia si ottiene una relazione signiicativa di segno opposto.
Non sono state riscontrate correlazioni signiicative della velocità di decomposizione
con gli altri indici di qualità della lettiera. Con il procedere della degradazione delle
lettiere, le relazioni tra la decomposizione e le caratteristiche fogliari come pure con
la composizione chimica iniziale delle lettiere vengono perse, suggerendo che altri
fattori assumono un ruolo importante nella regolazione del processo degradativo.
I dati indicano che la decomposizione della lettiera è la risultante degli efetti
congiunti delle caratteristiche fogliari e della composizione chimica della lettiera. La
lettiera di cisto, infatti, con un contenuto iniziale di N più elevato ed un rapporto
lignina/N più basso rispetto alle altre specie studiate, nonché un indice di area speciica maggiore, si decompone più velocemente. La illirea, nonostante le caratteristiche fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (scleroillia più pronunciata), ha tassi di
decomposizione comparabili a quelli di cisto, che mostra caratteristiche fogliari più
mesoile ma contenuto di lignina più alto di illirea.
Ringraziamenti: Questa ricerca è stata realizzata con inanziamenti MIUR,
PRIN 2005. Si ringrazia il Corpo Forestale dello Stato per l’assistenza logistica.
43
Anna De Marco et al.
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Westoby, M. (1998) A leaf-height-seed (LHS) plant ecology strategy scheme. Plant and Soil, 199, 213-227.
44
Late spring decomposition rates in a
second order stream: assessing relationships
among breakdown rates, decomposer
diversity and substrate morphology
Tassi di decomposizione tardo primaverili
in un fiume di secondo ordine:
studio delle relazioni tra decomposizione,
biodiversità dei decompositori
e dimensione frattale del substrato
Gina Galante1*, Biancamaria Pietrangeli2, Oriana Maggi1,
Rossana Cotroneo3, Silvia Panetta1, Domenico Davolos2 &
Edoardo Scepi1
1
Dept. of Plants Biology, University of Rome “Sapienza”, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Rome
2
ISPESL-DIPIA, Via Urbana 167, 00184 Rome
3
ISTAT, Environmental Dpt., Via Cesare Balbo 16, 00184 Rome
*[email protected]
Abstract
Ecological processes are inluenced both by biotic and abiotic factors. Leaf litter
breakdown in freshwater does not except this rule. Substrate morphology and
characteristics may inluence benthic decomposers abundances and distribution.
In fact, both substrate and macroinvertebrates follow a patchy distribution along
stream’s ecological gradients. Abundances and diversity of decomposers directly afect
leaf litter processing and decomposition rates linking biotic and abiotic factors to
the ecological process of decomposition. Fractal dimension of substrates can give a
measure of surfaces complexity and may be related both to water turbulence and
macroinvertebrates clinging. In this study we have investigated the functional
relationships between macroinvertebrates diversity and abundances, chemical and
physical parameters, rocks, pebbles and stones numbers and dimension and fractal
dimension of substrate.
45
Gina Galante et al.
Introduction
Decomposition of organic matter is a continuous process involving biotic
(decomposers and detritivores) and abiotic factors such as physical abrasion, substrate characteristics, physical and chemical water conditions. herefore, these interacting factors inluence the distribution of benthic organisms and are indirectly
related to decomposer diversity and abundances. Environmental heterogeneity
(Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a greater extent by
local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996; Bertness et al.,
1996; Wright & Li, 2002), resulting in more patchy distributions of benthic macro
fauna. Small-scale heterogeneity includes size, distribution and surface texture of
substrates constituents (rocks, stones and pebbles), that can inluence both productivity due to the availability of refuges and food and storage capacity of substrate
(Jefries, 1993; Cardinale et al., 2002, 2006) and physical fragmentation of organic
matter, because of the increment of water turbulence and oxygenation caused by its
heterogeneous surfaces (Melillo et al., 2004) Fractal geometry is now generally used
to describe the surface texture of substrates in freshwater benthic studies: therefore
fractal methods were used to describe textural diferences in constructed substrates
with a checkerboard arrangement of heights (Taniguchi & Tokeshi, 2004), to estimate the fractal dimension of riverbed topography (Robson et al., 2002), and to describe the substrate-water interface of streambeds. In this study we have analysed all
the possible relationships occurring between macroinvertebrates diversity and abundances, substrate morphology and decomposition rates in a second order stream,
taking into account the main chemical and physical parameters. he comprehension
of the principles that link biodiversity, ecological processes and morphology as well
as features of substrates could also improve new management systems of the freshwater resources and the assessing of new stream health indicators.
46
Late spring decomposition rates in a second order stream
Methods
Study area
he river Sacco is located in the south-east of Latium (Italy), it lows along
84 km with an average slope ranging from 0.2 to 2.0 %. he headwater has an altitude of 226 m a.s.l., climate of this zone is properly of Mediterranean type with very
rainy winter and spring and summer dough. River springs are still pristine while in
the loodplain area there are strong pollution impacts due to industrial installation
and urban discharge. River bed and substrates characteristics are heterogeneous and
patchy with sandy areas and pebbly and stony zones. he riparian forest is mainly
constituted by Alnus glutinosa L. (dominant), Salix alba L., Populus tremula L. and
Populus nigra L. he stream channel in the river springs zone is partially shaded with
some more lighted zone corresponding to conining crop cultivations. Water depth
in river source ranges from 20 cm to 1 m due to the presence of sandy patch pools
that can be deeply excavated during river lood. Width channel ranges from 2.5 to
3.0 m, river order range from two to three. hree sampling sites were selected in
headwater area along 5 km stretch of the river. Each sampling station had 100 m
length and showed homogeneous riverbed characteristics.
Field procedures
his study started on 21st May 2009 using litter bags technique and run over
3 weeks. Alder (Alnus glutinosa L.) autumn leaves were collected just before abscission, stored air-dried, weighted into 3 gram (+/– 0.001) groups and placed in ine
mesh (Graça et al., 2007) (0.2 mm, Esthal-Mono, Sefar) and coarse mesh (5 mm
10 x 15 cm) bags. Initial mass was corrected for both manipulation and humidity
losses (Graça et al., 2007). A total of 150 bags were sealed and randomly distributed
at the sampling sites. Coarse and ine mesh bags were positioned both in riles and
pools areas, well submerged, tied to rocks and stones with ishing nylon wire. Dissolved oxygen and water temperature were relieved at each sampling station and bag
positioning point. Geographic coordinates were assigned to each bag. Triplicate of
ine and coarse mesh bags were retrieved from each sampling site weekly.
47
Gina Galante et al.
Leaf mass loss estimation
he sampled litter bags were placed individually in plastic bags and then
brought to laboratory. Leaves were removed from bags, rinsed with deionized water
to remove sediments and adhering invertebrates. Leaf material was dried at 60 °C to
constant mass for 72 h, weighted, burned in mule furnace at 500 °C for 6 h and
weighted again at the nearest 0.01 (Graça et al., 2001; 2007). Leaf breakdown rate
(k) was estimated by itting the amount of remaining leaf material data to the exponential model, Yt = Y0 e-kt, where Yt is the AFDM remaining at time t (days), and Y0
the AFDM at the beginning of the experiment (Petersen & Cummins, 1974). Leaf
mass losses were estimated for each litter bag using the relation ln ( Yt/Y0) = – Kt. In
decomposition rates the curve itting AFDM was expressed as percentage of the remains mass.
Biodiversity analysis
he leaves in coarse mesh bags were rinsed into a 400 µm mesh screen to retain the associated macroinvertebrates, which were sorted and collected in ethanol
(70 % v/v) until identiication and counting. Macroinvertebrates were identiied by
stereomicroscope to family, except for oligochaeta that were identiied at genus level
in according to Merrit & Cummins (1996). SHDI (Shannon Diversity Index),
SHEI (Shannon Evenness Index), S-species richness and total abundances per bags,
collecting data and sampling station were determined. hree replicates of ine mesh
bags were sent to microbiology laboratory to asses microbial and fungal diversity.
he estimation of microbial community composition was performed by genetic ingerprinting techniques. Scanning laser microscopy was used to examine the characteristics of the bacterial strains. Isolated bacteria were identiied by PCR ampliication and sequencing. Phylogenetic analyses were conducted for inferring the
evolutionary relationships of the examined taxa.
Substrates characteristic and Fractal Dimension estimation
Substrate characteristics were detected by overlaying a one meter wide plastic
square upon each litter bag (litter bag in the geometric centre) and counting number
and dimensions of stones, rocks and pebbles inside the square sediment characteristic were detected as well (gravel, sand or a mix of the two), then substrate selected
48
Late spring decomposition rates in a second order stream
areas were photographed. Five classes of rocks, stone and pebbles: rocks > 25 cm;
rocks = 20 cm; stones = 15 cm, pebbles = 10 cm and number of pebbles/cm2 were
identiied. he acquired images were imported in ArcGIS software and transformed
into grid formats. In the following step, images were processed to eliminate water
relex, exported as bitmap format and elaborated with Fractal 3 software to calculate
fractal dimension (FD) in gray scale using box-counting method, a quantitative
analysis of perimeter convolution to evaluate the degree of roughness of input images. Commonly known as the Hausdorf Dimension (H.D.), the algorithm is
Eq. (1)
and gives the aggregate perimeter roughness as a fractal dimension. he fractal dimension describes the complexity of an object (Carr & Benzer, 1991) (Fig. 1).
Figure 1: Procedure for acquisition
and elaboration of substrate fractal
dimension:
1: plastic square positioned on the
studied area;
2, 3, 4: elaboration steps. In the
bottom two graphical examples
of box counting method to
calculate FD.
Statistical analysis
Diferences in decomposition rates between ine and coarse mesh bags in the
three sampling stations were analysed by ANOVA, such as diferences in macroinvertebrates number of individuals and taxa, both for sampling date and station. A
correlation matrix was elaborated to relate inal AFDM to: substrate characteristics,
fractal dimension of substrate (FD), SHDI, SHEI, S-species richness, total abundances, dissolved oxygen and water temperature. he same parameters, calculated
per bags, were used to perform a CCA (Canonical Correspondence Analysis). Before
proceeding to apply the CCA model a data pre-processing to reduce redundant in-
49
Gina Galante et al.
formation was executed. In this paper, the variables selection was carried out across
the statistics techniques of the stepwise algorithm: an heuristic method that examines variables, according to the well known “parsimony principle” (“entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem”, or “entities should not be multiplied beyond
necessity”).
Results
During the experimental period water temperature ranged from 16.0 to
13.2 °C. During the 1st week water temperature ranged from 14.0 to 15.5 °C while
in the 2nd week there was an abrupt water temperature drop due to meteorological
condition. In the 3rd week gradually water temperature increased until reaching the
same values recorded in the irst week. Decomposition process was quite complete in
three weeks. Breakdown rates of coarse mesh bags resulted to be: K = –0.0961 d –1
K = –0.1183 d –1 and K = –0.1056 d –1 respectively in sampling stations 1, 2 and 3.
No statistically signiicant diferences were found comparing K among the three
sampling stations for both ine and coarse mesh size litter bags. Statistically signiicant diferences were found between coarse and ine litter bags decomposition rates
(Tab. I).
Table I: ANOVA results for differences between fine and coarse mesh size decomposition rates.
Effect
Intercept
Univariate Tests of Significance, Effect Sizes, and Powers for k (matrice k fine-coarse.sta)
SS
Degr. of
Freedom
MS
F
p
Partial
eta-squared
Noncentrality
Observed power
(alpha = 0.05)
0.286786
1
0.287
20.95
0.000
0.344
20.950
0.994
Mesh-size
0.078070
1
0.078
5.70
0.022
0.125
5.703
0.645
Site
0.015444
2
0.008
0.56
0.573
0.027
1.128
0.137
Error
0.547572
40
0.014
he bacterial activity contributes to process for almost 40 %. On the basis of
the 16S rRNA gene sequences analysis the isolated bacteria belonged to the following taxa: Serratia sp., Aeromonas sp., Citrobacter sp., Ochrobactrum sp., Flavobacterium sp., Duganella sp., Acinetobacter sp., Stenotrophomonas sp., Pseudomonas sp., Bacillus sp., Flavobacterium sp.,Rheinheimera sp., Agrobacterium sp. (Fig. 2).
50
Late spring decomposition rates in a second order stream
Figure 2: Phylogenetic affiliations of the bacteria relived from leaf material (highlighted in
boldface). The tree was constructed by the NJ method, the nucleotide substitution rates were
calculated by using Kimura’s two-parameter model; only values >50 % are displayed.
All identiied bacteria are those characteristic of decomposition processes in
freshwater. Sampling station 1 showed the lower breakdown rate while the faster K
was recorded at station 2. For those who regard macroinvertebrates analysis 18 diferent families were counted and the main biodiversity indices were elaborated (Tab.
II, III).
51
Gina Galante et al.
Table II: Identified families.
Taxa
st1
st2
st3
Baetidae
41
123
83
Habropheliae
26
17
23
Heptageniidae
0
4
0
Leptophlebiidae
5
15
0
Caenidae
22
14
29
Ceratopogonidae
27
14
9
8
3
12
10
14
29
Chironomidae
Simulidae
Muscidae
1
0
0
Tupilidae
0
0
1
Culicidae
3
0
0
Rhyacophylidae
3
1
3
Polycentropodiae
21
13
8
Tubificidae
25
7
47
Lumbricilidae
1
0
0
Nemouridae
4
0
12
Anfiphipodae
1
0
2
Nepidi
0
0
1
Table III: Diversity indices.
Shannon-Wiener Diversity Index
Species Richness (S)
Total Abundance
st1
st2
st3
2.2872
1.6501
2.0206
16
11
13
199
225
259
Simpson Diversity Index
0.1228
0.3254
0.1752
Evenness
0.8249
0.6881
0.7877
Shannon Entropy
3.2997
2.3807
2.9151
Some signiicant diferences in species distribution and abundances were
highlighted. Baetidae family (Ephemeropthera, ghatering collectors, scrapers) resulted
the most representative group in terms of relative abundance. Fluctuations in species
composition and relative abundances are showed in table IV and igure 3.
52
Late spring decomposition rates in a second order stream
Table IV: Differences in species order’s relative abundances. Ephemeropthera, and Tricoptera
show significant statistical variation in abundances. A more severe control of variance differences highlights a reasonable difference among sampling stations just for ephemeropthera
(Newman-Kauls test).
Multivariate Tests of Significance
Sigma-restricted parametrization
Effective hypothesis decomposition
Effect
Test
Value
F
Effect
ERROR
p
Intercept
Wilks
0.089
23.905
9
21.000
0.000
Sampling date
Wilks
0.116
4.505
18
42.000
0.00003
Sampling station
Wilks
0.164
3.422
18
42.000
0.0005
Date*Station
Wilks
0.034
3.272
36
80.434
0.000005
Cell
No.
Newman-Keuls test; Ephemeropthera, alpha = 0.05
Error: Between MS = 59.667, df = 29.000
Date
Station
Ephemeropthera
1
4
2009/06/04
1
0.33333
****
5
2009/06/04
2
3.00000
****
9
2009/06/11
3
4.09091
****
6
2009/06/04
3
7.66667
****
7
2009/06/11
1
8.71429
****
8
2009/06/11
2
11.00000
****
1
2009/05/28
1
17.00000
****
3
2009/05/28
3
26.00000
2
2009/05/28
2
48.33333
2
3
****
****
****
Figure 3: Relationship among factors (sampling location and date) and taxa abundances.
A, tricopthera; B, ephemeropthera.
53
Gina Galante et al.
Relationships among macroinvertebrates decomposers diversity indices,
AFDM, temperature, dissolved oxygen, substrate characteristics and fractal dimension (FD) were highlighted by correlation matrix: both total abundances and AFDM
are correlated to fractal dimension of substrate. Substrate FD resulted negative correlated both to the number of big rocks > 25 cm and to the evenness. he presence
of big rocks seems to reduce FD. Finally AFDM resulted to vary in function of FD,
pebbly substrate and total abundances (Tab. V).
Table V: Correlation matrix for quantitative data. Relationships among biotic and abiotc
variables.
0.423
0.066
0.367 –0.111 –0.126 –0.063 –0.138 –0.030
T °C
Ox mg/L
AFDM
T °C
–0.240 –0.533
1.000
0.343 –0.030
0.097 –0.179
0.138 –0.208 –0.300
0.172 –0.043
0.060 –0.158 –0.087 –0.072
Total
abundances
0.329
0.342
0.133
SHEI
SHDI
0.194
1.000 –0.533
S, species
richness
Substrate Fractal
Dimension
0.130 –0.240 –0.161 –0.073 –0.250
0.130
Stones = 15 cm
1.000
Ox mg/L
Rocks = 20 cm
AFDM
Variables
Rocks > 25
pebbles x 10 cm2
pebbles = 10 cm
Marked correlation are signiicant at p <.05000
0.514
0.165
Rocks >25
–0.161
0.133
0.097
1.000
0.161
0.160
0.311
0.315 –0.362 –0.106 –0.103
Rocks = 20 cm
–0.073
0.343 –0.179
0.161
1.000
0.383
0.374
0.161 –0.036 –0.047 –0.050 –0.135
0.039
Rocks = 15 cm
–0.250 –0.030
0.160
0.383
1.000
0.318
0.134 –0.065
0.072
0.138
0.161
0.088
0.013 –0.140
0.126
pebbles = 10 cm
0.194
0.342 –0.208
0.311
0.374
0.318
1.000
0.559
0.058
0.203
0.211 –0.035
0.246
pebbles x 10 cm2
0.329
0.367 –0.300
0.315
0.161
0.134
0.559
1.000
0.061
0.099
0.050
0.093
0.089
Substrate Fractal
Dimension
0.423 –0.111
0.060 –0.362 –0.036 –0.065
0.058
0.061
1.000 –0.227 –0.048 –0.367
0.367
SHDI
0.066 –0.126 –0.158 –0.106 –0.047
0.161
0.203
0.099 –0.227
0.088
S, species richness
SHEI
Total abundances
0.172 –0.063 –0.087 –0.103 –0.050
–0.043 –0.138 –0.072
0.514 –0.030
0.013 –0.135
0.165 –0.140
0.039
1.000
0.849
0.742
0.253
0.556
0.211
0.050 –0.048
0.849
1.000
0.383
0.126 –0.035
0.093 –0.367
0.742
0.383
1.000 –0.076
0.072
0.089
0.253
0.556 –0.076
0.246
0.367
1.000
FD of substrate ranged from 2.189 (station 1) to 2.682 (station 3). CCA
analysis (AFDM target variable) highlights for the irst axe a high statistically signiicant value for total abundances and pebbles/10 cm2, thus conirming the correlation
matrix results (Fig. 4). In particular, total abundances are positively correlated, while
pebbles are negatively correlated. AFDM decreased at the total abundances increase
and in presence of pebbly substrate. With regard to the second axe, it was found that
stones = 15 cm, fractal dimension of substrate and temperature are negatively corre-
54
Late spring decomposition rates in a second order stream
lated with AFDM, while total abundances and pebbles are positively correlated.
Decrements of both temperature and fractal dimension of substrate inluence the
decomposition process. In other words, low temperature and low fractal dimension
of substrate inhibit the decomposition process.
Figure 4: CCA results:
A - dimension1 vs dimension3,
B - dimension 1vs dimension 2
Discussion
Although relationships among macroinvertebrates temperature and leaves
breakdown rates are already known since long time (Cummins, 1974) the connection between decomposition process and fractal dimension of substrates are not yet
properly investigated. he relationship among spatial heterogeneity of substrate (pattern) and macroinvertebrates assemblage in a stream ecosystem were investigated in
a recent study (Boyero, 2003), but the fractal dimension of substrate was not taken
into account, and the efects of diferent patterns on litter breakdown processes were
ignored. Technical diiculties to detect substrates fractal dimension in situ, mainly in
an aquatic environment, have often limited researches in this ield. he new methodology developed in the present study makes easier the evaluation of this parameter.
he results of this work highlights new aspects connecting directly the breakdown
55
Gina Galante et al.
rates to the complexity and heterogeneity of substrate structure, and in particular
makes possible to establish the type of substrate structure that more inluence decomposition. Low FD values were found in those substrates constituted by big
stones (> 25 cm) and, although this kind of substrate promotes water turbulence and
oxygenation, it resulted negatively correlated with leaves breakdown rates. We can
argue that leaves’ physical fragmentation and high water oxygenation enhanced by
big stones does not promote an increasing of decomposition rates. Otherwise, substrates constituted by small rocks and pebbles smaller than 10 cm showed bigger FD,
and contributed to increase processing rates. Besides being connected to breakdown
rates, substrate FD resulted negatively connected to the SHEI index (higher SHEI
index in presence of big rocks). his study suggest that an high value of FD can
inluence both species abundance and decomposition rates: probably due to its contribution to the availability of refuges, hanging and feeding surfaces for invertebrates, but also because of the increased properties of substrate retention (Jefries,
1993). he more complex a substrate is, the more abundant are species (in this case
ephemeropthera) and faster K. he heterogeneity of and abiotic factor seems to
inluence directly an important ecological process as decomposition. Environmental
heterogeneity (Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a
greater extent by local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996;
Bertness et al., 1996; Wright & Li, 2002). herefore, it could be interesting to investigate more deeply substrate FD (characterized by scale invariance properties) and its
relation with breakdown rates at diferent spatial scales, to highlights the hierarchical
dominie of FD change. he knowledge of the level at which substrate heterogeneity
ceases to inluence the decomposition process could be also useful for the river ecological management.
56
Late spring decomposition rates in a second order stream
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57
An instrument to assess the
agro-ecological value of the Lombardia
plain (Northern Italy) from land-cover
cartography: preliminary results
Uno strumento per valutare il valore
agro-ecologico della pianura lombarda
a partire da cartografia di uso/
copertura del suolo: risultati preliminari
Marta Maggi1*, Giancarlo Graci3, Stefano Gomarasca2, Paolo Pileri1,
Mirco Boschetti5, Stefano Bocchi3 & Anna Rampa4
Dipartimento di Architettura e Pianiicazione, Politecnico di Milano, Via Bonardi 3, 20131 Milano
2
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano
3
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano
4
DG Qualità Ambiente-Regione Lombardia, Via Taramelli 1, 20124 Milano
5
IREA-CNR, Milano, Via Bassini 15, 20133 Milano
*[email protected]
1
Abstract
he paper presents the preliminary results of the project ‘An environmental information system to estimate the agro-ecological value of the land cover in the Lombardy
plain’, aimed to monitor and assess the agro-ecological value of a heavily humanimpacted landscape. he idea of the project derives from the need of a cartographic
product, based on reliable and spatially explicit indicators, to be used as support to
land use planning and environmental decision-making processes. he proposed
methodology is driven by an operational approach and is based on information
gathered from land-use/cover databases. he paper proposes a set of indicators selected
to assess the diferent aspects of the agro-environment and shows a method to visually
synthesize the multiple information, summarizing the agro-ecological value of a
territory at landscape level.
59
Marta Maggi et al.
Introduction
Knowledge of the ecological relevance of a landscape provides a useful input
to land-use planning. Generally the assessment of the most ecologically valuable areas, also known as ecological evaluation (Spellemberg, 1992), is used to identify conservation priorities (Smith & heberge, 1986; Geneletti, 2004). More rarely, ecological evaluation is used to highlight areas of reduced ecological value because
subjected to a foreseeable or existing human pressure (Zurlini et al., 1999).
he project ‘An environmental information system to estimate the agro-ecological value of the land cover in the Lombardia plain’, founded by the General Direction Quality of the Environment of the Lombardy Region (Northern Italy) was
designed by an interdisciplinary group of researchers with the aim of illing this gap.
he idea of the project derives from the need of a cartographic product to assess the
agro-ecological dimensions using reliable, operational, scientiically based and spatially explicit indicators. hese instruments should represent an operational tool for
the monitoring and assessment of the agro-ecological value of a heavily human impacted landscape. he agro-ecological dimensions include landscape characteristics,
biodiversity, and ecological processes like primary production, water and nutrient
cycling, energy use (Castoldi & Bechini, 2006; Castoldi et al., 2007).
Based on these premises, the paper proposes a set of indicators selected to assess the diferent aspects of the agro-environment and shows a method to visually
synthesize the multiple information, summarizing the agro-ecological value of a territory at landscape level.
he project is driven by an operational approach based on information gathered from land-use/cover databases. his guarantees low costs, replicable analysis,
harmonized results, high comparable indicators. Methods and indicators were selected with the aim to be clear, simple, scientiically founded and transferable to all
the administrative levels (Gabrielsen & Bosch, 2003), as support to land-use planning, environmental decision-making, Strategic Environmental Assessment (SEA)
procedures, naturalness and biodiversity key areas identiication.
60
An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain
The study area: evolution and pressures
he study was carried out in the Po Valley of the Lombardy region (Northern
Italy) (Fig. 1). Lombardy is the most populated region of Italy, with more than 9.6
million inhabitants equal to 16 % of the total Italian population (source: ISTAT
2009). he total area of Lombardy is more than 23,800 km2: 47 % is on the plain,
40 % mountains and 12.5 % hills.
Figure 1: The study area corresponds to the Lombardy plain (Northern Italy), highlighted with
the grey colour.
he Lombardy landscape is very varied and includes the Alps to the north, the
hilly chain between the mountains and the wide plain, which is known as the Po
Valley. Further south, there is the river Po to the east and part of the Apennine
mountains to the west. he Lombardy plain is one of the most urbanised areas
in Italy, and even in Europe, with Milan metropolitan area alone having more than
5 million inhabitants. he particular geomorphologic coniguration gave this area a
natural supply of water, coming from the north. his derives from the rivers and
from the particular geological structure. his abundance of water inluenced agricul-
61
Marta Maggi et al.
ture practices by favouring certain types of land use, e.g. grazed pastures, and by
maintaining the permanent vegetation along ield boundaries and along the numerous irrigation channels on the plain. he consequence of this was a landscape rich in
natural elements, with a high degree of biodiversity, and with a cohesive, rather than
difused, ecological network, which was also bolstered by an extensive system of forested areas. his scenario more or less endured until about 1950. Over the last 50
years, farming and urbanisation have had a major impact on the landscape pattern of
the plain. he unsustainable level of urban and industrial settlements and of agricultural development has disrupted the rural landscape. A lot of forests and hedgerows
disappeared, many springs dried up, parcels of land became larger and were managed
intensively. A dramatically simpliied landscape resulted, and biodiversity was drastically impoverished (Lassini et al., 2007). hese pressures, together with some unsustainable planning policies and a lack of ecological foresight, transformed the Lombardy Po Valley into one of the most critical environmental areas in Europe, where
urgent actions are needed.
Materials and methods
he mains source of data for the ecological evaluation was represented by the
oicial vector land-cover database of the Lombardy region, also called DUSAF2
(Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali), at the scale of 1:10,000. his database, derived by photo-interpretation of aerial photographs dated from 2005 to
2007, represents an update of the former version referring to year 1999 and it has a
legend coherent with the Corine land cover program.
he DUSAF2 land cover map was subset using an hexagonal sampling grid,
which is often used in ecological studies (O’Neill et al., 1996; Griith et al., 2000).
Each hexagon has an area of 5 ha which provides a detailed representation of ecological values at regional scales.
From the methodological point of view a three levels hierarchical approach
was adopted to estimate the agro-ecological value of the study area at an increasing
level of detail:
1) the irst level of analysis consists in a basic comprehensive agro-ecological assessment, based on the description of the three characteristics of an ecological system, i.e. structure, composition and function (Andreasen et al., 2001; Dale &
Beyeler, 2001);
62
An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain
2) the second level assesses the landscape value referring to diferent thematic issues
such as biodiversity, agro-diversity, land-cover change. his level adds information to the irst level and can concur to answer to speciic issues, with the possibility to be upgraded in a second moment;
3) the third level represents the synthesis of the above-mentioned two, since as Failing and Gregory (2003) say, ‘Mistake 6: avoiding summary indicators or indices
because they are considered overly simple: (…) despite summary indices may mask
some important attributes (…), they can lead to better decisions’.
Level 1 : composition, structure and functionality
In this paper we will present the results obtained so far for the irst level of
analysis.
As previously mentioned, for a irst general assessment of the ecological value
at regional scale, we considered and evaluated the three key characteristics of an ecological system, i.e. structure, composition and function (Fig. 2).
Figure 2: The three key characteristics of an ecological system (after Dale & Beyeler, 2001).
hese characteristics may be considered at diferent spatial scales. In the
framework of this study we focused at landscape level, therefore we identiied a landscape indicator for each of the three features.
In particular for the compositional aspect we identiied the ‘bio-permeability
indicator’, providing for each hexagon the proportion of land not interested by urbanization or intensive agriculture (Romano & Paolinelli, 2007), therefore suitable
for the presence of biological activity.
63
Marta Maggi et al.
he indicator is calculated as follows (eq. 1):
Bio-permeability indicator = ∑(EAc coef.; FNc coef.) Eq. 1
where
EAc coef. = proportion of the agricultural cover, not interested by intensive production processes (i.e., olive trees, agro-forestry areas, pastures), within the analysis cell
FNc coef. = proportion of the forest and natural cover (i.e., natural and semi-natural
areas, moors and heatland), within the analysis cell (it includes also wetlands)
he structure, which tells about the spatial distribution of land cover, was described at landscape level using a diversity index, more precisely the ‘Simpson’s diversity index’. he index was considered as a proxy of the system complexity and a good
descriptor of the landscape diversity. Actually the original index was appropriately
modiied so that the urban cover presence is considered to reduce the diversity value
of a cell. he structure value is calculated according to the following formula (eq. 2):
D = [1 – ∑(pi)2]/(1+1/pu) Eq. 2
where
pi = proportion of the i patch within the cell analysis (it may belong to any land
cover class)
pu = proportion of the urban cover within the cell analysis
he function characteristic was quantiied through the ‘Aggregate functionality indicator’, speciically conceived in the framework of this project. his index estimates the contribution of each land cover to the water cycle, the nutrients and energy cycles and the erosion processes. It is calculated as follows (eq. 3):
F = ∑ (ai+ bi + ci)pi Eq. 3
where
a = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the water cycle
b = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the energy
and nutrients cycles
c = weight assigned to land cover class i relative to its contribution to erosion processes
pi = proportion of land cover class i within the analysis cell
All the indicators may assume values between 0 and 1, where 0 corresponds to
the worst ecological value of the indicator and 1 to the best.
64
An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain
Synthetic representation
In order to integrate the three indicators and to spatially represent the agroecological value at the irst analysis level, a method based on RGB additive color synthesis was adopted.
According to this method, each indicator corresponds to a primary color, i.e.
red, green or blue: the color of each hexagon is thus the result of the synthesis of the
three primary colors and tells about the values of the three indicators. A white hexagon thus derives from the combination of high values for all the three indicators.
herefore it corresponds to an area of very high agro-ecological value. A yellow, magenta or cyan hexagon derives from the combination of high values for only two indicators. A black hexagon, on the contrary, corresponds to an area of very poor agroecological value.
Results: evaluation of the agro-environmental quality
Each indicator was derived using the available land cover database as data
source. In general the study area shows few hot spots of high ecological value in a
medium/low matrix. In particular, highest values of the bio-permeability indicator
are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspondence
of forested and natural areas (Fig. 3). Intensely cultivated agricultural areas and urban areas do not contribute to the bio-permeability of the analyzed territory. he aggregate functionality indicator presents an analogue spatial distribution, however
lowest values correspond only to urban areas while intensely cultivated agricultural
areas have intermediate values (Fig. 4). he diversity index presents a more complex
spatial pattern, although highest values are noticed still along rivers, in correspondence of natural areas and in less intensely cultivated areas (Fig. 5).
65
Marta Maggi et al.
Figure 3: The spatial distribution of the bio-permeability indicator represented in grayscale.
Highest values are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspondence of forested and natural areas.
Figure 4: The spatial distribution of the aggregate functionality indicator represented in
grayscale. Lowest values correspond to urban areas while intensely cultivated agricultural
areas have intermediate values.
66
An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain
Figure 5: The spatial distribution of the diversity indicator represented in grayscale. This index
presents a complex spatial pattern, highest values are noticed along rivers, in correspondence
of natural areas and in less intensely cultivated areas.
Figure 6: The spatial representation of the agro-ecological value as obtained by the additive
color synthesis method. Triples of values refer to Functionality (F) loaded on the Red (R)
channel, Bio-permeability (B) on the Green (G) channel, Diversity (D) on the Blue (B) channel.
All indicators have values between 0 and 1.
67
Marta Maggi et al.
To aggregate the three indicators using the additive colour synthesis method,
the Functionality indicator was loaded on the Red channel, the Bio-permeability indicator on the Green channel and the Diversity indicator on the Blue channel. Figure 6 shows the results specifying for some of them the triple of indicator values. he
map represents the spatial distribution of areas having diferent agro-ecological value
at landscape level. It may be noticed that the magenta colour (e.g. R = 0.34, G = 0.01,
B = 0.06) is the more dominant in the entire study area, highlighting that the higher
values are provided by the Diversity and Functionality indicators. he study site
presents a general lack of bio-permeable areas. Few areas, close to rivers, present high
values for all the three indicators, therefore a white colour (e.g. R = 0.8, G = 0.9,
B = 0.7). Sub-alpine hills are characterised by high value of Bio-permeability and
Functionality as showed by the yellow colour (e.g. R = 0.8, G = 1.0, B = 0.04). Finally,
some green spots (e.g. R = 0.4, G = 1.0, B = 0.0) are visible in the lower part of the
plain correlated to the luvial system.
Figure 7: The ecological network overlaid on the RGB synthesis of the three landscape
indicators, represented in grey tones. Corridors running in the north-south direction correspond to areas which have a high agro-ecological value (white areas). The overlay led also to
assess which parts of the network present discontinuities in terms of agro-ecological value.
68
An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain
As a irst application of the obtained results we overlaid the layer representing
the ecological network, as delineated by the Lombardy region, to the RGB synthesis
of the three landscape indicators (Fig. 7). his allowed to verify that many ecological
corridors correspond to areas which have a high agro-ecological value, in particular
the corridors running in the north-south direction. Moreover, the procedures led to
assess which parts of the network present discontinuities and would need interventions in terms of land covers.
Conclusions
his document presents the preliminary results of a project aimed at evaluating the agro-ecological value of a heavily human-impacted landscape.
he adopted methodology ofers the advantage of obtaining an harmonized
evaluation over all the study area. Moreover, it allows to identify critical areas and to
raise awareness on the existence, within the analyzed landscape, of areas that despite
the high human pressure would be worth being preserved due to their ecological
value. At the same moment the adopted methodology led to identify advantages and
drawbacks of previous environmental and land-use planning decisions.
he indicators proposed so far, at the irst analysis level, are suiciently simple. herefore they should hit the demand of those who need to apply such indicators in practice, such as administrations and policy makers.
Further developments of the project will concern the identiication of second
level indicators referring to diferent thematic issues and the setting up of a methodology for synthesizing them.
69
Marta Maggi et al.
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Alpine-wide delineation of the
potential treeline
Individuazione del limite boschivo
potenziale nelle Alpi
Caroline Pecher1*, Erich Tasser1 & Ulrike Tappeiner1,2
1
Institute for Alpine Environment, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano
2
Institute of Ecology, University of Innsbruck, Sternwartestraße 2, Innsbruck (A)
*[email protected]
Introduction
In many regions within the Alps a long-lasting and continuous demand
for pastoral land has led to a signiicant downshift in the actual treeline-position
(Ozenda, 1988; Ellenberg, 1996; Holtmeier & Broll, 2005). As a consequence, the
potential treeline-position nowadays rarely coincides with the actual treeline-position. E.g. in the Swiss Alps, undisturbed and natural treelines are seldom, remaining
on steeper and rocky surfaces (Gehrig-Fasel et al., 2007). However, land-use changes
have recently had a considerable inluence on treeline dynamics (Didier, 2001; Gehrig-Fasel et al., 2007; Holtmeier & Broll, 2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al.,
2008). Within some Alpine regions, an upshift in the actual treeline-position, primarily as a consequence of land-use changes, has been observed (Gehrig-Fasel et al.,
2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al., 2008).
In order to identify the dimension of human impact within these zones, the
actual and the potential treeline for the entire Alps need to be delineated. he actual
treeline-position can be directly identiied from recent land-cover maps. he potential treeline, however, has not yet been deined for the whole Alpine arc. Within this
study, we thus present for the irst time a method for the delineation of the potential
treeline for the entire Alps. A mixed approach of GIS and statistical applications was
followed in order to achieve this objective.
71
Caroline Pecher et al.
Study area
he study area covers the cooperation area of the Alpine Convention and it
spans the countries of Austria, France, Germany, Italy, Liechtenstein, Slovenia, and
Switzerland, covering an area of ca. 190,777 km². According to Ozenda (1988) the
Alps can be subdivided into three main bio-geographic regions: he Alpine fringe,
the inter-Alpine zone, and the continentality poles.
Material and Methods
Data sources
For the delineation of the potential treeline Corine land cover 2000
(CLC2000) in combination with Corine land cover Switzerland (CLC Switzerland)
as well as processed data from the Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) were
utilized (EEA, 2005a; EEA, 2005b; Jarvis et al., 2008). CLC2000 provides data on
land use and land cover for the entire Alps except from Switzerland, which is represented by CLC Switzerland. CLC2000 has a 100 m resolution, and it was developed
for the reference years 1999-2001 (Nunes de Lima, 2005). CLC Switzerland has a
resolution of 250 m, and its reference years are 1979-1985 (Nippel & Klingl, 1998).
he processed SRTM data-set has a resolution of 3 arc-seconds (Jarvis et al., 2008).
Potential and actual treeline
A combined approach of GIS and statistical applications was followed in order to identify the potential and the actual treeline-position. he method for the
potential-treeline delineation is described in detail by Pecher et al. (forthcoming).
For the delineation of the potential treeline the CLC class “Forest” was used which
is deined by a density of 500 trees per ha or by a canopy cover of more than 30 % as
well by a tree height of more than 5 m (EIONET, 2006). Assuming that the potential treeline needs to be more elevated than the actual position of the treeline, only
the most elevated forest incidents were used for the delineation of the potential
treeline. he delineation was conducted in the following way: Seven transects of 100
km width were placed at the positions of geo-botanical proile lines, and were then
subdivided into bio-geographic regions (both deined by Ozenda, 1988). For every
72
Alpine-wide delineation of the potential treeline
transect the most elevated 10 % of forest occurrences per bio-geographic region
(cf. 2.1 Study area) were selected and the correlation among the data was then represented by a polynomial function (Fig. 1). he position of the potential treeline was
determined by a GIS-based implementation of the polynomial functions on 5 km
raster cells covering the Alps.
he actual treeline-position was identiied by means of CLC2000, CLC Switzerland as well as by the processed SRTM data. All areas below the actual treelineposition were selected semi-automatically considering altitude as well as land-use
and land-cover type. In a inal step, the zone between the potential and the actual
treeline-position could be identiied.
Figure 1: Within seven transects of 100 km width, the highest 10 % of forest incidents were
identified. The correlation among the selected forest incidents per transect was subsequently
represented by a polynomial regression.
73
Caroline Pecher et al.
Results
he polynomial functions which have been identiied for the seven transects
have the following characteristics: he vertex of all seven functions is positioned near
the Alpine main ridge or south of it. he lowest vertex can be found within the
transects 1 and 4 with ca. 2200 m a.s.l., within the transects 2 and 5 the vertex is at
ca. 2400 m a.s.l., and the highest vertex is reached by the functions within the
transects 3 and 7 with ca. 2500 m a.s.l. 88.0 % of the total study area, 96.7 % the
Alpine fringe, 82.9 % of the inter-Alpine zone, and 63.3 % of the continentality
poles are located below the potential treeline.
Figure 2a illustrates the study area below the actual treeline-position, and igure 2b represents the study area below the potential treeline-position. he mean differences between the altitudes of the potential and the actual treeline increase from
the Alpine fringe (187.7 m) and the inter-Alpine zone (336.3 m) to the continentality poles (377.9 m).
Figure 2: Study area below the actual (a) and the potential (b) treeline-position.
74
Alpine-wide delineation of the potential treeline
Discussion
he quality of the potential treeline delineated within this study is strongly
inluenced by the quality of the underlying base data. he two CLC data-sets have
some limitations that are mainly due to diferent resolutions and reference years.
Whereas CLC2000 has a 100 m resolution the resolution of CLC Switzerland is 250
m; furthermore, the reference years of CLC2000 and CLC Switzerland difer between 14 and 22 years (Nippel & Klingl, 1998; Nunes de Lima, 2005). hese diferences result in a reduced comparability of the data sets that probably lead to errors in
their application. However, at the moment, CLC2000 and CLC Switzerland are the
only pan-European data-sets on land cover and land use available at higher resolution. he currently being produced Corine Land Cover 2006 will, for the irst time,
cover the Alps consistently, which might be an improvement at least for the Swiss
part of the data set (EEA, 2007; EIONET, 2009).
he potential treeline delineated within this study is shaped very evenly. In reality, the altitude of the potential treeline within the Alps is highly dependent e.g. on
the relief as well as on local climatic conditions (Mayer & Ott, 1991). he validity of
the potential treeline was tested by means of a comparison with potential-treeline altitudes from the literature cited. Comparisons were carried out for the Berchtesgadener Calcareous Alps (Germany), for various study sites within the Valais (Switzerland), and for the Maurienne Valley (France): Within the Berchtesgadener
Calcareous Alps Mayer and Ott (1991) identiied the climatic treeline for Pinus cembra at 1910-1970 m a.s.l. Our data locate the mean-altitude of the potential treeline
within this region at 1930-2010 m a.s.l. For diferent locations within the Valais,
Tinner and heurillat (2003), Carnelli et al. (2004), and Heiri et al. (2006) found
potential treelines at 2200-2300 m a.s.l., 2200-2300 m a.s.l., and 2350-2400 m a.s.l.
Our data identify mean-altitudes of the potential treelines at 2230-2240 m a.s.l.,
2160-2260 m a.s.l., and 2240 m a.s.l. for these sites. Within the Maurienne Valley
the potential treeline was located by Didier (2001) at 2300-2400 m a.s.l., whereas we
found the mean-altitude of the potential treeline at 2260-2340 m a.s.l. within this
zone. hese indings lead to the conclusion that the delineated potential treeline is
able to represent the real potential treeline, at least at a regional scale. he delineation of the potential and the actual treelines for the entire Alps allow now for the irst
time for an identiication of the dimension of human impact in formerly forested
mountain areas. In future, updates of CLC or other applicable data sets will additionally provide an insight into changes in anthropogenic activities within these zones.
75
Caroline Pecher et al.
References
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Swiss Alps. Arctic Antarctic and Alpine Research, 40, 225-232.
76
Effetti della ricchezza specifica,
delle abbondanze relative e della taglia
corporea sul processo di decomposizione
fogliare in microcosmi di laboratorio:
quanto contano realmente le specie?
Effects of species richness, evenness and
body size on leaf-litter decomposition rates
in freshwater microcosm experiments:
do species really matter?
Angela Pluchinotta1*, Julia Reiss2,
Guy Woodward2 & Elisa Anna Fano1
1
Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Università degli Studi di Ferrara, Via Luigi Borsari 46, 44100 Ferrara
2
School of Biological and Chemical Sciences, Queen Mary University of London, London E1 4NS
*[email protected]
Abstract
Nell’ultima decade, l’incremento dei tassi di estinzione delle specie ha sollecitato
ulteriori studi focalizzati prevalentemente sulla diversità speciica e sul modo in cui la
sua diminuzione alteri l’eicienza delle comunità a mediare importanti processi
ecosistemici. Sebbene la ricchezza speciica sia una delle metriche più utilizzate della
biodiversità, non signiica che le specie siano le uniche componenti della forzante
ad avere efetti sulle proprietà dell’ecosistema.
Per tali ragioni, il presente lavoro è inalizzato all’analisi degli efetti della diversità a
diversi livelli, dalla diversità tassonomica alla variabilità di caratteristiche individuali,
sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono in microcosmi di
laboratorio. Sono state considerate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al
gruppo funzionale degli shredders e due classi di dimensione corporea. Combinando
le sei diferenti “tipologie” in monocolture e bicolture, si sono creati diversi scenari
di ricchezza speciica e di abbondanza relativa.
I risultati ottenuti mostrano che la decomposizione fogliare dipende principalmente
dalla biomassa totale dei consumatori, piuttosto che dalla ricchezza tassonomica o
da fattori di dominanza numerica. Inoltre, non si osservano interazioni positive, come
la facilitazione o interferenze inter- e intra-speciiche, in assemblaggi dove coesistono
diverse tipologie. Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità, si
77
Angela Pluchinotta et al.
riscontra che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata
per unità di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”.
I risultati del presente lavoro sottolineano l’importanza di valutare l’ipotesi che
variazioni della diversità funzionale, data da caratteristiche individuali come la taglia,
piuttosto che della diversità speciica, possano avere un impatto ecologico rilevante
sulla funzionalità dei processi ecosistemici.
Introduzione
Negli ultimi decenni, numerose ricerche in ambito ecologico hanno registrato
un chiaro collegamento tra biodiversità e funzionalità ecosistemica e hanno formulato molteplici ipotesi riguardo la natura di queste relazioni (Chapin et al., 2000). In
particolare, dagli anni ’90 una numerosa gamma di lavori, sia teorici che sperimentali, ha dimostrato come la biodiversità migliori generalmente la funzionalità dei
processi ecosistemici, quali ad esempio l’uso della risorsa troica o la produzione di
biomassa (Mittelbach et al., 2001; Balvanera et al., 2006). In queste ricerche, infatti,
i tassi dei processi hanno mostrato un chiaro incremento all’aumentare della ricchezza speciica, risultati che hanno portato gli autori a considerare la biodiversità come
sinonimo di ricchezza tassonomica, senza prendere in considerazione altre componenti importanti della biodiversità, come l’abbondanza relativa delle specie, le diferenze tra caratteri funzionali, le interazioni tra specie e le variazioni temporali e spaziali di queste proprietà.
La ricchezza tassonomica certamente rappresenta un buon parametro per misurare la varietà di importanti caratteri, la stessa varietà che implica una correlazione
positiva e asintotica tra ricchezza speciica e tassi del processo. Questo incremento
può essere spiegato da una serie di meccanismi, quali:
• l’uso complementare della risorsa, ossia l’equo contributo di tutte le specie in un dato
processo (Loreau & Hector, 2001);
• la facilitazione, ossia quando le attività di una certa specie interferiscono positivamente o negativamente sull’attività compiuta da altre specie (Cardinale et al., 2002);
• il cosiddetto “sampling efect”, ossia la maggiore probabilità che in assemblaggi con
elevata ricchezza speciica siano incluse specie con efetti rilevanti sull’ecosistema studiato (Cardinale et al., 2006).
D’altronde, non è detto che i tassi dei processi ecosistemici mostrino una
netta correlazione con la ricchezza speciica. In alcuni casi, infatti, le caratteristiche
funzionali di specie dominanti possono inluenzare il processo al punto tale di an-
78
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea
nullare gli efetti della numerosità tassonomica della comunità stessa (Dangles &
Malmqvist, 2004).
Cercando di deinire la vera chiave di lettura degli efetti della biodiversità sui
processi ecosistemici, risulta interessante analizzare l’inluenza di speciici caratteri
individuali, quali ad esempio la taglia corporea, l’eicienza nell’assumere l’alimento
o la lessibilità nella dieta, piuttosto che la ricchezza speciica per se.
Un particolare tratto dell’organismo, come la dimensione corporea, può portare diferenze nel processo osservato. In accordo con la teoria metabolica di Brown
et al. (2004), la massa corporea determina il metabolismo basale degli organismi (ad
es. la domanda energetica, i tassi di ingestione, l’abbondanza, la produzione di biomassa della popolazione), sino ad inluenzare i livelli più alti dell’organizzazione biologica, dal singolo individuo sino alla popolazione (Brown et al., 2004).
Con il presente studio si intende valutare l’impatto di importanti metriche
della biodiversità, quali appunto la ricchezza speciica, le abbondanze relative e la taglia corporea, sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono operato
da assemblaggi macrobentonici detritivori in microcosmi di laboratorio.
Considerata l’elevata ridondanza speciica e la forte strutturazione in taglia
che caratterizza le catene troiche d’acqua dolce (Woodward, 2009), attraverso i risultati di questa ricerca si è voluto sottolineare l’importanza della taglia corporea
come determinante dei processi ecosistemici, piuttosto che la composizione degli assemblaggi o la ricchezza speciica per se.
Materiali e metodi
Set-up sperimentale
Gli efetti di diversità sul processo di decomposizione fogliare sono stati studiati in microcosmi di laboratorio durante la primavera 2008.
Sono state utilizzate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al gruppo
funzionale degli shredders (l’anipode Gammarus pulex, l’isopode Asellus aquaticus e le
larve del tricottero Sericostoma personatum) e foglie di ontano (Alnus glutinosa) come
riserva di cibo. Gli organismi considerati sono specie comuni nei iumi europei e
possono coesistere in natura nello stesso habitat, così come ciascuna specie può dominare la comunità locale in termini di abbondanza e biomassa (Biggs et al., 2007).
79
Angela Pluchinotta et al.
I macroinvertebrati sono stati raccolti prima dell’inizio dell’esperimento da
iumi nel Sud-Est dell’Inghilterra e tenuti in camera termostatata con foglie di pioppo (Populus nigra) come risorsa troica.
I microcosmi consistevano in recipienti cilindrici di vetro (volume 400 ml,
diametro 11,6 cm, profondità 6 cm), areati singolarmente e chiusi con rete di nylon
forata (diametro dei fori 1 mm). I recipienti sono stati riempiti con foglie di ontano
(3 g di massa secca con picciolo rimosso) e successivamente immersi in contenitori
di plastica contenenti 20 litri di acqua distillata e 7,5 litri di acqua di iume costantemente ossigenate da due tubi Aqua Air (60 cm di lunghezza). In ogni contenitore
sono stati posizionati 15 microcosmi (12 box per 180 microcosmi in totale). L’acqua
di iume ha facilitato la colonizzazione microbica delle foglie. La scelta di utilizzare
foglie della specie ontano è stata determinata dai veloci tassi di decomposizione,
compatibili con la breve durata dell’esperimento. Inoltre, gli alti valori nutrizionali
della foglia selezionata e il quantitativo immesso nei microcosmi, tale da rendere la
risorsa alimentare illimitata (Cummins et al., 1989), hanno permesso che tutte tre le
specie, pur coesistendo, mantenessero una preferenza nel processare CPOM ad elevato contenuto calorico sino al termine dell’esperimento.
L’esperimento è stato mantenuto a 15 °C in camera termostatata con un ciclo
luce-buio di 8:16 ore e terminato dopo 4 settimane dall’ingresso dei macroinvertebrati.
Trattamenti sperimentali
In associazione alla diversità tassonomica è stata aggiunta la variabilità in
caratteristiche individuali, prendendo in considerazione la taglia corporea. Agli organismi sono state assegnate due classi di taglia per ciascuna specie: individui rientranti nella classe di taglia “piccola” e “grande” della popolazione di A. aquaticus and
G. pulex misuravano dai 4 agli 8 e dagli 8 ai 12 mm in lunghezza, rispettivamente.
Individui rientranti nelle classi di taglia “piccola” e “grande” di S. personatum misuravano invece dai 9 ai 14 e dai 14 ai 19 mm in lunghezza, rispettivamente.
Le medie di massa corporea per individui di taglia “piccola” erano di 2,1 mg,
2,3 mg, e 8,7 mg per A. aquaticus, G. pulex, and S. personatum, rispettivamente e di
6,2 mg, 6,7 mg, e 16,1 mg per individui di taglia “grande” di A. aquaticus, G. pulex,
e S. personatum, rispettivamente.
Mantenendo a dodici il numero totale di individui per microcosmo, si sono
create combinazioni di macroinvertebrati assemblati in monocolture costituite da
80
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea
organismi della stessa specie e in bicolture costituite da organismi appartenenti a due
specie diverse con classi di taglia distribuite proporzionalmente o con una classe dominante (6+6; 4+8; 8+4).
Tutti i trattamenti sono stati replicati 3 volte, ottenendo così 180 microcosmi
distribuiti in 3 blocchi (Tab. I).
Colture
N
I
S=1
12
a
A
g
G
s
S
S=2
6+6
ag
as
gs
AG
AS
GS
sG
aA
gG
sS
aG
aS
gA
gS
sA
8+4
T
6
15
Aaa
AAa
Ggg
GGg
Sss
SSs
AAG
aag
AAg
aaG
AGG
agg
Agg
aGG
AAS
aas
AAs
aaS
ASS
ass
Ass
aSS
GGS
ggs
ggS
GGs
GSS
gss
Gss
gSS
30
Controllo
microbiologico
1
Totale
52
Repliche
X3
Totale
156
Tabella I: Design sperimentale ottenuto introducendo nei microcosmi tre specie di shredders
con organismi appartenenti a due diverse classi di taglia per ciascuna specie.
Numero di individui (N), identità degli assemblaggi (I), numero dei trattamenti (T),
a = Asellus aquaticus taglia piccola / A = Asellus aquaticus taglia grande,
g = Gammarus pulex taglia piccola / G = Gammarus pulex taglia grande,
s = Sericostoma personatum taglia piccola / S = Sericostoma personatum taglia grande
Determinazione delle biomasse
La biomassa iniziale di ogni individuo è stata derivata attraverso misurazioni
della lunghezza totale del corpo di ogni organismo utilizzando un software di analisi
d’immagine (Image Pro Plus 6.3.Media Cybernetics, inc®), e successivamente calcolata dalla regressione lunghezza – peso della biomassa secca derivata da un sub-campione di 50 individui per ogni specie.
Dopo 4 settimane i macroinvertebrati sono stati rimossi dai microcosmi, separati dal materiale fogliare processato, fotografati e immediatamente congelati a
–40 °C.
81
Angela Pluchinotta et al.
Con il calcolo delle biomasse inali degli shredders si è potuta calcolare la biomassa acquisita dai macroinvertebrati durante l’esperimento.
La mortalità è stata compensata assumendo che gli individui morti hanno vissuto almeno per metà del periodo sperimentale e i dati sono stati corretti in accordo
a questa assunzione.
Il rimanente materiale fogliare è stato seccato a 80 °C e pesato secondo le correzioni fatte per la perdita di massa fogliare dovuta alla lisciviazione e all’attività microbica.
La perdita di massa fogliare è stata espressa in grammi di materiale fogliare
secco per microcosmo e anche per unità di biomassa del consumatore.
Elaborazione statistica dei dati
Su tutti i dati è stata eseguita l’analisi della varianza mediante ANOVA (oneway Anova; α di signiicatività 0,05; software StatSoft Inc, 2001) e successivi test di
Tukey-Kramer (Kramer, 1956) come confronti post-hoc, per veriicare la presenza di
diferenze signiicative nei tassi di decomposizione (per 12 organismi e per unità di
biomassa) in monocolture e in bicolture. Inoltre, sono state confrontate le risposte
relative a questi trattamenti con i controlli microbici.
Prima di procedere alle indagini statistiche, i dati sono stati testati per l’omogeneità della varianza tramite test di Levene e trasformati mediante log(x+1) quando
opportuno.
Tutte le analisi efettuate sono state condotte mediante il programma STATISTICA (v. 8 per sistemi operativi Windows®, applicazione StatSoft Inc®, 2001).
Risultati
Nei trattamenti si è registrata un’elevata percentuale di sopravvivenza (Sericostoma personatum 97,38 %, Gammarus pulex 91,34 %, e Asellus aquaticus 91,17 %).
Si sono rilevate diferenze signiicative (p < 0,05) per quanto riguarda la perdita di massa fogliare tra i controlli e i trattamenti.
I tassi di decomposizione fogliare sono risultati diversi tra le varie specie; S.
personatum ha mostrato in media il maggiore efetto sulla perdita di massa fogliare,
mentre G. pulex e A. aquaticus hanno avuto efetti minori (Fig. 1).
82
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea
Figura 1: Perdita di massa fogliare (±ES) per 12 shredders nelle monocolture di Asellus
aquaticus (1), Gammarus pulex (2) e Sericostoma personatum (3).
La perdita di massa fogliare risulta signiicativamente diferente (p<0,001)
nelle monocolture di S. personatum rispetto alle monocolture di G. pulex, che ha evidenziato valori intermedi e di A. aquaticus i cui efetti sulla perdita di massa fogliare
risultano i più esigui.
Le diverse performance rilettono principalmente le diferenze in biomassa tra
le specie, anziché diferenze nella ricchezza speciica o nella distribuzione delle abbondanze. In efetti, la biomassa totale dei consumatori ha mostrato una forte correlazione positiva (r2 = 0,6125) (Fig. 2) con i tassi di decomposizione, mentre le singole specie non hanno inluenzato signiicativamente il processo, calcolato come media
delle perdite di massa fogliare (g) in rapporto all’unità di massa corporea del singolo
consumatore (mg) (Fig. 3).
83
Angela Pluchinotta et al.
Figura 2: Relazione tra la biomassa totale di 12 shredders (g) e i tassi di decomposizione
fogliare. La biomassa totale dei consumatori mostra una stretta correlazione positiva con i tassi
del processo.
Figura 3: Variazioni in perdita di massa fogliare per 12 shredders nelle monocolture di Asellus
aquaticus, Gammarus pulex e Sericostoma personatum, calcolata come media delle perdite di
massa fogliare (g) per unità di biomassa del consumatore (mg).
Le singole specie non hanno influenzato significativamente i tassi del processo.
84
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea
Nelle monocolture invece i tassi di decomposizione sono stati generalmente
più bassi per gli organismi di taglia “piccola” rispetto a quelli di taglia “grande” della
stessa specie (Fig. 4a), ma sono risultati signiicativamente più veloci per unità di
biomassa del consumatore (Fig. 4b).
Figura 4: Decomposizione fogliare (± ES) per 12 shredders e per unità di biomassa dei
consumatori nelle monocolture con Asullus aquaticus di taglia “piccola” (a) e “grande” (A),
Gammarus pulex di taglia “piccola” (g) e “grande” (G) e di Sericostoma personatum di taglia
“piccola” (s) e “grande” (S).
I tassi di decomposizione fogliare sono significativamente più bassi (p<0,001) per gli individui
di taglia “piccola” rispetto agli individui di taglia “grande” (a), ma significativamente più alti
(p<0,001) per unità di biomassa del consumatore (b).
85
Angela Pluchinotta et al.
Conclusioni
I risultati mostrano che gli efetti della diversità speciica sull’eicienza di conversione della risorsa in biomassa dipendono sostanzialmente dalla biomassa totale
degli organismi, piuttosto che da altre misure tradizionali di diversità (ad es. ricchezza speciica e abbondanza relativa).
Il mancato riscontro di una diferenza signiicativa nei trattamenti con diversi
livelli di ricchezza speciica o con diferenti scenari di dominanza non supporta recenti studi nei quali vengono evidenziate interazioni positive, come la facilitazione o
interferenze inter- e intra-speciiche, all’interno di assemblaggi dove coesistono diverse tipologie quanti-qualitative di organismi (Jonsson & Malmqvist, 2003).
Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità si è riscontrato
che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata per unità di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”. In accordo con quanto afermano Brown et al. (2004) relativamente alle esigenze metaboliche degli individui, gli organismi con massa corporea minore presentano tassi di assimilazione
maggiori rispetto a quelli degli organismi con dimensioni più grandi, per unità di
biomassa, nonostante abbiano consumato una quantità inferiore di risorsa. Si può
quindi desumere che in riferimento a sistemi naturali l’incremento in taglia delle
specie potrebbe causare una serie di efetti sul funzionamento degli ecosistemi analoghi a quelli derivanti dalla perdita in specie.
Ora lo scopo è quello di misurare la diversità funzionale in modo più esplicito, raggiungendo il vero grado di ridondanza dei sistemi naturali e lasciando che si
esprimano le potenziali risposte di compensazione alla perdita in specie. Inoltre le
ricerche future necessiterebbero di maggior realismo, includendo sia la ricchezza in
specie che in caratteristiche individuali, considerando più di un livello troico, e analizzando più di un processo ecosistemico (Reiss et al., 2009; Woodward, 2009).
86
Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea
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87
A preliminary analysis of GIS-based Decision
Support System to monitor climate aridity
and drought in Mediterranean area
Analisi preliminare di un sistema di supporto
alle decisioni basato su GIS
per monitorare l’aridità climatica e la
siccità in Paesi dell’area Mediterranea
Luca Salvati1*, Stefano Tersigni1, Simona Ramberti1,
Marco Zitti2 & Luigi Perini2
2
1
ISTAT, Environmental Statistics Unit, Via A. Ravà 150, 00142 Rome
Council for Research in Agriculture (CRA), Unit for Climatology and Meteorology
applied to Agriculture (CMA), Via del Caravita 7a, 00186 Rome
*[email protected]
Abstract
his paper illustrates a GIS-based information system aimed at monitoring drought
conditions and land vulnerability to drought for Italy at a detailed spatial scale. he
system is composed of three modules which include (i) a meteorological module
which allows calculating climatic igures at a very detailed spatial scale over the whole
Italian territory, (ii) a drought severity synthetic index, and (iii) a land vulnerability
index based on a set of environmental variables describing climatology, soil properties,
and land use in order to synthetically evaluate drought risk in potentially dry areas.
he meteorological module produces cartographic outputs based on data from nearly
6,000 gauging stations whose data were collected on a daily basis over the whole
country. he land vulnerability module produces an index, namely the LVI, measured
in 1990 and 2000 and easily updatable. he LVI, which has a spatial resolution of
about 1 km2, was built up through a multivariate approach aimed at assessing the
importance of the various environmental indicators included in the synthetic index.
Examples in the integration of the modules were illustrated through a GIS-based
approach.
89
Luca Salvati et al.
Introduction
Drought is usually deined as a signiicant, temporary reduction in water
availability below the expected amount for a speciied period and for a deined climatic zone. Diferent classiications of drought were developed according to the research ield of interest, e.g. meteorological drought, hydrological drought, and agricultural drought. he irst deinition is usually linked to an assessment of rainfall
deicit only, the second one includes an evaluation of the water inlows and outlows
balance, the third one, which is at our advice the most complete, separately evaluates
diferent components of drought, namely the dimensions of duration and intensity,
by providing assessment of the level of drought severity. In particular, drought duration refers to the length of dry spells, whereas drought intensity refers to the amount
of water deicit, taking into account a simpliied water balance with rainfall and reference evapotranspiration, respectively as input and output variables (Ligetvari &
Szalai, 2004). Drought severity is then estimated as an integrated index of duration
and intensity (Venezian Scarascia et al., 2006).
he aim of this paper is to illustrate a procedure aimed at developing a GISbased monitoring scheme for Drought Severity. he procedure is requested to produce this information at a detailed geographical and time scale. his contribution is
organised as follows: the statistical survey aimed at collecting a large data set of meteorological observations in Italy was described in paragraph 2. he statistical approach aimed at calculating indicators of drought duration and intensity, thus producing a composite index of drought severity, was detailed in paragraph 3. he
integration of diferent data sources in order to estimate a synthetic index of land
vulnerability to drought was discussed in paragraph 4. he conclusion paragraph
completes the paper by discussing the implications of permanent assessment of
drought on policies aimed at mitigating drought risk in the Mediterranean basin.
The National Institute of Statistics survey on meteorological
networks in Italy
Since 1926, the Italian National Institute of Statistics (ISTAT) disseminates
meteorological data collected from gauging stations located over Italy. In 2007 ISTAT
carried out a research project entitled “Meteo-climatic and hydrologic indicators”.
his project, which is included in the National Statistical Program (2008-2010) tends
90
A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System
to implement a geographical data-warehouse with meteorological, agro-meteorological, and hydrological daily values measured since 1951 from more than 6,000 gauging stations, provided by several national, regional, and local institutions.
he project has the following objectives: (i) to provide a survey of the Italian
institutions collecting meteorological data through the own network of gauging stations and (ii) to collect these data into a geographical data-warehouse in order to improve procedures for environmental monitoring. Survey of meteorological networks
was done on national services, regional services (e.g. rural development agencies),
and local institutions (e.g. research institutes). Based on the results of statistical data
collecting, checking and imputing lacking values, the data-warehouse will allow estimating the main climate variables at high spatial resolution. Finally, a set of indicators describing the interaction of climate with biological, agronomic, pedological,
and hydrological themes will be estimated, through down-scaling approaches, at different administrative spatial scales (e.g. municipalities, local labour systems, agricultural homogeneous regions) in order to achieve integration with socio-economic
variables obtained at those scales.
he survey was conducted on more than 600 institutions which included meteorological services working at national level, regional authorities, and local agencies operating in the environmental ield (Fig. 1).
2
Local institutions
14 %
6%
m National services
m Regional networks
m Local institutions
125
Regional networks
133
National services
80 %
0
20
40
60
80 100 120 140 160
Number of stations per network
Figure 1: Provisional (percent) number of gauging stations actually at work by type of
meteorological network (left), and average number of station per network by network type
(right).
91
Luca Salvati et al.
he respondent’s list was compiled by dedicated searches on the web, by collecting additional information through the main national meteorological services,
and by interviews with experts working at regional and local level. Data were collected through a statistical survey in 2008 by using software tools and data capturing. Metadata from each considered station were collected through Computer Assisted Technology Interviews CATI with holders of each network. he number of
collected stations was rapidly increasing and it is expected to reach a size of about
6,000 gauging stations in a few months. A geo-database was developed in ORACLE/ARCGIS platforms in order to properly store collected time series data of all
the climatic variables. A dedicated module calculates climatic indicators for environmental surveillance in agriculture, public health, tourism and water use on daily,
weekly, monthly and yearly basis. At the moment, we are developing a geo-statistical
module aimed to produce reliable climatic igures over the whole Italian territory at
a afordable spatial scale.
Calculating an agricultural drought index for the Italian territory
Among the several methods proposed to describe drought incidence, the selected method appears as suitable to provide an objective characterisation of drought
events. A simple drought index, obtained from only two input variables (rainfall and
reference evapotranspiration), could be able to describe the diferent aspects of
drought severity and to recognise ‘normal’ conditions, both in statistical and in ecological terms. Our goal is therefore to develop a drought index able to produce information on detailed spatial and temporal scales.
In this module a drought severity index (DSI) was calculated following the
methodology illustrated in Salvati et al. (2008). DSI allows to monitor agricultural
drought especially when data availability is poor and it concerns temperature and
precipitation data only. he module chose meteorological stations with valid daily
precipitation data > 97 % and daily temperature (max and min) data > 95 % across
the considered period (1/1/1951–31/12/2007). ET0, daily estimated evapotranspiration (mm day –1) was computed using the Hargreaves–Samani approach (Hargreaves
& Samani, 1985), by computation on minimum and maximum daily temperature.
Water deicit was obtained as the diference between precipitation and ET0
along a ixed time period. he procedure used to obtain the DSI consists of ive
steps: (i) deinition of dry day and identiication of dry periods; (ii) computation of
92
A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System
dry period climatology; (iii) assessment of dry period anomaly by using climatic percentiles, (iv) description of drought conditions by the way of partial indicators of
drought duration and intensity, and (v) estimation of agricultural drought severity
by the DSI index (Salvati et al., 2008). he DSI could be used to assess general climatic conditions occurring in a certain location. It allows a synthetic description of
drought episodes in terms of both length of dry spells and water balance. Such features make this index suitable for studying the relationships between several environmental topics and climate changes.
Evaluating land vulnerability to drought
he third module, named ‘evaluating land vulnerability to drought’ produces
cartographic layers needed to quantify the exposure of each territory to drought risk
according to agriculture, population density, and other important human activities.
his module develops the Land Vulnerability Index (LVI) illustrated in Salvati et al.
(2009) (Tab. I). his easily updatable index, composed by 15 thematic indicators,
was computed at a spatial resolution of 1 km2. he LVI was built up through a multivariate approach aimed at assessing the importance of the various environmental
indicators included in the synthetic index.
Table I: LVI dimensions, variables used (and their abbreviation), units of measurement, and
data sources (S.C.: sensitivity classes).
Theme
Variable
Unit of measure
Source
Soil
quality
Soil depth (DEP)
–
Mm
Ministry of Agriculture
Organic carbon content (CAR)
–
%
Ministry of Agriculture
Climate
Land
use
Sign
Available water capacity (AWC)
–
Mm
Ministry of Agriculture
Soil texture (TEX)
+
S.C.
Ministry of Agriculture
Estimated erosion risk (ERO)
+
t ha-1 a-1
EU Joint Research Centre
Aridity index (ARI)
+
mm mm-1
Meteorological statistics
Average annual rainfall (RAI)
–
Mn
Meteorological statistics
Rainfall variability (RVA)
+
SD/mean( %)
Meteorological statistics
Rainfall concentration (RCO)
+
mm mm-1
Meteorological statistics
Number of rainy days (NRD)
–
da
Meteorological statistics
Vegetation quality (VEG)
–
S.C.
CORINE Land Cover
Population density (POP)
+
Km-1
Household Census
Demographic variation (DEM) per ten years
+
%
Household Census
Agricultural intensification (INT)
+
S.C.
CORINE Land Cover
-1
93
Luca Salvati et al.
Figure 2 illustrates the distribution of the index over Italy in 2000 (arrows indicate increasing land vulnerability). Increasing land vulnerability was observed during the last years, especially in dry areas of the southern regions. his is interpreted
as a consequence of land management practices, agricultural intensiication, population pressure, and bio-physical degradation.
Figure 2: Distribution of the LVI in 2000 over Italy: darker colours indicate higher land
vulnerability.
94
A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System
Conclusion
his study proposes a synthetic index (the DSI) to estimate agricultural
drought by way of a simpliied model of water balance which identiies the severity
of dryness conditions during low-rainfall periods. Such an index uses as input variables only daily measures of rainfall and temperature, thus resulting suitable when
few agro-meteorological data are available (Motha & Sivakumar, 2001). Overall,
DSI provides a drought estimation which is quite comparable to that obtained from
more complex, integrated indices, like SPI and DRI (Salvati et al., 2009). he proposed methodology may thus summarise in one value the diferent climatic relationships involved in the occurrence of drought events for any considered period (Incerti et al., 2007). It follows that the DSI time proile is informative not only about
drought risk at a single time step, but also about its persistence with time. According
to recent tendencies to evaluate drought episodes through simultaneous use of several indices or variables (Wu & Wilhite, 2004), the procedure has been implemented
by a Land Vulnerability Index (LVI). As a matter of fact, the complex evaluation
methods of drought conditions need a comprehensive framework in which several
aspects should be combined (Svoboda et al., 2002), including (i) climatic (hydrometeorological) data and indices, (ii) soil quality and topography, (iii) crop cover
(vegetation) conditions, and (iv) other human factors, like land use, population
growth and density, urban sprawl and tourism pressure, as the LVI does. he next
step will be the full integration of the three modules into a GIS environment. In
such an integrated approach the proposed indexes will contribute to a better and
more accurate evaluation of drought processes.
95
Luca Salvati et al.
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96
Cartografia ad alta risoluzione
della connettività e stima dell’effetto barriera:
una metodologia basata su parere esperto
e immagini LiDAR
High resolution map of connectivity
and barrier effect estimation:
an expert-based approach using LiDAR data
Rocco Scolozzi1* & Daniele Vettorato2
Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione,
Via Edmund Mach 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)
2
Dip. Ingegneria Civile ed Ambientale, Università degli Studi di Trento, Via Mesiano 77, 38050 Trento
*[email protected]
1
Abstract
L’efetto barriera causato da elementi del paesaggio antropizzato è uno dei fattori che
limitano maggiormente la mobilità di specie faunistiche e che possono aumentare
le probabilità di estinzione di popolazioni già frammentate. Sebbene esistano numerosi
studi sulla frammentazione degli habitat rimangono due fattori limitanti nell’applicazione delle metodologie disponibili nelle procedure di Valutazione ambientale e
Valutazione Ambientale Strategica. Il primo è la mancanza di un’univoca attribuzione
scientiica all’efetto barriera di elementi isici e quindi la mancanza della deinizione di
soglie altimetriche e tipologiche collegate alla capacità di mobilità delle diverse specie
faunistiche. Il secondo è la complessità nel reperimento dei dati dettagliati riguardanti
le caratteristiche isiche delle barriere, acquisibili solamente attraverso costosi rilievi sul
campo e per piccole aree.
Si presenta una metodologia speditiva basata sul parere esperto e sull’analisi di dati
LiDAR (Light Detection and Ranging; o Laser Imaging Detection and Ranging) per
fornire una valutazione dell’efetto barriera di elementi isici di paesaggio. Il LiDAR
è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto
o l’altezza di una supericie utilizzando un impulso laser. Il parere esperto, raccolto
attraverso un’indagine Delphi ha permesso di stimare l’efetto barriera di elementi del
paesaggio (elementi lineari o areali) al movimento di un set di specie (target) (rana,
moscardino, riccio, tasso, capriolo). Queste specie sono rappresentative della vagilità
delle comunità animali presenti nell’area di studio, un’area del fondovalle della
Valsugana (Trentino). I dati LIDAR hanno permesso un’analisi del Modello Digitale
della Supericie (DSM) ad alta risoluzione (0,3 m). Da questo modello e la carta di uso
97
Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato
del suolo, sono state identiicate e caratterizzate le potenziali barriere isiche al
movimento di specie faunistiche target.
Tale approccio speditivo e semiautomatico può essere integrato eicacemente in analisi
di paesaggio o procedure come la VIA e la VAS al ine di deinire gli efetti sulla
connettività causati dai potenziali cambiamenti di uso del suolo. La metodologia fornisce una valutazione degli impatti potenziali e supporta anche l’identiicazione di
aree importanti per una successiva progettazione e monitoraggio di misure mitigative
e/o compensative.
Introduzione
La connettività ecosistemica è un fattore cruciale per il mantenimento della
biodiversità in territori antropizzati (Opdam et al., 2003). La connettività degli habitat supporta veri e propri processi ecologici che svolgono un importante ruolo nella resilienza degli ecosistemi (Lundberg & Moberg, 2003). D’altra parte, nei fondovalle alpini le aree naturali-formi sono generalmente disperse e sempre più isolate da
infrastrutture e usi antropici del territorio. In questi ambienti la frammentazione antropogenica si aggrava a causa degli elementi geomorfologici quali pareti rocciose,
ripidi versanti vallivi, reticoli idrograici che sinergicamente limitano la connettività
degli habitat. Le popolazioni di specie di fauna terrestre legate a tali habitat o alle
piccole aree protette di fondo valle (es. SIC, biotopi protetti), rischiano estinzioni
locali se la gestione del territorio e la pianiicazione, pur conservando integre le aree,
non prevedono una minima bio-permeabilità tra loro (La Rovere et al., 2006).
Gli strumenti disponibili per un’analisi della permanenza delle popolazioni
(quindi delle specie) in un territorio, come la population viability analysis (Akçakaya
& Sjögren-Gulve, 2000; Vos et al., 2001), sono spesso basati sulla teoria della metapopolazione (Hanski, 1994) e richiedono risorse per campionamenti e tempi di monitoraggio e raccolta dati (Coulson et al., 2001) diicilmente disponibili in ambito
di pianiicazione territoriale e di valutazione ambientale (VIA, VAS). Recenti applicazioni della teoria dei grai alla connettività degli habitat (es. O’Brien et al., 2006;
Pascual-Hortal & Saura, 2007; Minor & Urban, 2008) si sono mostrate eicaci
nell’analisi della connettività intesa come conigurazione spaziale degli habitat. In
questi sviluppi, tuttavia, sembra mancare un supporto operativo alla pianiicazione a
scala locale (es. comunale). A questa scala, specialmente nelle regioni alpine, variazioni di uso del suolo anche molto localizzate possono modiicare irreversibilmente
la possibilità di dispersione della fauna terrestre.
L’intento dello studio, di cui in questo testo presenta una parte, è quello di
supportare decisioni e valutazioni nell’ambito della pianiicazione territoriale e della
98
Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera
valutazione degli impatti ecologici correlati al cambiamento di uso del suolo. Nello
sviluppo, un’attenzione particolare è stata dedicata all’applicabilità del metodo in
contesti di risorse limitate e alla comprensibilità dei risultati anche da parte di nonecologi. Il contributo innovativo dell’approccio proposto si basa sull’utilizzo di dati
altimetrici ad altissima risoluzione (0,3 m) prodotti tramite rilievo LiDAR e dei grai spaziali nella rappresentazione della connettività funzionale (specie-speciica) a scala ecosistemica locale.
Il metodo è stato applicato ad un contesto di fondovalle alpino, la Valsugana,
nella parte alta del bacino del iume Brenta (in provincia di Trento), tra i comuni di
Pergine e di Roncegno. In particolare l’area di studio è situata sotto i 700 m di quota,
per una supericie totale di circa 100 km2. I conini dell’area di studio sono stati deiniti sulla base della geomorfologia e della presenza di aree urbane, fattori che costituiscono presumibili discontinuità ecologiche del territorio.
Metodologia e procedura
La metodologia è composta dai seguenti passi:
1. Selezione delle specie target e raccolta d’informazioni sulla capacità di movimento, di dispersione, deinizione delle esigenze di habitat (proili ecologici);
2. foto-interpretazione e riclassiicazione delle classi di copertura secondo EUNIS
(Davies et al., 2004) (3° livello) in termini di idoneità di habitat sulla base dei
proili ecologici
3. deinizione delle categorie di elementi barriera e stima dell’efetto barriera da parte di esperti a livello nazionale, coinvolti in un indagine Delphi (Scolozzi, 2008);
4. Localizzazione delle barriere e loro caratterizzazione per l’area di studio, tramite
analisi dei dati altimetrici LiDAR e rilievi di campo;
5. disegno del grafo spaziale delle connettività, caratterizzazione delle connessioni
(archi del grafo) ovvero deinizione della probabilità di connessione tra patch
(Scolozzi & Geneletti, 2009).
Di seguito si presenta nello speciico solo il passo 4, relativo alla localizzazione
e classiicazione delle barriere isiche lineari tramite dati LiDAR, per gli altri passi si
rimanda ai lavori citati. Brevemente, gli elementi del paesaggio rurale e urbano che
possono costituire barriere per la fauna sono stati identiicati sulla base della letteratura e assunzioni, poi localizzate in base all’uso del suolo e del rilievo in campo. Le
dimensioni sono state individuate cercando un compromesso con l’esigenza di di-
99
Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato
stinguere soglie signiicative per le diverse specie, la risoluzione del dato LiDAR e la
facilità di rilevazione in campo.
Il dato LiDAR si presenta come una nuvola di punti vettoriali quotati ad altissima risoluzione (0,3 m) che descrive la supericie terrestre. In questo studio i dati
LiDAR sono stati resi disponibili dalla Provincia Autonoma di Trento. Gli attuali
strumenti di analisi dei dati LiDAR permettono due operazioni di base utilizzate in
questo studio: la separazione e l’eliminazione degli oggetti che insistono sulla supericie terrestre e quindi la creazione di un DTM che rappresenta la cosiddetta “nuda
terra” e l’analisi delle discontinuità altimetriche e morfologiche al ine di identiicare
spazialmente elementi con caratteristiche geometriche predeinite (Priestnall et al.,
2000). In questo studio sono stati identiicati spazialmente gli elementi isici lineari
del paesaggio caratterizzati da una signiicativa discontinuità altimetrica e morfologica, per esempio muretti a secco, arginature di corsi d’acqua, strade e altre strutture
in rilievo. Nello speciico la procedura di estrazione delle discontinuità è presentata
nella igura 1, nelle successive si presentano i risultati intermedi, quali la mappa delle pendenze (Slope) (Fig. 2a), la mappa dei proili di convessità (Proile Convexity)
(Fig. 2b), che sono stati integrati per ottenere la mappa delle barriere isiche classiicate in quattro intervalli di altezza.
Figura 1: Diagramma della procedura di
estrazione delle barriere fisiche dal dataset
LiDAR.
100
Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera
a)
b)
Figura 2: Mappe di Slope (a) e Profile Convexity (b).
Figura 3: Mappa delle barriere
e definizione del grafo spaziale
della connettività funzionale.
101
Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato
Partendo dalla mappa delle barriere e da rilievi di campi sono state deinite
unità di paesaggio: aree con copertura naturale o semi-naturale continue, delimitate
da barriere naturali o artiiciali (Fig. 3). Queste unità sono state messe in relazione
tramite un grafo spaziale, i cui legami sono stati caratterizzati da una probabilità di
passaggio (complementare all’efetto barriera) specie-speciico. In igura 3 si presenta
il risultato dello studio applicato a supporto della pianiicazione locale (studio per il
PRG del Comune di Roncegno).
Risultati e discussione
La metodologia presentata, seppur ancora in via di sviluppo, contribuisce allo
sviluppo di strumenti di analisi della connettività ecologica integrabili nelle procedure di VIA e VAS. È stato dimostrato come con gli strumenti di rilievo territoriale attualmente disponibili sia possibile minimizzare il tempo necessario per identiicare
gli elementi del paesaggio che costituiscono barriere isiche al movimento di specie
faunistiche target.
In particolare, dal punto di vista operativo è stata testata:
• L’utilità dei dati LiDAR e di alcuni algoritmi di analisi geomorfologica nell’estrazione di elementi isici, in questo caso: elementi lineari con discontinuità altimetrica rispetto al piano campagna;
• La possibilità di integrare un’analisi geomorfologica semiautomatica con il parere
esperto;
• La possibilità di derivare, dalle analisi precedenti, dei grai spaziali che descrivono
la connettività e le conigurazioni spaziali degli habitat e che siano utilizzabili nelle procedure di VIA e di VAS.
Ovviamente la metodologia ha dei limiti di diverso tipo (teorici e operativi) e
diversamente superabili. L’applicazione della metodologia presentata è vincolata alla
disponibilità del dato LiDAR per l’area di studio. Dal punto di vista dei software utilizzati è stato riscontrato come non esista un unico programma (commerciale o opensource) che contenga tutti gli strumenti necessari all’applicazione della procedura.
D’altra parte, i processi modellati sono diicilmente misurabili e veriicabili, e
caratterizzati da una signiicativa aleatorietà. L’efetto barriera è il risultato dell’interazione tra un manufatto umano (es. strada) e l’animale, che dipende dal contesto (es.
stagione, condizioni atmosferiche, presenza e frequentazione dell’uomo), dalle condizioni dell’animale (es. fase migratoria o fase riproduttiva, età, equilibrio tra popola-
102
Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera
zione locale e risorse alimentari locali), da altri fattori sinergici (es. fonti di rumore,
una strada rumorosa può costituire una barriera invalicabile anche a distanza).
Un ulteriore fattore d’incertezza riguarda l’uso di una o più specie target a
rappresentanza della comunità faunistica locale. Le specie target deinite per l’area di
studio sono eterogenee per gruppo (anibi, mammiferi), per dimensione e per capacità di spostamento, quindi rappresentano una ampio range di sensibilità alla frammentazione, ma non necessariamente sono specie focali (Lambeck, 1997). La selezione delle specie signiicative può essere inluenzata dalla disponibilità di dati o di
conoscenze, più che dal reale ruolo di specie indicatrici e rappresentative.
Potenziali sviluppi potrebbero riguardare sia la parte di analisi dati LiDAR e
processamento in ambiente GIS sia la parte di modellazione. Nello speciico dell’analisi si pensa al miglioramento della procedura di estrazione delle barriere isiche da
dati LiDAR testando altri iltri morfologici e diversi algoritmi di estrazione di oggetti tridimensionali. Riguardo alla modellazione della connettività tramite grai spaziali, un prossimo passo potrebbe essere volto verso lo studio e modellazione dei lussi
potenziali d’individui. Da questi modelli si potrebbero trarre indicazioni sulla funzionalità o meno di scenari di pianiicazione a sostenere meta-popolazioni (popolazioni frammentate), quindi valutare l’impatto ambientale d’ipotesi progettuali (es.
infrastrutture stradali).
103
Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato
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104
Premio Marchetti
Wolf prey selection and food availability
in the multi-prey ecosystem
of Majella National Park, Abruzzo
Il lupo e la selezione della preda
nell’ecosistema del
Parco Nazionale della Majella, Abruzzo
Azzurra Valerio1,2*, Antonio Antonucci2, Alessandro Giuliani3,
Marina Cobolli1 & Teodoro Andrisano2
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”,
Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
2
Ente Parco Nazionale della Majella, Via Badia 28, 67039 Sulmona (AQ)
3
Dipartimento Ambiente, Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 121, 00161 Roma
*[email protected]
1
Abstract
Prey selection is a critical component of foraging ecology of wolves (Canis lupus) that
could aid in predicting the efects of these predators on preys populations. Our
objective was to examine how habitat features and spatial relationships between wolves
and ungulates may inluence selection and vulnerability of prey for providing a better
prediction of the environmental impact of wolves in Majella National Park (MNP).
Wolf food habits relative to nine diferent pack territories were assessed by scat analysis
from November 2007 through November 2008. Wild ungulates resulted the main
source of food and accounted in total for 91 % of occurrence frequencies, whereas
livestock reached just 5.87 %. Percentage of occurrences of diferent prey types in scat
samples of every wolf packs, were compared each other through Principal Component
Analysis (PCA). Prey selection was investigated by correlating the Principal Components with seasonal patterns distribution and relative abundance of the most common
wild ungulates of each wolf pack territory. Since selection for wild ungulate species
(adults and juveniles comprised) resulted partially afected by their abundance, other
factors that could inluence their vulnerability were investigated. hus, the physical
features of the packs territories were analyzed by multidimensional statistics (PCA and
Cluster Analysis) giving rise to few explanatory components that in turn were
105
Azzurra Valerio et al.
correlated with the principal components arising from the scat composition analysis.
he two physical and food habits spaces were demonstrated to be correlated with each
other and gave a consistent depiction of the wolves ecology in Majella National Park.
Introduction
Prey selection is a critical component of foraging ecology of wolves (Canis lupus) that could aid in predicting the efects of these predators on preys populations.
Wolves in MNP cohabit with a multi-speciic community of wild ungulates with
whom they share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low
level of human settlements. hese unique conditions ofer the rare opportunity of
studying wolf diet and possible selective processes for both given wild ungulate prey
species as well as demographic categories related to their abundance and distribution. Understanding of wolf-prey relationship has been intensively debated in the
last twenty years and the efects of wolf predation resulted varied by area, weather
conditions, prey species and human harvest. hus, our objective was to examine how
habitat features and spatial relationships between wolves and ungulates may inluence selection and vulnerability of prey, in order to provide a better prediction of the
environmental impact of wolves in MNP.
Methods
Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate
communities
Presence, number of wolves and potential range were constantly monitored
since 2004 by wolf howling and snow tracking activity. Wolf howling census was
made using the approach described as “saturation census” by Harrington and Mech
(1982). Surveys were carried out between late July and early September. To verify
and complete the information obtained by wolf howling, snow tracking census sessions were mainly concentrated in the areas around summer pack localizations, and
were conducted by diferent teams operating at the same time in adjacent areas, usually 24 to 36 h after a snowfall. A total of 60 transects (560 km) were used.
Density of wild ungulates was estimated by diferent census methods. Red
deer were surveyed by counting roaring males, during the rut, in all the study areas.
Counts were replayed twice in the middle of September. he total number of red
106
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
deer was extrapolated considering the number of roaring stags and the percentage of
stags in the population, calculated by data on population age structure collected on
established transects and by observations from vantage points. Data on roe deer and
wild boar were collected on established transects and by observations from vantage
points to estimate numbers of individuals, sex and age structure. For roe deer, density after parturition was calculated on the basis of the relative frequencies of females
in the population, and their fertility was obtained from females shot in areas close to
Park boundaries (Antonucci & Valerio personal observations). For wild boar, density
after birth was calculated by adding percentage of piglets, determined from data collected on ungulate community structure, to individuals >1 year of age. Chamois
were surveyed by means block census method and their range was established by using telemetry data.
Wolf food habits
Field collection. Wolf food habits were assessed by fecal analysis from November 2007 to November 2008. In nine diferent pack territories of MNP, scat sample
(N=530) were collected opportunistically by following wolf tracks in the snow and
along a network of trails, paths, forest road regularly used and marked by wolves.
Twenty six standardized transects for a total of 287 km were traced and covered on
foot every two weeks. During the year of the study, seasonal shift of packs range was
continuously monitored by snow tracking activity, wolf howling and by revisiting
recurrent deposition sites during summer season. Anyway, because topographic features (i.e. mountain peaks, deep valleys, etc.) seem to be used as boundaries in the
most MNP pack territories, wolf scats could be assigned to individual packs with
conidence. Only scats (N=10) collected in the few bufer zones between neighboring packs were excluded from analysis unless they were associated with tracks of the
packs in the snow. he presence of presumable transient lone wolves scats, in the
sample of each pack territory, was not accounted in consideration of pre-dispersal
forays and single movements of pack members. Indeed, it would have been considered negligible because lone wolves traversing wolf-inhabited ranges tend not to
scent-mark for concealing their presence (Rothman & Mech, 1979). To avoid the
possibility to mix up wolf scats with those of other Canids, dogs Canis familiaris and
foxes Vulpes vulpes, additional criteria were used: scat dimension and composition,
deposition site, tracks or sign of wolf activity. Mistake with dogs is more likely during summer period when livestock could graze in pastures, therefore some of these
107
Azzurra Valerio et al.
areas were excluded from sampling design according to a conservative approach. Two
seasons, winter (November-April) and summer (May-October) were compared, considering diferent environmental (presence/absence of snow) and ecological conditions of both wolf and ungulate populations (breeding season, distribution patterns,
habitat use and presence of livestock). Estimate age of scat deposition was assured by
rotational sampling efort occurred at intervals of 2 weeks. Scats weathered and noncollectible were discarded as well because they do not fulill scat-analysis criteria. For
three packs (Porrara, Colle Papaccio, Gamberale) summer sample size was too limited for a reliable diet assessment and consequently the collected scats were not included in the analysis.
Laboratory procedures and Scat-analysis methods. he analysis of scats followed
standard procedure as reported by Reynolds and Aebischer (1991). Prior to scatanalysis, trained observer’s (AV) bias in identifying mammal hairs was assessed by
means of a blind test on a sample of 120 hairs from local mammals. Scats preserved
in labeled plastic bags at –23 °C were autoclaved prior to analysis. After washing
through a sieve (5 mm meshes), macro-components were not hand separated before
air-drying, in according to point-frame technique used in this study for quantifying
diet composition; for details see Ciucci et al. (2004). his procedure allows systematic sampling of the undigested remains of each fecal sample. Guard hairs were recognized at a speciic level using reference key (Teerink, 1991) and reference collection of local mammals hairs gathered from live specimens during this study. Among
ungulates, the distinction into juvenile and adult was carried out due to the characteristic hair patterns of young animals from birth till the irst molt (≤ 5 months) and
recognizable solid fragments (e.g. bones, teeth, nails) were identiied by referencing
to museum specimens. For assessing the relative importance of particular food prey
items in the diet, diferent scat-analysis methods commonly used for wolf were employed: relative frequency of occurrence (FO), relative volume (RV) and ingested
biomass (B) values, using Weaver’s (1993) linear regression model (y = 0.439 +
0.008x) for mammalian prey. Statistical comparison between these methods was
made in order to evaluate bias and discrepancies in their quantitative assessment of
the diet and to give an overall accurate depiction of wolf food habits. High positive
correlation (0.95 ≤ rs ≤ 1; 5 < n < 9; p < 0.001) between all methods was reported.
hen, for comparison with other studies, relative frequency of occurrence was chosen for the quantitative description of the diet and for the statistical analysis. Bias
associated with frequency were not accounted in this study for absence in the wolf
108
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
diet of small and medium size mammals (rodents, hares, insectivores) together with
the prevalence of prey items of similar size (87.19 % FO) (Weaver, 1993).
Spatial analysis
Habitat variables relative to nine wolf packs territories were measured by
means of digitalized 1:25,000-scale land-use map of the study area. Vegetation types
and land-use variables were reclassiied into six groups from a set of 10-15 initial categories obtained directly by the Corine Land Cover classiication system (2000) and
stored in ArcView3.2 (Environmental Systems Research Institute, Inc., Redlands,
California, U.S.A.). hese new categories consist of woods, scrublands, agricultural
lands, open areas, urban settlements and pasturelands. Using digital terrain model
(square cell size of 1600 m2) physical variables of each wolf pack territory were measured as well. Aspect consist of 8 categories: (1) 0-45°, (2) 46-90°, (3) 91-135°, (4)
136-180°, (5) 181-225°, (6) 226-270°, (7) 271-315° and (8) 316-360°. Altitude consists of 6 categories: (1) 0-500 m, (2) 501-1000 m, (3) 1001-1500 m, (4) 15012000 m, (5) 2001-2500 m and (6) > 2501 m. Slope consists of 4 categories: plain,
low slope, medium slope, high slope. Basic statistics for the nine wolf packs territories were calculated for all the variables (mean values and standard deviation or percentage of coverage). he areas considered in the analysis give rise to a speciic pattern of relation between the 24 variables that in turn generate spatial principal
component scores: these allow to project the wolf packages into low dimensional
space summarizing the physical features of their habitats. he correlation between
spatial and diet components allows to sketch some explicative hypotheses about food
habits.
Statistical analysis
Analysis of Variance (ANOVA) was used to check the statistical signiicance
of diferences in the seasonal distribution of the most important food species.
Multidimensional analysis was applied to estimate diferences in the distribution of FO ( %) values among wolf packs. Percentage of occurrences of diferent prey
types in scat samples of every wolf pack were compared each other through Principal
Component Analysis (PCA). PCA is a projection method used for exploiting the information embedded in multidimensional data sets. A raw data set constituted by a
matrix having as rows (statistical units) wolf packs and as columns (variables) fre-
109
Azzurra Valerio et al.
quency of occurrence of the diferent preys was generated. Two separate analyses
were performed for winter and summer periods. Degree of wolf packs selection of
diferent prey category within each species was evaluated for wild ungulates (wild
boar, roe deer, red deer and chamois). he component scores obtained from PCA
applied to the above deined matrix were correlated with the number of diferent
wild ungulates prey species, counted in each pack territory for both periods, so as to
check the consistency of the prey selection hypothesis. PCA was also used to analyze
the same wolf packs in terms of twenty-four habitat variables, in order to complement the diet proile with an ecological signature of the same packs. his second
analysis gave rise to few explanatory ‘environmental’ components that in turn were
correlated with the principal components arising from the scat composition analysis,
suggesting some possible hypotheses about factors that could inluence wolf prey selection.
K-means non-hierarchical cluster analysis was applied to the component
scores of the wolf packs so as to identify relevant classes of packs as for food habits.
Linear discriminant analysis was applied to the characterization of the diferent
packs groups.
Results
Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate
communities
During wolf howling session relative to summer 2007 the presence of the 8
packs recorded in summer 2006 was conirmed and three new packs were detected.
Density of reproductive units is 1.3 pack/100 km2. Pack size averaged 7.2 ± 1.3 during summer and 6.1 ± 1.1 during winter period, with packs constituted by 7-8 individuals. Wild boar was the most abundant species in all MNP territory and in all
wolf packs range with the exception of Fara pack, where density of chamois was wide
abundant. Availability of roe deer and red deer was quite similar and chamois, reintroduced later than the others ungulates, was present with lower density. Tables
with community structure of both wild ungulates and wolves as well as igures with
their potential range overlapped are not shown in this paper.
110
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
Wolf food habits
From November 2007 to November 2008, a total of 530 scats was collected
in nine diferent packs territories of MNP. With regard to the composition of diet,
wild ungulates represented, during the whole year of the study, the main source of
food for all wolf packs and accounted in total for 91 % of frequency of occurrence.
On the other hand, livestock reached only just 5.87 % and fruits of Rosa canina
(Rosa canina), that were common in scats only during the winter period, reached
3.13 %. Wild boar was the most abundant food item (67 %) of all prey items in the
whole year and for all wolf packs. he others wild ungulates seemed to be less important in the wolf diet: roe deer and red deer made up in total 13.3 and 7.7 % respectively, whereas chamois accounted for 4 %. hese proportions undergo temporal
and spatial changes according to a iner scale of analysis relative to diferent packs
(Tab. I). here were signiicant seasonal variations of the most important food items
in the wolf packs diet during the year of study (Tab. II).
Table I: Winter (November-April) and Summer (May-November) percentage of frequency of
occurrences (FO %) of different prey types relative to nine wolf packs in the Majella National
Park. Italics corresponds to the absence of this prey types in the pack territory. Win = winter
period; Sum = summer period; * horses; ** bovids; # goat; § sheep; Ne = not evaluate.
Wolf Packs
Food item (FO %)
Wild boar
Roe deer
Red deer
Chamois
Livestock
Rosa canina
Win
Sum
Win
Sum
Win
Sum
Win
Sum
Win
Sum
Win
Orfento
52.5
39.0
33.3
27.2
4.2
12.0
0.0
0.0
10.0*
21.8*;**
0.0
Lama Bianca
83.4
48.0
0.0
32.3
3.1
0.0
6.3
19.7
0.0
0.0
6.8
Pretoro
81.0
65.0
11.0
16.6
0.0
18.4
0.0
0.0
0.0
0.0
8.0
Fara
65.0
31.0
0.0
0.0
0.0
0.0
34.0
53.0
0.0
15*
0.0
Salle
82.3
64.6
8.1
12.2
3.3
15.8
0.0
0.0
4.9*
7.4* ; # ; §
1.4
Gobbe
79.0
60.6
8.2
11.0
0.0
9.2
8.2
7.1
4.6**
10*
0.0
Porrara
80.6
Ne
12.0
Ne
4.7
Ne
2.5
Ne
0.0
Ne
0.0
C. Papaccio
55.4
Ne
17.2
Ne
5.4
Ne
0.0
0.0
18.3*;**
Ne
0.0
Gamberale
52.0
Ne
16.3
Ne
9.1
Ne
0.0
0.0
22.6*
Ne
0.0
111
Azzurra Valerio et al.
Table II: Seasonal variation in the use of the most important food categories, tested by Anova
test, among six wolf packs sampled in the winter and summer periods.
Wolf Packs
Orfento
Lama Bianca
Prey item
Wild boar
Roe deer
Red deer
Chamois
0.001
0.11
0.53
–
0.01
0.09
0.49
0.01
Pretoro
<0.0001
0.64
0.27
0.30
Gobbe
<0.0001
0.66
0.006
–
Fara
0.28
–
–
0.55
Salle
0.01
0.45
0.31
–
“–” corresponds to the absence of this prey types in the pack territory.
Multidimensional analysis of winter and summer wolf food habits. Data analysis
begun with the computation of PCA to identify any clustering of data related to the
diferences in the use of food categories among wolf packs during winter season.
PCA applied to the original 9 units / 4 variables data set (wolf packs/food category)
gave rise to a two component solution explaining about 79 % of the total variability
in the system (56 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively). he component score
parameters were used to build Hotelling ellipse (95 % conidence interval) with the
aim to identify possible outliers. In our case just one pack (Fara) was at limit of the
conidence interval. In fact this pack was the only one to be characterized by signiicant percentage of frequency of chamois occurrence in the diet. he application of
cluster analysis to the component scores allowed us to highlight two groups of wolf
packs. he irst group (A) was composed of Pretoro, Salle, Lama Bianca, Porrara,
Gobbe, Orfento and Fara packs while the second one (B) of Gamberale and Colle
Papaccio packs. To compare the two wolf packs groups, a t-test was applied to the
component scores (PC1_A vs. PC1_B, etc.), highlighting signiicant diferences between the wolf packs on both PC1 and PC2 (p < 0.0001). his can be appreciated in
fugure I,A, where the component score plot is shown. he loading plot relative to
the discriminating variables is shown superimposed over a score plot (Fig. I, A). his
representation allows to contemporarily appreciate the discrimination power (position of the wolf packs in the plane) and the functional meaning (the loadings correspond to the correlation coeicients of the original variables with the components)
of the proposed solution. When a statistical unit (wolf pack) goes in the vicinity of a
variable (diet element) in the plot this corresponds to saying that the variable has a
signiicantly high value in the unit. his allows to immediately appreciate the relative
importance of the contribution of the diferent wild ungulates food categories in the
112
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
characterization of wolf packs groups. Subsequently, a linear discriminant analysis
was applied and allowed for a clear separation of the two groups (Fisher’s exact test,
p<0.0001 on the classiication matrix). he same procedure described above was applied to summer data. PCA applied to the original 6 units/4 variables data set (wolf
packs/food category) gave rise to a two component solution explaining about 72 %
of the total variability in the system (49 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively).
he application of cluster analysis to the component scores allows to highlight two
groups of wolf packs: group (A) was composed of Pretoro, Lama Bianca, Orfento
packs, while group (B) of Gobbe, Fara and Salle packs (Fig. I, B).
A
PC1 vs PC2
B
PC1 vs PC2
Figure 1: A: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories ()
recovered in the scats sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento, Fara,
Colle Papaccio e Gamberale packs (), during the winter period. Confidence ellipse at 95 %
relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier. The fact a given variable (prey type) is near
in space to a given pack implies the use of that prey discriminates that pack from the others.
Thus wild boar that is common to all the packs is distant from all the packs, chamois specifically identifies Fara pack and red deer, bovids and horses are peculiar of group B packs
(Papaccio, Gamberale).
B: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories recovered in the scats
sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento and Fara packs, during the
summer period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier.
Wolf prey selection. For investigating wolf prey selection, the irst two component scores, that describe the diferences in the diet, were correlated with the numbers of diferent wild ungulates prey species, counted in each pack territory. he correlation coeicients were reported in table III. his table shows the strong correlation
113
Azzurra Valerio et al.
between both PC1 and PC2 and the relative abundance of diferent prey types. As
evident by comparing table III and igure I, the correlation structure linking component scores and prey abundances is highly variable across seasons and, most important, has nothing to do with the correspondent loadings structure. his implies an
active selection of the prey by the wolf that makes the observed situation departing
from the purely random model linked to the linear correlation between prey and
correspondent species abundance. In order to go more in depth into the prey selection problem, the physical features of each pack territory were correlated with the
principal components arising from the scat composition analysis. Since physical variables were twenty-three, we analyzed them by PCA so to reduce the problem dimensionality. PCA applied to the original 9 units/24 variables data set (wolf packs/
physical features) gave rise to a ive component solution explaining about 88 % of
the total variability. In table IV the variance explained by each component is reported. hen, the loading plot relative to the discriminating variables is shown superimposed over a score plot (Fig. II). he three ‘physical’ components obtained were in
turn correlated with the principal components arising from the scat composition
analysis (Tab. V). his table shows how the physical features of each pack territory
could inluence the choice of wild ungulates preys by wolves.
Figure 2: Score Plot PC1-PC5 of the points
representative of the habitat of nine different
pack territories of the PNM, during the winter
period. Confidence ellipse at 95 % relative
to T2 of Hotelling did not highlight outliers.
m
114
Wolf packs;  Physical variables.
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
Table III: Correlation coefficients between the components extract from winter and summer
PCA diet model and the number of the different wild ungulates prey species at disposal of
each wolf pack.
Prey item
PC1
Wild Boar
–0.58
PC2
PC1
–0.64
–0.86
Winter
PC2
Summer
0.38
Red deer
0.14
–0.65
0.59
0.26
Roe deer
–0.77
–0.60
0.90
0.32
Chamois
0.70
–0.51
–0.70
–0.46
Table IV: Component scores extracted from PCA model obtained by 24 physical variables of
each pack.
Wolf Packs
PC1
PC2
PC3
Orfento
–0.895
–0.076
0.049
Lama B.
–0.036
–0.460
–0.306
Pretoro
–0.400
0.177
–0.048
Fara
0.234
–0.360
0.336
Salle
0.112
0.396
–0.265
Gobbe
0.244
0.212
0.595
Porrara
0.099
–0.152
0.167
C. Papaccio
0.464
–0.201
–0.363
Gamberale
0.177
0.465
–0.163
Table V: Correlation coefficients between the components extract from winter PCA diet model
and the components extracted from habitat features of each pack territory.
PC1 Diet
PC2 Diet
PC1hab
–0.64
–0.63
PC2hab
0.47
0.49
PC3hab
0.48
0.37
115
Azzurra Valerio et al.
Discussion
Wolves in MNP cohabit with a multi-ungulates community with whom they
share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low level of exploited areas. his rich and abundant community is of great importance for MNP
wolf population maintenance, accordingly to many studies performed in Europe
(Mattioli et al., 1995; Okarma, 1995; Ciucci et al., 1996; Jędrzejewski et al., 2002;
Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004; Gazzola et al., 2005) and in North America (review: Mech & Boitani 2003), pointing to wild ungulates as the main source of
food of the wolf diet. Among wild ungulates, wild boar is by far the most exploited
species as a food item throughout the annual survey in the whole territory of the
Park and for all the considered packs. In terms of diferential prey spectrum, principal component analysis allowed us to highlight chamois as the most relevant discriminant species allowing us to get rid of the singularity of one of our packs (Fara), in
terms of both animal populations and physical features of the territory. In general,
the relative prey abundance was demonstrated to be independent from the use in the
diet thus pointing to an active selection exerted by the wolf packs. he comparison
between summer and winter diets allowed us to detect a marked seasonal distribution in the use of wild boar. In six out of nine studied wolf packs, for which both
seasons were sampled, we detected an increase of wild boar ratio in the winter diet
compared to the summer one, when intake of the other wild ungulates became higher. Actually, when snow falls occur, the severe climatic conditions and the resulting
pulsed resources could enhance vulnerability of wild boar to hunting wolves. he
deeper and denser snow makes its movements energetically expensive (i.e. escape
from wolves and foraging) due to its shorter legs compared to other wild ungulates
species. hus, the combination of impoverished nutrition and limited escape conditions could explain the major use of wild boar as a food category in MNP wolf packs
diet during winter season. Cervids constituted a secondary fraction of MNP wolves
diet, with percentages of occurrence much lower compared to the wild boar. his occurs also in diferent study areas in the northern Apennines (Mattioli et al., 1995;
Capitani et al., 2003; Gazzola et al., 2005), in which anyway wild boar is not the
bulk of the ungulate community as in MNP. he contribution of these secondary
prey categories to the wolf diet was almost equivalent. Even so, a major use of roe
deer than red deer was overall observed, although their availability is comparable in
the whole territory of the Park. We suggest that some external factors, like particular
habitat characteristics of wolf packs territories or winter severity or their combina-
116
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
tion, may play a relevant role in shaping these diferences. he susceptibility of roe
deer was linked throughout the year to particular ecological characteristics. Indeed,
mosaic of mixed forest, agricultural and pasture lands, could increase roe deer density and group size because of its ability to exploit human dominated landscapes
(Linnell & Andersen, 1995; Hewison et al., 1998). Actually, a major consumption
of roe deer was reported in these particular environments (Jędrzrejewska et al., 1994;
Glowacinski & Profus, 1997) and Mattioli et al. (2004) suggested that the grouping
of roe deer especially at certain times of the day could increase wolf encounter rates
enhancing the probability to be preyed by wolves (Huggard, 1993). his trend was
also observed in our study area, as showed by the PCA-habitat model, wolf packs
that inhabit areas characterized largely by these particular habitats correspond to a
higher proportion of roe deer in the diet. A concordant result is the elevated grouping patterns of roe deer in open habitats in our study area. Moreover, roe deer is
more restricted by severe winter conditions. Besides being disadvantaged owing to its
small size, roe deer, conversely to red deer, does not afect signiicant seasonal altitudinal migration to escape deep snow, as was found in our study area. hus, in periods of strong and persistent deep snow, it could became a more vulnerable prey for
wolves in two ways: 1) deeper snow can limit roe deer movements making foraging
and escaping energetically expensive, as discussed above for wild boar; 2) the observed higher degree of territoriality of roe deer with respect to red deer makes roe
deer highly sensitive to environmental accidents as the decrease of the trophic resources of its range, while at the same time it could increase encounter rates and
probably attack success of wolves since predictably located (Huggard, 1993). Nevertheless, in two wolf packs territories located in a southern sector of the Park, Gamberale and Colle Papaccio, red deer resulted selected and used more than available by
wolves during the winter period. he results of our analysis of physical features of
wolf pack territories allowed us to suggest a possible solution for this apparent conundrum: the correlation we observed between diet and habitat PCs gave us a proofof-concept of the hypothesis that wolves take advantage of the great percentage of
forested cover, and less slope of the Gamberale and Colle Papaccio areas. his interpretation is consistent with Kunkel and Pletshel (2001), that in a study on winter
hunting patterns reported that wolves killed deer in areas with greater hiding-stalking cover and less slope. hey suggested that the element of surprise (i.e. stalking
cover) was a very important factor afecting predation success of wolves. On the other hand, in deer, whose main defense is light, the vigilance is an important factor to
survive wolf predation (Mech, 1984); especially in forested areas, where it becomes
117
Azzurra Valerio et al.
more diicult to detect and avoid predators, an increment of alertness with respect
to open areas was observed (LaGory, 1987). However, we suppose that the elevated
percentage of less slope characterizing Gamberale and Colle Papaccio packs territories (see PCA-habitat model) could reduce the detectability of predators and at the
same time the probability to evade them. Moreover, in our two wolf packs territories
the elevated percentage of warmer west-facing slopes (sun rays are in the west at the
hottest time of the day) and the consequent less rigid conditions of snow cover may
not afect vulnerability of roe deer, as discussed above. hus, in such circumstances
red deer, providing more biomass than roe deer, could become a more proitable
prey explaining its selection by wolves. A divergent result occurred during the winter
period in other two wolf packs territories (Orfento and Salle, located in the northern
part of MNP), where red deer gave a smaller contribution to the wolf diet although
it is the second species in order of availability, with density much more abundant
than roe deer. In this case, we hypothesized that red deer may take advantage of the
great percentage of high slopes typical of these territories (see PCA-habitat model),
but not roe deer and wild boar. In fact, the elevated percentage of north-facing
slopes of these territories could intensify duration and depth of snow cover too,
making the escape mobility of both roe deer and wild boar more diicult, owing to
their shorter legs. Being less restricted by these local hard snow conditions, red deer
seems to be less susceptible to hunting wolves. he seasonal pattern in the use of cervids was fairly stable between all wolf packs, however a general summer increase in
the use of these prey types was observed. his increment seems consistent with the
biological cycle of each prey species. Indeed, concerning diferent age classes, the
contribution to the wolf diet of young animals is higher than that of adults, in the
summer period, as observed in diferent areas of northern Apennine (Mattioli et al.,
1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). In the western Alps (Gazzola et
al., 2005) and in Europe (Salvador & Abad, 1987; Jędrzejewski et al., 2002) the
same trend was observed. Fawns are more vulnerable preys in terms of energetic
costs and their selection in summer may be linked to the wolves need of changing
hunting habits, being pups present at the den (Harrington & Mech, 1982). Actually,
the travels of wolves breeding pairs are reduced, thus selection of fawns could imply
the increased likelihood of both chasing singly and shortening the hunting time.
Diferently from roe deer and red deer, the contribution in the wolf diet of young
animals of wild boar and chamois was lower than those of adults, in both seasons
(for wild boar) and in all packs of MNP. his trend may be explained in terms of energy intake, but at the same time may also relect a common behavior related to the
118
Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park
parental protection of newborns. Wild boar piglets in their irst months of live are
watchfully taken care by females of their family groups, resulting less proitable to
wolf predation than sub-adults (individuals between 5 and 12 months) and adults,
as reported in other studies performed in the Italian Apennines (Mattioli et al.,
1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). Chamois births take place in the
most impervious areas of the territory attended by diferent packs. Females remain
in these lands till when the newborns are able to follow the family group during its
travels. Only when the females and the newborns have joined the original group,
they form the so-called nurseries that represent a strategic tool of the chamois defense against the wolves. Indeed, chamois gave an inconsistent contribution to MNP
wolf diet, either for inhabiting areas attended by just few packs territories or for preferring wide-open meadows at high altitude. Actually, wolf packs that share part of
their range with chamois population in MNP inhabit territories with a high percentage of steep slopes and clifs. he topographic features of this territory advantage the
light strategy of chamois that can climb quickly on steep clifs, making it diicult
for wolves to catch them and thus limiting capture eiciency by wolves (Poulle et al.,
1997). his occurs also in the Fara wolf pack territory where chamois is by far the
most abundant prey species and fully represents, together with wild boar, the local
wild ungulates community.
All in all we can surely state that the multidimensional data analysis strategy
we adopted allowed us to get fairly relevant emergent features from scat analysis of
wolf packs. hese features could be of use for both ecological knowledge and wolf
conservation goals.
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120
Impatto antropico:
effetto di disturbo o
di controllo?
The evaluation of tourism ecological footprint:
a comparison between Italy and Germany
L’impronta ecologica del turismo:
Italia e Germania a confronto
Roberta Aretano1*, Irene Petrosillo1, Giovanni Zurlini1 & Felix Müller2
1
Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies,
University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce
2
Ecology Centre, University of Kiel, Olshausenstrasse 75, 24118 Kiel (Germany)
*[email protected]
Abstract
he understanding of the contribution of human activities to ecosystem change and
how these activities might reduce ecosystems’ capacity to maintain a continuous low
of services must be a primary social goal. To track human demand on these services,
scholars have developed the account of Ecological Footprint (EF), which measures
how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is required to renew
resource production useful for a deined population in a given year, considering the
prevailing technology and resource management of that year. he EF is being
increasingly applied in numerous economic sectors and at various scales. In this study
the EF analysis was applied to residents of two European areas and after that these
footprints were compared with their biocapacities to underline condition of ecological
surplus or deicit. Since tourism is the most important economic sector in the areas
investigated, an EF analysis was applied to estimate the contribution of tourists in
terms of equivalent residents (ER) to the EF. he EF for tourists was also accounted
on a monthly time scale to observe the efects of seasonality on ecological footprint.
Moreover, the assessment of EF of two populations (residents and tourists) was applied
at diferent spatial scales to ind out diferences regarding the contribution of tourism
to EF among the study areas and within the same country. his information could be
used by environmental managers to reduce tourism impacts and to predict more
accurately the needs of tourist and resident populations.
Introduction
It is recognized that human activities stress ecosystems and reduce ecosystems’
capacity to maintain a continuous low of goods and services which can be described
as supporting life, supplying materials and energy, absorbing waste products and
123
Roberta Aretano et al.
providing culturally valuable assets (Daily, 1997; Gössling et al., 2002). To track human demand on these services, scholars have developed many indexes including the
account of ecological footprint (EF), “an accounting tool that enables us to estimate the
resource consumption and waste assimilation requirements of a deined human population in terms of a corresponding productive land area” (Wackernagel & Rees, 1996).
he EF is a synthetic and efective index used to estimate the human impact on the
environment with particular reference to resource’s consumptions. he key feature of
the EF concept is that it provides an heuristic and understandable tool that captures
current human resource use in an easily communicative form for policy and decision
makers but also for general public (Costanza, 2000; Mofat, 2000). In spite of the
debate on methodological shortcomings, during the last decade the use of EF assessment has witnessed an increasing attention by scientists, governments, agencies and
institutions with many new applications proposed (Wackernagel & Yount, 2000), as
well as the possibility of considering sector-speciic ecological footprints such tourism. It is a tool for promoting territory resources but, on the other hand, it is a driving force which contributes to environmental pressure (Petrosillo et al., 2006). In
sustainable tourism assessment the consumption based method of the EF is cited as
a key environmental indicator (Hunter & Shaw, 2007), with several pioneering
works extending its application (Peeters & Schouten, 2006).
Materials and methods
his work focuses on two European study areas: the Province of Lecce and the
municipality of Gallipoli in the Apulia Region (southern Italy); the Nordfriesland
and Dithmarschen districts and the municipality of Husum in Schleswig-Holstein
State (northern Germany).
he EF of the people that live in a city is simply the sum of the EF of all its
residents. To account the household EF data regarding food and iber consumption,
housing, local transport, civil services, other consumed goods and waste product
were collected and put into a “consumption by land use” matrix deducible from the
calculation sheet1 developed by Wackernagel and colleagues. his matrix allocates
the six major Footprint land uses (built-up areas, cropland, pasture, managed forest,
1
124
his calculation sheet developed by Wackernagel, Monfreda, Deumling, and Dholakia to account the
EF of household is available on www.sbs.utexas.edu/resource/EcoFtPrnt/9-20-00ef_household_
evaluation.xls
The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany
ishing ground and energy land) to the ive Footprint consumption components
(food, shelter, mobility, goods and services). All data collected are available at a national level but not so regularly at local scales, therefore, in applying the EF tool at
local level, estimations and approximations were necessary. he Ecological Footprint
is usually measured in global hectare (gha) that is a hectare with world-average ability to produce resources and absorb wastes (WWF, 2008).
An important component of the EF analysis is represented by the assessment
of the biocapacity of an area under examination, that takes into account the surfaces
of “ecologically productive land”. Biocapacity represents a measure of the biosphere’s
regenerative capacity aggregating the production of diferent resources provided by
various ecosystems in a certain area (e.g. arable land, pasture, forest, productive sea)
also including built up or degraded land (EUROSTAT, 2006).
he comparison between biocapacity and ecological footprint allows evaluating the ecological balance that relates the consumption rate of natural resources with
the rate of their regeneration by local ecosystems. In this study the values of biocapacity relect the average national productivities of ecosystems present in Italy and
Germany. Typical data sources are oicial census data without information about error, so in the absence of this information conidence intervals for the EF cannot be
quantiied (Monfreda et al., 2004).
Considering a tourist locality previous studies have provided the basis for using the EF as a useful tool for tourism management. Although some authors documented a case in which tourist and resident EF highlighted very diferent consumption patterns (Cole & Sinclair, 2002), there are other studies in which equivalent
tourist and resident consumptions are considered at similar levels (Patterson et al.,
2007). Since the lack of information regarding tourist consumptions from oicial
civil estimates and the impossibility of interviewing tourists concerning their habits,
in this study it was assumed that tourists show the same behavior of residents and
that they can be considered in terms of equivalent residents (ER). he annual ER
number is the total annual tourist arrivals multiplied by length of stay in days (presence), divided by 365 days per year. To highlight in which period of the year and in
which administrative level there is the greatest tourism pressure, the tourism EF was
accounted at diferent time (annual and monthly) and spatial (regional and local)
scales.
125
Roberta Aretano et al.
All data were collected for the year 2005 and the main data sources are listed
below:
• Demographic census: ISTAT, 2008a; Der Norden zählt, 2008a
• Tourism: APT, 2008; Der Norden zählt, 2008b
• Consumption (goods and services): ISTAT, 2008b; Osservatorio prezzi e tarife,
2008; GENESIS, 2008a
• Energy: TERNA, 2008 ; Der Norden zählt, 2008c
• Waste: Provincia di Lecce, 2008; GENESIS, 2008b
• Transportation: ISFORT, 2008; Mobilität in Deutschland, 2008
• Equivalence and Yield factors: WWF, 2008
Results
he table I shows the diferent contribution of consumption categories and
land uses to the resident EF of Lecce province that is of 4.36 gha. Since this value is
higher than the value of biocapacity (1.22 gha) (WWF, 2008) this indicates a condition of ecological deicit for the province of Lecce. Concerning the two German districts, the table II shows a resident EF of 4.82 gha higher than the biocapacity per
habitant value of 1.94 gha (WWF, 2008), indicating an ecological deicit.
Table I: The EF per habitant in the province of Lecce by the consumption by land use matrix.
Categories
Energy
land (gha)
Cropland
(gha)
Grazing
land (gha)
Forest
(gha)
Built-up
land (gha)
Fisheries
(gha)
Total EF
(gha)
Food
0.06
1.05
0.17
0.00
0.00
0.40
1.67
Housing
0.44
0.00
0.00
0.31
0.00
0.00
0.75
Transportation
0.40
0.00
0.00
0.00
0.11
0.00
0.50
Goods
0.37
0.14
0.02
0.07
0.01
0.00
0.61
Services
0.65
0.00
0.00
0.15
0.02
0.00
0.82
Total EF
1.92
1.19
0.19
0.52
0.13
0.40
4.36
126
The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany
Table II: The EF per habitant in the two German districts by the consumption by land use
matrix.
Categories
Food
Energy
land (gha)
Cropland
(gha)
Grazing
land (gha)
Forest
(gha)
Built-up
land (gha)
Fisheries
(gha)
Total EF
(gha)
0.06
0.91
0.22
0.00
0.00
0.60
1.79
Housing
0.60
0.00
0.00
0.36
0.00
0.00
0.96
Transportation
0.35
0.00
0.00
0.00
0.09
0.00
0.45
Goods
0.27
0.14
0.02
0.02
0.00
0.00
0.45
Services
0.83
0.00
0.00
0.32
0.02
0.00
1.17
Total EF
2.11
1.05
0.24
0.69
0.12
0.60
4.82
To assess the EF of the entire population (resident plus tourist), the number
of ER was estimated. Moreover, to put in evidence how this value changes during
the year, the yearly value of EF per habitant was divided by 12 and comparing the
EF of residents and entire population was possible to evaluate the contribution of
tourism to EF. Table III reports in an exhaustive way annual and monthly data concerning presences, ER, residents, entire population, EF of ER, residents, entire population and the % EF that indicates the % of EF of ER on the EF of entire population. For the province of Lecce the contribution of tourists seems to be not relevant
registering a % EF annual value of 1 % and a maximum in august of 5 %. In a diferent way in German districts the annual % EF is higher (7 %) than value registered
for the province of Lecce (1 %) with a maximum in August of 14 %, so that at the
same spatial scale (regional) there is more tourism pressure in the two German districts. At local scale for Gallipoli the annual % EF is 5 % with a maximum value of
21 % on August indicating that there is a relevant contribution of tourism to the EF
in summertime, while in Husum it is meaningless accounting for only 2 % in the
year and for 4 % in August.
127
Roberta Aretano et al.
Table III: Presences, ER, residents, Entire population, EF of ER, EF of residents, EF of entire
population end % EF of Lecce province, Nordfriesland and Dithmarschen districts, Municipality
of Gallipoli and Husum.
Study area
Month
Presence
Lecce
2005
Jun-05
German districts
Gallipoli
Husum
ER
Residents
3,086,236
8,455
805,397
397,726
13,258
Entire Popul.
EF ER (gha)
EF resid. (gha)
EF entire
populat. (gha)
% EF
813,852
36,866
3,511,531
3,548,397
1%
818,655
4,816
292,628
297,444
2%
Jul-05
776,960
25,063
830,460
9,106
301,734
3%
Aug-05
1,218,182
39,296
844,693
14,277
306,905
5%
Sep-05
312,873
10,429
815,826
3,789
296,417
1%
326,280
107,351
1,465,319
1,572,670
7%
334,093
12,084
122,110
134,194
9%
2005
8,129,325
22,272
Jun-05
902,539
30,085
304,008
Jul-05
1,423,621
45,923
349,931
18,446
140,556
13%
Aug-05
1,546,336
49,882
353,890
20,036
142,146
14%
336,629
13,103
135,213
10%
22,009
4,683
91,277
95,960
5%
7,606
8,154
7%
8,678
12%
Sep-05
978,641
32,621
2005
392,101
1,074
Jun-05
45,254
1508
22,443
548
Jul-05
91,434
2949
23,884
1,072
Aug-05
169,326
5462
26,397
1,985
9,591
21%
Sep-05
35,749
1192
22,127
433
8,039
5%
21,320
2,100
100,661
102,761
2%
21,471
235
8,354
8,589
3%
2005
158,997
436
Jun-05
17,623
587
20,935
20,884
Jul-05
22,573
728
21,612
291
8,645
3%
Aug-05
26,102
842
21,726
336
8,690
4%
Sep-05
19,871
662
21,546
265
8,619
3%
Discussion
he application of the EF methodology to two diferent countries has allowed
to evaluate the household EF for residents in both areas and to get the EF distribution in several consumption categories and land uses by the use of “consumption by
land use” matrix. Furthermore the analysis has highlighted a condition of ecological
deicit in both study areas.
Since in the two study areas the most important economic sector is represented by tourism, an EF analysis was applied to assess the annual EF of the entire population (residents plus tourists). From an environmental management perspective,
128
The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany
tourism means hosting an additional (non-resident) group over the registered population, which increases consumption of resources and emissions of waste and that
has not received formalized attention in environmental planning eforts. Results
highlight that in the province of Lecce tourism mostly shows the typical peculiarities
of seaside tourism concentrating mainly in only two months of summer. However
tourism is not evenly distributed in the province because it is concentrated in space
afecting mainly coastal zones, such as the municipality of Gallipoli, which sufers
from overcrowding, while inland municipalities show lack of visitors. For this reason
it was necessary to develop the footprint evaluation at smaller scale and in particular
in reference to a coastal municipality to ind out where tourism contribution has to
be taken into account. Diferently, in the case of Dithmarschen and Nordfriesland
districts where tourism results distributed more homogenously over the whole territory, the total annual EF accounted for the entire population has highlighted that
the contribution of tourism is more important at this district scale than at municipality level. Moreover the EF for tourists was also accounted on a monthly time scale
to relect the rise and fall of tourism throughout the year because seasonal peaks are
mainly problematic for environmental management, intensifying environmental
pressures such as waste production, energy and water resources consumption
(Gössling, 2001).
Conclusions
his study attempted to track human demand on goods and services accounting the EF for two European populations. he analysis of their footprints has allowed to observe how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is
required to renew the resource’s production useful for these populations. he assessment of the tourism EF in this study has put in evidence that there is a need to implement the sustainable tourism research with analysis that consider linkages through
time and between hierarchical management levels, such as the spatial understanding
of tourism dynamics at municipal, provincial, regional and national scales. his information could be used by environmental managers to reduce tourism impacts and
to predict more accurately the needs of the tourist and resident populations in terms
of natural resources and ecosystem good and services.
129
Roberta Aretano et al.
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130
Pressioni antropiche e stato ecologico
del Lago di Pusiano: nuove prospettive
Human impacts on Lake Pusiano and
its ecological condition: new perspectives
Elisa Carraro*, Gianni Tartari, Franco Salerno & Diego Copetti
Istituto di Ricerca sulle Acque, CNR, Via del Mulino 19, 20047 Brugherio (MI)
*[email protected]
Abstract
Il Lago di Pusiano, un lago eutroico situato nella fascia sudalpina, è uno tra i piccoli
laghi italiani meglio studiati. Nel presente lavoro vengono considerati i dati idrochimici e biologici pregressi mentre gli impatti antropici vengono analizzati attraverso
le relazioni idrologiche e troiche tra il lago e il suo bacino idrico. L’analisi limnologica
del lago è stata recentemente arricchita da simulazioni basate sul modello ecologico
CAEDYM, mentre viene utilizzato un modello idrologico per la simulazione del carico
difuso, che risulta di origine prevalentemente civile. Questi dovranno integrarsi in
un modello ecologico a scala di bacino. La variabilità legata alle dinamiche interne al
lago e l’identiicazione delle ‘reference conditions’ sono i principali elementi che
restano ancora da chiarire per una completa comprensione dei meccanismi di risposta
del sistema lacustre alle pressioni esterne.
Introduzione
Da oltre trenta anni la principale causa di degrado del Lago di Pusiano si
identiica in una persistente condizione di marcata eutroia. La situazione attuale è
dovuta in parte ai carichi di nutrienti residui, provenienti dal bacino imbrifero attraverso gli immissari diretti e la fascia perilacuale (Salerno, 2005), in parte è causata
dall’instaurarsi di una condizione ecologica basata su equilibri diversi da quelli originari o naturali (Schefer et al., 2001). Ulteriori fattori isici, morfologici e morfometrici esercitano un ruolo fondamentale nell’esplicarsi dell’eutroizzazione del Lago di
Pusiano, analogamente a quanto osservato in altri laghi poco profondi (Gulati &
Van Donk, 2002).
La Direttiva 2000/60/CE (Water Framework Directive, WFD), che stabilisce
l’obiettivo del raggiungimento di uno stato ecologico “buono” della qualità di tutte
131
Elisa Carraro et al.
le acque supericiali entro il 2015, indica come strumento prioritario la riduzione
delle pressioni presenti nel bacino idrograico, con un chiaro orientamento verso una
valutazione integrata delle relazioni tra le cause e gli efetti (Jeppesen et al., 2005).
Sebbene negli ultimi decenni i carichi inquinanti esterni diretti verso i laghi siano
diminuiti, grazie a normative più severe e al miglioramento dei sistemi di depurazione, il raggiungimento degli obiettivi di qualità è ben lontano dall’essere raggiunto. In
molti laghi poco profondi, ad esempio, i meccanismi di adattamento della biocenosi
alle nuove condizioni abiotiche sono molto complessi (Ludwig et al., 2003) e oggi i
più soisticati strumenti modellistici confermano che i tempi di risposta di un sistema ecologico complesso come un lago possono essere relativamente lunghi nel raggiungimento di un nuovo equilibrio ecologico (Blenckner, 2008; Law et al., 2009;
Pawlowski & McCord, 2009).
Evoluzione limnologica del Lago di Pusiano
Il Lago di Pusiano, di origine glaciale intermorenica, è situato tra i due rami
del Lago di Como e si colloca tra i laghi subalpini di medie dimensioni (supericie
5,26 km2, profondità massima 24 m, profondità media 14 m e volume 69,2 106 m3).
La descrizione del bacino imbrifero non è chiara, in particolare per quanto riguarda
le fasce perilacuali. Il bacino idrograico, drenato principalmente dal Fiume Lambro,
ha una supericie di 94,6 km2 (lago incluso). La fascia perilacuale, coincidente in
buona parte con la Piana d’Erba, a nord-ovest del lago, costituisce un’area ad elevata
pressione antropica, sia residenziale che industriale, ed occupa circa il 12 % dell’intero bacino.
L’andamento stagionale del termoclino di questo lago non si è modiicato nel
trentennio 1972-2004, nonostante l’incremento della temperatura alla circolazione
di 2 °C circa, veriicatosi anche in altri ambienti lacustri italiani simili (Tartari et al.,
2000). Il contenuto ionico non ha subito cambiamenti rilevanti della matrice disciolta che è inluenzata essenzialmente dalle caratteristiche geologiche del bacino
imbrifero, caratterizzato come ambiente carsico (Salerno & Tartari, 2009).
Le caratteristiche limnologiche sono, invece, considerevolmente mutate negli
ultimi 35 anni. I maggiori cambiamenti hanno riguardato le concentrazioni di nutrienti ed in particolare quelle del fosforo totale (TP), diminuito dai valori massimi
di circa 200 µg P l-1 a poco meno di 50 µg P l-1 nel 2009 (Fig. 1), mentre le concen-
132
Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive
trazioni di azoto totale (TN) sono rimaste costanti attorno ai 2 mg N l-1, durante la
circolazione invernale.
Figura 1: Andamento delle concentrazioni medie di fosforo totale (TP µg P l-1) negli ultimi 35
anni, rilevate durante la massima circolazione invernale.
Il generale miglioramento delle condizioni troiche del lago, a partire dagli
anni ’80 ad oggi, ha inluito sul popolamento itoplanctonico. La frammentarietà
degli studi e la diversità dei metodi utilizzati non consentono di tracciare un’evoluzione dettagliata delle comunità algali su scala pluriennale, parallela a quella dei dati
di qualità delle acque. Nonostante ciò, in Bonomi et al. nel 1967, si afermava la
quasi completa assenza di Cyanoprokaryota. Tale situazione è apparsa confermata
anche nelle campagne di campionamento successive. Nel 1994-1995 (Tartari &
Quattrin, 1998) la struttura del popolamento itoplanctonico si modiicava radicalmente, presentando un forte sviluppo del gruppo dei Cyanoprokaryota, con più di
25 specie presenti quasi ad ogni campionamento. Negli ultimi 15 anni questa situazione o situazioni analoghe sono state confermate da frequenti segnalazioni di intense ioriture di Planktothrix rubescens nei mesi autunnali, la cui intensa colorazione
rosso-brunastra ha più volte messo in allarme le popolazioni rivierasche. Il miglioramento troico del Pusiano è quindi accompagnato da un incremento dei cianobatteri, le cui ioriture hanno destato preoccupazione per la potenziale tossicità di Planktothrix rubescens (Legnani et al., 2005).
133
Elisa Carraro et al.
Impatto antropico e forzante idrologica
Attualmente il lago presenta ancora condizioni di eutroia con un contenuto
di fosforo totale alla circolazione invernale di 50 µg P l-1, una ridotta trasparenza delle acque e costante anossia degli strati profondi durante la stratiicazione, che perdura da aprile a novembre.
Per studiare i carichi provenienti dal bacino, è stato applicato un modello
idrologico (Salerno e Tartari, 2009), isicamente basato, per il trasporto dei nutrienti
(SWAT, Neitsch et al., 2001), calibrato e validato su un sottobacino del Fiume Lambro (caratterizzante la porzione montana dello stesso), che si chiude a Caslino d’Erba
(CO), punto in cui vi è un misuratore di livello. Ciò ha permesso di efettuare una
simulazione iniziale del lusso idraulico con passo giornaliero ottenendo un errore
assoluto, rispetto al lusso misurato dalla strumentazione, di circa il 30 %, che esprime in sé anche la variabilità causata dal regime pluviometrico. Nel graico riportato
in igura 2 si osserva, infatti, come nel periodo 1974-1982 le precipitazioni erano
molto più accentuate in primavera, e in particolare a maggio, rispetto a quanto si osserva ora. Questa diferenza trova una accentuazione anche nelle dinamiche di creazione del lusso idrologico. L’apporto annuale di precipitazioni che si è veriicato dal
1998 al 2003 mette infatti in rilievo che negli ultimi due anni si sono veriicate condizioni meteorologiche estreme rispetto alle caratteristiche medie del bacino. L’alluvione veriicatasi nel novembre 2002 e l’anno siccitoso del 2003 pongono problemi
nella modellizzazione idrologica su scala pluriennale e di conseguenza nella stima dei
carichi di nutrienti. Allo stesso tempo lo studio delle dinamiche in condizioni estreme ha portato ad evidenziare come l’ecologia del Pusiano sia particolarmente sensibile a questi eventi (Copetti et al., 2006).
L’analisi dell’impatto antropico sul lago ha portato ad evidenziare (Salerno,
2005) la parziale ineicienza della rete di collettamento dei relui urbani. L’attuale
conigurazione riesce infatti ad asportare dal bacino soltanto il 68 % (0,50 kg P ab -1
rispetto a 0,74 kg P ab -1) dei relui civili, mentre il rimanente 32 % (0,24 kg P ab -1)
viene rilasciato durante gli ‘overlow’ degli scaricatori di piena della rete fognaria. Il
carico così generato è quindi da considerare tra le possibili cause del permanere del
degrado della qualità delle acque del Lago di Pusiano.
134
Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive
Figura 2: Confronto tra le precipitazioni medie mensili rilevate nelle due stazioni meteorologiche di Asso e Canzo (ubicate nel bacino del lago) in due periodi storici distinti. È preferibile un
grafico a colonne in quanto non c’è continuità tra un dato e il successivo.
Per ridurre al minimo la pressione antropica generata dagli scolmatori è richiesto l’approfondimento della conoscenza della rete di collettamento dei relui per
individuarne le criticità (punti di massimo scolmo) e le possibili soluzioni per ridurre le immissioni nella rete idrograica. Tali indagini, avviate nel Progetto PIRoGA
(2009-2012), permetteranno di raccogliere le informazioni necessarie a condurre
una modellizzazione speciica delle perdite dalla rete fognaria verso i corpi idrici supericiali.
La modellizzazione ecologico-idrodinamica del lago
Parallelamente agli studi modellistici del bacino, in anni recenti Copetti et al.
(2006) hanno implementato sul Lago di Pusiano il modello idrodinamico monodimensionale DYRESM (Antenucci & Imerito, 2002) e il modello ecologico CAEDYM (Romero et al., 2003), che sono stati accoppiati alla modellizzazione del regime idrologico e dei carichi di fosforo ottenuta con il modello SWAT (Salerno,
2005). Le modellizzazioni idrodinamiche efettuate sono in generale in accordo con
gli andamenti stagionali sperimentali, mentre a primavera si osserva una certa deviazione della temperatura (1-2 °C) sul fondo durante la stratiicazione debole. Tra le
possibili cause è stata avanzata l’ipotesi delle turbolenze idrodinamiche a scala sub-
135
Elisa Carraro et al.
giornaliera create dalle perturbazioni del vento alla struttura termica, come evidenziato nella igura 3, dove si confronta l’andamento della velocità del vento con le variazioni di temperatura rilevate nel lago a scala sub-oraria, per mezzo di una catena
di sensori posti lungo la colonna d’acqua.
Figura 3: Struttura termica del Lago di Pusiano e andamento della velocità del vento (ms-1) a
scala oraria dal 21 Lug 2003 al 25 Lug 2003 (fonte Copetti, dati IRSA non pubblicati).
CAEDYM modellizza adeguatamente l’andamento delle specie del fosforo,
considerando le deviazioni dovute ai possibili errori di rappresentatività del prelievo
e le sensibili variazioni a livello del ‘boundary layer’ bentico. Durante il periodo di
stratiicazione estiva il gradiente della forma reattiva del fosforo (considerata nel modello come la forma disponibile per la crescita algale) raggiunge punte massime superiori ai 450 µgP/l. Come è noto, il fosforo accumulato sul fondo durante il periodo di stratiicazione delle acque rientra in circolo durante in inverno. Una certa
diicoltà è stata riscontrata nella simulazione di questo delicato periodo del ciclo la-
136
Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive
custre in cui, in pochi giorni, una grande quantità dell’elemento limitante entra in
circolo e diventa potenzialmente disponibile per la crescita algale. Da un punto di
vista modellistico infatti questo periodo rappresenta un momento di discontinuità,
per cui piccoli errori nella simulazione delle condizioni iniziali si ripercuotono sulla
simulazione dell’intero ciclo annuale successivo. Il modello riesce in tutti i casi a riprodurre molto bene la forte dominanza di P. rubescens, che rappresenta circa il 70 %
del contenuto totale di Chl-a nel periodo di simulazione. Per il restante comparto
biologico diminuisce l’accordo dei dati sperimentali con quelli simulati (coeicienti
di regressione di 0,3 e 0,4) ed il modello tende a trascurare i picchi di ioritura algale,
dando una risposta media del comportamento itoplantonico (Copetti et al., 2006).
Applicabilità degli strumenti modellistici integrati
Gli strumenti modellistici disponibili per il lago di Pusiano, e per il suo bacino, possono essere utilizzati per fornire un’ indicazione delle potenziali variazioni
dello stato ecologico rispetto al cambiamento delle pressioni antropiche. La valutazione delle dinamiche interne al lago, ovvero le interazioni tra il comparto idrochimico e la catena troica che attualmente lo caratterizza (predominanza del phytoplankton), l’alta variabilità e la scarsa capacità predittiva che ne derivano sono
comunque i principali aspetti ancora da chiarire per una completa comprensione dei
meccanismi di risposta del sistema lacustre alle pressioni esterne e rappresentano le
tematiche emergenti in tema di modellistica ecologica.
L’integrazione tra i due livelli di modellizzazione (lago e bacino) richiede la
risoluzione del problema su come si debbano raccordare scale spazio-temporali diferenti (Blenckner, 2008). L’identiicazione delle ‘reference conditions‘, in linea con le
indicazioni metodologiche contenute nella WFD 2000/60, richiede la comprensione dei meccanismi ecologici che portano un ecosistema da uno stato stabile all’altro
(Law et al., 2009). Oltre a ciò nel caso del Pusiano occorre uno studio paleolimnologico che chiarisca quali siano state le reali vicende idromorfologiche e che fornisca,
da un lato, le informazioni necessarie per una corretta individuazione dello stato di
riferimento, mentre dall’altro permetta l’individuazione di eventuali episodi catastroici, ‘catastrophic shifts’ (Schefer et al., 2001). Tali episodi potrebbero aver caratterizzato la storia recente del lago e il passaggio all’attuale stato ecologico.
137
Elisa Carraro et al.
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138
La capacità di carico come strumento di
supporto alla pianificazione in ambito turistico
Carrying capacity as a tool to
support tourism planning
Valentina Castellani* & Serenella Sala
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca,
Piazza della Scienza 1, 20126 Milano
* [email protected]
Abstract
Il settore turistico genera circa il 10% del PIL in Europa ed è strettamente dipendente
dalla qualità delle risorse naturali. Per individuare modelli di produzione e consumo
sostenibili in grado di disaccoppiare crescita economica e impatti sull’ambiente è
necessario conoscere i limiti isici e gestionali del sistema: il concetto di capacità di
carico applicato al turismo può essere un utile supporto alla pianiicazione di sistemi
turistici sostenibili. Il presente lavoro propone una metodologia per la valutazione
della capacità di carico dei sistemi turistici che integri la valutazione dei limiti isici,
correlati alle risorse, con quella della capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e
ambientali. Si presentano i risultati della valutazione efettuata in due realtà lombarde,
mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deinizione di politiche di sviluppo turistico sostenibile in queste aree.
Introduzione
Il concetto di sviluppo sostenibile si fonda sulla consapevolezza che i sistemi
sociali ed economici dipendono da risorse naturali inite, che inevitabilmente pongono dei limiti alle nostre possibilità di sfruttamento e alla possibilità di una crescita
“ininita” delle attività umane. I fattori principali che agiscono nel determinare la sostenibilità o l’insostenibilità a lungo termine delle attività umane in rapporto agli
ecosistemi naturali sono: il numero di individui presenti in una determinata area in
un determinato arco di tempo, i loro modelli di consumo e l’eicienza delle diverse
componenti del sistema.
Il turismo è un settore economico che ha una forte relazione con le risorse naturali, che rappresentano spesso uno dei principali elementi di attrattività del territorio, ma che possono anche subire forti pressioni in termini di consumo e degrado
139
Valentina Castellani & Serenella Sala
(Mathieson & Wall, 1982; Saarinen, 2006). Risulta dunque di fondamentale importanza che la pianiicazione dell’oferta turistica sia preceduta da un’analisi delle condizioni dell’area nonché da una stima degli impatti che permetta di formulare ipotesi sugli efetti di un eventuale incremento del lusso turistico della destinazione e
sulla capacità dell’ambiente di sopportare le relative pressioni.
Il primo passo per individuare gli ambiti in cui intervenire per ridurre la pressione sull’ambiente è rappresentato, infatti, dalla misura degli impatti generati e dalla valutazione della sostenibilità del sistema considerato, attraverso il confronto con
la sua capacità di carico. L’Organizzazione Mondiale del Turismo deinisce la capacità di carico turistica come “il massimo numero di persone che può visitare una destinazione turistica nello stesso momento, senza causare una distruzione dell’ambiente
isico, economico e socio-culturale e un peggioramento inaccettabile della soddisfazione dei visitatori riguardo alla qualità della visita” (WTO, 1999).
Questa deinizione sembra suggerire come obiettivo l’individuazione di un
modello che permetta di stabilire qual è il numero massimo di turisti ammissibile in
una determinata destinazione turistica al ine di garantire la sostenibilità del sistema
e di tutelarne le risorse in una prospettiva di lungo termine. Tuttavia, questo approccio si scontra con alcuni limiti sia teorici che operativi connessi alla possibilità e
all’opportunità di limitare l’accesso alle aree turistiche:
• nella maggior parte delle situazioni (tranne che in alcuni casi particolari, come ad
esempio le aree protette, i siti archeologici o alcuni monumenti) non è pensabile
limitare il numero dei turisti, sia perché l’accesso non avviene necessariamente da
varchi prestabiliti, sia perché questo sarebbe in contrasto con l’obiettivo di libertà, ricreazione e svago insito nel concetto di turismo e con l’obiettivo economico
che un’attività di questo tipo deve necessariamente avere;
• la determinazione del numero massimo di persone ammissibili in un determinato
sito dovrebbe basarsi sull’ipotesi di superamento di una soglia di capacità di carico in funzione della stima degli impatti che un determinato numero di persone
produce sul territorio; tuttavia l’impatto di ogni turista dipende dalle sue scelte di
consumo e dai suoi comportamenti durante la vacanza (ad es. scelta del mezzo di
trasporto, della tipologia di struttura ricettiva, ecc.), quindi non è possibile valutare a priori l’impatto di ogni turista.
Inoltre, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di valutare gli impatti attuali e potenziali del sistema turistico al ine di indirizzare la pianiicazione; in questo
senso quindi risulta molto più eicace una valutazione che non dia come risultato
140
La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico
solamente un numero massimo di turisti, ma piuttosto fornisca indicazioni su quali
potrebbero essere gli aspetti di criticità del sistema.
Facendo riferimento a queste considerazioni, il presente lavoro propone una
metodologia per la valutazione della capacità di carico turistica che integri le valutazioni relative alla capacità di carico isica, correlata alle risorse, con la valutazione della capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e ambientali (fornitura di acqua
potabile, gestione dei riiuti, disponibilità di infrastrutture, ecc).
Metodologia
Il presente lavoro fa riferimento alla metodologia “Limits of Acceptable
Change” (Stankey & Cole, 1985) che considera la valutazione della capacità di carico come una base per deinire la soglia di impatto e/o di consumo che non può essere superata se si vuole tutelare l’integrità del sistema ed in particolare delle risorse
naturali da cui dipende.
Seguendo questo approccio, la metodologia analizza separatamente i principali aspetti che caratterizzano l’ambiente naturale e i principali aspetti ambientali legati alla vita quotidiana dei residenti e alle attività turistiche (es: aria, acqua, riiuti,
suolo, etc.; v. Tab. 2); per ogni aspetto analizzato è stata delineata una procedura valutativa ispirata al modello concettuale DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte) (Smeets & Weterings, 1999), allo scopo di individuare i fattori determinanti e i dati utili per valutare la situazione attuale e gli scenari futuri.
Le fasi del processo di valutazione sono le seguenti:
1. scelta dell’aspetto da analizzare ed elenco dei relativi determinanti;
2. scelta dei determinanti (sulla base di dati di letteratura e di eventuali studi speciici sulle caratteristiche dell’area oggetto di studio) e delle variabili ritenute più
importanti per l’aspetto considerato, in relazione al turismo;
3. valutazione e scelta dei fattori limitanti;
4. sviluppo/applicazione di indicatori speciici per la variabile individuata;
5. individuazione di valori di riferimento, massimi e minimi, e suddivisione in classi del risultati sulla base di: dati di letteratura, limiti di legge, confronto con altre
realtà, expert judgement;
6. raccolta dati locali per il popolamento degli indicatori individuati;
7. valutazione della capacità di carico del comparto considerato sulla base del confronto tra i dati raccolti e le classi individuate, adottando il principio di precau-
141
Valentina Castellani & Serenella Sala
zione (in presenza di un fattore al limite, si assegna capacità di carico ridotta a
tutto il comparto).
Per una prima applicazione della metodologia sviluppata, sono state scelte
come aree di studio due realtà lombarde che rappresentano due diverse fasi nello sviluppo della destinazione turistica, come deinite dal Modello del Ciclo di Vita delle
Destinazioni (Butler, 1980; Agarwal, 1994): il Sistema dei Parchi dell’Oltrepo Mantovano e la Comunità Montana Alpi Lepontine. L’Oltrepo Mantovano rappresenta
un’area di turismo emergente, non ancora strutturata e con un lusso di turisti abbastanza ridotto; le Alpi Lepontine rappresentano una destinazione più matura, anche se
con aspetti contrastanti: nella stagione estiva infatti il lusso di turisti, sia italiani che
stranieri, è molto consistente nelle aree lacuali e piuttosto ridotto in quelle montane.
Risultati e discussione
L’applicazione della metodologia ha permesso di realizzare, per ogni comparto
considerato, uno schema di valutazione della capacità di carico, sul modello illustrato in tabella 1.
Tabella I: Schema concettuale DPSIR applicato alle attività turistiche (Castellani et al., 2007).
DPSIR
METODOLOGIA
1) DETERMINANTI
Analisi dei dati disponibili e identificazione delle attività
maggiormente rilevanti per la realtà locale (determinanti)
2) DETERMINANTI E VARIABILI
SIGNIFICATIVI PER IL COMPARTO
TURISTICO
Rispetto ai determinanti identificati precedentemente, selezione
di quelli che possono essere influenzati dal settore turistico
3) FATTORI LIMITANTI
Selezione delle pressioni più rilevanti generate dai determinanti
identificati
4) INDICATORI
Selezione di indicatori appropriati per misurare lo stato
dell’ambiente
5) CLASSI
Definizione di classi per la valutazione della capacità di carico,
individuate sulla base degli indicatori e dei limiti identificati
precedentemente
6) RISULTATO LOCALE
Ricerca e analisi di dati locali
7) CAPACITÀ DI CARICO
Valutazione della capacità di carico sulla base dei dati raccolti e
delle classi individuate. La capacità di carico dell’intero comparto
viene assegnata sulla base del principio di precauzione
8) RISPOSTE
Elaborazione dei risultati per individuare risposte adeguate ai
problemi evidenziati dall’analisi
142
La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico
Lo schema concettuale illustrato precedentemente, applicato a tutti i comparti considerati, ha fornito una valutazione complessiva della capacità di carico turistica per ciascuna delle due aree considerate, sintetizzata nella tabella 2.
Tabella II: Risultati della valutazione della capacità di carico turistica effettuata nella Comunità
Montana Alpi Lepontine e nel Sistema Parchi Oltrepo Mantovano.
Quantità
acqua
per uso
potabile
2. consumi giornalieri
(litri / abitanti / g)
3. prelievi / ricarica
(m3/g) / (m3/g)
4. popolazione servita
da depuratore
(popolazione servita /
popolazione residente)
*100
5. AE potenziali /
AE attuali
Qualità
acque
superficiali
6. stato ecologico
dei corpi idrici
(parametro LIM)
7. stato trofico laghi
(scostamento risp. alla
condizione naturale)
Consumi
energetici
8. consumo energia
medio comunale / consumo medio nazionale
(MWh/ab) / (MWh/ab)
A
<1
M
=1
B
>1
A
< 200 l/ab
M
200 l/ab
B
> 300 l/ab
A
<1
M
=1
B
>1
A
100 % - 75 %
M
74 % - 50 %
B
< 50 %
A
>1
M
=1
B
<1
A
ottimo, buono
M
Sufficiente
B
scadente, pessimo
A
stato attuale =
stato naturale
B
stato attuale ≠
stato naturale
A
<1
M
=1
B
>1
Oltrepo mantovano
Alpi Lepontine
Valore
Capacità
di carico
1. consumi / dotazione
idrica
(litri / abitanti / g) /
(litri / abitanti / g)
Stato – classi1
Capacità
di carico
Sono questi Indicatore
i famosi
componenti
ambientali?
–
n.d.
–
n.d.
–
n.d.
–
1,35
B
n.d.
–
75 %
A
95 %
A
>1
A
1
M
sufficiente
M
buono
A
Dato non
rilevante
per l’area
--
stato attuale ≠
stato naturale
B
0,78
A
1,42
B
Valore
n.d.
143
Valentina Castellani & Serenella Sala
Produzione
rifiuti
Qualità aria
1,6
Alpi Lepontine
Valore
A
1,14
A
2,2 – 2,5 Kg/ab*g
B
> 2,5 Kg/ab*g
10. disponibilità residua
sistema di raccolta
(volume raccolto g /
volume raccoglibile g)
A
vol. raccolto g/
vol. raccoglibile
g: < 0,7
n.d.
–
n.d.
–
B
vol. raccolto g/
vol. raccoglibile
g: 0,7 - 1
n.d.
–
n.d.
–
11. % Raccolta
differenziata
A
> 45 %
39,80 %
M
12,39 %
BB
PM10 : 108
NO2 : 1
BB
PM10 : 0
NO2 : 0
A
4.000-5.000
A
Area di rilev.
Ambientale:
4.000-5.000
A
Riserva Lago
di Piano:
> 50.000
BB
12. n° medio giornate
in cui i parametri sono
superati
14. densità ricettiva
(posti letto /
1000 abitanti)
15a. edificazione
turistica
(strutture complementari / totale strutture
ricettive)
15b. edificazione
turistica
(abitazioni non occupate
da residenti / totale
abitazioni)
16. affollamento siti
naturali e sentieri
144
1,8 - 2,2 Kg/ab*g
Valore
M
13. scomparsa di specie,
disturbo
(n° di visitatori tot aree/
Biodiversità anno)
Uso del
suolo
A
Oltrepo mantovano
Capacità
di carico
9. produzione
pro-capite giornaliera
(kg / abitanti / g)
Stato – classi1
Capacità
di carico
Sono questi Indicatore
i famosi
componenti
ambientali?
M
35 - 45 %
B
< 35 %
limiti stabiliti per legge:
non più di 35 gg di
superamento/anno per
il PM10, non più di 18 gg
di superamento anno
per NO2
Non è possibile, in base
alle informazioni
disponibili, stabilire classi
di capacità di carico
turistica. La valutazione
avviene tramite avviso
d’esperto
A
0-100
M
10-300
B
> 300
A
> 20 %
M
10 %-20 %
B
< 10 %
A
< 20 %
M
20 %-50 %
B
> 50 %
Non è possibile, in base
alle informazioni disponibili, stabilire classi di capacità di carico turistica.
La valutazione avviene
tramite avviso d’esperto
13,71
A
419
B
54,20 %
A
60 %
A
8%
A
29,07 %
M
basso
(le aree non
sono ancora
attrezzate)
A
basso
A
La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico
Efficienza
economica
del sistema
turistico
17. escursionisti
(E = n° escursionisti /
n° turisti)
18. utilizzo lordo delle
strutture
[(presenze / posti
letto)*365] * 100
19. % di turisti che
raggiungono l’area con
mezzi privati
20. n° autoveicoli
circolanti / abitanti
Mobilità
21. presenza di servizio
ferroviario
(n° comuni con stazione
ferroviaria / tot comuni
considerati)
Congestione stradale
Intensità
turistica
22. n° di veicoli nei
mesi turistici
(n° veicoli / g)
23. intensità turistica
alta stagione
I = (presenze alta
stagione / g) / abitanti
A
E<1
M
1<E<2
B
E>2
A
Oltre 40 %
M
20 % - 40 %
B
< 20 %
A
< 40 %
M
40 %-70 %
B
> 70 %
A
0-0,3
M
0,3-0,5
B
0,5-0,8
A
0,8-1
M
0,4-0,7
B
0-0,3
A
< 16.000
M
16.000
B
> 16.000
A
I < 0,5
M
0,5 < I < 1
B
I>1
Oltrepo mantovano
Alpi Lepontine
Valore
Capacità
di carico
Uso del
suolo
Stato – classi1
Capacità
di carico
Sono questi Indicatore
i famosi
componenti
ambientali?
B
n.d.
–
30,76 %
M
7,5 %
B
>70 %
B
>70 %
B
0,59
B
0,61
B
0,6
M
0
B
n.d.
--
18.000
B
0,002
A
0,1
A
Valore
>2
I dati disponibili relativi al comparto acqua (Indicatori 1-7) mostrano un problema relativo all’approvvigionamento di acqua potabile dal sottosuolo nell’Oltrepo
Mantovano (I. 3), con una situazione già insostenibile che potrebbe essere ulteriormente peggiorata dall’aumento della richiesta, determinato dall’incremento del numero dei turisti; nelle Alpi Lepontine, invece, il problema riguarda la capacità di depurazione degli impianti presenti sul territorio, che operano già al limite delle
proprie potenzialità e non sarebbero in grado di garantire la continuità e la qualità
del servizio in caso di aumento del volume delle acque da depurare (I. 5).
La mobilità rappresenta un problema per entrambe le destinazioni, sia perché
il numero di auto circolanti appartenenti a residenti è elevato (I. 20), sia perché, a
causa della scarsità e/o ineicienza dei sistemi di trasporto pubblico (I. 21), i turisti
145
Valentina Castellani & Serenella Sala
raggiungono le aree prevalentemente con mezzi propri (I. 19); questa circostanza incide sulla qualità dell’esperienza turistica, determinando una situazione di congestione delle strade (I. 22), di inquinamento acustico (che può essere fonte di disturbo
soprattutto per le aree protette) e, nel caso dell’Oltrepo Mantovano, anche una condizione aggiuntiva in un contesto molto critico in merito alla qualità dell’aria (I. 12).
Anche se non completamente esaustivi, i risultati ottenuti permettono una
valutazione preliminare della capacità di carico turistica delle due realtà considerate,
mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deinizione di politiche di sviluppo turistico sostenibile.
Conclusioni
L’aspetto più critico relativo alla valutazione della capacità di carico per le destinazioni turistiche è la diicoltà di ottenere risultati quantitativi (Bimonte & Punzo, 2005). Seguendo il punto di vista di Manning (2002) e di Stankey & Cole
(1985), questa ricerca rappresenta un tentativo di quantiicare lo stato attuale di ogni
comparto interessato dalla gestione del turismo, attraverso indicatori che considerino
i principali aspetti ambientali e gestionali relativi al settore turistico e che permettano di indirizzare le future politiche di sviluppo turistico sostenibile.
L’applicazione della metodologia ha evidenziato alcuni elementi positivi e alcune criticità, da approfondire in futuro:
• La necessità di stabilire soglie di sostenibilità rappresentate da valori numerici
universalmente riconosciuti rappresenta uno degli aspetti più controversi perché,
soprattutto per gli indicatori per i quali non esistono standard deiniti e riconosciuti, la scelta implica necessariamente un certo grado di soggettività da parte di
chi efettua la valutazione.
• L’interazione della capacità di carico isica (determinata dalle caratteristiche
dell’ambiente naturale) e della capacità gestionale del sistema turistico rappresenta un elemento chiave per fornire informazioni utili a supportare la pianiicazione
da parte dei decisori locali.
• La scelta di non aggregare i risultati in un unico valore ma di presentarli in modo
disaggregato fornisce indicazioni settoriali sullo stato e sulle possibili situazioni di
criticità, nonché di evitare compensazioni tra i risultati dei diversi aspetti considerati.
146
La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico
Bibliografia
Agarwal, S. (1994) he resort cycle revisited: implications for resorts. In: Progress in Tourism, Recreation and Hospitality Management, 5.
Bimonte, S. & Punzo, F. (2005) A proposito di capacità di carico turistica. Una breve analisi teorica. EdATS Working Papers Series, 4.
Butler, R. (1980) he concept of a tourist area cycle of evolution. Canadian Geographer, 24, 5–1.
Castellani, V., Sala, S. & Pitea, D. (2007) A new method for tourism carrying capacity assessment, Ecosystems and
sustainable development VI. WIT Press, Southampton.
Manning, R.E. (2002) How much is too much? Carrying capacity of national parks and protected areas. In: Monitoring
and management of visitor lows in recreational and protected areas. Bodenkultur University, Vienna, Austria.
Mathieson, A & Wall, G. (1982) Tourism: Economic, Physical and Social Impacts. Longman, Harlow.
Saarinen, J. (2006) Traditions of sustainability in tourism studies. Annals of Tourism Research, 33, 1121-1140.
Smeets, E. & Weterings, R. (1999) Environmental Indicators: Typology and Overview. European Environment Agency, Copenhagen, Denmark.
Stankey, G.H & Cole, D.N. (1985) he Limits of Acceptable Change (LAC) System for Wilderness Planning. USDA
Forest Service Intermountain Research Station: Ogden, UT.
WTO (1999) Global code of ethics for tourism. Proceedings of hirteenth session of General Assembly, Santiago, Chile.
147
Sostenibilità e bioenergia:
un’applicazione del modello CO2FIX
ai boschi della Lombardia
Sustainability and bioenergy:
an application of the CO2FIX
model to the forests of Lombardy
Giulia Fiorese*, Giorgio Guariso & Enrico Perego
Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano,
Via Golgi, 20133 Milano
*[email protected]
Abstract
Le biomasse del comparto forestale possono costituire un’importante fonte rinnovabile
per l’energia e contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e allo sviluppo
delle bioenergie a scala locale. Tuttavia, l’utilizzo di risorse forestali a ini energetici
può avere rilevanti impatti sugli ecosistemi e sul territorio nel suo complesso e richiede
quindi un’analisi approfondita. Scopo di questo lavoro è confrontare diferenti modelli
di gestione sostenibile della biomassa forestale con l’obiettivo di massimizzare la
produzione di bioenergia e la rimozione di gas serra dall’atmosfera. Il modello utilizzato per l’analisi, CO2FIX, descrive i lussi di carbonio per unità di supericie della
biomassa, del suolo e della bioenergia. Il modello è stato applicato ai boschi della
Lombardia, che sono stati schematizzati in quattro macrosistemi forestali: boschi di
conifere; boschi di latifoglie; boschi misti di conifere e latifoglie; impianti di arboricoltura da legno. Per ogni macrosistema sono state analizzate diverse politiche di
gestione che vanno dalla tutela assoluta al mantenimento costante dello stock a cicli di
taglio di diversa lunghezza, ino alla massima produzione mantenibile. È stato quindi
possibile confrontare le diverse gestioni e individuare quella più eiciente dal punto di
vista del carbonio immagazzinato per ogni macrosistema forestale. Estendendo questi
risultati all’intero territorio regionale si può valutare il contributo complessivo del
comparto alla riduzione delle emissioni climalteranti.
149
Giulia Fiorese et al.
Il ruolo energetico delle biomasse forestali
I cambiamenti climatici impongono alla nostra società sia lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di ridurre le emissioni climalteranti sia la massimizzazione
dell’eicienza con cui la biosfera è in grado di sequestrare il carbonio. I modelli previsionali indicano che, sebbene il potenziale di sottrazione di carbonio da parte del
suolo e della vegetazione non sia da solo in grado di compensare gli aumenti delle
emissioni, la capacità di accumulo di C nella biosfera nei prossimi 20-30 anni sarà
essenziale per mitigare i cambiamenti climatici. Il bilancio del carbonio negli ecosistemi terrestri ha quindi acquisito negli ultimi anni una rinnovata importanza; i soprassuoli forestali potranno giocare un ruolo determinante.
Occorre dunque guardare ai boschi come depositi di carbonio che devono essere salvaguardati, ma che, allo stesso tempo, hanno valore economico grazie alla
produzione di energia rinnovabile, dato che possono fornire legna da usare in sostituzione dei combustibili fossili per la produzione di energia. Gli ecosistemi terrestri
svolgono un importante ruolo all’interno del ciclo globale del carbonio e di conseguenza nelle strategie di controllo delle emissioni di gas serra (Ciccarese et al., 2005).
Questo ruolo si concretizza attraverso tre tipi di intervento: creazione di nuove foreste; appropriata gestione delle foreste esistenti; uso della biomassa in sostituzione delle fonti fossili e di altri materiali (Brown et al., 1996).
Tuttavia, le foreste di nuova formazione sequestrano carbonio intantoché sia
raggiunto il limite massimo oltre al quale le perdite dovute a respirazione, morte delle piante, cause esterne di disturbo o a utilizzazioni e altre operazioni forestali, arrivano a bilanciare l’attività fotosintetica. Anche il legno estratto dal bosco e trasformato
in prodotti legnosi costituisce una riserva inita di carbonio. Quando una supericie
forestale non è ripiantata dopo la sua utilizzazione, oppure è perduta in modo permanente, a causa di eventi naturali, la riserva di carbonio è dispersa; lo stesso accade
se i prodotti legnosi degradati non sono sostituiti da analoghi prodotti. Al contrario,
i beneici derivanti dalla sostituzione dei combustibili fossili con la bioenergia sono
irreversibili: quando è prodotta energia da biomassa in sostituzione di una fonte fossile qualsiasi, si evita in maniera permanente l’emissione di una certa quantità di gas
serra (Tuskan et al., 2001).
Il presente lavoro ha due obiettivi. Il primo consiste nella formulazione di un
metodo per individuare politiche di gestione sostenibile dei boschi, avendo come
ine ultimo la riduzione delle emissioni di gas serra e l’aumento del carbonio issato
dal sistema forestale. Il secondo obiettivo è quantiicare i beneici ambientali che si
150
Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia
possono ottenere dalla gestione dei soprassuoli forestali della regione Lombardia attraverso le politiche individuate.
Il software CO2FIX
CO2FIX V 3.1 (Masera et al., 2003; Schelhaas et al., 2004) è un modello di
bilancio del carbonio costituito dai moduli della biomassa, del suolo, dei prodotti,
della bioenergia (Fig. 1). Ciascun modulo descrive i lussi di ingresso e di uscita del
carbonio, mentre il modulo inale calcola un bilancio complessivo nel sistema forestale.
Figura 1: Struttura modulare del modello CO2FIX.
Il modulo Biomassa descrive l’accrescimento della biomassa forestale a partire
dal carbonio assorbito tramite fotosintesi distinguendo tra foglie, rami, fusto e radici. Ognuno di questi comparti è regolato da opportune equazioni che descrivono
l’accrescimento, la mortalità, il turnover e il taglio della biomassa. Mortalità, turnover e residui del taglio che restano sul terreno alimentano il modulo Suolo, in cui è
descritta la decomposizione della biomassa e i relativi lussi di carbonio, dipendenti
dalle condizioni climatiche e dalla lettiera. La biomassa rimossa alimenta il modulo
151
Giulia Fiorese et al.
Prodotti, che descrive gli utilizzi dei prodotti legnosi, tra cui l’uso energetico. Questo
alimenta il modulo Bioenergia che valuta le emissioni di carbonio evitate grazie alla
sostituzione di energia prodotta da combustibili fossili con energia prodotta da biomasse. Il modulo inale di Bilancio del carbonio somma tutti i lussi in ingresso e in
uscita dall’atmosfera. CO2FIX è uno strumento lessibile e può essere applicato ad
una varietà di specie forestali. Il modulo Biomassa è in grado di descrivere sia piantagioni mono-speciiche sia boschi con più specie arboree e con una struttura non
omogenea di età (attraverso il Modello coorti).
Tutte le variabili utilizzate sono masse di carbonio per ettaro di bosco (tC/ha);
per la simulazione della dinamica si utilizza un passo temporale pari a un anno. È
possibile convertire le quantità di carbonio della itomassa arborea in tonnellate di
sostanza secca per ettaro (tSS/ha) o in metri cubi (m3/ha). L’output del modello è costituito da due indicatori: il primo esprime le emissioni medie annue di anidride carbonica evitate grazie all’utilizzo della biomassa come fonte energetica alternativa al
gas naturale e il secondo esprime la quantità media annua di gas serra sequestrato dal
sistema forestale (biomassa forestale e suolo).
I boschi della Lombardia
La supericie forestale totale lombarda si estende su 665.702 ettari, più di un
quarto della supericie regionale. Il 58 % della supericie forestale è costituita da popolamenti puri di latifoglie, il 17 % da formazioni pure di conifere, il 13 % da boschi
misti; la parte restante risulta non classiicata (INFC, 2005; ERSAF, 2007). La categoria forestale più difusa tra i boschi di conifere è l’abete rosso, tra i boschi di latifoglie le più difuse sono castagneti, ostrieti e carpineti. Circa due terzi della supericie
forestale è di proprietà pubblica, il restante è di proprietà privata. Quasi tutta la supericie forestale è soggetta a strumenti di pianiicazione forestale e un quarto della
supericie è soggetta a vincoli di tipo naturalistico. Solo un quinto dei boschi ha origine naturale, mentre la gran parte ha origine semi-naturale, dovuta a interventi selvicolturali o a rinfoltimenti. Il 6 % dei boschi presenta un’origine artiiciale (rimboschimenti, imboschimenti, piantagioni derivate da semina o da impianto di specie
indigene o introdotte). Secondo i dati raccolti nell’Inventario Nazionale, circa l’8 %
dei soprassuoli forestali si trova in uno stadio giovanile o di rinnovazione, il 61 % in
uno stadio adulto e il rimanente 31 % in uno stadio invecchiato.
152
Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia
I boschi della Lombardia sono oggi in uno stato di parziale abbandono, che
ha fatto seguito a secoli di utilizzo spesso eccessivo, con conseguenti situazioni di
invecchiamento e di degrado. I prelievi di legname dai boschi sono drasticamente
diminuiti dal dopoguerra, anche se c’è stata una lieve ripresa dopo gli anni ’80. I
prelievi variano molto di anno in anno e in Lombardia oscillano tra un minimo di
0,8 nel 2004 e un massimo di 1,8 milioni di m3 nel 1999 (ISTAT, 2006). La diminuzione del prelievo riduce la pressione a carico degli ecosistemi forestali; tuttavia
una ripresa delle attività produttive correttamente svolte potrebbe signiicare la ine
dell’attuale stato di abbandono.
Applicazione di CO2FIX ai boschi della Lombardia
Per studiare le alternative di gestione dei boschi della Lombardia sono stati individuati 4 macrosistemi forestali che ricalcano la divisione usata nella cartograia di
uso del suolo (ERSAF, 2007): boschi di conifere, boschi di latifoglie (cedui semplici,
cedui composti e boschi fustaia-ceduo in cui non è riconoscibile una forma di governo prevalente), boschi misti di conifere e latifoglie (consociazioni di piante di specie
diverse in cui non è riconoscibile una prevalenza dei tipi, sia a ceduo sia ad alto fusto), impianti di arboricoltura da legno (impianti ad alto fusto per la produzione del
legname e altre legnose agrarie). Per ogni categoria forestale sono stati identiicati i
parametri che regolano lo sviluppo della biomassa e i lussi di carbonio, sulla base di
dati di letteratura il più possibile vicini ai sistemi forestali individuati.
Per quanto riguarda i parametri per il modulo Biomassa, sono stati adottati i
valori di capacità portante dello stand e i tassi di crescita, turnover e mortalità ricavati da uno studio APAT (2002). Per il modulo Suolo, il contenuto iniziale di carbonio
e la sua evoluzione nel tempo sono stati rielaborati da uno studio che ha stimato il
contenuto di carbonio organico negli strati di suolo su tutta la regione (Progetto
Kyoto Lombardia, 2008). I parametri sono stati ricavati anche dalle caratteristiche
climatiche dell’area di studio che determinano l’umidità e controllano i fenomeni
chimici, isici e biologici all’interno del suolo. Nel modulo Prodotti è stato ipotizzato
che tutto il tronco sia utilizzato e che solo una parte di rami e foglie sia rimossa (pari
al 90 % nel caso della arboricoltura da legno e pari al 70 % per le altre categorie), lasciandone quindi una parte al suolo. Sono stati considerati i lussi di gas climalteranti dovuti alle operazioni di taglio (0,5 kgCO2,eq/tss) e di trasporto (0,25 kgCO2,eq/tss/
153
Giulia Fiorese et al.
km). Per il modulo Bioenergia è stato ipotizzato di usare le biomasse per produrre
energia termica che va a sostituire energia termica prodotta da gas naturale.
In tutte le analisi, si é assunto che il contenuto medio di carbonio sia 0,5 tC/
tss di biomassa e il potere caloriico inferiore pari a 16 MJ/kg per tutte le categorie
forestali. La massa volumetrica (tss/m3) invece varia da specie a specie (Tab. I).
Tabella I: Valori delle variabili all’istante iniziale dell’intervallo di simulazione.
macrocategoria
forestale
Massa
volumetrica del
legno secco
(IFNI, 2005)
Capacità
Portante
(APAT, 2002)
volume
Iniziale
(IFNI, 2005)
contenuto
di carbonio
iniziale
Valori medi di carbonio
organico 100 cm (elab.
da Progetto Kyoto
Lombardia, 2008)
kg/m3
m3/ha
m3/ha
tC/ha
tC/ha
Boschi di conifere
526
339
321
84
154,7
Boschi di latifoglie
705
65
160
56
126,1
Boschi misti di
conifere e latifoglie
615
80
241
74
137,2
Impianti di arboricoltura da legno
515
–
115
30
108,0
Politiche di gestione dei boschi della Lombardia
La gestione dei sistemi forestali si può deinire sostenibile quando avviene in
forme e a un tasso tali da mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rinnovazione, vitalità, nonché la loro capacità di fornire, ora e in futuro, rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza causare danni ad altri ecosistemi (APAT, 2002). Gli scenari di gestione considerati sono
sostenibili per quanto riguarda la conservazione della biomassa: la quantità di biomassa al termine dell’intervallo di simulazione è pari o superiore alla quantità iniziale. Le politiche di gestione analizzate sono:
1. Tutela assoluta: si suppone che il bosco evolva in modo naturale, senza efettuare alcun tipo di intervento.
2. Conservazione: ogni anno si rimuove dal bosco una quantità di biomassa che
garantisce il mantenimento dello stock di carbonio; si taglia quindi tutto quanto
è cresciuto nel corso dell’anno.
3. Ciclo lungo, medio e breve: con il primo taglio si porta la densità forestale ad un
valore inferiore a quello che permette la massima crescita, in modo da garantire
154
Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia
una crescita elevata negli anni successivi. Dopo il primo taglio, si hanno tagli ciclici ogni 20, 10 o 5 anni.
4. Massima produzione mantenibile: si porta la biomassa forestale alla densità tale
da permettere la massima crescita tra un anno e il successivo. Ogni anno si taglia
quanto è cresciuto durante l’anno stesso.
È quindi possibile formalizzare il problema di ottimizzazione che, per ogni
categoria forestale, seleziona la gestione forestale ottima (u°) nell’insieme delle sei politiche di gestione U. L’obiettivo è massimizzare la somma della quantità media annua di CO2 issata dal sistema bosco (Ibosco) e la quantità media annua di CO2,eq evitata grazie alla sostituzione di energia da gas naturale (Ievitate). Per ogni categoria
forestale la gestione ottima è quindi determinata risolvendo il problema:
maxu [Ibosco(u) + Ievitate(u)] u U
Tutte le simulazioni sono state svolte su un intervallo temporale di durata 100
anni, suicientemente lungo da rendere irrilevante il valore dello stato iniziale, nonché aidabile la stima dei valori medi. La tabella II riporta, a titolo di esempio, i valori degli indicatori per la categoria forestale prevalente (boschi di latifoglie) e per
ogni politica di gestione.
Tabella II: Valori degli indicatori (t CO2,eq/anno) per politica di gestione per i boschi di latifoglie.
Ievitate
Ibosco
Ibosco + Ievitate
Tutela assoluta
0,00
–1,06
–1,06
Conservazione
0,72
0,51
1,24
Massima produzione mantenibile
3,38
0,71
4,09
Ciclo lungo
3,41
0,16
3,57
Ciclo medio
3,31
0,23
3,54
Ciclo breve
3,25
0,93
4,18
Potenzialità dei boschi della Lombardia
Nota la politica di gestione ottimale per le singole categorie dei boschi della
Lombardia, per stimare quale può essere il contributo complessivo alla riduzione delle emissioni di gas serra è necessario valutare le superici interessate. Queste sono state ricavate dalla cartograia di uso del suolo (ERSAF, 2007) ponendo dei vincoli sulla massima pendenza (inferiore al 30 %) e sulle distanze della rete stradale (inferiori
155
Giulia Fiorese et al.
ai 200 metri). Si tratta di vincoli che possono essere facilmente valutati elaborando la
cartograia digitale con un GIS. La tabella III mostra, per ogni categoria forestale, la
supericie forestale, la supericie disponibile, la forma di gestione ottimale e la riduzione di gas climalteranti.
Tabella III: Superficie forestale totale e disponibile per categoria forestale e riduzione delle
emissioni climalteranti per ogni categoria secondo la politica di gestione ottimale.
Categoria forestale
Superficie
forestale regionale (ha)
Superficie
disponibile
(ha)
Politica ottima
di gestione
Boschi di conifere
134.352
10.647
Ciclo lungo
41.841
2.662
Boschi di latifoglie
340.137
97.253
Ciclo breve
316.071
90.445
Boschi misti di
conifere e latifoglie
91.555
14.989
Massima produzione
mantenibile
66.401
11.092
Impianti di arboricoltura da legno
39.323
39.323
SRF
918.591
–16.123
605.367
162.212
–
1.342.904
88.076
Totale
Emissioni
CO2 sequestrata
evitate
(tCO2/anno)
(tCO2,eq/anno)
Discussione e conclusioni
I prelievi storici dai boschi della Lombardia interessano una supericie pari a
circa 11 mila ettari ogni anno e portano alla raccolta di poco meno di un milione di
m3. In media si raccolgono 90 m3 per ettaro. Secondo le politiche di gestione proposte, invece, i tagli interesserebbero ogni anno una supericie pari a 35 mila ettari circa, per una raccolta totale di poco meno di 500 mila m3, ovvero circa 14 m3 per ettaro l’anno.
Nel quadro di una gestione sostenibile delle superici forestali non c’è contraddizione tra lo sviluppo del bosco come accumulatore di CO2 e l’uso del bosco a ini
energetici, anzi la sinergia può essere positiva. Non efettuare interventi di taglio non
signiica ottenere un ambiente migliore. Dalle analisi condotte è infatti emerso che,
lasciando seguire ai boschi le proprie dinamiche evolutive, e rinunciando a qualsiasi
attività selvicolturale, si va incontro ad una fase in cui il bosco può addirittura emettere carbonio in atmosfera. La diferenza tra l’assorbimento complessivo associato alla
soluzione ottima e quello associato alla soluzione senza taglio, costituisce il “prezzo”,
in termini di mancato assorbimento, che la società paga per l’abbandono dei boschi.
La gestione sostenibile dei boschi lombardi proposta in questo lavoro potrebbe dare un contributo signiicativo al raggiungimento dell’obiettivo regionale di ri-
156
Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia
duzione delle emissioni di gas serra indicato dal Protocollo di Kyoto, con una riduzione di circa 1,46 milioni di tonnellate annue di CO2,eq, pari a circa il 15 % della
riduzione totale necessaria (Progetto Kyoto Lombardia, 2008).
Ringraziamenti
Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto Consolidamento ECATE –
Eicienza e Compatibilità Ambientale delle Tecnologie Energetiche inanziato da
Regione Emilia-Romagna.
Bibliografia
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Progetto Kyoto Lombardia (2008) Per vincere la sida dei cambiamenti climatici e del controllo dei gas serra nella regione più industrializzata d’Italia. Ed. Fondazione Lombardia per l’Ambiente (ricerca inanziata da Regione
Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente, APAT e ERSAF Lombardia e promossa da Regione
Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente e ARPA Lombardia).
Schelhaas, M. J., van Esch, P. W., Groen, T. A., de Jong, B. H. J., Kanninen, M., Liski, J., Masera, O., Mohren, G.
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157
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria:
Governance sostenibile e resilienza
dei sistemi socio-ecologici
Commons in Trentino and Cumbria:
Sustainable governance and resilience
of the social-ecological systems
Alessandro Gretter* & Rocco Scolozzi
Area Ambiente e Risorse Naturali , Fondazione Edmund Mach, IASMA Research and Innovation Centre,
Via Edmondo Mach 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)
*[email protected]
Abstract
A livello internazionale col termine “Commons” si indicano tutti quei beni la cui
proprietà è della collettività, ossia caratterizzati dagli aspetti del “bene pubblico” sotto
un proilo economico (disponibili in larga misura, proprietà non esclusiva ed escludibilità all’utilizzo limitata). A livello globale si può pensare a beni quali l’atmosfera
oppure le risorse degli ecosistemi marini, ma anche molte altre risorse naturali e servizi
ed infrastrutture tecnologiche.
La possibilità di diferenziazione spaziale permette di declinare il termine anche su
scala nazionale, regionale e locale. In questo caso si può parlare di un insieme di risorse
di proprietà collettiva (“Common-pool resource”). La limitazione spaziale della trattazione sarà svolta nel contesto Europeo, ed in particolare al caso delle Alpi Italiane e delle
Uplands Inglesi, approfondendo così il confronto tra territori caratterizzati prevalentemente dalla presenza di ecosistemi terrestri montani.
Relativamente alle Common Lands di questi territori si è cercato di analizzare le risorse
naturali nella loro complessità, mediante un approccio ecosistemico, mettendo in evidenza le relazioni connesse ai beni e servizi forniti dalle risorse naturali. Gli ambiti sono
caratterizzati da ecosistemi montani (declinati nelle forme di foreste, aree agricole e
collinari) e dalla ricorrenza di una crisi a livello socio-ecologico (spopolamento, marginalità economica e/o sociale, perdita di identità culturale, impatti sulla biodiversità).
Per il territorio del Trentino si è realizzata una valutazione economica del patrimonio
dei beni di proprietà collettiva applicando i principi del Millennium Ecosystem
Assessment. Il caso inglese della regione Cumbria è stato valutato per la capacità del
sistema locale di rispondere ai mutamenti imposti dalle dinamiche del mercato.
Le evidenze hanno permesso di confrontare gli strumenti atti alla tutela delle risorse
naturali e della conservazione dei paesaggi culturali tradizionali.
159
Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi
Le crisi: elementi esogeni ed endogeni
Le attese espresse dalla società relativamente alle utilità derivanti dai beni di
proprietà collettiva si sono radicalmente modiicate in questi ultimi anni. Se una volta i beni derivanti dalle proprietà delle comunità erano di “primaria necessità” (legname e allevamento), ora una parte rilevante del loro valore deriva dai nuovi servizi
oferti (come la issazione dell’anidride carbonica) o attribuendo una valenza a funzioni che erano scarsamente considerate. I beneici derivanti da queste nuove modalità di beni e servizi sono di rilievo non solamente per le comunità locali, che hanno
perso il loro status di chiusura ed autarchia, ma anche per gruppi sociali che a volte
vivono molto distanti da questi territori.
Le politiche ed azioni che, principalmente, i governi locali e le comunità dovrebbero adottare per preservare le caratteristiche delle risorse collettive sono quelle
legate ad una modalità di gestione sostenibile delle risorse, seguendo quanto delineato in contributi come Dourojeanni (1993). Ossia contemplando la sostenibilità
dell’ambiente e delle risorse naturali, la crescita economica delle comunità interessate e l’equità sociale. Il non conseguimento in modo simultaneo delle tre precedenti
condizioni genera conlitti, tendenzialmente legati ad una visione di ottimizzazione
che non ha nel lungo periodo il suo obiettivo e che risulta parziale.
In questa prospettiva, innovazioni di tipo gestionale hanno dato lusinghieri
risultati in campo ambientale; tra queste ha ricevuto un crescente sostegno l’attribuzione dei diritti di proprietà sulle risorse forestali ed idriche alle comunità locali (Baland & Platteau, 1996). Esse hanno infatti forti incentivi nel proteggere l’ambiente
locale e posseggono al loro interno suicienti risorse per monitorarne l’uso in modo
eicace. Sotto la guida della FAO e dell’UNEP negli ultimi anni molti governi, tra
cui India e Nepal, hanno adottato dei modelli di gestione congiunta per le risorse
forestali, trasferendo il controllo dallo stato a degli organi localmente eletti.
L’attività ricreativo-turistica rappresenta uno dei maggiori elementi di conlitto. Facendo riferimento ai servizi ecosistemici, essi sono maggiormente utilizzati proprio dal settore turistico. Nel caso della stazione turistica svizzera di Davos un aumento del 10 % nel settore turistico richiede un aumento dei servizi ecosistemici del 6 %
dovuto ad una maggiore domanda per i servizi di protezione idro-geologica e di assorbimento del carbonio (Grét-Regamey & Kytzia, 2007). Questa valutazione risulta
però distorta nei confronti della popolazione residente: ad essa, infatti, non viene associato nessun valore diretto come invece succede ai turisti. Infatti “il turismo è l’incontro tra una popolazione stabile e permanente (i residenti) ed una mutevole (turi-
160
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria
sti), le quali debbono trovare un accordo, simultaneo, su come usare e/o condividere
le risorse locali” (Bimonte, 2008). A volte approcci volti alla conservazione, rispetto
allo sfruttamento, ed in assenza di evidenti tendenze al free riding possono portare a
modalità turistiche deinibili come “insostenibili”, tali da causare il degrado o la
scomparsa della risorsa; questo avviene quando i fruitori hanno diferenti attitudini o
attese nei confronti della stessa (Bimonte, 2008). In questa prospettiva la capacità
socio-economica rappresenta la soddisfazione sociale ed economica della popolazione
che risiede nella destinazione rispetto al fenomeno turistico ivi insistente. Una situazione che a volte non viene soddisfatta portando ad avere degli esempi di coesistenza
conlittuale attraverso l’espulsione dei residenti, specialmente nelle località a maggiore
attrazione turistica. Infatti trattare di “capacità di carico signiica anche (se non soprattutto) trattare di conlitti sociali, reali o potenziali” (Bimonte & Punzo, 2004).
Nuovi “design principles” per validare una gestione efficiente
Come appare evidente nelle norme inglesi e trentine recentemente adottate,
due sono le priorità da afrontare nel prossimo futuro per gestire i common: da un
lato un nuovo modello di sviluppo che tenda a facilitare la “self-governance”, valorizzando anche nuove esigenze, e dall’altro il confronto con designazioni prevalentemente ambientali quali NATURA 2000, imposte dall’alto, che potrebbero limitarne
le attività. Soluzioni di tipo ottimale non possono essere individuate facilmente e
senza alcun costo da autorità esterne; invece “ottenere la soluzione giusta” è un processo diicoltoso e lungo, che richiede innumerevoli informazioni di tipo temporale
e spaziale, nonché una profonda conoscenza delle norme socio-culturali in vigore. La
forma ottimale di gestione non è né strettamente privata né pubblica, bensì, come
molte organizzazioni di gestione dei common hanno dimostrato, sono un insieme di
istituzioni pubbliche e private.
Bisogna investire verso soluzioni di gestione multifunzionale dello spazio rurale nate e legate alle comunità locali (Short, 2008). Il crescente interesse ed il riconoscimento dei beni pubblici aferenti ai common richiedono l’adozione di pratiche
partecipative al ine di ridurre le tensioni esistenti ed incrementare il dialogo. In molti casi si è sperimentato l’indebolimento del meccanismo di cooperazione esistente, il
deterioramento dell’aidabilità delle relazioni di lungo periodo tra i beneiciari delle
risorse, che ha scoraggiato gli investimenti (Seabright, 1993). Il ricorso ad approcci
innovativi, legati alle comunità depositarie delle conoscenze e capacità locali, potrà
161
Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi
avvenire attraverso la partecipazione, che realizzerà così la gestione adattiva e l’approccio ecosistemico.
Le tradizionali funzioni economiche non dovranno essere rimosse, anzi per
loro sono state sviluppate nei common le forme di gestione più eicienti e sostenibili
ed a loro deve essere riconosciuto un ruolo cruciale come fonte di conoscenza per le
altre, emergenti, funzioni.
I soggetti gestori di beni di proprietà collettiva possono raforzare, attraverso
un “processo di mediazione”, la coerenza delle politiche di gestione delle risorse naturali. L’identità collettiva, la auto-percezione e, di conseguenza, le preferenze dei
soggetti vengono allora traslati verso gli scopi principali. I “design principles” delineati da Ostrom (1990) si possono mutare ampliando il concetto di dipendenza dai
beni materiali di tipo economico, andando ad estenderla a quelli immateriali e simbolici, ricomprendendo anche le opportunità su scala sociale ed ecologica (Gerber et
al., 2008). Inoltre le comunità, sempre più aperte e connesse con il mondo esterno,
debbono poter ancora contare sui principi di auto-regolamentazione, perseguendo
anche un ampio coinvolgimento degli stakeholders (compresi quelli “emergenti”) e
sviluppare, congiuntamente ad altri enti e soggetti, politiche adeguate (Short, 2008).
La loro eicienza sarà ancora garantita dal basso costo alla comunità nazionale,
dall’indipendenza rispetto ai conini istituzionali, dalla loro legittimità riconosciuta
e dalla profonda conoscenza delle condizioni locali (Gerber et al., 2008).
La resilienza dei sistemi socio-ecologici nelle regioni indagate
In teoria, nei common le funzioni ecologiche vengono conservate grazie a due
condizioni favorevoli: il tradizionale uso estensivo delle risorse che non genera grandi
impatti, permettendo il raggiungimento di un equilibrio stabile (o quantomeno garantito dall’intervento umano) e la necessità di avere un largo consenso all’interno
della comunità, relativamente alle regole di gestione, alla base della mancata introduzione di profondi cambiamenti (con conseguenze imprevedibili).
I cambiamenti nel tessuto socio-economico e la minor rilevanza delle tradizionali attività di produzione hanno però indebolito questo sistema. La progressiva
scomparsa delle attività tradizionali e gli equilibri secolari ad esse collegati potrebbero stimolare lo sviluppo di attività a forte impatto ambientale; inoltre, la prossimità
di taluni di questi territori con altri ad elevato tasso di urbanizzazione genera una serie di pressioni, a volte molto intense.
162
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria
D’altro canto, però, il ritorno ad uno stato di wilderness potrebbe causare una
riduzione in molte delle funzioni non di mercato che oggi la società tende a valorizzare. Nelle Alpi, l’abbandono della pratica del pascolo e della silvicoltura comporta
l’afermarsi di un paesaggio meno attraente e la creazione di habitat con una minore
biodiversità e maggiore rischio di incendi (Gios, 2004; Gretter et al., 2010).
In questa chiave di lettura, lo sviluppo di scenari, con ipotesi di cambiamenti
nell’uso del territorio, qualità della vita, popolazione, aspetti climatici e condizioni
economiche, può fornire una rappresentazione del possibile futuro. Per valutare la
resilienza dei sistemi socio-ecologici si possono ipotizzare dei possibili scenari, per
ognuno dei quali sarà individuata la variabile rilevante in termini di politica e di gestione, collegata (Walker & Meyers, 2004). Per i common, essi sono legati per esempio all’abbandono, all’intensiicazione o all’estensivazione di pratiche agro-silvo-pastorali.
Gli scenari potranno essere anche inseriti, quale elemento predittivo presunto
del futuro, in esercizi di valutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici, delineando così come si evolverà lo spostamento lungo gli stadi di equilibrio e gli shocks
che si potranno registrare. Una prima sommaria valutazione della resilienza per i due
territori indagati si presenta di seguito, non applicando però in questo frangente
molti degli aspetti metodologici precedentemente presentanti, in particolare tralasciando la parte relativa alla prospettiva futura ed alla elaborazione degli scenari.
Le aree di indagine
Partendo dai principi sopra elencati si è allora cercato di indagare due territori dove la presenza di Commons fosse rilevante rispetto al contesto, individuando il
Trentino per la zona alpina e la Cumbria nelle Uplands inglesi (Tab. I).
Tabella I: Alcuni dati sui territori indagati.
Superficie
Popolazione (2008)
Cumbria
Trentino
6.823 km²
6.203 km²
496.000
519.000
% superficie definibile come Commons
17
57
% superficie designata NATURA 2000
25
19 (30 con aree protette)
163
Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi
Le aree hanno caratteristiche similari sul piano di estensione (Cumbria 6.823
km², Trentino 6.203 km²) e di popolazione presente (Cumbria 496.000, Trentino
519.000), oltre che in termini di supericie designata come NATURA 2000 (Cumbria 25 %, Trentino 30 % circa). Il sistema normativo di riferimento rispetto ai terreni e beni classiicabili come Commons è diversiicata ma la loro importanza, sia in
termini di supericie (Cumbria 17 % della supericie totale; Trentino 57 %) che di
riconoscimento nel contesto sociale e culturale, è preponderante.
In sintesi di seguito viene rappresentata in forma di diagramma una prima valutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici di maggiore riferimento, quello
forestale per il Trentino e quello degli agro-ecosistemi pascolivi in Cumbria.
Trentino
Prendendo come variabili di riferimento la consistenza delle foreste trentine e
la loro composizione in termini di specie, la vulnerabilità degli ecosistemi forestali ha
registrato una diminuzione nell’arco di uno spazio temporale della durata di quasi
due secoli (Fig. 1).
Il ricorso al legname per motivi di opera e, largamente, per le esigenze di riscaldamento ha caratterizzato tutto il periodo del XIX secolo; la pressione maggiore
è stata però raggiunta in occasione del primo conlitto mondiale.
Già durante il periodo post-bellico sono state poste in essere delle attività di
ripristino della consistenza del patrimonio forestale trentino, proseguite anche dopo
il secondo conlitto. Proprio a partire dagli anni Cinquanta si sono afermati approcci gestionali che hanno fatto prevalere il ceduo rispetto alla latifoglia e la adozione di
pratiche silvicolturali di tipo naturalistico; i risultati si sono visti a distanza di quasi
cinquanta anni quando la maggior parte delle foreste trentine ha raggiunto livelli dimensionali, di diversità e di maturità al suo interno in grado di poter resistere alle
pressioni ed agli impatti che la colpiscono.
164
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria
Shock
Sistemi
Socio
Ecologici
II Guerra Mondiale
Valore del capitale
Bosco maturo
I Guerra Mondiale
Selvicoltura naturalistica
elevato uso
Vulnerabilità
Figura 1: Variazione della vulnerabilità nel tempo in Trentino.
Cumbria
Il capitale dei sistemi socio-ecologici della Cumbria può essere rappresentato
dai 3 elementi di maggior rilievo per l’attività del “Hill-farming”: la dimensione dei
pascoli disponibili, il numero di addetti e di aziende ed il numero di capi allevati.
Il sistema della Cumbria ha assistito ad una riduzione marcata del numero degli addetti nel corso degli ultimi 150 anni, comportando anche l’abbandono di
aziende e terreni (Fig. 2). Questo si può rappresentare con una forte riduzione del
capitale locale ed un costante aumento della vulnerabilità sancita da un tessuto rurale più fragile. Infatti; negli ultimi 30 anni il sistema del “Hill farming” (e del hefting)
ha evidenziato una tendenza che sembra condurlo al collasso. Come indicato in precedenza da Jones (2007), alla luce degli strumenti di politica rurale esistenti oggi non
converrebbe infatti mantenere un gregge di pecore e proseguire con le attività tradizionali.
165
Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi
Shock
II Guerra Mondiale - spopolamento
Valore del capitale
Alto numero occupati
Terreni in utilizzo
I Guerra Mondiale
Sistemi
Socio
Ecologici
sussidi
2001 afta
epizootica
Vulnerabilità
Figura 2: Variazione della vulnerabilità nel tempo in Cumbria.
Nonostante queste condizioni, il sistema sembra però essersi ristabilito positivamente dall’epidemia di afta epizootica che ha colpito l’Inghilterra nel 2001, denotando che il livello della resilienza non è del tutto compromesso.
Il futuro per la Cumbria presenterà nuove side; infatti secondo le previsioni
dei cambiamenti climatici nel 2050, congiuntamente alle azioni socio-economiche
del “Regional Stewardship”, vi sarà una riduzione della supericie a pascolo ed una
perdita di biodiversità, specialmente a livello di lora, il tutto a scapito di nuove modalità di uso del territorio come i seminativi o le coltivazioni di biomassa a scopo
energetico (Audsley et al., 2008).
Il contributo sociale del Hill Farming include l’impatto sulla qualità della vita
e le opportunità sociali oferte sia alla popolazione locale sia ai visitatori (ricreazione,
salute, educazione, ecc…), fattori che condizionano la salute e la qualità della vita
degli agricoltori, delle loro famiglie e il coinvolgimento dei contadini nelle comunità
locali ed il ruolo delle donne in agricoltura. In questa prospettiva, diviene allora ancora più pressante attivare iniziative su scala di comunità per proteggere i beni pubblici, anche attraverso l’ottenimento di nuove risorse inanziarie per le attività agroambientali, congiunte non accessibili spesso ai singoli che ne hanno diritto.
166
La realtà dei commons in Trentino e Cumbria
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167
Andamento delle fioriture di cianoficee
nel lago Trasimeno (1992-2007)
Trend of Cyanophyte Blooms
in the Trasimeno Lake (1992-2007)
Rosalba Padula* & Linda Cingolani
ARPA Umbria, Via Pievaiola str.San Sisto, 06074 Perugia
*[email protected]
Abstract
Il lavoro ha come obiettivo la valutazione dell’evoluzione delle comunità algali nelle
acque del lago Trasimeno e lo studio delle possibili cause del fenomeno. È stato
osservato come dal 1990 si siano veriicate ioriture di Cianobatteri, con modiicazioni
nella composizione delle comunità nel corso degli anni. Nel 1990 la maggior parte delle
popolazioni algali erano costituite principalmente da Phormidium spp e Oscillatoria
tenuis; attualmente le specie individuate con più frequenza risultano Cylindrospermopsis
raciborskii e Planktothrix agardhii, potenziali produttori di tossine. La concentrazione
di cloroilla “a”, indicatore della presenza di cianoicee, durante gli anni ha subito
costantemente delle impennate durante le ioriture di alghe azzurre in tutte le stazioni
di controllo. Le prove di tossicità su topo, tuttavia, non hanno mai mostrato situazioni
di pericolosità per la balneazione. Il ritrovamento, in alcuni anni, di microcistina ha
indotto le autorità sanitarie a dismettere l’uso idropotabile delle acque del lago. Le cause
delle ioriture algali sono state individuate negli scarichi civili trattati e non, immessi
nel lago e nelle pratiche di fertirrigazione praticate dalle attività zootecniche. Vengono
indicate alcune proposte per limitare il degrado del lago Trasimeno.
Introduzione
Il problema delle ioriture algali conseguente ai fenomeni di eutroizzazione è
sotto l’attenzione delle autorità nazionali ed internazionali. È noto, infatti, come molte specie di cianobatteri possano produrre sostanze altamente tossiche o cancerogene
per l’uomo e gli animali in particolari condizioni ambientali (Carmichael, 1989).
L’ARPA Umbria è impegnata in dal 1988 in programmi di sorveglianza sull’eutroizzazione del lago Trasimeno. Una delle attività più signiicative riguarda il controllo
delle cianoicee, con particolare riguardo alle ioriture estive e alla eventuale produzio-
169
Rosalba Padula & Linda Cingolani
ne e rilascio nell’ambiente acquatico di sostanze tossiche e/o cancerogene. Scopo del
presente lavoro è quello di veriicare l’evoluzione delle comunità cianobatteriche negli
anni, segnalare eventuali incrementi di popolazioni potenzialmente tossiche, individuare le cause che ne scatenano i bloom estivi. La presente indagine si inquadra in un
disegno di prevenzione più ampio volto alla tutela della salute pubblica e ambientale.
Materiali e metodi
Area di Studio
Caratteristiche idrologiche e morfologiche
Il lago Trasimeno con i suoi 124 km2 di supericie rappresenta, per ampiezza,
il quarto lago italiano e il primo dell’area peninsulare. È un lago laminare di origine
tettonica, poco profondo (h max. 6,5 m) e privo di emissari. Dagli anni novanta il
lago non raggiunge la quota di sioro e non ha pertanto un eluente, fenomeno che
annulla il ricambio delle acque. Le ridotte dimensioni dell’area di drenaggio, la scarsità di precipitazioni atmosferiche sull’area (700-800 mm pioggia /anno) e la modesta portata dei corsi d’acqua tributari concorrono a ridurre gli apporti idrici al lago.
Pressioni Antropiche
Popolazione
La pressione inquinante esercitata dalla popolazione residente nel bacino (circa 30.000 abitanti, Fonte ISTAT 2001) tende ad aumentare notevolmente nel periodo estivo a causa delle presenze turistiche. In tale stagione, pertanto, le condizioni
del lago diventano più problematiche.
Scarichi civili ed industriali
Gli scarichi civili vengono trattati da 5 impianti di depurazione a fango attivo
per circa 21.000 a.e. Il rapporto tra popolazione e abitanti trattati indica la presenza
sul territorio di frazioni e case sparse servite da fosse Imhof per circa 8.000 abitanti.
Per quanto riguarda gli scarichi industriali, negli ultimi anni si è rilevato un
incremento delle piccole imprese e una progressiva sostituzione delle attività manifatturiere, con aziende artigianali delocalizzate in tutto il bacino (Bozza Piano di tutela delle Acque della Regione Umbria, 2006). Il loro contributo all’inquinamento è
comunque di tipo organico, similmente ai carichi apportati dai relui civili.
170
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
Aziende zootecniche
L’impatto derivante dai relui provenienti dagli allevamenti zootecnici è legato
soprattutto alla presenza di circa 40.000 capi di suini concentrati prevalentemente
nel comune di Castiglione del Lago. Entro il bacino sono stati registrati anche allevamenti di tacchini con 182.000 capi, polli con 38.000 capi, bovini con 1.500 capi
ed equini con 80 capi (Fig. 1).
Figura 1: Localizzazione delle
aziende zootecniche e delle aree
utilizzate per la fertirrigazione.
Prelievi idrici
L’uso della risorsa idrica avviene sia per prelievi diretti che per attingimento
dalle falde circumlacuali, destinati prevalentemente al settore agricolo.
Settore agricolo
Le aree più interessate dall’agricoltura intensiva, richiedente l’uso di presidi
sanitari, sono situate nella zona pianeggiante tra Castiglione del Lago e S. Arcangelo,
coltivata prevalentemente a seminativi.
171
Rosalba Padula & Linda Cingolani
Aree vulnerabili
Tutto il bacino idrograico del lago Trasimeno è stato dichiarato vulnerabile ai
nitrati.
Programma di sorveglianza
Il controllo dell’eutroizzazione è stato attuato secondo il D.M. 17 giugno
1988 su sette punti di campionamento (Tab. I), mediante prelievi quindicinali nel
periodo giugno-settembre e mensili nel periodo ottobre-marzo.
Tabella I: Elenco stazioni di campionamento.
Cod. Arpa
Stazione
Comune
TRS30
Centro lago
Castiglione del lago
TRS7
Anguillara
Castiglione del lago
TRS9
Macerone
Tuoro
TRS11
Paganico
Castiglione del lago
TRS23
Rio Pescia
Castiglione del lago
TRS25
Lido Arezzo Pineta
Castiglione del lago
TRS19
Spiaggia Albaia
magione
Il monitoraggio prevede il rilevamento di parametri chimico-isici (pH, temperatura, trasparenza, conducibilità a 25 °C, alcalinità, % saturazione, DO, azoto
totale, azoto ammoniacale, azoto nitroso, azoto nitrico, ortofosfato, fosforo totale,
cloroilla a, silice, cloruri, solfati, solidi disciolti) e indagini sulle popolazioni di cianobatteri. I parametri presi in considerazione nel lavoro sono quelli ritenuti più signiicativi per deinire lo stato di eutroizzazione del corpo idrico: cloroilla a, popolazioni itoplanctoniche e trasparenza.
Il conteggio e il riconoscimento delle specie algali potenzialmente tossiche e la
determinazione della cloroilla a, principale pigmento fotosintetico delle cianoicee,
vengono eseguiti secondo le indicazioni contenute nella Nota del Ministero della
Sanità IX 400.4/13.1/3/562 del 9 aprile 1998. La trasparenza è determinata secondo
il metodo APAT CNR IRSA 2120 Man.29, 2003.
172
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
Risultati
Dal 1992 è stato notato come le comunità itoplantoniche del lago tendessero
ad arricchirsi sempre più di alghe azzurre ilamentose nel periodo tardo-estivo, ino
alla manifestazione di vere e proprie esplosioni per tutto lo spessore dello specchio
lacustre (h. max 6,5 m).
Dall’analisi dei valori riscontrati per ogni stazione di campionamento risulta
che, nel periodo in esame, le concentrazioni di Chl-a e cianobatteri hanno raggiunto
valori signiicativamente elevati (Fig. 2). A partire dal 2003 i valori estivi di Chl-a
aumentano pressoché contemporaneamente in tutti i punti di campionamento.
173
Rosalba Padula & Linda Cingolani
Figura 2: Andamento della Chl-A e delle cianoficee nei sette punti di campionamento.
Più di una volta i valori di Chl-a hanno superato i 20 µg/l nei mesi di agosto
e settembre. Negli anni 2004-2005 addirittura le concentrazioni massime registrate
hanno superato i 50 µg/l, nelle stazioni di fronte a Monte del Lago e ai fossi Anguillara e Macerone,
Nella tabella II vengono mostrate le specie riscontrate più frequentemente:
Cylindrospermopsis raciborskii, Planktothrix agardhii, Aphanizomenon spp., Geitlerinema spp, Leptrolyngbya spp.
Tabella II: Popolazione di cianobatteri più frequentemente rilevati durante gli anni 1997-2007.
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Anabaenopsis spp.
X
X
X
X
X
X
Aphanizomenon spp.
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Geitlerinema spp.
X
X
X
X
X
X
X
Leptolyngbya spp.
X
X
X
X
X
X
X
Aphanizomenon flos-aquae
X
Aphanizomenon issatschenkoi
Phormidium spp.
X
X
X
X
Planktothrix agardhii
Oscillatoria tenuis
Microcystis spp.
X
X
X
X
X
X
Microcystis aeruginosa
X
Cylindrospermopsis raciborskii
X
Anabaena circinalis
X
174
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
Poiché Cylindrospermopsis raciborskii è stata notata solo a partire dal 2002, in
igura 3 viene mostrato l’andamento della cianoicea dal momento della sua comparsa ino all’anno 2007.
Figura 3: Andamento del Cylindrospermopsis raciborskii nel periodo 2002-2007.
Poiché i campioni non conformi per trasparenza sono andati aumentando negli anni, è stata efettuata una correlazione lineare tra il numero medio stagionale
(giugno-settembre) dei campioni non conformi e i valori medi stagionali di Chl-a;
ciò allo scopo di veriicare se la torbidità dell’acqua fosse legata alle insorgenze delle
esplosioni algali (Fig. 4).
Figura 4: Confronto tra andamento della Clorofilla a e % di campioni non conformi per trasparenza.
175
Rosalba Padula & Linda Cingolani
I carichi inquinanti misurati sui fossi aferenti al lago sono mostrati in igura 5. I carichi inquinanti veicolati dagli impianti di depurazione vengono mostrati in
tabella III.
Figura 5: Carichi medi annuali di COD, azoto e fosforo veicolati dai fossi tributari nel lago
(2004-2005).
176
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
Tabella III: Stima dei carichi annuali immessi (kg/anno) dai depuratori nel lago Trasimeno –
Anni 2001/2002.
Sottobacino
Trasimeno
Passignano - Le Pedate
Abitanti Abitanti
serviti di serviti di
progetto esercizio
9000
2.233
C.del Lago - Pineta
4000
740
C.del Lago - Bonazzoli
6500
3.500
Magione - S. Arcangelo
1800
622
21.300
7.095
Totale
BOD5
2001
Ntot
2001
SS
2001
10.045
1.675
4.822
785
2.208
1.004
23.382 33.828 30.098
n.d.
n.d.
n.d.
34.211 37.712 35.923
Ptot
2001
BOD5
2002
558 11.560
95
Ntot
2002
SS
2002
Ptot
2002
7.712
5.621
1.716
872
814
704
47
1.989 11.443
3.234
4.975
248
4.508
3.139
482
2.643 25.846 16.268 14.439
2.493
n.d.
1.971
Discussione
Dai dati ottenuti risulta che la ioritura delle cianoicee è stata più elevata nelle aree lacustri antistanti i punti di conluenza del Fosso Macerone, Rio Pescia, Fosso
Paganico, e nella zona centrale del lago. L’esplosione algale si manifestava in modo
considerevole per tutto lo spessore dell’acqua. I periodi critici, in cui la crescita di
cianobatteri raggiungeva valori molto elevati, si manifestavano da agosto e settembre, a volte con picchi bimodali trascinati ino al periodo invernale. Dal 2002 la presenza del Cylindrospermopsis raciborskii si è consolidata, raggiungendo valori particolarmente elevati negli anni 2004, 2005 e 2006, con un andamento medio stagionale
vicino ai 10.000.000 il-col/l e valori puntuali superiori a 20.000.000 il-col/l.
A partire dal 1997 le rilevanti presenze estive di Planktothrix agardhii, Aphanizomenon spp., Geitlerinema spp., e Leptrolyngbya spp. sembrano essersi stabilizzate,
almeno ino al termine del periodo esaminato.
La rilevante presenza di cianobatteri potenzialmente tossici ha imposto di
provvedere ogni anno all’esecuzione di test di tossicità. I test su topo sono sempre
risultati negativi. Solo nel 2003 e nel 2004 alcuni campioni in entrata al potabilizzatore hanno presentato presenza di Microcistrina–LR, sebbene in concentrazioni non
superiori a 0,21 µg/l, al di sotto del limite di pericolosità stabilito dall’OMS (1 µg/l).
Tuttavia, per motivi di prevenzione, il potabilizzatore dell’acqua lacustre è stato disattivato.
I valori estivi particolarmente elevati di Chl-a (presente in modo rilevante nei
cianobatteri), hanno avvalorato l’insorgenza, la stabilizzazione e, quindi, la rilevanza
sanitaria dei “bloom” di cianoite. L’andamento delle concentrazioni di Chl-a, infatti, ha accompagnato quasi fedelmente quello delle colonie algali, tanto che i valori
177
Rosalba Padula & Linda Cingolani
maggiori sono stati riscontrati proprio presso le stazioni in cui le ioriture si mostravano più consistenti (aree di fronte ai fossi e centro lago). Il fenomeno si era già manifestato durante gli anni ’90, quando alla prevalenza di cloroicee nel itoplancton
estivo (Moretti, 1958; Cingolani, 2000) si andava sostituendo una netta dominanza
di cianoicee. In quegli anni, evidentemente, si stavano veriicando le condizioni favorevoli alle esplosioni di alghe azzurre: alta temperatura dell’acqua, illuminazione
prolungata e immissione consistente di nutrienti.
Il trattamento statistico dei dati relativi al numero dei campioni non conformi per la torbidità e i corrispondenti valori di Chl-a ha messo in evidenza una correlazione lineare positiva (r = 0,8). Benché il valore non risulti particolarmente signiicativo, tuttavia, l’indice di correlazione risulta abbastanza elevato se si considera il
grande range di variabilità insito nelle indagini svolte in campo. Non sarebbe fuori
luogo sostenere l’esistenza di un rapporto tra la proliferazione delle cianoicee (non
di rado visibili ad occhio nudo per la formazione di densi iocchi e schiume) e l’intorbidamento estivo delle acque del Trasimeno.
In sintesi, le principali cause delle ioriture estive di cianoicee possono essere
attribuite:
• alle peculiarità del bacino (ridotta profondità, scarsità di precipitazioni atmosferiche, modestissima portata dei corsi d’acqua aferenti, mancato ricambio delle
acque);
• al consistente alusso di nutrienti e carichi organici veicolati dagli scarichi civili
che, se pur trattati, convogliano continuamente inquinanti nel lago, come mostrato nella tabella II;
• al notevole carico zootecnico localizzato nelle aree agricole per efettuare pratiche
di fertirrigazione;
• ai fenomeni di lisciviazione derivanti dall’uso del liquame utilizzato in fertirrigazione (Cingolani et al., 2005). Dagli studi efettuati nel lavoro citato risulta chiaramente come la contaminazione derivante dalla fertirrigazione rivesta un’importanza cruciale, dato che pesanti carichi di contaminanti vengono veicolati dai
fossi tributari come già mostrato in igura 6, da cui risulta evidente come i carichi
azotati risultino molto elevati in quei fossi nelle cui vicinanze sono situati allevamenti suinicoli (Fig.1).
Per la salvaguardia del lago, che da qualche anno è stato designato Parco Regionale (Regione Umbria, 1995-agg.2007), occorrerebbe intervenire con azioni che, an-
178
Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)
che gradualmente, riportino se non alle condizioni degli anni ’50-’60 almeno ad una
signiicativa diminuzione dei bloom di alghe potenzialmente tossiche. Ciò potrebbe
essere raggiunto, con minori preoccupazioni per la salute pubblica, attraverso:
• promozione e incentivazione di sistemi innovativi di compostaggio che non prevedono emissioni di relui, da sostituire alle pratiche di fertirrigazione (già in uso
in modo molto limitato nel bacino);
• graduale eliminazione dell’immissione diretta degli scarichi dei depuratori civili;
• promozione di ricerche inalizzate all’utilizzo dei relui civili per uso irriguo;
• applicazione del Codice di Buona Pratica Agricola;
• una sorveglianza più stringente dell’evoluzione dell’ecosistema lacustre, inalizzata alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle vocazioni tipiche del
lago e alla tutela della salute pubblica.
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179
Risposta fotosintetica di alcune
specie macroalgali in ambiente acidificato
Photosynthetic response of
some algal species to water acidification
Lucia Porzio1,2 *, Maurizio Lorenti1, Carmen Arena2 &
Maria Cristina Buia1
Laboratorio di Ecologia Funzionale ed Evolutiva, Stazione Zoologica Anton Dohrn,
Villa Comunale, 80121 Napoli
2
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II,
Via Cinthia 4, 80126 Napoli
*[email protected]
1
Abstract
A causa delle continue emissioni di biossido di carbonio nell’atmosfera, è stata stimata
per il 2100 una diminuzione del pH della supericie oceanica di circa 0,5 unità. Le
ricerche efettuate ino ad oggi in questo ambito non consentono di trarre conclusioni
univoche sugli efetti che l’acidiicazione del mare può provocare sulle comunità
bentoniche. Per fornire un contributo a questa tematica, uno studio di tali efetti sulla
componente macroalgale, particolarmente vulnerabile alle modiicazioni di origine
antropica, è stato intrapreso in un sito naturalmente acidiicato per la presenza di
emissioni di CO2 sottomarine. In questo lavoro è stata caratterizzata l’attività fotochimica, come marcatore di eicienza fotosintetica, di alcune specie macroalgali presenti
lungo il gradiente naturale di acidiicazione. I dati preliminari mostrano che le specie
studiate hanno una diversa capacità di utilizzare la radiazione luminosa assorbita nei
processi fotochimici ed una diferente ripartizione di tale energia nei processi nonfotochimici.
Introduzione
Il continuo aumento della concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera, per efetto delle sempre più abbondanti emissioni antropiche, sta determinando
un cambiamento signiicativo della temperatura con efetti sul clima a livello planetario. Ripercussioni sono attese anche per quanto riguarda i sistemi acquatici. È
stato infatti stimato che l’incremento di CO2 in ambiente marino potrebbe provocare fenomeni di acidiicazione, ovvero un abbassamento del pH del mare di circa
181
Lucia Porzio et al.
0,5 unità entro il 2100 (IPCC, 2001), portando a conseguenze incontrollabili negli
oceani.
L’ambiente bentonico costiero risulta essere particolarmente vulnerabile alle
perturbazioni di origine antropica (Airoldi et al., 2007). In tale sistema le macroalghe giocano un ruolo strutturale e funzionale molto importante, poiché costituiscono la base della rete troica; pertanto ogni modiicazione nella loro abbondanza e
composizione provoca alterazioni non solo a carico delle comunità ad esse associate
ma dell’intero ecosistema. Fino ad oggi pochi studi sono stati realizzati per valutare
gli efetti a lungo termine del cambiamento di pH sulle comunità macroalgali bentoniche e per lo più hanno riguardato esperimenti efettuati in laboratorio su pochi
organismi chiave (Beer et al., 1996; Kübler et al., 1999; Menéndez et al., 2001).
Nell’isola di Ischia (Golfo di Napoli) è presente un sito caratterizzato da emissioni naturali sottomarine di CO2, a temperatura ambiente che determinano un gradiente di pH (Hall-Spencer et al., 2008). Tale sito, unico nel suo genere, è da considerarsi come un laboratorio naturale in cui studiare le risposte a lungo termine
dell’acidiicazione sulle comunità bentoniche costiere. In questo lavoro è stata valutata, sia in situ che in laboratorio, l’inluenza del pH sull’eicienza fotosintetica di
alcune specie macroalgali presenti in zone a diferente grado di acidiicazione.
Materiali e metodi
Il sito di studio
L’area in cui è stato condotto questo studio è situata a Ischia, nel Golfo
di Napoli presso il Castello Aragonese (40° 043.84’ N; 13° 57.08’ E). La particolarità
del sito è dovuta all’emissione sottomarina di CO2 di origine vulcanica che determina un gradiente di pH da circa 8,1 a 6,7 unità (Hall-Spencer et al., 2008). In questo
sito sono stati identiicati 3 sub-siti con diferente grado di acidità dove, a specie
come Dictyota dichotoma var. intricata, presente lungo tutto il gradiente, si contrappongono taxa con una ripartizione più limitata, come Sargassum vulgare, presente
solo nella zona più acidiicata, e Jania rubens, presente quasi esclusivamente a pH
maggiore di 8 (Porzio et al., in preparazione).
Misure di eicienza fotosintetica. Lo stress indotto dall’acidiicazione sull’apparato fotosintetico è stato valutato, sia in laboratorio che in situ, misurando alcuni
182
Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato
indici fotochimici in funzione dell’irradianza per mezzo di un luorimetro a luce modulata (Diving-PAM, Walz, Germany). Prima di efettuare le misure di luorescenza
in situ, il luorimetro è stato tarato in laboratorio, impostando alcuni parametri
come: intensità e durata del pulse saturante, il range di irradianze utilizzate per ciascuna specie e distanza del campione dalla ibra ottica. La caratterizzazione fotochimica è stata condotta in laboratorio su cinque specie macroalgali, due alghe brune
(Phaeophyceae) Dictyota dichotoma var. intricata e Sargassum vulgare, e tre alghe rosse
calcaree (Corallinaceae) Jania rubens, Corallina elongata e Amphiroa rigida; la caratterizzazione in situ è stata condotta su Dictyota dichotoma var. intricata, Sargassum vulgare e Jania rubens, per la maggiore abbondanza nel loro ambiente naturale.
L’attività fotochimica, misurata in funzione dell’irradianza (Photosynthetic
Photon Flux Density, PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1), è stata analizzata attraverso i
seguenti indici: resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non fotochimico (qN). qP e qN sono stati calcolati secondo van Kooten e Snel (1990) mentre FPSII secondo Genty et al. (1989). La massima eicienza fotochimica del PSII
(rapporto Fv/Fm) è stata misurata su campioni adattati al buio per 10 minuti e rappresenta un importante indicatore per valutare l’insorgenza di eventuali condizioni
di stress in organismi autotroi. La signiicatività delle diferenze è stata saggiata attraverso l’analisi della varianza (ANOVA ad una via).
Risultati e discussione
L’analisi degli indici fotochimici ha permesso, per le diferenti specie macroalgali, di valutare l’eicienza di conversione della luce nel processo fotosintetico e la
ripartizione dell’energia luminosa assorbita dai fotosistemi nei processi fotochimici e
non fotochimici.
Dalle misure condotte in laboratorio si evince che le Phaeophyceae presentano valori signiicativamente più elevati (P < 0,01) di FPSII, ETR e qP rispetto alle Corallinaceae (Fig. 1). L’attività fotochimica più elevata riscontrata nelle Phaeophyceae
è indice del fatto che tali gruppi algali posseggono un apparato fotosintetico che si
mostra più eiciente nell’utilizzare la radiazione luminosa assorbita in processi fotochimici rispetto alle specie calcaree. I più alti valori di qN riscontrati nelle due Corallinaceae suggeriscono che le specie calcaree possano dissipare in processi non-fotochimici la radiazione luminosa assorbita in eccesso.
183
Lucia Porzio et al.
Caratteristiche intrinseche diverse tra Phaeophyceae e Corallinaceae emergono anche dall’analisi della massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) (Fig. 2).
 Dictyota dichotoma var. intricata
 Amphyroa rigida
 Sargassum vulgare
 Jania rubens
 Corallina elongata
Figura 1: Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico
(ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), nelle specie D. dichotoma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida in funzione dell’irradianza (PPFD, µmol di fotoni
m-2 s-1) misurate in laboratorio a pH > 8. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 4.
J. rubens
A. rigida
C. elongata
S. vulgare
D. dichotoma
F v /F m
Figura 2: Massima efficienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in laboratorio, a pH > 8,
nelle specie D. dichotoma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida. I dati riportati sono medie
± errore standard di n = 4.
184
Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato
Infatti le Phaeophyceae hanno mostrato valori di Fv/Fm signiicativamente più
elevati (P < 0,05) rispetto alle Corallinacee, indicando una maggiore potenzialità di
conversione della luce nei centri di reazione.
Diversamente dai dati raccolti in laboratorio, dove le variazioni degli indici
fotochimici non erano imputabili al pH ma solo a diferenze intrinseche tra specie,
le misure in situ hanno permesso di valutare l’efetto dell’acidiicazione sull’apparato
fotosintetico. In igura 3 sono mostrati i valori di FPSII, ETR, qP e qN registrati in
situ: per D. dichotoma a pH normale (8.06) ed acido (6.72), per S. vulgare a pH acido e per J. rubens a pH normale.
 Dictyota dichotoma var. intricata pH 6.72
 Sargassum vulgare pH 6.72
 Dictyota dichotoma var. intricata pH 8.06
 Jania rubens pH 8.06
Figura 3: Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico
(ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), misurati in rapporto
all’irradianza (PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1) in situ nelle specie: D. dichotoma cresciuta a pH acido
(6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J. rubens cresciuta a pH normale. I dati
riportati sono medie ± errore standard di n = 9.
Dai dati raccolti in situ si evince che le tre specie esaminate non mostrano differenze signiicative per gli indici FPSII e ETR. In D. dichotoma l’attività fotochimica
non risulta inluenzata dalle variazioni di pH; i valori degli indici misurati in D. dichotoma sono simili a quelli per S. vulgare, indicando una equivalente capacità di
185
Lucia Porzio et al.
convertire energia luminosa nel processo fotosintetico. J. rubens mostra invece valori
signiicativamente più elevati (P < 0,05) di qP e qN rispetto alle due Phaeophyceae in
tutto il range di PPFD esaminato, discostandosi dal comportamento osservato in laboratorio. Una possibile spiegazione potrebbe derivare dal fatto che questa alga rossa
occupa nel sito di studio una zona più supericiale, trovandosi pertanto più esposta
alla radiazione luminosa. Ciò potrebbe aver indotto un fenomeno di acclimatazione
dell’apparato fotosintetico alla luce che potrebbe essere alla base della maggiore attività fotochimica riscontrata.
Per quanto riguarda la massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in situ, nessuna diferenza è emersa tra D. dichotoma cresciuta a diferenti valori
di pH e S. vulgare cresciuto a pH acido, indicando una eicienza fotochimica potenziale comparabile per le due specie (Fig. 4). Al contrario valori signiicativamente più
bassi (P < 0,05) sono stati misurati in J. rubens.
J. rubens pH 8.06
S. vulgare pH 6.72
D. dichotoma pH 6.72
D. dichotoma pH 8.02
F v /F m
Figura 4: Massima efficienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in situ, nelle specie: D.
dichotoma cresciuta a pH acido (6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J.
rubens cresciuta a pH normale. I dati riportati sono medie ± errore standard di n=9.
I dati, pur se preliminari, suggeriscono che la diversa attività fotochimica
riscontrata nei campioni analizzati in laboratorio rilette caratteristiche intrinseche
proprie delle diferenti specie. In situ, l‘eicienza fotochimica maggiore di 0,60 (Fig.
3) in D. dichotoma ad entrambi i valori di pH suggerisce l’indiferenza di questa specie all’acidiicazione e la sua plasticità nell’adattarsi ai diversi ambienti. I valori comparabili di Fv/Fm in S. vulgare e D. dichotoma indicano che entrambe le specie risultano ben adattate a pH acido poiché il loro apparato fotosintetico non mostra una
situazione di stress.
186
Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato
Con questo studio sono state poste le basi per ulteriori approfondimenti sugli
efetti dell’acidiicazione sulla funzionalità dell’apparato fotosintetico. La molteplicità delle variabili che intervengono in situ rende necessari ulteriori esperimenti per
fornire una risposta univoca sull’inluenza che il pH esercita sui processi fotochimici
e non fotochimici nelle diverse specie.
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187
Towards the definition of a
“Zone of Interaction” of protected areas
to quantify and monitor
the human impact on biodiversity
Verso la definizione di una
“Zona di Interazione” delle aree protette
per quantificare e monitorare
l’impatto antropico sulla biodiversità
Francesco Rovero1* & Ruth DeFries2
1
Biodiversità Tropicale, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento
2
Ecology, Evolution, and Environmental Biology, Columbia University, New York (USA)
*[email protected]
Abstract
he current biodiversity crisis imposes to understand the efects of human activities on
biodiversity. Yet, studies that include human impact in analysis of biodiversity changes
remain scant. It appears especially critical to formalize how biodiversity monitoring
data, obtained from local scales (plot), can be integrated in the broader context
(landscape), potentially global, where the anthropogenic efects fall. In the attempt to
ill this gap, a working group of scientists called by the pan-tropical programme
TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring) of Conservation International –
established to monitor humid tropical forests through standard protocols – proposed a
framework to delineate a “Zone of Interaction” (ZoI) that includes human inluence in
biodiversity monitoring. he present contribution summarizes the approach and
criteria to delineate the ZoI, which is potentially applicable to any coupled humannatural system. It also summarizes the results from a practical example of ZoI in an
area in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for
biodiversity. he case study shows that diferences between forest mammal populations, especially primates, are related to anthropogenic disturbance in the ZoI, thus
validating the relevance of such approach. From a methodological perspective the need
emerges for integrating human disturbance data taken on the ground (e.g. hunting,
tree cutting) with satellite data derivable for larger scales (e.g. ires, human density,
land use).
189
Francesco Rovero & Ruth DeFries
Introduction
he negative impact of human activities on biodiversity is widely recognized,
and as such eforts have been made to analyse changes in biodiversity while incorporating the efect of human inluence. However, the processes through which human
activities around biodiversity areas afect species and populations at particular sites
remain often poorly understood, and more work is clearly needed. Despite the traditional separation between disciplines studying human and ecological processes, it is
clear that these processes are intertwined through exchanges of energy, materials, and
organisms (Liu et al., 2007a-b). Relevant background work in this context especially
focussed on the efects on protected areas and biodiversity of land-use changes (see
Hansen & DeFries, 2007, and other contributions in the same volume). It remains
especially critical to formalize how biodiversity monitoring data, obtained at local
scales (plot), can be integrated in the broader context (landscape), potentially global,
where the anthropogenic disturbance acts.
In the attempt to ill this gap, a framework to delineate a “Zone of Interaction” (ZoI) that includes the human inluence in the biodiversity monitoring has
been recently proposed by Conservation International in the framework of the pantropical programme TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring; see http://
www.teamnetwork.org) (DeFries et al., 2009) with the aim to monitor humid tropical forests through standardized protocols. he present contribution summarizes the
criteria adopted to delineate the ZoI and provides a practical example from an area
in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for
biodiversity. he focus on sites in the biodiversity-rich humid tropics derives from
the evidence that in this biome deforestation and other human activities destroyed
biodiversity at unmatched rates.
Methods and Results
Delineating the Zone of Interaction
DeFries et al. (2009) describe in details the pragmatic approach proposed for
delineating ZoI associated with biodiversity measurement sites. hese are based on
remote sensing data and other sources of information such as local expert knowledge
190
Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas
of ecological and socioeconomic features. If the measurement plots are located within a protected area, which is often the case, the protected area deines the minimum
extent of the area to be monitored. hus, four criteria are proposed to incorporate
ecological and human interactions that afect biodiversity at the biodiversity plots
(Fig. 1). Here, these criteria are listed and their application and mapping in the Udzungwa Mountains is described (see Rovero et al., 2009 for details on the area, and
DeFries et al., 2009 for full details on mapping the ZoI).
Extent of contiguous habitat surrounding the measurement site
Habitat contiguous to the measurement site potentially extends the range and
number of species within a protected area. he contiguous habitat might be deined
by topographic features (e.g. a deep valley of dry habitat separating moist forests),
rivers, roads, or boundaries of human land use. Watershed boundaries may also be a
natural boundary to delineate the zone of interaction where anthropogenic or topographic boundaries are not clear. In the Udzungwa, contiguous forest habitat outside
the protected areas is highly fragmented, with some key, forest-dependent species
such as the Udzungwa red colobus extending their range to insulated fragments. On
the eastern side, the contiguous habitat is constrained by the sharp topographic
boundary. On the western side, the ZoI includes a periphery coincident with the extent of the remaining forest fragments (Fig. 1a).
Migration corridors present and boundary deinition
Migration corridors can be used by species to travel from the measurement
site to other habitats. he corridors can be critically important for survival. Examples include relatively narrow strips of land used by elephants to access feeding areas
and seasonally-used paths for ungulates that lead to water holes. In the Udzungwa,
this criterion considers the movements of elephant populations towards other ecosystems. he corridors are narrow and highly threatened by growing human encroachment. A 10 km-wide strip along the corridor that leads to adjacent protected
areas is mapped as the second component of the ZoI (Fig. 1b).
191
Francesco Rovero & Ruth DeFries
Figure 1: Zone of Interaction (demarcated by
the black and white-shaded line) defined
for the Udzungwa Mountains of south-central
Tanzania, combining spatial extent for
criterion 1 (contiguous habitat) (3a), criterion 2
(migration corridors) (3b), and criterion 4
(human influences) (3c). Criterion 3 (watershed
boundary) does not apply in this case. The
background is the black and white transposition of a satellite image (Landsat ETM+ scenes),
darker areas representing forest patches.
Figure by Jenny Hawson, adapted from DeFries
et al. (2009).
Watershed boundaries
he area inluenced by major water lows will likely impact many ecological
patterns and processes around the measurement site. Whether the site is in the upper
reach of the watershed (water moves out of the site), the middle or the bottom (water moves through the site) is a key control of these processes. In the irst case, the
site itself is the source of water for other areas in the landscape so that this component of the ZoI is contained within the site. In the second case, it is important to
determine the boundaries of the watershed because changes in water lows and quality will impact the site. In the Udzungwa, the protected area is in the upper reach of
the watershed. he criterion does not apply in this case.
192
Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas
Boundaries of human activities with strong inluence on the measurement site
he designation of the spatial extent of human inluences on biodiversity in
the measurement sites is the most diicult and subjective of all the criteria. People
living around the site will likely have a direct impact on its biodiversity, through
processes such as hunting, land conversion, extractive activities, domestic animals,
and pollutants from factories and other sources. In the Udzungwa, human settlements that directly inluence the biodiversity are conined in a peripheral 5 km zone,
that along the eastern side of the mountains is constrained by intensive cultivation
and geophysical settings (Kilombero river and Selous Game Reserve). For areas
where settlements are present along a larger zone we also identiied a 40 km-wide
outer zone of indirect human inluence (Fig. 1c). he resulting ZoI component represents the combined direct and indirect human inluence zones.
Monitoring primates and other mammals in the Udzungwa Mountains
Zone of Interaction
he validity of the ZoI as delineated in the Udzungwa Mountains was tested
by analysing the correlation between the abundance of forest mammal populations
and potentially disturbance factors measured both on the ground and from remote
sensing. Two forest sites were chosen to assess the efects of disturbance on mammal
populations: these sites are relatively similar in terms of habitat but clearly in contrast in terms of protection, with the northern site being inside a National Park, and
the southern site being an unmanaged Forest Reserve.
Primate and forest antelope abundance census method followed established
transect methodology that allows estimating the encounter rate (in this case the
number of primate groups or individual antelope seen per km walked). Signs of human disturbance were also counted along “disturbance transects” walked from the
forest edge to forest interior. In particular, for each forest an index of freshly-cut pole
and timber stems was computed as the ratio of cut stems to the total number of both
cut and live stems. his gives an estimation of disturbance comparable across forest
habitats that may vary in stem density as a result of old management regimes or habitat type. See DeFries et al. (2009) for all methodological details.
193
Francesco Rovero & Ruth DeFries
Figure 2: Indices of human disturbance (above) and mammal encounter rates (below) for
Mwanihana forest (National Park) and Uzungwa Scarp (Forest Reserve) in the Udzungwa
Mountains, Tanzania. Values are mean and standard deviation from transects running from
forest edge towards the interior. Transects for disturbance signs were 20 to 25 and
0.5 km-long (repeated once), whereas transects for mammals were 3 and 4 km-long
(repeated 23 to 48 times each). See details in DeFries et al. (2009).
he results of census for four species of primates and one species of forest antelope and the results of disturbance transects are both shown in igure 2. As hypothesized, disturbance was low, or very moderate, in Mwanihana forest in the National
Park, while it was high in the southern Uzungwa Scarp Forest Reserve. Comparison
of primate and duiker census results between Mwanihana and Uzungwa Scarp shows
lower abundance in the latter for all species but the Sykes’ monkeys (Cercopithecus
mitis); this trend was especially clear for the two canopy-dependent species of colobus
monkeys (ANOVA: F1,205 = 102.74, P < 0.001 and F1,205 = 82.20, P < 0.001 for red
colobus and Angolan colobus, respectively), and for the red duiker Cephalophus harveyi (F1,64 = 4.53, P = 0.035), a common forest antelope.
194
Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas
Mammals’ counts, that were collected from 2003 until 2005 through 23-48
repetitions of three transects 4 km in length, are negatively correlated with disturbance indicators collected along 20 and 25 randomly-placed 0.5 km transects. hus,
colobine monkeys’ abundance was negatively correlated with gaps in the forest canopy (Spearman’s test: r = –0.39, P = 0.006 and r = –0.45, P = 0.001 for Angolan
colobus and red colobus, respectively) and positively correlated with the distance
from the forest edge (r = 0.40, P = 0.004 and r = 0.35, P = 0.013, respectively).
Moreover, red colobus observations were negatively related to the number of disturbance signs (r = –0.28, P = 0.048). he exception was Sykes’s monkey, a primate that
prefers secondary forest habitat: counts were positively related to gaps (r = 0.36,
P = 0.009) and negatively related to the distance from the forest edge (r = – 0.27,
P = 0.057).
Conclusions
Monitoring a zone of human inluence around biodiversity sites appears a
critical and pragmatic strategy for interpreting biodiversity changes. Despite being
developed and tested for tropical forest sites, the ZoI concept is widely applicable to
a variety of habitats where human and natural systems co-exist. he case study in the
Udzungwa Mountains shows that without collection of data on human activities in
the ZoI along with mammal abundance, it would not be possible to interpret diferences in mammal abundances at these sites. Data from remote sensing corroborate
the pattern emerged from ground data. For example, ire activities derived from satellite data show that ire incidence is greater in the southern, unprotected site. Similarly, changes in forest cover over the last few decades have also been greater around
the southern site, causing complete fragmentation of this site in comparison to
northern forests (DeFries et al., 2009). Monitoring of primates and forest antelope is
ongoing, and the most updated data show that the decline experienced by these populations only in the southern forest is dramatic and could potentially lead to local
extinction. his applies especially to the colobine monkeys and the forest antelope
that are particularly vulnerable to hunting (Rovero et al., in press).
195
Francesco Rovero & Ruth DeFries
Acknowledgements
he TEAM programme (funded by the Gordon and Betty Moore Foundation) sponsored the workshop that led to the design and publication of the ZoI
concept. he work in the Udzungwa Mountains by Francesco Rovero was mainly
funded by the Museo Tridentino di Scienze Naturali and by the Critical Ecosystem
Partnership Fund.
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196
The effectiveness of different
management policy to support
the Natural Capital
L’efficacia di differenti politiche di Gestione
nel supportare il Capitale Naturale
Teodoro Semeraro*, Irene Petrosillo, Nicola Zaccarelli &
Giovanni Zurlini
Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies,
University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce
*[email protected]
Abstract
he identiication of areas that are worthy of protection (SPZ, CIS etc.) and the
subsequent institution as natural protected areas are instruments that society uses to
preserve Natural Capital (NC). he aims of this paper are to analyse the efectiveness
of diferent management strategies in maintaining the low of the NC in the context
of protected area. herefore a retrospective analysis of land-cover/land-use mosaics was
carried out in the natural protected area “Torre Guaceto”. he analysis of land-use
and land-cover temporal dynamics was based on the economic valuation of ecosystem
goods and services proposed by Costanza et al. in 1997, used as surrogate of NC. he
results showed that not all environmental conservation management strategies have
played an equal role in fostering NC. his research highlighted that the recognition of
the natural value of a site according to the European Directives (NATURA 2000
network) is not suiciently efective for the conservation of the NC, but it is necessary
to identify a management authority that can monitor the landscape transformations,
setting, where necessary, the appropriate limitations.
Introduction
Natural and semi-natural ecosystems and landscapes provide beneits to human society now and in the future, which consist of a mix of goods and services,
both private and public, provided by multifunctional landscapes, which are referred
to as “Natural Capital” (NC) (de Groot, 2006; Haines-Young et al., 2006). he idea
of NC is a useful framework in which one can consider as a whole the output of
197
Teodoro Semeraro et al.
goods and services associated with an entire landscape, viewed as a mosaic of diferent land cover elements (Haines-Young, 2000).
One of the most successful strategies for NC conservation is the creation of
oicially and legally recognized terrestrial and marine protected areas. hese areas
should reduce intensive and direct use of ecosystems in terms of frequency and extraction of resources, considering the diferent requirements of diferent stakeholders, and guarantee the persistence of the processes and function that sustain the ecosystem services.
hese areas support NC and, consequently, security and human well-being.
Natural protected areas can be considered part of the so-called “critical social natural
resource”, representing natural areas that are of critical value largely as a result of
their social value to local communities, rather than of any outstanding ecological or
scientiic value. Such habitats might be critical because of their location and their
value as amenities, for recreation and education and for bringing people into regular
contact with the natural world (Chiesura & de Groot, 2003).
he crucial aspect of natural protected areas is their management, which has
predominantly focused on individual ecosystems almost in isolation. However, management is increasingly confronted with the problem of managing the entire landscape, which often consists of complex, interacting mosaics of diferent habitat
patches and ecosystems (Potschin & Haines-Young, 2001), and integrating phenomena across multiple scales of space, time and organizational levels (Berkes &
Folke, 1998; Levin, 2006).
Within this framework this research, conducted in the selected natural protected area in southern Italy, based on the assessment of natural capital change, resulting from two diferent kinds of management over time, can be performed by estimating and comparing the changes in the economic value of ecosystem services.
Undoubtedly this approach is not very accurate since both the area under study and
the economic valuation system are dynamic, changing in time and space. In addition, the same type of ecosystem could have very diferent values in diferent locations due to diferences in ecological role, economic activities, cultures, and the lifestyles of local people. Values depend on current market prices and preferences, so
that past generations could value a particular service diferently from the current
generation. However, the approach introduced by this paper helps to arrange a irst
attempt of the change of overall natural capital low under the current and the past
management regimes.
198
The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital
Materials and methods
he study area is the natural protected area of “Torre Guaceto” in the Apulian
region, southern Italy (Fig. 1). Even if this area stretches for only 1500 ha, it represents an administrative unit where the management authority constantly takes planning and management decisions.
Figure 1: Study area: the protected
area of Torre Guaceto, southern Italy.
In 1987 it was declared a Wetland of International Importance according to
the “Convention on Wetlands of International Importance especially as a water low
habitat”, the so-called Ramsar Convention (1971). In 1995, in the context of the
European Program “NATURA 2000”, the area of “Torre Guaceto” was proposed as
a Site of Community Importance (European code: IT9140005) according to the
European Directive 92/43, and in 1998 as an Important Bird Area (European code:
IT9140008) according to the European Directive 79/409. In 2000 it was designated
as a national protected area according to Italian Law 394/1991.
199
Teodoro Semeraro et al.
In this study, we compiled a time series of land-use and land-cover maps referring to the month of July for the years 1954, 1987, 1997 and 2004 by interpreting
1m×1m orthorectiied aerial photos. We identiied 16 terrestrial land-use and landcover categories to describe both spatial and temporal landscape dynamics and to assess changes in natural capital values based on Costanza et al.’s (1997) ecosystem
services valuation biomes model. he most representative biome was used as a proxy
for each category and the corresponding ecosystem services coeicient (US $×ha-1
per year), as proposed by Costanza et al. (1997), is shown in table I.
Table I: Land-use/land-cover categories identified in the study area; the most representative
biome used as a proxy for each land-use/land-cover category, and the corresponding ecosystem services coefficient (US $×ha−1 per year), as proposed by Costanza et al. (1997).
Land cover categories
The most representative
Biome
Ecosystem services coefficient
($ ha-1 per year)
Urban
Railroad
Urban
Street
Rocky coast
Sow-able-ground
Uncultivated ground
Grassland
0
Rock
Cropland
92
Grassland
232
Forest
969
Coastal beach
4052
Wetlands
14785
Mediterraneam Scrub
Almond land
Olive grove
Reforestation area
Tamarisk
Juniper
Coastal beach
Periodically under
Inundation land
Watland
In terms of proxy identiication, the classiication of permanent cultivations,
such as Mediterranean scrub, Almond and Olive groves, Reforestation area, Tamarisk and Juniper as “Forest” and not as “Cropland” depends on the ecological role
they play, based not only on the intuitive production of goods and services, but also
on the role of sink played by permanent cultivation that is similar to that played by
200
The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital
forest and natural areas in facing disturbance across scales (Zurlini et al., 2006). Although land-use intensiication is at issue as source of disturbances, permanent cultivations are not detrimental to biodiversity. On the contrary, they apparently can
bufer landscape dynamics and disturbances across scales in southern Italy (Zurlini et
al., 2006).
We estimated the Natural Capital Value (NCV) at time T using the following
relationship, modiied after Costanza et al. (1997):
NCV = Ak x VCk
where Ak is the area (ha) for land-use/cover class ‘k’, and VCk is Costanza’s
Value coeicient (US $×ha−1 per year), which we assumed constant during the temporal range under study.
Change in NCV is estimated over time by calculating, for each class, the difference between the estimated values for 2-year period with reference to 1954, 1987,
1997 and 2004.
Results
he change in the total Natural Capital Value of the protected area shows
an average decreasing trend from 1954 to 1997 (Fig. 2), followed by an increasing
trend from 1997 to 2004. Surprisingly, despite the protected area being declared in
1987 International Important Zone according to the Ramsar Convention and in
1995 Site of Community Importance, neither oicial recognitions apparently produced any relevant positive efect on the NCV (Fig. 2). Conversely, the increase in
the NCV from 1997 to 2004 might very well be attributed to a “conservation” efect
determined by the institution of the protected area of Torre Guaceto in 2000 (Fig.
2). We were not able to detect any efect related to its recognition as an Important
Bird Area in 1998 because photos for the year 2000 were not available.
201
Teodoro Semeraro et al.
Figure 2: Temporal changes of Natural Capital Value (NCV) in the study area, highlighting the
different temporal recognitions of its natural value (IIW: international important wetland; SCI: site
of community importance; IBA: important bird area; PA: institution of the natural protected area).
Bars represent the NCV variability range due to an estimated 2m average digitalization error.
Discussion
We use the economic coeicients proposed by Costanza et al. (1997) and although these estimates of the value of ecosystem services are biased, and we lay no
claim to their veracity, they at least provide not only a novel insight into the complex
patterns of land-use dynamics, but also a way to quantify the comprehensive change
in the lux of natural capital in the natural protected area of “Torre Guaceto”.
he speciic contribution of this paper is to show that those coeicients can
be used not only to address purely economical issues, as they are frequently used. On
the contrary, even if their values are considered constant during the temporal range
under study, they could play a role as operational surrogates to evaluate the recent
temporal dynamics of the overall lux of natural capital in the study area; this represents a irst attempt where ield data and information are not available, but additional work is required to relect changes in value across space and time. his is particularly relevant for the study of ecosystem goods and services, given that their
complexity makes it diicult to forecast their future in any meaningful way (Carpenter et al., 2005). In this respect, retrospective analyses help us to understand the past
trajectory of the system that is at the basis for tracing future scenarios, in that the ap-
202
The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital
proach here adopted focuses on real change processes instead of the arbitrary and
random information of landscape patterns (Käyhkö & Skånes, 2006). Additionally,
retrospective analyses help identify the possible driving forces behind changes, mainly due to human activity in the study area, and the main consequences of these processes on natural capital security, intended as the persistence of the overall amount of
ecosystem goods and services provided by the natural protected area.
Conclusion
Policy analysis is a critical element in the appraisal of the efectiveness of any
public policy including nature conservation policy.
While the literature abounds with approaches to the evaluation of conservation eiciency at the ecosystem level (e.g., Ramirez Sanz et al., 2000; Brody et al.,
2003), it is also useful to carry out a critical analysis of conservation policy at the individual natural protected area level, while at the same time considering its wider
contexts (Zurlini et al., 2006). Successful conservation of biodiversity is not only a
function of how much nature and what kind of nature is being protected or the various types of designations, but most importantly a function of the rigour with which
conservation policy is pursued in practice by the competent authorities. At the policy level, it is increasingly obvious that natural capital conservation cannot be sustainable simply by extending the protected area and designations. his is crucial in Europe where in each partner country there are great eforts in designation of areas
that, for their natural value, have to be considered for inclusion in the NATURA
2000 network, and where the concept of national park, among others, difers radically from the American model, because people and their activities have, over millennia, shaped and sculpted landscapes with a distinctly human touch.
As a result, European parks and areas included in the NATURA 2000 network are not conceived as wilderness preserves, but rather explicitly as multifunctional landscapes (Mander et al., 2007), where people and land have become inseparable and are considered worthy of protection as such.
In line with the multifunctional character of the NATURA 2000 sites, conservation policy and management should be interdisciplinary. hey should build on
solid knowledge of ecological, social and economic processes and deine opportunities and priorities with a view to achieving both the conservation objectives of the
sites and sustainable socio-economic development.
203
Teodoro Semeraro et al.
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204
The integrated information system on water
supply and wastewater services:
the Italian experience in the urban water survey
Il sistema informativo integrato
sui servizi idrici: l’esperienza italiana
della rilevazione sulle acque urbane
Stefano Tersigni*, Marilena A. Ciarallo, Renato Torelli & Luca Salvati
ISTAT, Environmental Statistics Unit, Via Adolfo Ravà 150, 00142 Roma
*[email protected]
Abstract
ISTAT has carried out a survey on water supply and wastewater statistics since 1951
with the aim of describing the state of urban water services in Italy. A new census
survey is being carried out in 2009 in order to acquire detailed information on water
quantity/use at municipality and plant scales. Diferent questionnaires were sent to the
water management companies for each typology of managed water services. Questionnaires collect information on abstracted water, water supply systems, sewerage systems
and wastewater treatment plants. he new survey is arranged through the Web Based
Survey solutions for data capturing. A dedicated web site, protected by the network
protocol SSL (Secure Sockets Layer), was prepared in order to facilitate respondents in
downloading the personalized questionnaires and uploading completed questionnaires
in form of electronic spreadsheets. he web site also ofers respondents with technical
assistance. Open source tools were used in order to acquire and load data received
by water management companies. Finally, data integration procedures from other
statistical sources were discussed.
Introduction
In the last years water statistics have acquired a growing importance in environmental monitoring. Assessing state of water supply and changes in water availability may be carried out at various temporal and spatial scales by either remote sensing/ield monitoring strategies or statistical collections of quantitative data from
water service/system holders. Statistical surveys on water supply and wastewater may
be census or sampling surveys. In this contribution, we intend to present the Italian
205
Tersigni Stefano et al.
experience with water resource statistics provided by the Italian National Institute of
Statistics (ISTAT). In particular, this paper focuses on recent advance in the ield of
water surveys referring to data capturing phase.
The ISTAT system of water surveys
ISTAT has carried out surveys on water statistics since 1951 with the aim of
describing the state of urban water services in Italy. he survey chronology (1951,
1963, 1975, 1987, 1993, 1999, 2005, 2008) has allowed to develop an information
basis that is progressively updated by considering both the new water country/EU
directives and the increasing demand of information from public institutions and
private stakeholders. After the edition of 1999, both the contents and the production process have been deeply renewed. In fact, as a result of preliminary studies conducted by ISTAT the survey has become a “system of surveys” composed of diferent
sub-surveys. his system is named Water Surveys System (Ciarallo et al., 2005).
In particular, the survey was developed with the aim to collect information
according to the scheme illustrated in igure 1. Abstracted water is collected by water
pipes and delivered to the municipal water supply system. hrough this system each
inal potable water user will be supplied. Wastewater is collected in the sewage system and treated before the eluent is discharged into water body (e.g. watercourse,
natural lake, artiicial reservoir, sea and transitional waters).
Figure 1: Urban water use scheme.
206
The integrated information system on water supply and wastewater services
he cyclical nature of water phenomena and the complex characteristic of
utilities supply (e.g. presence of networks) make the way of collecting statistics on
these issues diicult. In the precedent water surveys, Istat already adopted various
kinds of questionnaires and in 1999, for the irst time, six contextually-supplied
questionnaires and a separate sewerage system questionnaire were developed. his
was done with the aim to optimise productive processes of water statistics in order
to pursue objectives of standardisation in both the deinitions and methodologies
in the medium-long term. It requires the deinition of a common reference for urban
water services indicators, as well as an adequate model of aggregation that its the
basic common needs of the main user categories (Matos et al., 2003; alegre et al.,
2006).
The 2008 census survey
In 2009 a new census survey is being carried out to acquire detailed information on water quantity/use at municipality scale referring to 2008. Four diferent
questionnaires were sent to water management companies identiied by a preliminary survey. Each management company has received speciic questionnaires for
each type of managed water service. he four questionnaires collect information on
(i) abstracted and transmitted water, (ii) water supply systems, (iii) sewerage and (iv)
wastewater treatment plants. In every questionnaire information on individual managed plants are required. he list of questionnaires and the related responding units
are reported in table 1.
Table I: Questionnaires of the ISTAT Water survey system by responding unit.
Questionnaire
Responding Unit
Abstracted and transmitted water
Water pipes system management companies
Water supply system
Water supply system management companies
Sewerage
Sewerage system management companies
Municipal wastewater treatment plants
Municipal waste water management companies
207
Tersigni Stefano et al.
In more detail, the four types of questionnaire are:
Abstracted and transmitted water
his questionnaire requests information on the principal inputs and outputs
of drinking water of a typical water transmission system. Collected variables include
water abstracted by sources, water delivered to each municipality, raw water imported or exported, water distributed wholesale for industrial and agricultural purpose.
Water supply system
his questionnaire refers to the public water network which supplies water to
the inal users. Each water supply system is related with its municipality. he collected information regard the water volume, the structural characteristics of network
and the water pipes plants connected to the municipality water supply system. In
particular, collected variables include total invoiced water, invoiced water by uses,
total supplied water, total water poured in the water supply system.
Sewerage
Data about management companies of sewage system are requested in this
questionnaire. he aim is to obtain basic information about the type of plant and the
existence of waste water treatment, the percentage of waste water collected through
waste water treatment plants and the percentage and the destination of not treated
waste water (water bodies).
Wastewater treatment plants
his questionnaire investigates on the main characteristics of urban waste water treatment plants. he aim of this survey is to get information about management
of treatment plants, type of treatment (primary, secondary or tertiary) and localisation of plants. Other pieces of information regard the estimation of inhabitant
equivalent (design capacity and actual occupation), municipalities connected to
waste water treatment plants, sewage sludge production, as well as disposal and
waste water quality of treatment process.
Concerning control and validation processes, the survey beneits from a procedure of data integration from various other statistical sources, including speciic
regional registers conducted by Environmental Protection Agencies on water quan-
208
The integrated information system on water supply and wastewater services
tity/quality and administrative sources from regional administrations and National
Research Institutes.
The technological solution for the data capturing phase
technological innovation brings new opportunity, ofering new ways to conduct water surveys (Nicholls II et al., 1997). he survey edition conducted by
Istat in 1999 was carried out through a paper self administrated questionnaire.
after having evaluated some aspects related to the experience of census survey, a new
strategy for the edition of 2005 was deined. In detail, the data capturing phase was
based on the integration of two techniques: CaPI (Computer assisted Personal Interviewing) and CatI (Computer assisted telephone Interviewing). In particular,
CaPI was used with integrated water management companies and big companies
for whom a telephone interview would have been too long. CatI was used for the
remaining respondents. Both these techniques make possible to implement two important tools aimed at improving quality data as the introduction of checking rules
during the interview and the comparison of values captured during the interview
with data captured in 1999 census, so as to verify the signiicant discrepancies directly with the respondent (Di Bella et al., 2005).
he new 2008 survey was arranged through web solutions for data capturing.
a dedicated web site was prepared to ofer respondents technical assistance and (personalised) spreadsheets for easy and rapid reply. hese technologies facilitate the automation of self-administered survey and ofer the control tools typical of computer
assisted interviewing such as branching, edits, randomization, etc., together with the
beneits of self-administration (e.g. mitigation of interviewer efects, reduced survey
costs).
Data capturing and uploading stages
his part of the survey, more closely related to computer science, was developed starting from the institutional web portal “indata.istat.it”, which is dedicated
to data capturing (Fig. 2).
209
Tersigni Stefano et al.
Figure 2: Distributed system scheme of ISTAT water survey.
he transfer protocol is https. User-id and a temporary password is issued to
each user. During the irst login the user has to select his working password. By making multiple selections from a checkbox, the user can download one or more excel
questionnaires. Each questionnaire may be compiled of-line by the user and subsequently completed and uploaded. he uploading phase triggers a check process that
veriies, on the application server, some irst consistency checks (e.g. compliance
with the electronic format of ile and with the track record deinition). If this process
was successful, the excel ile is given a meaningful name (username+questionnaire+date)
and stored on an apposite directory of another server. On this server the DBMS Oracle runs, that holds raw data tables and the tables containing data subjected to edit
and imputation processes.
According to a scheduled daily time, a C program reads each excel ile and uploads the suitable (generally more than one) raw data tables. he above mentioned C
program uses Pro*C and libxls libraries. Pro*C is a software library supplied by Oracle, while libxls is an open software, downloadable from sourceforge.net, that can
read MS Excel iles. Libxls can also read MS Excel formulas results saved in iles.
210
The integrated information system on water supply and wastewater services
Conclusions
he progression from self-administered questionnaire to a computerized selfadministration of surveys is argued to reduce survey errors and to improve data collection quality. survey results will be available in 2010 through a GIs-based data
warehouse inside the institutional web portal from Istat (http://acqua.istat.it/).
Results include several indicators depicting state and changes in water resource of
Italy at a very detailed level. a new survey will be scheduled in 2013, thus obtaining
a very long time series on water resource data.
Acknowledgements
We wish to thank David Hoerl, maintainer of open sources libxls libraries, for
his precious debugging work according to our reports about libxls library.
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211
The management of the marinas
in the context of environmental security
La gestione dei porticcioli turistici
nell’ottica della sicurezza ambientale
Donatella Valente*, Irene Petrosillo, Nicola Zaccarelli &
Giovanni Zurlini
Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies,
University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce
*[email protected]
Abstract
In the context of Environmental Security the management of Socio-Ecological
Landscapes (SEL), complex and adaptive systems that are made up of social and
ecological components, must take into account that both of these components are mutually interactive and for this the ecological component is inluenced by social
component characterized by perceptions and human behavior. However, if on the one
hand it is necessary to recognize that perception of security is fundamental at all levels
of human organization, on the other hand, it is of primary importance to admit that
only the decision-makers make decisions and assign management priorities on the
basis of their perception of risks with real consequences on the environment in terms
of environmental risk. So far the management of marinas has been conducted without
considering the environmental awareness of managers about the potential consequences connected to their decisions. On these assumptions the research is carried out (i) at
provincial scale, comparing the perception of the environmental risk of the managers
of 8 marinas in the province of Lecce and (ii) at local scale, analyzing the perception of
the environmental risk of the managers of one of the ports studied (subjective
analysis), assessing the potential environmental risk of the pressures through the
creation of scenarios (objective analysis) and comparing the results of the objective and
subjective analysis to cause assessment of environmental security. he results obtained
allowed to highlight that the management of the SEL must include necessarily the
environmental perception of the decision makers, beyond the economic, social and
ecological components. In addition the results provided early spatial indications about
the state of potential risk of a port, constituting a valid support for the realization of
the efective programs of environmental monitoring in diferent areas of the harbor.
213
Donatella Valente et al.
Introduction
Marinas represent one of the possible coastal uses and the activities carried
out in these structures are also likely to cause the deterioration of local coastal landscape and the quality of marine water in the surrounding areas (Petrosillo et al.,
2009). In terms of ecological risk, the management of a marina can play an important role in reducing or strengthening environmental pressures and, consequently,
environmental security for much wider coastal areas. Consequently, it is necessary to
highlight the signiicant role played by human perception of the environment in the
context of the decision-making process. It is also true that in addition to public perception management success depends on the perception of decision makers, because
they take a decision and assign management priority on the basis of how they perceive the risks with real consequences on the environment (Simoni & Allen, 1998).
he focal task of the landscape security approach is to identify and assess the overall
risk due to the diference between subjective and objective environmental assessments and to igure out possible ways to minimize it.
As an example, the environmental security of the same marina might be evaluated diferently in both objective and subjective terms (Fig. 1).
Figure 1: Possible combination to
compare objective and subjective
assessment in the framework of environmental security (Zurlini & Müller, 2008).
In the case (a) and (d) there is concordance between objective and subjective
evaluations of environmental state; for case (a) both agree on positive (high) environmental quality, whereas for case (d) both agree on negative (low) environmental
quality of the marina under study. In particular, if we consider the quality of water,
in case (a) the perception of managers matches the parameters established by the reference law, while in case (d) there is a very low awareness of environmental pressure
that is conirmed by the parameters. On the other hand, cases (b) and (c) are discordant; in the irst case there is no perception of environmental pressures even if the
214
The management of the marinas in the context of environmental security
values are not within the parameters established by the law of reference. his situation is the most dangerous but also the most common in the real world because people are often unaware of the environmental degradation they cause. In this case managers will not initiate activities to mitigate the environmental risk. In contrast, in
case (c) there is low perception of environmental security without any objective reason for such concern. In this case managers will initiate activities to mitigate this
perceived risk with negative economic consequences, because they will invest money
in activities that are not needed, but with positive ecological efects, because this behavior will keep the risk low.
Materials and methods
his work focuses on two study areas: at provincial scale, on the 8 marinas of
the Province of Lecce (Apulia Region, southern Italy) (Petrosillo et al., 2009) and at
local scale, on the San Foca marina, located in the Province of Lecce (Apulia Region,
southern Italy).
To perform the subjective assessment at this spatial scale data were collected
by means of questionnaires administered to managers of the ports. For the statistical
analysis, the sample was divided into two groups on the basis of the number of boat
slips (less than 200 boat slips and more than 200 boat slips, respectively), and a Kolmogorov–Smirnov Test for small samples (Sokal & Rohlf, 1994) was applied to determine whether statistically signiicant diferences were present between the two
samples. A Principal Component Analysis (PCA) was then used to identify common
behaviors/patterns in the answers given by the managers involved in each harbor.
For the local scale, the environmental risk in San Foca marina was assessed
subjectively by the use of questionnaires inalized to evaluate the environmental perception of environmental risk, and consequently of environmental security, shown
by the six managers of the port. For the objective analysis, we use a mathematical
model useful to map the critical areas in the harbor. he model uses three main parameters: (i) the distance between the site and the waste sources; (ii) the distance between the site and the port mouth; (iii) the presence and position of a wharf. he
algorithm is reported in Fabiano et al. (2006) and Vassallo et al. (2006). As inal output, the tool can produce risk maps automatically, using Matlab interface (MathWorks, Inc.) or a suitably developed user-friendly Java interface (Jmarinas, free
download at http://jfmarinas.sourceforge.net/).
215
Donatella Valente et al.
Results and discussion
At provincial scale, considering the level of perception of the managers, we
can report that in most cases managers showed a low perception of environmental
risks associated with the activities carried out in their harbors (for more details see
Petrosillo et al., 2009).
Signiicant statistical diferences among the managers of marinas with either
more or fewer than 200 boat slips were found for three environmental pressures related to four activities (Petrosillo et al., 2009). Further, to see if management choices
were consistent, we performed a PCA analysis activities. In particular, the irst principal component was ‘‘environmental risk perception related to recreational activities” and represented 33.2 % of the sample variability, while the second principal
component was ‘‘environmental risk perception related to harbor facilities,” which
represented 22 % of the sample variability. he third component, ‘‘environmental
risk perception related to yachting services,” represented 16 % of sample variability
and explained 72 % of the total sample variability (Petrosillo et al., 2009). In general,
this part of the research demonstrates that the environmental awareness of managers
can play a crucial role in increasing or mitigating the environmental pressures linked
to the diferent activities carried out in marinas. In addition, where diferent managers with diferent perceptions are present in the same harbor, it is likely that diferent, or even contrasting, decisions will be made with problematic consequences for
that harbor. In these situations, the environmental security of a harbor can only be
guaranteed by choices against potential environmental risks that are made uniformly
by the managers involved.
At local scale, the 6 managers of San Foca harbor showed strong mismatches
in the perception of risk. In igure 2 the total environmental risk perception is reported for each manager according to the frequency of answers.
216
The management of the marinas in the context of environmental security
Figure 2: The total environmental risk perception for each manager according to the
frequency of answers, and the mean of the scores represented by the black line (0 = null
perception; 1 = low perception; 2 = medium perception; 3 = high perception). (A) the frequency
of answers of Manager 3; (B) the frequency of answers of Manager 4; (C) the frequency of
answers of Manager 2; (D) the frequency of answers of Manager 1; (E) the frequency of answers
of Manager 5; and (F) the frequency of answers of Manager 6.
On the left there are managers showing a low perception of the total environmental risk (A, B, and C graphs), while the cases D, E and F represent managers
who display higher risk perception (Fig. 2). he general indication emerging from
igure 2 is that cases A and C show the lowest perception of environmental risk associated with the activities carried out in the harbor under study, highlighted by the
mean that is on the 0-value (absence of perception).
Moving to the results of the “objective” assessment of total environmental
risk, the application of the model allows us to assess diferent risk levels in San Foca
harbor. In particular, the new part of the harbor displays the lowest levels of harbor
risk (Fig. 3).
217
Donatella Valente et al.
Figure 3: Map of the total environmental risk with different risk levels in San
Foca harbor.
Figure 4: Comparison between the subjective
and objective assessments of environmental risk in
the framework of environmental security
(M1 = Manager 1; M2 = Manager 2; M3 = Manager 3;
M4 = Manager 4; M5 = Manager 5; M6 = Manager 6).
On the other hand, the “inner harbor” shows the higher levels of environmental risk. his is further worsened by increased distance from the harbor mouth
and by decreased water turnover rate. Considering the harbor as a socio-ecological
system, where humans are an essential part of it, the results of subjective and objective assessments need to be integrated to evaluate the environmental state of San
Foca marina. he comparison between subjective and objective results allows the
tracing of a more solid estimate of environmental security in diferent areas of the
harbor (Fig. 4).
First of all, the environmental security of the diferent parts of the harbor is
characterized by a mismatch between objective and subjective assessments. his divergence is relevant in the inner part of the harbor, where managers 1, 2, 3 and 4
show a high perception of security while, objectively, environmental risk is high. In
the framework of environmental security these conditions can be attributed to case
(b) (Fig. 1), which can be considered as the most risky, because even though environmental quality is at risk, managers are not aware of it and, consequently, they might
not take efective decisions. In the new part of the harbor, that mismatch is less dangerous because even though environmental quality is high (low environmental risk),
manager 5 perceives quality to be low (case c, Fig. 1), so that he could make potential preventive choices that are not really needed, but that nevertheless keep environmental risk low. Luckily, manager 6, which is an institutional body regarding monitoring and control activities of the whole harbor, shows a high perception of
environmental risk, representing a guarantee for the environmental security of San
Foca marina.
218
The management of the marinas in the context of environmental security
Conclusions
In management processes, there are multiple environmental perceptions introduced by the diferent actors: decision-makers, public, media, and all the relevant
stakeholders. Among all these actors, decision-makers are the most directly involved
in evaluating options and perceiving problems when a decision is taken. When numerous decision-makers have to take decisions in the context of the same system
(e.g., marinas), the situation becomes even more complicated. Understanding the
diferent perceptions of managers is crucial in the context of marinas where people
making the decisions play an important role in increasing or mitigating the environmental pressures related to the activities carried out. Managers play an important
role in the context of environmental security, because they can mitigate the environmental risk, increasing the security of a particular harbor and, more in general, of
the surrounding environment. To this aim, spatially explicit assessments of environmental risk and an awareness of such risk by managers are essential and represent an
integration of traditional ecological risk assessment that gives less attention to spatial
characteristics. In addition, the presence of ecological risk thresholds can be meaningless if nobody perceives them. Consequently, to cope with the problem of the risk
in a more efective manner is better to think of it as socio-ecological risk. By means
of the production of maps and scenarios, a irst indication about potential environmental risk can also support the possible program of monitoring activities, making
them more efective. Furthermore, the simple reading of maps can improve managers’ perception of environmental risk, supporting them in the decision process, with
suggestions about where and how much it is necessary to mitigate the risk. Marinas
are an economic opportunity existing in places characterized by a high value in terms
of recreational ecosystem services, such as serenity, beauty, cultural inspiration and
recreation (Costanza et al., 1997). All these services are heavily dependent on biodiversity, so that the maintenance of species and habitat diversity becomes of primary
importance for the quality of human life (Vitousek et al., 1997). hus, the maintenance of environmental security of marinas can be a guarantee for the maintenance
of the security of essential ecosystem services.
219
Donatella Valente et al.
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220
Come apprezzare
i “servizi” offerti
dagli ecosistemi?
Il valore delle funzioni del bosco
nella percezione delle comunità locali:
un caso di studio nel comune di Trento
Forest values in local communities’ perception:
a case study in the municipality of Trento
Maria Giulia Cantiani1*, Isabella De Meo2,
Federica Maino3 & Alessandro Paletto2
Laboratorio di Ecologia, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale,
Università di Trento, via Mesiano 77, 38050 Trento
2
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca
per il Monitoraggio e la Pianiicazione Forestale (CRA-MPF)
3
Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio, EURAC research,
Viale Druso 1, 39100 Bolzano
*[email protected]
1
Abstract
Il presente contributo illustra i risultati di una ricerca volta ad evidenziare il valore
attribuito alle diverse funzioni del bosco da parte degli abitanti del Comune di Trento.
L’indagine è stata condotta con un processo di tipo incrementale-partecipativo, per
mezzo di un questionario autocompilato. I risultati mostrano che alla macro-categoria
che raggruppa i valori economici del bosco viene attribuito un valore sensibilmente
più basso, rispetto ai valori sociali ed ambientali.
Introduzione
Il bosco è un ecosistema complesso, in grado di svolgere una molteplicità di
funzioni e di fornire beni e servizi utili alla società (Führer, 2000). Il concetto di
multifunzionalità delle foreste, nonostante abbia subito svariati sviluppi e perfezionamenti a partire dalla formulazione originaria data da Viktor Dieterich nei primi
anni ’50 (Hytönen, 1995), resta uno dei paradigmi principali della gestione delle foreste in Europa (Vyskot et al., 2003). Le foreste assolvono a quattro tipi di funzioni
(Fernand, 1995): di utilità, di realizzazione, percettive e protettive. La funzione di
utilità considera la foresta come una fonte di materie prime e redditi, mentre la funzione di realizzazione comprende le attività ricreative in foresta (sportive, caccia, pe-
223
Maria Giulia Cantiani et al.
sca e raccolta di prodotti del sottobosco). La funzione percettiva è soggettiva per ciascun individuo e include la percezione sociale attribuita all’esistenza della risorsa o
all’esperienza diretta passata in foresta. La funzione protettiva riguarda la protezione
delle specie loristiche e faunistiche e dell’ecosistema, così come la protezione idrogeologica.
La valutazione dell’ecosistema forestale è il processo attraverso il quale viene
attribuito un valore ai beni e servizi forniti dalle foreste (Farber et al., 2002). Attribuire un valore signiica, in termini riduttivistici, stimare il valore monetario di ciascun bene e servizio oppure, in termini olistici, risalire alla scala di valori che ciascun
individuo attribuisce ai singoli aspetti del bosco.
Nella scienza economica neoclassica, ed in particolare secondo la scuola marginalista, attribuire un valore ad un bene signiica valutare l’importanza dell’ultimo
bisogno, in ordine d’importanza, che suddetto bene riesce a soddisfare considerando
la sua disponibilità limitata (Menger, 1976). Questa scuola di pensiero male si applica alla valutazione dei beni ambientali per una serie di caratteristiche intrinseche a
questi beni, ma consente di comprendere come la valutazione, per gli economisti,
signiichi attribuire un valore monetario attraverso un approccio dall’alto di stampo
tecnocratico-razionalista (Buttoud & Yunusova, 2002). La multifunzionalità, secondo questo approccio, si riferisce al fatto che un processo produttivo può fornire molteplici outputs e in virtù di questo soddisfare molteplici bisogni della società (OECD,
2001). Pertanto, la gestione forestale è concepita come un’attività economica in grado di produrre beni e servizi riconducibili, direttamente o indirettamente, ad un valore monetario (Krieger, 2001; Pearce, 2001).
Nelle scienze sociologiche attribuire un valore signiica fare riferimento ad un
sistema di valori o meglio alla costellazione di norme e precetti che guidano i giudizi
e le azioni umane (Farber et al., 2002). I valori, in quanto fatti sociali, vengono fatti
propri da individui e gruppi sociali orientando il loro agire ultimo, pertanto la loro
valutazione può avvenire soltanto attraverso un approccio dal basso di tipo incrementale-partecipativo (Buttoud & Yunusova, 2002). I valori possono essere universalmente condivisi oppure possono essere legati a particolari contesti culturali come
la foresta, che è portatrice di un pluralismo di valori fortemente variabile a seconda
delle condizioni culturali, sociali ed economiche. Un’ulteriore distinzione, speciica
per le risorse naturali, è quella che diferenzia il valore intrinseco da quello strumentale (Vilkka, 1997). Il valore intrinseco di un bene o di un’azione è misurato sulla
base del contributo che esso fornisce al mantenimento dell’integrità dell’ecosistema
di per sé, indipendentemente dalla soddisfazione umana (Leopold, 1949). Viceversa,
224
Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali
il valore strumentale è un concetto fortemente antropocentrico che prende in considerazione le preferenze umane (Justus et al., 2009).
A partire da queste considerazioni il presente lavoro, seguendo un approccio
di tipo sociologico, si focalizza sulla messa a punto di un sistema di valutazione dei
valori strumentali del bosco attraverso un processo di tipo incrementale-partecipativo, basato sulle preferenze espresse da un campione di cittadini nei confronti delle
funzioni del bosco.
Materiali e metodi
La metodologia di valutazione è stata sperimentata in un caso studio nel comune di Trento. Il comune, caratterizzato da un’estensione territoriale di 15.792 ha
e da una popolazione residente pari a 114.236 abitanti (densità demograica di 723
abitanti/km2), per le caratteristiche ambientali e socio-economiche del territorio è
stato considerato adatto ad una valutazione delle funzioni del bosco di tipo partecipativo. Infatti tale processo, in cui i valori sono il frutto delle preferenze espresse dalla popolazione e non il risultato di una valutazione fatta da esperti, bene si presta ad
essere condotto in realtà come quella trentina, in cui il bosco connota profondamente il contesto socioeconomico e culturale e il legame degli individui con il territorio
poggia su una ben radicata consuetudine alla frequentazione del bosco, sulla buona
conoscenza degli ecosistemi forestali e sulla consapevolezza che essi sono il frutto di
una lunga interazione tra l’uomo e il bosco (Betta et al., 2009).
La città di Trento si sviluppa lungo le rive dell’Adige, la cui valle costituisce il
cuore del sistema insediativo e produttivo trentino, accogliendo attività e servizi di
livello superiore, con forti relazioni a scala provinciale e sovralocale. Il nucleo cittadino localizzato nella zona di fondovalle è densamente ediicato ed accoglie funzioni
residenziali, produttive e di servizio, mentre il sistema collinare è a prevalente destinazione residenziale. Questa distinzione di tipo geograico-insediativo è stata valutata rilevante anche in termini sociali, pertanto si è deciso d’indagare 6 Circoscrizioni
di cui 4 appartenenti all’area collinare (Povo, Villazzano, Oltrefersina e Argentario) e
2 al centro cittadino (San Giuseppe – Santa Chiara, Centro Storico – Piedicastello).
L’indagine, volta a far emergere i valori del bosco attribuiti da parte della popolazione residente, è stata condotta nel periodo tra novembre 2005 e giugno 2006,
utilizzando come strumento d’indagine il questionario strutturato autocompilato. La
numerosità campionaria è stata calcolata a partire dalle 47.615 famiglie presenti in
225
Maria Giulia Cantiani et al.
anagrafe al 31 dicembre 2004, stratiicato per Circoscrizione in modo proporzionale.
L’estrazione è stata efettuata in modo casuale dall’Anagrafe della popolazione del
Comune di Trento il 18 luglio 2005. La somministrazione del questionario è stata
efettuata per via postale lasciando sei settimane di tempo per la compilazione; al
questionario sono state allegate le istruzioni per la compilazione e una lettera di presentazione riportante le inalità dell’indagine.
Il questionario è stato strutturato ripartendo le domande in 4 blocchi (informazioni personali del rispondente; la sua visione del bosco; bosco e società; informazioni sul bosco) al ine di evitare l’afaticamento dei rispondenti (Adamowicz et al.,
1998). Complessivamente sono stati proposti 56 quesiti inalizzati ad indagare i seguenti cinque temi d’indagine (Maino et al., 2006): il legame della popolazione con
il territorio montano e la frequentazione del bosco; le funzioni attribuite al bosco ed
in particolare il valore che viene ancora oggi riconosciuto alla risorsa legno; la percezione della gestione forestale e dei cambiamenti del paesaggio; conoscenze, emozioni
e suggestioni dei cittadini rispetto al bosco; la volontà e il desiderio di partecipazione. All’interno del blocco “bosco e società” è stata predisposta una speciica domanda
(“Secondo lei, quale ruolo riveste il bosco per la società?”) volta a far emergere la percezione da parte dell’intervistato delle singole funzioni forestali ed indagarne il sistema di valori. Tale domanda, formulata a risposta chiusa così come tutte le altre presenti nel questionario, lasciava all’intervistato la possibilità di esprimere, nei
confronti delle diverse possibilità di risposta, il proprio accordo/disaccordo secondo
una scala di valori da 0 (per niente d’accordo) a 10 (pienamente d’accordo). Tra i
“ruoli” del bosco venivano riportate, in forma semplice e comprensibile agli intervistati, le principali funzioni assolte dal bosco (Tab. I).
Le singole funzioni sono state successivamente ricondotte, attraverso un processo logico-deduttivo, ai principali gruppi di valori forestali. Secondo Ritter e Dauksta (2006) è possibile ricondurre le funzioni assolte dalle foreste a tre gruppi fondamentali di valori:
1. valori economici: comprendono tutte quelle funzioni inalizzate a creare reddito
e/o opportunità lavorative;
2. valori sociali: fanno riferimento a quegli aspetti che hanno un impatto positivo
sul benessere umano e sulla qualità della vita;
3. valori ambientali: includono tutte quelle funzioni strettamente legate alla protezione degli ecosistemi naturali, degli habitat e della biodiversità loristica e faunistica.
226
Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali
Secondo questa impostazione gli aspetti estetici (contemplazione del paesaggio) e ricreativi sono stati ricondotti ai valori sociali, quelli legati al mercato del legname e allo sviluppo dell’economia turistica locale ai valori economici ed inine la
conservazione della diversità naturale, la protezione idrogeologica, il miglioramento
della qualità dell’aria e la mitigazione dei cambiamenti climatici a quelli ambientali.
Tabella I: Funzioni forestali investigate nel questionario.
Codice
a
Descrizione
Un importante elemento del paesaggio
b
Un luogo di rigenerazione e svago
c
Un luogo dove ricavare legname da poter utilizzare
d
Un importante elemento per lo sviluppo del turismo
e
Un ambiente necessario per la sopravvivenza di molte specie viventi
f
Un importante fattore di protezione contro frane, valanghe, inondazioni, …
g
Un sistema utile per migliorare la qualità dell’aria
h
Un sistema utile per contrastare l’effetto serra
Risultati
L’indagine ha coinvolto 721 nuclei famigliari (352 della zona collinare e 369
del centro cittadino) con un tasso di risposta del 35 %. Il risultato è stato ritenuto soddisfacente considerando che in ricerche di questo tipo generalmente tale tasso si attesta
sul 20-30 % (Montini, 2001), mentre l’ISTAT riporta una percentuale media delle restituzioni dei questionari postali in autocompilazione pari al 10 % (Buratta & Sabbadini, 1989). Per quanto riguarda la domanda concernente le funzioni forestali, hanno
risposto 242 individui, mentre è stata lasciata in bianco dal 33,5 % degli intervistati.
È interessante osservare il tasso di non risposta interno a ciascuna funzione
espressa dal bosco, poiché si denota come alcune funzioni risultino meno conosciute
dagli intervistati rispetto ad altre. Ad esempio il 7,9 % non si è espresso in merito al
ruolo del bosco per contrastare l’efetto serra, mentre soltanto l’1,7 % si trova in analoga situazione di non risposta per il ruolo del bosco nel migliorare la qualità
dell’aria.
L’analisi descrittiva dei risultati, considerando le funzioni aggregate nelle tre
macro-categorie di valori (Tab. II) fa emergere come la popolazione del comune di
Trento tenda ad attribuire un valore maggiore agli aspetti ambientali del bosco (me-
227
Maria Giulia Cantiani et al.
dia macro-valori ambientali = 9,36), mentre il valore più basso è espresso nei confronti degli aspetti economici (media macro-valori economici = 6,94), con un picco
negativo nei confronti della funzione di produzione legnosa (media funzione c =
6,42). Il valore più elevato per funzione è espresso nei confronti della protezione
idrogeologica (media funzione f = 9,52) che, seguendo l’impostazione dell’UNCED
Forest Principles (1992), è stata fatta rientrare nei valori ambientali.
I dati riportati in forma aggregata per macro-categoria di valori sono stati messi
in relazione con la zona di residenza degli intervistati (circoscrizione del centro città o
della collina), al ine di valutare se la vicinanza isica col bosco possa in qualche modo
inluenzare l’attribuzione del valore alle diverse funzioni da questo espresse. I valori
illustrati in tabella III indicano che le persone che vivono nelle zone collinari assegnano un valore superiore solo alle funzioni sociali (8,55 rispetto a 8,91) rispetto alle persone residenti nel centro della città, ma non è stata rilevata diferenza signiicativa.
Tabella II: Statistiche descrittive per funzioni e macro-categorie di valori (242 questionari).
Funzioni
Macro-categorie valori
a
c
8,38
6,42
1,95
2,77
Sociali
Media funzioni
8,97
Dev.St. funzioni
1,78
Media macro-categorie valori
b
8,68
d
E
f
7,45
9,24
9,52
2,48
1,58
1,07
Economici
g
h
Ambientali
6,94
9,46
9,20
1,33
1,54
9,36
Tabella III: Valori forestali per circoscrizione (242 questionari).
Circoscrizione
Valore economico
Valore ambientale
Valore sociale
Centro
7,02
9,38
8,55
Collina
6,83
9,35
8,91
Discussione e conclusioni
Il limitato valore che viene attribuito alla funzione economica del bosco, sembra essere in linea con la tendenza comune a tutti i paesi industrializzati in cui, a partire dall’immediato dopoguerra, si è assistito al crescere dell‘interesse verso la componente sociale ed ambientale delle foreste, mentre contemporaneamente andava a
diminuire l‘interesse verso la produzione legnosa (Tarrant et al., 2003; Kumar &
Kant, 2007).
228
Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali
In particolare, come molte aree dell’arco alpino, anche il Trentino negli anni
’50 è stato interessato da un cambiamento dei modelli di sviluppo e da profondi mutamenti che hanno riguardato anche la percezione del bosco e dei suoi valori da parte delle comunità locali, trasformando l’ordine di priorità nelle aspettative ed esigenze espresse dalla popolazione nei confronti del settore forestale (Cantiani et al.,
1999).
Nell’attribuzione dei valori alle funzioni del bosco non emerge una diferenza
di rilievo tra gli individui che vivono in centro città e quelli residenti nella fascia collinare, che – come emerso in altra parte dell’indagine (Betta et al., 2009) – risultano
invece frequentare assai maggiormente il bosco e fanno decisamente maggior ricorso
all’uso di legna come combustibile (40 % contro il 19 % del centro). La vicinanza isica sembra quindi inluenzare abitudini e comportamenti ma non tanto la sfera
emotiva e percettiva degli intervistati.
La possibilità di misurare dati qualitativi e giudizi di valore attraverso un’indagine, quale quella illustrata nel presente contributo, può essere di grande utilità
per chi si occupa della tutela e della gestione del patrimonio forestale della regione.
Capire come la gente comune vede e “usa” il bosco, infatti, costituisce una base di
conoscenze importante per orientare la gestione ed instaurare una proicua comunicazione tra autorità e cittadini.
229
Maria Giulia Cantiani et al.
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230
Stima dei servizi ecosistemici
a scala regionale come supporto
a strategie di sostenibilità
Evaluation of ecosystem services
at regional scale as support
to sustainability strategies
Maria Angela Cataldi1, Elisa Morri2, Rocco Scolozzi3*,
Nicola Zaccarelli1, Riccardo Santolini2, Daniela Silvia Pace4,
Marco Venier4 & Claudia Berretta2
Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Università del Salento,
Prov.le Lecce - Monteroni, 73100 Lecce
2
Dip. di Scienze dell’Uomo dell’Ambiente e della Natura, Università degli studi di Urbino,
Campus scientiico Sogesta località Crocicchia, 61029 Urbino
3
Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione,
Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)
4
Systema Naturae – Fondazione per la Biodiversità Onlus (Roma),
Accademia Nazionale dei Lincei, Via della Lungara 229-230, 00165 Roma
*[email protected]
1
Abstract
I servizi e i beni erogati da ecosistemi (servizi ecosistemici, SE) sono essenziali al
benessere dell’uomo e allo stesso tempo supportano economie dalla scala locale
a quella regionale e nazionale. D’altra parte, solitamente, le valutazioni economiche
tradizionali non considerano l’insostituibilità o l’irriproducibilità di tali risorse.
La contabilità ambientale dovrebbe valutare il loro ammontare e specialmente la loro
dinamica per supportare strategie di sostenibilità, anche a fronte di variazioni climatiche nel breve, medio e lungo periodo.
In questo contributo si propone una prima stima dei servizi ecosistemici a scala
nazionale, su base regionale, relativa a due inestre temporali, 1990 e 2000. Tale stima
si basa su una revisione della letteratura riguardante la valutazione economica dei SE e
una correzione “locale” per gli ecosistemi italiani. Tale calibrazione è stata costruita con
un approccio expert-based attraverso il metodo dell’indagine Delphi. Tra i fattori di
correzione sono considerati la quota e la distanza da sorgenti di pressione (aree
urbanizzate). Questi sono stati selezionati perché ritenuti tra i più inluenti sulla
capacità degli ecosistemi di erogare SE tra quelli relativamente disponibili per l’intero
territorio italiano.
231
Maria Angela Cataldi et al.
Il risultato di questa stima rappresenta in modo spazialmente esplicito un primo
“censimento” dei SE a livello italiano, su base regionale. Tali informazioni, da ainarsi
in seguito in termini di risoluzione spaziale e tematica, costituiscono già una base
conoscitiva utile a deinire il capitale naturale italiano e a supportare strategie di
sviluppo sostenibile.
Introduzione
I processi svolti dagli ecosistemi naturali supportano la vita sulla Terra, dal
punto di vista antropocentrico, questi processi erogano beni e servizi (Servizi Ecosistemici, SE) da cui dipende il benessere umano. L’erogazione di questi SE è sempre
più minacciata, come recentemente riconosciuto nel Millennium Ecosystem Assessment (2005), dall’impatto ecologico delle attività umane. I SE raramente sono contabilizzati o inclusi nelle priorità di politiche o di sviluppo, nonostante contribuiscano ad una parte rilevante dell’economia e del valore economico dei territori in cui
viviamo (Wilson et al., 2004). Esplicitare il valore economico di SE potrebbe facilitare l’integrazione di aspetti ambientali nelle decisioni e scelte economiche. Soprattutto di fronte a piani e progetti, che modiicheranno le coperture e gli habitat
(quindi gli ecosistemi), conoscere eventuali perdite in termini di funzioni o servizi
può aiutare a operare scelte più sostenibili, sia in senso ecologico sia economico.
Ormai sono numerosi le valutazioni sul valore economico dei SE a livello
mondiale (da Costanza et al., 1997). Recentemente diversi autori rilevano la necessità di un’integrazione della valutazione dei SE nei processi decisionali di pianiicazione e gestione sostenibile del territorio, a diferenti livelli scalari di analisi (de Groot et
al., 2002). Per la realtà italiana sembrano piuttosto scarsi gli studi condotti, e solitamente limitati per area considerata e numero di SE considerati. La valutazione dei
lussi di SE è un’area di ricerca relativamente recente (Santolini 2008; Chiabai et al.,
2009; Petrosillo et al., 2009). In particolare, sembra mancare una caratterizzazione
esaustiva dei diversi SE alla scala regionale, alla quale operano gli strumenti di pianiicazione, che possa orientare i decisori verso scelte più consapevoli di un uso sostenibile delle risorse e dei territori.
D’altra parte, la valutazione economica di SE per vaste aree (es. sovra provinciali) è complessa e costosa. In questi casi si ricorre a una stima mediante il metodo
detto ecosystem value transfer (Navrud & Bergland, 2001), un approccio estesamente
applicato per ottenere una stima del valore economico di beni e servizi erogati dagli
ecosistemi qualora non si disponga di dati e informazioni suicienti a causa di vincoli temporali o economici (NRC, 2005). Tale approccio si basa su analogie tra eco-
232
Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità
sistemi valutati direttamente e quelli oggetto di valutazione (Nijkamp et al., 2008). I
risultati sono credibili nella maniera in cui si riesce a provare queste analogie o si modiicano e adattano i valori di letteratura al caso in esame.
L’obiettivo del presente contributo è mostrare una prima stima dei servizi ecosistemici a scala nazionale, su base regionale, basata su un’analisi della letteratura internazionale e una calibrazione locale. Nella prima parte è descritta la metodologia
sviluppata per calibrare il value transfer sugli ecosistemi delle regioni italiane, a partire dai dati Corine Land Cover. Dopo aver esempliicato alcuni risultati, il lavoro si
conclude con alcune osservazioni sulle future applicazioni dell’approccio adottato a
livello nazionale e sulle implicazioni nel campo della pianiicazione e gestione del
territorio.
Materiali e metodi
Nel presente studio la valutazione dei SE è consistita in un adattamento del
metodo ecosystem value transfer, sulla base di dati di letteratura derivati dal database
ECOVALUE (2004, http://ecovalue.uvm.edu) e dei dati di copertura CORINE
LAND COVER (CLC) riferiti al 1990 e al 2000. In dettaglio, il valore dei servizi
ecosistemici è ottenuto mediante una sorta di somma pesata, in misurato in lusso
annuo (€/anno):
Dove: Ak area totale uso del suolo k (in ha)
Pkf funzionalità dell’uso del suolo k di erogazione del servizio f
Vf valore economico del servizio ecosistemico f (in €/ha · anno-1)
Il valore Vf è ricavato dalla letteratura economica. Il peso Pkf, o fattore di funzionalità (tra 0 e 1), è stato deinito sulla base del parere degli esperti, tramite il metodo dell’indagine Delphi. Tale metodo prevede un questionario somministrato individualmente e reiterato in più turni. A ogni turno sono forniti al rispondente le
stime e i commenti di tutti gli altri. Il processo dovrebbe portare a una convergenza
delle opinioni.
I dati della letteratura economica sono stati ricavati dal database di ECOVALUE, integrato con una revisione ed estensione della letteratura al 2009. Da que-
233
Maria Angela Cataldi et al.
sta collezione di studi si sono selezionati quelli più pertinenti o più analoghi al caso
di studio. Nello speciico sono stati raccolti o dedotti valori monetari espressi in
€ 2007/ha di 10 servizi ecosistemici (come classiicati in ECOVALUE) potenzialmente erogati da ciascuna categoria di uso del suolo.
Nella tabella I si presentano i valori medi derivati da letteratura dei SE potenzialmente “erogati” dalle diverse coperture, tale matrice non è completa poiché alcuni tipi di uso del suolo possono fornire solo alcuni SE, o non sono disponibili le relative valutazioni.
€3
€ 124
€ 87
€ 624
€ 10
Forest
€ 317
€ 31
€ 31
€ 28
€1
€ 24
€2
€ 76
€2
€ 302
€ 60
€ 76
€ 629
Waste
Assimilation
€7
€ 1.548
Recreation
€ 145
Soil Retention
and Formation
€ 58
Pollination
Nutrient
Regulation
€ 23
Aesthetic and
Amenity
Freshwater
Regulation and
Supply
Cropland
Pasture grassland
Habitat
Refugium, and
biodiversity
Climate and
Atmospheric
Gas Regulation
Tabella I: Estratto della matrice dei valori medi (in € 2007/ ha all’anno) dei diversi SE per
differenti usi del suolo.
Barren
Land
Urban
Green
€ 4.609
Beaches
Freshwater Wetland
€ 232
€ 5.260
Saltwaterwetland
€ 117
€ 1.672
Freshwater
Saltwater
€ 212
€ 8.788
€ 760.298
€ 80
€ 3.484
€ 1.310
€ 1.454
€ 267
€ 219
€ 30
€ 6.779
€ 685
€ 583
€ 621
€ 33
€ 134
€ 129
€ 9.298
€ 582
€ 617
€ 1.067
€ 243
La deinizione del peso Pkf, speciico per ciascuna coppia copertura e servizio
(CLC-SE), ha tenuto conto della diversa funzionalità dell’uso del suolo k di erogazione del servizio f rispetto alle classi più generali di copertura usate nella letteratura
(vedi Tab. I) e di uno dei due fattori locali, calcolati per ogni poligono CLC: quota e
distanza da aree urbane. Così, l’adattamento al caso Italia ha comportato una prima
234
Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità
diferenziazione tra sotto-categorie di uso del suolo, distinguendo una diversa funzionalità di erogazione di SE ad esempio tra diversi tipi di bosco (latifoglie, conifere,
misto), e una seconda calibrazione per distinguere diverse condizioni del contesto
territoriale a parità di copertura. Le variabili quota e distanza sono state selezionate
in base ad alcune assunzioni e alla limitata disponibilità di dati spaziali omogenei per
tutto il territorio italiano. Si assume che la quota a scala nazionale possa discriminare
a parità di uso del suolo una diversa capacità di erogare servizi ecosistemici, ad esempio si pensi al servizio di “nutrient regulation” di due aree boscate a latifoglie alla
quota 0-800 metri e 800-1500. Si assume che a parità di uso del suolo una diversa
distanza da aree urbane abbia ripercussioni specialmente su alcuni servizi ecosistemici. Queste ripercussioni possono essere sia negative, si pensi alla funzione di habitat
di un’area umida a una distanza tra 0-500 m o maggiore di 1500 m da una città, sia
positive, si pensi al valore ricreativo di un bosco vicino alle abitazioni o remoto e dificilmente accessibile.
Risultati
La stima del peso, o funzionalità, è stata deinita da un gruppo di dieci esperti. Il gruppo ha svolto due focus group (a distanza) per concordare la variabile (tra
quota e distanza) più signiicativa più rilevante per ciascun SE, gli intervalli numerici degli attributi quota e distanza, la qualità della relazione (positiva vs. negativa) tra
il servizio e l’attributo (quota-distanza). Dopo la prima deinizione è stata compiuta
una seconda stima autonoma degli esperti (secondo il metodo dell’indagine Delphi).
La seconda stima ha portato a una certa convergenza dei pareri esperti, quindi a una
deinizione più robusta dei fattori di correzione.
Per brevità si riportano solo alcuni risultati della valutazione su base esperta
dei SE a scala regionale. Nello speciico ci si riferisce ai servizi “Regolazione climatica
e dei gas atmosferici” (Clima) e “Regolazione dei nutrienti” (Nutrienti). Il primo
consiste nell’insieme di processi biotici e abiotici supportati da componenti naturali
o semi-naturali degli ecosistemi che inluenzano il bilancio chimico d’atmosfera in
svariati modi (es. bilancio CO2/O2, regolazione dei livelli di SOx). Il secondo servizio
consiste nella capacità da parte di piante e animali, supportati da taluni ecosistemi,
di utilizzare e trasformare (accumulare) azoto, potassio e zolfo (es. processo di nitriicazione per opera di batteri azoto-issatori).
235
Maria Angela Cataldi et al.
Nella igura 1 si mostra l’evoluzione dei lussi di valore dei citati SE per l’Italia
tra il 1990 e il 2000. Nello speciico, si può notare (Tab. II) che generalmente il servizio Nutrienti è diminuito e in misura maggiore rispetto al servizio Clima, soprattutto in Liguria (–34,5 %) e Molise (–19,2 %). Le uniche regioni in cui tale lusso di
valore è aumentato sono la Sardegna (+1,1 %) e la Calabria (+0,9 %). Il servizio Clima è diminuito in modo poco signiicativo, con un massimo di perdita per l’Umbria
(–0,7 %), altrove è invece aumentato, specie in Piemonte (+5,1 %).
Figura 1: Valore complessivo regionale (in kilo-euro per ettaro) per il servizio di “Regolazione
climatica e dei gas atmosferici” (sopra) e del servizio “Regolazione dei nutrienti” (sotto) e sua
variazione fra il 1990 e 2000 sulla base dell’elaborazione dei dati CORINE Land-cover.
236
Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità
Tabella II: Andamento regionale e nazionale del valore economico in kilo-euro per i due servizi
di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (Clima) e del servizio “Regolazione dei nutrienti”
(Nutrienti) e sua variazione percentuale rispetto all’anno 1990.
Discussione
La valutazione economica dei SE ha assunto dal 1997 (Costanza et al., 1997)
un’importanza applicativa crescente, diventando strategica nella salvaguardia di quei
processi territoriali che mantengono beni e servizi funzionali al benessere dell’uomo
e delle sue attività. Nonostante ciò, i SE in genere non sono ancora inclusi nei criteri di pianiicazione e gestione del territorio, i quali non tengono conto dei costi derivanti dal degrado e dalla perdita degli ecosistemi e delle loro funzioni.
Esiste una controversia concettuale riguardo all’uso di approcci economici applicati agli ecosistemi (Pimm, 1997; Norgaard et al., 1998). L’approccio economico,
infatti, è di natura antropocentrica e valuta gli ecosistemi secondo l’utilità per l’uomo. La stima del valore dei SE è inevitabilmente soggettiva in quanto i SE possono
237
Maria Angela Cataldi et al.
essere percepiti in modo diferente da diversi soggetti in diversi contesti. Tuttavia,
utilizzando strumenti e metodi dell’economia è possibile giungere a indicazioni generali e condivisibili. Il termine monetario costituisce un metro comune che facilita
le analisi dei costi e beneici e permette di valutare le criticità o le potenzialità associate a particolari misure di gestione da intraprendere e ai possibili scenari d’intervento.
I primi risultati presentati, relativi alla variazione del valore economico dei SE
su base regionale, consentono di associare ai cambiamenti di uso del suolo modiiche
nella fornitura potenziale di SE. Da queste informazioni si possono dedurre indicazioni su vulnerabilità e potenzialità tra regioni, che dovrebbero essere considerate
nella deinizione di strategie di sviluppo futuro così come nella gestione attuale.
Dai risultati preliminari emerge, ad esempio, che in alcune regioni i cambiamenti di uso del suolo hanno portato a una diminuzione importante del servizio di
“Regolazione dei nutrienti”, con potenziale impoverimento della disponibilità per le
attività agricole. Per il servizio di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici”, invece,
la variazione di coperture CLC 1990-2000 non evidenziano signiicative variazioni.
Lo studio presentato, ancora in via di sviluppo, presenta dei limiti, alcuni
concernenti i dati disponibili, altri di tipo metodologico. Per esempio il dato di base,
la copertura per l’Italia secondo la classiicazione CORINE Land Cover, essendo stato prodotto per una scala di riferimento di 1:100.000 non permette di individuare le
moltissime aree umide inferiori ai 25 ha e trascura la itta rete idrograica nazionale.
Queste aree, anche se di ridotte dimensioni, sostengono molti SE e in modo molto
eiciente. Dal punto di vista metodologico un limite consiste nello stimare l’erogazione di SE solamente sulla base delle coperture di uso del suolo e di fattori di correzione topograici. Molte altre variabili, correlate a processi ecologici complessi, inluenzano la produttività di SE da parte di una stessa copertura. Un primo esempio
è la supericie, alcuni processi sono sostenuti solo da aree con una minima estensione
(efetto “massa critica”): si pensi a un piccolo bosco, ad esempio, esso non svolge gli
stessi servizi (es. regolazione del clima) svolti da una foresta.
Un possibile sviluppo futuro di quest’approccio è di introdurre ulteriori coeficienti di correzione, per considerare altri processi sottesi all’erogazione di SE e per
contestualizzare meglio il loro valore economico. Lo stesso approccio potrebbe essere
ainato per alcune regioni target con l’uso di altri dati, attualmente non disponibili
per tutta Italia, quali la carta degli habitat derivati dal progetto Carta della Natura
(ISPRA, 2009) e altri indicatori più signiicativi come l’indice di valore ecologico e
l’indice di pressione, applicati alla carta degli habitat.
238
Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità
Conclusioni
La valutazione dei servizi ecosistemici (SE) in un dato territorio può essere di
grande utilità per i decisori nel valutare gli efetti del cambiamento di uso del suolo
sullo stesso benessere umano, legato inevitabilmente all’erogazione dei SE. Nel presente studio si sono presentati i primi risultati di una stima di SE per tutto il territorio nazionale, tramite l’approccio value transfer spazialmente esplicito. I risultati
riguardano i cambiamenti nell’erogazione di SE a scala regionale dovuti al cambiamento di uso del suolo intercorso tra il 1990 e il 2000.
Bibliografia
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239
Verso una mappatura dei servizi ecosistemici
in ambito turistico alpino,
caso della Val di Ledro (TN)
Toward an evaluation of
ecosystem services within alpine tourism,
a case study at Ledro Valley (TN)
Rocco Scolozzi1*, Alessandro Gretter1,
Cristina Orsatti1 & Ilaria Goio2
1
Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Research & Innovation Centre,
Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige, (TN)
2
Facoltà di Economia, Università di Trento, Via Inama 5, 38122 Trento
*[email protected]
Abstract
Considerando la spesa totale dei turisti (2007) nella Valle di Ledro, divisa per la sua
supericie, si potrebbe dedurre che il paesaggio ledrense sostiene in media “entrate”
dell’ordine di 400.000 € per km2. Da quali variabili dipende questo “valore territoriale”?
È possibile individuare aree o ecosistemi che maggiormente contribuiscono a tale valore?
Nelle Alpi l’industria turistica usa e consuma risorse del territorio che dipendono
direttamente, o in modo mediato dalla cultura locale, dai servizi ecosistemici (SE).
Questi servizi sono “prodotti” del funzionamento degli ecosistemi presenti nel
territorio. Cosicché funzioni ecosistemiche di regolazione, di habitat, di produzione di
beni locali, i valori d’uso (es. ricreativo) e di non-uso (es. estetico) supportano le
pubblicizzate “risorse” del territorio (i cosiddetti “attrattori” turistici), riassunti nello
slogan “natura, salute, arte e tempo libero”. Stimare il valore economico di questi
servizi, inteso come metro comune di misura e non come valore di vendita, permette
di confrontare alternative di sviluppo (es. nuove infrastrutture vs. conservazione/
ripristino di ecosistemi), quindi orientare scenari di sviluppo concretamente sostenibili.
In questo lavoro si propone un primo tentativo di localizzare lussi di utilità (o valori)
provenienti dal funzionamento degli ecosistemi in un territorio. Nello speciico,
partendo dal presupposto che gli utenti-fruitori dei SE sono quelli che determinano,
con le loro scelte, gran parte del valore dei SE, si presentano i risultati di una prima
campagna d’indagine rivolta ai turisti della Valle di Ledro, fruitori esterni di risorse
territoriali e servizi ecosistemici derivanti. La valle di Ledro, posta nella parte meridionale della Provincia Autonoma di Trento, ha caratteristiche geograiche che la rendono
rappresentativa di molti processi socio-ecologici comuni in tutta la bio-regione alpina.
241
Rocco Scolozzi et al.
Introduzione
Il valore dei servizi ecosistemici, un concetto antropocentrico, dipende
dall’“oferta” di lussi di utilità “erogati” dagli ecosistemi e dalla “domanda” dell’uomo-fruitore. Domanda e oferta sono eterogenee nello spazio e nel tempo, così lussi
di utilità possono avere sorgenti difuse o puntiformi. La distinzione e deinizione
delle sorgenti di valore è incerta e sfumata soprattutto per quei SE che dipendono in
qualche modo dalla percezione dell’utente-fruitore e dalla mediazione culturale del
contesto (Plummer, 2009). Per questo motivo la complessità spaziale dei SE costituisce una frontiera e sida della ricerca applicata nell’ambito della loro valutazione e
quantiicazione. Ad ogni SE può essere associato un attributo spaziale e una modalità di fruizioni (Costanza, 2008; Tab. I).
Tabella I: Caratterizzazione di servizi ecosistemici secondo attributi spaziali (Costanza, 2008).
Ecosystem Service
Spatial characteristic
Code
Carbon sequestration (NEP), Carbon storage
Cultural/existence value
Global non-proximal (does not depend on
proximity)
NProx
Disturbance regulation/ storm protection
Waste treatment, Pollination
Biological control, Habitat/rifugia
Local proximal (depends on proximity)
Local
Soil formation, Food production/non-timber
forest products, Raw materials
In situ (point of use)
InSitu
Water regulation/flood protection
Water supply, Sediment regulation/erosion
control, Nutrient regulation
Directional flow related:
flow from point of production to point of use
Dir
Genetic resources, Recreation potential
Cultural/aesthetic
User movement related:
flow of people to unique natural features
UserMov
Alcuni SE esistono in quanto mediati dal contesto culturale e dipendono dalle pratiche di gestione e dalle modalità di valorizzazione da parte dei soggetti che costruiscono e mantengono il contesto di questi SE, o “paesaggio culturale”. Un esempio riconosciuto a livello europeo sono le formazioni erbose a Nardus (codice 6230,
in base alla direttiva Habitat Natura 2000), le quali dipendono da un pascolamento
tradizionale, purché non eccessivo. Spesso è il paesaggio culturale, e il suo insieme di
pratiche e risorse sociali, che ospita e sostiene una risorsa territoriale (nell’esempio,
un habitat “prioritario” per la conservazione ma anche sito ricercato dal turismo naturalistico). Si possono riconoscere così sistemi socio-ecologici (Alessa et al., 2008)
in cui il paesaggio culturale sostiene taluni SE e ne è a sua volta inluenzato. Special-
242
Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino
mente il turismo delle Alpi dipende fortemente sia dalla dimensione culturale sia
dalla dimensione ecologica dei paesaggi, che, d’altra parte, hanno una lunga storia di
gestione.
Lo studio si colloca nell’ambito dell’analisi dei sistemi socio-ecologici, l’obiettivo generale è quello di esplicitare processi socio-ecologici (Alessa et al., 2008; Lacitignola et al., 2007), frutto dell’interazione tra processi ecologici e sociali in un dato
contesto, per distinguere e modellare possibili elementi di resilienza e innovazione di
questi sistemi. Nello speciico, l’intento di questa prima fase è di esplicitare spazialmente e qualitativamente funzioni del territorio/paesaggio. Si tratta, quindi, di deinire i fattori che determinano un “valore” per il fruitore-turista, o funzionalità, e di
identiicare le aree che supportano questi “valori”. Una domanda di ricerca successiva
sarà quella di deinire relazioni qualitative tra intensità d’uso di una risorsa e sua funzionalità, dove sullo sfondo vi è il concetto di uso sostenibile del territorio e delle sue
funzioni.
Materiali e metodi
Per esplicitare spazialmente e qualitativamente funzioni e “valori” del territorio si è adottata una metodologia interdisciplinare, derivando cioè metodi e approcci
dalle diferenti discipline dell’antropologia, dell’economia e dell’ecologia del paesaggio e integrando (dove possibile) gli eterogenei risultati con strumenti propri dei sistemi informativi geograici (Geographical Information System, GIS). Nello speciico della prima campagna d’indagine l’attenzione è stata rivolta verso gli utilizzatori
esterni del sistema valle di Ledro, in altre parole ai turisti e visitatori.
In una fase preparatoria sono state raccolte informazioni sui principali “attrattori” turistici, tramite un esame dei materiali pubblicitari di analoghe valli alpine
nella provincia di Trento (Valle di Non, Valle di Sole, Valli Giudicarie). Gli “attrattori” sono intesi come “fattori” di attrattività del luogo turistico, deiniti come categorie di elementi territoriali (es. il castello, il borgo storico, il prodotto locale) o di valori astratti (es. l’ospitalità, la tranquillità).
Questi fattori attrattivi possono avere una collocazione territoriale e attributi
spaziali che inluenzano la loro fruibilità. Ogni fattore sottende a un particolare uso
o fruizione con o senza consumo, ad esempio il camminare lungo la costa del lago
(fruizione senza consumo), il raccogliere funghi nei boschi (fruizione con consumo).
Il valore (o anche attrattività) dipende dal tipo di uso e dall’intensità di uso, in en-
243
Rocco Scolozzi et al.
trambi i casi. Nell’esempio camminare con molti altri turisti lungo il lago può diminuirne il valore. Con la presenza di molti raccoglitori ci saranno meno funghi, così il
bosco diventa meno attraente. I diversi usi sono connessi a processi naturali (es. crescita dei funghi) e culturali di riconoscimento (nell’es. del lago: qualità percepita
dell’acqua, quindi condizioni troiche del lago).
Oggetto dell’indagine è la Valle di Ledro, territorio della dimensione di circa
150 km2, posto nel Trentino Meridionale ai conini con la Lombardia e poco distante dal Lago di Garda. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di un bacino semiartiiciale (il lago di Ledro) e da un’estesa copertura forestale; il tutto organizzato attraverso la realtà amministrativa di sei comuni che dal gennaio 2010 hanno deciso di
raggrupparsi in unica unità, il comune di Ledro. La presenza antropica in Valle è caratterizzata da circa 6000 abitanti residenti e da un lusso turistico annuo di quasi
centomila unità, concentrato prevalentemente nel periodo estivo (Fig. 1).
Figura 1: Due vedute della Valle di Ledro: Tiarno di Sotto (sinistra), lago di Ledro (destra).
Per la deinizione dei fattori più importanti per la Valle di Ledro sono stati
contattati alcuni turisti attraverso un lavoro di campo (Cliford & Marcus, 1986),
utilizzando 11 osservazioni partecipanti 1 e 85 interviste etnograiche (Wolcott,
2004). Per avere un’omogenea distribuzione del “campionamento” tra diverse tipologie di turista (es. sportivo, naturalista, in famiglia, pensionato) le interviste e le osservazioni sono state svolte in diferenti luoghi della valle in conformità a diverse fruizioni presupposte sulla base di una pre-analisi.
Per la localizzazione dei “valori” come importanza percepita dai turisti è stato
proposto un esercizio di mappatura dei valori, o value preference mapping (es. Ray1
244
L’osservazione partecipante (shadowing) è parte del Lavoro di campo. È fondamentale strumento di
distinzione tra ciò che viene detto e ciò che chi osserva e partecipa vede e attesta attraverso la propria
presenza e esperienza dei fenomeni sul campo (Corbetta, 1999).
Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino
mond et al., 2009). Tal esercizio è consistito nel chiedere di segnalare, tramite dieci
adesivi verdi, su una stampa plastiicata di un’ortofoto aerea i luoghi considerati, in
base alla propria esperienza e conoscenza, più importanti o cui è attribuito il maggior
valore. Per i luoghi più importanti potevano essere usati più di un adesivo, ino a
esaurimento dei dieci disponibili. Il rispondente doveva riferirsi a una propria soggettiva deinizione di valore (es. d’uso, di non-uso, afettivo) dei luoghi, questo per
non inluire sulla valutazione. In seguito si chiedeva di individuare (con cinque nastri arancioni) i luoghi percepiti “a rischio” di perdita del valore attribuito, luoghi in
qualche modo vulnerabili. L’esercizio di cartograia è stato ripetuto 62 volte coinvolgendo 105 persone. Per aggregare le valutazioni si è calcolata una somma pesata delle preferenze, in cui il peso è stato deinito dal numero di nastri verdi sullo stesso
luogo.
Risultati
I fattori di attrazione turistica principali, più pubblicizzati (vedi analisi materiali pubblicitari) e maggiormente riconosciuti (vedi consultazione dei turisti) si possono riassumere in cinque categorie astratte tra loro parzialmente sovrapponibili:
“muoversi/sport”, “vedere/panorama”, “sapori/prodotti locali”, “esperienza/scoperta
culturale”, “ospitalità” (Fig. 2). Questi attrattori o categorie possono essere proiettati
su oggetti del territorio. Ad esempio, il sistema malga-pascolo costituisce il luogo per
“sapori/prodotti locali” e “esperienza/scoperta culturale”. Agli stessi oggetti possono
corrispondere uno o più servizi ecosistemici, per l’esempio precedente: dal sistema
malga emerge un valore o funzione di habitat (per la biodiversità dei pascoli alpini) e
una funzione di produzione alimentare.
La spazializzazione delle preferenze dei luoghi ha comportato una digitalizzazione di oggetti territoriali come riferiti dai rispondenti, in genere toponimi o siti
ben riconoscibili (Fig. 3). Ovviamente tali aree (poligoni) sono da intendere solamente indicative di aree aventi una maggior “concentrazione” di valore, i cui conini
sono incerti e possono essere ambigui.
245
Rocco Scolozzi et al.
Figura 2: Schema concettuale delle relazioni tra “attrattori” turistici, elementi di paesaggio e
servizi ecosistemici, con specifiche relazioni spaziali.
Figura 3: Oggetti-luoghi del paesaggio Ledro riconosciuti dai turisti.
246
Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino
Discussione e conclusioni
In questa fase esplorativa d’indagine si sono deiniti i principali “attrattori”,
questo ha permesso di ipotizzare le diverse fruizioni del paesaggio/sistema turistico
della Valle di Ledro. Le ipotesi derivate dalla letteratura sono state validate e ainate
in base ad una consultazione estesa dei turisti. L’uso di diversi approcci ha permesso
una sorta di triangolazione tra riferimenti e dati. I primi risultati delle interviste e
delle osservazioni dei partecipanti hanno permesso di interpretare e codiicare le
mappe di valore deinite dagli stessi turisti.
La percezione dei valori ambientali da parte dei fruitori fonda l’attribuzione
di valori a luoghi, intesi come elementi del paesaggio. A sua volta la percezione di tali
valori è inluenzata da elementi culturali (non esplorati in questa fase) e da funzioni
ecosistemiche.
Il riconoscimento e l’uso di talune o altre risorse territoriali, insieme alla loro
gestione, modiicano il paesaggio stesso e i processi sociali ed ecologici che lo sostengono. Ad esempio al pascolo di sussistenza si sostituisce lo sfalcio incentivato da sussidi, motivati dalla frequentazione/attrazione turistica. L’esplicitazione e deinizione
di “attrattori” turistici come oggetti del paesaggio supporta l’assunzione che i sistemi
turistici nelle Alpi sono dei moderni sistemi socio-ecologici.
La deinizione di attrattori turistici e la localizzazione dei processi di supporto
a questi attrattori è un esercizio complesso. I limiti diicilmente riducibili derivano
principalmente dal fatto che tali attrattori e processi non hanno una precisa collocazione territoriale e che dipendono dalla percezione soggettiva di fruitori e attori/gestori del paesaggio. Inoltre, la funzionalità degli ecosistemi è diicilmente determinabile e di conseguenza la produttività dei servizi ecosistemici derivanti può essere solo
stimata e con signiicativi gradi d’incertezza.
In ogni caso, localizzare tali attrattori può orientare l’attenzione sulle relazioni
tra processi ecologici e quelli cognitivi del turismo, specie nel disegno di strategie di
gestione o di sviluppo. Se i valori di una risorsa/processo di paesaggio sono mediati
dal riconoscimento, anche la capacità portante può dipendere da percezioni e riferimenti cognitivi, vedi il caso di congestione di un sentiero o un’area pic-nic. Individuare tali possibili conlitti o semplicemente competizioni con metodi multidisciplinari può contribuire a comprendere le dinamiche di trasformazione in atto e
orientare azioni per gestire la loro evoluzione.
247
Rocco Scolozzi et al.
Ringraziamenti
Quanto presentato in questo contributo rientra nel primo anno di attività del
progetto di ricerca “Public policies and local development: innovation policy and its effects on locally embedded global dynamics” (OPENLOC), inanziato dalla Provincia
Autonoma di Trento (“Linea Grandi Progetti”) e diretto dall’Università degli Studi
di Trento, Facoltà di Economia (www.openloc.eu).
Bibliografia
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248
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli
di un ambiente lagunare (mangrovieto)
delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico
Reconstruction of a lagoon environment
(mangroves) of tropical coastal areas of
Veracruz, Mexico, in Naples Botanical Garden
Bruno Menale, Giancarlo Sibilio* & Gioacchino Vallariello
Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi Federico II, Via Foria 223, 80139 Napoli
*[email protected]
Abstract
Nel presente lavoro, vengono presentati i mangrovieti dell’area tropicale del Messico in
prossimità delle lagune di Catemaco ed è descritto il nuovo settore espositivo dell’Orto
Botanico di Napoli dedicato a questi ecosistemi ed a quelli delle foreste tropicali
messicane. Vengono descritte le caratteristiche tecniche del nuovo spazio espositivo ed
elencate le specie attualmente messe in coltivazione. Inine viene proposta una rassegna
dei beni e dei servizi ecosistemici che è possibile trattare durante le visite guidate,
al ine di sensibilizzare il pubblico verso le tematiche concernenti la conservazione di
questi importanti ma delicati ecosistemi. La ricostruzione del mangrovieto nell’Orto
Botanico di Napoli ha consentito di realizzare uno nuovo spazio multisensoriale ed un
laboratorio multidisciplinare dove afrontare i temi della conservazione.
Introduzione
I mangrovieti rappresentano ecosistemi complessi delle aree costiere e dei delta dei iumi delle zone a clima tropicale del pianeta. Sono foreste costituite da gruppi
di piante non strettamente imparentate tra loro e con diverso habitus, in grado di
tollerare la presenza di acqua salmastra con diferenti livelli di salinità e suoli regolarmente soggetti al lusso delle maree. Le mangrovie sono formazioni uniche e signiicative; la loro collocazione e le caratteristiche proprie di questi ecosistemi ne determinano una polifunzionalità nei confronti degli ecosistemi terrestri e marini.
Purtroppo le aree occupate dalle mangrovie sono soggette ad una conversione in altre
attività produttive, divenendo superici agricole, foreste da legna, saline e soprattutto
249
Bruno Menale et al.
impianti di acquacoltura per l’allevamento dei gamberi (Ronnback, 1999). Nell’ambito di una sempre più spinta globalizzazione, le tematiche di conservazione si estendono oltre i conini di un paese. Molte comunità biologiche di importanza planetaria sono spesso ubicate in aree del pianeta depresse economicamente, dove l’uso
delle risorse del territorio come fonte di sussistenza è maggiormente marcato e non
esistono o non è possibile attuare piani di conservazione eicaci. La ricostruzione di
un mangrovieto nell’Orto Botanico di Napoli vuole fornire un laboratorio didattico
per favorire la conoscenza di un ecosistema poco conosciuto e lontano dalla realtà
del Mediterraneo e promuoverne la conservazione.
Il mangrovieto della Laguna di Alvarado (Veracruz)
Il mangrovieto realizzato nell’Orto Botanico di Napoli è dedicato all’area della laguna di Alvarado, uno dei sistemi estuario-lagunari più produttivi della parte
orientale del Golfo del Messico (Fig. 1). Questa laguna si estende lungo le coste del
Golfo occupando un’area di circa 62 km2. La laguna è interamente circondata da
mangrovieti prevalentemente costituiti da mangrovie rosse (Rhizophora mangle L.),
mangrovie nere (Avicennia nitida Sessé & Moc.) e mangrovie bianche (Laguncularia
racemosa Gaertner il.).
La laguna di Alvarado gioca un ruolo cruciale nella produttività delle aree circostanti. Essa costituisce un importante sito di conservazione, ospitando molte specie minacciate di estinzione ed oltre 100 lagune minori ed interne occupate da foreste di mangrovie. Inine l’intero sistema lagunare sostiene una delle più grandi
popolazioni al mondo di lamantino (Trichechus manatus L.) e naturalmente costituisce un hotspot di diversità faunistica in generale (Vazquez-Yanes, 1980; Bronzo &
Barney Guillermo, 1995-1996, Finn et al. 1999; Cruz-Escalona et al., 2007).
250
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)
Figura 1: Mangrovieto delle lagune interne di Alvarado, 2007 (A); segni delle variazioni del
livello dell’acqua sulle radici a trampolo (B); vista da satellite della laguna di Alvarado, Veracruz,
(foto satellitare di Google Maps) (C).
Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli
Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli è stato realizzato all’interno di
una nuova serra che a completamento sarà interamente dedicata alla coltivazione di
specie viventi nelle foreste pluviali tropicali del Messico.
La nuova struttura, ubicata accanto alla Serra “Merola”, sostituisce una costruzione realizzata nel 1820 e dotata di una vasca per la coltivazione delle piante acquatiche nel 1913 (Pisano, 1992; Zecchino, 2005). All’interno della serra, ampio
spazio è occupato da una vasca ovoidale della profondità di 1,6 m (livello dell’acqua:
1,4 m), della lunghezza di 9,9 m e larga 6,5 m. Al ine di collocare correttamente le
mangrovie, all’interno della vasca sono state realizzate tre aiuole in mattoni con pareti forate ad intervalli regolari così da permettere l’uniforme distribuzione dell’acqua e la sua circolazione.
251
Bruno Menale et al.
Le mangrovie messe in coltivazione appartengono a specie comuni nell’area di
Veracruz, ad eccezione di Conocarpus erectus L. Esse sono nate da semi, ovvero da embrioni essendo le specie vivipare, raccolti in alcune spedizioni botaniche; gli esemplari più vecchi collocati nella nuova serra misurano circa 2,5 m di altezza, hanno un’età
di circa 10 anni ed erano tutti precedentemente coltivati nel complesso delle Serre
Califano. Gli esemplari più giovani sono invece nati da piante già presenti nell’Orto
Botanico di Napoli; dopo numerosi sforzi, infatti, è stato possibile mettere a punto
un protocollo di coltivazione cha ha consentito la ioritura e la fruttiicazione delle
piante adulte ino a produrre nuovi embrioni utilizzati per la moltiplicazione.
Nella serra la temperatura dell’aria e dell’acqua della vasca, l’umidità e l’irraggiamento solare sono gestiti da un sistema computerizzato che ne consente un monitoraggio costante. La temperatura dell’aria può variare da 15 °C notturni a 30 °C
diurni (in estate la temperatura diurna raggiunge i 38 °C). La temperatura dell’acqua
della vasca è impostata a 22 °C, l’umidità relativa tra 50 e 75 %. Tali valori sono molto simili a quelli adottati nel progetto Biosphere 2 del Dipartimento di Biologia
dell’Università Georgetown di Washington (Finn, 1996).
In relazione alla salinità dell’acqua, al ine di ospitare specie galleggianti, sommerse e semisommerse, si è preferito utilizzare acqua dolce. Le mangrovie non richiedono acqua salata per sopravvivere, anzi il sale costituisce fonte di stress; in acque povere di sali il tasso di crescita tende ad aumentare. La stessa viviparia presente
in alcune mangrovie sembra essere correlata al miglioramento delle capacità di sopravvivenza in acque salate; i sali tendono a ridurre la capacità di sviluppo dell’apparato radicale dei giovani embrioni (Ball et al. 1998; Takemura et al. 2000; Ye et al.
2005).
La vasca presenta un circuito misto per la regolazione della temperatura ed il
iltraggio dell’acqua. Attraverso una pompa sommersa parte dell’acqua ritorna ad un
impianto di riscaldamento e decalciicazione, previo passaggio in un iltro a centrifuga; un sensore misura la temperatura e se questa è inferiore a quella stabilita invia
l’acqua alla caldaia, facendo entrare nella vasca nuova acqua calda e decalciicata. Al
ine di evitare il proliferare delle alghe e per favorire la pulizia supericiale dello specchio d’acqua, è stato predisposto un iltro “a caduta” riempito unicamente con lana
vetro. In tabella I viene riportato l’elenco delle specie ospitate nella vasca.
252
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)
Tabella I: Elenco delle specie ospitate nella vasca: alcune specie hanno una provenienza
“esotica” rispetto al biotopo prescelto; sono state tuttavia inserite per scopi didattici o in taluni
casi per le caratteristiche comuni degli ambienti di provenienza.
Mangrovieto
Sommerse e semisommerse
Epifite
Fauna
Avicennia nitida Jacq.
Bacopa caroliniana B. L. Rob.
Cryptocereus anthonyanus Alexander
Anableps anableps L.
Conocarpus erectus L.
B. monnieri (L.) Wettst.
Epiphyllum oxypetalum
(DC.) Haw.
Anodonta cygnea L.
Laguncularia racemosa L.
Cabomba aquatica DC.
Myrmecodia platytyrea
Becc.
Cambarellus montezumae
Saussure
Rhizophora mangle L.
C. caroliniana A. Gray
Rhipsalis capilliformis
F.A.C. Weber
C. patzcuarensis Villabos
Acrostichum aureum L.
C. piauhyensis Gardner
Tillandsia aeranthos Desf.
ex Steud.
Gambusia affinis Baird &
Gilard
Ceratophyllum demersum L.
T. argentea Griseb.
Hyphophorus helleri
Heckel
Ripariale
Ceratopteris siliquosa (L.)
Copel.
T. bailey Rose ex Small
Hypostomus plecostomus
L.
Pachira aquatica Aubl.
Echinodorus cordifolius (L.)
Griseb.
T. bulbosa Hook.
Uca burgersi Holthius
E. tenellus Buchenau
T. butzii Mez
Galleggianti
Egeria densa Planch.
T. caput-medusae E.
Morren
Aeschynomene fluitans
Pete
Eichhornia azurea (SW.) Kunth
T. cyanea Linden ex K.
Koch
Azolla caroliniana Willd.
Eichhornia crassipes
Buchenau
T. duratii Vis.
Higrorhiza aristata Nees;
Eleocharis parvula Nees &
Schauer
T. ionantha Planch.
Lemna major Griff.
Fontinalis antipyretica
Hedw.
T. ionantha scaposa L.B.
Sm.
Limnobium laevigatum
Heine
Hydrocotyle leucocephala
Cham. & Schltdl.
T. juncea Willd. ex Steud
Pistia stratiotes L.
H. verticillata Turcz
T. magnusiana Wittm.
Salvinia natans Pursh
Lobelia cardinalis L.
T. oaxacana L.B. Sm.
S. oblongifolia Martius
Ludwigia glandulosa Walter
T. recurvata L.
Lysimachia nummularia L.
T. schiedeana Steud.
Micranthemum
micranthemoides Wetts.
T. seleriana Mez
Riccia fluitans L.
T. stricta Sol. ex Sims
Victoria regia Lindl.
T. streptophylla Scheidew
ex C. Morren
T. usneoides (L.) L.
253
Bruno Menale et al.
“Infopoint” dei beni e dei servizi ecosistemici
offerti dai mangrovieti
Il nuovo spazio espositivo dell’Orto Botanico di Napoli dedicato al mangrovieto (Fig. 2), oltre a costituire un laboratorio multidisciplinare per studi botanici,
anatomici e di isiologia vegetale, rappresenta uno “strumento” utile per illustrare tematiche legate ai servizi ecosistemici oferti da questo tipo di foreste. Non sono inoltre da trascurare gli aspetti etnobotanici: sono infatti molteplici i prodotti utilizzati
dall’uomo e provenienti dai boschi di mangrovie. L’immagine 6 di igura 2 riporta
degli aghi in legno di mangrovia utilizzati per la tessitura delle reti; alcuni di questi
aghi sono attualmente conservati presso la sezione di Etnobotanica del Museo di
Paleobotanica ed Etnobotanica dell’Orto.
Ronnback (1999) e Walters et al. (2008) hanno illustrato dettagliatamente i
servizi ed i beni prodotti dagli ambienti di mangrovia. In particolare negli studi condotti da Walters et al. si è cercato di quantiicare economicamente i servizi oferti da
tali ambienti, un approccio spesso necessario al ine di promuovere adeguati piani di
conservazione.
Figura 2: 1) Vista del Mangrovieto
dell’Orto Botanico di Napoli
2) “Prop root” di Rhizophora mangle
3) Giovane embrione in fase di
sviluppo 4) Infiorescenza di
Laguncularia racemosa 5) Foglie di
Acrostichum aureum e isola galleggiante a Salvinia oblongifolia
6) Ago (cucella) in legno di mangrovia rossa per la tessitura delle
reti da pesca ad Antigua, Vercacruz, Messico. Alcuni di questi
manufatti sono attualmente conservati presso la sezione di
Etnobotanica del Museo di Paleobotanica ed Etnobotanica
dell’Orto Botanico di Napoli.
254
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)
Prodotti naturali
Il numero di prodotti naturali che è possibile ricavare da un mangrovieto è
notevole e può variare in funzione della ricchezza in specie. Di seguito viene presentato solo un elenco sintetico dei materiali principali:
Carburanti (carbone, alcool, legna), materiali da costruzione di vario tipo,
prodotti alimentari (crostacei, molluschi, pesci, tartarughe ed altra fauna, frutti e foglie commestibili, zucchero, miele, olio da cucina, bevande sostitutive del tè, aceto,
bevande fermentate), utensili domestici (legno, colle, cere, incenso, ibre naturali,
tinture, tannini), principi attivi (molecole farmacologicamente attive ed ancora poco
studiate). Inoltre, le mangrovie forniscono materiali fertilizzanti, pesticidi naturali,
carta e materie prime utili per le lavorazioni artigianali.
I mangrovieti, inoltre, sono tra i principali ambienti da cui provengono pesci,
piante ed altri materiali che vengono normalmente commercializzati nel prospero
mercato dell’acquarioilia.
Servizi ecosistemici
I mangrovieti forniscono una grande varietà di servizi ecosistemici che possono essere suddivisi in servizi di supporto, di consumo, di regolazione e culturali.
Sui servizi ecologici forniti dai mangrovieti, Ronnback (1999) riporta che tali
ambienti proteggono da maree, uragani e inondazioni, riducono l’erosione litorale e
dei iumi e forniscono un supporto bioisico ad altri ecosistemi, ad esempio bloccando i sedimenti sottili ed evitando così l’intorpidimento delle acque più al largo che
altrimenti comprometterebbe gli ecosistemi di barriera corallina. Lo stesso autore,
inoltre, aferma che i mangrovieti costituiscono luoghi per la crescita degli avannotti
e per l’accoppiamento e l’alimentazione di molte specie ittiche; si stima che in Australia il 67 % delle specie ittiche sia dipendente dai mangrovieti (NTGA, 2009). Tali
ambienti costituiscono anche luogo di riparo, nidiicazione e crescita di molte specie
di uccelli stanziali e migratori, sostengono la biodiversità e le risorse genetiche, sequestrano e riciclano materiali organici, nutrienti ed inquinanti, esportano materiale
organico e nutrienti, ofrono una regolazione biologica dei processi e delle funzioni
ecosistemiche, costituiscono un sistema biologico di resilienza, producono ossigeno
e sequestrano carbonio. Costituiscono bacini d’acqua e di ricarica delle falde sotterranee, promuovono la formazione di suolo e ne mantengono la fertilità, inluenzano
255
Bruno Menale et al.
a livello globale e locale il clima, costituiscono un habitat per le popolazioni indigene, garantiscono la sussistenza delle popolazioni costiere, rappresentano un patrimonio culturale, spirituale, religioso ed artistico e costituiscono sia una fonte di informazioni scientiiche e di educazione ambientale, sia attrattori turistici e luoghi di
ricreazione.
Una quantiicazione economica di alcune delle funzioni ecosistemiche dei
mangrovieti ci è fornita da Walters et al. (2008). Si stima, ad esempio, un valore
nell’attività di iltri biologici naturali delle acque di 1193 – 5820 $ per ha/anno,
mentre nella prevenzione dalle catastroi, erosione ed inondazione il loro valore può
essere quantiicato in 3600 e 4700 $ per ha/anno. Inine, i mangrovieti hanno una
capacità di sequestrare il carbonio stimata in 1500 kg per ha/anno.
Conclusioni
Attualmente si ritiene che gli ecosistemi di mangrovieto occupino una supericie inferiore ai 15 milioni di ha (stima del 2000) ed abbiano perso un quarto della
loro estensione a partire dal 1980, quando era stata stimata una supericie di 19,8
milioni di ha (Wilkie et al. 2003).
Le stime sulla loro estensione segnano ancora un trend negativo; soprattutto
in passato molte aree sono state completamente distrutte. Nelle Filippine, tra il 1951
ed il 1988, il 67 % dei mangrovieti sono stati distrutti a favore dell’allevamento dei
gamberi (Kautsky et al. 2000).
Tuttavia sono numerosi gli studi che evidenziano la possibilità di operare degli
interventi di ripristino degli ambienti di mangrovieto con costi contenuti e buoni
risultati nell’arco di 15-30 anni. In tal caso occorre sottolineare che sarebbero necessari maggiori studi al ine di catalogare le varie tipologie di mangrovieto; tali ambienti, infatti, assumono caratteristiche diverse in funzione delle varie combinazioni di
idrologia e condizioni climatiche (Lewis III, 2005).
L’Orto Botanico di Napoli, nella realizzazione di un’area espositiva di foresta
di mangrovieto, cerca di aprire una inestra spazio-temporale al ine di illustrare a
studenti e visitatori una realtà poco conosciuta. Le mangrovie e le aree lagunari rappresentano un bene comune e la partecipazione alla loro conservazione deve essere
condivisa. Oltre a rivestire una funzione didattica, l’area espositiva del mangrovieto
dovrà pertanto sensibilizzare il pubblico sulla necessità di conservare questo tipo di
ambiente.
256
Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)
Ringraziamenti
Si ringraziano: il Prof. Paolo De Luca per aver fortemente promosso questo
progetto; il Dottor Mario Vazquez Torres, dell’Università Veracruziana, per l’aiuto
fornito in Messico ed in Italia; il Sig. Mario Riccio, che si dedica costantemente alla
nuova area espositiva e tutto il personale delle Serre Califano che da anni segue con
cura le mangrovie dell’Orto.
Bibliografia
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Bruno Menale et al.
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258
Turismo balneare e percezione dei servizi
ecosistemici nel Parco Naturale Regionale
“Litorale di Ugento” (Lecce, Italia)
Seaside tourism and perception of
ecosystem’s services in the “Litorale di Ugento”
Regional Natural Park (Lecce, Italy)
Nicola Zaccarelli1*, Simone Zecca1, Marco Dadamo2,
Irene Petrosillo1 & Giovanni Zurlini1
Laboratorio di Ecologia del Paesaggio, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali,
Università del Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce
2
Scuola Superiore ISUFI – Settore Patrimonio Culturale: Conoscenza e Valorizzazione, Università del Salento,
Ex Convento dei Padri Domenicani, Corso Umberto I, 73020 Cavallino (LE)
*[email protected]
1
Abstract
Il turismo balneare e la conservazione della natura in Provincia di Lecce dipendono
pesantemente dalla disponibilità, dalla qualità e dalla quantità di un ampio spettro di
servizi ecosistemici (SE) e dal capitale naturale (CN) del sistema della fascia costiera.
Un’indagine sulla percezione dei SE e del CN rilevanti per l‘attività turistica balneare è
stata avviata nell’estate del 2009 attraverso il coinvolgimento dei gestori degli stabilimenti balneari e sviluppando un apposito questionario improntato sullo schema
D-P-S-I-R (Driving forces, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte). La popolazione
indagata include tutti gli stabilimenti lungo il tratto di costa sabbiosa del Parco
Naturale Regionale “Litorale di Ugento”, uno dei tratti più importanti della Provincia
di Lecce. I risultati mostrano come esistano diverse incongruenze nella percezione
soggettiva dei SE e del CN, in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore
e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzione
dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoerente
fra impatti e pressioni associate alle attività di uno stabilimento balneare; iii) una scarsa
sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del Parco sul valore e
l’importanza del CN e dei SE. Le implicazioni di queste incoerenze di percezione
sono discusse nel contesto della sicurezza ambientale (environmental security) e
delle strategie di conservazione, sottolineando come l’Ente Gestore debba operare al
ine di superare tali problematiche per raggiungere non solo un maggior consenso
ma anche una reale eicacia nelle azioni di gestione.
259
Nicola Zaccarelli et al.
Introduzione
I servizi ecosistemici sono generati a scale ecologiche diferenti, a volte sovrapposte (MEA, 2003) e sono utilizzati a scale sociali multiple (Berkes et al., 2002),
dando luogo a possibili discordanze e interazioni tra scale.
Una situazione di discordanza si veriica quando non vi è allineamento fra le
scale di variabilità ambientale e le scale sociali dell’organizzazione responsabile per la
gestione (Cumming et al., 2006). Si può assistere, ad esempio, ad una mancata concordanza, in termini di scale spaziali, tra i livelli gerarchici di azione degli enti di governo e le scale di variabilità ambientale; problematiche di scala provinciale, vengono
afrontate, invano o in maniera errata, a livello comunale. In altre situazioni, i tempi
di azione degli enti di governo, condizionati da speciiche scadenze, diicilmente riescono ad operare in linea con le scale della variabilità ambientale.
Ma fenomeni di discordanza spazio-temporale si veriicano altresì quando
non vi è concordanza tra le scale di variabilità ambientale e le scale di azione degli
utilizzatori o dei fruitori di un territorio. Una percezione discordante delle interazioni che possono stabilirsi tra le modalità di svolgimento di una attività economica o
di utilizzazione di un territorio e le reali dinamiche ambientali, può generare o ampliicare problematiche di ‘governance’.
Il mancato allineamento tra le scale di variabilità ambientale e quelle sociali di
azione delle autorità politiche o degli utilizzatori di un territorio può inquadrarsi
nell’ottica della sicurezza ambientale, qualora si coniguri una situazione di rischio o
fragilità per i servizi ecosistemici (ES) o per il capitale naturale (CN). In tal caso si
evidenzia la necessità di analizzare, sia in senso oggettivo che soggettivo, le potenzialità di perdita di ES o di CN, dovute ad una discordanza scalare (Zurlini & Müller,
2008).
Un sistema turistico basato sulle risorse naturalistiche rappresenta un esempio
di sistema socio-ecologico (SES); (Gunderson & Holling, 2002) particolarmente
complesso, in cui si assiste ad una stretta interazione di problematiche sociali, economiche ed ambientali, che non possono essere valutate isolatamente (Vitousek, 1997;
Funtowicz & Ravetz, 2001).
Il CN e numerosi ES ad esso associato costituiscono il fondamento dell’attrattività di una località turistica. Una loro perdita determinerebbe il declino di un sito
turistico. Nel caso in cui sia necessario contemplare esigenze di conservazione e tutela della biodiversità, in quanto trattasi di aree protette di particolare pregio e di esigenze di fruizione turistica, si rivela estremamente utile un continuo monitoraggio
260
Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici
degli impatti ambientali dovuti al turismo e dell’eicienza delle politiche e degli strumenti adottati per gestirli (analisi oggettive) nonché, allo stesso tempo, della percezione delle risorse ambientali, della consapevolezza dell’impatto ambientale e della
eventuale volontà a mitigarlo da parte dei portatori di interessi (analisi soggettive).
È in quest’ottica che il presente lavoro ha inteso valutare la percezione dei ES
e del CN da parte dei gestori degli stabilimenti balneari operanti lungo la fascia costiera del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” (P.N.R.). Obiettivo di tale
analisi è l’identiicazione degli aspetti problematici connessi alla visione di tipo
“aziendale” del portatore di interessi (lato soggettivo), per poter identiicare i possibili rischi connessi alla sicurezza dei servizi e supportare lo sviluppo di un’adeguata regolamentazione da parte dell’Ente Parco. Ai ini di una corretta interpretazione dei
risultati dell’indagine percettiva, è stato fondamentale realizzare preliminarmente
un’attenta analisi di caratterizzazione oggettiva dell’area di studio per ciò che concerne gli aspetti ambientali e socio-economici.
Area di studio
L’indagine ha coinvolto i gestori degli stabilimenti balneari ricadenti all’interno dei conini del P. R. N. “Litorale di Ugento” (L.R. n. 13 del 23/05/07) (Fig. 1).
L’economia del Comune di Ugento è legata al settore agricolo ed a quello dell’accoglienza turistica, che presenta caratteri di marcata stagionalità e di forte specializzazione nelle tipologie di servizi oferti (Zecca, 2006). L’area presenta un campeggio,
6 villaggi turistici ed appartamenti privati nelle marine di Torre San Giovanni, Torre
Mozza e Lido Marini, con un totale di circa 23.000 posti letto contro una popolazione residente al 2008 di 12.073 unità. Nei suoi otto chilometri il tratto di costa indagato ospita 25 stabilimenti balneari a gestione principalmente familiare (Fig. 2), che
operano da almeno 10 anni e presentano un totale di circa 2.700 ombrelloni.
261
Nicola Zaccarelli et al.
Figura 1: Inquadramento del P.N.R. “Litorale di Ugento” e dettaglio della località di
T. San Giovanni con indicazione delle principali fonti di pressione che agiscono
sull’arenile. Sono indicati i perimetri degli stabilimenti balneari dell’area (in nero), i
varchi nel cordone dunale (pallini rossi), la posizione dei parcheggi retrodunali (in viola)
e nell’inserto un esempio delle strutture degli stabilimenti.
Figura 2: Localizzazione degli stabilimenti balneari lungo la costa del P.N.R. “Litorale di
Ugento” che hanno (in verde) e non hanno (in rosso) compilato il questionario. In viola
l’area del parco.
262
Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici
La costa di Ugento mostra i caratteri tipici delle spiagge della Provincia di
Lecce per dimensione, servizi ed infrastrutture per l’accoglienza, esempliicando le
problematiche croniche dell’uso balneare delle coste leccesi (Fig. 1): elevato livello di
afollamento sia di turisti che di stabilimenti; danni difusi al cordone dunale con
formazioni di tagli per l’accesso alla spiaggia; degrado della fascia dunale e retrodunale per abbandono di riiuti; presenza di “parcheggi temporanei” (ad es. incolti o
campi non coltivati) in area retrodunale in assenza di uno speciico reticolo stradale;
forte dinamicità della linea di costa con gravi processi erosivi in atto; depositi stagionali ingenti di foglie di Posidonia oceanica (circa 3.000 m3 su km x anno).
Il pregio del Parco è dimostrato dall’elevata diversità loristica (400 taxa sui
1300 dell’intero Salento, con 251 generi, 70 famiglie e 12 endemismi; Marchiori et
al., 1996), da una forte rappresentatività degli habitat tipici dell’area mediterranea,
dalla presenza di un sito della Rete NATURA 2000, e dal ruolo di stepping stone
per l’avifauna assunto dall’area palustre e dai bacini artiiciali di boniica per le rotte
di numerosi migratori.
Materiale e Metodi
Per valutare la natura ed il grado della percezione dei gestori degli stabilimenti balneari in merito al CN ed ai SE è stato predisposto un questionario a scelta multipla compilato direttamente dal soggetto intervistato, somministrato ai 25 gestori
dell’area all’inizio della stagione turistica (aprile-giugno 2009). L’espressione della
preferenza poteva avvenire attraverso la selezione di un’alternativa e con l’indicazione
su scala ordinale. L’intervistatore ha presentato genericamente l’attività di ricerca ed
ha indicato l’ailiazione universitaria e con l’Ente Gestore del Parco. Non sono state
fornite informazioni relative ai quesiti se non al termine della compilazione. Sono
state elaborate 17 domande, formulate in un linguaggio piano e non specialistico.
Il questionario è stato organizzato in tre sezioni. La prima per la raccolta di
dati generali sul gestore (es. età, sesso e livello di istruzione). La seconda per la raccolta di informazioni relative al CN e SE del contesto territoriale nel quale l’attività del
gestore si inserisce. La terza per indagare gli elementi speciici del CN e dei SE legati
direttamente all’attività economica del gestore. La seconda e terza parte presentano
domande in blocchi che seguono lo schema D-P-S-I-R (EEA, 1995).
Fissato dalla scelta del settore economico del turismo balneare (cioè il determinante), troviamo domande relative alle possibili forme di pressione, ai caratteri
263
Nicola Zaccarelli et al.
degli elementi naturali (cioè lo stato), agli impatti ed alle modalità di coinvolgimento dei gestori nelle azioni di tutela e valorizzazione del parco.
Per le diverse domande e per blocchi di domande (in base allo schema D-P-SI-R) sono state calcolate le proporzioni delle risposte rispetto al totale. Mentre il test
di Kolmogorov-Smirnov per due campioni indipendenti è stato impiegato per confrontare le distribuzioni delle risposte.
Solo una parte dei risultati è presentata in questo contributo, mentre per maggiori dettagli si rimanda al corresponding author.
Risultati e Discussione
Sul totale di 25 stabilimenti, 5 hanno riiutato di compilare il questionario
con rimostranze varie legate alle attività condotte dall’Ente Gestore del Parco (Fig.
2). Dei partecipanti 15 erano uomini e 5 donne. Dieci gestori avevano un’età superiore ai 36 anni, mentre 2 maggiore di 50. Il livello di istruzione prevalente è il diploma, con un solo laureato e 6 titolari di una licenza media.
Tabella I: a-f: Risultati di alcune domande presenti all’interno del questionario somministrato.
264
Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici
Le tabelle 1-a e 1-b riportano le proporzioni di risposte ottenute in merito a
quesiti inerenti lo stato del CN rispetto ad una valutazione di contesto generale del
parco e della speciica zona dello stabilimento, rispettivamente. Valori elevati sulla
qualità e consistenza del CN sono molto frequenti quando si guarda all’intero Parco,
con l’eccezione dello stato dei bacini che presentano tendenze opposte. Mentre a livello di stabilimento la percezione cambia, con punteggi meno elevati ed una decisa
265
Nicola Zaccarelli et al.
stroncatura dei bacini (cioè puzza ed insetti sono le cause principali). Inoltre intervistati sul valore delle foglie spiaggiate di Posidonia, più della metà dei gestori le considera un problema (0,60) poiché “non piace ai bagnanti” e meno di un terzo ne apprezza l’importanza quale indicatore di qualità delle acque e fattore di difesa
dall’erosione costiera.
Le tabelle 1-c e 1-d mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di domande sulle pressioni e le minacce a livello di parco e di stabilimento che possono
degradare il CN ed i SE. Vi è una marcata coerenza nei punteggi globali nel considerare le sorgenti di pressione come reali cause di trasformazione del territorio poiché
poco meno della metà delle risposte identiica le opzioni come reali minacce. Mentre
nel dettaglio delle voci emerge come aspetti legati al traico veicolare ed all’afollamento della spiaggia non siano considerati pressioni, probabilmente perché direttamente legati all’attività dello stabilimento.
Le tabelle 1-e e 1-f mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di domande sugli impatti che deteriorano il CN ed alterano il livello dei SE considerati sia
a livello di parco che di stabilimento. Per entrambi i livelli, la maggiore proporzione
di risposte (superiore a 0,67) individua i fattori proposti come elementi di impatto
nell’immediato (risposta “Sì”). Importante è però il dato a livello di stabilimento che
vede nella “qualità delle acque del mare” un elemento degradato, rilevando una precisa distorsione nel giudizio mediato dalla percezione del gestore che si contrappone
al giudizio di balneabilità delle acque espresso dalle misurazioni di ARPA Puglia e
che è dettata principalmente dalla presenza di foglie di Posidonia e da riiuti spiaggiati.
Confrontando la distribuzione dei punteggi globali per i blocchi di domande
relative a pressioni ed impatti per i due livelli di indagine emerge una diferenza statisticamente signiicativa (probabilità inferiore a 0,05): la percezione presenta livelli
superiori per gli impatti, mentre è inferiore per le fonti di pressione che possono in
seguito trasformarsi in impatto, questo sia a livello di parco che di stabilimento.
Inine, nel blocco di domande relativo alla sezione “risposte” emerge a livello
generale che i gestori preferirebbero essere coinvolti nelle attività di tutela e valorizzazione del parco principalmente o attraverso la loro associazione di categoria (0,28)
o con incontri pubblici (0,32). Mentre intervistati su cosa farebbero loro per meglio
gestire le bellezze naturali del parco la risposta più frequente è stata “rimuovere i parcheggi retrodunali ed attivare un servizio navetta” (0,40), seguita da “regolamentare
ed attrezzare gli accessi al mare sulle dune” (0,38).
266
Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici
Conclusioni
I risultati mostrano l’esistenza di diverse incongruenze nella percezione soggettiva dei SE e del CN; in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore
e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzione dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoerente fra pressioni e impatti associati alle attività di uno stabilimento balneare; iii)
esiste pure una scarsa sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del
Parco sul valore e l’importanza del CN e dei SE. La lettura del territorio, emersa dai
risultati dei questionari, evidenzia una situazione di discordanze scalari, ove si contrappone una “visione utilitaristica” di breve termine in contrasto con le diverse entità temporali delle dinamiche ambientali. Le implicazioni di queste incoerenze di
percezione, discusse nel contesto della sicurezza ambientale e delle strategie di conservazione, devono indurre l’Ente Gestore ad operare non solo attraverso una maggiore regolamentazione delle attività, ma anche con strumenti partecipativi e con
attività di sensibilizzazione. In tal modo, nell’ottica del superamento di tali problematiche, sarà possibile raggiungere un maggior consenso ma anche una reale eicacia
nelle azioni di gestione.
Un primo passo per afrontare le discordanze spazio-temporali è la consapevolezza dell’esistenza di un’incoerenza fra scale ecologiche dei servizi e scale sociali
(Cumming et al., 2006). La soluzione ai problemi ambientali dei sistemi costieri,
odierni e futuri, non può prescindere da uno studio ed un’analisi trans- e interdisciplinare delle diferenti modalità di interazione, succedutesi nel tempo, tra la componente antropica e quella naturale.
267
Nicola Zaccarelli et al.
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268
Educazione
ambientale oggi
Approccio locale all’educazione ambientale:
lezioni da due esperienze in ambiente
mediterraneo
Local approach to environmental education:
lessons from two Mediterranean experiences
Lucia Fanini1*, Mohamed ElGtari2, Soumia Fahd3 & Felicita Scapini1
Dipartimento di Biologia Evoluzionistica, Università di Firenze, via Romana 17, 50125 Firenze
Dipartimento di Biologia, Università di Gafsa, Cité Ennour, Route Kasserine, 2100, Gafsa (Tunisia)
3
Dipartimento di Biologia, Università Abdelmalek Essaâdi, Faculté des Sciences de Tétouan,
BP 2121, Tétouan (Marocco)
*[email protected]
1
2
Abstract
Sono riportate due esperienze di educazione ambientale rivolte alle scuole primarie in
Tunisia e Marocco. Partendo da un approccio all’ambiente locale e “domestico”
sono state analizzate a) le fonti di informazione disponibili ai bambini e alle bambine
di città e campagna per la formazione di una coscienza ambientale e b) la conoscenza
dei concetti proposti loro dalle fonti di informazione: programmi scolastici, TV e
contesto sociale. Dai risultati emerge l’importanza dell’integrazione e dell’aggiornamento delle conoscenze in ambito ecologico, per formare nei cittadini di domani una
coscienza ambientale corretta e al tempo stesso legata al dominio afettivo.
Introduzione
Alcuni dei risultati ottenuti in progetti euro-mediterranei di ricerca MEDCORE e WADI sono stati difusi direttamente nelle scuole primarie dei siti di studio, per favorire la comunicazione diretta tra ricercatori, insegnanti e bambini e fornire loro informazioni che li riguardano da vicino (che altrimenti, se difuse
esclusivamente con articoli internazionali e comunicazioni a congressi, rimarrebbero
a loro precluse). Le esperienze riportate di seguito hanno quindi carattere locale, ma
possono essere considerate in un’ottica più ampia, permettendo attraverso un processo di upscaling la considerazione di eventuali proprietà emergenti dell’intero sistema
(sensu Marten, 2001). L’ambiente trattato è quello “domestico” per i bambini e le
271
Lucia Fanini et al.
loro famiglie: la spiaggia nel caso della città tunisina di Nefza e gli habitat dell’erpetofauna endemica nel caso della valle di Oued Laou in Marocco. Nel primo caso, la
spiaggia è fonte di ingressi economici attraverso le attività turistiche, ma è anche legata ad attività tradizionali come la pesca di sussistenza e l’artigianato (che utilizza
piante della duna, come Ammophila arenaria). Nel secondo caso, il passaggio della
gestione dell’acqua dalle autorità tradizionali di villaggio (jma’a) alla gestione governativa sta mettendo a rischio le infrastrutture tradizionali (pozzi, sorgenti e canali di
irrigazione – saquìas), a loro volta legate al biota locale e nello speciico all’erpetofauna (Campo Muñoz, 2007). In questo contesto, già ricco di contrasti, è stato istituito
nel 2006 il Parco Nazionale di Talassemtane, riserva Man And Biosphere (MAB)
dell’UNESCO, ma ben poco percepito dagli abitanti che vivono all’interno dell’area
del Parco. In entrambi i casi è evidente un contrasto tra modelli di sviluppo estremamente diversi, che riportano a dinamiche comuni a buona parte delle zone costiere
del Mediterraneo, andando oltre la dimensione locale: pressioni (spesso esterne,
come il turismo stagionale e la costruzione improvvisa e sregolata di nuove infrastrutture) insistono sull’ambiente ecologico e socio-culturale, che viene a trovarsi in
un contesto diicile, in cui tradizione e modernità vengono presentate come inconciliabili anziché mutuamente utili per una gestione sostenibile dell’ambiente locale.
L’educazione ambientale agisce spesso su concetti già esistenti nel background
culturale individuale, ma che possono essere errati o obsoleti. Un’azione di educazione ambientale dovrebbe identiicare innanzitutto i concetti e le informazioni problematiche, e sostituirli con concetti ed informazioni corretti ed aggiornati (Elamé,
2002). Scopo generale delle nostre attività era proporre una visione aggiornata
dell’interazione uomo-ambiente, in cui l’azione umana non è più contrapposta alle
dinamiche naturali, ma vi è integrata: le caratteristiche ecologiche di un ambiente,
integrate dalla conoscenza del contesto socio-culturale ed economico, portano alla
considerazione dell’ecologia come parte integrante del sistema sociale che in quell’ambiente si è sviluppato (Marten, 2001).
In entrambi i casi, la scuola pubblica è stata considerata essenziale per il coinvolgimento della maggior parte dei bambini in età scolare, che probabilmente, almeno nelle zone rurali, abbandoneranno gli studi prima della scuola secondaria.
Sono state quindi analizzate le fonti di informazione disponibili e utilizzate
dai bambini, così come la conoscenza dei concetti relativi all’ambiente locale ed alle
relazioni uomo-ambiente. Dai risultati ottenuti nei contesti locali sono state derivate
indicazioni per l’integrazione delle conoscenze relative alle relazioni uomo-ambiente
in un contesto più ampio.
272
Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze
Materiali e metodi
Sono state coinvolte scuole primarie pubbliche (sia in Marocco che in Tunisia
sono in atto crescenti sforzi per far rispettare l’obbligo scolastico, sia per i bambini che
per le bambine, UNSD, 2008). Attività e questionari sono stati sono stati discussi con
i ricercatori e gli insegnanti locali per garantire la pertinenza e l’adattamento al contesto locale e sono stati sottoposti dagli insegnanti ai bambini degli ultimi due anni della scuola primaria, che da programma scolastico avevano già efettuato lezioni di educazione ambientale. I questionari comprendevano una caratterizzazione del bambino
partecipante (genere e provenienza da ambiente urbano o rurale) e domande raggruppabili secondo temi ecologici generali. Nel caso di Nefza, il questionario è stato proposto ai bambini prima e dopo l’esperienza di educazione ambientale, per un’analisi
post-hoc. Inoltre, una parte introduttiva chiedeva di indicare eventuali fonti di informazione ambientale oltre i programmi scolastici, suddivise in “generali” (TV, libri)
e “locali” (andare in spiaggia, parlare in famiglia, partecipare a clubs culturali della
scuola). Nel caso di Oued Laou, il questionario era volto all’analisi delle fonti di informazione ambientale, perciò è stato proposto una volta sola, in occasione dell’esperienza di educazione ambientale e della consegna del libro. I questionari completi
sono scaricabili da: http://www.medcore.unii.it/methodologies_medcore.htm e
http://www.wadi.unii.it/methodology_children_questionnaire_herpetofauna.pdf.
La gita al mare (Nefza)
Abbiamo considerato la gita scolastica come uno strumento di apprendimento preferenziale, attendendoci un maggiore coinvolgimento emotivo e l’aumento
della predisposizione all’approccio inquiry-based (Hargreaves, 1994); in questo caso
la meta della gita era la spiaggia a pochi chilometri di distanza dalla scuola e i bambini erano accompagnati dai ricercatori, con cui discutevano le domande del test.
Dettagli in Fanini et al. (2007). La diferenza tra le risposte alla stessa domanda prima e dopo la gita in spiaggia è stata analizzata mediante ANOVA per genere e ambiente di provenienza (urbano e rurale) dei bambini. Nei questionari era inoltre presente l’opzione “non so”, la cui scelta è stata utilizzata come indicatore di incertezza/
di concetti non chiari (Fanini et al., 2007).
273
Lucia Fanini et al.
Il libro illustrato (Oued Laou)
Abbiamo considerato lo storytelling come l’approccio più adatto a temi così
complessi come la situazione di transizione che si sta veriicando nella valle di Oued
Laou: una storia raccontata permette di integrare dati quantitativi e qualitativi e di
spiegarli, associandoli sia alla realtà che all’immaginario (Zellmer et al., 2006). Nel
racconto erano presentati anibi e rettili, il wadi Laou (un wadi è un corso d’acqua
con variazioni stagionali di portata), il Parco Nazionale di Talassemtane. Per realizzare un libro che raccontasse una storia sull’ambiente locale sono stati coinvolti i disegnatori dell’Accademia di Belle Arti di Tétouan (Fanini, 2008; libro disponibile su
richiesta all’autore). Nel caso di Oued Laou, per l’identiicazione delle fonti di informazione utilizzate è stata analizzata la similarità per genere e ambiente di provenienza tra le risposte al test mediante le routines del software PRIMER (generalmente
utilizzato per l’analisi di biodiversità, in questo caso rappresentata dalla diversità di
risposte ottenute nei questionari) (Fanini & Fahd, 2009).
Risultati
A Nefza il campione includeva 34 maschi e 24 femmine; 42 bambini provenienti da zone urbane e 16 da zone rurali. Tutti i partecipanti all’attività utilizzavano
fonti di informazione extrascolastiche sia di tipo generale che locale. L’analisi non ha
riscontrato diferenze signiicative né per genere né per provenienza dei bambini, né
per l’interazione dei due; i risultati sono quindi riportati relativamente all’intero
campione.
Le domande sull’ambiente isico della spiaggia (Tab. I, domande 1-3) hanno
registrato un rilevante aumento di risposte corrette nel test efettuato dopo l’attività.
I temi delle domande relative al biota della spiaggia (Tab. I, domande 4-6) sono invece risultati piuttosto chiari già prima dell’attività, quindi l’aumento di risposte corrette è stato inferiore rispetto al primo gruppo. Le risposte alle domande sugli impatti e sull’utilizzo della risorsa spiaggia (Tab. I, domande 7-10) sono risultate il gruppo
con variazione più eterogenea tra risposte fornite prima e dopo il test.
Nella valle di Oued Laou, il campione includeva 38 maschi e 38 femmine; 25
bambini provenienti da zone urbane e 49 da zone rurali. L’analisi della similarità (su
matrice Bray-Curtis) ha evidenziato un background comune tra risposte del 60,62 %;
per questo motivo anche in questo caso l’analisi delle risposte fornite al questionario
è stata efettuata sull’intero campione.
274
Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze
Tabella I: Risultati (valori riportati in percentuali arrotondate) del test sottoposto ai bambini
prima e dopo la gita in spiaggia. Accanto alle risposte corrette è stato riportato il valore della
risposta “non so”, utilizzato come parametro di incertezza e di mancanza di concetti chiari.
Domanda
1. Cos’è una spiaggia?
prima dell’attività
dopo l’attività
aumento
di risposte
corrette
risposta
corretta
non so
risposta
corretta
non so
39
12
96
2
57
2. Da dove viene la sabbia?
16
14
70
3
54
3. Come si formano le dune?
49
3
95
0
46
4. C’è vita in una spiaggia?°
67
12
100
0
33
5. Esistono animali che passano tutta la loro
vita in spiaggia?°
67
16
97
0
30
6. Ci sono esseri viventi che contribuiscono alla
conservazione della spiaggia?
72
12
95
2
23
7. Ci sono cose che puoi trovare sulla spiaggia,
anche se sono estranee a questo ambiente?
21
31
66
7
45
8. Quali sono le cose e le attività che possono
danneggiare una spiaggia?
51
2
74
10
23
9. Cosa possiamo fare per mantenere una
spiaggia di buona qualità?
84
0
89
0
5
10. Quali sono i comportamenti corretti da
tenere durante una gita al mare?
23
4
63
0
40
I risultati hanno evidenziato una prevalenza dell’esperienza diretta per quanto
riguarda l’informazione sulle componenti dell’ambiente (Tab. 2, gruppo a.), una prevalenza dell’informazione proveniente dalla scuola per quanto riguarda le connessioni tra componenti dell’ambiente, uomo incluso (Tab. 2, gruppo b) e, nonostante un
Parco Naturale sia ritenuto un beneicio sia per l’uomo che per l’ambiente, l’informazione sull’esistenza del Parco Nazionale di Talassemtane, di cui le due scuole rurali fanno parte, è risultata molto scarsa (Tab. 2, gruppo c). In entrambi i casi un risultato indiretto ma degno di nota è stata la grande attenzione rivolta dalle autorità
locali alle esperienze di educazione ambientale e la richiesta di riproporle.
275
Lucia Fanini et al.
Tabella II: Risposte ai questionari proposti agli scolari della valle di Oued Laou (valori riportati
in percentuali arrotondate). La percentuale di risposte affermative, su cui sono poi state
calcolate le altre percentuali, è riportata a fianco della prima domanda. In grassetto la risposta
più frequente.
Gruppo a. componenti dell’ecosistema
Hai mai visto…
Se sì, dove:
si
in natura
TV
In vendita al mercato
93,2
70,4
63,3
17,0
una salamandra
37,5
28,4
11,4
NA
un rospo
60,0
50,0
27,3
NA
una tartaruga
Gruppo b. connessioni tra componenti dell’ecosistema. Acqua e uomo.
Sapevi che…
Se sì, come l’hai imparato?
si
famiglia
scuola
amici
osservazione
personale
TV
gli anfibi hanno bisogno di
acqua per sopravvivere
86,4
15,9
43,2
12,5
17
23,9
le persone hanno bisogno
di acqua per sopravvivere
80,7
23,9
46,6
14,8
12,5
23,9
ci sono problemi dovuti alla
mancanza d’acqua
100,0
30,7
60,2
14,8
14,8
38,6
ci sono problemi dovuti
all’inquinamento dell’acqua
100,0
30,7
60,2
16,0
21,6
44,3
Gruppo c. un esempio di gestione dell’ambiente: istituire un Parco naturale
Un Parco naturale è…
un’area in cui tutte le attività umane sono proibite
10,2
un’area che lo Stato ha deciso di gestire
21,6
un’area dedicata alla tutela ambientale
29,5
un’area dedicata alla tutela dell’uomo e dell’ambiente
79,5
Sapevi che…
è stato istituito il Parco Nazionale di
Talassemtane 50,0
276
Se sì, come l’hai saputo?
famiglia
scuola
amici
osservazione
personale
TV
14,8
5,7
10,2
30,7
29,5
Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze
Discussione
Tutti i bambini coinvolti hanno mostrato la stessa predisposizione all’apprendimento e le stesse occasioni di esperienza diretta a prescindere da genere e provenienza da zone di città o di campagna, nonostante in contesti come quello tunisino
e marocchino i ruoli sociali maschili e femminili determinino diferenti ranges
d’azione (ad esempio, le bambine delle zone rurali generalmente aiutano le madri
nell’approvvigionamento di acqua potabile). L’età scolare è probabilmente un fattore
che predomina su questi aspetti. Si tratta infatti di un’età in cui i bambini cominciano a rivolgere l’attenzione all’ecosistema nella sua interezza, per comprenderne le
componenti e le dinamiche (Kidd & Kidd, 1996). I risultati indicano un utilizzo dei
diversi strumenti disponibili per la formazione del bagaglio individuale di conoscenze ambientali, tra di essi la TV svolge un ruolo rilevante, anche se limitato ad alcuni
ambiti (immagini di animali; buone pratiche ambientali). Tuttavia i media tendono
a dare un’immagine generica (e in alcuni casi decisamente esotica) dell’ambiente, e i
programmi scolastici non prevedono applicazioni locali dei concetti trasmessi. Di
conseguenza questo tipo di informazione, se non mediata e adattata al contesto domestico, rischia di perdere eicienza (Iozzi, 1989). Una possibile integrazione a livello locale poteva essere svolta dalle famiglie, ma il loro ruolo in questo è risultato poco
rilevante, probabilmente perché le pressioni contrastanti che insistono sugli abitanti
delle zone considerate, riguardanti i loro modelli di sviluppo, hanno creato una situazione di confusione, per cui le famiglie hanno smesso di fornire informazioni
sull’ambiente, non ritenendole più valide.
Considerando le lezioni derivanti da entrambe le esperienze, emerge la necessità di una maggiore attenzione alle realtà locali anche da parte di quegli strumenti
che, come scuola e TV, spesso forniscono informazioni esclusivamente di tipo generale. Le conoscenze ambientali, oltre ad essere acquisite per esperienza diretta dai
bambini, dovrebbero essere integrate sia da mezzi potenti come la scuola e i media,
sia dalle famiglie e comunità locali, per facilitare l’interiorizzazione dei concetti e creare la possibilità di stabilire legami tra ambiente e dominio afettivo (Vaughan et al.,
2003). Per una corretta integrazione delle informazioni e un eiciente utilizzo di
mezzi di comunicazione molto diferenti tra loro dovrebbe essere evitata per quanto
possibile la settorializzazione in ambito formativo (Morin, 2000): i bambini, futuri
cittadini, se educati a percepire i legami esistenti tra vita sociale, economia, approccio scientiico ed ecologia, avranno la possibilità di efettuare delle scelte consapevoli.
Infatti in assenza di una completa consapevolezza del proprio ambiente e delle rela-
277
Lucia Fanini et al.
tive dinamiche, è probabile che continuino a sfuggire alcuni concetti che vanno oltre
la sfera prettamente ecologica, come il fatto che la qualità ambientale rappresenta la
base per un’equità sociale.
Gli articoli pubblicati relativamente ai singoli casi di studio sono
scaricabili da
http://www.iopan.gda.pl/oceanologia/49_1.html#A9 e
http://www3.interscience.wiley.com/cgi-bin/fulltext/122414072/PDFSTART
La metodologia relativa all’attività in spiaggia è stata inoltre presentata dal CORDIS come risultato da promuovere
nel Technology Marketplace
http://cordis.europa.eu/fetch?CALLER=NEW_RESU_TM&ACTION=D&QF_EN_RCN_A=43544
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278
Una guida all’osservazione e
allo studio dei microrganismi acquatici
A guide for observing and
studying freshwater microorganisms
Annastella Gambini*, Alfredo Broglia & Antonella Pezzotti
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”,
Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, 20126 Milano
*[email protected]
Abstract
Utilizzare un microscopio a scuola è indubbiamente afascinante per gli studenti,
attirati dalla potenzialità dello strumento e dalla curiosità di scoprire un mondo che
non si vede a occhio nudo. Tuttavia questa attività è spesso diicile da afrontare, sia
per gli insegnanti della scuola di base sia per quelli delle scuole superiori senza una
speciica formazione in biologia. Se il vetrino non è ben preparato, se l’insegnante non
sa bene dove eseguire i prelievi, e non riconosce le peculiarità delle “particelle” che si
spostano spesso molto velocemente si assiste in breve tempo ad una perdita di
attenzione da parte degli studenti e nel rapido svanire di qualunque interesse per
l’osservazione. La guida qui descritta vuole essere un valido supporto alle osservazioni
di microrganismi che si trovano frequentemente in pozze, stagni, fontanili, ecc.. Le
fotograie riproducono gli organismi a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni
diverse (mentre si spostano alla ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano
forma, ecc.).
Il riconoscimento avviene confrontando quello che si vede al microscopio con quanto
riportato nelle schede della guida che fornisce inoltre alcune informazioni sulla
biologia degli organismi e sull’ambiente acquatico in cui vivono. L’utilizzo di questo
strumento didattico, ancora in fase sperimentale, consente di organizzare il lavoro al
microscopio anche senza la guida di un esperto.
Alla ine dell’attività è possibile scoprire che una vorticella, un rotifero, un ciliato…
hanno moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per
procurarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Organismi tanto piccoli e osservati con
poco interesse, spesso solo attraverso le pagine di un libro, possono così diventare un
po’ più familiari, far sorgere nuove domande e discussioni fondamentali sugli ambienti
in cui vivono: ecosistemi da rispettare e conservare sul territorio vicino a noi.
279
Annastella Gambini et al.
Introduzione: ideazione e realizzazione della guida “Vita e segreti
dei microrganismi acquatici. Guida per l’osservazione e lo studio”
Il fascino subito dagli studenti quando sono invitati a utilizzare il microscopio
consiste principalmente nell’avvicinarsi allo strumento usato dai ricercatori, nell’andare nello spazio “magico” del laboratorio, attirati, forse solo in parte, dalla curiosità
di scoprire oggetti che non si vedono a occhio nudo.
Capita spesso che gli insegnanti della scuola di base impieghino i pochi fondi
a disposizione per il laboratorio per l’acquisto di microscopi. Vengono convinti ad
acquistare strumenti obsoleti, talvolta pagati più di quel che valgono, li preparano
allineati sul bancone e (spesso) conducono i ragazzi al loro utilizzo senza averli mai
provati prima. Fanno osservare capelli, ali di mosca, petali di iori… talvolta osservano vetrini già preparati in dotazione allo strumento, ma dopo qualche tempo si rendono conto che utilizzare i microscopi per attività che suscitino interesse richiede
una preparazione speciica e li mettono sotto chiave nell’armadio dimenticandoli per
sempre. Una delle diicoltà per gli insegnanti è la mancanza di una adeguata formazione sia sui contenuti (conoscenze di base delle strutture cellulari e dei principali
gruppi di viventi che si possono osservare) sia nell’utilizzo pratico della strumentazione (quali accorgimenti adottare nel fare i prelievi, come preparare i vetrini, come
scegliere la luce con cui illuminare il preparato, ecc.). Anche gli insegnanti delle
scuole superiori che non hanno una speciica formazione in biologia si trovano ad
afrontare queste diicoltà.
L’osservazione dei microrganismi acquatici, tuttavia, è un’attività didattica che
si fa con una certa frequenza in tutti gli ordini di scuola. Ma, se il vetrino non è ben
preparato, se l’insegnante utilizza prelievi che non sono densi di organismi, se non
riconosce le peculiarità delle “particelle” che si spostano spesso molto velocemente, si
assiste in breve tempo ad una perdita di attenzione da parte degli studenti e nel rapido svanire di qualunque interesse per l’osservazione. I manuali che si trovano in
commercio sono diicilmente utilizzabili a scuola perché troppo speciici: classiicano per gruppi tassonomici come il genere o la specie e utilizzano un linguaggio tecnico non facilmente comprensibile dai non-esperti. Sono fatti, in poche parole, per
altri scopi (Streble & Krauter, 2002). Abbiamo perciò pensato di realizzare una guida
per aiutare insegnanti e studenti a interpretare i vetrini, dando l’idea di entrare in un
vero e proprio ambiente naturale corredato da tutte le caratteristiche di quelli visibili a occhio nudo (Gambini et al., 2009).
280
Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici
Come proporre l’osservazione al microscopio da parte di insegnanti con limitate competenze nella preparazione dei vetrini, nelle colorazioni e nella reperibilità
del materiale da osservare? Indubbiamente le strutture più adatte a tale scopo sono
rappresentate da cellule che presentano pigmenti (non sono necessarie colorazioni) e
da cellule libere (non sono necessarie sezioni). Sono pertanto da privilegiare cellule
vegetali e microrganismi acquatici che, inoltre, si trovano praticamente sempre, salvo
oscillazioni stagionali, in luoghi facilmente accessibili.
Descrizione della guida e del suo utilizzo
Come è fatta la guida
La guida è costituita da circa 50 schede organizzate come in igura 1.
La guida è costituita da schede organizzate nel seguente modo:
• il titolo riporta il nome dell’organismo. Ogni colore dello sfondo rappresenta un diverso gruppo: l’azzurro i cianobatteri, il rosso gli animali e i protozoi, il verde le alghe verdi,
l’arancio le alghe rosse, il giallo le altre alghe.
• il sottotitolo riporta il nome scientifico dell’organismo o del gruppo a cui appartiene.
• il corpo centrale della scheda riporta alcune brevi note sulle caratteristiche principali
dell’organismo. In corsivo, sottolineate, si trovano le parole contenute nel glossario.
• le fotografie sono state effettuate a diversi ingrandimenti, gli stessi utilizzati con i microscopi di un comune laboratorio di biologia.
• le didascalie riportano l’ingrandimento e descrivono brevemente le immagini.
Figura 1: Organizzazione delle schede della guida.
Al centro di ogni scheda è riportata una breve descrizione delle principali caratteristiche biologiche dell’organismo riconosciuto e di quelle dell’ambiente in cui
vive. In internet si trovano abbondanti informazioni su questi organismi che abbiamo ritenuto superluo inserire in una guida di questo tipo. Abbiamo voluto realizzare uno strumento didattico, privilegiando quindi nella stesura delle descrizioni gli
aspetti percettivi (quelli che abbiamo provato noi stessi) e le sensazioni all’atto del
prelievo (mucillaginoso, ruvido, verde chiaro, ecc.).
281
Annastella Gambini et al.
Il linguaggio utilizzato è facilmente comprensibile anche agli studenti e agli
insegnanti della scuola di base; i termini più speciici (es. specie, colonia, lagello, nucleo…) sono spiegati in un glossario posto alla ine della guida.
Le fotograie sono tutte originali e provengono da prelievi fatti in luoghi d’acqua del territorio lombardo diversiicati e facilmente fruibili da tutti, come stagni,
laghetti, fontanili con acqua ferma e acqua corrente, rive di iumi, ecc., dove gli organismi rappresentano specie cosmopolite, mai endemiche. Le fotograie sono state
fatte a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni diverse (mentre si spostano alla
ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano forma, ecc.) brevemente descritte nelle didascalie. Anche lo sfondo in cui si trovano gli organismi è stato lasciato per rappresentare il pullulare della vita inserita sui substrati abituali, quali si ritrovano osservando i vetrini nella realtà. In igura 2 è riportata come esempio una delle
schede della guida.
Figura 2: Esempio di scheda presente nella guida.
282
Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici
Come si utilizza
Una volta preparato il vetrino, bisogna sfogliare la guida ino a trovare l’immagine più somigliante (la rilegatura ad anelli favorisce questa operazione), controllare all’ingrandimento successivo se compaiono nuove caratteristiche che confortano
il riconoscimento, leggere le didascalie che spesso guidano ad un’osservazione a un
ingrandimento maggiore completando così l’identiicazione. Ora si può dare un
nome all’organismo visualizzato: questo “nome” risulta così essere la conclusione di
un lavoro (pratico e intellettuale) che hanno fatto gli studenti stessi, insieme e sotto
la guida del proprio insegnante.
“Si muove, scappa fuori dal campo! Cosa mai starà facendo? Dove andrà? Cosa lo
spingerà a correre incessantemente o a ruotare le proprie ciglia?”. Queste sono le domande che dovrebbero sorgere tra i ragazzi, questa è la base di un osservazione scientiica
che mira a far emergere domande piuttosto che a chiudere le curiosità mettendo un
“nome inale” a risoluzione del percorso (Oldfather et al., 2001)
Così si stimola anche il senso del scoperta. A questo proposito anche le domande che pone l’insegnante sono importanti, nell’ottica di una metodologia sociocostruttivista che noi adottiamo in linea con le più recenti indicazioni pedagogicodidattiche (Varisco, 2002; Nigris, 2009). Egli non dichiara ai suoi studenti “Ora
guardiamo i parameci che si muovono”, ma chiede “Cosa saranno e come vivranno quelle palline che corrono qua e là? Cosa stanno facendo? Chi sono?”.
Dopo aver riconosciuto l’organismo si possono leggere alcune informazioni
sulla sua biologia ed ecologia. Questo è un punto fondamentale che esula dal dare un
nome agli organismi, per inserirli invece in modo diretto nella complessa catena di
relazioni in cui la loro nicchia ecologica si è sviluppata.
Metodologia applicativa e risultati della sperimentazione
L’utilizzo di questo strumento didattico consente di organizzare il lavoro al
microscopio anche senza la guida di un esperto. Tuttavia nelle prime due sperimentazioni, rivolte a studenti di diverse età, è stato presente un ricercatore universitario.
283
Annastella Gambini et al.
Laboratorio didattico sul campo (Laboratorio Didattico del Laghetto)
Da anni abbiamo in gestione per conto della Provincia di Milano – Direzione
Centrale Risorse Ambientali – alcune attività didattiche di educazione ambientale in
un luogo d’acqua restaurato e conservato a sue spese, il Laboratorio Didattico del Laghetto (Gambini et al., 2007; Gambini, 2008). In quest’area sono presenti tre luoghi
d’acqua diversi: un laghetto alimentato dalla falda, uno stagno artiiciale e una vasca
di acqua corrente. Dopo aver osservato liberamente i tre ecosistemi acquatici e averne descritto le caratteristiche macroscopiche (odore, colore, presenza di piante e animali…) gli studenti (sia della scuola di base, sia universitari) efettuano alcuni prelievi per analizzare l’acqua al microscopio all’interno del laboratorio appositamente
allestito. La presenza di un microscopio dotato di telecamera e videoproiettore consente una visione collettiva. In questo modo gruppi di 7-8 ragazzi sono invitati a riconoscere i microrganismi presenti e le loro caratteristiche e a collegare alcuni adattamenti che essi presentano alle caratteristiche del luogo del prelievo (Fig. 3).
Le vorticelle … sembrano aquiloni! È come se
si lasciassero trasportare dall’aria, però
dall’acqua. E poi c’è il filo che le tiene attaccate,
come quello degli aquiloni. Andiamo a vedere
sulla guida se si parla di quel filo … sì,
dovrebbe essere il peduncolo.
Figura 3: a sinistra: disegno di uno studente universitario; a destra: descrizione di un bambino
di scuola primaria.
Si possono in tal modo porre a confronto ecosistemi acquatici diversi e capire,
tra l’altro, che l’ambiente microscopico risente di caratteristiche comunemente rilevabili come l’illuminazione, la temperatura dell’acqua, la presenza di una itta vegetazione ripariale, ecc. (Gomarasca, 2002). Questo non è inutile se si pensa che nell’immaginario delle persone i microrganismi acquatici vivono in una specie di ambiente
uniforme, costante e sconosciuto perché invisibile, immaginato come omogeneo.
284
Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici
Laboratorio didattico ad ampia diffusione – Vita nell’acqua presente e futura
Il laboratorio didattico Vita nell’acqua presente e futura è stato organizzato in
occasione del Festival della scienza 2009 svoltosi a Genova nel novembre 2009. Nello spazio dedicato (dotato di ampie superici per raccogliere tutti i materiali prodotti)
i conduttori, formati dal nostro gruppo di ricerca, hanno esaminato insieme ai partecipanti (classi scolastiche prevalentemente nei giorni feriali, ma anche ragazzi e
adulti arrivati spontaneamente al laboratorio) gli organismi prelevati in precedenza.
Il microscopio corredato da un sistema di proiezione ha mostrato gli organismi invisibili, un panorama pullulante di cui ci si diverte a riconoscere i protagonisti. Fondamentale è stato l’utilizzo della guida e lo stimolo sia a riconoscere organismi sconosciuti che a cercarne di nuovi.
Il risultato positivo di questa attività deriva non solo dal numero di visitatori
pervenuti, ma anche dal lavoro che essi hanno svolto: i numerosi disegni sono arrivati a coprire le intere pareti dell’enorme spazio in cui abbiamo allestito il laboratorio
(Fig. 4), la creatività nel rappresentarli, l’attenzione mostrata ai particolari, le domande sorte durante l’attività mostrano il successo di questa iniziativa.
Figura 4: Laboratorio “Vita nell’acqua presente e futura”. Festival della Scienza. Genova 2009.
A sinistra: una delle pareti del laboratorio ricoperta dai disegni realizzati; a destra: particolare
del disegno di un visitatore.
L’attività del laboratorio didattico è stata accompagnata dalla realizzazione di
un blog che in futuro prevediamo di aprire a tutti. Attraverso questo strumento si
potranno raggiungere due scopi: rispondere alle domande poste dagli interlocutori e
favorire una forma di apprendimento collettivo che, sia pur virtuale, sarà comunque
possibile sperimentare.
285
Annastella Gambini et al.
Conclusioni
Si invoca oggi da più parti un cambiamento della scuola, sempre più criticata
riguardo alla sua efettiva eicacia per una formazione moderna e sostenibile (Sterling, 2006). Se da un lato si discute e ci si confronta, soprattutto a livello internazionale, sull’attuazione di un’educazione veramente sostenibile, dall’altro ci si trova ad
avere a che fare con strumenti che appaiono completamente inadeguati. I cardini
dell’innovazione dei curricula uniicano, tra gli altri, due aspetti fondamentali, riconosciuti a livello internazionale: la complessità e gli aspetti della percezione sistemica
(della società, dell’ambiente, della complessità dei viventi) e l’applicazione di metodologie attive che dovrebbero sostituire l’apprendimento trasmissivo tuttora imperante, ecc. (Trombulack et al., 2004). Per attuare questa trasformazione occorrono
consapevolezza, studio (formazione degli insegnanti) e strumenti.
Quello qui presentato è uno di questi strumenti che non solo serve a riconoscere, a dare un nome, ai diversi componenti della fauna e lora microscopiche, ma
stimola anche il fare attivo degli studenti, la collaborazione all’interno di piccoli
gruppi, la visione sistemica, ecc. (De Vecchi & Carmona-Magnaldi, 2006). Alla ine
dell’attività si diventa consapevoli che una vorticella, un rotifero, un ciliato… hanno
moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per procurarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Conoscere un ambiente sconosciuto e
imparare a interpretarne le caratteristiche peculiari è forse l’obiettivo principale. Un
altro tuttavia potrebbe essere quello di avvicinarsi a percepire un mondo lontano (in
questo caso perché invisibile) in modo diverso. Si riporta in igura 5 una frase di M.
Roland, naturalista francese del secolo scorso (Roland, 1950).
È un umile stagno in seno ad un piccolo bosco senza pretese […] Prenderò un po’ di
quell’acqua per osservarla più da vicino […]
La preparazione del miracolo è una creazione in miniatura. Si tratta di far uscire dalle
nostre dita un oceano, la sua fauna e la sua flora. La fauna di prima del diluvio, che aveva
bisogno dell’immenso oceano planetario per spassarsi, si contenta ora di pochi millimetri
quadrati […] In selve inestricabili, fatte di erbe fini come fili di ragno, tale fauna si muove, vive e
muore con istinti simili a quelli degli animali giganteschi delle antiche ere: solo le dimensioni
differiscono […]
Figura 5: Pensiero di Marcel Roland tratto da “Le meraviglie del microscopio”.
286
Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici
Quando ci si rende conto della presenza di organismi viventi nell’acqua, se ne
può facilmente riconoscere il valore ecologico e ambientale (Cunningham et al.,
2004). L’inquinamento delle acque non signiica solo un rischio per la nostra salute ma
incide anche sulla futura sopravvivenza delle creature microscopiche che la abitano.
Avvicinandosi alla straordinarietà della vita si getta, inoltre, una delle basi fondamentali per portare avanti scelte e azioni future, tenendo conto anche della loro sostenibilità (Mayer, 2003). Occorre conservare il bene prezioso della vita in tutte le sue
forme, anche in quelle che non sono così facilmente alla portata dei nostri sensi ma
che comunque svolgono un ruolo importante nell’ecosistema al quale appartengono.
Bibliografia
Gambini, A., Gomarasca, S. & Broglia, A. (2009) Vita e segreti dei microrgansmi acquatici. Guida per l’osservazione e
lo studio. Editrice Mimesis, Milano.
Cunningham, W. P., Cunningham, M. A. & Saigo, B. W. (2004) Fondamenti di ecologia. he McGraw-Hill Companies, Milano.
De Vecchi, G. & Carmona-Magnaldi, N. (2006) Aiutare a costruire le conoscenze. La Nuova Italia, Firenze.
Gambini, A., Pezzotti, A. & Borgo, V. (2007) Tre luoghi d’acqua a confronto. Osservazione, analisi, relazioni. Atti
del XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecologia, Ancona.
Gambini, A. (2008) Water, life, students – L’acqua, la vita, gli studenti. accadueo H20, Skira, Milano.
Gomarasca, S. (a cura di) (2002) Indagine conoscitiva sui fontanili del Parco Agricolo Sud Milano. COGECSTRE
Edizioni, Penne (PE).
Mayer, M. (a cura di) (2003) Qualità della scuola ed ecosostenibilità. Per una scuola coerente con la costruzione di un
futuro possibile. Franco Angeli, Milano.
Nigris, E. (2009) Le domande che aiutano a capire. Mondadori Bruno, Milano.
Oldfather, P., West, J., White, J. & Wilmarth, J. (2001) L’apprendimento dalla parte degli alunni. Didattica costruttivista e desiderio di imparare. Erickson, Trento.
Roland, M. (1950) Le meraviglie del microscopio. BUR, Milano.
Sterling, S. (2006) Educazione sostenibile. Anima Mundi Editrice, Cesena.
Streble, H. & Krauter, D. (2002) Atlante dei microrganismi acquatici. La vita in una goccia d’acqua. Franco Muzzio
editore, Bologna.
Trombulack, S. C., Omland, K. S., Robinson, J. A., Lusk, J. J., Fleischner, T. L., Brown, G. & Domroese, M.
(2004) Principles of Conservation Biology: Recommended Guidelines for Conservation Literacy from the
Education Committee of the Society for Conservation Biology. Conservation Biology, 18, 1180-1190.
Varisco, B. M. (2002) Costruttivismo socio-culturale. Carocci, Roma.
287
Ecologia in laboratorio:
l’esperienza dei Microcosmi Acquatici
Ecology in the lab:
aquatic microcosm experience
Annastella Gambini1*, Silvana Galassi2 & Stefania Barmaz1
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”,
Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano 20126
2
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Biologia
*[email protected]
1
Abstract
Il laboratorio “Microcosmi acquatici” è rivolto a studenti di Scienze della Formazione
Primaria per proporre loro esperienze pratiche su alcuni concetti fondamentali
dell’ecologia quali la crescita di popolazione, le catene alimentari e le altre interazioni
tra organismi. I microcosmi da noi allestiti sono contenitori aperti in cui sono presenti
un produttore primario (Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapitata) e
un consumatore di primo ordine (Daphnia magna); in altri contenitori è aggiunto
anche sedimento prelevato da un acquario in uso per valutare il ruolo dei decompositori. Gli studenti realizzano diverse condizioni sperimentali che forniscono la base per
una discussione di gruppo. Le fasi che costituiscono il percorso laboratoriale sono:
• osservazione e descrizione dettagliata degli organismi a disposizione
• formulazione di ipotesi relative alle loro esigenze di crescita
• preparazione di microcosmi per la veriica delle ipotesi
• osservazioni periodiche degli organismi presenti
• discussione inale e conclusioni
La discussione, correlata all’esperienza pratica, è mirata a far rilettere sulle trasformazioni dei microcosmi e sui concetti di ecologia correlati. A partire da strumenti e
materiali a costo relativamente contenuto è così possibile far lavorare e rilettere gli
studenti su alcuni concetti chiave dell’ecologia. Le conoscenze scientiiche si devono
considerare irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; occorre pertanto
formare insegnanti in grado di promuovere non solo nuove conoscenze ma anche
esperienze concrete da proporre in futuro ai propri studenti della scuola primaria.
I risultati ottenuti sono consistiti nella valutazione da parte nostra dei quaderni
di laboratorio degli studenti in cui essi hanno registrato tutte le proprie esperienze e
dei poster allestiti per mostrare all’esterno i risultati del proprio lavoro.
289
Annastella Gambini et al.
Introduzione
Le conquiste tecnologiche, soprattutto negli ultimi tempi, ci rendono talmente lontani dall’ambiente naturale da farci dimenticare il nostro legame con il mondo
naturale (Odum, 1988). Le conoscenze scientiiche si devono considerare una delle
basi irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; diventa così imprescindibile l’insegnamento dell’ecologia, a partire dalla scuola primaria, anche per instaurare un nuovo rapporto con l’ambiente. Occorre pertanto una formazione degli
insegnanti in grado di promuovere non solo conoscenze ma anche esperienze concrete da proporre ai propri studenti.
Il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli
Studi di Milano Bicocca propone nel curriculum universitario, oltre alle lezioni frontali in aula, esperienze basate sul rapporto diretto con animali, funghi e piante da
svolgersi in laboratorio e sul campo. Tali esperienze didattiche devono condurre a
due diversi tipi di competenze: la conoscenza dell’oggetto di studio e la competenza
da mettere in gioco per proporre temi analoghi ad allievi della scuola primaria (Gambini et al., 2006; Roberts & Gott, 2008).
Le caratteristiche fondamentali di tali attività sono:
1. Lavoro a piccoli gruppi: il lavoro di gruppo permette l’instaurarsi di un dialogo
costruttivo tra gli studenti. La dimensione del gruppo è critica ai ini di realizzare
un’efettiva partecipazione da parte di ogni studente, gruppi troppo grandi portano all’isolamento di alcuni elementi, mentre la sola attività individuale comporta la mancanza di un dialogo costruttivo (De Vecchi & Carmona Magnaldi,
2000).
2. Introduzione allo studio degli organismi: l’osservazione degli organismi, l’analisi
del rapporto struttura/funzione di ogni elemento osservato, il disegno dal vero
favoriscono l’acquisizione di alcuni concetti base della biologia. Attraverso il disegno gli studenti sono portati a osservare in modo approfondito ogni parte
dell’oggetto in studio e a rilettere sulla sua funzione.
3. Raccolta di domande durante l’osservazione: domande del docente atte a sondare
le conoscenze pregresse degli studenti e domande che sorgono tra gli studenti dal
lavoro di osservazione e favoriscono l’elaborazione di ipotesi.
4. Costruzione di ipotesi, sulla base delle quali verrà costruita l’esperienza di laboratorio: questo aspetto, risultato di discussioni di gruppo, è fondamentale per tenere alto l’interesse degli studenti (si consideri il fatto che si tratta di studenti iscritti a un corso di laurea sostanzialmente umanistico).
290
Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici
5. Confronto delle ipotesi fra vari gruppi guidato del docente: ogni gruppo imposta
la propria esperienza sulla base delle proprie ipotesi confrontando i propri risultati con quelli degli altri.
6. Realizzazione di un prodotto inale: la preparazione di un prodotto inale è inalizzata alla rielaborazione di quanto appreso da parte dello studente e alla sua valutazione.
In questo lavoro è presentato un esempio di laboratorio pedagogico-didattico
basato sulla costruzione di microcosmi acquatici, svolto nel corso degli anni accademici 2006-2008. In igura 1 e in igura 2 sono riportate due foto dei microcosmi
realizzati.
Figura 1: Visione d’insieme dei
microcosmi preparati durante il
laboratorio. Al centro un microcosmo
mantenuto al buio.
Figura 2: Esempi di microcosmi.
291
Annastella Gambini et al.
Materiali e metodi
I materiali di partenza per lo svolgimento di questa esperienza sono a costo
relativamente contenuto e sono stati utilizzati strumenti che fanno parte della dotazione base di un laboratorio di biologia:
• Acqua San Benedetto
• Becher
• Pompe d’acquario
• Vetrini e piastre Petri
• Lente di ingrandimento
• Stereomicroscopi e microscopi ottici
Gli organismi di partenza sono comunemente utilizzati per saggi ecotossicologici e completamente caratterizzati da un punto di vista biologico (IRSA, 1991):
• un produttore primario (Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapitata)
• un consumatore di primo ordine (Daphnia magna)
• sedimento prelevato da un acquario d’acqua dolce.
L’esperienza inizia con l’osservazione a occhio nudo seguita da osservazione a
ingrandimento crescente accompagnata da una breve discussione e dal disegno degli
organismi e delle strutture riconosciute come riportato in igura 3.
Figura 3: Esempio di disegno
realizzato durante il laboratorio.
Nel caso della Daphnia magna, oggetto dell’osservazione, prima con lente di
ingrandimento e poi con uno stereo microscopio (da 10 x a 40 x), sono le principali
strutture corporee e la modalità di movimento e alimentazione. Anche le alghe ven-
292
Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici
gono osservate prima ad occhio nudo e in seguito con il microscopio ottico (da 100
x a 400 x).
Ogni gruppo formula delle ipotesi sulle esigenze per la sopravvivenza degli organismi in esame e sulle possibili interazioni tra gli stessi. A partire dalle ipotesi vengono costruiti i microcosmi. Ogni microcosmo è costituito da un becher aperto la
cui composizione è variabile e viene decisa e discussa con gli studenti, mantenendo
isso il volume inale. Ogni sistema è fotografato e monitorato al ine di veriicarne i
cambiamenti. Al microcosmo da testare è aiancato un microcosmo di controllo, in
condizioni ottimali contenente in un volume inale di 200 ml:
• 5 individui di Daphnia magna adulti
• 300.000 cell/ml di sospensione algale
• acqua
• sedimento
• luce
• agitazione costante
Dal confronto con il controllo gli studenti possono confutare o riiutare le
ipotesi iniziali. Al termine dell’attività ogni gruppo prepara un poster in cui ha riassunto le ipotesi e i risultati ottenuti e lo espone a tutta la classe. Durante tutta la durata del laboratorio le osservazioni vengono puntualmente registrate su un quaderno
di laboratorio individuale.
Risultati
L’esperienza qui descritta è stata svolta durante tre successivi anni accademici
(2006-2008). Si tratta di un’esperienza della durata di 20 ore, svolta in giorni successivi per consentire un’osservazione costante dei microcosmi da parte di ogni gruppo.
Dall’analisi dei quaderni di laboratorio raccolti al termine di ogni anno di attività è
stato possibile valutare (per lo meno qualitativamente) l’efettiva utilità dell’esperienza. Ogni studente ha, infatti, annotato le sue ipotesi iniziali e ogni fase del percorso
che lo ha portato a scartare o accettare l’ipotesi iniziale.
In genere, le ipotesi formulate dagli studenti riguardavano le esigenze degli
organismi (“le alghe fanno la fotosintesi, quindi necessitano di luce”, “la Daphnia
magna si nutre di alghe”). L’utilizzo di sedimento d’acquario ha permesso di aprire
una inestra sul mondo dei decompositori, anello fondamentale dell’ecosistema (“nel
sedimento ci sono i decompositori”). La veriica delle ipotesi sopra riportate è avve-
293
Annastella Gambini et al.
nuta mediante l’osservazione di microcosmi alterati (senza luce, senza Daphnia magna e senza sedimento). Le osservazioni nel corso di 3-5 giorni hanno riguardato i
cambiamenti del colore dell’acqua del campione esaminato (osservazione a occhio
nudo dell’intensità del verde, come indice della densità delle alghe) e le diferenze
giornaliere tra il campione e il suo controllo.
I parametri selezionati per l’osservazione dei cambiamenti si sono rivelati suficienti: i cambiamenti di colore dell’acqua, per esempio, erano molto evidenti soprattutto dopo 4 giorni di osservazione, riconfermando la possibilità di svolgere
quest’esperienza anche senza il supporto di strumenti per la conta algale o camere di
Burker non sempre facilmente reperibili, soprattutto considerando un eventuale
adattamento dell’esperienza alla scuola primaria. I tempi di osservazione si sono rivelati adeguati anche se averli più dilatati favorirebbe una migliore osservazione della
crescita algale. L’utilizzo di un controllo si è rivelato strumento indispensabile per
una migliore interpretazione dei risultati. L’osservazione dei risultati e la discussione
collettiva hanno messo in luce maggiori informazioni sorte dall’esperienza.
Discussione
La costruzione di microecosistemi rappresenta una notevole sempliicazione
di quello che avviene negli ecosistemi reali ma permette di approfondire e interpretare le relazioni che avvengono anche nei sistemi complessi. Di solito a scuola l’argomento “ecosistema” è trattato in modo teorico: è liquidato con la conoscenza di elenchi (brevissimi) di elementi legati da relazioni alimentari, spesso poco correlati ai
fattori abiotici, il ruolo dei decompositori è solo accennato, i sussidiari riportano
modelli estremamente riduttivi della complessità degli ecosistemi (Gambini et al.,
2009). Si vanno a visitare luoghi naturali protetti, o all’acquario a vedere come è stata ricostituita la barriera corallina, si guardano documentari sul deserto, sulle savane,
sulle zone alpine, ma raramente sono proposte attività didattiche “per capire” alcuni
aspetti delle relazioni tra gli elementi degli ecosistemi.
Mediante la costruzione di microcosmi sono stati afrontati argomenti base
della biologia (fotosintesi, rapporto struttura/funzione negli organismi viventi) e
dell’ecologia (predazione, crescita di popolazione, ruolo dei decompositori, ecosistemi). La valutazione del prodotto inale da parte del docente, rappresentato dal quaderno di laboratorio e dal poster realizzato dagli studenti, ha permesso di veriicare
sia l’utilità dell’esperienza sia l’eicacia della metodologia proposta. In particolare, è
294
Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici
stata valutata la capacità di rielaborare i concetti alla base dell’esperienza e il livello di
comprensione. Sarebbe interessante riproporre tale esperienza all’interno della scuola
primaria per veriicare le diferenze di apprendimento tra adulti e bambini e la competenza didattica acquisita dopo la partecipazione al laboratorio (spiegazioni e conduzione di discussione attorno al tema) che le future insegnanti acquisiscono attraverso queste pratiche di laboratorio.
Bibliografia
De Vecchi, G. & Carmona Magnaldi, N. (2000) Aiutare a costruire le conoscenze. La Nuova Italia, Firenze.
Gambini, A., Pezzotti, A. & Ardemagni, A. (2006) Il laboratorio della vasca tattile: un approccio alla biologia che
parte dall’esperienza personale. Le Scienze Naturali nella scuola, Anno XV, 28, Lofredo Editore.
Gambini, A., Pezzotti, A. & Broglia, A. (2009) Sussidiari ed esperienze didattiche di tipo pratico: due modi contrapposti con cui afrontare a scuola la complessità dei temi ambientali. Atti del XVIII Congresso Nazionale
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IRSA (1991) Saggio di tossicità con Daphnia. Quaderni IRSA n.93.
Odum, E. P. (1988) Basi di Ecologia, Piccin-Nuova Libreria.
Roberts, R. & Gott, R. (2008) Practical work and the importance of scientiic evidence in science curricula.
Education in Science, 230, 8-9. ASE (Association for Science Education). Available at: www.ase.org.uk/htm/
members_area/journals/eis_nov_2008/8-9.pdf
295
Consumi amici del clima:
capire i cambiamenti climatici
facendo di conto
A website to help student’s
hands-on appreciation of climate changes
Giovanna Ranci Ortigosa1*, Giorgio Guariso1 & Antonio Bossi2
1
Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano, Via Ponzio 34/5, 20133 Milano
2
WWF Italia, Programma Educazione, Via Orseolo 12, 20144 Milano
*[email protected]
Abstract
Il progetto “Consumi amici del clima”, promosso dal WWF Italia e sviluppato dal
Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano grazie al
contributo della Fondazione Cariplo, è un progetto di didattica avanzata e interattiva
rivolto alle Scuole Secondarie di secondo grado. Suo scopo principale è quello di
sensibilizzare gli studenti al problema dei cambiamenti climatici stimolandoli ad
adottare comportamenti e stili di vita che producano meno emissioni di gas serra.
Il progetto si concretizza nel sito Internet www.consumieclima.org che accompagna le
classi in un viaggio in sei tappe lungo il percorso dell’anidride carbonica, partendo
dalle emissioni individuali per arrivare alla variazione della temperatura media
terrestre. Caratteristica peculiare del corso è quella di chiedere agli allievi di valutare
personalmente le diverse problematiche legate ai cambiamenti climatici, utilizzando
dati reali e strumenti matematici implementati attraverso fogli di calcolo strutturati
ad hoc. Lo studente passa quindi dalla stima delle proprie emissioni all’analisi statistica
delle temperature, dalla valutazione delle conseguenze sugli ecosistemi ino a sperimentare un modello climatico globale sempliicato per simulare gli efetti di diverse
politiche di riduzione delle emissioni climalteranti. Alla ine del percorso ogni classe è
invitata a comunicare la propria esperienza e le proprie scoperte attraverso la preparazione di materiale multimediale che viene pubblicato sul sito web.
Il progetto, già segnalato dalla Commissione Europea, nell’anno scolastico 2008-2009
è stato seguito da undici classi di varie scuole della Lombardia.
297
Giovanna Ranci Ortigosa et al.
Introduzione e obiettivi del progetto
I cambiamenti climatici pongono l’urgente necessità di azioni eicaci di educazione alla sostenibilità che promuovano stili di vita e modelli di consumo a minor
impatto ambientale (UNESCO, 2005). Tali azioni sono fondamentali per poter fornire ai giovani le conoscenze scientiiche necessarie per intraprendere scelte consapevoli (Lenzen & Murray, 2001) e possono eicacemente avvalersi di Internet e delle
nuove tecnologie della comunicazione (UNESCO, 2007). I cambiamenti climatici,
dal canto loro, sono un ottimo argomento dal punto di vista didattico per favorire
un approccio scientiico ai problemi ambientali che ne evidenzi l’intrinseca complessità (Dahlberg, 2001).
In questo ambito si colloca il progetto “Consumi amici del clima” promosso
dal WWF Italia e sviluppato dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano grazie al contributo della Fondazione Cariplo. L’obiettivo centrale del progetto è quello di sensibilizzare gli studenti delle Scuole Secondarie di secondo grado al problema dei cambiamenti climatici, rendendoli maggiormente
consapevoli delle conseguenze dei propri comportamenti e stimolandoli a trovare e
ad attuare coscientemente comportamenti che riducano le proprie emissioni.
Le tematiche del progetto sono state afrontate seguendo due linee guida peculiari e per molti versi innovative:
1. rendere gli studenti protagonisti del proprio apprendimento e delle proprie scoperte proponendo loro le diverse problematiche come domande a cui devono cercare essi stessi risposte (European Commission, 2007);
2. introdurre, in modo semplice e operativo, competenze che diicilmente entrano
a far parte del bagaglio scolastico e personale degli studenti delle scuole secondarie ma che sono utili per rispondere alle domande stesse e, più in generale, per
comprendere appieno la complessità delle problematiche ambientali. In particolare, si introducono:
a) l’analisi di ampi insiemi di dati ambientali reali che mette gli studenti a diretto confronto con situazioni vere, diverse dagli esercizi che si utilizzano normalmente in classe, consentendo loro di ripercorrere, almeno in parte, l’efettivo lavoro degli scienziati e di rendersi conto dell’estrema complessità dei
fenomeni e della conseguente impossibilità di una loro descrizione esaustiva;
b) l’utilizzo di strumenti quantitativi, quali semplici modelli e metodi di analisi
dei dati, che, seguendo procedure chiaramente deinite, trasparenti e ripercorribili, permettono agli studenti di leggere e confrontare dati, di stimare gli ef-
298
Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto
fetti conseguenti a diversi stili di vita/scenari, stimolandoli così ad una maggior responsabilizzazione verso le proprie scelte individuali;
c) l’uso di modelli dinamici che, tenendo conto dell’evoluzione nel tempo di un
processo, forniscono agli studenti nuove chiavi di lettura di fenomeni ambientali, spesso studiati a scuola unicamente in condizioni di equilibrio, e permettono di comprendere le conseguenze di una certa azione anche molto in là
nel tempo;
d) l’introduzione al concetto di incertezza, strettamente legato allo sviluppo
scientiico perché insito nei dati che vengono utilizzati, nei modelli che descrivono i processi reali e nelle previsioni dei fenomeni. Si propone così ai ragazzi
l’idea che non esistono modelli o soluzioni esatte ma che, come diceva Leonardo da Vinci, “nelle cose confuse, l’ingegno si desta” e occorre quindi imparare a navigare nella complessità, uscendo da schemi consolidati per sviluppare un pensiero creativo e soluzioni operative innovative.
Il sito web “Consumi amici del clima”
Il progetto si è concretizzato nella realizzazione del sito web (www.consumieclima.org) dedicato a studenti e docenti delle Scuole Secondarie di secondo grado, a
cui propone un percorso didattico speciico, ma accessibile a tutti.
L’area principale del sito è “Il nostro percorso” (Fig. 1) che consiste in sei moduli, più quello introduttivo, che accompagnano gli studenti, passo passo, nella scoperta del fenomeno dei cambiamenti climatici. Il percorso parte dalle nostre emissioni
di gas serra, prosegue verso l’atmosfera dove esse si accumulano dando luogo ad un
aumento dell’efetto serra e dove si scopre che la crescita della concentrazione dei gas
serra è legata all’aumento della temperatura atmosferica. Inseguendo le conseguenze
del riscaldamento globale, si torna quindi sulla Terra per scoprire quali azioni e cambiamenti concreti sono necessari per una sua riduzione.
299
Giovanna Ranci Ortigosa et al.
Figura 1: Una pagina del percorso di www.consumieclima.org. Sulla sinistra il menu delle
sezioni del modulo. I punti di domanda nel testo rimandano alle voci del glossario.
Ogni modulo è composto dalle medesime sezioni che forniscono sia i concetti teorici che gli strumenti quantitativi per afrontare le esercitazioni pratiche inerenti all’argomento trattato. Le sezioni sono le seguenti:
• Il problema: delinea il problema centrale del modulo ponendo agli studenti una
domanda concreta a cui devono trovare risposta;
• Mettiti alla prova: fornisce i dati per svolgere piccoli studi guidati che, analizzando
un problema reale, permettano di dare una risposta alla domanda posta nella sezione iniziale. L’esercitazione consiste in un foglio elettronico (Microsoft ® Excel)
in cui tutte le celle sono bloccate e non modiicabili tranne quelle utili allo studente per inserire dati e formule necessarie alla soluzione degli esercizi (Fig. 2);
• Strumenti utili: contiene le schede operative che descrivono i metodi quantitativi
da utilizzare per lo svolgimento dell’esercitazione;
• Trai le conclusioni: permette di accedere, tramite un test a risposta multipla
sull’esercitazione svolta, alla discussione dei risultati, collegandoli a conclusioni
più generali.
300
Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto
Presentazione del problema
Dati del caso reale (non modificabili)
Risposte aperte degli studenti (celle libere
in cui devono essere inserite formule)
Risposte chiuse degli studenti
(da selezionare tra le opzioni)
Spazio di lavoro per calcoli intermedi e note
Figura 2: Un foglio di calcolo per le esercitazioni del progetto “Consumi amici del clima” con le
varie tipologie di celle utilizzate.
La tabella I riporta i contenuti dei moduli, mette in evidenza il processo logico e di apprendimento che caratterizza ciascuno di essi (problema – esercitazione per
risolverlo – conclusioni) e come essi siano concatenati logicamente tra loro (la domanda di un modulo parte dalle conclusioni del modulo precedente). Ciascun modulo contiene tutte le nozioni e gli strumenti necessari per il suo svolgimento anche
in maniera indipendente dagli altri. Si può quindi scegliere di svolgerli in maniera
consequenziale, ma anche di svolgerne solo alcuni o di seguire percorsi diversi che
mettano in maggiore evidenza alcuni aspetti, quali la comprensione scientiica del
fenomeno piuttosto che il tema dei consumi. Proprio in questa libertà di fruizione
sta il grande vantaggio dell’approccio adottato, nonché il ruolo attivo che l’insegnante può assumere nel guidare gli studenti lungo il percorso e anche nelle singole esercitazioni.
301
Giovanna Ranci Ortigosa et al.
Tabella I: Sintesi dei contenuti dei moduli didattici del progetto “Consumi amici del clima”.
Introduzione
Notizie dal mondo
Una sequenza di immagini e titoli di giornali per incuriosire e interrogarsi sui
cambiamenti climatici
Il problema
Mettiti alla prova
Trai le conclusioni
Modulo 1
Noi, produttori di CO2
Tutti noi emettiamo gas
serra, quanto ne
emettiamo?
Calcolo e lettura critica
della carbon footprint
individuale e di classe.
Il nostro stile di vita e
molte attività umane
causano notevoli
emissioni di gas serra in
atmosfera.
Modulo 2
Anidride carbonica dove
vai?
Dove va l’anidride
carbonica che emettiamo?
Bilanci numerici del ciclo
del carbonio; stima degli
alberi necessari per
assorbire le nostre
emissioni di gas serra.
Le emissioni antropiche di
anidride carbonica non
riescono ad essere
“smaltite” dal ciclo del
carbonio: in atmosfera
entra più CO2 di quanta ne
esca.
Modulo 3
Ma quanta CO2 c’è in
atmosfera?
Se la CO2 si sta accumulando in atmosfera,
quanto aumenta la sua
concentrazione? Come
conoscere le concentrazioni di CO2 attuali e
del passato?
Lettura e analisi di serie
reali di dati di concentrazione atmosferica di CO2
Misurazioni effettuate
nella nostra atmosfera ci
confermano che la
concentrazione di CO2 sta
aumentando e ha
raggiunto livelli mai
toccati negli ultimi
650.000 anni.
Modulo 4
Troppo caldo in arrivo?
L’aumento di gas serra in
atmosfera ha conseguenze sulla temperatura
terrestre?
Analisi di dati reali per
verificare il legame tra
concentrazione di CO2 e
temperatura media
terrestre.
Studi scientifici
dimostrano che l’aumento
di concentrazione di CO2 è
legata ad un aumento
della temperatura media
terrestre.
Modulo 5
Cosa sarà di noi?
Quali saranno le
conseguenze dell’aumento della temperatura
terrestre? Come
prevedere il clima del
futuro?
Ghiacciai che scompaiono, città che vengono
sommerse, animali che
emigrano: misura di
alcune conseguenze dei
cambiamenti climatici.
Le conseguenze del
riscaldamento globale
riguarderanno molte
variabili climatiche e molti
aspetti della nostra vita.
Alcuni cambiamenti sono
già in atto!
Modulo 6
… e ora cosa possiamo
fare?
Cosa possiamo fare per
arrestare i cambiamenti
climatici? Serve ridurre
le nostre emissioni di gas
serra in atmosfera?
Utilizzo di un modello
climatico globale
semplificato per simulare
gli effetti di diversi scenari
di emissione di gas serra
sulla temperatura media
terrestre.
Le nostre emissioni
influenzano la variazione
della temperatura media
terrestre. Individuare
politiche e scelte amiche
del clima è possibile.
A titolo di esempio, il modello climatico globale sempliicato contenuto nel
modulo 6 permette diversi modi di utilizzo. Basato sulle equazioni sviluppate da
Joos et al., (2001) attualmente implementate nel Java Climate Model (www.climate.
unibe.ch/jcm), esso consente di stimare la variazione di temperatura prevista nel
2050 e nel 2100 in corrispondenza di diversi tassi di variazione delle emissioni di
302
Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto
CO2 equivalente ed aerosol. Lo studente, intervenendo direttamente sul foglio di
calcolo, può quindi valutare gli efetti di diversi scenari di emissione in termini di
concentrazioni, di forzanti radiativi, di andamento delle temperature. Ma, grazie alla
lessibilità del software, può anche porsi e risolvere il problema inverso (quale dovrebbe essere la variazione delle emissioni per raggiungere in un certo anno una certa
temperatura?) o sperimentare gli efetti di una misura di contenimento delle emissioni che venga applicata solo da un certo anno in avanti.
Sul sito sono presenti anche:
• l’area “Abbiamo scoperto che…” che raccoglie i materiali (video, presentazioni, testi) prodotti dalle classi;
• l’area “Per i docenti” speciicatamente dedicata a fornire supporto agli insegnati
riguardo l’articolazione del percorso didattico, i prerequisiti necessari per afrontarlo, i contenuti dei moduli e le soluzioni degli esercizi (protette da password);
• un glossario accessibile direttamente dai testi (Fig. 1);
• bibliograia scientiica, elenco di siti web tematici e materiale di approfondimento scaricabile (video, banche dati, articoli scientiici e divulgativi).
Il sito web è stato sviluppato ponendo grande attenzione alla sua chiarezza e
facilità d’utilizzo ainché tutti i contenuti fossero usufruibili in maniera autonoma e
lessibile da docenti e studenti nonché all’uso di una comunicazione (sia linguistica
che graica) chiara, stimolante e adatta all’età, ottenuta anche attraverso la preparazione di materiali multimediali e igure interattive.
Erogazione del progetto nell’anno scolastico 2008/2009
Nel corso dell’anno scolastico 2008/09 il progetto è stato proposto a undici
scuole secondarie della Lombardia (3 licei scientiici e 8 istituti tecnici) per un totale
di 12 classi o gruppi (3 classi del biennio, 7 del triennio e 2 gruppi di interclasse).
Il percorso didattico è iniziato con una conferenza di presentazione aperta a
tutti, seguita da due incontri di formazione e veriica per i soli docenti con i curatori
del progetto, e ha visto la disponibilità di un tutor contattabile via posta elettronica
da docenti e studenti.
Undici classi hanno seguito il progetto ino alla ine dell’anno scolastico affrontando alcuni o tutti i moduli. Un questionario di valutazione inale compilato da
studenti e docenti ha evidenziato che:
303
Giovanna Ranci Ortigosa et al.
• l’interesse della maggior parte dei docenti è stato molto alto;
• tra gli studenti, il 18 % ha trovato il progetto molto interessante, il 74 % abbastanza interessante e solo l’8 % per nulla interessante;
• sono state apprezzate soprattutto la chiarezza con cui sono trattati gli argomenti,
il metodo di lavoro proposto e l’organizzazione del sito web;
• la principale diicoltà incontrata è stata la mancanza di tempo (il progetto è iniziato solo a febbraio 2009);
• le classi del biennio hanno incontrato diicoltà ad usare alcuni degli strumenti
matematico-quantitativi proposti e i fogli elettronici.
Nel periodo di erogazione del corso (febbraio-maggio 2009) gli accessi al sito
sono stati oltre 2000 con una media giornaliera di 45 visite e 28 visitatori, le pagine
web visitate oltre 24000 di cui circa 9000 visitate più volte, mediamente ogni visita
è durata quasi 6 minuti e ha comportato la visione di circa 7 pagine. Il tutor è stato
contattato quasi esclusivamente dai docenti circa 50 volte, sia sui contenuti del corso
che per questioni tecniche e organizzative.
Dieci classi, sulle undici partecipanti, hanno prodotto video, presentazioni e
testi sui temi del progetto o hanno svolto e commentato gli esercizi proposti, contribuendo anche al loro miglioramento.
Discussione
La scommessa alla base del progetto non era semplice data la più volte rilevata
avversione di molti studenti alle materie scientiiche e alla matematica, in particolare. Tuttavia il corso ha trovato un riscontro molto positivo da parte dei docenti e indubbiamente soddisfacente da parte degli studenti, malgrado le diicoltà incontrate.
A riprova di ciò, il fatto che molti dei docenti riproporranno il progetto in maniera
autonoma a nuove classi.
L’esperienza ha dimostrato che sarebbe utile mettere a punto una guida dettagliata agli esercizi per i docenti, rivedere alcune schede “Strumenti” risultate di più
diicile comprensione ed eventualmente creare un livello di esercizi più semplice rivolto alle classi del biennio.
La lessibilità della struttura proposta si è rivelata molto importante per i docenti che hanno potuto adattarla alla loro speciica situazione creando percorsi ad
hoc per le diverse classi o anche per i diversi studenti. Proprio in questo senso i do-
304
Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto
centi hanno espresso la preferenza per una formazione speciica sui contenuti rivolta
a loro, piuttosto che direttamente agli studenti.
Per difondere il progetto nell’anno scolastico 2009-10 è stato distribuito ad
altre Scuole Secondarie e agli Uici Scolastici un CD-ROM contenente l’intero sito
e si sta valutando la sua traduzione in inglese.
Credits
Il sito web del progetto è stato realizzato da Invisibile Studio (www.invisiblestudio.it), la segreteria organizzativa è stata curata dall’Associazione Idea (www.ideainrete.net).
Bibliografia
Dahlberg, S. (2001) Using Climate Change as a Teaching Tool. Canadian Journal of Environmental Education, 6,
9-17.
European Commission (2007) Science Education NOW: A renewed Pedagogy for the Future of Europe. Oice for Oicial Publications of the European Communities, Luxembourg.
Joos, F. I. C., Prentice, S., Sitch, R., Meyer, G., Hoos, G.-K., Plattner, S., Gerber & Hasselmann, K., 2001. Global
warming feedbacks on terrestrial carbon uptake under the Intergovernmental Panel on Climate Change
(IPCC) emission scenarios, Global Biogeochemical Cicles, 15, 891-907.
Lenzen, M. & J., Murray (2001) he Role of Equity and Lifestyles in Education about Climate Change: Experiences from a Largescale Teacher Development Program. Canadian Journal of Environmental Education, 6,
32-51.
Unesco (2005) United Nations Decade of Education for Sustainable Development (2005-2014): International Implementation Scheme. UNESCO, Paris.
Unesco (2007) he UN Decade of Education for Sustainable Development (DESD 2005-2014). he First Two Years.
UNESCO, Paris.
305
Ecologia: raccontami la storia del mio futuro
Ecology: tell me the history of my future
Serenella Sala* & Valentina Castellani
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca,
Piazza della Scienza 1, 20126 Milano
*[email protected]
Abstract
La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo paradigma
scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una prospettiva di
innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed istituzionali nei
quali esso vive. In questo contesto l’ecologia rappresenta una delle discipline fondamentali per comprendere cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti,
evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo. Il contributo proposto illustra modalità
e ragioni per far evolvere l’educazione ambientale, attraverso la maggior integrazione
di principi ecologici, verso una educazione alla sostenibilità.
Introduzione
La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo paradigma scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una prospettiva di innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed
istituzionali nei quali esso vive. Ma al di là del paradigma scientiico – inteso come
“una costellazione di conclusioni, concetti, valori, tecniche condivise da una comunità scientiica, e usate dalla comunità per deinire problemi e soluzioni lecite”
(Kuhn, 1962), la scienza della sostenibilità richiede di deinire anche un nuovo paradigma sociale – inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e comportamenti condivisi da una comunità, che dà forma ad una visione particolare della
realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996).
La ragione di questa necessità di nuovi paradigmi nasce proprio dalle speciicità della scienza della sostenibilità: problemi e soluzioni lecite possono essere deinite solo muovendo da alcuni principi base relativi alla initezza delle risorse a disposizione, alla capacità di carico dei sistemi naturali, al ruolo delle reti e alla loro
307
Serenella Sala & Valentina Castellani
complessità (Buchanan, 2004). Le cosiddette soluzioni lecite non investono però la
sola sfera scientiica ma anche il paradigma sociale, i modelli di produzione e consumo e, in ultima analisi, le scelte economiche e sociali di coloro che sulle risorse ambientali basano la propria sopravvivenza. Appare logico, quindi, che il paradigma
sociale che determina scelte di produzione e consumo e comportamenti rappresenti
la dimensione delle soluzioni lecite dei problemi riguardanti la sostenibilità, sia essa
intesa come debole o forte (Daly & Farley, 2004).
In questo contesto la scienza della sostenibilità rappresenta una scienza di sintesi che integra diverse discipline al ine di comprendere i cicli di materia ed energia,
dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il
futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo. Non è
ancora una disciplina scientiica matura (Komiyama & Takeuchi, 2006) con chiare
componenti concettuali e teoriche, ma una convergenza transdisciplinare di rilessioni e ricerche derivanti da discipline diverse, che cercano di analizzare le interazioni
dinamiche tra sistemi naturali, sociali ed economici e di comprendere i modi migliori per “gestirle” (Bologna, 2008).
Importanti istituzioni universitarie hanno avviato programmi di ricerca interdisciplinare nella scienza della sostenibilità “per migliorare la comprensione delle dinamiche dei sistemi uomo-ambiente, per facilitare la progettazione, l’implementazione e la valutazione di pratiche di intervento che promuovano la sostenibilità in
particolari luoghi e contesti e per migliorare il collegamento tra ricerche rilevanti e
comunità innovative da una parte e rilevanti politiche e comunità di management
dall’altra” (Harvard Univerrsity, 2009).
In questo scenario l’ecologia può rappresentare efettivamente la “scienza guida” (Dellavalle, 2003) dello sviluppo armonioso tra società umana e ambiente ed essere una fondamentale disciplina di educazione non solo “ambientale” ma anche di
“sostenibilità” (Castellani & Sala, 2008) come verrà chiarito in seguito.
Educazione ecologica ed educazione ambientale non sono sinonimi
Le potenzialità dell’educazione ambientale come strumento di cambiamento
culturale per un futuro sostenibile sono note già da tempo ma, perché questo sia realmente possibile, occorre ampliare gli orizzonti educativi, introducendo una serie di
prospettive multidisciplinari, trasversali e globali, che investano le modalità di pen-
308
Ecologia: raccontami la storia del mio futuro
siero, le conoscenze, ma anche i comportamenti e le relazioni sociali (Falchetti &
Caravita, 2005).
Nello speciico, occorre porre l’accento sulla diferenza tra educazione ambientale ed educazione ecologica. Nonostante spesso usati come sinonimi, non lo
sono afatto. L’educazione ecologica supera la descrizione dei comparti ambientali e
il mero trasferimento di nozioni e prevede, sia nei contenuti che nei metodi, l’integrazione di alcuni principi ecologici di base.
Un elenco non esaustivo ma indicativo di tali principi ecologici è quello fornito dalle correnti della cosiddetta “Ecoliteracy” che ritiene l’attuale crisi ecologica in
parte una crisi legata ai sistemi e ai contenuti educativi delle società moderne (Stone
& Barlow, 2005) e che insegna agli studenti ad individuare connessioni tra problemi
apparentemente disgiunti, immaginare “pattern” anziché parti disgiunte, a vivere se
stessi come comunità di apprendimento in interrelazione con tutta la rete della vita.
I concetti di base sviluppati dall’educazione ecologica possono essere sintetizzati come:
• Reti. Tutti i membri di una comunità ecologica sono interconnessi in una rete
vasta e intricata di relazioni (la rete della vita) da cui derivano le loro proprietà
essenziali.
• Sistemi nidificati. In tutta la natura si trovano a più livelli strutture dei sistemi
nidiicati che contengono altri sistemi ed allo stesso tempo sono parte di un tutto
più grande. Ciascun livello può sviluppare un insieme di proprietà emergenti.
• Cicli. Le interazioni tra i membri di una comunità ecologica si basano sullo
scambio di energia e di risorse in continua ciclicità.
• Flussi. Tutti gli organismi sono sistemi aperti, il che signiica che hanno bisogno
di un lusso continuo di energia e di risorse per rimanere vivi.
• Sviluppo ed evoluzione. Il dispiegarsi della vita, che si manifesta come lo sviluppo e l’apprendimento a livello individuale e come l’evoluzione a livello di specie,
comporta un gioco di creatività e di adattamento reciproco, in cui gli organismi
e l’ambiente coevolvono.
• Equilibrio dinamico. Tutti i cicli ecologici agiscono come anelli di retroazione, e
questa è la modalità di regolazione e organizzazione delle comunità ecologiche
che mantengono così uno stato di equilibrio dinamico caratterizzato da continue
luttuazioni (Centre of Ecoliteracy, 2009).
309
Serenella Sala & Valentina Castellani
Dall’educazione ecologica all’educazione alla sostenibilità e
ad un nuovo concetto di “cittadinanza”
Le side poste dallo sviluppo sostenibile ci richiedono di evolvere i paradigmi
scientiici, sociali ed educativi e in questa evoluzione il ruolo dell’ecologia è quanto
mai cruciale.
Non dobbiamo inventare da zero comunità umane sostenibili. Possiamo imparare dalle società che hanno vissuto sulla terra per centinaia di anni. Ma soprattutto possiamo modellizzare e comprendere gli ecosistemi, che sono comunità sostenibili di piante, animali e microorganismi. Dal momento che la primaria caratteristica
della biosfera è quella di sostenere la vita, una comunità umana sostenibile dovrebbe
essere tale da utilizzare il proprio potenziale culturale, sociale e tecnologico per onorare, supportare e cooperare con la natura nel suo ruolo di sostenere la vita (Centre
of Ecoliteracy, 2009).
Infatti, le più note deinizioni di sostenibilità (IUCN/UNEP/WWF, 1991) riguardano per lo meno quattro dimensioni: oltre quella ambientale sono contemplate
quella economica, quella sociale e quella istituzionale. Questa visione richiede, quindi, di coinvolgere anche il sistema sociale ed economico nella transizione verso la sostenibilità ed in questo coinvolgimento si sostanzia la transizione tra educazione ambientale ed educazione alla sostenibilità. Aumentare la complessiva consapevolezza
ecologica per arginare “l’atteggiamento incurante e rapace verso la vita” (Lorenz,
1974) che caratterizza l’archetipo del cittadino consumatore compulsivo. Se l’attuale
crisi economica la immaginassimo come un fattore limitante dell’attuale sviluppo, e
prendessimo ad esempio le dinamiche dei sistemi ecologici per capire cosa succederà
alla “popolazione”, la selezione naturale ci insegnerebbe che i più resistenti saranno
coloro che avranno sviluppato maggiori capacità di adattamento, che con nuove risorse riusciranno a continuare a soddisfare i propri bisogni. Se questo in natura avviene
per via istintiva, in una società fatta di uomini è frutto anche di conoscenza e di nuova conoscenza. Può sembrare estremamente utopistico ma il “sapere” può diventare la
chiave di volta e la formazione, l’istruzione e la ricerca in ecologia e nella scienza della
sostenibilità, le leve fondamentali dell’evoluzione della nostra era, l’antropocene.
Ecco perché l’ecoalfabetizzazione rappresenta un modo per sviluppare il senso
critico e per comprendere i principi ecologici che gli ecosistemi hanno sviluppato per
sostenere la rete della vita, sviluppando un nuovo concetto di cittadinanza: se conoscere la Costituzione è uno degli elementi per essere un consapevole abitante di una nazione, conoscere i principi ecologici lo è per essere un consapevole abitante della Terra.
310
Ecologia: raccontami la storia del mio futuro
La transizione verso l’educazione alla sostenibilità
L’educazione alla sostenibilità riveste un ruolo chiave nell’evoluzione dell’attuale contesto culturale, basata su una profonda conoscenza tecnico-scientiica, inserita in una visione sistemica ed olistica dell’ambiente, tale da permettere di cogliere
le relazioni di causa-efetto tra gli elementi che lo compongono e tra ambiente, economia, società, cultura, tradizioni e storia.
Lo sviluppo di percorsi di educazione alla sostenibilità ad oggi è una sida
aperta, che richiede:
• di tradurre il sapere relativo ad una varietà di discipline e di aspetti, spesso tra
loro fortemente correlati;
• di non trasferire solo nozioni ma di intervenire sui comportamenti dei singoli,
corresponsabilizzandoli;
• di integrare degli aspetti precipui dell’educazione ambientale con quelli dell’educazione al consumo, in quanto le tematiche dello sviluppo sostenibile e della protezione dell’ambiente sono strettamente correlate a tutti gli aspetti della vita quotidiana e alla necessità di nuovi modelli di sviluppo della società;
• di sviluppare modelli di formazione formale ed informale capaci di coinvolgere
ed educare non solo studenti delle scuole primarie e secondarie ma di aprirsi
all’intera comunità. Ad esempio estendendosi alle Università, dove si formano i
decisori del futuro ma anche al resto della società civile (cittadini, imprese ecc).
L’impianto educativo in relazione alla sostenibilità si fonda, quindi, su almeno
tre aspetti:
• conoscitivo (principi ecologici da un lato e impatti sull’ambiente di prodotti e
processi dall’altro);
• formativo (sviluppo delle capacità di operare per problemi, comprendendone la
complessità e sviluppo della creatività per l’elaborazione di un’ampia varietà di
soluzioni);
• orientativo (basato sulla stimolazione delle attività cognitive ainché i soggetti
risultino costruttori della propria conoscenza e consapevoli dei propri comportamenti).
L’obiettivo inale non è quindi il mero trasferimento di nozioni ma lo sviluppo di empowerment e di capacity building.
In quest’ottica emerge l’esigenza di una più ampia formazione ai formatori
perché si possa passare da un’educazione “episodica” e molto spesso svolta da soggetti esterni alla scuola (quali ad esempio associazioni ambientaliste, cooperative che
311
Serenella Sala & Valentina Castellani
propongono percorsi formativi e laboratori), ad una vera integrazione nell’attività
didattica svolta durante l’anno. Si rivela quindi necessaria una formazione multilivello al ine di completare la preparazione tecnico–scientiica degli educatori e di dare
loro adeguate competenze circa gli aspetti umanistici, pedagogici, etici, comunicativi
e psicologici fondamentali per la traduzione del “sapere” in un “agire” e in un “saper
fare” consapevole e compatibile con l’ambiente.
Alcune esperienze di educazione alla sostenibilità
Le rilessioni contenute in questo scritto derivano dall’esperienza di ricerca interdisciplinare del Gruppo di Ricerca sullo Sviluppo Sostenibile e dalle esperienze di
educazione alla sostenibilità realizzate negli ultimi 3 anni, sperimentando metodi e
approcci alla formazione formale ed informale e relazionandosi con esperienze nazionali ed internazionali. Documentazioni relative a queste attività sono disponibili sul
sito www.disat.unimib.it/griss. L’esperienza ha permesso di delineare un orizzonte
nel quale l’educazione allo sviluppo sostenibile richiede il ripensamento dei modelli
classici di educazione ambientale al ine di mettere in relazione aspetti scientiici ed
aspetti di cultura civica e di cittadinanza, per evolvere dalla comprensione dei problemi alla modiica dei comportamenti. Le iniziative consistono in una serie di
progetti focalizzati sul tema del ciclo di vita di prodotti e processi, indirizzati a tre
categorie chiave di soggetti: studenti delle scuole primarie e secondarie, cittadiniconsumatori ed imprese. Per ognuna di queste categorie di soggetti sono state individuate modalità di interazione ad hoc, partendo da attività di sensibilizzazione, informazione ed educazione incentrate sulla difusione di modelli di produzione e
consumo sostenibili, con l’obiettivo di intervenire sui modelli culturali di riferimento nonché sugli stili di vita e sui valori dei destinatari (Castellani & Sala, 2009;
Hawken et al., 1999), prendendo parte anche alle Attività di Educazione all’ambiente e allo Sviluppo Sostenibile 2008-2010 della Regione Lombardia, patrocinate
dall’UNESCO nell’ambito del decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile.
Sono, inoltre, presentati i risultati di una serie di giornate di studio promosse
dal GRISS sul tema dello sviluppo sostenibile, come momento di confronto tra i docenti e i ricercatori aferenti a diversi ambiti disciplinari (ecologia, economia, sociologia, psicologia, scienze della formazione, ecc.) che hanno sviluppato linee di ricerca
sui diversi aspetti della sostenibilità.
312
Ecologia: raccontami la storia del mio futuro
Conclusioni
Il mondo accademico in generale e quello ecologico in particolare hanno un
ruolo e una responsabilità fondamentali nella ricerca e nella difusione della cultura
della sostenibilità. In primis, l’integrazione (mainstreaming) dei concetti e principi
della sostenibilità nei vari ambiti disciplinari, la formazione degli studenti alla sostenibilità e, inoltre, la possibilità di considerare gli atenei stessi quali luoghi di sperimentazione di politiche e azioni di sostenibilità. In questo contesto, si può considerare l’ecologia una delle discipline fondamentali per comprendere cicli di materia ed
energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo, non solo in coloro che hanno una formazione scientiica con un percorso di
studi in cui l’ecologia è prevista quel materia di studio, ma trasversalmente: dalle discipline tecnico-scientiiche a quelle economiche e sociali.
Ed è cruciale anche il ruolo delle modalità e dei contenuti della comunicazione della scienza in questo contesto. Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio abuso dei termini “ecologico/sostenibile/sostenibilità” con signiicati e contesti di utilizzo molto diversiicati e con una scarsa condivisione dei concetti fondanti ad essi
sottesi. Dal momento che proprio nella comunicazione pubblica e pubblicitaria si
usano molti “slogan”, la ricerca nell’ambito della scienza della sostenibilità dovrebbe
anche individuare modalità nuove per la comunicazione dei propri risultati per distinguersi e non sovrapporsi al dilagante impoverimento di signiicato. La comunicazione della scienza in tale ambito favorirebbe quella formazione “informale” nei confronti della società civile nel suo complesso, assolutamente auspicabile nel nostro
attuale contesto sociale.
313
Serenella Sala & Valentina Castellani
Bibliografia
Bologna, G. (2008) Manuale della sostenibilità. Edizioni Ambiente, Milano.
Buchanan, M. (2004) Nexus. Perchè la natura, la società, l’economia, la comunicazione funzionano allo stesso modo.
Mondadori editore, Segrate.
Capra, F. (1996) he web of life. Anchor Books, Doubleday, New York.
Castellani, V. & Sala, S. (2008) Sostenibilità ambientale: storia e prospettive di un connubio tra ecologia, chimica e
termodinamica per l’ecoinnovazione. In: Atti della IX Convention ARG Chimica Ambiente Beni Culturali,
Cinisi (PA), 17-21 novembre 2008.
Castellani, V. & Sala, S. (2009) Investigating stakeholders’ perspectives about local development and business strategies. Proceedings of Easy-Eco (Evaluation of Sustainability) Conference 16-18 ottobre 2009, Budapest.
Centre of Ecoliteracy (2009). Available at: www.ecoliteracy.org (visitato novembre 2009).
Daly, H. & Farley, J. (2004) Ecological Economics: Principles and Applications. Island Press, Washington.
Dellavalle, S. (2003) L’urgenza ecologica. Percorso di lettura attraverso le proposte dell’etica ambientalista. Baldini e Castoldi Dalai editore, Milano.
Falchetti, E. & Caravita, S. (a cura di) (2005) Per una ecologia dell’educazione ambientale. Ist. Scholé Futuro, Torino.
Harvard University (2009) Sustainability Science Program at Harvard’s Center for International Development.
Available at: http://www.hks.harvard.edu/centers/cid/programs/sustsci (visitato settembre 2009).
Hawken, P., Lovins, A. & Lovins, L. H. (1999) Natural Capitalism: Creating the Next Industrial Revolution, Earthscan, London.
Komiyama, H. & Takeuchi, K. (2006) Sustainability science: building a new discipline. Sustain. Sci., 1, 1-6.
Kuhn, T. (1962) he Structure of Scientiic Revolution, University of Chicago Press, Chicago.
IUCN/UNEP/WWF (1991) Caring for the Earth. A strategy for sustainable living. IUCN, UNEP and WWF,
Gland, Switzerland, and Earthscan, London.
Lorenz, K. (1974) Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Adelphi editore, Milano.
Stone, M. K. & Barlow, Z. (2005) Ecological Literacy: Educating Our Children for a Sustainable World. Sierra Club
Books, San Francisco.
314
Autori
Andrisano, Teodoro … 105
Fanini, Lucia … 271
Antonucci, Antonio … 105
Fano, Elisa Anna … 77
Arena, Carmen … 37, 181
Fiorese, Giulia … 149
Aretano, Roberta … 123
Galante, Gina … 45
Barmaz, Stefania … 289
Galassi, Silvana … 289
Berretta, Claudia … 231
Gambini, Annastella … 279, 289
Bocchi, Stefano … 59
Giordano, Maria … 37
Boschetti, Mirco … 59
Giuliani, Alessandro … 105
Bossi, Antonio … 297
Goio, Ilaria … 241
Broglia, Alfredo … 279
Gomarasca, Stefano … 59
Buia, Maria Cristina … 181
Graci, Giancarlo … 59
Cantiani, Maria Giulia … 223
Gretter, Alessandro … 15, 159, 241
Carraro, Elisa … 131
Guariso, Giorgio … 149, 297
Castellani, Valentina … 139, 307
Lorenti, Maurizio … 181
Cataldi, Maria Angela … 231
Maggi, Marta … 59
Cazzolla, Roberto … 25
Maggi, Oriana … 45
Ciarallo, Marilena A. … 205
Maino, Federica … 223
Cingolani, Linda … 169
Maiolini, Bruno … 19
Cobolli, Marina … 105
Menale Bruno … 249
Copetti, Diego … 131
Meola, Angela … 37
Cotroneo, Rossana … 45
Morri, Elisa … 231
Dadamo, Marco … 259
Müller, Felix … 123
Dal Bello, Luca … 19
Notarnicola, Claudia … 25
Davolos, Domenico … 45
Orsatti, Cristina … 241
De Marco, Anna … 37
Pace, Daniela Silvia … 231
De Meo, Isabella … 223
Padula, Rosalba … 169
DeFries, Ruth … 189
Paletto, Alessandro … 223
ElGtari, Mohamed … 271
Panetta, Silvia … 45
Fahd, Soumia … 271
Pecher, Caroline … 71
315
Perego, Enrico … 149
Scolozzi, Rocco … 97, 159, 231, 241
Perini, Luigi … 89
Semeraro, Teodoro … 197
Petrosillo, Irene … 123, 197, 213, 259
Sibilio, Giancarlo … 249
Pezzotti, Antonella … 279
Tappeiner, Ulrike … 71
Pietrangeli, Biancamaria … 45
Tartari, Gianni … 131
Pileri, Paolo … 59
Tasser, Erich … 71
Pluchinotta, Angela … 77
Tersigni, Stefano … 89, 205
Porzio, Lucia … 181
Torelli, Renato … 205
Ramberti, Simona … 89
Valente, Donatella … 213
Rampa, Anna … 59
Valerio, Azzurra … 105
Ranci Ortigosa, Giovanna … 297
Vallariello, Gioacchino … 249
Reiss, Julia … 77
Venier, Marco … 231
Rovero, Francesco … 189
Vettorato, Daniele … 97
Sala, Serenella … 139, 307
Virzo De Santo, Amalia … 37
Salerno, Franco … 131
Woodward, Guy … 77
Salvati, Luca … 89, 205
Zaccarelli, Nicola … 197, 213, 231, 259
Santolini, Riccardo … 231
Zecca, Simone … 259
Scapini, Felicita … 271
Zitti, Marco … 89
Scepi, Edoardo … 45
Zurlini, Giovanni … 123, 197, 213, 259
316