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EURAC book 56 L’uomo nell’ecosistema: una relazione bilanciata? Ordinare libro: Accademia Europea Bolzano Viale Druso, 1 39100 Bolzano Tel. +39 0471 055033 Fax +39 0471 055099 E-mail: [email protected] Riproduzione parziale o totale del contenuto autorizzata soltanto con la citazione della fonte (titolo e edizione). Direttore responsabile: Stephan Ortner Curatori: Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Chiara Maria Stella Foto e immagine inizio capitoli: Uta Schirpke, Roberta Bottarin Coordinazione: Roberta Bottarin, Uta Schirpke Stampa: Esperia srl, Lavis (TN) Contatto: Istituto per l’Ambiente Alpino Viale Druso, 1 39100 Bolzano Tel. +39 0471 055333 E-mail: [email protected] Si ringrazia la Provincia Autonoma di Bolzano Agenzia provinciale per l’Ambiente per il contributo finanziario. ISBN 978-88-88906-55-3 L’uomo nell’ecosistema: una relazione bilanciata? XIX Congresso della Società Italiana di Ecologia “Dalle vette alpine alle profondità marine” Bolzano, 15-18 settembre 2009 Volume 1 Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Ulrike Tappeiner in collaborazione con la Società Italiana di Ecologia 2010 Contenuto Editorial advisors 9 Prefazione 10 Introduzione 11 Tavole Rotonde 13 Ecosystem Services Partnership, verso la costituzione di un gruppo italiano (Alessandro Gretter) 15 Ecologia e produzione idroelettrica a confronto (Luca Dal Bello & Bruno Maiolini) 19 Pattern spaziali e processi ecologici 23 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea: sinergia fra ricerche in campo ed analisi satellitari (Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola) 25 Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea: relazioni con alcune caratteristiche fogliari e con la qualità della lettiera (Anna De Marco et al.) 37 Late spring decomposition rates in a second order stream: assessing relationships among breakdown rates, decomposer diversity and substrate morphology (Gina Galante et al.) 45 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain (Northern Italy) from land-cover cartography: preliminary results (Marta Maggi et al.) 59 Alpine-wide delineation of the potential treeline (Caroline Pecher et al.) 71 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea sul processo di decomposizione fogliare in microcosmi di laboratorio: quanto contano realmente le specie? (Angela Pluchinotta et al.) 77 A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System to monitor climate aridity and drought in Mediterranean area (Luca Salvati et al.) 89 Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera: una metodologia basata su parere esperto e immagini LiDAR (Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato) 97 Premio Marchetti – Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park, Abruzzo (Azzurra Valerio et al.) 105 Impatto antropico: effetto di disturbo o di controllo? 121 The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany (Roberta Aretano et al.) 123 Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive (Elisa Carraro et al.) 131 La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico (Valentina Castellani & Serenella Sala) 139 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia (Giulia Fiorese et al.) 149 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria: Governance sostenibile e resilienza dei sistemi socio-ecologici (Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi) 159 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) (Rosalba Padula & Linda Cingolani) 169 Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato (Lucia Porzio) 181 Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas to quantify and monitor the human impact on biodiversity (Francesco Rovero & Ruth DeFries) 189 The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital (Teodoro Semeraro et al.) 197 The integrated information system on water supply and wastewater services: the Italian experience in the urban water survey (Stefano Tersigni et al.) 205 The management of the marinas in the context of environmental security (Donatella Valente et al.) 213 Come apprezzare i “servizi” offerti dagli ecosistemi? 6 221 Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali: un caso di studio nel comune di Trento (Maria Giulia Cantiani et al.) 223 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità (Maria Angela Cataldi et al.) 231 Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino, caso della Val di Ledro (TN) (Alessandro Gretter et al.) 241 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico (Bruno Menale et al.) 249 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici nel Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” (Lecce, Italia) (Nicola Zaccarelli et al.) 259 Educazione ambientale oggi 269 Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze in ambiente mediterraneo (Lucia Fanini et al.) 271 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici (Annastella Gambini et al.) 279 Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici (Annastella Gambini et al.) 289 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto (Giovanna Ranci Ortigosa et al.) 297 Ecologia: raccontami la storia del mio futuro (Serenella Sala & Valentina Castellani) 307 Autori 315 7 Editorial advisors Marco Abbiati – Università di Bologna in Ravenna Antonella Bachiorri – Università di Parma Alberto Basset – Università del Salento Roberto Bertoni – CNR sede di Verbania Ferdinando Boero – Università del Salento Roberta Bottarin – Accademia Europea di Bolzano Simona Castaldi – Seconda Università di Napoli Roberto Danovaro – Università Politecnica delle Marche Carlo Gaggi – Università di Siena Bruno Maiolini – Istituto Agrario San Michele all’Adige Antonio Mazzola – Università di Palermo Marco Moretti – Swiss Federal Research Institute Roland Psenner – Università di Innsbruck Nico Salmaso – Istituto Agrario San Michele all’Adige Massimo Tagliavini – Università di Bolzano Ulrike Tappeiner – Accademia Europea di Bolzano/Università di Innsbruck Pierluigi Viaroli – Università di Parma Vito Zingerle – Museo Scienze Naturali di Bolzano Giovanni Zurlini – Università del Salento 9 Prefazione Dr. Luigi Minach* Lasciando ai ricercatori della Società Italiana di Ecologia, delle Università nazionali ed estere, dei Centri di Ricerca e delle Agenzie per la protezione dell’ambiente il compito di indagare, nel corso del XIX congresso della S.It.E, sull’inluenza delle scale temporali e spaziali sugli ecosistemi, mi piace far notare come già la scelta di Bolzano quale luogo per il congresso sia la dimostrazione tangibile di come tempo, spazio, ecologia siano intrinsecamente collegati. L’Alto Adige, terra di montagna, regione alpina, in epoche lontanissime era un grande mare: Le Dolomiti altro non sono infatti che barriere marine tropicali, testimonianza originale della presenza del mare in questa terra. Ma non solo le rocce testimoniano tale passato, anche la presenza di lora subtropicale in valli laterali della provincia lasciano immaginare climi e geograie diversi dagli attuali. L’Alto Adige è inoltre dimostrazione “vivente” di come cambiamenti locali possano inluire a livello globale, penso ad esempio all’introduzione di tecniche costruttive di risparmio energetico di casaclima, alle piccole centrali di teleriscaldamento a biomassa locale ino alla sensibilizzazione degli abitanti di questo piccolo territorio verso stili di vita che tengano conto della limitata capacità di carico degli ecosistemi alpini. Questi approcci locali, che per la loro limitata area d’inluenza potrebbero apparire di scarsa eicacia in un’ottica globale, hanno invece attraversato i conini fondendosi e integrandosi con comportamenti e politiche ambientali virtuose di altre realtà. Tenere insieme tempo, spazio, ecologia e sviluppo umano: una sida immane, da afrontare a piccoli passi (minime distanze), a lungo termine (ragionare e procedere per tempi lunghi), con la conoscenza e rispetto di tutti gli ecosistemi interessati dai processi messi in atto dalla specie umana (sostenibilità da parte della terra nel tempo e nello spazio dell’umanità del Nord e del Sud). Una sida non impossibile, anche il mare in Alto Adige in fondo sembrava impossibile! Come Agenzia provinciale per l’ambiente abbiamo fatto nostri nel tempo questi compiti: conoscenza degli ecosistemi, monitoraggio dei parametri di qualità ambientali, misura dell’impatto delle attivita umane, ricerca ed adozione di misure di riduzione di tali impatti, sensibilizzazione verso uno stile di vita sostenibile. * Direttore di Ripartizione dell’Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano 10 Introduzione Roberta Bottarin* I sistemi ecologici sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità sia spaziale che temporale. La scala temporale condiziona tutta l’ecologia, la descrizione dei suoi fenomeni, delle sue leggi, la vita delle specie. Il tempo va inteso, nel contesto ecologico, come velocità di cambiamento: non è l’estinzione di una specie che ci dovrebbe preoccupare (le specie si sono sempre estinte…), ma la velocità con la quale essa avviene. Non è la crescita di una popolazione di alghe che ci deve fare allarmare, ma la velocità con la quale queste si moltiplicano. Non è il cambiamento climatico che ci deve fare rilettere, ma il fatto che ciò si veriichi ad un ritmo incalzante. L’incorporazione della scala spaziale e temporale nelle teorie, nei modelli e nei disegni di campionamento ci ha permesso negli anni di incrementare la nostra conoscenza di come la dinamica delle popolazioni e le interrelazioni fra specie rispondono ai cambiamenti dell’ambiente, siano essi isici, quali la temperatura, o biologici, quali le relazioni preda-predatore. I recenti passi avanti fatti in ambito tecnologico, software sempre più soisticati, tecniche analitiche sempre più speciiche hanno permesso di acquisire ed elaborare un numero sempre maggiore di dati, nonché di sviluppare modelli di processi ecologici a varie scale spaziali e temporali. Le interrelazioni fra scala spaziale e temporale e la loro scelta appropriata negli studi ecologici rimangono spesso una sida per gli ecologi. Il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Ecologia ha voluto mettere in risalto l’importanza delle scale temporali e spaziali nell’ecologia e dimostrare come queste possano fornire informazioni utili per comprendere e migliorare la gestione degli ecosistemi nella loro complessità. * Coordinatrice Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC 11 Tavole Rotonde Ecosystem Services Partnership, verso la costituzione di un gruppo italiano Alessandro Gretter Hanno aderito circa 26 persone in rappresentanza di 11 diverse istituzioni (Università del Salento, EURAC research, Università degli Studi di Trento, Università di Salerno, Ökoinstitut Bolzano, Istituto Federale Svizzero WSL, University of Manitoba (Canada), IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach, Università di Urbino, Università di Milano Bicocca, Università de L’Aquila). Rocco Scolozzi (IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach) fa un veloce excursus rispetto alle motivazioni che hanno portato alla creazione di questa tavola rotonda, nata come spunto dai partecipanti del corso “Conference on Modelling Ecosystem Service – MIMES” (www.mes2009.it) svoltosi ad Acaya (Lecce) nel maggio 2009. Il prof. Giovanni Zurlini (Università del Salento) illustra la Ecosystem Services Partnership, di recente costituzione, ed il processo storico legato agli ecosystem services ed alle inalità che una loro identiicazione e valutazione possono avere in una prospettiva di conservazione degli ecosistemi stessi. La prospettiva attuale e futura è di comprendere le interferenze e raggiungere un maggior dettaglio di accuratezza anche nell’ottica di giungere ad una nuova elaborazione del Millennium Ecosystem Assessment con un dettaglio di scala inferiore a quello globale dove si possano correggere i grossi limiti della precedente edizione. Per il contesto nazionale si auspica un processo “top-down” che sia in grado di porre in evidenza le molteplici speciicità caratterizzanti il territorio italiano. Viene poi visionato il sito uiciale della Ecosystem Services Partnership (www.es-partnership.org) del quale la Dr. Irene Petrosillo (Università del Salento) illustra alcune sezioni. Il prof. Zurlini dichiara la disponibilità dell’Università del Salento a ricoprire il ruolo di “focal point” per l’Italia, con la possibilità di accedere ad una serie di dati condivisi, di fare circolare una newsletter attraverso l’iscrizione ad una mailing-list rivolta a chi darà una dimostrazione di interesse, eventualmente anche attraverso 15 l’adesione diretta alla partnership internazionale. Il tutto in un’ottica di “valorizzare” le informazioni e i dati raccolti ed elaborati in Italia sul tema degli ecosystem services. Viene fatto un breve giro di presentazione dei partecipanti alla tavola rotonda, mettendo in evidenza anche i temi di maggiore interesse e l’ambito spaziale di riferimento. Segue l’elenco dei partecipanti: Cognome, nome Organizzazione Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse Aretano Roberta Università del Salento Mappatura della percezione dei servizi ecosistemici Burlando Catie Università di Manitoba, Canada Biodiversità, CO2 sequestration, trade-ofs social-ecological systems, agricoltura sostenibile/agrobiodiversità, polices developmentt Cantiani Maria Giulia Università di Trento – Dip di Ingegneria Civile ed Ambientale Coscieme Luca Università degli studi de L’Aquila Deutsch Nathan Università di Manitoba, Canada Carbon, biodiversity, common property, community-based management Disabatino Antonio Università degli studi de L’Aquila – Dip. Scienze Ambientali Acque interne Ferrari Marika Università di Trento Geneletti Davide Università di Trento Facoltà di Ingegneria Gerosa Giacome Università di Brescia Goio Ilaria Università di Trento – Dip. di Economia Funzione produttiva, protettiva, ricreativa culturale, ecologica Gretter Alessandro IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach Carbon, biodiversity, common property, community-based management Ianni Elena Università di Trento Facoltà di Ingegneria Approccio eco sistemico, patrimonio culturale, percezione, sostenibilità a livello di comunità Moretti Marco Swiss Federal Research Institute WSL (Svizzera) Qualità di vita, valore ecologico (habitat per specie), valore culturale Notarnicola Claudia EURAC research, Bolzano, Istituto per Telerilevamento Applicato Orsatti Cristina IASMA Research and Innovation Centre Social/Human systems Fondazione Edmund Mach 16 Applicazione alla Valutazione Ambientale Strategica e pianiicazione territoriale Cognome, nome Organizzazione Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse Pecher Caroline EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino Petrosillo Irene Università del Salento Valutazioni del capitale naturale Sala Serenella Università degli Studi di Milano Bicocca tutti Santolini Riccardo Università di Urbino Bacini idrogeograici, boschi, zone umide Schirpke Uta EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino Indicatori, cambiamenti ambientali e valutazione Scolozzi Rocco IASMA Research and Innovation Centre A scala di paesaggio, tutti Fondazione Edmund Mach Semeraro Teodoro Università del Salento Smiraglia Daniela Università di Salerno – Dip. di Scienze Economiche e Statistiche Tappeiner Ulrike EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino & Università di Innsbruck (Austria) Production, recreation, provision, biodiversità, scale issues Valente Donatella Università del Salento Analisi di rischio dei servizi ecosistemici Vecchiotti Filippo Ökoinstitut Südtirol, Alto Adige Impronta ecologica di realtà aziendali, energie rinnovabili Zaccarelli Nicola Università del Salento Supporting, cultural Zubaryeva Alyona Università del Salento Zurlini Giovanni Università del Salento Mappatura dei servizi ecosistemici Ecosystem services providers e disturbo nei sistemi socio-ecologici alle diverse scale Viene data lettura del programma provvisorio del workshop sugli Ecosystem Services (intitolato “Solutions for sustaining Natural Capital and Ecosystem Services: Designino Socio-Ecological Institutions”) che si svolgerà a Salzau il 7-10 giugno 2010, cercando di evidenziare quale potrebbe essere il tema su cui presentare una proposta italiana collettiva. Rispetto al tema “Designing socio-ecological institutions” viene evidenziato che diviene necessario fornire degli strumenti a favore delle istituzioni. La pianiicazione è molto importante in quanto sono scelte che vengono prese e che hanno una valenza molto lunga; appare rilevante che bisogna pensare alla pianiicazione anche in un contesto globale di cambiamento. Una comprensione degli ecosystem services può rappresentare così una modalità per migliorare la comunicazione ed uno strumento di supporto fondamentale per la pianiicazione (planning through Ecosystem Services). Dalla discussione emerge che deve essere raforzato il legame tra biodiversità, funzioni ecosistemiche e servizi ecosistemici, una maggiore conoscenza appare neces- 17 saria specialmente sul primo legame e diviene importante capire le percezioni delle popolazioni. Appare opportuno issare delle soglie, facendo divenire così rilevante il collegamento tra il capitale sociale ed il capitale naturale e la comprensione ed inclusione delle conoscenze indigene/locali. Un argomento sotteso ma cruciale che emerge relativamente agli Ecosystem Services è quello dell’individuazione dei c.d. providers, usualmente connessi alle tipologie di habitat. La tavola rotonda si conclude con la proposta operativa di veriicare le tempistiche per la deinizione dei contenuti di Salzau 2010 e tra i partecipanti di visionare ed eventualmente proporre ulteriori o modiicare i temi contenuti nel primo draft di programma. Alla luce di quanto sopra si propone allora, come gruppo Italiano, di veriicare la possibilità di aggiungere una sessione per il Convegno di Salzau. Per contatti ed informazioni: [email protected]. 18 Ecologia e produzione idroelettrica a confronto Luca Dal Bello & Bruno Maiolini Quanto mai attuale risulta l’importanza dell’energia idroelettrica e la sua spesso contrastante posizione rispetto all’ecologia. Il rapporto tra l’utilizzo idroelettroenergetico della risorsa acqua e le ricadute in ambito ecosistemico di questa particolare tipologia di gestione idrica, fonte energetica rinnovabile tanto importante quanto spesso sottovalutata sono state argomento centrale di una della tavole rotonde del congresso. Si tende infatti a dimenticare che, con una potenza idroelettrica di circa 17.623 MW distribuita tra 2.184 impianti, l’idroelettrico costituisce il 73,9 % di tutta la potenza rinnovabile oggi installata in Italia, collocando il nostro paese al terzo posto in Europa, dietro solo a Svezia e Francia, in termini di energia prodotta da idroelettrico. Gli impianti adibiti alla produzione idroelettrica sono ormai una realtà consolidata del territorio alpino costituendo oltre all’indubbia utilità quale riserva della risorsa acqua anche funzioni sociali e turistico-ricreative, sia a livello nazionale sia nei vari ambiti locali. I bacini artiiciali instaurano infatti complesse interrelazioni fra le speciiche e concrete esigenze antropiche per i quali questi sono richiesti, le rispettive scelte costruttive le diverse caratteristiche del territorio che li accoglie e le specie viventi che vi si devono adattare. Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse ecologico e ad una crescente e difusa sensibilità per questi ecosistemi artiiciali interessati dalla iliera di produzione idroelettrica, la cui gestione è regolata da normative europee e locali e la cui fruizione ecologica e sociale è stata valorizzata da un crescente impegno che i vari soggetti (agenzie per l’ambiente, istituti di ricerca e gestori degli impianti) pongono nei confronti di questi sistemi idrici. Il confronto tra le diverse esperienze singolarmente maturate nelle due Provincie Autonome di Trento e Bolzano ha rimarcato l’esigenza di raccordare le rispettive conoscenze e ha evidenziato una debole interazione tra comunità scientiica da un lato e amministratori locali e gestori degli impianti dall’altro, sottolineando la necessità di estendere la discussione su questi sistemi e di raccogliere suggerimenti ed informazioni in modo da poter comprendere maggiormente l’entità dell’ampio scenario di problematiche, inora accennate o afrontate in modo parziale. 19 Per questi motivi la tavola rotonda ha posto in essere un utile occasione per illustrare e sintetizzare i risultati in qui raggiunti da diversi progetti di ricerca attuati nelle Province Autonome di Bolzano e di Trento e cercare quel dialogo tra realtà spesso erroneamente poste in contrapposizione: gli ecologi e i gestori della risorsa acqua. Un dialogo che, come ribadito nelle fasi introduttive dell’incontro, è “volto a conciliare la necessità di mantenere i beneici e beni derivanti dagli ecosistemi acquatici con l’opportunità socio-economica di produrre energia idroelettrica”. Tra i partecipanti, oltre al gruppo di lavoro del dottor Bruno Maiolini, occorre sottolineare la presenza dell’ing. Marina Maestri e dell’ing Stimpl dell’Azienda Elettrica Ae-Ew, responsabile degli impianti di Senales, Vernago e Tell, in veste di rappresentanti dei gestori degli impianti. Per l’amministrazione provinciale di Bolzano erano presenti all’incontro la dott.ssa Alberta Stenico, direttrice d‘uicio del laboratorio biologico provinciale dell’Agenzia per l’ambiente e il p.i. Danilo Tait, sostituto direttore, nonché la dott. ssa Renate Alber e la dott.ssa Birgit Lösch. Per l’uicio tutela acque era presente la dott.ssa Barbara Vidoni. Gradita anche la presenza anche di rappresentanti della fondazione Edmund Mach, tra i quali occorre ricordare il dott. Andrea Zignin e la dott. ssa Monica Tolotti. La tavola rotonda si è aperta con una relazione del dottor Luca Dal Bello che ha brevemente riassunto i risultati dei suoi studi condotti sui tre principali invasi artiiciali della Provincia Autonoma di Bolzano (nello speciico gli invasi di Resia, Senales e Zoccolo), evidenziando come dal punto di vista limnologico, per gli invasi studiati in ambito altoatesino, le comunità biologiche presenti mostrino una monotonia minore diversità e una ridotta strutturazione rispetto ai corrispettivi laghi naturali e che la gestione idraulica (di tipo idroelettrico) risulti per queste comunità relativamente ininluente in quanto il driver principale sembra essere la ricarica naturale (piovosità) anziché il prelievo operato dalle aziende. Risalto è stato dato alla normativa vigente (europea, nazionale e i vari recepimenti in ambito locale) e alla necessità di ampliare gli studi di questi ambienti, non trascurando l’intero corpo lacustre, data la complessità intrinseca del sistema in oggetto, con immissari estendo provenienti anche daaltre vallate e con uscite collocate più a fondovalle dell’impianto. Il successivo intervento del dottor Maiolini ha spostato l’interesse sui rilasci operati dalle centrali idroelettriche, illustrando il fenomeno dell’Hydropeaking a carico delle centrali idroelettriche e sottolineando come gli obiettivi legati alla produ- 20 zione di energia idroelettrica assumono una nuova rilevanza, soprattutto in questo momento di recepimento delle normative europee. Sono stati proposti possibili scenari futuri e soluzioni a questo problema, come ad esempio l’utilizzo di canali dove far deluire l’acqua turbinata o la realizzazione di opere di raccolta e successivamente di ripompaggio nel serbatoio recettore. L’ultimo intervento è stato aidato all’ ing. Stimpl e alla ing. Maestri che, dopo una breve presentazione della società AE-EW e delle sue competenze, hanno esposto il loro punto di vista in qualità di amministratori di impianti idroelettrici, evidenziando come molti dei problemi che i gestori si trovano ad afrontare vengono spesso sottodimensionati o sono addirittura sconosciuti sia all’amministrazione pubblica sia soprattutto alla comunità scientiica. In particolar modo è stato posto l’accento su come il recepimento di alcune normative sia nazionali che locali vada ad inluire non solo sulla riduzione di produzione ma che il loro peso vada a ricadere inevitabilmente su tutta la collettività e sul consumatore in ultima istanza. Riferendosi ai rapporti con l’amministratore pubblico è stato espressa una richiesta di maggior chiarezza da parte degli organi istituzionali nel delineare il grado di responsabilità cui sono chiamati i gestori, che molte volte si sentono esclusi dalle decisioni prese in merito alla problematica idroelettrica. Inine è stato rimarcato l’indubbia competitività dell’idroelettrico quale fonte energetica rinnovabile, soprattutto nel contesto territoriale locale (Bolzano e Trento). L’evento ha permesso un primo incontro tra soggetti che raramente hanno la possibilità di confrontarsi direttamente Vi è stata un’ampia condivisione nel ritenere che la tematica in questione necessiti di un maggior impegno da parte di tutti i soggetti interessati e nella necessità di porre in essere, a breve termine, nuove forme di cooperazione in modo da poter intraprendere un processo di perfezionamento e di sintesi della rispettive esperienze maturate. La necessità di ampliare il bagaglio conoscitivo relativo a questi sistemi idrici permetterebbe un vantaggio in previsione anche di futuri aggiornamenti normativi, favorendo una riqualiicazione di questa forma energetica, che ancora risulta la più competitiva (anche in termini ecosistemici) rispetto a nuove forme di energie rinnovabili che attualmente non sono ancora in grado di fornire il necessario contributo in termini di potenza erogata o che sono ancora in una fase di post-sperimentazione. 21 Pattern spaziali e processi ecologici Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea: sinergia fra ricerche in campo ed analisi satellitari Biodiversity analysis in the Mediterranean Eco-region: synergy of ground and satellite monitoring Roberto Cazzolla1* & Claudia Notarnicola2 1 WWF (Fondo mondiale per la Natura) Italia, IUCN (Unione mondiale per la conservazione della Natura), via Marconi 4, 70023 Gioia del Colle (BA) 2 Istituto di Telerilevamento Applicato, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano *[email protected] Abstract Questo lavoro presenta i risultati preliminari dell’analisi fra la biodiversità rilevata al suolo e le caratteristiche del territorio in termini di uso del suolo (Land cover) e relative variazioni temporali (Land change). L’area oggetto di studio copre una supericie di circa 400 km2 ed appartiene all’Ecoregione Mediterraneo Centrale (Puglia), costituita da aree boschive principalmente formate da boschi di latifoglie (querce) in forme strutturali diferenti, da quella complessa (vegetazione arborea ed arbustiva) a quella di pascolo arborato. Vi è, inoltre, una notevole estensione di macchia mediterranea, con prevalenza di arbusti e garìga, con cespugli spesso isolati. Eccezionale in queste aree è la ioritura di Orchidee. All’analisi tramite rilievi al suolo (ricerche in campo, accompagnate da analisi di laboratorio) che hanno anche previsto l’uso della tecnologia GPS per la georeferenziazione dei punti (hot spots) e dei transetti, è stato unito un monitoraggio efettuato con dati satellitari ottici (immagini LANDSAT) per la valutazione dell’evoluzione e del cambiamento dell’uso del suolo nell’arco degli ultimi 30 anni. Introduzione Questo lavoro di ricerca si inserisce all’interno dello studio quadro sulle 200 Ecoregioni della Terra ed, in scala nazionale (Bulgarini, 2007), sull’Ecoregione mediterranea (ERC Med). L’Ecoregione mediterranea è stata individuata tra i Global 200 come una delle aree a maggiore presenza di biodiversità (Purvis & Hector, 2007). 25 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola All’interno del territorio italiano, il WWF ha individuato le Aree Prioritarie di Conservazione di habitat naturali meritevoli di particolari tutele. Tra queste aree è stata individuata la macroarea delle Murge e Valli luviali lucane (Provincia di Taranto, Bari e Potenza). L’area prioritaria, in territorio pugliese, si estende nelle due province di Bari e Taranto, occupando i tavolati carbonatici e le aree collinari di Minervino Murge, Gioia del Colle (De Libero, 1997), Martina Franca e Mottola. L’area delle Murge ospita una ricca fauna entomologica legata agli ambienti aridi (Cazzolla, 2007), nonché moltissime specie ornitiche di interesse europeo, tra cui: Grillaio, Capovaccaio, Nibbio reale, Occhione, e molti passeriformi. I principali fattori di interferenza con la biodiversità sono l’inquinamento delle acque dei corpi idrici dell’area, i fenomeni di erosione costiera nell’ambito dell’arco ionico, il rischio desertiicazione in vaste aree della Puglia e della Basilicata a causa di fattori diversi, tra i quali deforestazione, lo sfruttamento intensivo del terreno e delle risorse idriche e l’applicazione di pratiche agropastorali improprie, con conseguente degradazione e perdita di fertilità del suolo ed il rischio incendi boschivi che contribuisce all’accelerazione della desertiicazione. In questo contesto, appare evidente come la rilevazione al suolo delle biodiversità delle specie deve essere accompagnata da uno strumento, come il dato satellitare (Corsi, 2004), che possa fornire una visione sinottica nello spazio e nel tempo del territorio. A questo scopo, sono realizzate mappe dettagliate di copertura del suolo e di relativi cambiamenti negli anni per le principali classi vegetazionali presenti sul territorio. I dati satellitari utilizzati in questo lavoro coprono l’arco degli ultimi 30 anni e sono stati acquisiti dai sensori multispettrali montati a bordo dei satelliti LANDSAT che presentano una risoluzione variabile fra 60 m e 30 m. L’obiettivo primario della ricerca è di individuare gli indicatori legati alla diversità biologica, con l’uso sinergico di immagini satellitari, in termini di uso del suolo e rispettive variazioni temporali e rilievi in campo. Partendo da questo obiettivo, uno dei primi risultati è stato il calcolo di un indice di rarità delle varie classi di uso del suolo e di correlarlo alle specie rare rilevate al suolo. É stata altresì realizzata una possibile mappa di corridoi ecologici necessari per riconnettere i diferenti biomi. Ulteriori analisi dei hanno portato a redigere checklist della biodiversità; individuare gli areali di distribuzione e gli habitat; scoprire specie ritenute localmente estinte e fortemente minacciate; rilevare i cambiamenti stagionali e temporali della diversità speciica ed ecosistemica, rispettivamente; fornire una guida per le politiche di conservazione del territorio (Cazzolla, 2009). 26 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea L’approccio presentato per la valutazione della biodiversità si presta ad essere estesa ad altre aree dell’ERC Mediterraneo. Area di studio e metodologia L’area oggetto di questo studio interessa i territori che dal centro focale individuato nel Comune di Gioia del Colle (BA) si espandono verso Turi, Acquaviva e Sammichele a nord, Putignano e Noci (BA) ad est, Laterza, Castellaneta e Mottola (TA) a sud e Matera e Santeramo (BA) ad ovest ed è stata individuata come area campione per l’applicazione delle tecniche sperimentali, utilizzate in questa ricerca. Le attività di ricerca sono state suddivise in 5 fasi, per una durata di quasi tre anni: Fase 1_ Sono state sfruttate le informazioni derivanti da immagini satellitari LANDSAT ad alta risoluzione (da 60 m a 30 m di risoluzione) in combinazione con ortofoto (0,5 m di risoluzione) per individuare i siti che sarebbero poi diventati i luoghi per le analisi in campo. In questa fase iniziale, le immagini e le ortofoto sono state utilizzate principalmente per individuare le aree dei rilievi in base all’uso del suolo. Sono state selezionate aree boschive, di macchia mediterranea, di pascolo steppico, di murgia e di garìga che garantissero una discreta conservazione in termini biologici ed, allo stesso tempo, fossero rappresentative dei vari biomi che compongono il mosaico di paesaggi che contraddistingue il territorio oggetto di studio. Fase 2_ Sono state realizzate 3 campagne di ricerca per ogni luogo individuato, al ine di rilevare i mutamenti degli ambienti e le variazioni della biodiversità durante ogni stagione dell’anno. Si è individuato un transetto in base al metodo dei quadrati casuali di Pielou (Pielou’s pooled-quadrat) e durante la fase di campagna sono stati identiicati e catalogati tutti i dati biologici (lora, fauna, distribuzione delle specie, indicatori di qualità, minacce, ecc.), biometrici, geologici e geomorfologici (Ivone, 2002) che caratterizzavano l’area oggetto di studio mediante rilevo diretto, con determinazione acustico-visiva delle specie da parte di esperti ed indiretto mediante l’utilizzo di fototrappole, trappole ad esca, riconoscimento delle tracce (fatte, borre, ossa, orme, ecc.). Sono stati prelevati campioni biologici e geologici per la successiva fase di laboratorio. Sono state realizzate, inoltre, campagne sperimentali notturne per lo studio degli animali con abitudini crepuscolari. È stata utilizzata l’innovativa tecnica di fotograia digitale a distanza, nota col nome di Fototrappolaggio, 27 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola che prevede l’utilizzo di uno strumento dotato di sensore termico IR in grado di attivare una fotocamera al passaggio di un corpo caldo. Tale apparecchio permette non solo di identiicare le specie, ma anche di studiarne i comportamenti e le abitudini. Fase 3_ Dopo ogni campagna di ricerca tutti i dati raccolti ed i campioni prelevati sono stati trasferiti in laboratorio, catalogati ed analizzati. Ogni scheda è stata sottoposta a controlli incrociati al ine di veriicare la correttezza della nomenclatura tassonomica e l’attinenza delle specie rilevate con le informazioni bibliograiche a disposizione e con gli areali di distribuzione delle specie. I campioni animali, vegetali e minerali sono stati sottoposti ad analisi preliminare ad occhio nudo, per poi essere analizzati con stereomicroscopio (20-40x). È stato creato un database fotograico georeferenziato, diferenziato per aree e per specie. Fase 4_ Alla fase di rilievi al suolo è stata abbinata l’analisi delle immagini satellitari per l’individuazione delle diverse tipologie di copertura vegetale legate ai siti di biomonitoraggio. Sono state realizzate mappe dettagliate di copertura del suolo e di relativi cambiamenti negli anni per ogni classe vegetazionale identiicata, tramite l’elaborazione di 5 immagini LANDSAT acquisite nel 1979, 1989, 1999, 2002 e 2007, di cui quella del 1979 con risoluzione 60 m e le altre con risoluzione 30 m. Per la procedura di classiicazione è stato adottato un approccio semi-automatico basato sull’algoritmo di Massima Verosimiglianza (Schowengerdt, 1997). La nomenclatura standard CORINE (EC, 1993) è stata solo in parte modiicata ed adattata alle caratteristiche dell’area, dominata oltre che da estese aree di seminativi, pascoli arborati, uliveti-mandorleti, anche da formazioni naturali quali il bosco, la macchia garìga ed il pascolo steppico (Ivone, 1997). L’accuratezza nella classiicazione delle immagini è superiore al 90 %, tranne nell’immagine del 1979, dove la risoluzione spaziale inferiore, 60 m, e la presenza di sole 4 bande rende diicoltosa l’identiicazione delle diverse classi. Fase 5_ Inine sono stati analizzati i risultati (Fowler & Cohen, 2002) e realizzato un database georeferenziato. 28 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea Risultati e Discussione Valutazione della diversità biologica L’analisi della biodiversità ha portato ad individuare tre livelli principali di differenziazione: quello dei biomi, quello degli ecosistemi e quello delle specie (Owens, 1999). Per il primo livello è stato possibile constatare come in un’area di dimensioni relativamente ridotte (circa 400 km2) come quella studiata, vi siano ben 5 diferenti biomi: il bosco di latifoglie, il bosco di conifere, la macchia mediterranea, la garìga ed il pascolo steppico-murgia. L’intero territorio è apparso ricco di habitat ed eccezionalmente forgiato dalle forze geologiche. È presente, infatti, un intricato reticolo idrograico al quale si associano cospicui fenomeni di carsismo con formazione di gravine, lame, grotte ed inghiottitoi. Oltre alla biodiversità a livello dei biomi, è stata realizzata un’analisi della diversità biologica a livello ecosistemico rilevando diferenti aspetti. La presenza di aree a boschi di latifoglie non ceduati garantisce la sopravvivenza di comunità speciiche ben strutturate e favorisce la presenza di cenosi (come ad esempio quella tra Cerambice delle querce, Cerambix cerdo e Roverella, Quercus pubescens) che favorisce a sua volta la diversiicazione delle nicchie ecologiche e, quindi, la presenza di un maggior numero di specie (Cazzolla, 2006). Si è potuto ipotizzare, grazie a questa ricerca, e per la prima volta, che una particolare cenosi (intesa come associazione tra specie che interagiscono tra loro) sia in grado di favorire la formazione di nuove nicchie ecologiche (intese come spazi multidimensionali, Hutchinson, 1954), utilizzabili da altre specie, che senza quella determinata nicchia non sarebbero presenti. Da qui, ci si propone di presentare la teoria di “nicchia diversità-dipendente”, volendo indicare con tale deinizione il processo che porta ad ottenere una correlazione positiva tra il numero presente di specie in una determinata area ed il numero di nuove nicchie disponibili. Si ipotizza, cioè, che mediante un processo ciclico ed iterativo, l’incremento del numero di specie permette la realizzazione di nuove nicchie che, a sua volta, permette la colonizzazione di nuove specie (che mediante i processi di immigrazione-emigrazione possono imbattersi in una nicchia favorevole). Nel caso speciico, si è rilevato che la ceduazione, cioè il taglio periodico (in media ogni 15 anni) del bosco, inluisce negativamente sull’ecosistema (Tilman, 1982, 1996, 1997) alterando i cicli della materia (si è rilevata una minor presenza di biomassa al suolo ed una minor concentrazione di sostanza organica nei suoli ceduati) e modiicando la struttura delle comunità (non sono state rinvenute 29 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola specie litoiliche, come Cerambicidi e Lucanidi, in nessuna delle aree sottoposte a ceduazione periodica). Sempre a livello ecosistemico si è potuto, inoltre, constatare, abbinando le analisi satellitari alle ricerche di campo, che la presenza di ecotoni tra due ecosistemi creando le condizioni favorevoli ad un aumento di biodiversità (Armstrong & McGehee, 1980) e di specie rare(è stata rilevata, ad esempio, un maggior numero di specie di Orchidee). Ad ulteriore riprova, in una zona brulla sassosa marginale tra un bosco di Roverella ed un pascolo steppico, si è rilevata la nidiicazione di tre coppie del raro e minacciato Occhione, Burhinus oedicnemus (Fig. 1), confermando l’importanza di quella zona ecotono per la sopravvivenza di una specie che altrimenti non avrebbe a disposizione un territorio in cui nidiicare. Figura 1: Occhione A livello di diversità speciica è stata accertata, nell’area oggetto di studio, la presenza di numerose specie rare ritenute localmente estinte (per la zona delle Murge di sud-est) o in via di estinzione ed inserite negli elenchi delle Direttive Comunitarie “Habitat” 92/43/CEE ed “Uccelli” 79/409/CEE e nelle Liste Rosse IUCN (D’Antoni S., 2003), tra queste: il Cerambice delle querce (Cerambix cerdo), il Saga pedo, la Melanargia arge, la Coenargion mercuriale, l’Euplagia quadripunctaria, la Zerynthia polixena (Fig. 2), il Rospo smeraldino (Bufo viridis), la Rana lessonae, la Testuggine di Hermann (Testudo hermanni hermanni), il Ramarro occidentale (Lacerta bilineata), la Lucertola campestre (Podarcis sicula), il Biacco (Coluber viridilavus), il Saettone (Elaphe longissima), il Colubro leopardino (Elaphe situla), l’Albanella pallida (Circus macrourus), il Falco Grillaio (Falco naumanni), il Falco pellegrino (Falco peregrinus), il Gufo reale (Bubo bubo), il Nibbio reale (Milvus milvus), l’Occhione (Burhinus oedicnemus, Fig. 1), il Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), il Rinolofo di Mehely (Rhinolophus mehelyi), il Pipistrello di Savii (Hyspugo savii), il Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus), l’Istrice (Hystrix cristata); la Campanula 30 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea pugliese (Asyneuma limonifolium) e la Dictamnus albus. Il rilievo di un così elevato numero di specie rare e minacciate in una ristretta porzione di territorio (area campione) ha confermato l’utilità di inserire questi ecosistemi all’interno delle aree ad altissimo potenziale biologico dell’Ecoregione Mediterraneo centrale, tra le Global 200. Inoltre, sono state scoperte una nuova specie di orchidea, Ophrys rotundi (Cazzolla, 2010, Fig. 3) e numerosi insetti per i quali si sta procedendo a determinazione, non appartenendo a nessuna specie già classiicata. Figura 2: Zerynthia polixena Figura 3: La nuova specie di orchidea scoperta su Monte Rotondo Ophrys rotundi (Cazzolla R., 2010) 31 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola La igura 4 riporta i siti dove sono state indivuate specie rare in correlazione alla classe di uso del suolo dove sono state rilevate. Figura 4: Carta dell’area campione oggetto di studio con indicazione delle specie rare rinvenute durante i rilevi al suolo. Risultati delle variazioni di uso del suolo rilevati da dati satellitari Le analisi evidenziano come il territorio negli ultimi 30 anni non ha subito delle modiiche drastiche, a parte un aumento della supericie occupata da oliveti e mandorleti, o comunque da campi con estesa presenza di alberi. Per quanto riguarda le supericie boschive, si notano variazioni minime per le latifoglie e conifere, che possono essere considerate all’interno dell’accuratezza della classiicazione. Infatti nell’ambito di un’analisi multitemporale numerose possono essere le fonti di errore, tra cui la diferente fenologia durante le osservazione (le immagini analizzate appartengono a momenti fenologici diferenti, ad esempio maggio e settembre), il diverso angolo di vista del sensore e del sole e gli efetti atmosferici (Song et al., 2003). Tali considerazioni sono anche in accordo con analisi storiche efettuate su tali classi. La supericie boschiva occupava nel 1911 circa il 14,6 % di quella agraria e si riduceva a 11,9 % nel 1939. L’immediato dopoguerra ha visto una notevole opera di rimboschimento che ha riportato la supericie boschiva a circa il 14,7 %. Attualmen- 32 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea te in base a statistiche derivanti da CORINE 2000, nonché dall’analisi satellitare qui riportata, la supericie occupata da boschi di conifere e latifoglie si aggira intorno al 12-13 % della supericie analizzata. Una caratteristica peculiare è la variabilità nella età della vegetazione boschiva, infatti si incontrano non molto frequentemente piante ben sviluppate, a causa della ceduazione dei boschi. Per quanto riguarda il pascolo steppico si denota una diminuzione che porta la sua supericie da 4,4 % a circa 2,5 %, in quanto parte di esso risulta trasformato in seminativo. Un discorso diferente merita la garìga/macchia. Questa classe globalmente è diminuita da circa 4,9 % a 2,7 % nell’arco di un intervallo temporale trentennale, dal 1979 al 2007. La garìga viene considerata uno stadio di degrado della macchia mediterranea sottoposta a continuo pascolo e incendio, inoltre è estremamente difusa nelle situazioni pedologico-climatiche molto diicili, in cui altre piante non riescono ad insediarsi. È solitamente costituita da vegetazione arbustiva sempreverde che lascia scoperte ampie porzioni del terreno. Infatti il rilevamento della stessa e la distinzione rispetto al bosco di latifoglie dipende proprio dal fatto che la garìga lascia scoperta una parte del suolo ed appare quindi spettralmente diferente dalle latifoglie che invece sono più dense. Nelle date analizzate la presenza della garìga è essenzialmente localizzata all’interno delle aree boschive. Inine, si nota che nell’immagine del 2007 è rilevabile un’area boschiva che è stata investita da un notevole incendio nel luglio 2007 (classe in arancione nella Fig. 4). Risultati preliminari sulla correlazione fra Land cover change e rilievi al suolo delle specie rare La mappa delle specie rare rinvenute sul territorio, così come riportata in igura 4, è stata posta in correlazione con l’indice di rarità dei principali ecosistemi rinvenuti tramite il calcolo dell’uso del suolo. L’indice di rarità si basa sulla percentuale delle aree di interesse (in questo caso le classi latifoglie, conifere, macchia garìga e pascolo steppico) rispetto all’area totale (400 km2) ed è stato calcolato per la mappa di uso del suolo del 1979 e quella del 2007 (Fig. 5) (Angelini et al., 2009). Su queste mappe sono stati sovrapposti i rilevamenti delle specie rare al ine di individuare come esse si collocano rispetto ai cambiamenti di uso del suolo. Per ogni punto di rilevamento è stato considerato un areale di 5x5 pixel (area 750 m2) ed individuata la classe di rarità alla quale essi appartengono. Come si nota dal graico in igura 6, i punti che nel 1979 si collocavano per la maggior parte in aree non considerate come rare in base alla scala stabilita, nel 2007 invece si collocano per il 20 % in classe 2 e 33 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola per il 10 % in classe 4. Questa analisi preliminare indica come molte delle specie rare si collocano in aree che nel periodo dal 1979 al 2007 hanno subito notevoli diminuzioni in percentuale sul territorio. Inoltre, considerando la igura 4, si nota la frammentazione degli ambienti che è spesso causa della perdita di strutturazione degli stessi (Pignatti, 2005) e quindi di impoverimento della comunità (Schulze & Mooney, 1993), poiché la barriera isica non permette il naturale avanzamento continuativo delle successioni ecologiche. L’interruzione della continuità degli ecosistemi con infrastrutture stradali, campi agricoli, aree industriali, ecc., crea le condizioni per l’isolamento delle comunità e l’impoverimento genetico delle specie, rendendole più vulnerabili alle variazioni dell’ambiente ed all’incrocio. Partendo dalla mappa in igura 4 si è realizzato un esempio di una mappa dei corridoi ecologici che permetterebbero di ridurre la frammentazione (Fig. 7). Figura 5: Mappe indicanti l’indice di rarità (a sinistra 1979, a destra 2007), ossia la percentuale di occupazione di ciascuna classe rispetto all’area totale di studio. Come riportato in legenda, minore è la percentuale di area occupata, maggiore è il valore associato all’indice di rarità. Figura 6: Percentuali degli areali delle specie rare individuate al suolo, in relazione all’indice di rarità delle classi di uso del suolo indicato nelle mappe di figura 5. 34 Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea Figura 7: Carta dei corridoi ecologici, individuati come aree buffer delle differenti tipologie di suolo. Conclusioni Lo studio della biodiversità è ancora nella fase embrionale delle attività scientiiche, poiché solo negli ultimi tempi si sta ponendo l’accento sul valore della diversità biologica e sull’importanza che riveste, per l’uomo e l’intero pianeta, lo studio e la conservazione di tale diversità. Il lavoro qui presentato, realizzato su un area campione dell’Ecoregione Mediterraneo Centrale, vuole essere la proposta di un approccio per l’applicazione di un’analisi di tipo qualitativo e quantitativo della diversità a vari livelli. Tale modello può essere facilmente adattato agli studi su altre aree della stessa ecoregione o su altre ecoregioni della Terra. La facilità di adattamento del protocollo sperimentale ed i risultati preliminari tramite la procedura con approccio top-down (da satellite con veriica al suolo) e bottom-up (dal suolo con veriica satellitare) consente di avere una visione il più dettagliata possibile delle risorse naturali di un territorio. La sperimentazione dell’analisi sinergica satellitare-al suolo per lo studio della biodiversità dell’Ecoregione mediterranea ha dato risultati ben superiori al previsto. Oltre alle speciiche analisi sui tre livelli di diversità biologica individuati (biomi, ecosistemi, specie) è stato possibile associare i dati rilevati da satellite alle indagini di campo e creare un database georeferenziato (ed informatizzato) della biodiversità che ben si presta ad ulteriori studi sul territorio. 35 Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola Bibliografia Armstrong, R. A. & McGehee, R. (1980) Competitive exclusion. Am. Nat. 115, 151–170. Angelini, P., Augello, R., Bagnaia, R., Bianco, P., Capogrossi, R., Cardillo, A., Ercole, S., Francescato, C., Giacanelli, V., Laureti, L., Lugeri, F., Lugeri, N., Novellino, E., Oriolo, G., Papallo, O. & Serra, B. (2009) Il progetto Carta della Natura alla scala 1:50000. Ispra. Bulgarini, F., Petrella, S. & Teoili, C. (2007) Biodiversity Vision, la conservazione dell’Ecoregione Mediterraneo Centrale. WWF Italia-MIUR, Roma. Cazzolla, R. (2006) La Cava di Monte Rotondo, da scempio artiiciale a serbatoio naturale. WWF Ed., Gioia del Colle (BA). Cazzolla, R. (2007) Gravina Santa Croce, un patrimonio di biodiversità. WWF Ed., Gioia del Colle (BA). Cazzolla, R. (2009) Fire monitoring and the environment. FAO Environmental issue, Roma. Cazzolla, R. (2010, a cura di) Ambienti, lora e fauna delle Murge di sud-est. Adda Ed., Bari, in pubblicazione Cocozza, M. A. & La Viola, A. M. F. 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Nature, 379, 718–720. 36 Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea: relazioni con alcune caratteristiche fogliari e con la qualità della lettiera Litter decomposition of four species of Mediterranean Maquis: relationships with leaf traits and litter quality Anna De Marco*, Carmen Arena, Angela Meola, Maria Giordano & Amalia Virzo De Santo Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II, Via Cinthia 4, 80126 Napoli *[email protected] Abstract La velocità di decomposizione della lettiera di quattro specie tipiche della Macchia Mediterranea, Q. ilex, P. angustifolia, P. lentiscus e Cistus sp., è stata misurata dopo circa tre, sei e tredici mesi di incubazione in situ nella Riserva Naturale di Castel Volturno (Caserta). Sono state valutate le relazioni tra velocità di decomposizione e 1) indice di area fogliare speciica (SLA), 2) densità dei tessuti fogliari (LDMC), 3) grado di scleroillia (GS), 4) contenuto in N, C e lignina e rapporto C/N della lettiera. Queste caratteristiche possono inluenzare la colonizzazione e la utilizzazione della lettiera da parte dei microrganismi e, di conseguenza, la sua resistenza alla decomposizione. Dopo poco più di un anno la perdita di peso della lettiera era circa 50 % in cisto, 41 % in illirea e 32 % in leccio e lentisco. Nei primi tre mesi di incubazione la velocità di decomposizione della lettiera è tanto maggiore quanto più alto è il valore di SLA e diminuisce con l’aumento del valore di LDMC e GS. La correlazione decomposizione – SLA e decomposizione – GS è statisticamente signiicativa solo se si esclude la illirea, che ha caratteristiche fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (spiccata scleroillia) ma contenuto di lignina più basso non solo rispetto alle altre due specie scleroille, ma anche rispetto al cisto (che ha caratteristiche mesoile). La velocità di decomposizione è correlata negativamente al contenuto di lignina e al rapporto lignina/N quando vengono considerate le quattro specie; se invece si considerano solo illirea e cisto la correlazione diventa positiva. I risultati mostrano che la decomposizione della lettiera è la risultante degli efetti congiunti delle caratteristiche fogliari e della composizione chimica della lettiera. 37 Anna De Marco et al. Introduzione La decomposizione è un processo fondamentale per il funzionamento di un ecosistema poiché restituisce in forma inorganica i nutrienti, rendendoli nuovamente utilizzabili dalle piante, e contribuisce all’accumulo di materia organica nel suolo. La velocità di decomposizione della lettiera è inluenzata dalla sua composizione chimica iniziale, ed in particolare dal contenuto in azoto (Berg, 2000) e nutrienti, dalle concentrazioni di lignina e di cellulosa (Herman et al., 2008) e dai rapporti C/N e lignina/N della lettiera (Berg & McClaughlerty, 2008). Anche la struttura della foglia può inluenzare la velocità di decomposizione della lettiera limitando la colonizzazione da parte dei microrganismi decompositori a causa della elevata resistenza meccanica e/o dell’abbondanza di tessuti meccanici (Cornelissen & hompson, 1997; Dahlgren et al., 2006). Alcune caratteristiche strutturali delle foglie, come grado di scleroillia (GS), spessore fogliare, area fogliare speciica (SLA) e densità dei tessuti fogliari (LDMC), sono stati proposti come indici idonei per la predizione della velocità di decomposizione (Gallardo e Merino, 1993, Gillon et al., 1994, Perez Harguindeguy et al., 2000). È noto che una elevata area fogliare speciica e una bassa densità dei tessuti fogliari possono facilitare l’attacco dei tessuti da parte degli organismi decompositori e la penetrazione delle ife fungine (Cornelissen & hompson, 1997; Kazakou et al., 2006; 2009). In questo lavoro è stata valutata l’inluenza della struttura fogliare e della composizione chimica della lettiera sulla velocità di decomposizione di quattro specie tipiche della Macchia Mediterranea del sud Italia: Q. ilex, Ph. angustifolia, P. lentiscus e Cistus sp.. Come indici della struttura fogliare sono stati utilizzati l’area fogliare speciica (SLA), la densità dei tessuti fogliari (LDMC) ed il grado di scleroillia (GS). Come indici della qualità della lettiera sono stati utilizzati il contenuto di azoto (N), di lignina, di cellulosa, di sostanze solubili in detergenti acidi (ADSS), ed i rapporti C/N e Lignina/N. La velocità di decomposizione è stata misurata a 3, 6 e 13 mesi di incubazione ed è stata saggiata la correlazione con gli indici di struttura fogliare e di qualità della lettiera. 38 Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea Materiali e metodi L’area di studio è situata nella Riserva Naturale di Castel Volturno (CE) lungo la costa Tirrenica, a nord della Baia di Napoli. La Riserva, istituita nel 1977, si estende su una supericie totale di circa 268 ha, occupando una stretta fascia sabbiosa compresa tra la foce dei Regi Lagni a nord, la foce del Lago Patria a sud e la Statale Domitiana ad est. Nella Riserva sono presenti aree a macchia mediterranea dominata da: Quercus ilex L., Myrtus communis L., Arbutus unedo L., Pistacia lentiscus L., Phillyrea angustifolia L., Cistus spp., ed una pineta di impianto antropico (Pinus halepensis Miller, P. pinaster Aiton, P. pinea L.). Il terreno è un Calcaric Arenosol (FAO, 1998) tipicamente sabbioso e privo di scheletro. Il clima è di tipo mediterraneo con temperature medie annuali di 16,8 °C e precipitazioni di 609 mm (i dati si riferiscono alla Stazione di Castel Volturno a 26 m s.l.m. negli anni 2000-2006). La raccolta della lettiera di Cistus sp., Phillyrea angustifolia, Pistacea lentiscus e Quercus ilex è stata realizzata nel periodo di massima caduta fogliare (tra maggio e luglio) nella macchia bassa della Riserva Naturale di Castel Volturno, collocando 25 reti sotto la chioma degli arbusti. In 8 siti diversi della stessa area di raccolta la decomposizione è stata studiata col metodo dei sacchetti di lettiera (Virzo et al., 1993). La perdita di peso misurata dopo 92, 188 e 403 giorni, è riportata in mg g-1 gg-1 per ciascuno dei tre periodi (0-92; 92-188; 188-403 giorni) assumendo una relazione lineare tra perdita di peso e tempo nell’intervallo considerato. Sulle lettiere prima dell’incubazione sono stati determinati: la concentrazione di N, il contenuto di ADSS (Sostanze Solubili in Detergenti Acidi), lignina e cellulosa. Il contenuto di azoto delle lettiere è stato determinato con un analizzatore NCS (Elemental Analyser, Flash 112 Series EA) su campioni seccati a 75 °C e inemente polverizzati. Il contenuto di ADSS, lignina e cellulosa è stato determinato secondo il metodo di Goering & Van Soest (1970). Le caratteristiche fogliari (SLA, LDMC e GS) sono state determinate su foglie verdi non senescenti (in numero di 10 per ciascuna specie in ogni sito) raccolte nella Riserva Naturale di Castel Volturno negli 8 siti di incubazione della lettiera. Le foglie prelevate erano di età comparabile, posizionate in piena luce e prive di evidenti danni creati da patogeni ed erbivori (Reich et al., 1992; Westoby, 1998; Weiher et al., 1999). L’area fogliare speciica (SLA) è stata misurata come rapporto tra supericie fogliare e peso secco della foglia ed è stata espressa come cm2 g-1 peso secco. La den- 39 Anna De Marco et al. sità dei tessuti fogliari (LDMC) è stata valutata come rapporto tra peso secco della foglia e peso fresco a saturazione ed è stata espressa come mg peso secco g-1 peso fresco. Il grado di scleroillia (GS) è stato espresso in g peso secco mm-2 di supericie fogliare. La signiicatività delle diferenze è stata saggiata attraverso l’analisi della varianza (ANOVA ad una via) seguita dal test di Dunn o dal test di Tukey. Le correlazioni lineari sono state determinate attraverso il coeiciente di Spearman. Risultati e discussione In igura 1 è riportata la composizione chimica iniziale della lettiera relativa alle 4 specie studiate che rappresenta una misura della loro degradabilità (Gallardo & Merino, 1993; Virzo De Santo et al., 1993). In particolare, i valori più elevati di lignina si trovano in lentisco e leccio, mentre il contenuto maggiore di cellulosa è misurato in cisto e illirea. La lettiera di Cistus sp. è la più ricca di N mentre la più povera è la lettiera di leccio. Per le 4 diferenti lettiere sono stati considerati anche i rapporti C/N e lignina/N, che possono essere importanti indici dell’andamento decompositivo; infatti quanto più bassi sono questi rapporti tanto più favorita sarà la crescita dei decompositori e quindi più veloce la decomposizione della lettiera (Melillo et al., 1982; Harmon et al., 1990). Tra le diverse lettiere, quella di cisto presenta il rapporto C/N più basso, mentre quelle di lentisco e leccio il rapporto lignina /N più elevato, indicando una maggiore recalcitranza alla decomposizione per queste due specie. Per quanto riguarda le caratteristiche fogliari, Cistus sp. si distingue dalle altre specie per i valori più elevati di SLA e per i valori più bassi di LDMC e GS (Fig. 2). È noto che elevati valori di SLA e basso grado di scleroillia possono accelerare il processo di decomposizione, favorendo la colonizzazione dei tessuti da parte dei decompositori (Hansen & Coleman, 1998). Inoltre il cisto presenta una maggiore ricchezza in azoto rispetto alle altre tre specie e perciò sono attesi per questa specie tassi di decomposizione più elevati. 40 Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea Cistus sp. (C) P. lentiscus (P) Ph. angustifolia (Ph) Q. ilex (Q) Figura 1: Composizione chimica iniziale delle lettiere di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Castel Volturno. Figura 2: Area fogliare specifica (SLA), densità dei tessuti fogliari (LDMC) e grado di sclerofillia (GS) delle foglie di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Castel Volturno. Lettere diverse indicano differenze statisticamente significative. Cistus sp. (C) P. lentiscus (P) Figura 3: Velocità di decomposizione delle lettiere di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. in tre successivi periodi dall’incubazione nella Riserva Naturale di Castel Volturno. Lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra lettiere. Ph. angustifolia (Ph) Q. ilex (Q) 41 Anna De Marco et al. Nei primi 3 mesi, le lettiere di Cistus sp. e Ph. angustifolia presentano una velocità di decomposizione signiicativamente maggiore rispetto a quella delle lettiere di P. lentiscus e Q. ilex (Fig. 3). Nelle fasi più avanzate del processo si riduce la velocità di decomposizione e le diferenze tra specie si attenuano, ino a scomparire completamente. La perdita di peso rilevata dopo 403 giorni raggiunge il 50 % in Cistus sp., il 41 % in Ph. angustifolia ed il 32 % in Q. ilex e P. lentiscus. La decomposizione delle lettiere rilette le diferenze nella composizione chimica iniziale e nelle caratteristiche fogliari. Nella fase iniziale il tasso di decomposizione della lettiera è correlato positivamente con SLA e negativamente con LDMC e con GS (Fig. 4). Figura 4: Relazioni tra la velocità di decomposizione delle lettiere di Cistus sp. (∆), Phillyrea angustifolia L. (◊), Pistacea lentiscus L. (M) e Quercus ilex L. () dopo 92 giorni di incubazione e le caratteristiche fogliari, la concentrazione iniziale di lignina ed il rapporto lignina/N delle lettiere. R2 è il coefficiente di correlazione di Spearman. * = P<0.05; ** = P<0.01; *** = P<0.001 . 42 Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea La relazione per SLA e GS è signiicativa solo se si esclude la lettiera di Ph. angustifolia. Il tasso di decomposizione diminuisce signiicativamente con l’aumento del contenuto di lignina e del rapporto Lignina/N; considerando solo le lettiere di Cistus sp. e Ph. angustifolia si ottiene una relazione signiicativa di segno opposto. Non sono state riscontrate correlazioni signiicative della velocità di decomposizione con gli altri indici di qualità della lettiera. Con il procedere della degradazione delle lettiere, le relazioni tra la decomposizione e le caratteristiche fogliari come pure con la composizione chimica iniziale delle lettiere vengono perse, suggerendo che altri fattori assumono un ruolo importante nella regolazione del processo degradativo. I dati indicano che la decomposizione della lettiera è la risultante degli efetti congiunti delle caratteristiche fogliari e della composizione chimica della lettiera. La lettiera di cisto, infatti, con un contenuto iniziale di N più elevato ed un rapporto lignina/N più basso rispetto alle altre specie studiate, nonché un indice di area speciica maggiore, si decompone più velocemente. La illirea, nonostante le caratteristiche fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (scleroillia più pronunciata), ha tassi di decomposizione comparabili a quelli di cisto, che mostra caratteristiche fogliari più mesoile ma contenuto di lignina più alto di illirea. Ringraziamenti: Questa ricerca è stata realizzata con inanziamenti MIUR, PRIN 2005. Si ringrazia il Corpo Forestale dello Stato per l’assistenza logistica. 43 Anna De Marco et al. Bibliografia Berg, B. & McClaughlerty, C. (2008) Plant Litter–Decomposition, Humus Formation, Carbon Sequestration. 2nd ed. Springer Verlag. Berg, B. (2000) Litter decomposition and organic matter turnover in northern forest soils. Forest Ecology and Management. 133, 13-22. Cornelissen, J. H. & hompson, C. K. (1997) Functional leaf attributes predict litter decomposition rate in herbaceous plants. New Phytologist, 135, 109-114. Dahlgren, J. P., Eriksson, O., Bolmgren, K., Strindell, M. & Ehrlén, J. (2006) Speciic leaf area as a superior predictor of changes in ield layer abundance during forest succession. Journal of Vegetation Science, 17, 577-582. FAO (1998) World reference base for soil resources. In: World soil resources report No. 84 (Rome). Gallardo, A. & Merino, J. 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In fact, both substrate and macroinvertebrates follow a patchy distribution along stream’s ecological gradients. Abundances and diversity of decomposers directly afect leaf litter processing and decomposition rates linking biotic and abiotic factors to the ecological process of decomposition. Fractal dimension of substrates can give a measure of surfaces complexity and may be related both to water turbulence and macroinvertebrates clinging. In this study we have investigated the functional relationships between macroinvertebrates diversity and abundances, chemical and physical parameters, rocks, pebbles and stones numbers and dimension and fractal dimension of substrate. 45 Gina Galante et al. Introduction Decomposition of organic matter is a continuous process involving biotic (decomposers and detritivores) and abiotic factors such as physical abrasion, substrate characteristics, physical and chemical water conditions. herefore, these interacting factors inluence the distribution of benthic organisms and are indirectly related to decomposer diversity and abundances. Environmental heterogeneity (Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a greater extent by local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996; Bertness et al., 1996; Wright & Li, 2002), resulting in more patchy distributions of benthic macro fauna. Small-scale heterogeneity includes size, distribution and surface texture of substrates constituents (rocks, stones and pebbles), that can inluence both productivity due to the availability of refuges and food and storage capacity of substrate (Jefries, 1993; Cardinale et al., 2002, 2006) and physical fragmentation of organic matter, because of the increment of water turbulence and oxygenation caused by its heterogeneous surfaces (Melillo et al., 2004) Fractal geometry is now generally used to describe the surface texture of substrates in freshwater benthic studies: therefore fractal methods were used to describe textural diferences in constructed substrates with a checkerboard arrangement of heights (Taniguchi & Tokeshi, 2004), to estimate the fractal dimension of riverbed topography (Robson et al., 2002), and to describe the substrate-water interface of streambeds. In this study we have analysed all the possible relationships occurring between macroinvertebrates diversity and abundances, substrate morphology and decomposition rates in a second order stream, taking into account the main chemical and physical parameters. he comprehension of the principles that link biodiversity, ecological processes and morphology as well as features of substrates could also improve new management systems of the freshwater resources and the assessing of new stream health indicators. 46 Late spring decomposition rates in a second order stream Methods Study area he river Sacco is located in the south-east of Latium (Italy), it lows along 84 km with an average slope ranging from 0.2 to 2.0 %. he headwater has an altitude of 226 m a.s.l., climate of this zone is properly of Mediterranean type with very rainy winter and spring and summer dough. River springs are still pristine while in the loodplain area there are strong pollution impacts due to industrial installation and urban discharge. River bed and substrates characteristics are heterogeneous and patchy with sandy areas and pebbly and stony zones. he riparian forest is mainly constituted by Alnus glutinosa L. (dominant), Salix alba L., Populus tremula L. and Populus nigra L. he stream channel in the river springs zone is partially shaded with some more lighted zone corresponding to conining crop cultivations. Water depth in river source ranges from 20 cm to 1 m due to the presence of sandy patch pools that can be deeply excavated during river lood. Width channel ranges from 2.5 to 3.0 m, river order range from two to three. hree sampling sites were selected in headwater area along 5 km stretch of the river. Each sampling station had 100 m length and showed homogeneous riverbed characteristics. Field procedures his study started on 21st May 2009 using litter bags technique and run over 3 weeks. Alder (Alnus glutinosa L.) autumn leaves were collected just before abscission, stored air-dried, weighted into 3 gram (+/– 0.001) groups and placed in ine mesh (Graça et al., 2007) (0.2 mm, Esthal-Mono, Sefar) and coarse mesh (5 mm 10 x 15 cm) bags. Initial mass was corrected for both manipulation and humidity losses (Graça et al., 2007). A total of 150 bags were sealed and randomly distributed at the sampling sites. Coarse and ine mesh bags were positioned both in riles and pools areas, well submerged, tied to rocks and stones with ishing nylon wire. Dissolved oxygen and water temperature were relieved at each sampling station and bag positioning point. Geographic coordinates were assigned to each bag. Triplicate of ine and coarse mesh bags were retrieved from each sampling site weekly. 47 Gina Galante et al. Leaf mass loss estimation he sampled litter bags were placed individually in plastic bags and then brought to laboratory. Leaves were removed from bags, rinsed with deionized water to remove sediments and adhering invertebrates. Leaf material was dried at 60 °C to constant mass for 72 h, weighted, burned in mule furnace at 500 °C for 6 h and weighted again at the nearest 0.01 (Graça et al., 2001; 2007). Leaf breakdown rate (k) was estimated by itting the amount of remaining leaf material data to the exponential model, Yt = Y0 e-kt, where Yt is the AFDM remaining at time t (days), and Y0 the AFDM at the beginning of the experiment (Petersen & Cummins, 1974). Leaf mass losses were estimated for each litter bag using the relation ln ( Yt/Y0) = – Kt. In decomposition rates the curve itting AFDM was expressed as percentage of the remains mass. Biodiversity analysis he leaves in coarse mesh bags were rinsed into a 400 µm mesh screen to retain the associated macroinvertebrates, which were sorted and collected in ethanol (70 % v/v) until identiication and counting. Macroinvertebrates were identiied by stereomicroscope to family, except for oligochaeta that were identiied at genus level in according to Merrit & Cummins (1996). SHDI (Shannon Diversity Index), SHEI (Shannon Evenness Index), S-species richness and total abundances per bags, collecting data and sampling station were determined. hree replicates of ine mesh bags were sent to microbiology laboratory to asses microbial and fungal diversity. he estimation of microbial community composition was performed by genetic ingerprinting techniques. Scanning laser microscopy was used to examine the characteristics of the bacterial strains. Isolated bacteria were identiied by PCR ampliication and sequencing. Phylogenetic analyses were conducted for inferring the evolutionary relationships of the examined taxa. Substrates characteristic and Fractal Dimension estimation Substrate characteristics were detected by overlaying a one meter wide plastic square upon each litter bag (litter bag in the geometric centre) and counting number and dimensions of stones, rocks and pebbles inside the square sediment characteristic were detected as well (gravel, sand or a mix of the two), then substrate selected 48 Late spring decomposition rates in a second order stream areas were photographed. Five classes of rocks, stone and pebbles: rocks > 25 cm; rocks = 20 cm; stones = 15 cm, pebbles = 10 cm and number of pebbles/cm2 were identiied. he acquired images were imported in ArcGIS software and transformed into grid formats. In the following step, images were processed to eliminate water relex, exported as bitmap format and elaborated with Fractal 3 software to calculate fractal dimension (FD) in gray scale using box-counting method, a quantitative analysis of perimeter convolution to evaluate the degree of roughness of input images. Commonly known as the Hausdorf Dimension (H.D.), the algorithm is Eq. (1) and gives the aggregate perimeter roughness as a fractal dimension. he fractal dimension describes the complexity of an object (Carr & Benzer, 1991) (Fig. 1). Figure 1: Procedure for acquisition and elaboration of substrate fractal dimension: 1: plastic square positioned on the studied area; 2, 3, 4: elaboration steps. In the bottom two graphical examples of box counting method to calculate FD. Statistical analysis Diferences in decomposition rates between ine and coarse mesh bags in the three sampling stations were analysed by ANOVA, such as diferences in macroinvertebrates number of individuals and taxa, both for sampling date and station. A correlation matrix was elaborated to relate inal AFDM to: substrate characteristics, fractal dimension of substrate (FD), SHDI, SHEI, S-species richness, total abundances, dissolved oxygen and water temperature. he same parameters, calculated per bags, were used to perform a CCA (Canonical Correspondence Analysis). Before proceeding to apply the CCA model a data pre-processing to reduce redundant in- 49 Gina Galante et al. formation was executed. In this paper, the variables selection was carried out across the statistics techniques of the stepwise algorithm: an heuristic method that examines variables, according to the well known “parsimony principle” (“entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”, or “entities should not be multiplied beyond necessity”). Results During the experimental period water temperature ranged from 16.0 to 13.2 °C. During the 1st week water temperature ranged from 14.0 to 15.5 °C while in the 2nd week there was an abrupt water temperature drop due to meteorological condition. In the 3rd week gradually water temperature increased until reaching the same values recorded in the irst week. Decomposition process was quite complete in three weeks. Breakdown rates of coarse mesh bags resulted to be: K = –0.0961 d –1 K = –0.1183 d –1 and K = –0.1056 d –1 respectively in sampling stations 1, 2 and 3. No statistically signiicant diferences were found comparing K among the three sampling stations for both ine and coarse mesh size litter bags. Statistically signiicant diferences were found between coarse and ine litter bags decomposition rates (Tab. I). Table I: ANOVA results for differences between fine and coarse mesh size decomposition rates. Effect Intercept Univariate Tests of Significance, Effect Sizes, and Powers for k (matrice k fine-coarse.sta) SS Degr. of Freedom MS F p Partial eta-squared Noncentrality Observed power (alpha = 0.05) 0.286786 1 0.287 20.95 0.000 0.344 20.950 0.994 Mesh-size 0.078070 1 0.078 5.70 0.022 0.125 5.703 0.645 Site 0.015444 2 0.008 0.56 0.573 0.027 1.128 0.137 Error 0.547572 40 0.014 he bacterial activity contributes to process for almost 40 %. On the basis of the 16S rRNA gene sequences analysis the isolated bacteria belonged to the following taxa: Serratia sp., Aeromonas sp., Citrobacter sp., Ochrobactrum sp., Flavobacterium sp., Duganella sp., Acinetobacter sp., Stenotrophomonas sp., Pseudomonas sp., Bacillus sp., Flavobacterium sp.,Rheinheimera sp., Agrobacterium sp. (Fig. 2). 50 Late spring decomposition rates in a second order stream Figure 2: Phylogenetic affiliations of the bacteria relived from leaf material (highlighted in boldface). The tree was constructed by the NJ method, the nucleotide substitution rates were calculated by using Kimura’s two-parameter model; only values >50 % are displayed. All identiied bacteria are those characteristic of decomposition processes in freshwater. Sampling station 1 showed the lower breakdown rate while the faster K was recorded at station 2. For those who regard macroinvertebrates analysis 18 diferent families were counted and the main biodiversity indices were elaborated (Tab. II, III). 51 Gina Galante et al. Table II: Identified families. Taxa st1 st2 st3 Baetidae 41 123 83 Habropheliae 26 17 23 Heptageniidae 0 4 0 Leptophlebiidae 5 15 0 Caenidae 22 14 29 Ceratopogonidae 27 14 9 8 3 12 10 14 29 Chironomidae Simulidae Muscidae 1 0 0 Tupilidae 0 0 1 Culicidae 3 0 0 Rhyacophylidae 3 1 3 Polycentropodiae 21 13 8 Tubificidae 25 7 47 Lumbricilidae 1 0 0 Nemouridae 4 0 12 Anfiphipodae 1 0 2 Nepidi 0 0 1 Table III: Diversity indices. Shannon-Wiener Diversity Index Species Richness (S) Total Abundance st1 st2 st3 2.2872 1.6501 2.0206 16 11 13 199 225 259 Simpson Diversity Index 0.1228 0.3254 0.1752 Evenness 0.8249 0.6881 0.7877 Shannon Entropy 3.2997 2.3807 2.9151 Some signiicant diferences in species distribution and abundances were highlighted. Baetidae family (Ephemeropthera, ghatering collectors, scrapers) resulted the most representative group in terms of relative abundance. Fluctuations in species composition and relative abundances are showed in table IV and igure 3. 52 Late spring decomposition rates in a second order stream Table IV: Differences in species order’s relative abundances. Ephemeropthera, and Tricoptera show significant statistical variation in abundances. A more severe control of variance differences highlights a reasonable difference among sampling stations just for ephemeropthera (Newman-Kauls test). Multivariate Tests of Significance Sigma-restricted parametrization Effective hypothesis decomposition Effect Test Value F Effect ERROR p Intercept Wilks 0.089 23.905 9 21.000 0.000 Sampling date Wilks 0.116 4.505 18 42.000 0.00003 Sampling station Wilks 0.164 3.422 18 42.000 0.0005 Date*Station Wilks 0.034 3.272 36 80.434 0.000005 Cell No. Newman-Keuls test; Ephemeropthera, alpha = 0.05 Error: Between MS = 59.667, df = 29.000 Date Station Ephemeropthera 1 4 2009/06/04 1 0.33333 **** 5 2009/06/04 2 3.00000 **** 9 2009/06/11 3 4.09091 **** 6 2009/06/04 3 7.66667 **** 7 2009/06/11 1 8.71429 **** 8 2009/06/11 2 11.00000 **** 1 2009/05/28 1 17.00000 **** 3 2009/05/28 3 26.00000 2 2009/05/28 2 48.33333 2 3 **** **** **** Figure 3: Relationship among factors (sampling location and date) and taxa abundances. A, tricopthera; B, ephemeropthera. 53 Gina Galante et al. Relationships among macroinvertebrates decomposers diversity indices, AFDM, temperature, dissolved oxygen, substrate characteristics and fractal dimension (FD) were highlighted by correlation matrix: both total abundances and AFDM are correlated to fractal dimension of substrate. Substrate FD resulted negative correlated both to the number of big rocks > 25 cm and to the evenness. he presence of big rocks seems to reduce FD. Finally AFDM resulted to vary in function of FD, pebbly substrate and total abundances (Tab. V). Table V: Correlation matrix for quantitative data. Relationships among biotic and abiotc variables. 0.423 0.066 0.367 –0.111 –0.126 –0.063 –0.138 –0.030 T °C Ox mg/L AFDM T °C –0.240 –0.533 1.000 0.343 –0.030 0.097 –0.179 0.138 –0.208 –0.300 0.172 –0.043 0.060 –0.158 –0.087 –0.072 Total abundances 0.329 0.342 0.133 SHEI SHDI 0.194 1.000 –0.533 S, species richness Substrate Fractal Dimension 0.130 –0.240 –0.161 –0.073 –0.250 0.130 Stones = 15 cm 1.000 Ox mg/L Rocks = 20 cm AFDM Variables Rocks > 25 pebbles x 10 cm2 pebbles = 10 cm Marked correlation are signiicant at p <.05000 0.514 0.165 Rocks >25 –0.161 0.133 0.097 1.000 0.161 0.160 0.311 0.315 –0.362 –0.106 –0.103 Rocks = 20 cm –0.073 0.343 –0.179 0.161 1.000 0.383 0.374 0.161 –0.036 –0.047 –0.050 –0.135 0.039 Rocks = 15 cm –0.250 –0.030 0.160 0.383 1.000 0.318 0.134 –0.065 0.072 0.138 0.161 0.088 0.013 –0.140 0.126 pebbles = 10 cm 0.194 0.342 –0.208 0.311 0.374 0.318 1.000 0.559 0.058 0.203 0.211 –0.035 0.246 pebbles x 10 cm2 0.329 0.367 –0.300 0.315 0.161 0.134 0.559 1.000 0.061 0.099 0.050 0.093 0.089 Substrate Fractal Dimension 0.423 –0.111 0.060 –0.362 –0.036 –0.065 0.058 0.061 1.000 –0.227 –0.048 –0.367 0.367 SHDI 0.066 –0.126 –0.158 –0.106 –0.047 0.161 0.203 0.099 –0.227 0.088 S, species richness SHEI Total abundances 0.172 –0.063 –0.087 –0.103 –0.050 –0.043 –0.138 –0.072 0.514 –0.030 0.013 –0.135 0.165 –0.140 0.039 1.000 0.849 0.742 0.253 0.556 0.211 0.050 –0.048 0.849 1.000 0.383 0.126 –0.035 0.093 –0.367 0.742 0.383 1.000 –0.076 0.072 0.089 0.253 0.556 –0.076 0.246 0.367 1.000 FD of substrate ranged from 2.189 (station 1) to 2.682 (station 3). CCA analysis (AFDM target variable) highlights for the irst axe a high statistically signiicant value for total abundances and pebbles/10 cm2, thus conirming the correlation matrix results (Fig. 4). In particular, total abundances are positively correlated, while pebbles are negatively correlated. AFDM decreased at the total abundances increase and in presence of pebbly substrate. With regard to the second axe, it was found that stones = 15 cm, fractal dimension of substrate and temperature are negatively corre- 54 Late spring decomposition rates in a second order stream lated with AFDM, while total abundances and pebbles are positively correlated. Decrements of both temperature and fractal dimension of substrate inluence the decomposition process. In other words, low temperature and low fractal dimension of substrate inhibit the decomposition process. Figure 4: CCA results: A - dimension1 vs dimension3, B - dimension 1vs dimension 2 Discussion Although relationships among macroinvertebrates temperature and leaves breakdown rates are already known since long time (Cummins, 1974) the connection between decomposition process and fractal dimension of substrates are not yet properly investigated. he relationship among spatial heterogeneity of substrate (pattern) and macroinvertebrates assemblage in a stream ecosystem were investigated in a recent study (Boyero, 2003), but the fractal dimension of substrate was not taken into account, and the efects of diferent patterns on litter breakdown processes were ignored. Technical diiculties to detect substrates fractal dimension in situ, mainly in an aquatic environment, have often limited researches in this ield. he new methodology developed in the present study makes easier the evaluation of this parameter. he results of this work highlights new aspects connecting directly the breakdown 55 Gina Galante et al. rates to the complexity and heterogeneity of substrate structure, and in particular makes possible to establish the type of substrate structure that more inluence decomposition. Low FD values were found in those substrates constituted by big stones (> 25 cm) and, although this kind of substrate promotes water turbulence and oxygenation, it resulted negatively correlated with leaves breakdown rates. We can argue that leaves’ physical fragmentation and high water oxygenation enhanced by big stones does not promote an increasing of decomposition rates. Otherwise, substrates constituted by small rocks and pebbles smaller than 10 cm showed bigger FD, and contributed to increase processing rates. Besides being connected to breakdown rates, substrate FD resulted negatively connected to the SHEI index (higher SHEI index in presence of big rocks). his study suggest that an high value of FD can inluence both species abundance and decomposition rates: probably due to its contribution to the availability of refuges, hanging and feeding surfaces for invertebrates, but also because of the increased properties of substrate retention (Jefries, 1993). he more complex a substrate is, the more abundant are species (in this case ephemeropthera) and faster K. he heterogeneity of and abiotic factor seems to inluence directly an important ecological process as decomposition. Environmental heterogeneity (Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a greater extent by local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996; Bertness et al., 1996; Wright & Li, 2002). herefore, it could be interesting to investigate more deeply substrate FD (characterized by scale invariance properties) and its relation with breakdown rates at diferent spatial scales, to highlights the hierarchical dominie of FD change. he knowledge of the level at which substrate heterogeneity ceases to inluence the decomposition process could be also useful for the river ecological management. 56 Late spring decomposition rates in a second order stream References Archambault, P. & Bourget, E. (1996) Scales of coastal heterogeneity and benthic intertidal species richness. Diversity and abundance. Marine Ecology Progress Series, 136, 111-121. Bertness, M. D., Gaines, S. D. & Wahle, R. A. 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Introduction Knowledge of the ecological relevance of a landscape provides a useful input to land-use planning. Generally the assessment of the most ecologically valuable areas, also known as ecological evaluation (Spellemberg, 1992), is used to identify conservation priorities (Smith & heberge, 1986; Geneletti, 2004). More rarely, ecological evaluation is used to highlight areas of reduced ecological value because subjected to a foreseeable or existing human pressure (Zurlini et al., 1999). he project ‘An environmental information system to estimate the agro-ecological value of the land cover in the Lombardia plain’, founded by the General Direction Quality of the Environment of the Lombardy Region (Northern Italy) was designed by an interdisciplinary group of researchers with the aim of illing this gap. he idea of the project derives from the need of a cartographic product to assess the agro-ecological dimensions using reliable, operational, scientiically based and spatially explicit indicators. hese instruments should represent an operational tool for the monitoring and assessment of the agro-ecological value of a heavily human impacted landscape. he agro-ecological dimensions include landscape characteristics, biodiversity, and ecological processes like primary production, water and nutrient cycling, energy use (Castoldi & Bechini, 2006; Castoldi et al., 2007). Based on these premises, the paper proposes a set of indicators selected to assess the diferent aspects of the agro-environment and shows a method to visually synthesize the multiple information, summarizing the agro-ecological value of a territory at landscape level. he project is driven by an operational approach based on information gathered from land-use/cover databases. his guarantees low costs, replicable analysis, harmonized results, high comparable indicators. Methods and indicators were selected with the aim to be clear, simple, scientiically founded and transferable to all the administrative levels (Gabrielsen & Bosch, 2003), as support to land-use planning, environmental decision-making, Strategic Environmental Assessment (SEA) procedures, naturalness and biodiversity key areas identiication. 60 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain The study area: evolution and pressures he study was carried out in the Po Valley of the Lombardy region (Northern Italy) (Fig. 1). Lombardy is the most populated region of Italy, with more than 9.6 million inhabitants equal to 16 % of the total Italian population (source: ISTAT 2009). he total area of Lombardy is more than 23,800 km2: 47 % is on the plain, 40 % mountains and 12.5 % hills. Figure 1: The study area corresponds to the Lombardy plain (Northern Italy), highlighted with the grey colour. he Lombardy landscape is very varied and includes the Alps to the north, the hilly chain between the mountains and the wide plain, which is known as the Po Valley. Further south, there is the river Po to the east and part of the Apennine mountains to the west. he Lombardy plain is one of the most urbanised areas in Italy, and even in Europe, with Milan metropolitan area alone having more than 5 million inhabitants. he particular geomorphologic coniguration gave this area a natural supply of water, coming from the north. his derives from the rivers and from the particular geological structure. his abundance of water inluenced agricul- 61 Marta Maggi et al. ture practices by favouring certain types of land use, e.g. grazed pastures, and by maintaining the permanent vegetation along ield boundaries and along the numerous irrigation channels on the plain. he consequence of this was a landscape rich in natural elements, with a high degree of biodiversity, and with a cohesive, rather than difused, ecological network, which was also bolstered by an extensive system of forested areas. his scenario more or less endured until about 1950. Over the last 50 years, farming and urbanisation have had a major impact on the landscape pattern of the plain. he unsustainable level of urban and industrial settlements and of agricultural development has disrupted the rural landscape. A lot of forests and hedgerows disappeared, many springs dried up, parcels of land became larger and were managed intensively. A dramatically simpliied landscape resulted, and biodiversity was drastically impoverished (Lassini et al., 2007). hese pressures, together with some unsustainable planning policies and a lack of ecological foresight, transformed the Lombardy Po Valley into one of the most critical environmental areas in Europe, where urgent actions are needed. Materials and methods he mains source of data for the ecological evaluation was represented by the oicial vector land-cover database of the Lombardy region, also called DUSAF2 (Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali), at the scale of 1:10,000. his database, derived by photo-interpretation of aerial photographs dated from 2005 to 2007, represents an update of the former version referring to year 1999 and it has a legend coherent with the Corine land cover program. he DUSAF2 land cover map was subset using an hexagonal sampling grid, which is often used in ecological studies (O’Neill et al., 1996; Griith et al., 2000). Each hexagon has an area of 5 ha which provides a detailed representation of ecological values at regional scales. From the methodological point of view a three levels hierarchical approach was adopted to estimate the agro-ecological value of the study area at an increasing level of detail: 1) the irst level of analysis consists in a basic comprehensive agro-ecological assessment, based on the description of the three characteristics of an ecological system, i.e. structure, composition and function (Andreasen et al., 2001; Dale & Beyeler, 2001); 62 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain 2) the second level assesses the landscape value referring to diferent thematic issues such as biodiversity, agro-diversity, land-cover change. his level adds information to the irst level and can concur to answer to speciic issues, with the possibility to be upgraded in a second moment; 3) the third level represents the synthesis of the above-mentioned two, since as Failing and Gregory (2003) say, ‘Mistake 6: avoiding summary indicators or indices because they are considered overly simple: (…) despite summary indices may mask some important attributes (…), they can lead to better decisions’. Level 1 : composition, structure and functionality In this paper we will present the results obtained so far for the irst level of analysis. As previously mentioned, for a irst general assessment of the ecological value at regional scale, we considered and evaluated the three key characteristics of an ecological system, i.e. structure, composition and function (Fig. 2). Figure 2: The three key characteristics of an ecological system (after Dale & Beyeler, 2001). hese characteristics may be considered at diferent spatial scales. In the framework of this study we focused at landscape level, therefore we identiied a landscape indicator for each of the three features. In particular for the compositional aspect we identiied the ‘bio-permeability indicator’, providing for each hexagon the proportion of land not interested by urbanization or intensive agriculture (Romano & Paolinelli, 2007), therefore suitable for the presence of biological activity. 63 Marta Maggi et al. he indicator is calculated as follows (eq. 1): Bio-permeability indicator = ∑(EAc coef.; FNc coef.) Eq. 1 where EAc coef. = proportion of the agricultural cover, not interested by intensive production processes (i.e., olive trees, agro-forestry areas, pastures), within the analysis cell FNc coef. = proportion of the forest and natural cover (i.e., natural and semi-natural areas, moors and heatland), within the analysis cell (it includes also wetlands) he structure, which tells about the spatial distribution of land cover, was described at landscape level using a diversity index, more precisely the ‘Simpson’s diversity index’. he index was considered as a proxy of the system complexity and a good descriptor of the landscape diversity. Actually the original index was appropriately modiied so that the urban cover presence is considered to reduce the diversity value of a cell. he structure value is calculated according to the following formula (eq. 2): D = [1 – ∑(pi)2]/(1+1/pu) Eq. 2 where pi = proportion of the i patch within the cell analysis (it may belong to any land cover class) pu = proportion of the urban cover within the cell analysis he function characteristic was quantiied through the ‘Aggregate functionality indicator’, speciically conceived in the framework of this project. his index estimates the contribution of each land cover to the water cycle, the nutrients and energy cycles and the erosion processes. It is calculated as follows (eq. 3): F = ∑ (ai+ bi + ci)pi Eq. 3 where a = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the water cycle b = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the energy and nutrients cycles c = weight assigned to land cover class i relative to its contribution to erosion processes pi = proportion of land cover class i within the analysis cell All the indicators may assume values between 0 and 1, where 0 corresponds to the worst ecological value of the indicator and 1 to the best. 64 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain Synthetic representation In order to integrate the three indicators and to spatially represent the agroecological value at the irst analysis level, a method based on RGB additive color synthesis was adopted. According to this method, each indicator corresponds to a primary color, i.e. red, green or blue: the color of each hexagon is thus the result of the synthesis of the three primary colors and tells about the values of the three indicators. A white hexagon thus derives from the combination of high values for all the three indicators. herefore it corresponds to an area of very high agro-ecological value. A yellow, magenta or cyan hexagon derives from the combination of high values for only two indicators. A black hexagon, on the contrary, corresponds to an area of very poor agroecological value. Results: evaluation of the agro-environmental quality Each indicator was derived using the available land cover database as data source. In general the study area shows few hot spots of high ecological value in a medium/low matrix. In particular, highest values of the bio-permeability indicator are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspondence of forested and natural areas (Fig. 3). Intensely cultivated agricultural areas and urban areas do not contribute to the bio-permeability of the analyzed territory. he aggregate functionality indicator presents an analogue spatial distribution, however lowest values correspond only to urban areas while intensely cultivated agricultural areas have intermediate values (Fig. 4). he diversity index presents a more complex spatial pattern, although highest values are noticed still along rivers, in correspondence of natural areas and in less intensely cultivated areas (Fig. 5). 65 Marta Maggi et al. Figure 3: The spatial distribution of the bio-permeability indicator represented in grayscale. Highest values are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspondence of forested and natural areas. Figure 4: The spatial distribution of the aggregate functionality indicator represented in grayscale. Lowest values correspond to urban areas while intensely cultivated agricultural areas have intermediate values. 66 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain Figure 5: The spatial distribution of the diversity indicator represented in grayscale. This index presents a complex spatial pattern, highest values are noticed along rivers, in correspondence of natural areas and in less intensely cultivated areas. Figure 6: The spatial representation of the agro-ecological value as obtained by the additive color synthesis method. Triples of values refer to Functionality (F) loaded on the Red (R) channel, Bio-permeability (B) on the Green (G) channel, Diversity (D) on the Blue (B) channel. All indicators have values between 0 and 1. 67 Marta Maggi et al. To aggregate the three indicators using the additive colour synthesis method, the Functionality indicator was loaded on the Red channel, the Bio-permeability indicator on the Green channel and the Diversity indicator on the Blue channel. Figure 6 shows the results specifying for some of them the triple of indicator values. he map represents the spatial distribution of areas having diferent agro-ecological value at landscape level. It may be noticed that the magenta colour (e.g. R = 0.34, G = 0.01, B = 0.06) is the more dominant in the entire study area, highlighting that the higher values are provided by the Diversity and Functionality indicators. he study site presents a general lack of bio-permeable areas. Few areas, close to rivers, present high values for all the three indicators, therefore a white colour (e.g. R = 0.8, G = 0.9, B = 0.7). Sub-alpine hills are characterised by high value of Bio-permeability and Functionality as showed by the yellow colour (e.g. R = 0.8, G = 1.0, B = 0.04). Finally, some green spots (e.g. R = 0.4, G = 1.0, B = 0.0) are visible in the lower part of the plain correlated to the luvial system. Figure 7: The ecological network overlaid on the RGB synthesis of the three landscape indicators, represented in grey tones. Corridors running in the north-south direction correspond to areas which have a high agro-ecological value (white areas). The overlay led also to assess which parts of the network present discontinuities in terms of agro-ecological value. 68 An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain As a irst application of the obtained results we overlaid the layer representing the ecological network, as delineated by the Lombardy region, to the RGB synthesis of the three landscape indicators (Fig. 7). his allowed to verify that many ecological corridors correspond to areas which have a high agro-ecological value, in particular the corridors running in the north-south direction. Moreover, the procedures led to assess which parts of the network present discontinuities and would need interventions in terms of land covers. Conclusions his document presents the preliminary results of a project aimed at evaluating the agro-ecological value of a heavily human-impacted landscape. he adopted methodology ofers the advantage of obtaining an harmonized evaluation over all the study area. Moreover, it allows to identify critical areas and to raise awareness on the existence, within the analyzed landscape, of areas that despite the high human pressure would be worth being preserved due to their ecological value. At the same moment the adopted methodology led to identify advantages and drawbacks of previous environmental and land-use planning decisions. he indicators proposed so far, at the irst analysis level, are suiciently simple. herefore they should hit the demand of those who need to apply such indicators in practice, such as administrations and policy makers. Further developments of the project will concern the identiication of second level indicators referring to diferent thematic issues and the setting up of a methodology for synthesizing them. 69 Marta Maggi et al. References Andreasen, J. K., O’Neill, R. V., Noss, R. & Slosser, N. C. (2001) Considerations for the development of a terrestrial index of ecological integrity. Ecological Indicators, 1, 21-35. 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E.g. in the Swiss Alps, undisturbed and natural treelines are seldom, remaining on steeper and rocky surfaces (Gehrig-Fasel et al., 2007). However, land-use changes have recently had a considerable inluence on treeline dynamics (Didier, 2001; Gehrig-Fasel et al., 2007; Holtmeier & Broll, 2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al., 2008). Within some Alpine regions, an upshift in the actual treeline-position, primarily as a consequence of land-use changes, has been observed (Gehrig-Fasel et al., 2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al., 2008). In order to identify the dimension of human impact within these zones, the actual and the potential treeline for the entire Alps need to be delineated. he actual treeline-position can be directly identiied from recent land-cover maps. he potential treeline, however, has not yet been deined for the whole Alpine arc. Within this study, we thus present for the irst time a method for the delineation of the potential treeline for the entire Alps. A mixed approach of GIS and statistical applications was followed in order to achieve this objective. 71 Caroline Pecher et al. Study area he study area covers the cooperation area of the Alpine Convention and it spans the countries of Austria, France, Germany, Italy, Liechtenstein, Slovenia, and Switzerland, covering an area of ca. 190,777 km². According to Ozenda (1988) the Alps can be subdivided into three main bio-geographic regions: he Alpine fringe, the inter-Alpine zone, and the continentality poles. Material and Methods Data sources For the delineation of the potential treeline Corine land cover 2000 (CLC2000) in combination with Corine land cover Switzerland (CLC Switzerland) as well as processed data from the Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) were utilized (EEA, 2005a; EEA, 2005b; Jarvis et al., 2008). CLC2000 provides data on land use and land cover for the entire Alps except from Switzerland, which is represented by CLC Switzerland. CLC2000 has a 100 m resolution, and it was developed for the reference years 1999-2001 (Nunes de Lima, 2005). CLC Switzerland has a resolution of 250 m, and its reference years are 1979-1985 (Nippel & Klingl, 1998). he processed SRTM data-set has a resolution of 3 arc-seconds (Jarvis et al., 2008). Potential and actual treeline A combined approach of GIS and statistical applications was followed in order to identify the potential and the actual treeline-position. he method for the potential-treeline delineation is described in detail by Pecher et al. (forthcoming). For the delineation of the potential treeline the CLC class “Forest” was used which is deined by a density of 500 trees per ha or by a canopy cover of more than 30 % as well by a tree height of more than 5 m (EIONET, 2006). Assuming that the potential treeline needs to be more elevated than the actual position of the treeline, only the most elevated forest incidents were used for the delineation of the potential treeline. he delineation was conducted in the following way: Seven transects of 100 km width were placed at the positions of geo-botanical proile lines, and were then subdivided into bio-geographic regions (both deined by Ozenda, 1988). For every 72 Alpine-wide delineation of the potential treeline transect the most elevated 10 % of forest occurrences per bio-geographic region (cf. 2.1 Study area) were selected and the correlation among the data was then represented by a polynomial function (Fig. 1). he position of the potential treeline was determined by a GIS-based implementation of the polynomial functions on 5 km raster cells covering the Alps. he actual treeline-position was identiied by means of CLC2000, CLC Switzerland as well as by the processed SRTM data. All areas below the actual treelineposition were selected semi-automatically considering altitude as well as land-use and land-cover type. In a inal step, the zone between the potential and the actual treeline-position could be identiied. Figure 1: Within seven transects of 100 km width, the highest 10 % of forest incidents were identified. The correlation among the selected forest incidents per transect was subsequently represented by a polynomial regression. 73 Caroline Pecher et al. Results he polynomial functions which have been identiied for the seven transects have the following characteristics: he vertex of all seven functions is positioned near the Alpine main ridge or south of it. he lowest vertex can be found within the transects 1 and 4 with ca. 2200 m a.s.l., within the transects 2 and 5 the vertex is at ca. 2400 m a.s.l., and the highest vertex is reached by the functions within the transects 3 and 7 with ca. 2500 m a.s.l. 88.0 % of the total study area, 96.7 % the Alpine fringe, 82.9 % of the inter-Alpine zone, and 63.3 % of the continentality poles are located below the potential treeline. Figure 2a illustrates the study area below the actual treeline-position, and igure 2b represents the study area below the potential treeline-position. he mean differences between the altitudes of the potential and the actual treeline increase from the Alpine fringe (187.7 m) and the inter-Alpine zone (336.3 m) to the continentality poles (377.9 m). Figure 2: Study area below the actual (a) and the potential (b) treeline-position. 74 Alpine-wide delineation of the potential treeline Discussion he quality of the potential treeline delineated within this study is strongly inluenced by the quality of the underlying base data. he two CLC data-sets have some limitations that are mainly due to diferent resolutions and reference years. Whereas CLC2000 has a 100 m resolution the resolution of CLC Switzerland is 250 m; furthermore, the reference years of CLC2000 and CLC Switzerland difer between 14 and 22 years (Nippel & Klingl, 1998; Nunes de Lima, 2005). hese diferences result in a reduced comparability of the data sets that probably lead to errors in their application. However, at the moment, CLC2000 and CLC Switzerland are the only pan-European data-sets on land cover and land use available at higher resolution. he currently being produced Corine Land Cover 2006 will, for the irst time, cover the Alps consistently, which might be an improvement at least for the Swiss part of the data set (EEA, 2007; EIONET, 2009). he potential treeline delineated within this study is shaped very evenly. In reality, the altitude of the potential treeline within the Alps is highly dependent e.g. on the relief as well as on local climatic conditions (Mayer & Ott, 1991). he validity of the potential treeline was tested by means of a comparison with potential-treeline altitudes from the literature cited. Comparisons were carried out for the Berchtesgadener Calcareous Alps (Germany), for various study sites within the Valais (Switzerland), and for the Maurienne Valley (France): Within the Berchtesgadener Calcareous Alps Mayer and Ott (1991) identiied the climatic treeline for Pinus cembra at 1910-1970 m a.s.l. Our data locate the mean-altitude of the potential treeline within this region at 1930-2010 m a.s.l. For diferent locations within the Valais, Tinner and heurillat (2003), Carnelli et al. (2004), and Heiri et al. (2006) found potential treelines at 2200-2300 m a.s.l., 2200-2300 m a.s.l., and 2350-2400 m a.s.l. Our data identify mean-altitudes of the potential treelines at 2230-2240 m a.s.l., 2160-2260 m a.s.l., and 2240 m a.s.l. for these sites. Within the Maurienne Valley the potential treeline was located by Didier (2001) at 2300-2400 m a.s.l., whereas we found the mean-altitude of the potential treeline at 2260-2340 m a.s.l. within this zone. hese indings lead to the conclusion that the delineated potential treeline is able to represent the real potential treeline, at least at a regional scale. he delineation of the potential and the actual treelines for the entire Alps allow now for the irst time for an identiication of the dimension of human impact in formerly forested mountain areas. In future, updates of CLC or other applicable data sets will additionally provide an insight into changes in anthropogenic activities within these zones. 75 Caroline Pecher et al. References Carnelli, A. L., heurillat, J. P., hinon, M., Vadi, G. & Talon, B. (2004) Past uppermost tree limit in the Central European Alps (Switzerland) based on soil and soil charcoal. Holocene, 14, 393-405. Didier, L. 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Angela Pluchinotta1*, Julia Reiss2, Guy Woodward2 & Elisa Anna Fano1 1 Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Università degli Studi di Ferrara, Via Luigi Borsari 46, 44100 Ferrara 2 School of Biological and Chemical Sciences, Queen Mary University of London, London E1 4NS *[email protected] Abstract Nell’ultima decade, l’incremento dei tassi di estinzione delle specie ha sollecitato ulteriori studi focalizzati prevalentemente sulla diversità speciica e sul modo in cui la sua diminuzione alteri l’eicienza delle comunità a mediare importanti processi ecosistemici. Sebbene la ricchezza speciica sia una delle metriche più utilizzate della biodiversità, non signiica che le specie siano le uniche componenti della forzante ad avere efetti sulle proprietà dell’ecosistema. Per tali ragioni, il presente lavoro è inalizzato all’analisi degli efetti della diversità a diversi livelli, dalla diversità tassonomica alla variabilità di caratteristiche individuali, sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono in microcosmi di laboratorio. Sono state considerate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al gruppo funzionale degli shredders e due classi di dimensione corporea. Combinando le sei diferenti “tipologie” in monocolture e bicolture, si sono creati diversi scenari di ricchezza speciica e di abbondanza relativa. I risultati ottenuti mostrano che la decomposizione fogliare dipende principalmente dalla biomassa totale dei consumatori, piuttosto che dalla ricchezza tassonomica o da fattori di dominanza numerica. Inoltre, non si osservano interazioni positive, come la facilitazione o interferenze inter- e intra-speciiche, in assemblaggi dove coesistono diverse tipologie. Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità, si 77 Angela Pluchinotta et al. riscontra che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata per unità di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”. I risultati del presente lavoro sottolineano l’importanza di valutare l’ipotesi che variazioni della diversità funzionale, data da caratteristiche individuali come la taglia, piuttosto che della diversità speciica, possano avere un impatto ecologico rilevante sulla funzionalità dei processi ecosistemici. Introduzione Negli ultimi decenni, numerose ricerche in ambito ecologico hanno registrato un chiaro collegamento tra biodiversità e funzionalità ecosistemica e hanno formulato molteplici ipotesi riguardo la natura di queste relazioni (Chapin et al., 2000). In particolare, dagli anni ’90 una numerosa gamma di lavori, sia teorici che sperimentali, ha dimostrato come la biodiversità migliori generalmente la funzionalità dei processi ecosistemici, quali ad esempio l’uso della risorsa troica o la produzione di biomassa (Mittelbach et al., 2001; Balvanera et al., 2006). In queste ricerche, infatti, i tassi dei processi hanno mostrato un chiaro incremento all’aumentare della ricchezza speciica, risultati che hanno portato gli autori a considerare la biodiversità come sinonimo di ricchezza tassonomica, senza prendere in considerazione altre componenti importanti della biodiversità, come l’abbondanza relativa delle specie, le diferenze tra caratteri funzionali, le interazioni tra specie e le variazioni temporali e spaziali di queste proprietà. La ricchezza tassonomica certamente rappresenta un buon parametro per misurare la varietà di importanti caratteri, la stessa varietà che implica una correlazione positiva e asintotica tra ricchezza speciica e tassi del processo. Questo incremento può essere spiegato da una serie di meccanismi, quali: • l’uso complementare della risorsa, ossia l’equo contributo di tutte le specie in un dato processo (Loreau & Hector, 2001); • la facilitazione, ossia quando le attività di una certa specie interferiscono positivamente o negativamente sull’attività compiuta da altre specie (Cardinale et al., 2002); • il cosiddetto “sampling efect”, ossia la maggiore probabilità che in assemblaggi con elevata ricchezza speciica siano incluse specie con efetti rilevanti sull’ecosistema studiato (Cardinale et al., 2006). D’altronde, non è detto che i tassi dei processi ecosistemici mostrino una netta correlazione con la ricchezza speciica. In alcuni casi, infatti, le caratteristiche funzionali di specie dominanti possono inluenzare il processo al punto tale di an- 78 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea nullare gli efetti della numerosità tassonomica della comunità stessa (Dangles & Malmqvist, 2004). Cercando di deinire la vera chiave di lettura degli efetti della biodiversità sui processi ecosistemici, risulta interessante analizzare l’inluenza di speciici caratteri individuali, quali ad esempio la taglia corporea, l’eicienza nell’assumere l’alimento o la lessibilità nella dieta, piuttosto che la ricchezza speciica per se. Un particolare tratto dell’organismo, come la dimensione corporea, può portare diferenze nel processo osservato. In accordo con la teoria metabolica di Brown et al. (2004), la massa corporea determina il metabolismo basale degli organismi (ad es. la domanda energetica, i tassi di ingestione, l’abbondanza, la produzione di biomassa della popolazione), sino ad inluenzare i livelli più alti dell’organizzazione biologica, dal singolo individuo sino alla popolazione (Brown et al., 2004). Con il presente studio si intende valutare l’impatto di importanti metriche della biodiversità, quali appunto la ricchezza speciica, le abbondanze relative e la taglia corporea, sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono operato da assemblaggi macrobentonici detritivori in microcosmi di laboratorio. Considerata l’elevata ridondanza speciica e la forte strutturazione in taglia che caratterizza le catene troiche d’acqua dolce (Woodward, 2009), attraverso i risultati di questa ricerca si è voluto sottolineare l’importanza della taglia corporea come determinante dei processi ecosistemici, piuttosto che la composizione degli assemblaggi o la ricchezza speciica per se. Materiali e metodi Set-up sperimentale Gli efetti di diversità sul processo di decomposizione fogliare sono stati studiati in microcosmi di laboratorio durante la primavera 2008. Sono state utilizzate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al gruppo funzionale degli shredders (l’anipode Gammarus pulex, l’isopode Asellus aquaticus e le larve del tricottero Sericostoma personatum) e foglie di ontano (Alnus glutinosa) come riserva di cibo. Gli organismi considerati sono specie comuni nei iumi europei e possono coesistere in natura nello stesso habitat, così come ciascuna specie può dominare la comunità locale in termini di abbondanza e biomassa (Biggs et al., 2007). 79 Angela Pluchinotta et al. I macroinvertebrati sono stati raccolti prima dell’inizio dell’esperimento da iumi nel Sud-Est dell’Inghilterra e tenuti in camera termostatata con foglie di pioppo (Populus nigra) come risorsa troica. I microcosmi consistevano in recipienti cilindrici di vetro (volume 400 ml, diametro 11,6 cm, profondità 6 cm), areati singolarmente e chiusi con rete di nylon forata (diametro dei fori 1 mm). I recipienti sono stati riempiti con foglie di ontano (3 g di massa secca con picciolo rimosso) e successivamente immersi in contenitori di plastica contenenti 20 litri di acqua distillata e 7,5 litri di acqua di iume costantemente ossigenate da due tubi Aqua Air (60 cm di lunghezza). In ogni contenitore sono stati posizionati 15 microcosmi (12 box per 180 microcosmi in totale). L’acqua di iume ha facilitato la colonizzazione microbica delle foglie. La scelta di utilizzare foglie della specie ontano è stata determinata dai veloci tassi di decomposizione, compatibili con la breve durata dell’esperimento. Inoltre, gli alti valori nutrizionali della foglia selezionata e il quantitativo immesso nei microcosmi, tale da rendere la risorsa alimentare illimitata (Cummins et al., 1989), hanno permesso che tutte tre le specie, pur coesistendo, mantenessero una preferenza nel processare CPOM ad elevato contenuto calorico sino al termine dell’esperimento. L’esperimento è stato mantenuto a 15 °C in camera termostatata con un ciclo luce-buio di 8:16 ore e terminato dopo 4 settimane dall’ingresso dei macroinvertebrati. Trattamenti sperimentali In associazione alla diversità tassonomica è stata aggiunta la variabilità in caratteristiche individuali, prendendo in considerazione la taglia corporea. Agli organismi sono state assegnate due classi di taglia per ciascuna specie: individui rientranti nella classe di taglia “piccola” e “grande” della popolazione di A. aquaticus and G. pulex misuravano dai 4 agli 8 e dagli 8 ai 12 mm in lunghezza, rispettivamente. Individui rientranti nelle classi di taglia “piccola” e “grande” di S. personatum misuravano invece dai 9 ai 14 e dai 14 ai 19 mm in lunghezza, rispettivamente. Le medie di massa corporea per individui di taglia “piccola” erano di 2,1 mg, 2,3 mg, e 8,7 mg per A. aquaticus, G. pulex, and S. personatum, rispettivamente e di 6,2 mg, 6,7 mg, e 16,1 mg per individui di taglia “grande” di A. aquaticus, G. pulex, e S. personatum, rispettivamente. Mantenendo a dodici il numero totale di individui per microcosmo, si sono create combinazioni di macroinvertebrati assemblati in monocolture costituite da 80 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea organismi della stessa specie e in bicolture costituite da organismi appartenenti a due specie diverse con classi di taglia distribuite proporzionalmente o con una classe dominante (6+6; 4+8; 8+4). Tutti i trattamenti sono stati replicati 3 volte, ottenendo così 180 microcosmi distribuiti in 3 blocchi (Tab. I). Colture N I S=1 12 a A g G s S S=2 6+6 ag as gs AG AS GS sG aA gG sS aG aS gA gS sA 8+4 T 6 15 Aaa AAa Ggg GGg Sss SSs AAG aag AAg aaG AGG agg Agg aGG AAS aas AAs aaS ASS ass Ass aSS GGS ggs ggS GGs GSS gss Gss gSS 30 Controllo microbiologico 1 Totale 52 Repliche X3 Totale 156 Tabella I: Design sperimentale ottenuto introducendo nei microcosmi tre specie di shredders con organismi appartenenti a due diverse classi di taglia per ciascuna specie. Numero di individui (N), identità degli assemblaggi (I), numero dei trattamenti (T), a = Asellus aquaticus taglia piccola / A = Asellus aquaticus taglia grande, g = Gammarus pulex taglia piccola / G = Gammarus pulex taglia grande, s = Sericostoma personatum taglia piccola / S = Sericostoma personatum taglia grande Determinazione delle biomasse La biomassa iniziale di ogni individuo è stata derivata attraverso misurazioni della lunghezza totale del corpo di ogni organismo utilizzando un software di analisi d’immagine (Image Pro Plus 6.3.Media Cybernetics, inc®), e successivamente calcolata dalla regressione lunghezza – peso della biomassa secca derivata da un sub-campione di 50 individui per ogni specie. Dopo 4 settimane i macroinvertebrati sono stati rimossi dai microcosmi, separati dal materiale fogliare processato, fotografati e immediatamente congelati a –40 °C. 81 Angela Pluchinotta et al. Con il calcolo delle biomasse inali degli shredders si è potuta calcolare la biomassa acquisita dai macroinvertebrati durante l’esperimento. La mortalità è stata compensata assumendo che gli individui morti hanno vissuto almeno per metà del periodo sperimentale e i dati sono stati corretti in accordo a questa assunzione. Il rimanente materiale fogliare è stato seccato a 80 °C e pesato secondo le correzioni fatte per la perdita di massa fogliare dovuta alla lisciviazione e all’attività microbica. La perdita di massa fogliare è stata espressa in grammi di materiale fogliare secco per microcosmo e anche per unità di biomassa del consumatore. Elaborazione statistica dei dati Su tutti i dati è stata eseguita l’analisi della varianza mediante ANOVA (oneway Anova; α di signiicatività 0,05; software StatSoft Inc, 2001) e successivi test di Tukey-Kramer (Kramer, 1956) come confronti post-hoc, per veriicare la presenza di diferenze signiicative nei tassi di decomposizione (per 12 organismi e per unità di biomassa) in monocolture e in bicolture. Inoltre, sono state confrontate le risposte relative a questi trattamenti con i controlli microbici. Prima di procedere alle indagini statistiche, i dati sono stati testati per l’omogeneità della varianza tramite test di Levene e trasformati mediante log(x+1) quando opportuno. Tutte le analisi efettuate sono state condotte mediante il programma STATISTICA (v. 8 per sistemi operativi Windows®, applicazione StatSoft Inc®, 2001). Risultati Nei trattamenti si è registrata un’elevata percentuale di sopravvivenza (Sericostoma personatum 97,38 %, Gammarus pulex 91,34 %, e Asellus aquaticus 91,17 %). Si sono rilevate diferenze signiicative (p < 0,05) per quanto riguarda la perdita di massa fogliare tra i controlli e i trattamenti. I tassi di decomposizione fogliare sono risultati diversi tra le varie specie; S. personatum ha mostrato in media il maggiore efetto sulla perdita di massa fogliare, mentre G. pulex e A. aquaticus hanno avuto efetti minori (Fig. 1). 82 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea Figura 1: Perdita di massa fogliare (±ES) per 12 shredders nelle monocolture di Asellus aquaticus (1), Gammarus pulex (2) e Sericostoma personatum (3). La perdita di massa fogliare risulta signiicativamente diferente (p<0,001) nelle monocolture di S. personatum rispetto alle monocolture di G. pulex, che ha evidenziato valori intermedi e di A. aquaticus i cui efetti sulla perdita di massa fogliare risultano i più esigui. Le diverse performance rilettono principalmente le diferenze in biomassa tra le specie, anziché diferenze nella ricchezza speciica o nella distribuzione delle abbondanze. In efetti, la biomassa totale dei consumatori ha mostrato una forte correlazione positiva (r2 = 0,6125) (Fig. 2) con i tassi di decomposizione, mentre le singole specie non hanno inluenzato signiicativamente il processo, calcolato come media delle perdite di massa fogliare (g) in rapporto all’unità di massa corporea del singolo consumatore (mg) (Fig. 3). 83 Angela Pluchinotta et al. Figura 2: Relazione tra la biomassa totale di 12 shredders (g) e i tassi di decomposizione fogliare. La biomassa totale dei consumatori mostra una stretta correlazione positiva con i tassi del processo. Figura 3: Variazioni in perdita di massa fogliare per 12 shredders nelle monocolture di Asellus aquaticus, Gammarus pulex e Sericostoma personatum, calcolata come media delle perdite di massa fogliare (g) per unità di biomassa del consumatore (mg). Le singole specie non hanno influenzato significativamente i tassi del processo. 84 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea Nelle monocolture invece i tassi di decomposizione sono stati generalmente più bassi per gli organismi di taglia “piccola” rispetto a quelli di taglia “grande” della stessa specie (Fig. 4a), ma sono risultati signiicativamente più veloci per unità di biomassa del consumatore (Fig. 4b). Figura 4: Decomposizione fogliare (± ES) per 12 shredders e per unità di biomassa dei consumatori nelle monocolture con Asullus aquaticus di taglia “piccola” (a) e “grande” (A), Gammarus pulex di taglia “piccola” (g) e “grande” (G) e di Sericostoma personatum di taglia “piccola” (s) e “grande” (S). I tassi di decomposizione fogliare sono significativamente più bassi (p<0,001) per gli individui di taglia “piccola” rispetto agli individui di taglia “grande” (a), ma significativamente più alti (p<0,001) per unità di biomassa del consumatore (b). 85 Angela Pluchinotta et al. Conclusioni I risultati mostrano che gli efetti della diversità speciica sull’eicienza di conversione della risorsa in biomassa dipendono sostanzialmente dalla biomassa totale degli organismi, piuttosto che da altre misure tradizionali di diversità (ad es. ricchezza speciica e abbondanza relativa). Il mancato riscontro di una diferenza signiicativa nei trattamenti con diversi livelli di ricchezza speciica o con diferenti scenari di dominanza non supporta recenti studi nei quali vengono evidenziate interazioni positive, come la facilitazione o interferenze inter- e intra-speciiche, all’interno di assemblaggi dove coesistono diverse tipologie quanti-qualitative di organismi (Jonsson & Malmqvist, 2003). Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità si è riscontrato che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata per unità di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”. In accordo con quanto afermano Brown et al. (2004) relativamente alle esigenze metaboliche degli individui, gli organismi con massa corporea minore presentano tassi di assimilazione maggiori rispetto a quelli degli organismi con dimensioni più grandi, per unità di biomassa, nonostante abbiano consumato una quantità inferiore di risorsa. Si può quindi desumere che in riferimento a sistemi naturali l’incremento in taglia delle specie potrebbe causare una serie di efetti sul funzionamento degli ecosistemi analoghi a quelli derivanti dalla perdita in specie. Ora lo scopo è quello di misurare la diversità funzionale in modo più esplicito, raggiungendo il vero grado di ridondanza dei sistemi naturali e lasciando che si esprimano le potenziali risposte di compensazione alla perdita in specie. Inoltre le ricerche future necessiterebbero di maggior realismo, includendo sia la ricchezza in specie che in caratteristiche individuali, considerando più di un livello troico, e analizzando più di un processo ecosistemico (Reiss et al., 2009; Woodward, 2009). 86 Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea Bibliografia Balvanera, P., Pisterer, A. B., Buchmann, N., He, J. S., Nakashizuka, T., Rafaelli, D. & Schmid, B. 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Ravà 150, 00142 Rome Council for Research in Agriculture (CRA), Unit for Climatology and Meteorology applied to Agriculture (CMA), Via del Caravita 7a, 00186 Rome *[email protected] Abstract his paper illustrates a GIS-based information system aimed at monitoring drought conditions and land vulnerability to drought for Italy at a detailed spatial scale. he system is composed of three modules which include (i) a meteorological module which allows calculating climatic igures at a very detailed spatial scale over the whole Italian territory, (ii) a drought severity synthetic index, and (iii) a land vulnerability index based on a set of environmental variables describing climatology, soil properties, and land use in order to synthetically evaluate drought risk in potentially dry areas. he meteorological module produces cartographic outputs based on data from nearly 6,000 gauging stations whose data were collected on a daily basis over the whole country. he land vulnerability module produces an index, namely the LVI, measured in 1990 and 2000 and easily updatable. he LVI, which has a spatial resolution of about 1 km2, was built up through a multivariate approach aimed at assessing the importance of the various environmental indicators included in the synthetic index. Examples in the integration of the modules were illustrated through a GIS-based approach. 89 Luca Salvati et al. Introduction Drought is usually deined as a signiicant, temporary reduction in water availability below the expected amount for a speciied period and for a deined climatic zone. Diferent classiications of drought were developed according to the research ield of interest, e.g. meteorological drought, hydrological drought, and agricultural drought. he irst deinition is usually linked to an assessment of rainfall deicit only, the second one includes an evaluation of the water inlows and outlows balance, the third one, which is at our advice the most complete, separately evaluates diferent components of drought, namely the dimensions of duration and intensity, by providing assessment of the level of drought severity. In particular, drought duration refers to the length of dry spells, whereas drought intensity refers to the amount of water deicit, taking into account a simpliied water balance with rainfall and reference evapotranspiration, respectively as input and output variables (Ligetvari & Szalai, 2004). Drought severity is then estimated as an integrated index of duration and intensity (Venezian Scarascia et al., 2006). he aim of this paper is to illustrate a procedure aimed at developing a GISbased monitoring scheme for Drought Severity. he procedure is requested to produce this information at a detailed geographical and time scale. his contribution is organised as follows: the statistical survey aimed at collecting a large data set of meteorological observations in Italy was described in paragraph 2. he statistical approach aimed at calculating indicators of drought duration and intensity, thus producing a composite index of drought severity, was detailed in paragraph 3. he integration of diferent data sources in order to estimate a synthetic index of land vulnerability to drought was discussed in paragraph 4. he conclusion paragraph completes the paper by discussing the implications of permanent assessment of drought on policies aimed at mitigating drought risk in the Mediterranean basin. The National Institute of Statistics survey on meteorological networks in Italy Since 1926, the Italian National Institute of Statistics (ISTAT) disseminates meteorological data collected from gauging stations located over Italy. In 2007 ISTAT carried out a research project entitled “Meteo-climatic and hydrologic indicators”. his project, which is included in the National Statistical Program (2008-2010) tends 90 A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System to implement a geographical data-warehouse with meteorological, agro-meteorological, and hydrological daily values measured since 1951 from more than 6,000 gauging stations, provided by several national, regional, and local institutions. he project has the following objectives: (i) to provide a survey of the Italian institutions collecting meteorological data through the own network of gauging stations and (ii) to collect these data into a geographical data-warehouse in order to improve procedures for environmental monitoring. Survey of meteorological networks was done on national services, regional services (e.g. rural development agencies), and local institutions (e.g. research institutes). Based on the results of statistical data collecting, checking and imputing lacking values, the data-warehouse will allow estimating the main climate variables at high spatial resolution. Finally, a set of indicators describing the interaction of climate with biological, agronomic, pedological, and hydrological themes will be estimated, through down-scaling approaches, at different administrative spatial scales (e.g. municipalities, local labour systems, agricultural homogeneous regions) in order to achieve integration with socio-economic variables obtained at those scales. he survey was conducted on more than 600 institutions which included meteorological services working at national level, regional authorities, and local agencies operating in the environmental ield (Fig. 1). 2 Local institutions 14 % 6% m National services m Regional networks m Local institutions 125 Regional networks 133 National services 80 % 0 20 40 60 80 100 120 140 160 Number of stations per network Figure 1: Provisional (percent) number of gauging stations actually at work by type of meteorological network (left), and average number of station per network by network type (right). 91 Luca Salvati et al. he respondent’s list was compiled by dedicated searches on the web, by collecting additional information through the main national meteorological services, and by interviews with experts working at regional and local level. Data were collected through a statistical survey in 2008 by using software tools and data capturing. Metadata from each considered station were collected through Computer Assisted Technology Interviews CATI with holders of each network. he number of collected stations was rapidly increasing and it is expected to reach a size of about 6,000 gauging stations in a few months. A geo-database was developed in ORACLE/ARCGIS platforms in order to properly store collected time series data of all the climatic variables. A dedicated module calculates climatic indicators for environmental surveillance in agriculture, public health, tourism and water use on daily, weekly, monthly and yearly basis. At the moment, we are developing a geo-statistical module aimed to produce reliable climatic igures over the whole Italian territory at a afordable spatial scale. Calculating an agricultural drought index for the Italian territory Among the several methods proposed to describe drought incidence, the selected method appears as suitable to provide an objective characterisation of drought events. A simple drought index, obtained from only two input variables (rainfall and reference evapotranspiration), could be able to describe the diferent aspects of drought severity and to recognise ‘normal’ conditions, both in statistical and in ecological terms. Our goal is therefore to develop a drought index able to produce information on detailed spatial and temporal scales. In this module a drought severity index (DSI) was calculated following the methodology illustrated in Salvati et al. (2008). DSI allows to monitor agricultural drought especially when data availability is poor and it concerns temperature and precipitation data only. he module chose meteorological stations with valid daily precipitation data > 97 % and daily temperature (max and min) data > 95 % across the considered period (1/1/1951–31/12/2007). ET0, daily estimated evapotranspiration (mm day –1) was computed using the Hargreaves–Samani approach (Hargreaves & Samani, 1985), by computation on minimum and maximum daily temperature. Water deicit was obtained as the diference between precipitation and ET0 along a ixed time period. he procedure used to obtain the DSI consists of ive steps: (i) deinition of dry day and identiication of dry periods; (ii) computation of 92 A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System dry period climatology; (iii) assessment of dry period anomaly by using climatic percentiles, (iv) description of drought conditions by the way of partial indicators of drought duration and intensity, and (v) estimation of agricultural drought severity by the DSI index (Salvati et al., 2008). he DSI could be used to assess general climatic conditions occurring in a certain location. It allows a synthetic description of drought episodes in terms of both length of dry spells and water balance. Such features make this index suitable for studying the relationships between several environmental topics and climate changes. Evaluating land vulnerability to drought he third module, named ‘evaluating land vulnerability to drought’ produces cartographic layers needed to quantify the exposure of each territory to drought risk according to agriculture, population density, and other important human activities. his module develops the Land Vulnerability Index (LVI) illustrated in Salvati et al. (2009) (Tab. I). his easily updatable index, composed by 15 thematic indicators, was computed at a spatial resolution of 1 km2. he LVI was built up through a multivariate approach aimed at assessing the importance of the various environmental indicators included in the synthetic index. Table I: LVI dimensions, variables used (and their abbreviation), units of measurement, and data sources (S.C.: sensitivity classes). Theme Variable Unit of measure Source Soil quality Soil depth (DEP) – Mm Ministry of Agriculture Organic carbon content (CAR) – % Ministry of Agriculture Climate Land use Sign Available water capacity (AWC) – Mm Ministry of Agriculture Soil texture (TEX) + S.C. Ministry of Agriculture Estimated erosion risk (ERO) + t ha-1 a-1 EU Joint Research Centre Aridity index (ARI) + mm mm-1 Meteorological statistics Average annual rainfall (RAI) – Mn Meteorological statistics Rainfall variability (RVA) + SD/mean( %) Meteorological statistics Rainfall concentration (RCO) + mm mm-1 Meteorological statistics Number of rainy days (NRD) – da Meteorological statistics Vegetation quality (VEG) – S.C. CORINE Land Cover Population density (POP) + Km-1 Household Census Demographic variation (DEM) per ten years + % Household Census Agricultural intensification (INT) + S.C. CORINE Land Cover -1 93 Luca Salvati et al. Figure 2 illustrates the distribution of the index over Italy in 2000 (arrows indicate increasing land vulnerability). Increasing land vulnerability was observed during the last years, especially in dry areas of the southern regions. his is interpreted as a consequence of land management practices, agricultural intensiication, population pressure, and bio-physical degradation. Figure 2: Distribution of the LVI in 2000 over Italy: darker colours indicate higher land vulnerability. 94 A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System Conclusion his study proposes a synthetic index (the DSI) to estimate agricultural drought by way of a simpliied model of water balance which identiies the severity of dryness conditions during low-rainfall periods. Such an index uses as input variables only daily measures of rainfall and temperature, thus resulting suitable when few agro-meteorological data are available (Motha & Sivakumar, 2001). Overall, DSI provides a drought estimation which is quite comparable to that obtained from more complex, integrated indices, like SPI and DRI (Salvati et al., 2009). he proposed methodology may thus summarise in one value the diferent climatic relationships involved in the occurrence of drought events for any considered period (Incerti et al., 2007). It follows that the DSI time proile is informative not only about drought risk at a single time step, but also about its persistence with time. According to recent tendencies to evaluate drought episodes through simultaneous use of several indices or variables (Wu & Wilhite, 2004), the procedure has been implemented by a Land Vulnerability Index (LVI). As a matter of fact, the complex evaluation methods of drought conditions need a comprehensive framework in which several aspects should be combined (Svoboda et al., 2002), including (i) climatic (hydrometeorological) data and indices, (ii) soil quality and topography, (iii) crop cover (vegetation) conditions, and (iv) other human factors, like land use, population growth and density, urban sprawl and tourism pressure, as the LVI does. he next step will be the full integration of the three modules into a GIS environment. In such an integrated approach the proposed indexes will contribute to a better and more accurate evaluation of drought processes. 95 Luca Salvati et al. References Hargreaves, G. H. & Samani, Z. A. (1985) Reference crop evapotraspiration from ambient air temperature. ASAE Paper, 85, 2517. Incerti, G., Feoli, E., Giovacchini, A., Salvati, L. & Brunetti, A. 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Ingegneria Civile ed Ambientale, Università degli Studi di Trento, Via Mesiano 77, 38050 Trento *[email protected] 1 Abstract L’efetto barriera causato da elementi del paesaggio antropizzato è uno dei fattori che limitano maggiormente la mobilità di specie faunistiche e che possono aumentare le probabilità di estinzione di popolazioni già frammentate. Sebbene esistano numerosi studi sulla frammentazione degli habitat rimangono due fattori limitanti nell’applicazione delle metodologie disponibili nelle procedure di Valutazione ambientale e Valutazione Ambientale Strategica. Il primo è la mancanza di un’univoca attribuzione scientiica all’efetto barriera di elementi isici e quindi la mancanza della deinizione di soglie altimetriche e tipologiche collegate alla capacità di mobilità delle diverse specie faunistiche. Il secondo è la complessità nel reperimento dei dati dettagliati riguardanti le caratteristiche isiche delle barriere, acquisibili solamente attraverso costosi rilievi sul campo e per piccole aree. Si presenta una metodologia speditiva basata sul parere esperto e sull’analisi di dati LiDAR (Light Detection and Ranging; o Laser Imaging Detection and Ranging) per fornire una valutazione dell’efetto barriera di elementi isici di paesaggio. Il LiDAR è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o l’altezza di una supericie utilizzando un impulso laser. Il parere esperto, raccolto attraverso un’indagine Delphi ha permesso di stimare l’efetto barriera di elementi del paesaggio (elementi lineari o areali) al movimento di un set di specie (target) (rana, moscardino, riccio, tasso, capriolo). Queste specie sono rappresentative della vagilità delle comunità animali presenti nell’area di studio, un’area del fondovalle della Valsugana (Trentino). I dati LIDAR hanno permesso un’analisi del Modello Digitale della Supericie (DSM) ad alta risoluzione (0,3 m). Da questo modello e la carta di uso 97 Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato del suolo, sono state identiicate e caratterizzate le potenziali barriere isiche al movimento di specie faunistiche target. Tale approccio speditivo e semiautomatico può essere integrato eicacemente in analisi di paesaggio o procedure come la VIA e la VAS al ine di deinire gli efetti sulla connettività causati dai potenziali cambiamenti di uso del suolo. La metodologia fornisce una valutazione degli impatti potenziali e supporta anche l’identiicazione di aree importanti per una successiva progettazione e monitoraggio di misure mitigative e/o compensative. Introduzione La connettività ecosistemica è un fattore cruciale per il mantenimento della biodiversità in territori antropizzati (Opdam et al., 2003). La connettività degli habitat supporta veri e propri processi ecologici che svolgono un importante ruolo nella resilienza degli ecosistemi (Lundberg & Moberg, 2003). D’altra parte, nei fondovalle alpini le aree naturali-formi sono generalmente disperse e sempre più isolate da infrastrutture e usi antropici del territorio. In questi ambienti la frammentazione antropogenica si aggrava a causa degli elementi geomorfologici quali pareti rocciose, ripidi versanti vallivi, reticoli idrograici che sinergicamente limitano la connettività degli habitat. Le popolazioni di specie di fauna terrestre legate a tali habitat o alle piccole aree protette di fondo valle (es. SIC, biotopi protetti), rischiano estinzioni locali se la gestione del territorio e la pianiicazione, pur conservando integre le aree, non prevedono una minima bio-permeabilità tra loro (La Rovere et al., 2006). Gli strumenti disponibili per un’analisi della permanenza delle popolazioni (quindi delle specie) in un territorio, come la population viability analysis (Akçakaya & Sjögren-Gulve, 2000; Vos et al., 2001), sono spesso basati sulla teoria della metapopolazione (Hanski, 1994) e richiedono risorse per campionamenti e tempi di monitoraggio e raccolta dati (Coulson et al., 2001) diicilmente disponibili in ambito di pianiicazione territoriale e di valutazione ambientale (VIA, VAS). Recenti applicazioni della teoria dei grai alla connettività degli habitat (es. O’Brien et al., 2006; Pascual-Hortal & Saura, 2007; Minor & Urban, 2008) si sono mostrate eicaci nell’analisi della connettività intesa come conigurazione spaziale degli habitat. In questi sviluppi, tuttavia, sembra mancare un supporto operativo alla pianiicazione a scala locale (es. comunale). A questa scala, specialmente nelle regioni alpine, variazioni di uso del suolo anche molto localizzate possono modiicare irreversibilmente la possibilità di dispersione della fauna terrestre. L’intento dello studio, di cui in questo testo presenta una parte, è quello di supportare decisioni e valutazioni nell’ambito della pianiicazione territoriale e della 98 Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera valutazione degli impatti ecologici correlati al cambiamento di uso del suolo. Nello sviluppo, un’attenzione particolare è stata dedicata all’applicabilità del metodo in contesti di risorse limitate e alla comprensibilità dei risultati anche da parte di nonecologi. Il contributo innovativo dell’approccio proposto si basa sull’utilizzo di dati altimetrici ad altissima risoluzione (0,3 m) prodotti tramite rilievo LiDAR e dei grai spaziali nella rappresentazione della connettività funzionale (specie-speciica) a scala ecosistemica locale. Il metodo è stato applicato ad un contesto di fondovalle alpino, la Valsugana, nella parte alta del bacino del iume Brenta (in provincia di Trento), tra i comuni di Pergine e di Roncegno. In particolare l’area di studio è situata sotto i 700 m di quota, per una supericie totale di circa 100 km2. I conini dell’area di studio sono stati deiniti sulla base della geomorfologia e della presenza di aree urbane, fattori che costituiscono presumibili discontinuità ecologiche del territorio. Metodologia e procedura La metodologia è composta dai seguenti passi: 1. Selezione delle specie target e raccolta d’informazioni sulla capacità di movimento, di dispersione, deinizione delle esigenze di habitat (proili ecologici); 2. foto-interpretazione e riclassiicazione delle classi di copertura secondo EUNIS (Davies et al., 2004) (3° livello) in termini di idoneità di habitat sulla base dei proili ecologici 3. deinizione delle categorie di elementi barriera e stima dell’efetto barriera da parte di esperti a livello nazionale, coinvolti in un indagine Delphi (Scolozzi, 2008); 4. Localizzazione delle barriere e loro caratterizzazione per l’area di studio, tramite analisi dei dati altimetrici LiDAR e rilievi di campo; 5. disegno del grafo spaziale delle connettività, caratterizzazione delle connessioni (archi del grafo) ovvero deinizione della probabilità di connessione tra patch (Scolozzi & Geneletti, 2009). Di seguito si presenta nello speciico solo il passo 4, relativo alla localizzazione e classiicazione delle barriere isiche lineari tramite dati LiDAR, per gli altri passi si rimanda ai lavori citati. Brevemente, gli elementi del paesaggio rurale e urbano che possono costituire barriere per la fauna sono stati identiicati sulla base della letteratura e assunzioni, poi localizzate in base all’uso del suolo e del rilievo in campo. Le dimensioni sono state individuate cercando un compromesso con l’esigenza di di- 99 Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato stinguere soglie signiicative per le diverse specie, la risoluzione del dato LiDAR e la facilità di rilevazione in campo. Il dato LiDAR si presenta come una nuvola di punti vettoriali quotati ad altissima risoluzione (0,3 m) che descrive la supericie terrestre. In questo studio i dati LiDAR sono stati resi disponibili dalla Provincia Autonoma di Trento. Gli attuali strumenti di analisi dei dati LiDAR permettono due operazioni di base utilizzate in questo studio: la separazione e l’eliminazione degli oggetti che insistono sulla supericie terrestre e quindi la creazione di un DTM che rappresenta la cosiddetta “nuda terra” e l’analisi delle discontinuità altimetriche e morfologiche al ine di identiicare spazialmente elementi con caratteristiche geometriche predeinite (Priestnall et al., 2000). In questo studio sono stati identiicati spazialmente gli elementi isici lineari del paesaggio caratterizzati da una signiicativa discontinuità altimetrica e morfologica, per esempio muretti a secco, arginature di corsi d’acqua, strade e altre strutture in rilievo. Nello speciico la procedura di estrazione delle discontinuità è presentata nella igura 1, nelle successive si presentano i risultati intermedi, quali la mappa delle pendenze (Slope) (Fig. 2a), la mappa dei proili di convessità (Proile Convexity) (Fig. 2b), che sono stati integrati per ottenere la mappa delle barriere isiche classiicate in quattro intervalli di altezza. Figura 1: Diagramma della procedura di estrazione delle barriere fisiche dal dataset LiDAR. 100 Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera a) b) Figura 2: Mappe di Slope (a) e Profile Convexity (b). Figura 3: Mappa delle barriere e definizione del grafo spaziale della connettività funzionale. 101 Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato Partendo dalla mappa delle barriere e da rilievi di campi sono state deinite unità di paesaggio: aree con copertura naturale o semi-naturale continue, delimitate da barriere naturali o artiiciali (Fig. 3). Queste unità sono state messe in relazione tramite un grafo spaziale, i cui legami sono stati caratterizzati da una probabilità di passaggio (complementare all’efetto barriera) specie-speciico. In igura 3 si presenta il risultato dello studio applicato a supporto della pianiicazione locale (studio per il PRG del Comune di Roncegno). Risultati e discussione La metodologia presentata, seppur ancora in via di sviluppo, contribuisce allo sviluppo di strumenti di analisi della connettività ecologica integrabili nelle procedure di VIA e VAS. È stato dimostrato come con gli strumenti di rilievo territoriale attualmente disponibili sia possibile minimizzare il tempo necessario per identiicare gli elementi del paesaggio che costituiscono barriere isiche al movimento di specie faunistiche target. In particolare, dal punto di vista operativo è stata testata: • L’utilità dei dati LiDAR e di alcuni algoritmi di analisi geomorfologica nell’estrazione di elementi isici, in questo caso: elementi lineari con discontinuità altimetrica rispetto al piano campagna; • La possibilità di integrare un’analisi geomorfologica semiautomatica con il parere esperto; • La possibilità di derivare, dalle analisi precedenti, dei grai spaziali che descrivono la connettività e le conigurazioni spaziali degli habitat e che siano utilizzabili nelle procedure di VIA e di VAS. Ovviamente la metodologia ha dei limiti di diverso tipo (teorici e operativi) e diversamente superabili. L’applicazione della metodologia presentata è vincolata alla disponibilità del dato LiDAR per l’area di studio. Dal punto di vista dei software utilizzati è stato riscontrato come non esista un unico programma (commerciale o opensource) che contenga tutti gli strumenti necessari all’applicazione della procedura. D’altra parte, i processi modellati sono diicilmente misurabili e veriicabili, e caratterizzati da una signiicativa aleatorietà. L’efetto barriera è il risultato dell’interazione tra un manufatto umano (es. strada) e l’animale, che dipende dal contesto (es. stagione, condizioni atmosferiche, presenza e frequentazione dell’uomo), dalle condizioni dell’animale (es. fase migratoria o fase riproduttiva, età, equilibrio tra popola- 102 Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera zione locale e risorse alimentari locali), da altri fattori sinergici (es. fonti di rumore, una strada rumorosa può costituire una barriera invalicabile anche a distanza). Un ulteriore fattore d’incertezza riguarda l’uso di una o più specie target a rappresentanza della comunità faunistica locale. Le specie target deinite per l’area di studio sono eterogenee per gruppo (anibi, mammiferi), per dimensione e per capacità di spostamento, quindi rappresentano una ampio range di sensibilità alla frammentazione, ma non necessariamente sono specie focali (Lambeck, 1997). La selezione delle specie signiicative può essere inluenzata dalla disponibilità di dati o di conoscenze, più che dal reale ruolo di specie indicatrici e rappresentative. Potenziali sviluppi potrebbero riguardare sia la parte di analisi dati LiDAR e processamento in ambiente GIS sia la parte di modellazione. Nello speciico dell’analisi si pensa al miglioramento della procedura di estrazione delle barriere isiche da dati LiDAR testando altri iltri morfologici e diversi algoritmi di estrazione di oggetti tridimensionali. Riguardo alla modellazione della connettività tramite grai spaziali, un prossimo passo potrebbe essere volto verso lo studio e modellazione dei lussi potenziali d’individui. Da questi modelli si potrebbero trarre indicazioni sulla funzionalità o meno di scenari di pianiicazione a sostenere meta-popolazioni (popolazioni frammentate), quindi valutare l’impatto ambientale d’ipotesi progettuali (es. infrastrutture stradali). 103 Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato Bibliografia Akçakaya, H. R. & Sjögren-Gulve, P. (2000) Population viability analyses in conservation planning: an overview. Ecological Bulletins, 48, 9-21. Coulson, T., Mace, G. M., Hudson, E. & Possingham, H. (2001) he use and abuse of population viability analysis. Trends in Ecology & Evolution, 16, 219-221. Davies, C. E., Moss, D. & Hill, M. O. (2004) EUNIS Habitat Classiication Revised 2004. European Environment Agency, European Topic Centre on Nature Protection and Biodiversity, Dorchester, UK. Hanski, I. (1994) Patch-occupancy dynamics in fragmented landscapes. Trends in Ecology & Evolution, 9, 131-135. La Rovere, M., Battisti, C. & Romano, B. 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Our objective was to examine how habitat features and spatial relationships between wolves and ungulates may inluence selection and vulnerability of prey for providing a better prediction of the environmental impact of wolves in Majella National Park (MNP). Wolf food habits relative to nine diferent pack territories were assessed by scat analysis from November 2007 through November 2008. Wild ungulates resulted the main source of food and accounted in total for 91 % of occurrence frequencies, whereas livestock reached just 5.87 %. Percentage of occurrences of diferent prey types in scat samples of every wolf packs, were compared each other through Principal Component Analysis (PCA). Prey selection was investigated by correlating the Principal Components with seasonal patterns distribution and relative abundance of the most common wild ungulates of each wolf pack territory. Since selection for wild ungulate species (adults and juveniles comprised) resulted partially afected by their abundance, other factors that could inluence their vulnerability were investigated. hus, the physical features of the packs territories were analyzed by multidimensional statistics (PCA and Cluster Analysis) giving rise to few explanatory components that in turn were 105 Azzurra Valerio et al. correlated with the principal components arising from the scat composition analysis. he two physical and food habits spaces were demonstrated to be correlated with each other and gave a consistent depiction of the wolves ecology in Majella National Park. Introduction Prey selection is a critical component of foraging ecology of wolves (Canis lupus) that could aid in predicting the efects of these predators on preys populations. Wolves in MNP cohabit with a multi-speciic community of wild ungulates with whom they share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low level of human settlements. hese unique conditions ofer the rare opportunity of studying wolf diet and possible selective processes for both given wild ungulate prey species as well as demographic categories related to their abundance and distribution. Understanding of wolf-prey relationship has been intensively debated in the last twenty years and the efects of wolf predation resulted varied by area, weather conditions, prey species and human harvest. hus, our objective was to examine how habitat features and spatial relationships between wolves and ungulates may inluence selection and vulnerability of prey, in order to provide a better prediction of the environmental impact of wolves in MNP. Methods Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate communities Presence, number of wolves and potential range were constantly monitored since 2004 by wolf howling and snow tracking activity. Wolf howling census was made using the approach described as “saturation census” by Harrington and Mech (1982). Surveys were carried out between late July and early September. To verify and complete the information obtained by wolf howling, snow tracking census sessions were mainly concentrated in the areas around summer pack localizations, and were conducted by diferent teams operating at the same time in adjacent areas, usually 24 to 36 h after a snowfall. A total of 60 transects (560 km) were used. Density of wild ungulates was estimated by diferent census methods. Red deer were surveyed by counting roaring males, during the rut, in all the study areas. Counts were replayed twice in the middle of September. he total number of red 106 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park deer was extrapolated considering the number of roaring stags and the percentage of stags in the population, calculated by data on population age structure collected on established transects and by observations from vantage points. Data on roe deer and wild boar were collected on established transects and by observations from vantage points to estimate numbers of individuals, sex and age structure. For roe deer, density after parturition was calculated on the basis of the relative frequencies of females in the population, and their fertility was obtained from females shot in areas close to Park boundaries (Antonucci & Valerio personal observations). For wild boar, density after birth was calculated by adding percentage of piglets, determined from data collected on ungulate community structure, to individuals >1 year of age. Chamois were surveyed by means block census method and their range was established by using telemetry data. Wolf food habits Field collection. Wolf food habits were assessed by fecal analysis from November 2007 to November 2008. In nine diferent pack territories of MNP, scat sample (N=530) were collected opportunistically by following wolf tracks in the snow and along a network of trails, paths, forest road regularly used and marked by wolves. Twenty six standardized transects for a total of 287 km were traced and covered on foot every two weeks. During the year of the study, seasonal shift of packs range was continuously monitored by snow tracking activity, wolf howling and by revisiting recurrent deposition sites during summer season. Anyway, because topographic features (i.e. mountain peaks, deep valleys, etc.) seem to be used as boundaries in the most MNP pack territories, wolf scats could be assigned to individual packs with conidence. Only scats (N=10) collected in the few bufer zones between neighboring packs were excluded from analysis unless they were associated with tracks of the packs in the snow. he presence of presumable transient lone wolves scats, in the sample of each pack territory, was not accounted in consideration of pre-dispersal forays and single movements of pack members. Indeed, it would have been considered negligible because lone wolves traversing wolf-inhabited ranges tend not to scent-mark for concealing their presence (Rothman & Mech, 1979). To avoid the possibility to mix up wolf scats with those of other Canids, dogs Canis familiaris and foxes Vulpes vulpes, additional criteria were used: scat dimension and composition, deposition site, tracks or sign of wolf activity. Mistake with dogs is more likely during summer period when livestock could graze in pastures, therefore some of these 107 Azzurra Valerio et al. areas were excluded from sampling design according to a conservative approach. Two seasons, winter (November-April) and summer (May-October) were compared, considering diferent environmental (presence/absence of snow) and ecological conditions of both wolf and ungulate populations (breeding season, distribution patterns, habitat use and presence of livestock). Estimate age of scat deposition was assured by rotational sampling efort occurred at intervals of 2 weeks. Scats weathered and noncollectible were discarded as well because they do not fulill scat-analysis criteria. For three packs (Porrara, Colle Papaccio, Gamberale) summer sample size was too limited for a reliable diet assessment and consequently the collected scats were not included in the analysis. Laboratory procedures and Scat-analysis methods. he analysis of scats followed standard procedure as reported by Reynolds and Aebischer (1991). Prior to scatanalysis, trained observer’s (AV) bias in identifying mammal hairs was assessed by means of a blind test on a sample of 120 hairs from local mammals. Scats preserved in labeled plastic bags at –23 °C were autoclaved prior to analysis. After washing through a sieve (5 mm meshes), macro-components were not hand separated before air-drying, in according to point-frame technique used in this study for quantifying diet composition; for details see Ciucci et al. (2004). his procedure allows systematic sampling of the undigested remains of each fecal sample. Guard hairs were recognized at a speciic level using reference key (Teerink, 1991) and reference collection of local mammals hairs gathered from live specimens during this study. Among ungulates, the distinction into juvenile and adult was carried out due to the characteristic hair patterns of young animals from birth till the irst molt (≤ 5 months) and recognizable solid fragments (e.g. bones, teeth, nails) were identiied by referencing to museum specimens. For assessing the relative importance of particular food prey items in the diet, diferent scat-analysis methods commonly used for wolf were employed: relative frequency of occurrence (FO), relative volume (RV) and ingested biomass (B) values, using Weaver’s (1993) linear regression model (y = 0.439 + 0.008x) for mammalian prey. Statistical comparison between these methods was made in order to evaluate bias and discrepancies in their quantitative assessment of the diet and to give an overall accurate depiction of wolf food habits. High positive correlation (0.95 ≤ rs ≤ 1; 5 < n < 9; p < 0.001) between all methods was reported. hen, for comparison with other studies, relative frequency of occurrence was chosen for the quantitative description of the diet and for the statistical analysis. Bias associated with frequency were not accounted in this study for absence in the wolf 108 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park diet of small and medium size mammals (rodents, hares, insectivores) together with the prevalence of prey items of similar size (87.19 % FO) (Weaver, 1993). Spatial analysis Habitat variables relative to nine wolf packs territories were measured by means of digitalized 1:25,000-scale land-use map of the study area. Vegetation types and land-use variables were reclassiied into six groups from a set of 10-15 initial categories obtained directly by the Corine Land Cover classiication system (2000) and stored in ArcView3.2 (Environmental Systems Research Institute, Inc., Redlands, California, U.S.A.). hese new categories consist of woods, scrublands, agricultural lands, open areas, urban settlements and pasturelands. Using digital terrain model (square cell size of 1600 m2) physical variables of each wolf pack territory were measured as well. Aspect consist of 8 categories: (1) 0-45°, (2) 46-90°, (3) 91-135°, (4) 136-180°, (5) 181-225°, (6) 226-270°, (7) 271-315° and (8) 316-360°. Altitude consists of 6 categories: (1) 0-500 m, (2) 501-1000 m, (3) 1001-1500 m, (4) 15012000 m, (5) 2001-2500 m and (6) > 2501 m. Slope consists of 4 categories: plain, low slope, medium slope, high slope. Basic statistics for the nine wolf packs territories were calculated for all the variables (mean values and standard deviation or percentage of coverage). he areas considered in the analysis give rise to a speciic pattern of relation between the 24 variables that in turn generate spatial principal component scores: these allow to project the wolf packages into low dimensional space summarizing the physical features of their habitats. he correlation between spatial and diet components allows to sketch some explicative hypotheses about food habits. Statistical analysis Analysis of Variance (ANOVA) was used to check the statistical signiicance of diferences in the seasonal distribution of the most important food species. Multidimensional analysis was applied to estimate diferences in the distribution of FO ( %) values among wolf packs. Percentage of occurrences of diferent prey types in scat samples of every wolf pack were compared each other through Principal Component Analysis (PCA). PCA is a projection method used for exploiting the information embedded in multidimensional data sets. A raw data set constituted by a matrix having as rows (statistical units) wolf packs and as columns (variables) fre- 109 Azzurra Valerio et al. quency of occurrence of the diferent preys was generated. Two separate analyses were performed for winter and summer periods. Degree of wolf packs selection of diferent prey category within each species was evaluated for wild ungulates (wild boar, roe deer, red deer and chamois). he component scores obtained from PCA applied to the above deined matrix were correlated with the number of diferent wild ungulates prey species, counted in each pack territory for both periods, so as to check the consistency of the prey selection hypothesis. PCA was also used to analyze the same wolf packs in terms of twenty-four habitat variables, in order to complement the diet proile with an ecological signature of the same packs. his second analysis gave rise to few explanatory ‘environmental’ components that in turn were correlated with the principal components arising from the scat composition analysis, suggesting some possible hypotheses about factors that could inluence wolf prey selection. K-means non-hierarchical cluster analysis was applied to the component scores of the wolf packs so as to identify relevant classes of packs as for food habits. Linear discriminant analysis was applied to the characterization of the diferent packs groups. Results Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate communities During wolf howling session relative to summer 2007 the presence of the 8 packs recorded in summer 2006 was conirmed and three new packs were detected. Density of reproductive units is 1.3 pack/100 km2. Pack size averaged 7.2 ± 1.3 during summer and 6.1 ± 1.1 during winter period, with packs constituted by 7-8 individuals. Wild boar was the most abundant species in all MNP territory and in all wolf packs range with the exception of Fara pack, where density of chamois was wide abundant. Availability of roe deer and red deer was quite similar and chamois, reintroduced later than the others ungulates, was present with lower density. Tables with community structure of both wild ungulates and wolves as well as igures with their potential range overlapped are not shown in this paper. 110 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park Wolf food habits From November 2007 to November 2008, a total of 530 scats was collected in nine diferent packs territories of MNP. With regard to the composition of diet, wild ungulates represented, during the whole year of the study, the main source of food for all wolf packs and accounted in total for 91 % of frequency of occurrence. On the other hand, livestock reached only just 5.87 % and fruits of Rosa canina (Rosa canina), that were common in scats only during the winter period, reached 3.13 %. Wild boar was the most abundant food item (67 %) of all prey items in the whole year and for all wolf packs. he others wild ungulates seemed to be less important in the wolf diet: roe deer and red deer made up in total 13.3 and 7.7 % respectively, whereas chamois accounted for 4 %. hese proportions undergo temporal and spatial changes according to a iner scale of analysis relative to diferent packs (Tab. I). here were signiicant seasonal variations of the most important food items in the wolf packs diet during the year of study (Tab. II). Table I: Winter (November-April) and Summer (May-November) percentage of frequency of occurrences (FO %) of different prey types relative to nine wolf packs in the Majella National Park. Italics corresponds to the absence of this prey types in the pack territory. Win = winter period; Sum = summer period; * horses; ** bovids; # goat; § sheep; Ne = not evaluate. Wolf Packs Food item (FO %) Wild boar Roe deer Red deer Chamois Livestock Rosa canina Win Sum Win Sum Win Sum Win Sum Win Sum Win Orfento 52.5 39.0 33.3 27.2 4.2 12.0 0.0 0.0 10.0* 21.8*;** 0.0 Lama Bianca 83.4 48.0 0.0 32.3 3.1 0.0 6.3 19.7 0.0 0.0 6.8 Pretoro 81.0 65.0 11.0 16.6 0.0 18.4 0.0 0.0 0.0 0.0 8.0 Fara 65.0 31.0 0.0 0.0 0.0 0.0 34.0 53.0 0.0 15* 0.0 Salle 82.3 64.6 8.1 12.2 3.3 15.8 0.0 0.0 4.9* 7.4* ; # ; § 1.4 Gobbe 79.0 60.6 8.2 11.0 0.0 9.2 8.2 7.1 4.6** 10* 0.0 Porrara 80.6 Ne 12.0 Ne 4.7 Ne 2.5 Ne 0.0 Ne 0.0 C. Papaccio 55.4 Ne 17.2 Ne 5.4 Ne 0.0 0.0 18.3*;** Ne 0.0 Gamberale 52.0 Ne 16.3 Ne 9.1 Ne 0.0 0.0 22.6* Ne 0.0 111 Azzurra Valerio et al. Table II: Seasonal variation in the use of the most important food categories, tested by Anova test, among six wolf packs sampled in the winter and summer periods. Wolf Packs Orfento Lama Bianca Prey item Wild boar Roe deer Red deer Chamois 0.001 0.11 0.53 – 0.01 0.09 0.49 0.01 Pretoro <0.0001 0.64 0.27 0.30 Gobbe <0.0001 0.66 0.006 – Fara 0.28 – – 0.55 Salle 0.01 0.45 0.31 – “–” corresponds to the absence of this prey types in the pack territory. Multidimensional analysis of winter and summer wolf food habits. Data analysis begun with the computation of PCA to identify any clustering of data related to the diferences in the use of food categories among wolf packs during winter season. PCA applied to the original 9 units / 4 variables data set (wolf packs/food category) gave rise to a two component solution explaining about 79 % of the total variability in the system (56 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively). he component score parameters were used to build Hotelling ellipse (95 % conidence interval) with the aim to identify possible outliers. In our case just one pack (Fara) was at limit of the conidence interval. In fact this pack was the only one to be characterized by signiicant percentage of frequency of chamois occurrence in the diet. he application of cluster analysis to the component scores allowed us to highlight two groups of wolf packs. he irst group (A) was composed of Pretoro, Salle, Lama Bianca, Porrara, Gobbe, Orfento and Fara packs while the second one (B) of Gamberale and Colle Papaccio packs. To compare the two wolf packs groups, a t-test was applied to the component scores (PC1_A vs. PC1_B, etc.), highlighting signiicant diferences between the wolf packs on both PC1 and PC2 (p < 0.0001). his can be appreciated in fugure I,A, where the component score plot is shown. he loading plot relative to the discriminating variables is shown superimposed over a score plot (Fig. I, A). his representation allows to contemporarily appreciate the discrimination power (position of the wolf packs in the plane) and the functional meaning (the loadings correspond to the correlation coeicients of the original variables with the components) of the proposed solution. When a statistical unit (wolf pack) goes in the vicinity of a variable (diet element) in the plot this corresponds to saying that the variable has a signiicantly high value in the unit. his allows to immediately appreciate the relative importance of the contribution of the diferent wild ungulates food categories in the 112 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park characterization of wolf packs groups. Subsequently, a linear discriminant analysis was applied and allowed for a clear separation of the two groups (Fisher’s exact test, p<0.0001 on the classiication matrix). he same procedure described above was applied to summer data. PCA applied to the original 6 units/4 variables data set (wolf packs/food category) gave rise to a two component solution explaining about 72 % of the total variability in the system (49 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively). he application of cluster analysis to the component scores allows to highlight two groups of wolf packs: group (A) was composed of Pretoro, Lama Bianca, Orfento packs, while group (B) of Gobbe, Fara and Salle packs (Fig. I, B). A PC1 vs PC2 B PC1 vs PC2 Figure 1: A: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories () recovered in the scats sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento, Fara, Colle Papaccio e Gamberale packs (), during the winter period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier. The fact a given variable (prey type) is near in space to a given pack implies the use of that prey discriminates that pack from the others. Thus wild boar that is common to all the packs is distant from all the packs, chamois specifically identifies Fara pack and red deer, bovids and horses are peculiar of group B packs (Papaccio, Gamberale). B: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories recovered in the scats sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento and Fara packs, during the summer period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier. Wolf prey selection. For investigating wolf prey selection, the irst two component scores, that describe the diferences in the diet, were correlated with the numbers of diferent wild ungulates prey species, counted in each pack territory. he correlation coeicients were reported in table III. his table shows the strong correlation 113 Azzurra Valerio et al. between both PC1 and PC2 and the relative abundance of diferent prey types. As evident by comparing table III and igure I, the correlation structure linking component scores and prey abundances is highly variable across seasons and, most important, has nothing to do with the correspondent loadings structure. his implies an active selection of the prey by the wolf that makes the observed situation departing from the purely random model linked to the linear correlation between prey and correspondent species abundance. In order to go more in depth into the prey selection problem, the physical features of each pack territory were correlated with the principal components arising from the scat composition analysis. Since physical variables were twenty-three, we analyzed them by PCA so to reduce the problem dimensionality. PCA applied to the original 9 units/24 variables data set (wolf packs/ physical features) gave rise to a ive component solution explaining about 88 % of the total variability. In table IV the variance explained by each component is reported. hen, the loading plot relative to the discriminating variables is shown superimposed over a score plot (Fig. II). he three ‘physical’ components obtained were in turn correlated with the principal components arising from the scat composition analysis (Tab. V). his table shows how the physical features of each pack territory could inluence the choice of wild ungulates preys by wolves. Figure 2: Score Plot PC1-PC5 of the points representative of the habitat of nine different pack territories of the PNM, during the winter period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outliers. m 114 Wolf packs; Physical variables. Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park Table III: Correlation coefficients between the components extract from winter and summer PCA diet model and the number of the different wild ungulates prey species at disposal of each wolf pack. Prey item PC1 Wild Boar –0.58 PC2 PC1 –0.64 –0.86 Winter PC2 Summer 0.38 Red deer 0.14 –0.65 0.59 0.26 Roe deer –0.77 –0.60 0.90 0.32 Chamois 0.70 –0.51 –0.70 –0.46 Table IV: Component scores extracted from PCA model obtained by 24 physical variables of each pack. Wolf Packs PC1 PC2 PC3 Orfento –0.895 –0.076 0.049 Lama B. –0.036 –0.460 –0.306 Pretoro –0.400 0.177 –0.048 Fara 0.234 –0.360 0.336 Salle 0.112 0.396 –0.265 Gobbe 0.244 0.212 0.595 Porrara 0.099 –0.152 0.167 C. Papaccio 0.464 –0.201 –0.363 Gamberale 0.177 0.465 –0.163 Table V: Correlation coefficients between the components extract from winter PCA diet model and the components extracted from habitat features of each pack territory. PC1 Diet PC2 Diet PC1hab –0.64 –0.63 PC2hab 0.47 0.49 PC3hab 0.48 0.37 115 Azzurra Valerio et al. Discussion Wolves in MNP cohabit with a multi-ungulates community with whom they share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low level of exploited areas. his rich and abundant community is of great importance for MNP wolf population maintenance, accordingly to many studies performed in Europe (Mattioli et al., 1995; Okarma, 1995; Ciucci et al., 1996; Jędrzejewski et al., 2002; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004; Gazzola et al., 2005) and in North America (review: Mech & Boitani 2003), pointing to wild ungulates as the main source of food of the wolf diet. Among wild ungulates, wild boar is by far the most exploited species as a food item throughout the annual survey in the whole territory of the Park and for all the considered packs. In terms of diferential prey spectrum, principal component analysis allowed us to highlight chamois as the most relevant discriminant species allowing us to get rid of the singularity of one of our packs (Fara), in terms of both animal populations and physical features of the territory. In general, the relative prey abundance was demonstrated to be independent from the use in the diet thus pointing to an active selection exerted by the wolf packs. he comparison between summer and winter diets allowed us to detect a marked seasonal distribution in the use of wild boar. In six out of nine studied wolf packs, for which both seasons were sampled, we detected an increase of wild boar ratio in the winter diet compared to the summer one, when intake of the other wild ungulates became higher. Actually, when snow falls occur, the severe climatic conditions and the resulting pulsed resources could enhance vulnerability of wild boar to hunting wolves. he deeper and denser snow makes its movements energetically expensive (i.e. escape from wolves and foraging) due to its shorter legs compared to other wild ungulates species. hus, the combination of impoverished nutrition and limited escape conditions could explain the major use of wild boar as a food category in MNP wolf packs diet during winter season. Cervids constituted a secondary fraction of MNP wolves diet, with percentages of occurrence much lower compared to the wild boar. his occurs also in diferent study areas in the northern Apennines (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Gazzola et al., 2005), in which anyway wild boar is not the bulk of the ungulate community as in MNP. he contribution of these secondary prey categories to the wolf diet was almost equivalent. Even so, a major use of roe deer than red deer was overall observed, although their availability is comparable in the whole territory of the Park. We suggest that some external factors, like particular habitat characteristics of wolf packs territories or winter severity or their combina- 116 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park tion, may play a relevant role in shaping these diferences. he susceptibility of roe deer was linked throughout the year to particular ecological characteristics. Indeed, mosaic of mixed forest, agricultural and pasture lands, could increase roe deer density and group size because of its ability to exploit human dominated landscapes (Linnell & Andersen, 1995; Hewison et al., 1998). Actually, a major consumption of roe deer was reported in these particular environments (Jędrzrejewska et al., 1994; Glowacinski & Profus, 1997) and Mattioli et al. (2004) suggested that the grouping of roe deer especially at certain times of the day could increase wolf encounter rates enhancing the probability to be preyed by wolves (Huggard, 1993). his trend was also observed in our study area, as showed by the PCA-habitat model, wolf packs that inhabit areas characterized largely by these particular habitats correspond to a higher proportion of roe deer in the diet. A concordant result is the elevated grouping patterns of roe deer in open habitats in our study area. Moreover, roe deer is more restricted by severe winter conditions. Besides being disadvantaged owing to its small size, roe deer, conversely to red deer, does not afect signiicant seasonal altitudinal migration to escape deep snow, as was found in our study area. hus, in periods of strong and persistent deep snow, it could became a more vulnerable prey for wolves in two ways: 1) deeper snow can limit roe deer movements making foraging and escaping energetically expensive, as discussed above for wild boar; 2) the observed higher degree of territoriality of roe deer with respect to red deer makes roe deer highly sensitive to environmental accidents as the decrease of the trophic resources of its range, while at the same time it could increase encounter rates and probably attack success of wolves since predictably located (Huggard, 1993). Nevertheless, in two wolf packs territories located in a southern sector of the Park, Gamberale and Colle Papaccio, red deer resulted selected and used more than available by wolves during the winter period. he results of our analysis of physical features of wolf pack territories allowed us to suggest a possible solution for this apparent conundrum: the correlation we observed between diet and habitat PCs gave us a proofof-concept of the hypothesis that wolves take advantage of the great percentage of forested cover, and less slope of the Gamberale and Colle Papaccio areas. his interpretation is consistent with Kunkel and Pletshel (2001), that in a study on winter hunting patterns reported that wolves killed deer in areas with greater hiding-stalking cover and less slope. hey suggested that the element of surprise (i.e. stalking cover) was a very important factor afecting predation success of wolves. On the other hand, in deer, whose main defense is light, the vigilance is an important factor to survive wolf predation (Mech, 1984); especially in forested areas, where it becomes 117 Azzurra Valerio et al. more diicult to detect and avoid predators, an increment of alertness with respect to open areas was observed (LaGory, 1987). However, we suppose that the elevated percentage of less slope characterizing Gamberale and Colle Papaccio packs territories (see PCA-habitat model) could reduce the detectability of predators and at the same time the probability to evade them. Moreover, in our two wolf packs territories the elevated percentage of warmer west-facing slopes (sun rays are in the west at the hottest time of the day) and the consequent less rigid conditions of snow cover may not afect vulnerability of roe deer, as discussed above. hus, in such circumstances red deer, providing more biomass than roe deer, could become a more proitable prey explaining its selection by wolves. A divergent result occurred during the winter period in other two wolf packs territories (Orfento and Salle, located in the northern part of MNP), where red deer gave a smaller contribution to the wolf diet although it is the second species in order of availability, with density much more abundant than roe deer. In this case, we hypothesized that red deer may take advantage of the great percentage of high slopes typical of these territories (see PCA-habitat model), but not roe deer and wild boar. In fact, the elevated percentage of north-facing slopes of these territories could intensify duration and depth of snow cover too, making the escape mobility of both roe deer and wild boar more diicult, owing to their shorter legs. Being less restricted by these local hard snow conditions, red deer seems to be less susceptible to hunting wolves. he seasonal pattern in the use of cervids was fairly stable between all wolf packs, however a general summer increase in the use of these prey types was observed. his increment seems consistent with the biological cycle of each prey species. Indeed, concerning diferent age classes, the contribution to the wolf diet of young animals is higher than that of adults, in the summer period, as observed in diferent areas of northern Apennine (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). In the western Alps (Gazzola et al., 2005) and in Europe (Salvador & Abad, 1987; Jędrzejewski et al., 2002) the same trend was observed. Fawns are more vulnerable preys in terms of energetic costs and their selection in summer may be linked to the wolves need of changing hunting habits, being pups present at the den (Harrington & Mech, 1982). Actually, the travels of wolves breeding pairs are reduced, thus selection of fawns could imply the increased likelihood of both chasing singly and shortening the hunting time. Diferently from roe deer and red deer, the contribution in the wolf diet of young animals of wild boar and chamois was lower than those of adults, in both seasons (for wild boar) and in all packs of MNP. his trend may be explained in terms of energy intake, but at the same time may also relect a common behavior related to the 118 Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park parental protection of newborns. Wild boar piglets in their irst months of live are watchfully taken care by females of their family groups, resulting less proitable to wolf predation than sub-adults (individuals between 5 and 12 months) and adults, as reported in other studies performed in the Italian Apennines (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). Chamois births take place in the most impervious areas of the territory attended by diferent packs. Females remain in these lands till when the newborns are able to follow the family group during its travels. Only when the females and the newborns have joined the original group, they form the so-called nurseries that represent a strategic tool of the chamois defense against the wolves. Indeed, chamois gave an inconsistent contribution to MNP wolf diet, either for inhabiting areas attended by just few packs territories or for preferring wide-open meadows at high altitude. Actually, wolf packs that share part of their range with chamois population in MNP inhabit territories with a high percentage of steep slopes and clifs. he topographic features of this territory advantage the light strategy of chamois that can climb quickly on steep clifs, making it diicult for wolves to catch them and thus limiting capture eiciency by wolves (Poulle et al., 1997). his occurs also in the Fara wolf pack territory where chamois is by far the most abundant prey species and fully represents, together with wild boar, the local wild ungulates community. All in all we can surely state that the multidimensional data analysis strategy we adopted allowed us to get fairly relevant emergent features from scat analysis of wolf packs. hese features could be of use for both ecological knowledge and wolf conservation goals. References Capitani, C., Bertelli, I., Varuzza, P., Scandura, M. & Apollonio, M. 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The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany L’impronta ecologica del turismo: Italia e Germania a confronto Roberta Aretano1*, Irene Petrosillo1, Giovanni Zurlini1 & Felix Müller2 1 Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies, University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce 2 Ecology Centre, University of Kiel, Olshausenstrasse 75, 24118 Kiel (Germany) *[email protected] Abstract he understanding of the contribution of human activities to ecosystem change and how these activities might reduce ecosystems’ capacity to maintain a continuous low of services must be a primary social goal. To track human demand on these services, scholars have developed the account of Ecological Footprint (EF), which measures how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is required to renew resource production useful for a deined population in a given year, considering the prevailing technology and resource management of that year. he EF is being increasingly applied in numerous economic sectors and at various scales. In this study the EF analysis was applied to residents of two European areas and after that these footprints were compared with their biocapacities to underline condition of ecological surplus or deicit. Since tourism is the most important economic sector in the areas investigated, an EF analysis was applied to estimate the contribution of tourists in terms of equivalent residents (ER) to the EF. he EF for tourists was also accounted on a monthly time scale to observe the efects of seasonality on ecological footprint. Moreover, the assessment of EF of two populations (residents and tourists) was applied at diferent spatial scales to ind out diferences regarding the contribution of tourism to EF among the study areas and within the same country. his information could be used by environmental managers to reduce tourism impacts and to predict more accurately the needs of tourist and resident populations. Introduction It is recognized that human activities stress ecosystems and reduce ecosystems’ capacity to maintain a continuous low of goods and services which can be described as supporting life, supplying materials and energy, absorbing waste products and 123 Roberta Aretano et al. providing culturally valuable assets (Daily, 1997; Gössling et al., 2002). To track human demand on these services, scholars have developed many indexes including the account of ecological footprint (EF), “an accounting tool that enables us to estimate the resource consumption and waste assimilation requirements of a deined human population in terms of a corresponding productive land area” (Wackernagel & Rees, 1996). he EF is a synthetic and efective index used to estimate the human impact on the environment with particular reference to resource’s consumptions. he key feature of the EF concept is that it provides an heuristic and understandable tool that captures current human resource use in an easily communicative form for policy and decision makers but also for general public (Costanza, 2000; Mofat, 2000). In spite of the debate on methodological shortcomings, during the last decade the use of EF assessment has witnessed an increasing attention by scientists, governments, agencies and institutions with many new applications proposed (Wackernagel & Yount, 2000), as well as the possibility of considering sector-speciic ecological footprints such tourism. It is a tool for promoting territory resources but, on the other hand, it is a driving force which contributes to environmental pressure (Petrosillo et al., 2006). In sustainable tourism assessment the consumption based method of the EF is cited as a key environmental indicator (Hunter & Shaw, 2007), with several pioneering works extending its application (Peeters & Schouten, 2006). Materials and methods his work focuses on two European study areas: the Province of Lecce and the municipality of Gallipoli in the Apulia Region (southern Italy); the Nordfriesland and Dithmarschen districts and the municipality of Husum in Schleswig-Holstein State (northern Germany). he EF of the people that live in a city is simply the sum of the EF of all its residents. To account the household EF data regarding food and iber consumption, housing, local transport, civil services, other consumed goods and waste product were collected and put into a “consumption by land use” matrix deducible from the calculation sheet1 developed by Wackernagel and colleagues. his matrix allocates the six major Footprint land uses (built-up areas, cropland, pasture, managed forest, 1 124 his calculation sheet developed by Wackernagel, Monfreda, Deumling, and Dholakia to account the EF of household is available on www.sbs.utexas.edu/resource/EcoFtPrnt/9-20-00ef_household_ evaluation.xls The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany ishing ground and energy land) to the ive Footprint consumption components (food, shelter, mobility, goods and services). All data collected are available at a national level but not so regularly at local scales, therefore, in applying the EF tool at local level, estimations and approximations were necessary. he Ecological Footprint is usually measured in global hectare (gha) that is a hectare with world-average ability to produce resources and absorb wastes (WWF, 2008). An important component of the EF analysis is represented by the assessment of the biocapacity of an area under examination, that takes into account the surfaces of “ecologically productive land”. Biocapacity represents a measure of the biosphere’s regenerative capacity aggregating the production of diferent resources provided by various ecosystems in a certain area (e.g. arable land, pasture, forest, productive sea) also including built up or degraded land (EUROSTAT, 2006). he comparison between biocapacity and ecological footprint allows evaluating the ecological balance that relates the consumption rate of natural resources with the rate of their regeneration by local ecosystems. In this study the values of biocapacity relect the average national productivities of ecosystems present in Italy and Germany. Typical data sources are oicial census data without information about error, so in the absence of this information conidence intervals for the EF cannot be quantiied (Monfreda et al., 2004). Considering a tourist locality previous studies have provided the basis for using the EF as a useful tool for tourism management. Although some authors documented a case in which tourist and resident EF highlighted very diferent consumption patterns (Cole & Sinclair, 2002), there are other studies in which equivalent tourist and resident consumptions are considered at similar levels (Patterson et al., 2007). Since the lack of information regarding tourist consumptions from oicial civil estimates and the impossibility of interviewing tourists concerning their habits, in this study it was assumed that tourists show the same behavior of residents and that they can be considered in terms of equivalent residents (ER). he annual ER number is the total annual tourist arrivals multiplied by length of stay in days (presence), divided by 365 days per year. To highlight in which period of the year and in which administrative level there is the greatest tourism pressure, the tourism EF was accounted at diferent time (annual and monthly) and spatial (regional and local) scales. 125 Roberta Aretano et al. All data were collected for the year 2005 and the main data sources are listed below: • Demographic census: ISTAT, 2008a; Der Norden zählt, 2008a • Tourism: APT, 2008; Der Norden zählt, 2008b • Consumption (goods and services): ISTAT, 2008b; Osservatorio prezzi e tarife, 2008; GENESIS, 2008a • Energy: TERNA, 2008 ; Der Norden zählt, 2008c • Waste: Provincia di Lecce, 2008; GENESIS, 2008b • Transportation: ISFORT, 2008; Mobilität in Deutschland, 2008 • Equivalence and Yield factors: WWF, 2008 Results he table I shows the diferent contribution of consumption categories and land uses to the resident EF of Lecce province that is of 4.36 gha. Since this value is higher than the value of biocapacity (1.22 gha) (WWF, 2008) this indicates a condition of ecological deicit for the province of Lecce. Concerning the two German districts, the table II shows a resident EF of 4.82 gha higher than the biocapacity per habitant value of 1.94 gha (WWF, 2008), indicating an ecological deicit. Table I: The EF per habitant in the province of Lecce by the consumption by land use matrix. Categories Energy land (gha) Cropland (gha) Grazing land (gha) Forest (gha) Built-up land (gha) Fisheries (gha) Total EF (gha) Food 0.06 1.05 0.17 0.00 0.00 0.40 1.67 Housing 0.44 0.00 0.00 0.31 0.00 0.00 0.75 Transportation 0.40 0.00 0.00 0.00 0.11 0.00 0.50 Goods 0.37 0.14 0.02 0.07 0.01 0.00 0.61 Services 0.65 0.00 0.00 0.15 0.02 0.00 0.82 Total EF 1.92 1.19 0.19 0.52 0.13 0.40 4.36 126 The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany Table II: The EF per habitant in the two German districts by the consumption by land use matrix. Categories Food Energy land (gha) Cropland (gha) Grazing land (gha) Forest (gha) Built-up land (gha) Fisheries (gha) Total EF (gha) 0.06 0.91 0.22 0.00 0.00 0.60 1.79 Housing 0.60 0.00 0.00 0.36 0.00 0.00 0.96 Transportation 0.35 0.00 0.00 0.00 0.09 0.00 0.45 Goods 0.27 0.14 0.02 0.02 0.00 0.00 0.45 Services 0.83 0.00 0.00 0.32 0.02 0.00 1.17 Total EF 2.11 1.05 0.24 0.69 0.12 0.60 4.82 To assess the EF of the entire population (resident plus tourist), the number of ER was estimated. Moreover, to put in evidence how this value changes during the year, the yearly value of EF per habitant was divided by 12 and comparing the EF of residents and entire population was possible to evaluate the contribution of tourism to EF. Table III reports in an exhaustive way annual and monthly data concerning presences, ER, residents, entire population, EF of ER, residents, entire population and the % EF that indicates the % of EF of ER on the EF of entire population. For the province of Lecce the contribution of tourists seems to be not relevant registering a % EF annual value of 1 % and a maximum in august of 5 %. In a diferent way in German districts the annual % EF is higher (7 %) than value registered for the province of Lecce (1 %) with a maximum in August of 14 %, so that at the same spatial scale (regional) there is more tourism pressure in the two German districts. At local scale for Gallipoli the annual % EF is 5 % with a maximum value of 21 % on August indicating that there is a relevant contribution of tourism to the EF in summertime, while in Husum it is meaningless accounting for only 2 % in the year and for 4 % in August. 127 Roberta Aretano et al. Table III: Presences, ER, residents, Entire population, EF of ER, EF of residents, EF of entire population end % EF of Lecce province, Nordfriesland and Dithmarschen districts, Municipality of Gallipoli and Husum. Study area Month Presence Lecce 2005 Jun-05 German districts Gallipoli Husum ER Residents 3,086,236 8,455 805,397 397,726 13,258 Entire Popul. EF ER (gha) EF resid. (gha) EF entire populat. (gha) % EF 813,852 36,866 3,511,531 3,548,397 1% 818,655 4,816 292,628 297,444 2% Jul-05 776,960 25,063 830,460 9,106 301,734 3% Aug-05 1,218,182 39,296 844,693 14,277 306,905 5% Sep-05 312,873 10,429 815,826 3,789 296,417 1% 326,280 107,351 1,465,319 1,572,670 7% 334,093 12,084 122,110 134,194 9% 2005 8,129,325 22,272 Jun-05 902,539 30,085 304,008 Jul-05 1,423,621 45,923 349,931 18,446 140,556 13% Aug-05 1,546,336 49,882 353,890 20,036 142,146 14% 336,629 13,103 135,213 10% 22,009 4,683 91,277 95,960 5% 7,606 8,154 7% 8,678 12% Sep-05 978,641 32,621 2005 392,101 1,074 Jun-05 45,254 1508 22,443 548 Jul-05 91,434 2949 23,884 1,072 Aug-05 169,326 5462 26,397 1,985 9,591 21% Sep-05 35,749 1192 22,127 433 8,039 5% 21,320 2,100 100,661 102,761 2% 21,471 235 8,354 8,589 3% 2005 158,997 436 Jun-05 17,623 587 20,935 20,884 Jul-05 22,573 728 21,612 291 8,645 3% Aug-05 26,102 842 21,726 336 8,690 4% Sep-05 19,871 662 21,546 265 8,619 3% Discussion he application of the EF methodology to two diferent countries has allowed to evaluate the household EF for residents in both areas and to get the EF distribution in several consumption categories and land uses by the use of “consumption by land use” matrix. Furthermore the analysis has highlighted a condition of ecological deicit in both study areas. Since in the two study areas the most important economic sector is represented by tourism, an EF analysis was applied to assess the annual EF of the entire population (residents plus tourists). From an environmental management perspective, 128 The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany tourism means hosting an additional (non-resident) group over the registered population, which increases consumption of resources and emissions of waste and that has not received formalized attention in environmental planning eforts. Results highlight that in the province of Lecce tourism mostly shows the typical peculiarities of seaside tourism concentrating mainly in only two months of summer. However tourism is not evenly distributed in the province because it is concentrated in space afecting mainly coastal zones, such as the municipality of Gallipoli, which sufers from overcrowding, while inland municipalities show lack of visitors. For this reason it was necessary to develop the footprint evaluation at smaller scale and in particular in reference to a coastal municipality to ind out where tourism contribution has to be taken into account. Diferently, in the case of Dithmarschen and Nordfriesland districts where tourism results distributed more homogenously over the whole territory, the total annual EF accounted for the entire population has highlighted that the contribution of tourism is more important at this district scale than at municipality level. Moreover the EF for tourists was also accounted on a monthly time scale to relect the rise and fall of tourism throughout the year because seasonal peaks are mainly problematic for environmental management, intensifying environmental pressures such as waste production, energy and water resources consumption (Gössling, 2001). Conclusions his study attempted to track human demand on goods and services accounting the EF for two European populations. he analysis of their footprints has allowed to observe how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is required to renew the resource’s production useful for these populations. he assessment of the tourism EF in this study has put in evidence that there is a need to implement the sustainable tourism research with analysis that consider linkages through time and between hierarchical management levels, such as the spatial understanding of tourism dynamics at municipal, provincial, regional and national scales. his information could be used by environmental managers to reduce tourism impacts and to predict more accurately the needs of the tourist and resident populations in terms of natural resources and ecosystem good and services. 129 Roberta Aretano et al. References APT, Azienda di Promozione turistica, Lecce (2008) Flussi turistici. 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Questi dovranno integrarsi in un modello ecologico a scala di bacino. La variabilità legata alle dinamiche interne al lago e l’identiicazione delle ‘reference conditions’ sono i principali elementi che restano ancora da chiarire per una completa comprensione dei meccanismi di risposta del sistema lacustre alle pressioni esterne. Introduzione Da oltre trenta anni la principale causa di degrado del Lago di Pusiano si identiica in una persistente condizione di marcata eutroia. La situazione attuale è dovuta in parte ai carichi di nutrienti residui, provenienti dal bacino imbrifero attraverso gli immissari diretti e la fascia perilacuale (Salerno, 2005), in parte è causata dall’instaurarsi di una condizione ecologica basata su equilibri diversi da quelli originari o naturali (Schefer et al., 2001). Ulteriori fattori isici, morfologici e morfometrici esercitano un ruolo fondamentale nell’esplicarsi dell’eutroizzazione del Lago di Pusiano, analogamente a quanto osservato in altri laghi poco profondi (Gulati & Van Donk, 2002). La Direttiva 2000/60/CE (Water Framework Directive, WFD), che stabilisce l’obiettivo del raggiungimento di uno stato ecologico “buono” della qualità di tutte 131 Elisa Carraro et al. le acque supericiali entro il 2015, indica come strumento prioritario la riduzione delle pressioni presenti nel bacino idrograico, con un chiaro orientamento verso una valutazione integrata delle relazioni tra le cause e gli efetti (Jeppesen et al., 2005). Sebbene negli ultimi decenni i carichi inquinanti esterni diretti verso i laghi siano diminuiti, grazie a normative più severe e al miglioramento dei sistemi di depurazione, il raggiungimento degli obiettivi di qualità è ben lontano dall’essere raggiunto. In molti laghi poco profondi, ad esempio, i meccanismi di adattamento della biocenosi alle nuove condizioni abiotiche sono molto complessi (Ludwig et al., 2003) e oggi i più soisticati strumenti modellistici confermano che i tempi di risposta di un sistema ecologico complesso come un lago possono essere relativamente lunghi nel raggiungimento di un nuovo equilibrio ecologico (Blenckner, 2008; Law et al., 2009; Pawlowski & McCord, 2009). Evoluzione limnologica del Lago di Pusiano Il Lago di Pusiano, di origine glaciale intermorenica, è situato tra i due rami del Lago di Como e si colloca tra i laghi subalpini di medie dimensioni (supericie 5,26 km2, profondità massima 24 m, profondità media 14 m e volume 69,2 106 m3). La descrizione del bacino imbrifero non è chiara, in particolare per quanto riguarda le fasce perilacuali. Il bacino idrograico, drenato principalmente dal Fiume Lambro, ha una supericie di 94,6 km2 (lago incluso). La fascia perilacuale, coincidente in buona parte con la Piana d’Erba, a nord-ovest del lago, costituisce un’area ad elevata pressione antropica, sia residenziale che industriale, ed occupa circa il 12 % dell’intero bacino. L’andamento stagionale del termoclino di questo lago non si è modiicato nel trentennio 1972-2004, nonostante l’incremento della temperatura alla circolazione di 2 °C circa, veriicatosi anche in altri ambienti lacustri italiani simili (Tartari et al., 2000). Il contenuto ionico non ha subito cambiamenti rilevanti della matrice disciolta che è inluenzata essenzialmente dalle caratteristiche geologiche del bacino imbrifero, caratterizzato come ambiente carsico (Salerno & Tartari, 2009). Le caratteristiche limnologiche sono, invece, considerevolmente mutate negli ultimi 35 anni. I maggiori cambiamenti hanno riguardato le concentrazioni di nutrienti ed in particolare quelle del fosforo totale (TP), diminuito dai valori massimi di circa 200 µg P l-1 a poco meno di 50 µg P l-1 nel 2009 (Fig. 1), mentre le concen- 132 Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive trazioni di azoto totale (TN) sono rimaste costanti attorno ai 2 mg N l-1, durante la circolazione invernale. Figura 1: Andamento delle concentrazioni medie di fosforo totale (TP µg P l-1) negli ultimi 35 anni, rilevate durante la massima circolazione invernale. Il generale miglioramento delle condizioni troiche del lago, a partire dagli anni ’80 ad oggi, ha inluito sul popolamento itoplanctonico. La frammentarietà degli studi e la diversità dei metodi utilizzati non consentono di tracciare un’evoluzione dettagliata delle comunità algali su scala pluriennale, parallela a quella dei dati di qualità delle acque. Nonostante ciò, in Bonomi et al. nel 1967, si afermava la quasi completa assenza di Cyanoprokaryota. Tale situazione è apparsa confermata anche nelle campagne di campionamento successive. Nel 1994-1995 (Tartari & Quattrin, 1998) la struttura del popolamento itoplanctonico si modiicava radicalmente, presentando un forte sviluppo del gruppo dei Cyanoprokaryota, con più di 25 specie presenti quasi ad ogni campionamento. Negli ultimi 15 anni questa situazione o situazioni analoghe sono state confermate da frequenti segnalazioni di intense ioriture di Planktothrix rubescens nei mesi autunnali, la cui intensa colorazione rosso-brunastra ha più volte messo in allarme le popolazioni rivierasche. Il miglioramento troico del Pusiano è quindi accompagnato da un incremento dei cianobatteri, le cui ioriture hanno destato preoccupazione per la potenziale tossicità di Planktothrix rubescens (Legnani et al., 2005). 133 Elisa Carraro et al. Impatto antropico e forzante idrologica Attualmente il lago presenta ancora condizioni di eutroia con un contenuto di fosforo totale alla circolazione invernale di 50 µg P l-1, una ridotta trasparenza delle acque e costante anossia degli strati profondi durante la stratiicazione, che perdura da aprile a novembre. Per studiare i carichi provenienti dal bacino, è stato applicato un modello idrologico (Salerno e Tartari, 2009), isicamente basato, per il trasporto dei nutrienti (SWAT, Neitsch et al., 2001), calibrato e validato su un sottobacino del Fiume Lambro (caratterizzante la porzione montana dello stesso), che si chiude a Caslino d’Erba (CO), punto in cui vi è un misuratore di livello. Ciò ha permesso di efettuare una simulazione iniziale del lusso idraulico con passo giornaliero ottenendo un errore assoluto, rispetto al lusso misurato dalla strumentazione, di circa il 30 %, che esprime in sé anche la variabilità causata dal regime pluviometrico. Nel graico riportato in igura 2 si osserva, infatti, come nel periodo 1974-1982 le precipitazioni erano molto più accentuate in primavera, e in particolare a maggio, rispetto a quanto si osserva ora. Questa diferenza trova una accentuazione anche nelle dinamiche di creazione del lusso idrologico. L’apporto annuale di precipitazioni che si è veriicato dal 1998 al 2003 mette infatti in rilievo che negli ultimi due anni si sono veriicate condizioni meteorologiche estreme rispetto alle caratteristiche medie del bacino. L’alluvione veriicatasi nel novembre 2002 e l’anno siccitoso del 2003 pongono problemi nella modellizzazione idrologica su scala pluriennale e di conseguenza nella stima dei carichi di nutrienti. Allo stesso tempo lo studio delle dinamiche in condizioni estreme ha portato ad evidenziare come l’ecologia del Pusiano sia particolarmente sensibile a questi eventi (Copetti et al., 2006). L’analisi dell’impatto antropico sul lago ha portato ad evidenziare (Salerno, 2005) la parziale ineicienza della rete di collettamento dei relui urbani. L’attuale conigurazione riesce infatti ad asportare dal bacino soltanto il 68 % (0,50 kg P ab -1 rispetto a 0,74 kg P ab -1) dei relui civili, mentre il rimanente 32 % (0,24 kg P ab -1) viene rilasciato durante gli ‘overlow’ degli scaricatori di piena della rete fognaria. Il carico così generato è quindi da considerare tra le possibili cause del permanere del degrado della qualità delle acque del Lago di Pusiano. 134 Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive Figura 2: Confronto tra le precipitazioni medie mensili rilevate nelle due stazioni meteorologiche di Asso e Canzo (ubicate nel bacino del lago) in due periodi storici distinti. È preferibile un grafico a colonne in quanto non c’è continuità tra un dato e il successivo. Per ridurre al minimo la pressione antropica generata dagli scolmatori è richiesto l’approfondimento della conoscenza della rete di collettamento dei relui per individuarne le criticità (punti di massimo scolmo) e le possibili soluzioni per ridurre le immissioni nella rete idrograica. Tali indagini, avviate nel Progetto PIRoGA (2009-2012), permetteranno di raccogliere le informazioni necessarie a condurre una modellizzazione speciica delle perdite dalla rete fognaria verso i corpi idrici supericiali. La modellizzazione ecologico-idrodinamica del lago Parallelamente agli studi modellistici del bacino, in anni recenti Copetti et al. (2006) hanno implementato sul Lago di Pusiano il modello idrodinamico monodimensionale DYRESM (Antenucci & Imerito, 2002) e il modello ecologico CAEDYM (Romero et al., 2003), che sono stati accoppiati alla modellizzazione del regime idrologico e dei carichi di fosforo ottenuta con il modello SWAT (Salerno, 2005). Le modellizzazioni idrodinamiche efettuate sono in generale in accordo con gli andamenti stagionali sperimentali, mentre a primavera si osserva una certa deviazione della temperatura (1-2 °C) sul fondo durante la stratiicazione debole. Tra le possibili cause è stata avanzata l’ipotesi delle turbolenze idrodinamiche a scala sub- 135 Elisa Carraro et al. giornaliera create dalle perturbazioni del vento alla struttura termica, come evidenziato nella igura 3, dove si confronta l’andamento della velocità del vento con le variazioni di temperatura rilevate nel lago a scala sub-oraria, per mezzo di una catena di sensori posti lungo la colonna d’acqua. Figura 3: Struttura termica del Lago di Pusiano e andamento della velocità del vento (ms-1) a scala oraria dal 21 Lug 2003 al 25 Lug 2003 (fonte Copetti, dati IRSA non pubblicati). CAEDYM modellizza adeguatamente l’andamento delle specie del fosforo, considerando le deviazioni dovute ai possibili errori di rappresentatività del prelievo e le sensibili variazioni a livello del ‘boundary layer’ bentico. Durante il periodo di stratiicazione estiva il gradiente della forma reattiva del fosforo (considerata nel modello come la forma disponibile per la crescita algale) raggiunge punte massime superiori ai 450 µgP/l. Come è noto, il fosforo accumulato sul fondo durante il periodo di stratiicazione delle acque rientra in circolo durante in inverno. Una certa diicoltà è stata riscontrata nella simulazione di questo delicato periodo del ciclo la- 136 Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive custre in cui, in pochi giorni, una grande quantità dell’elemento limitante entra in circolo e diventa potenzialmente disponibile per la crescita algale. Da un punto di vista modellistico infatti questo periodo rappresenta un momento di discontinuità, per cui piccoli errori nella simulazione delle condizioni iniziali si ripercuotono sulla simulazione dell’intero ciclo annuale successivo. Il modello riesce in tutti i casi a riprodurre molto bene la forte dominanza di P. rubescens, che rappresenta circa il 70 % del contenuto totale di Chl-a nel periodo di simulazione. Per il restante comparto biologico diminuisce l’accordo dei dati sperimentali con quelli simulati (coeicienti di regressione di 0,3 e 0,4) ed il modello tende a trascurare i picchi di ioritura algale, dando una risposta media del comportamento itoplantonico (Copetti et al., 2006). Applicabilità degli strumenti modellistici integrati Gli strumenti modellistici disponibili per il lago di Pusiano, e per il suo bacino, possono essere utilizzati per fornire un’ indicazione delle potenziali variazioni dello stato ecologico rispetto al cambiamento delle pressioni antropiche. La valutazione delle dinamiche interne al lago, ovvero le interazioni tra il comparto idrochimico e la catena troica che attualmente lo caratterizza (predominanza del phytoplankton), l’alta variabilità e la scarsa capacità predittiva che ne derivano sono comunque i principali aspetti ancora da chiarire per una completa comprensione dei meccanismi di risposta del sistema lacustre alle pressioni esterne e rappresentano le tematiche emergenti in tema di modellistica ecologica. L’integrazione tra i due livelli di modellizzazione (lago e bacino) richiede la risoluzione del problema su come si debbano raccordare scale spazio-temporali diferenti (Blenckner, 2008). L’identiicazione delle ‘reference conditions‘, in linea con le indicazioni metodologiche contenute nella WFD 2000/60, richiede la comprensione dei meccanismi ecologici che portano un ecosistema da uno stato stabile all’altro (Law et al., 2009). Oltre a ciò nel caso del Pusiano occorre uno studio paleolimnologico che chiarisca quali siano state le reali vicende idromorfologiche e che fornisca, da un lato, le informazioni necessarie per una corretta individuazione dello stato di riferimento, mentre dall’altro permetta l’individuazione di eventuali episodi catastroici, ‘catastrophic shifts’ (Schefer et al., 2001). Tali episodi potrebbero aver caratterizzato la storia recente del lago e il passaggio all’attuale stato ecologico. 137 Elisa Carraro et al. Bibliografia Antenucci, J. & Imerito, A. (2002) he CWR DYnamic Reservoir Simulation Model: DYRESM_Science Manual. Centre for Water Research, University of Western Australia, Nedlands, WA 6907, AUSTRALIA. Available at: http://www.cwr.uwa.edu.au. Blenckner, T. (2008) Models as tools for understanding past, recent and future changes in large lakes. Hydrobiologia, 599, 177-182. Bonomi, G., Bonacina, C. & Ferrari, I. 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Per individuare modelli di produzione e consumo sostenibili in grado di disaccoppiare crescita economica e impatti sull’ambiente è necessario conoscere i limiti isici e gestionali del sistema: il concetto di capacità di carico applicato al turismo può essere un utile supporto alla pianiicazione di sistemi turistici sostenibili. Il presente lavoro propone una metodologia per la valutazione della capacità di carico dei sistemi turistici che integri la valutazione dei limiti isici, correlati alle risorse, con quella della capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e ambientali. Si presentano i risultati della valutazione efettuata in due realtà lombarde, mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deinizione di politiche di sviluppo turistico sostenibile in queste aree. Introduzione Il concetto di sviluppo sostenibile si fonda sulla consapevolezza che i sistemi sociali ed economici dipendono da risorse naturali inite, che inevitabilmente pongono dei limiti alle nostre possibilità di sfruttamento e alla possibilità di una crescita “ininita” delle attività umane. I fattori principali che agiscono nel determinare la sostenibilità o l’insostenibilità a lungo termine delle attività umane in rapporto agli ecosistemi naturali sono: il numero di individui presenti in una determinata area in un determinato arco di tempo, i loro modelli di consumo e l’eicienza delle diverse componenti del sistema. Il turismo è un settore economico che ha una forte relazione con le risorse naturali, che rappresentano spesso uno dei principali elementi di attrattività del territorio, ma che possono anche subire forti pressioni in termini di consumo e degrado 139 Valentina Castellani & Serenella Sala (Mathieson & Wall, 1982; Saarinen, 2006). Risulta dunque di fondamentale importanza che la pianiicazione dell’oferta turistica sia preceduta da un’analisi delle condizioni dell’area nonché da una stima degli impatti che permetta di formulare ipotesi sugli efetti di un eventuale incremento del lusso turistico della destinazione e sulla capacità dell’ambiente di sopportare le relative pressioni. Il primo passo per individuare gli ambiti in cui intervenire per ridurre la pressione sull’ambiente è rappresentato, infatti, dalla misura degli impatti generati e dalla valutazione della sostenibilità del sistema considerato, attraverso il confronto con la sua capacità di carico. L’Organizzazione Mondiale del Turismo deinisce la capacità di carico turistica come “il massimo numero di persone che può visitare una destinazione turistica nello stesso momento, senza causare una distruzione dell’ambiente isico, economico e socio-culturale e un peggioramento inaccettabile della soddisfazione dei visitatori riguardo alla qualità della visita” (WTO, 1999). Questa deinizione sembra suggerire come obiettivo l’individuazione di un modello che permetta di stabilire qual è il numero massimo di turisti ammissibile in una determinata destinazione turistica al ine di garantire la sostenibilità del sistema e di tutelarne le risorse in una prospettiva di lungo termine. Tuttavia, questo approccio si scontra con alcuni limiti sia teorici che operativi connessi alla possibilità e all’opportunità di limitare l’accesso alle aree turistiche: • nella maggior parte delle situazioni (tranne che in alcuni casi particolari, come ad esempio le aree protette, i siti archeologici o alcuni monumenti) non è pensabile limitare il numero dei turisti, sia perché l’accesso non avviene necessariamente da varchi prestabiliti, sia perché questo sarebbe in contrasto con l’obiettivo di libertà, ricreazione e svago insito nel concetto di turismo e con l’obiettivo economico che un’attività di questo tipo deve necessariamente avere; • la determinazione del numero massimo di persone ammissibili in un determinato sito dovrebbe basarsi sull’ipotesi di superamento di una soglia di capacità di carico in funzione della stima degli impatti che un determinato numero di persone produce sul territorio; tuttavia l’impatto di ogni turista dipende dalle sue scelte di consumo e dai suoi comportamenti durante la vacanza (ad es. scelta del mezzo di trasporto, della tipologia di struttura ricettiva, ecc.), quindi non è possibile valutare a priori l’impatto di ogni turista. Inoltre, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di valutare gli impatti attuali e potenziali del sistema turistico al ine di indirizzare la pianiicazione; in questo senso quindi risulta molto più eicace una valutazione che non dia come risultato 140 La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico solamente un numero massimo di turisti, ma piuttosto fornisca indicazioni su quali potrebbero essere gli aspetti di criticità del sistema. Facendo riferimento a queste considerazioni, il presente lavoro propone una metodologia per la valutazione della capacità di carico turistica che integri le valutazioni relative alla capacità di carico isica, correlata alle risorse, con la valutazione della capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e ambientali (fornitura di acqua potabile, gestione dei riiuti, disponibilità di infrastrutture, ecc). Metodologia Il presente lavoro fa riferimento alla metodologia “Limits of Acceptable Change” (Stankey & Cole, 1985) che considera la valutazione della capacità di carico come una base per deinire la soglia di impatto e/o di consumo che non può essere superata se si vuole tutelare l’integrità del sistema ed in particolare delle risorse naturali da cui dipende. Seguendo questo approccio, la metodologia analizza separatamente i principali aspetti che caratterizzano l’ambiente naturale e i principali aspetti ambientali legati alla vita quotidiana dei residenti e alle attività turistiche (es: aria, acqua, riiuti, suolo, etc.; v. Tab. 2); per ogni aspetto analizzato è stata delineata una procedura valutativa ispirata al modello concettuale DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte) (Smeets & Weterings, 1999), allo scopo di individuare i fattori determinanti e i dati utili per valutare la situazione attuale e gli scenari futuri. Le fasi del processo di valutazione sono le seguenti: 1. scelta dell’aspetto da analizzare ed elenco dei relativi determinanti; 2. scelta dei determinanti (sulla base di dati di letteratura e di eventuali studi speciici sulle caratteristiche dell’area oggetto di studio) e delle variabili ritenute più importanti per l’aspetto considerato, in relazione al turismo; 3. valutazione e scelta dei fattori limitanti; 4. sviluppo/applicazione di indicatori speciici per la variabile individuata; 5. individuazione di valori di riferimento, massimi e minimi, e suddivisione in classi del risultati sulla base di: dati di letteratura, limiti di legge, confronto con altre realtà, expert judgement; 6. raccolta dati locali per il popolamento degli indicatori individuati; 7. valutazione della capacità di carico del comparto considerato sulla base del confronto tra i dati raccolti e le classi individuate, adottando il principio di precau- 141 Valentina Castellani & Serenella Sala zione (in presenza di un fattore al limite, si assegna capacità di carico ridotta a tutto il comparto). Per una prima applicazione della metodologia sviluppata, sono state scelte come aree di studio due realtà lombarde che rappresentano due diverse fasi nello sviluppo della destinazione turistica, come deinite dal Modello del Ciclo di Vita delle Destinazioni (Butler, 1980; Agarwal, 1994): il Sistema dei Parchi dell’Oltrepo Mantovano e la Comunità Montana Alpi Lepontine. L’Oltrepo Mantovano rappresenta un’area di turismo emergente, non ancora strutturata e con un lusso di turisti abbastanza ridotto; le Alpi Lepontine rappresentano una destinazione più matura, anche se con aspetti contrastanti: nella stagione estiva infatti il lusso di turisti, sia italiani che stranieri, è molto consistente nelle aree lacuali e piuttosto ridotto in quelle montane. Risultati e discussione L’applicazione della metodologia ha permesso di realizzare, per ogni comparto considerato, uno schema di valutazione della capacità di carico, sul modello illustrato in tabella 1. Tabella I: Schema concettuale DPSIR applicato alle attività turistiche (Castellani et al., 2007). DPSIR METODOLOGIA 1) DETERMINANTI Analisi dei dati disponibili e identificazione delle attività maggiormente rilevanti per la realtà locale (determinanti) 2) DETERMINANTI E VARIABILI SIGNIFICATIVI PER IL COMPARTO TURISTICO Rispetto ai determinanti identificati precedentemente, selezione di quelli che possono essere influenzati dal settore turistico 3) FATTORI LIMITANTI Selezione delle pressioni più rilevanti generate dai determinanti identificati 4) INDICATORI Selezione di indicatori appropriati per misurare lo stato dell’ambiente 5) CLASSI Definizione di classi per la valutazione della capacità di carico, individuate sulla base degli indicatori e dei limiti identificati precedentemente 6) RISULTATO LOCALE Ricerca e analisi di dati locali 7) CAPACITÀ DI CARICO Valutazione della capacità di carico sulla base dei dati raccolti e delle classi individuate. La capacità di carico dell’intero comparto viene assegnata sulla base del principio di precauzione 8) RISPOSTE Elaborazione dei risultati per individuare risposte adeguate ai problemi evidenziati dall’analisi 142 La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico Lo schema concettuale illustrato precedentemente, applicato a tutti i comparti considerati, ha fornito una valutazione complessiva della capacità di carico turistica per ciascuna delle due aree considerate, sintetizzata nella tabella 2. Tabella II: Risultati della valutazione della capacità di carico turistica effettuata nella Comunità Montana Alpi Lepontine e nel Sistema Parchi Oltrepo Mantovano. Quantità acqua per uso potabile 2. consumi giornalieri (litri / abitanti / g) 3. prelievi / ricarica (m3/g) / (m3/g) 4. popolazione servita da depuratore (popolazione servita / popolazione residente) *100 5. AE potenziali / AE attuali Qualità acque superficiali 6. stato ecologico dei corpi idrici (parametro LIM) 7. stato trofico laghi (scostamento risp. alla condizione naturale) Consumi energetici 8. consumo energia medio comunale / consumo medio nazionale (MWh/ab) / (MWh/ab) A <1 M =1 B >1 A < 200 l/ab M 200 l/ab B > 300 l/ab A <1 M =1 B >1 A 100 % - 75 % M 74 % - 50 % B < 50 % A >1 M =1 B <1 A ottimo, buono M Sufficiente B scadente, pessimo A stato attuale = stato naturale B stato attuale ≠ stato naturale A <1 M =1 B >1 Oltrepo mantovano Alpi Lepontine Valore Capacità di carico 1. consumi / dotazione idrica (litri / abitanti / g) / (litri / abitanti / g) Stato – classi1 Capacità di carico Sono questi Indicatore i famosi componenti ambientali? – n.d. – n.d. – n.d. – 1,35 B n.d. – 75 % A 95 % A >1 A 1 M sufficiente M buono A Dato non rilevante per l’area -- stato attuale ≠ stato naturale B 0,78 A 1,42 B Valore n.d. 143 Valentina Castellani & Serenella Sala Produzione rifiuti Qualità aria 1,6 Alpi Lepontine Valore A 1,14 A 2,2 – 2,5 Kg/ab*g B > 2,5 Kg/ab*g 10. disponibilità residua sistema di raccolta (volume raccolto g / volume raccoglibile g) A vol. raccolto g/ vol. raccoglibile g: < 0,7 n.d. – n.d. – B vol. raccolto g/ vol. raccoglibile g: 0,7 - 1 n.d. – n.d. – 11. % Raccolta differenziata A > 45 % 39,80 % M 12,39 % BB PM10 : 108 NO2 : 1 BB PM10 : 0 NO2 : 0 A 4.000-5.000 A Area di rilev. Ambientale: 4.000-5.000 A Riserva Lago di Piano: > 50.000 BB 12. n° medio giornate in cui i parametri sono superati 14. densità ricettiva (posti letto / 1000 abitanti) 15a. edificazione turistica (strutture complementari / totale strutture ricettive) 15b. edificazione turistica (abitazioni non occupate da residenti / totale abitazioni) 16. affollamento siti naturali e sentieri 144 1,8 - 2,2 Kg/ab*g Valore M 13. scomparsa di specie, disturbo (n° di visitatori tot aree/ Biodiversità anno) Uso del suolo A Oltrepo mantovano Capacità di carico 9. produzione pro-capite giornaliera (kg / abitanti / g) Stato – classi1 Capacità di carico Sono questi Indicatore i famosi componenti ambientali? M 35 - 45 % B < 35 % limiti stabiliti per legge: non più di 35 gg di superamento/anno per il PM10, non più di 18 gg di superamento anno per NO2 Non è possibile, in base alle informazioni disponibili, stabilire classi di capacità di carico turistica. La valutazione avviene tramite avviso d’esperto A 0-100 M 10-300 B > 300 A > 20 % M 10 %-20 % B < 10 % A < 20 % M 20 %-50 % B > 50 % Non è possibile, in base alle informazioni disponibili, stabilire classi di capacità di carico turistica. La valutazione avviene tramite avviso d’esperto 13,71 A 419 B 54,20 % A 60 % A 8% A 29,07 % M basso (le aree non sono ancora attrezzate) A basso A La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico Efficienza economica del sistema turistico 17. escursionisti (E = n° escursionisti / n° turisti) 18. utilizzo lordo delle strutture [(presenze / posti letto)*365] * 100 19. % di turisti che raggiungono l’area con mezzi privati 20. n° autoveicoli circolanti / abitanti Mobilità 21. presenza di servizio ferroviario (n° comuni con stazione ferroviaria / tot comuni considerati) Congestione stradale Intensità turistica 22. n° di veicoli nei mesi turistici (n° veicoli / g) 23. intensità turistica alta stagione I = (presenze alta stagione / g) / abitanti A E<1 M 1<E<2 B E>2 A Oltre 40 % M 20 % - 40 % B < 20 % A < 40 % M 40 %-70 % B > 70 % A 0-0,3 M 0,3-0,5 B 0,5-0,8 A 0,8-1 M 0,4-0,7 B 0-0,3 A < 16.000 M 16.000 B > 16.000 A I < 0,5 M 0,5 < I < 1 B I>1 Oltrepo mantovano Alpi Lepontine Valore Capacità di carico Uso del suolo Stato – classi1 Capacità di carico Sono questi Indicatore i famosi componenti ambientali? B n.d. – 30,76 % M 7,5 % B >70 % B >70 % B 0,59 B 0,61 B 0,6 M 0 B n.d. -- 18.000 B 0,002 A 0,1 A Valore >2 I dati disponibili relativi al comparto acqua (Indicatori 1-7) mostrano un problema relativo all’approvvigionamento di acqua potabile dal sottosuolo nell’Oltrepo Mantovano (I. 3), con una situazione già insostenibile che potrebbe essere ulteriormente peggiorata dall’aumento della richiesta, determinato dall’incremento del numero dei turisti; nelle Alpi Lepontine, invece, il problema riguarda la capacità di depurazione degli impianti presenti sul territorio, che operano già al limite delle proprie potenzialità e non sarebbero in grado di garantire la continuità e la qualità del servizio in caso di aumento del volume delle acque da depurare (I. 5). La mobilità rappresenta un problema per entrambe le destinazioni, sia perché il numero di auto circolanti appartenenti a residenti è elevato (I. 20), sia perché, a causa della scarsità e/o ineicienza dei sistemi di trasporto pubblico (I. 21), i turisti 145 Valentina Castellani & Serenella Sala raggiungono le aree prevalentemente con mezzi propri (I. 19); questa circostanza incide sulla qualità dell’esperienza turistica, determinando una situazione di congestione delle strade (I. 22), di inquinamento acustico (che può essere fonte di disturbo soprattutto per le aree protette) e, nel caso dell’Oltrepo Mantovano, anche una condizione aggiuntiva in un contesto molto critico in merito alla qualità dell’aria (I. 12). Anche se non completamente esaustivi, i risultati ottenuti permettono una valutazione preliminare della capacità di carico turistica delle due realtà considerate, mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deinizione di politiche di sviluppo turistico sostenibile. Conclusioni L’aspetto più critico relativo alla valutazione della capacità di carico per le destinazioni turistiche è la diicoltà di ottenere risultati quantitativi (Bimonte & Punzo, 2005). Seguendo il punto di vista di Manning (2002) e di Stankey & Cole (1985), questa ricerca rappresenta un tentativo di quantiicare lo stato attuale di ogni comparto interessato dalla gestione del turismo, attraverso indicatori che considerino i principali aspetti ambientali e gestionali relativi al settore turistico e che permettano di indirizzare le future politiche di sviluppo turistico sostenibile. L’applicazione della metodologia ha evidenziato alcuni elementi positivi e alcune criticità, da approfondire in futuro: • La necessità di stabilire soglie di sostenibilità rappresentate da valori numerici universalmente riconosciuti rappresenta uno degli aspetti più controversi perché, soprattutto per gli indicatori per i quali non esistono standard deiniti e riconosciuti, la scelta implica necessariamente un certo grado di soggettività da parte di chi efettua la valutazione. • L’interazione della capacità di carico isica (determinata dalle caratteristiche dell’ambiente naturale) e della capacità gestionale del sistema turistico rappresenta un elemento chiave per fornire informazioni utili a supportare la pianiicazione da parte dei decisori locali. • La scelta di non aggregare i risultati in un unico valore ma di presentarli in modo disaggregato fornisce indicazioni settoriali sullo stato e sulle possibili situazioni di criticità, nonché di evitare compensazioni tra i risultati dei diversi aspetti considerati. 146 La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico Bibliografia Agarwal, S. (1994) he resort cycle revisited: implications for resorts. In: Progress in Tourism, Recreation and Hospitality Management, 5. Bimonte, S. & Punzo, F. (2005) A proposito di capacità di carico turistica. Una breve analisi teorica. EdATS Working Papers Series, 4. Butler, R. (1980) he concept of a tourist area cycle of evolution. Canadian Geographer, 24, 5–1. Castellani, V., Sala, S. & Pitea, D. (2007) A new method for tourism carrying capacity assessment, Ecosystems and sustainable development VI. WIT Press, Southampton. Manning, R.E. (2002) How much is too much? Carrying capacity of national parks and protected areas. In: Monitoring and management of visitor lows in recreational and protected areas. Bodenkultur University, Vienna, Austria. Mathieson, A & Wall, G. (1982) Tourism: Economic, Physical and Social Impacts. Longman, Harlow. Saarinen, J. (2006) Traditions of sustainability in tourism studies. Annals of Tourism Research, 33, 1121-1140. Smeets, E. & Weterings, R. (1999) Environmental Indicators: Typology and Overview. European Environment Agency, Copenhagen, Denmark. Stankey, G.H & Cole, D.N. (1985) he Limits of Acceptable Change (LAC) System for Wilderness Planning. USDA Forest Service Intermountain Research Station: Ogden, UT. WTO (1999) Global code of ethics for tourism. Proceedings of hirteenth session of General Assembly, Santiago, Chile. 147 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia Sustainability and bioenergy: an application of the CO2FIX model to the forests of Lombardy Giulia Fiorese*, Giorgio Guariso & Enrico Perego Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano, Via Golgi, 20133 Milano *[email protected] Abstract Le biomasse del comparto forestale possono costituire un’importante fonte rinnovabile per l’energia e contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e allo sviluppo delle bioenergie a scala locale. Tuttavia, l’utilizzo di risorse forestali a ini energetici può avere rilevanti impatti sugli ecosistemi e sul territorio nel suo complesso e richiede quindi un’analisi approfondita. Scopo di questo lavoro è confrontare diferenti modelli di gestione sostenibile della biomassa forestale con l’obiettivo di massimizzare la produzione di bioenergia e la rimozione di gas serra dall’atmosfera. Il modello utilizzato per l’analisi, CO2FIX, descrive i lussi di carbonio per unità di supericie della biomassa, del suolo e della bioenergia. Il modello è stato applicato ai boschi della Lombardia, che sono stati schematizzati in quattro macrosistemi forestali: boschi di conifere; boschi di latifoglie; boschi misti di conifere e latifoglie; impianti di arboricoltura da legno. Per ogni macrosistema sono state analizzate diverse politiche di gestione che vanno dalla tutela assoluta al mantenimento costante dello stock a cicli di taglio di diversa lunghezza, ino alla massima produzione mantenibile. È stato quindi possibile confrontare le diverse gestioni e individuare quella più eiciente dal punto di vista del carbonio immagazzinato per ogni macrosistema forestale. Estendendo questi risultati all’intero territorio regionale si può valutare il contributo complessivo del comparto alla riduzione delle emissioni climalteranti. 149 Giulia Fiorese et al. Il ruolo energetico delle biomasse forestali I cambiamenti climatici impongono alla nostra società sia lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di ridurre le emissioni climalteranti sia la massimizzazione dell’eicienza con cui la biosfera è in grado di sequestrare il carbonio. I modelli previsionali indicano che, sebbene il potenziale di sottrazione di carbonio da parte del suolo e della vegetazione non sia da solo in grado di compensare gli aumenti delle emissioni, la capacità di accumulo di C nella biosfera nei prossimi 20-30 anni sarà essenziale per mitigare i cambiamenti climatici. Il bilancio del carbonio negli ecosistemi terrestri ha quindi acquisito negli ultimi anni una rinnovata importanza; i soprassuoli forestali potranno giocare un ruolo determinante. Occorre dunque guardare ai boschi come depositi di carbonio che devono essere salvaguardati, ma che, allo stesso tempo, hanno valore economico grazie alla produzione di energia rinnovabile, dato che possono fornire legna da usare in sostituzione dei combustibili fossili per la produzione di energia. Gli ecosistemi terrestri svolgono un importante ruolo all’interno del ciclo globale del carbonio e di conseguenza nelle strategie di controllo delle emissioni di gas serra (Ciccarese et al., 2005). Questo ruolo si concretizza attraverso tre tipi di intervento: creazione di nuove foreste; appropriata gestione delle foreste esistenti; uso della biomassa in sostituzione delle fonti fossili e di altri materiali (Brown et al., 1996). Tuttavia, le foreste di nuova formazione sequestrano carbonio intantoché sia raggiunto il limite massimo oltre al quale le perdite dovute a respirazione, morte delle piante, cause esterne di disturbo o a utilizzazioni e altre operazioni forestali, arrivano a bilanciare l’attività fotosintetica. Anche il legno estratto dal bosco e trasformato in prodotti legnosi costituisce una riserva inita di carbonio. Quando una supericie forestale non è ripiantata dopo la sua utilizzazione, oppure è perduta in modo permanente, a causa di eventi naturali, la riserva di carbonio è dispersa; lo stesso accade se i prodotti legnosi degradati non sono sostituiti da analoghi prodotti. Al contrario, i beneici derivanti dalla sostituzione dei combustibili fossili con la bioenergia sono irreversibili: quando è prodotta energia da biomassa in sostituzione di una fonte fossile qualsiasi, si evita in maniera permanente l’emissione di una certa quantità di gas serra (Tuskan et al., 2001). Il presente lavoro ha due obiettivi. Il primo consiste nella formulazione di un metodo per individuare politiche di gestione sostenibile dei boschi, avendo come ine ultimo la riduzione delle emissioni di gas serra e l’aumento del carbonio issato dal sistema forestale. Il secondo obiettivo è quantiicare i beneici ambientali che si 150 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia possono ottenere dalla gestione dei soprassuoli forestali della regione Lombardia attraverso le politiche individuate. Il software CO2FIX CO2FIX V 3.1 (Masera et al., 2003; Schelhaas et al., 2004) è un modello di bilancio del carbonio costituito dai moduli della biomassa, del suolo, dei prodotti, della bioenergia (Fig. 1). Ciascun modulo descrive i lussi di ingresso e di uscita del carbonio, mentre il modulo inale calcola un bilancio complessivo nel sistema forestale. Figura 1: Struttura modulare del modello CO2FIX. Il modulo Biomassa descrive l’accrescimento della biomassa forestale a partire dal carbonio assorbito tramite fotosintesi distinguendo tra foglie, rami, fusto e radici. Ognuno di questi comparti è regolato da opportune equazioni che descrivono l’accrescimento, la mortalità, il turnover e il taglio della biomassa. Mortalità, turnover e residui del taglio che restano sul terreno alimentano il modulo Suolo, in cui è descritta la decomposizione della biomassa e i relativi lussi di carbonio, dipendenti dalle condizioni climatiche e dalla lettiera. La biomassa rimossa alimenta il modulo 151 Giulia Fiorese et al. Prodotti, che descrive gli utilizzi dei prodotti legnosi, tra cui l’uso energetico. Questo alimenta il modulo Bioenergia che valuta le emissioni di carbonio evitate grazie alla sostituzione di energia prodotta da combustibili fossili con energia prodotta da biomasse. Il modulo inale di Bilancio del carbonio somma tutti i lussi in ingresso e in uscita dall’atmosfera. CO2FIX è uno strumento lessibile e può essere applicato ad una varietà di specie forestali. Il modulo Biomassa è in grado di descrivere sia piantagioni mono-speciiche sia boschi con più specie arboree e con una struttura non omogenea di età (attraverso il Modello coorti). Tutte le variabili utilizzate sono masse di carbonio per ettaro di bosco (tC/ha); per la simulazione della dinamica si utilizza un passo temporale pari a un anno. È possibile convertire le quantità di carbonio della itomassa arborea in tonnellate di sostanza secca per ettaro (tSS/ha) o in metri cubi (m3/ha). L’output del modello è costituito da due indicatori: il primo esprime le emissioni medie annue di anidride carbonica evitate grazie all’utilizzo della biomassa come fonte energetica alternativa al gas naturale e il secondo esprime la quantità media annua di gas serra sequestrato dal sistema forestale (biomassa forestale e suolo). I boschi della Lombardia La supericie forestale totale lombarda si estende su 665.702 ettari, più di un quarto della supericie regionale. Il 58 % della supericie forestale è costituita da popolamenti puri di latifoglie, il 17 % da formazioni pure di conifere, il 13 % da boschi misti; la parte restante risulta non classiicata (INFC, 2005; ERSAF, 2007). La categoria forestale più difusa tra i boschi di conifere è l’abete rosso, tra i boschi di latifoglie le più difuse sono castagneti, ostrieti e carpineti. Circa due terzi della supericie forestale è di proprietà pubblica, il restante è di proprietà privata. Quasi tutta la supericie forestale è soggetta a strumenti di pianiicazione forestale e un quarto della supericie è soggetta a vincoli di tipo naturalistico. Solo un quinto dei boschi ha origine naturale, mentre la gran parte ha origine semi-naturale, dovuta a interventi selvicolturali o a rinfoltimenti. Il 6 % dei boschi presenta un’origine artiiciale (rimboschimenti, imboschimenti, piantagioni derivate da semina o da impianto di specie indigene o introdotte). Secondo i dati raccolti nell’Inventario Nazionale, circa l’8 % dei soprassuoli forestali si trova in uno stadio giovanile o di rinnovazione, il 61 % in uno stadio adulto e il rimanente 31 % in uno stadio invecchiato. 152 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia I boschi della Lombardia sono oggi in uno stato di parziale abbandono, che ha fatto seguito a secoli di utilizzo spesso eccessivo, con conseguenti situazioni di invecchiamento e di degrado. I prelievi di legname dai boschi sono drasticamente diminuiti dal dopoguerra, anche se c’è stata una lieve ripresa dopo gli anni ’80. I prelievi variano molto di anno in anno e in Lombardia oscillano tra un minimo di 0,8 nel 2004 e un massimo di 1,8 milioni di m3 nel 1999 (ISTAT, 2006). La diminuzione del prelievo riduce la pressione a carico degli ecosistemi forestali; tuttavia una ripresa delle attività produttive correttamente svolte potrebbe signiicare la ine dell’attuale stato di abbandono. Applicazione di CO2FIX ai boschi della Lombardia Per studiare le alternative di gestione dei boschi della Lombardia sono stati individuati 4 macrosistemi forestali che ricalcano la divisione usata nella cartograia di uso del suolo (ERSAF, 2007): boschi di conifere, boschi di latifoglie (cedui semplici, cedui composti e boschi fustaia-ceduo in cui non è riconoscibile una forma di governo prevalente), boschi misti di conifere e latifoglie (consociazioni di piante di specie diverse in cui non è riconoscibile una prevalenza dei tipi, sia a ceduo sia ad alto fusto), impianti di arboricoltura da legno (impianti ad alto fusto per la produzione del legname e altre legnose agrarie). Per ogni categoria forestale sono stati identiicati i parametri che regolano lo sviluppo della biomassa e i lussi di carbonio, sulla base di dati di letteratura il più possibile vicini ai sistemi forestali individuati. Per quanto riguarda i parametri per il modulo Biomassa, sono stati adottati i valori di capacità portante dello stand e i tassi di crescita, turnover e mortalità ricavati da uno studio APAT (2002). Per il modulo Suolo, il contenuto iniziale di carbonio e la sua evoluzione nel tempo sono stati rielaborati da uno studio che ha stimato il contenuto di carbonio organico negli strati di suolo su tutta la regione (Progetto Kyoto Lombardia, 2008). I parametri sono stati ricavati anche dalle caratteristiche climatiche dell’area di studio che determinano l’umidità e controllano i fenomeni chimici, isici e biologici all’interno del suolo. Nel modulo Prodotti è stato ipotizzato che tutto il tronco sia utilizzato e che solo una parte di rami e foglie sia rimossa (pari al 90 % nel caso della arboricoltura da legno e pari al 70 % per le altre categorie), lasciandone quindi una parte al suolo. Sono stati considerati i lussi di gas climalteranti dovuti alle operazioni di taglio (0,5 kgCO2,eq/tss) e di trasporto (0,25 kgCO2,eq/tss/ 153 Giulia Fiorese et al. km). Per il modulo Bioenergia è stato ipotizzato di usare le biomasse per produrre energia termica che va a sostituire energia termica prodotta da gas naturale. In tutte le analisi, si é assunto che il contenuto medio di carbonio sia 0,5 tC/ tss di biomassa e il potere caloriico inferiore pari a 16 MJ/kg per tutte le categorie forestali. La massa volumetrica (tss/m3) invece varia da specie a specie (Tab. I). Tabella I: Valori delle variabili all’istante iniziale dell’intervallo di simulazione. macrocategoria forestale Massa volumetrica del legno secco (IFNI, 2005) Capacità Portante (APAT, 2002) volume Iniziale (IFNI, 2005) contenuto di carbonio iniziale Valori medi di carbonio organico 100 cm (elab. da Progetto Kyoto Lombardia, 2008) kg/m3 m3/ha m3/ha tC/ha tC/ha Boschi di conifere 526 339 321 84 154,7 Boschi di latifoglie 705 65 160 56 126,1 Boschi misti di conifere e latifoglie 615 80 241 74 137,2 Impianti di arboricoltura da legno 515 – 115 30 108,0 Politiche di gestione dei boschi della Lombardia La gestione dei sistemi forestali si può deinire sostenibile quando avviene in forme e a un tasso tali da mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rinnovazione, vitalità, nonché la loro capacità di fornire, ora e in futuro, rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza causare danni ad altri ecosistemi (APAT, 2002). Gli scenari di gestione considerati sono sostenibili per quanto riguarda la conservazione della biomassa: la quantità di biomassa al termine dell’intervallo di simulazione è pari o superiore alla quantità iniziale. Le politiche di gestione analizzate sono: 1. Tutela assoluta: si suppone che il bosco evolva in modo naturale, senza efettuare alcun tipo di intervento. 2. Conservazione: ogni anno si rimuove dal bosco una quantità di biomassa che garantisce il mantenimento dello stock di carbonio; si taglia quindi tutto quanto è cresciuto nel corso dell’anno. 3. Ciclo lungo, medio e breve: con il primo taglio si porta la densità forestale ad un valore inferiore a quello che permette la massima crescita, in modo da garantire 154 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia una crescita elevata negli anni successivi. Dopo il primo taglio, si hanno tagli ciclici ogni 20, 10 o 5 anni. 4. Massima produzione mantenibile: si porta la biomassa forestale alla densità tale da permettere la massima crescita tra un anno e il successivo. Ogni anno si taglia quanto è cresciuto durante l’anno stesso. È quindi possibile formalizzare il problema di ottimizzazione che, per ogni categoria forestale, seleziona la gestione forestale ottima (u°) nell’insieme delle sei politiche di gestione U. L’obiettivo è massimizzare la somma della quantità media annua di CO2 issata dal sistema bosco (Ibosco) e la quantità media annua di CO2,eq evitata grazie alla sostituzione di energia da gas naturale (Ievitate). Per ogni categoria forestale la gestione ottima è quindi determinata risolvendo il problema: maxu [Ibosco(u) + Ievitate(u)] u U Tutte le simulazioni sono state svolte su un intervallo temporale di durata 100 anni, suicientemente lungo da rendere irrilevante il valore dello stato iniziale, nonché aidabile la stima dei valori medi. La tabella II riporta, a titolo di esempio, i valori degli indicatori per la categoria forestale prevalente (boschi di latifoglie) e per ogni politica di gestione. Tabella II: Valori degli indicatori (t CO2,eq/anno) per politica di gestione per i boschi di latifoglie. Ievitate Ibosco Ibosco + Ievitate Tutela assoluta 0,00 –1,06 –1,06 Conservazione 0,72 0,51 1,24 Massima produzione mantenibile 3,38 0,71 4,09 Ciclo lungo 3,41 0,16 3,57 Ciclo medio 3,31 0,23 3,54 Ciclo breve 3,25 0,93 4,18 Potenzialità dei boschi della Lombardia Nota la politica di gestione ottimale per le singole categorie dei boschi della Lombardia, per stimare quale può essere il contributo complessivo alla riduzione delle emissioni di gas serra è necessario valutare le superici interessate. Queste sono state ricavate dalla cartograia di uso del suolo (ERSAF, 2007) ponendo dei vincoli sulla massima pendenza (inferiore al 30 %) e sulle distanze della rete stradale (inferiori 155 Giulia Fiorese et al. ai 200 metri). Si tratta di vincoli che possono essere facilmente valutati elaborando la cartograia digitale con un GIS. La tabella III mostra, per ogni categoria forestale, la supericie forestale, la supericie disponibile, la forma di gestione ottimale e la riduzione di gas climalteranti. Tabella III: Superficie forestale totale e disponibile per categoria forestale e riduzione delle emissioni climalteranti per ogni categoria secondo la politica di gestione ottimale. Categoria forestale Superficie forestale regionale (ha) Superficie disponibile (ha) Politica ottima di gestione Boschi di conifere 134.352 10.647 Ciclo lungo 41.841 2.662 Boschi di latifoglie 340.137 97.253 Ciclo breve 316.071 90.445 Boschi misti di conifere e latifoglie 91.555 14.989 Massima produzione mantenibile 66.401 11.092 Impianti di arboricoltura da legno 39.323 39.323 SRF 918.591 –16.123 605.367 162.212 – 1.342.904 88.076 Totale Emissioni CO2 sequestrata evitate (tCO2/anno) (tCO2,eq/anno) Discussione e conclusioni I prelievi storici dai boschi della Lombardia interessano una supericie pari a circa 11 mila ettari ogni anno e portano alla raccolta di poco meno di un milione di m3. In media si raccolgono 90 m3 per ettaro. Secondo le politiche di gestione proposte, invece, i tagli interesserebbero ogni anno una supericie pari a 35 mila ettari circa, per una raccolta totale di poco meno di 500 mila m3, ovvero circa 14 m3 per ettaro l’anno. Nel quadro di una gestione sostenibile delle superici forestali non c’è contraddizione tra lo sviluppo del bosco come accumulatore di CO2 e l’uso del bosco a ini energetici, anzi la sinergia può essere positiva. Non efettuare interventi di taglio non signiica ottenere un ambiente migliore. Dalle analisi condotte è infatti emerso che, lasciando seguire ai boschi le proprie dinamiche evolutive, e rinunciando a qualsiasi attività selvicolturale, si va incontro ad una fase in cui il bosco può addirittura emettere carbonio in atmosfera. La diferenza tra l’assorbimento complessivo associato alla soluzione ottima e quello associato alla soluzione senza taglio, costituisce il “prezzo”, in termini di mancato assorbimento, che la società paga per l’abbandono dei boschi. La gestione sostenibile dei boschi lombardi proposta in questo lavoro potrebbe dare un contributo signiicativo al raggiungimento dell’obiettivo regionale di ri- 156 Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia duzione delle emissioni di gas serra indicato dal Protocollo di Kyoto, con una riduzione di circa 1,46 milioni di tonnellate annue di CO2,eq, pari a circa il 15 % della riduzione totale necessaria (Progetto Kyoto Lombardia, 2008). Ringraziamenti Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto Consolidamento ECATE – Eicienza e Compatibilità Ambientale delle Tecnologie Energetiche inanziato da Regione Emilia-Romagna. Bibliografia APAT (2002) Assorbimento e issazione di carbonio nelle foreste e nei prodotti legnosi in Italia, Rapporti 21/2002, Roma. Brown, S., Sathaye, J., Cannell, M. & Kauppi, P. (1996) Management of forests for mitigation of greenhouse gas emissions. 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(2003) Modeling carbon sequestration in aforestation, agroforestry and forest management projects: the CO2FIX V.2 approach. Ecological Modelling, 164, 177-199. Progetto Kyoto Lombardia (2008) Per vincere la sida dei cambiamenti climatici e del controllo dei gas serra nella regione più industrializzata d’Italia. Ed. Fondazione Lombardia per l’Ambiente (ricerca inanziata da Regione Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente, APAT e ERSAF Lombardia e promossa da Regione Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente e ARPA Lombardia). Schelhaas, M. J., van Esch, P. W., Groen, T. A., de Jong, B. H. J., Kanninen, M., Liski, J., Masera, O., Mohren, G. M. J., Nabuurs, G. J., Palosuo, T., Pedroni, L., Vallejo, A. & Vilen, T. (2004) CO2FIX V 3.1 – description of a model for quantifying carbon sequestration in forest ecosystems and wood products. ALTERRA Report 1068. Wageningen, he Netherlands. Tuskan, G.A. & Walsh, M.E. (2001) Short-rotation woody crop systems, atmospheric carbon dioxide and carbon management: A U.S. case study. he Forestry Chronicle, 259-264. 157 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria: Governance sostenibile e resilienza dei sistemi socio-ecologici Commons in Trentino and Cumbria: Sustainable governance and resilience of the social-ecological systems Alessandro Gretter* & Rocco Scolozzi Area Ambiente e Risorse Naturali , Fondazione Edmund Mach, IASMA Research and Innovation Centre, Via Edmondo Mach 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN) *[email protected] Abstract A livello internazionale col termine “Commons” si indicano tutti quei beni la cui proprietà è della collettività, ossia caratterizzati dagli aspetti del “bene pubblico” sotto un proilo economico (disponibili in larga misura, proprietà non esclusiva ed escludibilità all’utilizzo limitata). A livello globale si può pensare a beni quali l’atmosfera oppure le risorse degli ecosistemi marini, ma anche molte altre risorse naturali e servizi ed infrastrutture tecnologiche. La possibilità di diferenziazione spaziale permette di declinare il termine anche su scala nazionale, regionale e locale. In questo caso si può parlare di un insieme di risorse di proprietà collettiva (“Common-pool resource”). La limitazione spaziale della trattazione sarà svolta nel contesto Europeo, ed in particolare al caso delle Alpi Italiane e delle Uplands Inglesi, approfondendo così il confronto tra territori caratterizzati prevalentemente dalla presenza di ecosistemi terrestri montani. Relativamente alle Common Lands di questi territori si è cercato di analizzare le risorse naturali nella loro complessità, mediante un approccio ecosistemico, mettendo in evidenza le relazioni connesse ai beni e servizi forniti dalle risorse naturali. Gli ambiti sono caratterizzati da ecosistemi montani (declinati nelle forme di foreste, aree agricole e collinari) e dalla ricorrenza di una crisi a livello socio-ecologico (spopolamento, marginalità economica e/o sociale, perdita di identità culturale, impatti sulla biodiversità). Per il territorio del Trentino si è realizzata una valutazione economica del patrimonio dei beni di proprietà collettiva applicando i principi del Millennium Ecosystem Assessment. Il caso inglese della regione Cumbria è stato valutato per la capacità del sistema locale di rispondere ai mutamenti imposti dalle dinamiche del mercato. Le evidenze hanno permesso di confrontare gli strumenti atti alla tutela delle risorse naturali e della conservazione dei paesaggi culturali tradizionali. 159 Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi Le crisi: elementi esogeni ed endogeni Le attese espresse dalla società relativamente alle utilità derivanti dai beni di proprietà collettiva si sono radicalmente modiicate in questi ultimi anni. Se una volta i beni derivanti dalle proprietà delle comunità erano di “primaria necessità” (legname e allevamento), ora una parte rilevante del loro valore deriva dai nuovi servizi oferti (come la issazione dell’anidride carbonica) o attribuendo una valenza a funzioni che erano scarsamente considerate. I beneici derivanti da queste nuove modalità di beni e servizi sono di rilievo non solamente per le comunità locali, che hanno perso il loro status di chiusura ed autarchia, ma anche per gruppi sociali che a volte vivono molto distanti da questi territori. Le politiche ed azioni che, principalmente, i governi locali e le comunità dovrebbero adottare per preservare le caratteristiche delle risorse collettive sono quelle legate ad una modalità di gestione sostenibile delle risorse, seguendo quanto delineato in contributi come Dourojeanni (1993). Ossia contemplando la sostenibilità dell’ambiente e delle risorse naturali, la crescita economica delle comunità interessate e l’equità sociale. Il non conseguimento in modo simultaneo delle tre precedenti condizioni genera conlitti, tendenzialmente legati ad una visione di ottimizzazione che non ha nel lungo periodo il suo obiettivo e che risulta parziale. In questa prospettiva, innovazioni di tipo gestionale hanno dato lusinghieri risultati in campo ambientale; tra queste ha ricevuto un crescente sostegno l’attribuzione dei diritti di proprietà sulle risorse forestali ed idriche alle comunità locali (Baland & Platteau, 1996). Esse hanno infatti forti incentivi nel proteggere l’ambiente locale e posseggono al loro interno suicienti risorse per monitorarne l’uso in modo eicace. Sotto la guida della FAO e dell’UNEP negli ultimi anni molti governi, tra cui India e Nepal, hanno adottato dei modelli di gestione congiunta per le risorse forestali, trasferendo il controllo dallo stato a degli organi localmente eletti. L’attività ricreativo-turistica rappresenta uno dei maggiori elementi di conlitto. Facendo riferimento ai servizi ecosistemici, essi sono maggiormente utilizzati proprio dal settore turistico. Nel caso della stazione turistica svizzera di Davos un aumento del 10 % nel settore turistico richiede un aumento dei servizi ecosistemici del 6 % dovuto ad una maggiore domanda per i servizi di protezione idro-geologica e di assorbimento del carbonio (Grét-Regamey & Kytzia, 2007). Questa valutazione risulta però distorta nei confronti della popolazione residente: ad essa, infatti, non viene associato nessun valore diretto come invece succede ai turisti. Infatti “il turismo è l’incontro tra una popolazione stabile e permanente (i residenti) ed una mutevole (turi- 160 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria sti), le quali debbono trovare un accordo, simultaneo, su come usare e/o condividere le risorse locali” (Bimonte, 2008). A volte approcci volti alla conservazione, rispetto allo sfruttamento, ed in assenza di evidenti tendenze al free riding possono portare a modalità turistiche deinibili come “insostenibili”, tali da causare il degrado o la scomparsa della risorsa; questo avviene quando i fruitori hanno diferenti attitudini o attese nei confronti della stessa (Bimonte, 2008). In questa prospettiva la capacità socio-economica rappresenta la soddisfazione sociale ed economica della popolazione che risiede nella destinazione rispetto al fenomeno turistico ivi insistente. Una situazione che a volte non viene soddisfatta portando ad avere degli esempi di coesistenza conlittuale attraverso l’espulsione dei residenti, specialmente nelle località a maggiore attrazione turistica. Infatti trattare di “capacità di carico signiica anche (se non soprattutto) trattare di conlitti sociali, reali o potenziali” (Bimonte & Punzo, 2004). Nuovi “design principles” per validare una gestione efficiente Come appare evidente nelle norme inglesi e trentine recentemente adottate, due sono le priorità da afrontare nel prossimo futuro per gestire i common: da un lato un nuovo modello di sviluppo che tenda a facilitare la “self-governance”, valorizzando anche nuove esigenze, e dall’altro il confronto con designazioni prevalentemente ambientali quali NATURA 2000, imposte dall’alto, che potrebbero limitarne le attività. Soluzioni di tipo ottimale non possono essere individuate facilmente e senza alcun costo da autorità esterne; invece “ottenere la soluzione giusta” è un processo diicoltoso e lungo, che richiede innumerevoli informazioni di tipo temporale e spaziale, nonché una profonda conoscenza delle norme socio-culturali in vigore. La forma ottimale di gestione non è né strettamente privata né pubblica, bensì, come molte organizzazioni di gestione dei common hanno dimostrato, sono un insieme di istituzioni pubbliche e private. Bisogna investire verso soluzioni di gestione multifunzionale dello spazio rurale nate e legate alle comunità locali (Short, 2008). Il crescente interesse ed il riconoscimento dei beni pubblici aferenti ai common richiedono l’adozione di pratiche partecipative al ine di ridurre le tensioni esistenti ed incrementare il dialogo. In molti casi si è sperimentato l’indebolimento del meccanismo di cooperazione esistente, il deterioramento dell’aidabilità delle relazioni di lungo periodo tra i beneiciari delle risorse, che ha scoraggiato gli investimenti (Seabright, 1993). Il ricorso ad approcci innovativi, legati alle comunità depositarie delle conoscenze e capacità locali, potrà 161 Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi avvenire attraverso la partecipazione, che realizzerà così la gestione adattiva e l’approccio ecosistemico. Le tradizionali funzioni economiche non dovranno essere rimosse, anzi per loro sono state sviluppate nei common le forme di gestione più eicienti e sostenibili ed a loro deve essere riconosciuto un ruolo cruciale come fonte di conoscenza per le altre, emergenti, funzioni. I soggetti gestori di beni di proprietà collettiva possono raforzare, attraverso un “processo di mediazione”, la coerenza delle politiche di gestione delle risorse naturali. L’identità collettiva, la auto-percezione e, di conseguenza, le preferenze dei soggetti vengono allora traslati verso gli scopi principali. I “design principles” delineati da Ostrom (1990) si possono mutare ampliando il concetto di dipendenza dai beni materiali di tipo economico, andando ad estenderla a quelli immateriali e simbolici, ricomprendendo anche le opportunità su scala sociale ed ecologica (Gerber et al., 2008). Inoltre le comunità, sempre più aperte e connesse con il mondo esterno, debbono poter ancora contare sui principi di auto-regolamentazione, perseguendo anche un ampio coinvolgimento degli stakeholders (compresi quelli “emergenti”) e sviluppare, congiuntamente ad altri enti e soggetti, politiche adeguate (Short, 2008). La loro eicienza sarà ancora garantita dal basso costo alla comunità nazionale, dall’indipendenza rispetto ai conini istituzionali, dalla loro legittimità riconosciuta e dalla profonda conoscenza delle condizioni locali (Gerber et al., 2008). La resilienza dei sistemi socio-ecologici nelle regioni indagate In teoria, nei common le funzioni ecologiche vengono conservate grazie a due condizioni favorevoli: il tradizionale uso estensivo delle risorse che non genera grandi impatti, permettendo il raggiungimento di un equilibrio stabile (o quantomeno garantito dall’intervento umano) e la necessità di avere un largo consenso all’interno della comunità, relativamente alle regole di gestione, alla base della mancata introduzione di profondi cambiamenti (con conseguenze imprevedibili). I cambiamenti nel tessuto socio-economico e la minor rilevanza delle tradizionali attività di produzione hanno però indebolito questo sistema. La progressiva scomparsa delle attività tradizionali e gli equilibri secolari ad esse collegati potrebbero stimolare lo sviluppo di attività a forte impatto ambientale; inoltre, la prossimità di taluni di questi territori con altri ad elevato tasso di urbanizzazione genera una serie di pressioni, a volte molto intense. 162 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria D’altro canto, però, il ritorno ad uno stato di wilderness potrebbe causare una riduzione in molte delle funzioni non di mercato che oggi la società tende a valorizzare. Nelle Alpi, l’abbandono della pratica del pascolo e della silvicoltura comporta l’afermarsi di un paesaggio meno attraente e la creazione di habitat con una minore biodiversità e maggiore rischio di incendi (Gios, 2004; Gretter et al., 2010). In questa chiave di lettura, lo sviluppo di scenari, con ipotesi di cambiamenti nell’uso del territorio, qualità della vita, popolazione, aspetti climatici e condizioni economiche, può fornire una rappresentazione del possibile futuro. Per valutare la resilienza dei sistemi socio-ecologici si possono ipotizzare dei possibili scenari, per ognuno dei quali sarà individuata la variabile rilevante in termini di politica e di gestione, collegata (Walker & Meyers, 2004). Per i common, essi sono legati per esempio all’abbandono, all’intensiicazione o all’estensivazione di pratiche agro-silvo-pastorali. Gli scenari potranno essere anche inseriti, quale elemento predittivo presunto del futuro, in esercizi di valutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici, delineando così come si evolverà lo spostamento lungo gli stadi di equilibrio e gli shocks che si potranno registrare. Una prima sommaria valutazione della resilienza per i due territori indagati si presenta di seguito, non applicando però in questo frangente molti degli aspetti metodologici precedentemente presentanti, in particolare tralasciando la parte relativa alla prospettiva futura ed alla elaborazione degli scenari. Le aree di indagine Partendo dai principi sopra elencati si è allora cercato di indagare due territori dove la presenza di Commons fosse rilevante rispetto al contesto, individuando il Trentino per la zona alpina e la Cumbria nelle Uplands inglesi (Tab. I). Tabella I: Alcuni dati sui territori indagati. Superficie Popolazione (2008) Cumbria Trentino 6.823 km² 6.203 km² 496.000 519.000 % superficie definibile come Commons 17 57 % superficie designata NATURA 2000 25 19 (30 con aree protette) 163 Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi Le aree hanno caratteristiche similari sul piano di estensione (Cumbria 6.823 km², Trentino 6.203 km²) e di popolazione presente (Cumbria 496.000, Trentino 519.000), oltre che in termini di supericie designata come NATURA 2000 (Cumbria 25 %, Trentino 30 % circa). Il sistema normativo di riferimento rispetto ai terreni e beni classiicabili come Commons è diversiicata ma la loro importanza, sia in termini di supericie (Cumbria 17 % della supericie totale; Trentino 57 %) che di riconoscimento nel contesto sociale e culturale, è preponderante. In sintesi di seguito viene rappresentata in forma di diagramma una prima valutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici di maggiore riferimento, quello forestale per il Trentino e quello degli agro-ecosistemi pascolivi in Cumbria. Trentino Prendendo come variabili di riferimento la consistenza delle foreste trentine e la loro composizione in termini di specie, la vulnerabilità degli ecosistemi forestali ha registrato una diminuzione nell’arco di uno spazio temporale della durata di quasi due secoli (Fig. 1). Il ricorso al legname per motivi di opera e, largamente, per le esigenze di riscaldamento ha caratterizzato tutto il periodo del XIX secolo; la pressione maggiore è stata però raggiunta in occasione del primo conlitto mondiale. Già durante il periodo post-bellico sono state poste in essere delle attività di ripristino della consistenza del patrimonio forestale trentino, proseguite anche dopo il secondo conlitto. Proprio a partire dagli anni Cinquanta si sono afermati approcci gestionali che hanno fatto prevalere il ceduo rispetto alla latifoglia e la adozione di pratiche silvicolturali di tipo naturalistico; i risultati si sono visti a distanza di quasi cinquanta anni quando la maggior parte delle foreste trentine ha raggiunto livelli dimensionali, di diversità e di maturità al suo interno in grado di poter resistere alle pressioni ed agli impatti che la colpiscono. 164 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria Shock Sistemi Socio Ecologici II Guerra Mondiale Valore del capitale Bosco maturo I Guerra Mondiale Selvicoltura naturalistica elevato uso Vulnerabilità Figura 1: Variazione della vulnerabilità nel tempo in Trentino. Cumbria Il capitale dei sistemi socio-ecologici della Cumbria può essere rappresentato dai 3 elementi di maggior rilievo per l’attività del “Hill-farming”: la dimensione dei pascoli disponibili, il numero di addetti e di aziende ed il numero di capi allevati. Il sistema della Cumbria ha assistito ad una riduzione marcata del numero degli addetti nel corso degli ultimi 150 anni, comportando anche l’abbandono di aziende e terreni (Fig. 2). Questo si può rappresentare con una forte riduzione del capitale locale ed un costante aumento della vulnerabilità sancita da un tessuto rurale più fragile. Infatti; negli ultimi 30 anni il sistema del “Hill farming” (e del hefting) ha evidenziato una tendenza che sembra condurlo al collasso. Come indicato in precedenza da Jones (2007), alla luce degli strumenti di politica rurale esistenti oggi non converrebbe infatti mantenere un gregge di pecore e proseguire con le attività tradizionali. 165 Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi Shock II Guerra Mondiale - spopolamento Valore del capitale Alto numero occupati Terreni in utilizzo I Guerra Mondiale Sistemi Socio Ecologici sussidi 2001 afta epizootica Vulnerabilità Figura 2: Variazione della vulnerabilità nel tempo in Cumbria. Nonostante queste condizioni, il sistema sembra però essersi ristabilito positivamente dall’epidemia di afta epizootica che ha colpito l’Inghilterra nel 2001, denotando che il livello della resilienza non è del tutto compromesso. Il futuro per la Cumbria presenterà nuove side; infatti secondo le previsioni dei cambiamenti climatici nel 2050, congiuntamente alle azioni socio-economiche del “Regional Stewardship”, vi sarà una riduzione della supericie a pascolo ed una perdita di biodiversità, specialmente a livello di lora, il tutto a scapito di nuove modalità di uso del territorio come i seminativi o le coltivazioni di biomassa a scopo energetico (Audsley et al., 2008). Il contributo sociale del Hill Farming include l’impatto sulla qualità della vita e le opportunità sociali oferte sia alla popolazione locale sia ai visitatori (ricreazione, salute, educazione, ecc…), fattori che condizionano la salute e la qualità della vita degli agricoltori, delle loro famiglie e il coinvolgimento dei contadini nelle comunità locali ed il ruolo delle donne in agricoltura. In questa prospettiva, diviene allora ancora più pressante attivare iniziative su scala di comunità per proteggere i beni pubblici, anche attraverso l’ottenimento di nuove risorse inanziarie per le attività agroambientali, congiunte non accessibili spesso ai singoli che ne hanno diritto. 166 La realtà dei commons in Trentino e Cumbria Bibliografia Audsley, E., Pearn, K. R., Harrison, P. A. & Berry, P. M. 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La concentrazione di cloroilla “a”, indicatore della presenza di cianoicee, durante gli anni ha subito costantemente delle impennate durante le ioriture di alghe azzurre in tutte le stazioni di controllo. Le prove di tossicità su topo, tuttavia, non hanno mai mostrato situazioni di pericolosità per la balneazione. Il ritrovamento, in alcuni anni, di microcistina ha indotto le autorità sanitarie a dismettere l’uso idropotabile delle acque del lago. Le cause delle ioriture algali sono state individuate negli scarichi civili trattati e non, immessi nel lago e nelle pratiche di fertirrigazione praticate dalle attività zootecniche. Vengono indicate alcune proposte per limitare il degrado del lago Trasimeno. Introduzione Il problema delle ioriture algali conseguente ai fenomeni di eutroizzazione è sotto l’attenzione delle autorità nazionali ed internazionali. È noto, infatti, come molte specie di cianobatteri possano produrre sostanze altamente tossiche o cancerogene per l’uomo e gli animali in particolari condizioni ambientali (Carmichael, 1989). L’ARPA Umbria è impegnata in dal 1988 in programmi di sorveglianza sull’eutroizzazione del lago Trasimeno. Una delle attività più signiicative riguarda il controllo delle cianoicee, con particolare riguardo alle ioriture estive e alla eventuale produzio- 169 Rosalba Padula & Linda Cingolani ne e rilascio nell’ambiente acquatico di sostanze tossiche e/o cancerogene. Scopo del presente lavoro è quello di veriicare l’evoluzione delle comunità cianobatteriche negli anni, segnalare eventuali incrementi di popolazioni potenzialmente tossiche, individuare le cause che ne scatenano i bloom estivi. La presente indagine si inquadra in un disegno di prevenzione più ampio volto alla tutela della salute pubblica e ambientale. Materiali e metodi Area di Studio Caratteristiche idrologiche e morfologiche Il lago Trasimeno con i suoi 124 km2 di supericie rappresenta, per ampiezza, il quarto lago italiano e il primo dell’area peninsulare. È un lago laminare di origine tettonica, poco profondo (h max. 6,5 m) e privo di emissari. Dagli anni novanta il lago non raggiunge la quota di sioro e non ha pertanto un eluente, fenomeno che annulla il ricambio delle acque. Le ridotte dimensioni dell’area di drenaggio, la scarsità di precipitazioni atmosferiche sull’area (700-800 mm pioggia /anno) e la modesta portata dei corsi d’acqua tributari concorrono a ridurre gli apporti idrici al lago. Pressioni Antropiche Popolazione La pressione inquinante esercitata dalla popolazione residente nel bacino (circa 30.000 abitanti, Fonte ISTAT 2001) tende ad aumentare notevolmente nel periodo estivo a causa delle presenze turistiche. In tale stagione, pertanto, le condizioni del lago diventano più problematiche. Scarichi civili ed industriali Gli scarichi civili vengono trattati da 5 impianti di depurazione a fango attivo per circa 21.000 a.e. Il rapporto tra popolazione e abitanti trattati indica la presenza sul territorio di frazioni e case sparse servite da fosse Imhof per circa 8.000 abitanti. Per quanto riguarda gli scarichi industriali, negli ultimi anni si è rilevato un incremento delle piccole imprese e una progressiva sostituzione delle attività manifatturiere, con aziende artigianali delocalizzate in tutto il bacino (Bozza Piano di tutela delle Acque della Regione Umbria, 2006). Il loro contributo all’inquinamento è comunque di tipo organico, similmente ai carichi apportati dai relui civili. 170 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) Aziende zootecniche L’impatto derivante dai relui provenienti dagli allevamenti zootecnici è legato soprattutto alla presenza di circa 40.000 capi di suini concentrati prevalentemente nel comune di Castiglione del Lago. Entro il bacino sono stati registrati anche allevamenti di tacchini con 182.000 capi, polli con 38.000 capi, bovini con 1.500 capi ed equini con 80 capi (Fig. 1). Figura 1: Localizzazione delle aziende zootecniche e delle aree utilizzate per la fertirrigazione. Prelievi idrici L’uso della risorsa idrica avviene sia per prelievi diretti che per attingimento dalle falde circumlacuali, destinati prevalentemente al settore agricolo. Settore agricolo Le aree più interessate dall’agricoltura intensiva, richiedente l’uso di presidi sanitari, sono situate nella zona pianeggiante tra Castiglione del Lago e S. Arcangelo, coltivata prevalentemente a seminativi. 171 Rosalba Padula & Linda Cingolani Aree vulnerabili Tutto il bacino idrograico del lago Trasimeno è stato dichiarato vulnerabile ai nitrati. Programma di sorveglianza Il controllo dell’eutroizzazione è stato attuato secondo il D.M. 17 giugno 1988 su sette punti di campionamento (Tab. I), mediante prelievi quindicinali nel periodo giugno-settembre e mensili nel periodo ottobre-marzo. Tabella I: Elenco stazioni di campionamento. Cod. Arpa Stazione Comune TRS30 Centro lago Castiglione del lago TRS7 Anguillara Castiglione del lago TRS9 Macerone Tuoro TRS11 Paganico Castiglione del lago TRS23 Rio Pescia Castiglione del lago TRS25 Lido Arezzo Pineta Castiglione del lago TRS19 Spiaggia Albaia magione Il monitoraggio prevede il rilevamento di parametri chimico-isici (pH, temperatura, trasparenza, conducibilità a 25 °C, alcalinità, % saturazione, DO, azoto totale, azoto ammoniacale, azoto nitroso, azoto nitrico, ortofosfato, fosforo totale, cloroilla a, silice, cloruri, solfati, solidi disciolti) e indagini sulle popolazioni di cianobatteri. I parametri presi in considerazione nel lavoro sono quelli ritenuti più signiicativi per deinire lo stato di eutroizzazione del corpo idrico: cloroilla a, popolazioni itoplanctoniche e trasparenza. Il conteggio e il riconoscimento delle specie algali potenzialmente tossiche e la determinazione della cloroilla a, principale pigmento fotosintetico delle cianoicee, vengono eseguiti secondo le indicazioni contenute nella Nota del Ministero della Sanità IX 400.4/13.1/3/562 del 9 aprile 1998. La trasparenza è determinata secondo il metodo APAT CNR IRSA 2120 Man.29, 2003. 172 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) Risultati Dal 1992 è stato notato come le comunità itoplantoniche del lago tendessero ad arricchirsi sempre più di alghe azzurre ilamentose nel periodo tardo-estivo, ino alla manifestazione di vere e proprie esplosioni per tutto lo spessore dello specchio lacustre (h. max 6,5 m). Dall’analisi dei valori riscontrati per ogni stazione di campionamento risulta che, nel periodo in esame, le concentrazioni di Chl-a e cianobatteri hanno raggiunto valori signiicativamente elevati (Fig. 2). A partire dal 2003 i valori estivi di Chl-a aumentano pressoché contemporaneamente in tutti i punti di campionamento. 173 Rosalba Padula & Linda Cingolani Figura 2: Andamento della Chl-A e delle cianoficee nei sette punti di campionamento. Più di una volta i valori di Chl-a hanno superato i 20 µg/l nei mesi di agosto e settembre. Negli anni 2004-2005 addirittura le concentrazioni massime registrate hanno superato i 50 µg/l, nelle stazioni di fronte a Monte del Lago e ai fossi Anguillara e Macerone, Nella tabella II vengono mostrate le specie riscontrate più frequentemente: Cylindrospermopsis raciborskii, Planktothrix agardhii, Aphanizomenon spp., Geitlerinema spp, Leptrolyngbya spp. Tabella II: Popolazione di cianobatteri più frequentemente rilevati durante gli anni 1997-2007. 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Anabaenopsis spp. X X X X X X Aphanizomenon spp. X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Geitlerinema spp. X X X X X X X Leptolyngbya spp. X X X X X X X Aphanizomenon flos-aquae X Aphanizomenon issatschenkoi Phormidium spp. X X X X Planktothrix agardhii Oscillatoria tenuis Microcystis spp. X X X X X X Microcystis aeruginosa X Cylindrospermopsis raciborskii X Anabaena circinalis X 174 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) Poiché Cylindrospermopsis raciborskii è stata notata solo a partire dal 2002, in igura 3 viene mostrato l’andamento della cianoicea dal momento della sua comparsa ino all’anno 2007. Figura 3: Andamento del Cylindrospermopsis raciborskii nel periodo 2002-2007. Poiché i campioni non conformi per trasparenza sono andati aumentando negli anni, è stata efettuata una correlazione lineare tra il numero medio stagionale (giugno-settembre) dei campioni non conformi e i valori medi stagionali di Chl-a; ciò allo scopo di veriicare se la torbidità dell’acqua fosse legata alle insorgenze delle esplosioni algali (Fig. 4). Figura 4: Confronto tra andamento della Clorofilla a e % di campioni non conformi per trasparenza. 175 Rosalba Padula & Linda Cingolani I carichi inquinanti misurati sui fossi aferenti al lago sono mostrati in igura 5. I carichi inquinanti veicolati dagli impianti di depurazione vengono mostrati in tabella III. Figura 5: Carichi medi annuali di COD, azoto e fosforo veicolati dai fossi tributari nel lago (2004-2005). 176 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) Tabella III: Stima dei carichi annuali immessi (kg/anno) dai depuratori nel lago Trasimeno – Anni 2001/2002. Sottobacino Trasimeno Passignano - Le Pedate Abitanti Abitanti serviti di serviti di progetto esercizio 9000 2.233 C.del Lago - Pineta 4000 740 C.del Lago - Bonazzoli 6500 3.500 Magione - S. Arcangelo 1800 622 21.300 7.095 Totale BOD5 2001 Ntot 2001 SS 2001 10.045 1.675 4.822 785 2.208 1.004 23.382 33.828 30.098 n.d. n.d. n.d. 34.211 37.712 35.923 Ptot 2001 BOD5 2002 558 11.560 95 Ntot 2002 SS 2002 Ptot 2002 7.712 5.621 1.716 872 814 704 47 1.989 11.443 3.234 4.975 248 4.508 3.139 482 2.643 25.846 16.268 14.439 2.493 n.d. 1.971 Discussione Dai dati ottenuti risulta che la ioritura delle cianoicee è stata più elevata nelle aree lacustri antistanti i punti di conluenza del Fosso Macerone, Rio Pescia, Fosso Paganico, e nella zona centrale del lago. L’esplosione algale si manifestava in modo considerevole per tutto lo spessore dell’acqua. I periodi critici, in cui la crescita di cianobatteri raggiungeva valori molto elevati, si manifestavano da agosto e settembre, a volte con picchi bimodali trascinati ino al periodo invernale. Dal 2002 la presenza del Cylindrospermopsis raciborskii si è consolidata, raggiungendo valori particolarmente elevati negli anni 2004, 2005 e 2006, con un andamento medio stagionale vicino ai 10.000.000 il-col/l e valori puntuali superiori a 20.000.000 il-col/l. A partire dal 1997 le rilevanti presenze estive di Planktothrix agardhii, Aphanizomenon spp., Geitlerinema spp., e Leptrolyngbya spp. sembrano essersi stabilizzate, almeno ino al termine del periodo esaminato. La rilevante presenza di cianobatteri potenzialmente tossici ha imposto di provvedere ogni anno all’esecuzione di test di tossicità. I test su topo sono sempre risultati negativi. Solo nel 2003 e nel 2004 alcuni campioni in entrata al potabilizzatore hanno presentato presenza di Microcistrina–LR, sebbene in concentrazioni non superiori a 0,21 µg/l, al di sotto del limite di pericolosità stabilito dall’OMS (1 µg/l). Tuttavia, per motivi di prevenzione, il potabilizzatore dell’acqua lacustre è stato disattivato. I valori estivi particolarmente elevati di Chl-a (presente in modo rilevante nei cianobatteri), hanno avvalorato l’insorgenza, la stabilizzazione e, quindi, la rilevanza sanitaria dei “bloom” di cianoite. L’andamento delle concentrazioni di Chl-a, infatti, ha accompagnato quasi fedelmente quello delle colonie algali, tanto che i valori 177 Rosalba Padula & Linda Cingolani maggiori sono stati riscontrati proprio presso le stazioni in cui le ioriture si mostravano più consistenti (aree di fronte ai fossi e centro lago). Il fenomeno si era già manifestato durante gli anni ’90, quando alla prevalenza di cloroicee nel itoplancton estivo (Moretti, 1958; Cingolani, 2000) si andava sostituendo una netta dominanza di cianoicee. In quegli anni, evidentemente, si stavano veriicando le condizioni favorevoli alle esplosioni di alghe azzurre: alta temperatura dell’acqua, illuminazione prolungata e immissione consistente di nutrienti. Il trattamento statistico dei dati relativi al numero dei campioni non conformi per la torbidità e i corrispondenti valori di Chl-a ha messo in evidenza una correlazione lineare positiva (r = 0,8). Benché il valore non risulti particolarmente signiicativo, tuttavia, l’indice di correlazione risulta abbastanza elevato se si considera il grande range di variabilità insito nelle indagini svolte in campo. Non sarebbe fuori luogo sostenere l’esistenza di un rapporto tra la proliferazione delle cianoicee (non di rado visibili ad occhio nudo per la formazione di densi iocchi e schiume) e l’intorbidamento estivo delle acque del Trasimeno. In sintesi, le principali cause delle ioriture estive di cianoicee possono essere attribuite: • alle peculiarità del bacino (ridotta profondità, scarsità di precipitazioni atmosferiche, modestissima portata dei corsi d’acqua aferenti, mancato ricambio delle acque); • al consistente alusso di nutrienti e carichi organici veicolati dagli scarichi civili che, se pur trattati, convogliano continuamente inquinanti nel lago, come mostrato nella tabella II; • al notevole carico zootecnico localizzato nelle aree agricole per efettuare pratiche di fertirrigazione; • ai fenomeni di lisciviazione derivanti dall’uso del liquame utilizzato in fertirrigazione (Cingolani et al., 2005). Dagli studi efettuati nel lavoro citato risulta chiaramente come la contaminazione derivante dalla fertirrigazione rivesta un’importanza cruciale, dato che pesanti carichi di contaminanti vengono veicolati dai fossi tributari come già mostrato in igura 6, da cui risulta evidente come i carichi azotati risultino molto elevati in quei fossi nelle cui vicinanze sono situati allevamenti suinicoli (Fig.1). Per la salvaguardia del lago, che da qualche anno è stato designato Parco Regionale (Regione Umbria, 1995-agg.2007), occorrerebbe intervenire con azioni che, an- 178 Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007) che gradualmente, riportino se non alle condizioni degli anni ’50-’60 almeno ad una signiicativa diminuzione dei bloom di alghe potenzialmente tossiche. Ciò potrebbe essere raggiunto, con minori preoccupazioni per la salute pubblica, attraverso: • promozione e incentivazione di sistemi innovativi di compostaggio che non prevedono emissioni di relui, da sostituire alle pratiche di fertirrigazione (già in uso in modo molto limitato nel bacino); • graduale eliminazione dell’immissione diretta degli scarichi dei depuratori civili; • promozione di ricerche inalizzate all’utilizzo dei relui civili per uso irriguo; • applicazione del Codice di Buona Pratica Agricola; • una sorveglianza più stringente dell’evoluzione dell’ecosistema lacustre, inalizzata alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle vocazioni tipiche del lago e alla tutela della salute pubblica. Bibliografia Carmichael, W.W. (1989) Freshwater cyanobacteria (blue-green algae) toxins. Natural Toxins: Characterization, Pharmacology and herapeurix. Pergamon Press, London, 3-16. Cingolani, L. (2000) Fioriture algali potenziali produttrici di tossine. Problemi di contenimento della crescita delle alghe e neutralizzazione delle tossine nei processi di potabilizzazione. Regione Umbria. Cingolani, L., Charavgis, F., Neri, N. & Notargiacomo, T. (2005) Monitoraggio Qualitativo dei Corsi d’Acqua Supericiali. Piano Stralcio per il Lago Trasimeno. Regione Umbria. ISTAT (2001) Censimento Istituto Nazionale di Statistica. Moretti, G. (1958) Il lago Trasimeno. Tre anni di studi idrobiologici. Rivista di Idrobiologia, Perugia. Regione Umbria (1995) L.R.9 – 1995, aggiornata con L.R. 24 – 2007. Regione Umbria (2006) Bozza del Piano di Risanamento delle Acque. 179 Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato Photosynthetic response of some algal species to water acidification Lucia Porzio1,2 *, Maurizio Lorenti1, Carmen Arena2 & Maria Cristina Buia1 Laboratorio di Ecologia Funzionale ed Evolutiva, Stazione Zoologica Anton Dohrn, Villa Comunale, 80121 Napoli 2 Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II, Via Cinthia 4, 80126 Napoli *[email protected] 1 Abstract A causa delle continue emissioni di biossido di carbonio nell’atmosfera, è stata stimata per il 2100 una diminuzione del pH della supericie oceanica di circa 0,5 unità. Le ricerche efettuate ino ad oggi in questo ambito non consentono di trarre conclusioni univoche sugli efetti che l’acidiicazione del mare può provocare sulle comunità bentoniche. Per fornire un contributo a questa tematica, uno studio di tali efetti sulla componente macroalgale, particolarmente vulnerabile alle modiicazioni di origine antropica, è stato intrapreso in un sito naturalmente acidiicato per la presenza di emissioni di CO2 sottomarine. In questo lavoro è stata caratterizzata l’attività fotochimica, come marcatore di eicienza fotosintetica, di alcune specie macroalgali presenti lungo il gradiente naturale di acidiicazione. I dati preliminari mostrano che le specie studiate hanno una diversa capacità di utilizzare la radiazione luminosa assorbita nei processi fotochimici ed una diferente ripartizione di tale energia nei processi nonfotochimici. Introduzione Il continuo aumento della concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera, per efetto delle sempre più abbondanti emissioni antropiche, sta determinando un cambiamento signiicativo della temperatura con efetti sul clima a livello planetario. Ripercussioni sono attese anche per quanto riguarda i sistemi acquatici. È stato infatti stimato che l’incremento di CO2 in ambiente marino potrebbe provocare fenomeni di acidiicazione, ovvero un abbassamento del pH del mare di circa 181 Lucia Porzio et al. 0,5 unità entro il 2100 (IPCC, 2001), portando a conseguenze incontrollabili negli oceani. L’ambiente bentonico costiero risulta essere particolarmente vulnerabile alle perturbazioni di origine antropica (Airoldi et al., 2007). In tale sistema le macroalghe giocano un ruolo strutturale e funzionale molto importante, poiché costituiscono la base della rete troica; pertanto ogni modiicazione nella loro abbondanza e composizione provoca alterazioni non solo a carico delle comunità ad esse associate ma dell’intero ecosistema. Fino ad oggi pochi studi sono stati realizzati per valutare gli efetti a lungo termine del cambiamento di pH sulle comunità macroalgali bentoniche e per lo più hanno riguardato esperimenti efettuati in laboratorio su pochi organismi chiave (Beer et al., 1996; Kübler et al., 1999; Menéndez et al., 2001). Nell’isola di Ischia (Golfo di Napoli) è presente un sito caratterizzato da emissioni naturali sottomarine di CO2, a temperatura ambiente che determinano un gradiente di pH (Hall-Spencer et al., 2008). Tale sito, unico nel suo genere, è da considerarsi come un laboratorio naturale in cui studiare le risposte a lungo termine dell’acidiicazione sulle comunità bentoniche costiere. In questo lavoro è stata valutata, sia in situ che in laboratorio, l’inluenza del pH sull’eicienza fotosintetica di alcune specie macroalgali presenti in zone a diferente grado di acidiicazione. Materiali e metodi Il sito di studio L’area in cui è stato condotto questo studio è situata a Ischia, nel Golfo di Napoli presso il Castello Aragonese (40° 043.84’ N; 13° 57.08’ E). La particolarità del sito è dovuta all’emissione sottomarina di CO2 di origine vulcanica che determina un gradiente di pH da circa 8,1 a 6,7 unità (Hall-Spencer et al., 2008). In questo sito sono stati identiicati 3 sub-siti con diferente grado di acidità dove, a specie come Dictyota dichotoma var. intricata, presente lungo tutto il gradiente, si contrappongono taxa con una ripartizione più limitata, come Sargassum vulgare, presente solo nella zona più acidiicata, e Jania rubens, presente quasi esclusivamente a pH maggiore di 8 (Porzio et al., in preparazione). Misure di eicienza fotosintetica. Lo stress indotto dall’acidiicazione sull’apparato fotosintetico è stato valutato, sia in laboratorio che in situ, misurando alcuni 182 Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato indici fotochimici in funzione dell’irradianza per mezzo di un luorimetro a luce modulata (Diving-PAM, Walz, Germany). Prima di efettuare le misure di luorescenza in situ, il luorimetro è stato tarato in laboratorio, impostando alcuni parametri come: intensità e durata del pulse saturante, il range di irradianze utilizzate per ciascuna specie e distanza del campione dalla ibra ottica. La caratterizzazione fotochimica è stata condotta in laboratorio su cinque specie macroalgali, due alghe brune (Phaeophyceae) Dictyota dichotoma var. intricata e Sargassum vulgare, e tre alghe rosse calcaree (Corallinaceae) Jania rubens, Corallina elongata e Amphiroa rigida; la caratterizzazione in situ è stata condotta su Dictyota dichotoma var. intricata, Sargassum vulgare e Jania rubens, per la maggiore abbondanza nel loro ambiente naturale. L’attività fotochimica, misurata in funzione dell’irradianza (Photosynthetic Photon Flux Density, PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1), è stata analizzata attraverso i seguenti indici: resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non fotochimico (qN). qP e qN sono stati calcolati secondo van Kooten e Snel (1990) mentre FPSII secondo Genty et al. (1989). La massima eicienza fotochimica del PSII (rapporto Fv/Fm) è stata misurata su campioni adattati al buio per 10 minuti e rappresenta un importante indicatore per valutare l’insorgenza di eventuali condizioni di stress in organismi autotroi. La signiicatività delle diferenze è stata saggiata attraverso l’analisi della varianza (ANOVA ad una via). Risultati e discussione L’analisi degli indici fotochimici ha permesso, per le diferenti specie macroalgali, di valutare l’eicienza di conversione della luce nel processo fotosintetico e la ripartizione dell’energia luminosa assorbita dai fotosistemi nei processi fotochimici e non fotochimici. Dalle misure condotte in laboratorio si evince che le Phaeophyceae presentano valori signiicativamente più elevati (P < 0,01) di FPSII, ETR e qP rispetto alle Corallinaceae (Fig. 1). L’attività fotochimica più elevata riscontrata nelle Phaeophyceae è indice del fatto che tali gruppi algali posseggono un apparato fotosintetico che si mostra più eiciente nell’utilizzare la radiazione luminosa assorbita in processi fotochimici rispetto alle specie calcaree. I più alti valori di qN riscontrati nelle due Corallinaceae suggeriscono che le specie calcaree possano dissipare in processi non-fotochimici la radiazione luminosa assorbita in eccesso. 183 Lucia Porzio et al. Caratteristiche intrinseche diverse tra Phaeophyceae e Corallinaceae emergono anche dall’analisi della massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) (Fig. 2). Dictyota dichotoma var. intricata Amphyroa rigida Sargassum vulgare Jania rubens Corallina elongata Figura 1: Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), nelle specie D. dichotoma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida in funzione dell’irradianza (PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1) misurate in laboratorio a pH > 8. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 4. J. rubens A. rigida C. elongata S. vulgare D. dichotoma F v /F m Figura 2: Massima efficienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in laboratorio, a pH > 8, nelle specie D. dichotoma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 4. 184 Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato Infatti le Phaeophyceae hanno mostrato valori di Fv/Fm signiicativamente più elevati (P < 0,05) rispetto alle Corallinacee, indicando una maggiore potenzialità di conversione della luce nei centri di reazione. Diversamente dai dati raccolti in laboratorio, dove le variazioni degli indici fotochimici non erano imputabili al pH ma solo a diferenze intrinseche tra specie, le misure in situ hanno permesso di valutare l’efetto dell’acidiicazione sull’apparato fotosintetico. In igura 3 sono mostrati i valori di FPSII, ETR, qP e qN registrati in situ: per D. dichotoma a pH normale (8.06) ed acido (6.72), per S. vulgare a pH acido e per J. rubens a pH normale. Dictyota dichotoma var. intricata pH 6.72 Sargassum vulgare pH 6.72 Dictyota dichotoma var. intricata pH 8.06 Jania rubens pH 8.06 Figura 3: Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), misurati in rapporto all’irradianza (PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1) in situ nelle specie: D. dichotoma cresciuta a pH acido (6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J. rubens cresciuta a pH normale. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 9. Dai dati raccolti in situ si evince che le tre specie esaminate non mostrano differenze signiicative per gli indici FPSII e ETR. In D. dichotoma l’attività fotochimica non risulta inluenzata dalle variazioni di pH; i valori degli indici misurati in D. dichotoma sono simili a quelli per S. vulgare, indicando una equivalente capacità di 185 Lucia Porzio et al. convertire energia luminosa nel processo fotosintetico. J. rubens mostra invece valori signiicativamente più elevati (P < 0,05) di qP e qN rispetto alle due Phaeophyceae in tutto il range di PPFD esaminato, discostandosi dal comportamento osservato in laboratorio. Una possibile spiegazione potrebbe derivare dal fatto che questa alga rossa occupa nel sito di studio una zona più supericiale, trovandosi pertanto più esposta alla radiazione luminosa. Ciò potrebbe aver indotto un fenomeno di acclimatazione dell’apparato fotosintetico alla luce che potrebbe essere alla base della maggiore attività fotochimica riscontrata. Per quanto riguarda la massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in situ, nessuna diferenza è emersa tra D. dichotoma cresciuta a diferenti valori di pH e S. vulgare cresciuto a pH acido, indicando una eicienza fotochimica potenziale comparabile per le due specie (Fig. 4). Al contrario valori signiicativamente più bassi (P < 0,05) sono stati misurati in J. rubens. J. rubens pH 8.06 S. vulgare pH 6.72 D. dichotoma pH 6.72 D. dichotoma pH 8.02 F v /F m Figura 4: Massima efficienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misurata in situ, nelle specie: D. dichotoma cresciuta a pH acido (6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J. rubens cresciuta a pH normale. I dati riportati sono medie ± errore standard di n=9. I dati, pur se preliminari, suggeriscono che la diversa attività fotochimica riscontrata nei campioni analizzati in laboratorio rilette caratteristiche intrinseche proprie delle diferenti specie. In situ, l‘eicienza fotochimica maggiore di 0,60 (Fig. 3) in D. dichotoma ad entrambi i valori di pH suggerisce l’indiferenza di questa specie all’acidiicazione e la sua plasticità nell’adattarsi ai diversi ambienti. I valori comparabili di Fv/Fm in S. vulgare e D. dichotoma indicano che entrambe le specie risultano ben adattate a pH acido poiché il loro apparato fotosintetico non mostra una situazione di stress. 186 Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato Con questo studio sono state poste le basi per ulteriori approfondimenti sugli efetti dell’acidiicazione sulla funzionalità dell’apparato fotosintetico. La molteplicità delle variabili che intervengono in situ rende necessari ulteriori esperimenti per fornire una risposta univoca sull’inluenza che il pH esercita sui processi fotochimici e non fotochimici nelle diverse specie. Bibliografia Airoldi, L. & Beck, M. W. (2007) Loss, status and trends for coastal marine habitats of Europe. Oceanography and Marine Biology: an Annual Review, 45, 347-407. Beer, S. & Koch, E. (1996) Photosynthesis of marine macroalgae in globally changing CO2 environments. Marine Ecology Progress Series, 141, 199-204. Genty, B., Briantais, J. M. & Baker, N. R (1989) he relationship between the quantum yield of photosynthetic electron transport and quenching of chlorophyll luorescence. Biochim. Biophys. Acta, 990, 87-92. Hall-Spencer, J. M., Rodolfo-Metalpa, R., Martin, S., Ransome, E., Fine, M., Turner, S. M., Rowley, S. J., Tedesco, D. & Buia, M-C. (2008) Volcanic carbon dioxide vents show ecosystem efects of ocean acidiication. Nature, 454, 96-99. IPCC (2001) he third assessment report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Cambridge University Press, Cambridge, UK, and New York, USA. Kübler, J.E., Johnston, A.M. & Raven, J.A. (1999) he efects of reduced and elevated CO2 and O2 on the weed. Lometaria articulata. Plant Cell and Environment, 22, 1303-1310. Menéndez, M., Martinez, M. & Comín, F. A. (2001) A comparative study of the efect of pH and inorganic carbon resources on the photosynthesis of three loating macroalgae species of a Mediterranean coastal lagoon. Journal of Experimental Biology and Ecology, 256, 123-136. Porzio, L., Buia, M. C. & Spencer-Hall, J. (in preparazione) Natural pH gradient efects on a shallow macroalgal community. van Kooten, O. & Snel, J. F. H. (1990) he use of chlorophyll luorescence nomenclature in plant stress physiology. Photosynth. Res., 25, 147-150. 187 Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas to quantify and monitor the human impact on biodiversity Verso la definizione di una “Zona di Interazione” delle aree protette per quantificare e monitorare l’impatto antropico sulla biodiversità Francesco Rovero1* & Ruth DeFries2 1 Biodiversità Tropicale, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento 2 Ecology, Evolution, and Environmental Biology, Columbia University, New York (USA) *[email protected] Abstract he current biodiversity crisis imposes to understand the efects of human activities on biodiversity. Yet, studies that include human impact in analysis of biodiversity changes remain scant. It appears especially critical to formalize how biodiversity monitoring data, obtained from local scales (plot), can be integrated in the broader context (landscape), potentially global, where the anthropogenic efects fall. In the attempt to ill this gap, a working group of scientists called by the pan-tropical programme TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring) of Conservation International – established to monitor humid tropical forests through standard protocols – proposed a framework to delineate a “Zone of Interaction” (ZoI) that includes human inluence in biodiversity monitoring. he present contribution summarizes the approach and criteria to delineate the ZoI, which is potentially applicable to any coupled humannatural system. It also summarizes the results from a practical example of ZoI in an area in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for biodiversity. he case study shows that diferences between forest mammal populations, especially primates, are related to anthropogenic disturbance in the ZoI, thus validating the relevance of such approach. From a methodological perspective the need emerges for integrating human disturbance data taken on the ground (e.g. hunting, tree cutting) with satellite data derivable for larger scales (e.g. ires, human density, land use). 189 Francesco Rovero & Ruth DeFries Introduction he negative impact of human activities on biodiversity is widely recognized, and as such eforts have been made to analyse changes in biodiversity while incorporating the efect of human inluence. However, the processes through which human activities around biodiversity areas afect species and populations at particular sites remain often poorly understood, and more work is clearly needed. Despite the traditional separation between disciplines studying human and ecological processes, it is clear that these processes are intertwined through exchanges of energy, materials, and organisms (Liu et al., 2007a-b). Relevant background work in this context especially focussed on the efects on protected areas and biodiversity of land-use changes (see Hansen & DeFries, 2007, and other contributions in the same volume). It remains especially critical to formalize how biodiversity monitoring data, obtained at local scales (plot), can be integrated in the broader context (landscape), potentially global, where the anthropogenic disturbance acts. In the attempt to ill this gap, a framework to delineate a “Zone of Interaction” (ZoI) that includes the human inluence in the biodiversity monitoring has been recently proposed by Conservation International in the framework of the pantropical programme TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring; see http:// www.teamnetwork.org) (DeFries et al., 2009) with the aim to monitor humid tropical forests through standardized protocols. he present contribution summarizes the criteria adopted to delineate the ZoI and provides a practical example from an area in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for biodiversity. he focus on sites in the biodiversity-rich humid tropics derives from the evidence that in this biome deforestation and other human activities destroyed biodiversity at unmatched rates. Methods and Results Delineating the Zone of Interaction DeFries et al. (2009) describe in details the pragmatic approach proposed for delineating ZoI associated with biodiversity measurement sites. hese are based on remote sensing data and other sources of information such as local expert knowledge 190 Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas of ecological and socioeconomic features. If the measurement plots are located within a protected area, which is often the case, the protected area deines the minimum extent of the area to be monitored. hus, four criteria are proposed to incorporate ecological and human interactions that afect biodiversity at the biodiversity plots (Fig. 1). Here, these criteria are listed and their application and mapping in the Udzungwa Mountains is described (see Rovero et al., 2009 for details on the area, and DeFries et al., 2009 for full details on mapping the ZoI). Extent of contiguous habitat surrounding the measurement site Habitat contiguous to the measurement site potentially extends the range and number of species within a protected area. he contiguous habitat might be deined by topographic features (e.g. a deep valley of dry habitat separating moist forests), rivers, roads, or boundaries of human land use. Watershed boundaries may also be a natural boundary to delineate the zone of interaction where anthropogenic or topographic boundaries are not clear. In the Udzungwa, contiguous forest habitat outside the protected areas is highly fragmented, with some key, forest-dependent species such as the Udzungwa red colobus extending their range to insulated fragments. On the eastern side, the contiguous habitat is constrained by the sharp topographic boundary. On the western side, the ZoI includes a periphery coincident with the extent of the remaining forest fragments (Fig. 1a). Migration corridors present and boundary deinition Migration corridors can be used by species to travel from the measurement site to other habitats. he corridors can be critically important for survival. Examples include relatively narrow strips of land used by elephants to access feeding areas and seasonally-used paths for ungulates that lead to water holes. In the Udzungwa, this criterion considers the movements of elephant populations towards other ecosystems. he corridors are narrow and highly threatened by growing human encroachment. A 10 km-wide strip along the corridor that leads to adjacent protected areas is mapped as the second component of the ZoI (Fig. 1b). 191 Francesco Rovero & Ruth DeFries Figure 1: Zone of Interaction (demarcated by the black and white-shaded line) defined for the Udzungwa Mountains of south-central Tanzania, combining spatial extent for criterion 1 (contiguous habitat) (3a), criterion 2 (migration corridors) (3b), and criterion 4 (human influences) (3c). Criterion 3 (watershed boundary) does not apply in this case. The background is the black and white transposition of a satellite image (Landsat ETM+ scenes), darker areas representing forest patches. Figure by Jenny Hawson, adapted from DeFries et al. (2009). Watershed boundaries he area inluenced by major water lows will likely impact many ecological patterns and processes around the measurement site. Whether the site is in the upper reach of the watershed (water moves out of the site), the middle or the bottom (water moves through the site) is a key control of these processes. In the irst case, the site itself is the source of water for other areas in the landscape so that this component of the ZoI is contained within the site. In the second case, it is important to determine the boundaries of the watershed because changes in water lows and quality will impact the site. In the Udzungwa, the protected area is in the upper reach of the watershed. he criterion does not apply in this case. 192 Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas Boundaries of human activities with strong inluence on the measurement site he designation of the spatial extent of human inluences on biodiversity in the measurement sites is the most diicult and subjective of all the criteria. People living around the site will likely have a direct impact on its biodiversity, through processes such as hunting, land conversion, extractive activities, domestic animals, and pollutants from factories and other sources. In the Udzungwa, human settlements that directly inluence the biodiversity are conined in a peripheral 5 km zone, that along the eastern side of the mountains is constrained by intensive cultivation and geophysical settings (Kilombero river and Selous Game Reserve). For areas where settlements are present along a larger zone we also identiied a 40 km-wide outer zone of indirect human inluence (Fig. 1c). he resulting ZoI component represents the combined direct and indirect human inluence zones. Monitoring primates and other mammals in the Udzungwa Mountains Zone of Interaction he validity of the ZoI as delineated in the Udzungwa Mountains was tested by analysing the correlation between the abundance of forest mammal populations and potentially disturbance factors measured both on the ground and from remote sensing. Two forest sites were chosen to assess the efects of disturbance on mammal populations: these sites are relatively similar in terms of habitat but clearly in contrast in terms of protection, with the northern site being inside a National Park, and the southern site being an unmanaged Forest Reserve. Primate and forest antelope abundance census method followed established transect methodology that allows estimating the encounter rate (in this case the number of primate groups or individual antelope seen per km walked). Signs of human disturbance were also counted along “disturbance transects” walked from the forest edge to forest interior. In particular, for each forest an index of freshly-cut pole and timber stems was computed as the ratio of cut stems to the total number of both cut and live stems. his gives an estimation of disturbance comparable across forest habitats that may vary in stem density as a result of old management regimes or habitat type. See DeFries et al. (2009) for all methodological details. 193 Francesco Rovero & Ruth DeFries Figure 2: Indices of human disturbance (above) and mammal encounter rates (below) for Mwanihana forest (National Park) and Uzungwa Scarp (Forest Reserve) in the Udzungwa Mountains, Tanzania. Values are mean and standard deviation from transects running from forest edge towards the interior. Transects for disturbance signs were 20 to 25 and 0.5 km-long (repeated once), whereas transects for mammals were 3 and 4 km-long (repeated 23 to 48 times each). See details in DeFries et al. (2009). he results of census for four species of primates and one species of forest antelope and the results of disturbance transects are both shown in igure 2. As hypothesized, disturbance was low, or very moderate, in Mwanihana forest in the National Park, while it was high in the southern Uzungwa Scarp Forest Reserve. Comparison of primate and duiker census results between Mwanihana and Uzungwa Scarp shows lower abundance in the latter for all species but the Sykes’ monkeys (Cercopithecus mitis); this trend was especially clear for the two canopy-dependent species of colobus monkeys (ANOVA: F1,205 = 102.74, P < 0.001 and F1,205 = 82.20, P < 0.001 for red colobus and Angolan colobus, respectively), and for the red duiker Cephalophus harveyi (F1,64 = 4.53, P = 0.035), a common forest antelope. 194 Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas Mammals’ counts, that were collected from 2003 until 2005 through 23-48 repetitions of three transects 4 km in length, are negatively correlated with disturbance indicators collected along 20 and 25 randomly-placed 0.5 km transects. hus, colobine monkeys’ abundance was negatively correlated with gaps in the forest canopy (Spearman’s test: r = –0.39, P = 0.006 and r = –0.45, P = 0.001 for Angolan colobus and red colobus, respectively) and positively correlated with the distance from the forest edge (r = 0.40, P = 0.004 and r = 0.35, P = 0.013, respectively). Moreover, red colobus observations were negatively related to the number of disturbance signs (r = –0.28, P = 0.048). he exception was Sykes’s monkey, a primate that prefers secondary forest habitat: counts were positively related to gaps (r = 0.36, P = 0.009) and negatively related to the distance from the forest edge (r = – 0.27, P = 0.057). Conclusions Monitoring a zone of human inluence around biodiversity sites appears a critical and pragmatic strategy for interpreting biodiversity changes. Despite being developed and tested for tropical forest sites, the ZoI concept is widely applicable to a variety of habitats where human and natural systems co-exist. he case study in the Udzungwa Mountains shows that without collection of data on human activities in the ZoI along with mammal abundance, it would not be possible to interpret diferences in mammal abundances at these sites. Data from remote sensing corroborate the pattern emerged from ground data. For example, ire activities derived from satellite data show that ire incidence is greater in the southern, unprotected site. Similarly, changes in forest cover over the last few decades have also been greater around the southern site, causing complete fragmentation of this site in comparison to northern forests (DeFries et al., 2009). Monitoring of primates and forest antelope is ongoing, and the most updated data show that the decline experienced by these populations only in the southern forest is dramatic and could potentially lead to local extinction. his applies especially to the colobine monkeys and the forest antelope that are particularly vulnerable to hunting (Rovero et al., in press). 195 Francesco Rovero & Ruth DeFries Acknowledgements he TEAM programme (funded by the Gordon and Betty Moore Foundation) sponsored the workshop that led to the design and publication of the ZoI concept. he work in the Udzungwa Mountains by Francesco Rovero was mainly funded by the Museo Tridentino di Scienze Naturali and by the Critical Ecosystem Partnership Fund. References DeFries, R., Rovero, F., Wright, P., Ahumada, J., Andelman, S., Brandon, K., Dempewolf, J., Hansen, A., Hewson, J. & Liu, J. (2009) From plot to landscape scale: linking tropical biodiversity measurements across spatial scales. 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S., Kitegile, A., Nielsen, M. & Jones, T. (in press) Uzungwa Scarp Forest Reserve in crisis. An urgent call to protect one of Tanzania’s most important forests. A report to the Forestry and Beekeeping Division, Tanzania. 196 The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital L’efficacia di differenti politiche di Gestione nel supportare il Capitale Naturale Teodoro Semeraro*, Irene Petrosillo, Nicola Zaccarelli & Giovanni Zurlini Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies, University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce *[email protected] Abstract he identiication of areas that are worthy of protection (SPZ, CIS etc.) and the subsequent institution as natural protected areas are instruments that society uses to preserve Natural Capital (NC). he aims of this paper are to analyse the efectiveness of diferent management strategies in maintaining the low of the NC in the context of protected area. herefore a retrospective analysis of land-cover/land-use mosaics was carried out in the natural protected area “Torre Guaceto”. he analysis of land-use and land-cover temporal dynamics was based on the economic valuation of ecosystem goods and services proposed by Costanza et al. in 1997, used as surrogate of NC. he results showed that not all environmental conservation management strategies have played an equal role in fostering NC. his research highlighted that the recognition of the natural value of a site according to the European Directives (NATURA 2000 network) is not suiciently efective for the conservation of the NC, but it is necessary to identify a management authority that can monitor the landscape transformations, setting, where necessary, the appropriate limitations. Introduction Natural and semi-natural ecosystems and landscapes provide beneits to human society now and in the future, which consist of a mix of goods and services, both private and public, provided by multifunctional landscapes, which are referred to as “Natural Capital” (NC) (de Groot, 2006; Haines-Young et al., 2006). he idea of NC is a useful framework in which one can consider as a whole the output of 197 Teodoro Semeraro et al. goods and services associated with an entire landscape, viewed as a mosaic of diferent land cover elements (Haines-Young, 2000). One of the most successful strategies for NC conservation is the creation of oicially and legally recognized terrestrial and marine protected areas. hese areas should reduce intensive and direct use of ecosystems in terms of frequency and extraction of resources, considering the diferent requirements of diferent stakeholders, and guarantee the persistence of the processes and function that sustain the ecosystem services. hese areas support NC and, consequently, security and human well-being. Natural protected areas can be considered part of the so-called “critical social natural resource”, representing natural areas that are of critical value largely as a result of their social value to local communities, rather than of any outstanding ecological or scientiic value. Such habitats might be critical because of their location and their value as amenities, for recreation and education and for bringing people into regular contact with the natural world (Chiesura & de Groot, 2003). he crucial aspect of natural protected areas is their management, which has predominantly focused on individual ecosystems almost in isolation. However, management is increasingly confronted with the problem of managing the entire landscape, which often consists of complex, interacting mosaics of diferent habitat patches and ecosystems (Potschin & Haines-Young, 2001), and integrating phenomena across multiple scales of space, time and organizational levels (Berkes & Folke, 1998; Levin, 2006). Within this framework this research, conducted in the selected natural protected area in southern Italy, based on the assessment of natural capital change, resulting from two diferent kinds of management over time, can be performed by estimating and comparing the changes in the economic value of ecosystem services. Undoubtedly this approach is not very accurate since both the area under study and the economic valuation system are dynamic, changing in time and space. In addition, the same type of ecosystem could have very diferent values in diferent locations due to diferences in ecological role, economic activities, cultures, and the lifestyles of local people. Values depend on current market prices and preferences, so that past generations could value a particular service diferently from the current generation. However, the approach introduced by this paper helps to arrange a irst attempt of the change of overall natural capital low under the current and the past management regimes. 198 The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital Materials and methods he study area is the natural protected area of “Torre Guaceto” in the Apulian region, southern Italy (Fig. 1). Even if this area stretches for only 1500 ha, it represents an administrative unit where the management authority constantly takes planning and management decisions. Figure 1: Study area: the protected area of Torre Guaceto, southern Italy. In 1987 it was declared a Wetland of International Importance according to the “Convention on Wetlands of International Importance especially as a water low habitat”, the so-called Ramsar Convention (1971). In 1995, in the context of the European Program “NATURA 2000”, the area of “Torre Guaceto” was proposed as a Site of Community Importance (European code: IT9140005) according to the European Directive 92/43, and in 1998 as an Important Bird Area (European code: IT9140008) according to the European Directive 79/409. In 2000 it was designated as a national protected area according to Italian Law 394/1991. 199 Teodoro Semeraro et al. In this study, we compiled a time series of land-use and land-cover maps referring to the month of July for the years 1954, 1987, 1997 and 2004 by interpreting 1m×1m orthorectiied aerial photos. We identiied 16 terrestrial land-use and landcover categories to describe both spatial and temporal landscape dynamics and to assess changes in natural capital values based on Costanza et al.’s (1997) ecosystem services valuation biomes model. he most representative biome was used as a proxy for each category and the corresponding ecosystem services coeicient (US $×ha-1 per year), as proposed by Costanza et al. (1997), is shown in table I. Table I: Land-use/land-cover categories identified in the study area; the most representative biome used as a proxy for each land-use/land-cover category, and the corresponding ecosystem services coefficient (US $×ha−1 per year), as proposed by Costanza et al. (1997). Land cover categories The most representative Biome Ecosystem services coefficient ($ ha-1 per year) Urban Railroad Urban Street Rocky coast Sow-able-ground Uncultivated ground Grassland 0 Rock Cropland 92 Grassland 232 Forest 969 Coastal beach 4052 Wetlands 14785 Mediterraneam Scrub Almond land Olive grove Reforestation area Tamarisk Juniper Coastal beach Periodically under Inundation land Watland In terms of proxy identiication, the classiication of permanent cultivations, such as Mediterranean scrub, Almond and Olive groves, Reforestation area, Tamarisk and Juniper as “Forest” and not as “Cropland” depends on the ecological role they play, based not only on the intuitive production of goods and services, but also on the role of sink played by permanent cultivation that is similar to that played by 200 The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital forest and natural areas in facing disturbance across scales (Zurlini et al., 2006). Although land-use intensiication is at issue as source of disturbances, permanent cultivations are not detrimental to biodiversity. On the contrary, they apparently can bufer landscape dynamics and disturbances across scales in southern Italy (Zurlini et al., 2006). We estimated the Natural Capital Value (NCV) at time T using the following relationship, modiied after Costanza et al. (1997): NCV = Ak x VCk where Ak is the area (ha) for land-use/cover class ‘k’, and VCk is Costanza’s Value coeicient (US $×ha−1 per year), which we assumed constant during the temporal range under study. Change in NCV is estimated over time by calculating, for each class, the difference between the estimated values for 2-year period with reference to 1954, 1987, 1997 and 2004. Results he change in the total Natural Capital Value of the protected area shows an average decreasing trend from 1954 to 1997 (Fig. 2), followed by an increasing trend from 1997 to 2004. Surprisingly, despite the protected area being declared in 1987 International Important Zone according to the Ramsar Convention and in 1995 Site of Community Importance, neither oicial recognitions apparently produced any relevant positive efect on the NCV (Fig. 2). Conversely, the increase in the NCV from 1997 to 2004 might very well be attributed to a “conservation” efect determined by the institution of the protected area of Torre Guaceto in 2000 (Fig. 2). We were not able to detect any efect related to its recognition as an Important Bird Area in 1998 because photos for the year 2000 were not available. 201 Teodoro Semeraro et al. Figure 2: Temporal changes of Natural Capital Value (NCV) in the study area, highlighting the different temporal recognitions of its natural value (IIW: international important wetland; SCI: site of community importance; IBA: important bird area; PA: institution of the natural protected area). Bars represent the NCV variability range due to an estimated 2m average digitalization error. Discussion We use the economic coeicients proposed by Costanza et al. (1997) and although these estimates of the value of ecosystem services are biased, and we lay no claim to their veracity, they at least provide not only a novel insight into the complex patterns of land-use dynamics, but also a way to quantify the comprehensive change in the lux of natural capital in the natural protected area of “Torre Guaceto”. he speciic contribution of this paper is to show that those coeicients can be used not only to address purely economical issues, as they are frequently used. On the contrary, even if their values are considered constant during the temporal range under study, they could play a role as operational surrogates to evaluate the recent temporal dynamics of the overall lux of natural capital in the study area; this represents a irst attempt where ield data and information are not available, but additional work is required to relect changes in value across space and time. his is particularly relevant for the study of ecosystem goods and services, given that their complexity makes it diicult to forecast their future in any meaningful way (Carpenter et al., 2005). In this respect, retrospective analyses help us to understand the past trajectory of the system that is at the basis for tracing future scenarios, in that the ap- 202 The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital proach here adopted focuses on real change processes instead of the arbitrary and random information of landscape patterns (Käyhkö & Skånes, 2006). Additionally, retrospective analyses help identify the possible driving forces behind changes, mainly due to human activity in the study area, and the main consequences of these processes on natural capital security, intended as the persistence of the overall amount of ecosystem goods and services provided by the natural protected area. Conclusion Policy analysis is a critical element in the appraisal of the efectiveness of any public policy including nature conservation policy. While the literature abounds with approaches to the evaluation of conservation eiciency at the ecosystem level (e.g., Ramirez Sanz et al., 2000; Brody et al., 2003), it is also useful to carry out a critical analysis of conservation policy at the individual natural protected area level, while at the same time considering its wider contexts (Zurlini et al., 2006). Successful conservation of biodiversity is not only a function of how much nature and what kind of nature is being protected or the various types of designations, but most importantly a function of the rigour with which conservation policy is pursued in practice by the competent authorities. At the policy level, it is increasingly obvious that natural capital conservation cannot be sustainable simply by extending the protected area and designations. his is crucial in Europe where in each partner country there are great eforts in designation of areas that, for their natural value, have to be considered for inclusion in the NATURA 2000 network, and where the concept of national park, among others, difers radically from the American model, because people and their activities have, over millennia, shaped and sculpted landscapes with a distinctly human touch. As a result, European parks and areas included in the NATURA 2000 network are not conceived as wilderness preserves, but rather explicitly as multifunctional landscapes (Mander et al., 2007), where people and land have become inseparable and are considered worthy of protection as such. In line with the multifunctional character of the NATURA 2000 sites, conservation policy and management should be interdisciplinary. hey should build on solid knowledge of ecological, social and economic processes and deine opportunities and priorities with a view to achieving both the conservation objectives of the sites and sustainable socio-economic development. 203 Teodoro Semeraro et al. References Berkes, F. & Folke, C. (Eds.) (1998) Linking Social and Ecological Systems: Management Practices and Social Mechanisms for Building Resilience. Cambridge University Press, Cambridge, UK. Brody, S., Carrasco, V. & Highield, W. (2003) Evaluating ecosystem management capabilities at the local level in Florida: identifying policy gaps using geographical information systems. Environmental Planning and Management, 32, 661–681. Carpenter, S. R., Westley, F. & Turner, M. (2005) Surrogates for resilience of social ecological systems. Ecosystems, 8, 941–944. Chiesura, A. & de Groot, R. 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Questionnaires collect information on abstracted water, water supply systems, sewerage systems and wastewater treatment plants. he new survey is arranged through the Web Based Survey solutions for data capturing. A dedicated web site, protected by the network protocol SSL (Secure Sockets Layer), was prepared in order to facilitate respondents in downloading the personalized questionnaires and uploading completed questionnaires in form of electronic spreadsheets. he web site also ofers respondents with technical assistance. Open source tools were used in order to acquire and load data received by water management companies. Finally, data integration procedures from other statistical sources were discussed. Introduction In the last years water statistics have acquired a growing importance in environmental monitoring. Assessing state of water supply and changes in water availability may be carried out at various temporal and spatial scales by either remote sensing/ield monitoring strategies or statistical collections of quantitative data from water service/system holders. Statistical surveys on water supply and wastewater may be census or sampling surveys. In this contribution, we intend to present the Italian 205 Tersigni Stefano et al. experience with water resource statistics provided by the Italian National Institute of Statistics (ISTAT). In particular, this paper focuses on recent advance in the ield of water surveys referring to data capturing phase. The ISTAT system of water surveys ISTAT has carried out surveys on water statistics since 1951 with the aim of describing the state of urban water services in Italy. he survey chronology (1951, 1963, 1975, 1987, 1993, 1999, 2005, 2008) has allowed to develop an information basis that is progressively updated by considering both the new water country/EU directives and the increasing demand of information from public institutions and private stakeholders. After the edition of 1999, both the contents and the production process have been deeply renewed. In fact, as a result of preliminary studies conducted by ISTAT the survey has become a “system of surveys” composed of diferent sub-surveys. his system is named Water Surveys System (Ciarallo et al., 2005). In particular, the survey was developed with the aim to collect information according to the scheme illustrated in igure 1. Abstracted water is collected by water pipes and delivered to the municipal water supply system. hrough this system each inal potable water user will be supplied. Wastewater is collected in the sewage system and treated before the eluent is discharged into water body (e.g. watercourse, natural lake, artiicial reservoir, sea and transitional waters). Figure 1: Urban water use scheme. 206 The integrated information system on water supply and wastewater services he cyclical nature of water phenomena and the complex characteristic of utilities supply (e.g. presence of networks) make the way of collecting statistics on these issues diicult. In the precedent water surveys, Istat already adopted various kinds of questionnaires and in 1999, for the irst time, six contextually-supplied questionnaires and a separate sewerage system questionnaire were developed. his was done with the aim to optimise productive processes of water statistics in order to pursue objectives of standardisation in both the deinitions and methodologies in the medium-long term. It requires the deinition of a common reference for urban water services indicators, as well as an adequate model of aggregation that its the basic common needs of the main user categories (Matos et al., 2003; alegre et al., 2006). The 2008 census survey In 2009 a new census survey is being carried out to acquire detailed information on water quantity/use at municipality scale referring to 2008. Four diferent questionnaires were sent to water management companies identiied by a preliminary survey. Each management company has received speciic questionnaires for each type of managed water service. he four questionnaires collect information on (i) abstracted and transmitted water, (ii) water supply systems, (iii) sewerage and (iv) wastewater treatment plants. In every questionnaire information on individual managed plants are required. he list of questionnaires and the related responding units are reported in table 1. Table I: Questionnaires of the ISTAT Water survey system by responding unit. Questionnaire Responding Unit Abstracted and transmitted water Water pipes system management companies Water supply system Water supply system management companies Sewerage Sewerage system management companies Municipal wastewater treatment plants Municipal waste water management companies 207 Tersigni Stefano et al. In more detail, the four types of questionnaire are: Abstracted and transmitted water his questionnaire requests information on the principal inputs and outputs of drinking water of a typical water transmission system. Collected variables include water abstracted by sources, water delivered to each municipality, raw water imported or exported, water distributed wholesale for industrial and agricultural purpose. Water supply system his questionnaire refers to the public water network which supplies water to the inal users. Each water supply system is related with its municipality. he collected information regard the water volume, the structural characteristics of network and the water pipes plants connected to the municipality water supply system. In particular, collected variables include total invoiced water, invoiced water by uses, total supplied water, total water poured in the water supply system. Sewerage Data about management companies of sewage system are requested in this questionnaire. he aim is to obtain basic information about the type of plant and the existence of waste water treatment, the percentage of waste water collected through waste water treatment plants and the percentage and the destination of not treated waste water (water bodies). Wastewater treatment plants his questionnaire investigates on the main characteristics of urban waste water treatment plants. he aim of this survey is to get information about management of treatment plants, type of treatment (primary, secondary or tertiary) and localisation of plants. Other pieces of information regard the estimation of inhabitant equivalent (design capacity and actual occupation), municipalities connected to waste water treatment plants, sewage sludge production, as well as disposal and waste water quality of treatment process. Concerning control and validation processes, the survey beneits from a procedure of data integration from various other statistical sources, including speciic regional registers conducted by Environmental Protection Agencies on water quan- 208 The integrated information system on water supply and wastewater services tity/quality and administrative sources from regional administrations and National Research Institutes. The technological solution for the data capturing phase technological innovation brings new opportunity, ofering new ways to conduct water surveys (Nicholls II et al., 1997). he survey edition conducted by Istat in 1999 was carried out through a paper self administrated questionnaire. after having evaluated some aspects related to the experience of census survey, a new strategy for the edition of 2005 was deined. In detail, the data capturing phase was based on the integration of two techniques: CaPI (Computer assisted Personal Interviewing) and CatI (Computer assisted telephone Interviewing). In particular, CaPI was used with integrated water management companies and big companies for whom a telephone interview would have been too long. CatI was used for the remaining respondents. Both these techniques make possible to implement two important tools aimed at improving quality data as the introduction of checking rules during the interview and the comparison of values captured during the interview with data captured in 1999 census, so as to verify the signiicant discrepancies directly with the respondent (Di Bella et al., 2005). he new 2008 survey was arranged through web solutions for data capturing. a dedicated web site was prepared to ofer respondents technical assistance and (personalised) spreadsheets for easy and rapid reply. hese technologies facilitate the automation of self-administered survey and ofer the control tools typical of computer assisted interviewing such as branching, edits, randomization, etc., together with the beneits of self-administration (e.g. mitigation of interviewer efects, reduced survey costs). Data capturing and uploading stages his part of the survey, more closely related to computer science, was developed starting from the institutional web portal “indata.istat.it”, which is dedicated to data capturing (Fig. 2). 209 Tersigni Stefano et al. Figure 2: Distributed system scheme of ISTAT water survey. he transfer protocol is https. User-id and a temporary password is issued to each user. During the irst login the user has to select his working password. By making multiple selections from a checkbox, the user can download one or more excel questionnaires. Each questionnaire may be compiled of-line by the user and subsequently completed and uploaded. he uploading phase triggers a check process that veriies, on the application server, some irst consistency checks (e.g. compliance with the electronic format of ile and with the track record deinition). If this process was successful, the excel ile is given a meaningful name (username+questionnaire+date) and stored on an apposite directory of another server. On this server the DBMS Oracle runs, that holds raw data tables and the tables containing data subjected to edit and imputation processes. According to a scheduled daily time, a C program reads each excel ile and uploads the suitable (generally more than one) raw data tables. he above mentioned C program uses Pro*C and libxls libraries. Pro*C is a software library supplied by Oracle, while libxls is an open software, downloadable from sourceforge.net, that can read MS Excel iles. Libxls can also read MS Excel formulas results saved in iles. 210 The integrated information system on water supply and wastewater services Conclusions he progression from self-administered questionnaire to a computerized selfadministration of surveys is argued to reduce survey errors and to improve data collection quality. survey results will be available in 2010 through a GIs-based data warehouse inside the institutional web portal from Istat (http://acqua.istat.it/). Results include several indicators depicting state and changes in water resource of Italy at a very detailed level. a new survey will be scheduled in 2013, thus obtaining a very long time series on water resource data. Acknowledgements We wish to thank David Hoerl, maintainer of open sources libxls libraries, for his precious debugging work according to our reports about libxls library. References alegre, H., Baptista, J. M., Cabrera, E. J., Cubillo, F., Duarte, P., Hirner, W. & Parena, R. 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However, if on the one hand it is necessary to recognize that perception of security is fundamental at all levels of human organization, on the other hand, it is of primary importance to admit that only the decision-makers make decisions and assign management priorities on the basis of their perception of risks with real consequences on the environment in terms of environmental risk. So far the management of marinas has been conducted without considering the environmental awareness of managers about the potential consequences connected to their decisions. On these assumptions the research is carried out (i) at provincial scale, comparing the perception of the environmental risk of the managers of 8 marinas in the province of Lecce and (ii) at local scale, analyzing the perception of the environmental risk of the managers of one of the ports studied (subjective analysis), assessing the potential environmental risk of the pressures through the creation of scenarios (objective analysis) and comparing the results of the objective and subjective analysis to cause assessment of environmental security. he results obtained allowed to highlight that the management of the SEL must include necessarily the environmental perception of the decision makers, beyond the economic, social and ecological components. In addition the results provided early spatial indications about the state of potential risk of a port, constituting a valid support for the realization of the efective programs of environmental monitoring in diferent areas of the harbor. 213 Donatella Valente et al. Introduction Marinas represent one of the possible coastal uses and the activities carried out in these structures are also likely to cause the deterioration of local coastal landscape and the quality of marine water in the surrounding areas (Petrosillo et al., 2009). In terms of ecological risk, the management of a marina can play an important role in reducing or strengthening environmental pressures and, consequently, environmental security for much wider coastal areas. Consequently, it is necessary to highlight the signiicant role played by human perception of the environment in the context of the decision-making process. It is also true that in addition to public perception management success depends on the perception of decision makers, because they take a decision and assign management priority on the basis of how they perceive the risks with real consequences on the environment (Simoni & Allen, 1998). he focal task of the landscape security approach is to identify and assess the overall risk due to the diference between subjective and objective environmental assessments and to igure out possible ways to minimize it. As an example, the environmental security of the same marina might be evaluated diferently in both objective and subjective terms (Fig. 1). Figure 1: Possible combination to compare objective and subjective assessment in the framework of environmental security (Zurlini & Müller, 2008). In the case (a) and (d) there is concordance between objective and subjective evaluations of environmental state; for case (a) both agree on positive (high) environmental quality, whereas for case (d) both agree on negative (low) environmental quality of the marina under study. In particular, if we consider the quality of water, in case (a) the perception of managers matches the parameters established by the reference law, while in case (d) there is a very low awareness of environmental pressure that is conirmed by the parameters. On the other hand, cases (b) and (c) are discordant; in the irst case there is no perception of environmental pressures even if the 214 The management of the marinas in the context of environmental security values are not within the parameters established by the law of reference. his situation is the most dangerous but also the most common in the real world because people are often unaware of the environmental degradation they cause. In this case managers will not initiate activities to mitigate the environmental risk. In contrast, in case (c) there is low perception of environmental security without any objective reason for such concern. In this case managers will initiate activities to mitigate this perceived risk with negative economic consequences, because they will invest money in activities that are not needed, but with positive ecological efects, because this behavior will keep the risk low. Materials and methods his work focuses on two study areas: at provincial scale, on the 8 marinas of the Province of Lecce (Apulia Region, southern Italy) (Petrosillo et al., 2009) and at local scale, on the San Foca marina, located in the Province of Lecce (Apulia Region, southern Italy). To perform the subjective assessment at this spatial scale data were collected by means of questionnaires administered to managers of the ports. For the statistical analysis, the sample was divided into two groups on the basis of the number of boat slips (less than 200 boat slips and more than 200 boat slips, respectively), and a Kolmogorov–Smirnov Test for small samples (Sokal & Rohlf, 1994) was applied to determine whether statistically signiicant diferences were present between the two samples. A Principal Component Analysis (PCA) was then used to identify common behaviors/patterns in the answers given by the managers involved in each harbor. For the local scale, the environmental risk in San Foca marina was assessed subjectively by the use of questionnaires inalized to evaluate the environmental perception of environmental risk, and consequently of environmental security, shown by the six managers of the port. For the objective analysis, we use a mathematical model useful to map the critical areas in the harbor. he model uses three main parameters: (i) the distance between the site and the waste sources; (ii) the distance between the site and the port mouth; (iii) the presence and position of a wharf. he algorithm is reported in Fabiano et al. (2006) and Vassallo et al. (2006). As inal output, the tool can produce risk maps automatically, using Matlab interface (MathWorks, Inc.) or a suitably developed user-friendly Java interface (Jmarinas, free download at http://jfmarinas.sourceforge.net/). 215 Donatella Valente et al. Results and discussion At provincial scale, considering the level of perception of the managers, we can report that in most cases managers showed a low perception of environmental risks associated with the activities carried out in their harbors (for more details see Petrosillo et al., 2009). Signiicant statistical diferences among the managers of marinas with either more or fewer than 200 boat slips were found for three environmental pressures related to four activities (Petrosillo et al., 2009). Further, to see if management choices were consistent, we performed a PCA analysis activities. In particular, the irst principal component was ‘‘environmental risk perception related to recreational activities” and represented 33.2 % of the sample variability, while the second principal component was ‘‘environmental risk perception related to harbor facilities,” which represented 22 % of the sample variability. he third component, ‘‘environmental risk perception related to yachting services,” represented 16 % of sample variability and explained 72 % of the total sample variability (Petrosillo et al., 2009). In general, this part of the research demonstrates that the environmental awareness of managers can play a crucial role in increasing or mitigating the environmental pressures linked to the diferent activities carried out in marinas. In addition, where diferent managers with diferent perceptions are present in the same harbor, it is likely that diferent, or even contrasting, decisions will be made with problematic consequences for that harbor. In these situations, the environmental security of a harbor can only be guaranteed by choices against potential environmental risks that are made uniformly by the managers involved. At local scale, the 6 managers of San Foca harbor showed strong mismatches in the perception of risk. In igure 2 the total environmental risk perception is reported for each manager according to the frequency of answers. 216 The management of the marinas in the context of environmental security Figure 2: The total environmental risk perception for each manager according to the frequency of answers, and the mean of the scores represented by the black line (0 = null perception; 1 = low perception; 2 = medium perception; 3 = high perception). (A) the frequency of answers of Manager 3; (B) the frequency of answers of Manager 4; (C) the frequency of answers of Manager 2; (D) the frequency of answers of Manager 1; (E) the frequency of answers of Manager 5; and (F) the frequency of answers of Manager 6. On the left there are managers showing a low perception of the total environmental risk (A, B, and C graphs), while the cases D, E and F represent managers who display higher risk perception (Fig. 2). he general indication emerging from igure 2 is that cases A and C show the lowest perception of environmental risk associated with the activities carried out in the harbor under study, highlighted by the mean that is on the 0-value (absence of perception). Moving to the results of the “objective” assessment of total environmental risk, the application of the model allows us to assess diferent risk levels in San Foca harbor. In particular, the new part of the harbor displays the lowest levels of harbor risk (Fig. 3). 217 Donatella Valente et al. Figure 3: Map of the total environmental risk with different risk levels in San Foca harbor. Figure 4: Comparison between the subjective and objective assessments of environmental risk in the framework of environmental security (M1 = Manager 1; M2 = Manager 2; M3 = Manager 3; M4 = Manager 4; M5 = Manager 5; M6 = Manager 6). On the other hand, the “inner harbor” shows the higher levels of environmental risk. his is further worsened by increased distance from the harbor mouth and by decreased water turnover rate. Considering the harbor as a socio-ecological system, where humans are an essential part of it, the results of subjective and objective assessments need to be integrated to evaluate the environmental state of San Foca marina. he comparison between subjective and objective results allows the tracing of a more solid estimate of environmental security in diferent areas of the harbor (Fig. 4). First of all, the environmental security of the diferent parts of the harbor is characterized by a mismatch between objective and subjective assessments. his divergence is relevant in the inner part of the harbor, where managers 1, 2, 3 and 4 show a high perception of security while, objectively, environmental risk is high. In the framework of environmental security these conditions can be attributed to case (b) (Fig. 1), which can be considered as the most risky, because even though environmental quality is at risk, managers are not aware of it and, consequently, they might not take efective decisions. In the new part of the harbor, that mismatch is less dangerous because even though environmental quality is high (low environmental risk), manager 5 perceives quality to be low (case c, Fig. 1), so that he could make potential preventive choices that are not really needed, but that nevertheless keep environmental risk low. Luckily, manager 6, which is an institutional body regarding monitoring and control activities of the whole harbor, shows a high perception of environmental risk, representing a guarantee for the environmental security of San Foca marina. 218 The management of the marinas in the context of environmental security Conclusions In management processes, there are multiple environmental perceptions introduced by the diferent actors: decision-makers, public, media, and all the relevant stakeholders. Among all these actors, decision-makers are the most directly involved in evaluating options and perceiving problems when a decision is taken. When numerous decision-makers have to take decisions in the context of the same system (e.g., marinas), the situation becomes even more complicated. Understanding the diferent perceptions of managers is crucial in the context of marinas where people making the decisions play an important role in increasing or mitigating the environmental pressures related to the activities carried out. Managers play an important role in the context of environmental security, because they can mitigate the environmental risk, increasing the security of a particular harbor and, more in general, of the surrounding environment. To this aim, spatially explicit assessments of environmental risk and an awareness of such risk by managers are essential and represent an integration of traditional ecological risk assessment that gives less attention to spatial characteristics. In addition, the presence of ecological risk thresholds can be meaningless if nobody perceives them. Consequently, to cope with the problem of the risk in a more efective manner is better to think of it as socio-ecological risk. By means of the production of maps and scenarios, a irst indication about potential environmental risk can also support the possible program of monitoring activities, making them more efective. Furthermore, the simple reading of maps can improve managers’ perception of environmental risk, supporting them in the decision process, with suggestions about where and how much it is necessary to mitigate the risk. Marinas are an economic opportunity existing in places characterized by a high value in terms of recreational ecosystem services, such as serenity, beauty, cultural inspiration and recreation (Costanza et al., 1997). All these services are heavily dependent on biodiversity, so that the maintenance of species and habitat diversity becomes of primary importance for the quality of human life (Vitousek et al., 1997). hus, the maintenance of environmental security of marinas can be a guarantee for the maintenance of the security of essential ecosystem services. 219 Donatella Valente et al. References Costanza, R., d’Arge, R., de Groot, R., Faber, S., Grasso, M., Hannon, B., Limburg, K., Naeem, S., O’Neill, R. V., Paruelo, J., Raskin, R. G., Sutton, P., & van den Belt, M. (1997) he value of the world’s ecosystem services and natural capital. Nature, 387, 253–260. Fabiano, M., Marin, V., Moreno, M., Paoli, C., Vassallo, P., & Vezzulli, L. (2006) Assessment of the environmental status of a marina’s water and sediments. Guidelines: Environmental Quality and Tourism Development at a Local Level: New Ways Towards Governance, 40–46. LIFE04 ENV/IT/00437 Project: PHAROS. Available at: http://www.lifepharos.it. 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Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali: un caso di studio nel comune di Trento Forest values in local communities’ perception: a case study in the municipality of Trento Maria Giulia Cantiani1*, Isabella De Meo2, Federica Maino3 & Alessandro Paletto2 Laboratorio di Ecologia, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università di Trento, via Mesiano 77, 38050 Trento 2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per il Monitoraggio e la Pianiicazione Forestale (CRA-MPF) 3 Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano *[email protected] 1 Abstract Il presente contributo illustra i risultati di una ricerca volta ad evidenziare il valore attribuito alle diverse funzioni del bosco da parte degli abitanti del Comune di Trento. L’indagine è stata condotta con un processo di tipo incrementale-partecipativo, per mezzo di un questionario autocompilato. I risultati mostrano che alla macro-categoria che raggruppa i valori economici del bosco viene attribuito un valore sensibilmente più basso, rispetto ai valori sociali ed ambientali. Introduzione Il bosco è un ecosistema complesso, in grado di svolgere una molteplicità di funzioni e di fornire beni e servizi utili alla società (Führer, 2000). Il concetto di multifunzionalità delle foreste, nonostante abbia subito svariati sviluppi e perfezionamenti a partire dalla formulazione originaria data da Viktor Dieterich nei primi anni ’50 (Hytönen, 1995), resta uno dei paradigmi principali della gestione delle foreste in Europa (Vyskot et al., 2003). Le foreste assolvono a quattro tipi di funzioni (Fernand, 1995): di utilità, di realizzazione, percettive e protettive. La funzione di utilità considera la foresta come una fonte di materie prime e redditi, mentre la funzione di realizzazione comprende le attività ricreative in foresta (sportive, caccia, pe- 223 Maria Giulia Cantiani et al. sca e raccolta di prodotti del sottobosco). La funzione percettiva è soggettiva per ciascun individuo e include la percezione sociale attribuita all’esistenza della risorsa o all’esperienza diretta passata in foresta. La funzione protettiva riguarda la protezione delle specie loristiche e faunistiche e dell’ecosistema, così come la protezione idrogeologica. La valutazione dell’ecosistema forestale è il processo attraverso il quale viene attribuito un valore ai beni e servizi forniti dalle foreste (Farber et al., 2002). Attribuire un valore signiica, in termini riduttivistici, stimare il valore monetario di ciascun bene e servizio oppure, in termini olistici, risalire alla scala di valori che ciascun individuo attribuisce ai singoli aspetti del bosco. Nella scienza economica neoclassica, ed in particolare secondo la scuola marginalista, attribuire un valore ad un bene signiica valutare l’importanza dell’ultimo bisogno, in ordine d’importanza, che suddetto bene riesce a soddisfare considerando la sua disponibilità limitata (Menger, 1976). Questa scuola di pensiero male si applica alla valutazione dei beni ambientali per una serie di caratteristiche intrinseche a questi beni, ma consente di comprendere come la valutazione, per gli economisti, signiichi attribuire un valore monetario attraverso un approccio dall’alto di stampo tecnocratico-razionalista (Buttoud & Yunusova, 2002). La multifunzionalità, secondo questo approccio, si riferisce al fatto che un processo produttivo può fornire molteplici outputs e in virtù di questo soddisfare molteplici bisogni della società (OECD, 2001). Pertanto, la gestione forestale è concepita come un’attività economica in grado di produrre beni e servizi riconducibili, direttamente o indirettamente, ad un valore monetario (Krieger, 2001; Pearce, 2001). Nelle scienze sociologiche attribuire un valore signiica fare riferimento ad un sistema di valori o meglio alla costellazione di norme e precetti che guidano i giudizi e le azioni umane (Farber et al., 2002). I valori, in quanto fatti sociali, vengono fatti propri da individui e gruppi sociali orientando il loro agire ultimo, pertanto la loro valutazione può avvenire soltanto attraverso un approccio dal basso di tipo incrementale-partecipativo (Buttoud & Yunusova, 2002). I valori possono essere universalmente condivisi oppure possono essere legati a particolari contesti culturali come la foresta, che è portatrice di un pluralismo di valori fortemente variabile a seconda delle condizioni culturali, sociali ed economiche. Un’ulteriore distinzione, speciica per le risorse naturali, è quella che diferenzia il valore intrinseco da quello strumentale (Vilkka, 1997). Il valore intrinseco di un bene o di un’azione è misurato sulla base del contributo che esso fornisce al mantenimento dell’integrità dell’ecosistema di per sé, indipendentemente dalla soddisfazione umana (Leopold, 1949). Viceversa, 224 Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali il valore strumentale è un concetto fortemente antropocentrico che prende in considerazione le preferenze umane (Justus et al., 2009). A partire da queste considerazioni il presente lavoro, seguendo un approccio di tipo sociologico, si focalizza sulla messa a punto di un sistema di valutazione dei valori strumentali del bosco attraverso un processo di tipo incrementale-partecipativo, basato sulle preferenze espresse da un campione di cittadini nei confronti delle funzioni del bosco. Materiali e metodi La metodologia di valutazione è stata sperimentata in un caso studio nel comune di Trento. Il comune, caratterizzato da un’estensione territoriale di 15.792 ha e da una popolazione residente pari a 114.236 abitanti (densità demograica di 723 abitanti/km2), per le caratteristiche ambientali e socio-economiche del territorio è stato considerato adatto ad una valutazione delle funzioni del bosco di tipo partecipativo. Infatti tale processo, in cui i valori sono il frutto delle preferenze espresse dalla popolazione e non il risultato di una valutazione fatta da esperti, bene si presta ad essere condotto in realtà come quella trentina, in cui il bosco connota profondamente il contesto socioeconomico e culturale e il legame degli individui con il territorio poggia su una ben radicata consuetudine alla frequentazione del bosco, sulla buona conoscenza degli ecosistemi forestali e sulla consapevolezza che essi sono il frutto di una lunga interazione tra l’uomo e il bosco (Betta et al., 2009). La città di Trento si sviluppa lungo le rive dell’Adige, la cui valle costituisce il cuore del sistema insediativo e produttivo trentino, accogliendo attività e servizi di livello superiore, con forti relazioni a scala provinciale e sovralocale. Il nucleo cittadino localizzato nella zona di fondovalle è densamente ediicato ed accoglie funzioni residenziali, produttive e di servizio, mentre il sistema collinare è a prevalente destinazione residenziale. Questa distinzione di tipo geograico-insediativo è stata valutata rilevante anche in termini sociali, pertanto si è deciso d’indagare 6 Circoscrizioni di cui 4 appartenenti all’area collinare (Povo, Villazzano, Oltrefersina e Argentario) e 2 al centro cittadino (San Giuseppe – Santa Chiara, Centro Storico – Piedicastello). L’indagine, volta a far emergere i valori del bosco attribuiti da parte della popolazione residente, è stata condotta nel periodo tra novembre 2005 e giugno 2006, utilizzando come strumento d’indagine il questionario strutturato autocompilato. La numerosità campionaria è stata calcolata a partire dalle 47.615 famiglie presenti in 225 Maria Giulia Cantiani et al. anagrafe al 31 dicembre 2004, stratiicato per Circoscrizione in modo proporzionale. L’estrazione è stata efettuata in modo casuale dall’Anagrafe della popolazione del Comune di Trento il 18 luglio 2005. La somministrazione del questionario è stata efettuata per via postale lasciando sei settimane di tempo per la compilazione; al questionario sono state allegate le istruzioni per la compilazione e una lettera di presentazione riportante le inalità dell’indagine. Il questionario è stato strutturato ripartendo le domande in 4 blocchi (informazioni personali del rispondente; la sua visione del bosco; bosco e società; informazioni sul bosco) al ine di evitare l’afaticamento dei rispondenti (Adamowicz et al., 1998). Complessivamente sono stati proposti 56 quesiti inalizzati ad indagare i seguenti cinque temi d’indagine (Maino et al., 2006): il legame della popolazione con il territorio montano e la frequentazione del bosco; le funzioni attribuite al bosco ed in particolare il valore che viene ancora oggi riconosciuto alla risorsa legno; la percezione della gestione forestale e dei cambiamenti del paesaggio; conoscenze, emozioni e suggestioni dei cittadini rispetto al bosco; la volontà e il desiderio di partecipazione. All’interno del blocco “bosco e società” è stata predisposta una speciica domanda (“Secondo lei, quale ruolo riveste il bosco per la società?”) volta a far emergere la percezione da parte dell’intervistato delle singole funzioni forestali ed indagarne il sistema di valori. Tale domanda, formulata a risposta chiusa così come tutte le altre presenti nel questionario, lasciava all’intervistato la possibilità di esprimere, nei confronti delle diverse possibilità di risposta, il proprio accordo/disaccordo secondo una scala di valori da 0 (per niente d’accordo) a 10 (pienamente d’accordo). Tra i “ruoli” del bosco venivano riportate, in forma semplice e comprensibile agli intervistati, le principali funzioni assolte dal bosco (Tab. I). Le singole funzioni sono state successivamente ricondotte, attraverso un processo logico-deduttivo, ai principali gruppi di valori forestali. Secondo Ritter e Dauksta (2006) è possibile ricondurre le funzioni assolte dalle foreste a tre gruppi fondamentali di valori: 1. valori economici: comprendono tutte quelle funzioni inalizzate a creare reddito e/o opportunità lavorative; 2. valori sociali: fanno riferimento a quegli aspetti che hanno un impatto positivo sul benessere umano e sulla qualità della vita; 3. valori ambientali: includono tutte quelle funzioni strettamente legate alla protezione degli ecosistemi naturali, degli habitat e della biodiversità loristica e faunistica. 226 Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali Secondo questa impostazione gli aspetti estetici (contemplazione del paesaggio) e ricreativi sono stati ricondotti ai valori sociali, quelli legati al mercato del legname e allo sviluppo dell’economia turistica locale ai valori economici ed inine la conservazione della diversità naturale, la protezione idrogeologica, il miglioramento della qualità dell’aria e la mitigazione dei cambiamenti climatici a quelli ambientali. Tabella I: Funzioni forestali investigate nel questionario. Codice a Descrizione Un importante elemento del paesaggio b Un luogo di rigenerazione e svago c Un luogo dove ricavare legname da poter utilizzare d Un importante elemento per lo sviluppo del turismo e Un ambiente necessario per la sopravvivenza di molte specie viventi f Un importante fattore di protezione contro frane, valanghe, inondazioni, … g Un sistema utile per migliorare la qualità dell’aria h Un sistema utile per contrastare l’effetto serra Risultati L’indagine ha coinvolto 721 nuclei famigliari (352 della zona collinare e 369 del centro cittadino) con un tasso di risposta del 35 %. Il risultato è stato ritenuto soddisfacente considerando che in ricerche di questo tipo generalmente tale tasso si attesta sul 20-30 % (Montini, 2001), mentre l’ISTAT riporta una percentuale media delle restituzioni dei questionari postali in autocompilazione pari al 10 % (Buratta & Sabbadini, 1989). Per quanto riguarda la domanda concernente le funzioni forestali, hanno risposto 242 individui, mentre è stata lasciata in bianco dal 33,5 % degli intervistati. È interessante osservare il tasso di non risposta interno a ciascuna funzione espressa dal bosco, poiché si denota come alcune funzioni risultino meno conosciute dagli intervistati rispetto ad altre. Ad esempio il 7,9 % non si è espresso in merito al ruolo del bosco per contrastare l’efetto serra, mentre soltanto l’1,7 % si trova in analoga situazione di non risposta per il ruolo del bosco nel migliorare la qualità dell’aria. L’analisi descrittiva dei risultati, considerando le funzioni aggregate nelle tre macro-categorie di valori (Tab. II) fa emergere come la popolazione del comune di Trento tenda ad attribuire un valore maggiore agli aspetti ambientali del bosco (me- 227 Maria Giulia Cantiani et al. dia macro-valori ambientali = 9,36), mentre il valore più basso è espresso nei confronti degli aspetti economici (media macro-valori economici = 6,94), con un picco negativo nei confronti della funzione di produzione legnosa (media funzione c = 6,42). Il valore più elevato per funzione è espresso nei confronti della protezione idrogeologica (media funzione f = 9,52) che, seguendo l’impostazione dell’UNCED Forest Principles (1992), è stata fatta rientrare nei valori ambientali. I dati riportati in forma aggregata per macro-categoria di valori sono stati messi in relazione con la zona di residenza degli intervistati (circoscrizione del centro città o della collina), al ine di valutare se la vicinanza isica col bosco possa in qualche modo inluenzare l’attribuzione del valore alle diverse funzioni da questo espresse. I valori illustrati in tabella III indicano che le persone che vivono nelle zone collinari assegnano un valore superiore solo alle funzioni sociali (8,55 rispetto a 8,91) rispetto alle persone residenti nel centro della città, ma non è stata rilevata diferenza signiicativa. Tabella II: Statistiche descrittive per funzioni e macro-categorie di valori (242 questionari). Funzioni Macro-categorie valori a c 8,38 6,42 1,95 2,77 Sociali Media funzioni 8,97 Dev.St. funzioni 1,78 Media macro-categorie valori b 8,68 d E f 7,45 9,24 9,52 2,48 1,58 1,07 Economici g h Ambientali 6,94 9,46 9,20 1,33 1,54 9,36 Tabella III: Valori forestali per circoscrizione (242 questionari). Circoscrizione Valore economico Valore ambientale Valore sociale Centro 7,02 9,38 8,55 Collina 6,83 9,35 8,91 Discussione e conclusioni Il limitato valore che viene attribuito alla funzione economica del bosco, sembra essere in linea con la tendenza comune a tutti i paesi industrializzati in cui, a partire dall’immediato dopoguerra, si è assistito al crescere dell‘interesse verso la componente sociale ed ambientale delle foreste, mentre contemporaneamente andava a diminuire l‘interesse verso la produzione legnosa (Tarrant et al., 2003; Kumar & Kant, 2007). 228 Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali In particolare, come molte aree dell’arco alpino, anche il Trentino negli anni ’50 è stato interessato da un cambiamento dei modelli di sviluppo e da profondi mutamenti che hanno riguardato anche la percezione del bosco e dei suoi valori da parte delle comunità locali, trasformando l’ordine di priorità nelle aspettative ed esigenze espresse dalla popolazione nei confronti del settore forestale (Cantiani et al., 1999). Nell’attribuzione dei valori alle funzioni del bosco non emerge una diferenza di rilievo tra gli individui che vivono in centro città e quelli residenti nella fascia collinare, che – come emerso in altra parte dell’indagine (Betta et al., 2009) – risultano invece frequentare assai maggiormente il bosco e fanno decisamente maggior ricorso all’uso di legna come combustibile (40 % contro il 19 % del centro). La vicinanza isica sembra quindi inluenzare abitudini e comportamenti ma non tanto la sfera emotiva e percettiva degli intervistati. La possibilità di misurare dati qualitativi e giudizi di valore attraverso un’indagine, quale quella illustrata nel presente contributo, può essere di grande utilità per chi si occupa della tutela e della gestione del patrimonio forestale della regione. Capire come la gente comune vede e “usa” il bosco, infatti, costituisce una base di conoscenze importante per orientare la gestione ed instaurare una proicua comunicazione tra autorità e cittadini. 229 Maria Giulia Cantiani et al. Bibliografia Adamowicz, W. L., Louviere J. & Swait J. (1998) Introduction to Attribute-based Stated Choice Methods. NOAA – National Oceanic Athmospheric Administration,Washington, USA. Betta A., Cantiani, M.G., De Meo, I. & Maino, F. (2009) La percezione del bosco da parte delle comunità locali: un caso di studio nel Comune di Trento. Forest@, 6, 320-332. Buratta, V. & Sabbadini, L. (1989) Manuale di tecniche d’indagine (n° 3). Tecniche di somministrazione del questionario. Roma, ISTAT. Buttoud, G. & Yunusova, I. (2002) A “Mixed model” for the formulation of a multipurpose mountain forest policy. heory vs. practice on the example of Kyrgyzstan. Forest Policy and Economics, 4, 149-160. Cantiani, M. G., Bachmann, P. & Bettelini D. 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Rio de Janeiro, 3-14 June 1992. 230 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità Evaluation of ecosystem services at regional scale as support to sustainability strategies Maria Angela Cataldi1, Elisa Morri2, Rocco Scolozzi3*, Nicola Zaccarelli1, Riccardo Santolini2, Daniela Silvia Pace4, Marco Venier4 & Claudia Berretta2 Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Università del Salento, Prov.le Lecce - Monteroni, 73100 Lecce 2 Dip. di Scienze dell’Uomo dell’Ambiente e della Natura, Università degli studi di Urbino, Campus scientiico Sogesta località Crocicchia, 61029 Urbino 3 Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione, Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN) 4 Systema Naturae – Fondazione per la Biodiversità Onlus (Roma), Accademia Nazionale dei Lincei, Via della Lungara 229-230, 00165 Roma *[email protected] 1 Abstract I servizi e i beni erogati da ecosistemi (servizi ecosistemici, SE) sono essenziali al benessere dell’uomo e allo stesso tempo supportano economie dalla scala locale a quella regionale e nazionale. D’altra parte, solitamente, le valutazioni economiche tradizionali non considerano l’insostituibilità o l’irriproducibilità di tali risorse. La contabilità ambientale dovrebbe valutare il loro ammontare e specialmente la loro dinamica per supportare strategie di sostenibilità, anche a fronte di variazioni climatiche nel breve, medio e lungo periodo. In questo contributo si propone una prima stima dei servizi ecosistemici a scala nazionale, su base regionale, relativa a due inestre temporali, 1990 e 2000. Tale stima si basa su una revisione della letteratura riguardante la valutazione economica dei SE e una correzione “locale” per gli ecosistemi italiani. Tale calibrazione è stata costruita con un approccio expert-based attraverso il metodo dell’indagine Delphi. Tra i fattori di correzione sono considerati la quota e la distanza da sorgenti di pressione (aree urbanizzate). Questi sono stati selezionati perché ritenuti tra i più inluenti sulla capacità degli ecosistemi di erogare SE tra quelli relativamente disponibili per l’intero territorio italiano. 231 Maria Angela Cataldi et al. Il risultato di questa stima rappresenta in modo spazialmente esplicito un primo “censimento” dei SE a livello italiano, su base regionale. Tali informazioni, da ainarsi in seguito in termini di risoluzione spaziale e tematica, costituiscono già una base conoscitiva utile a deinire il capitale naturale italiano e a supportare strategie di sviluppo sostenibile. Introduzione I processi svolti dagli ecosistemi naturali supportano la vita sulla Terra, dal punto di vista antropocentrico, questi processi erogano beni e servizi (Servizi Ecosistemici, SE) da cui dipende il benessere umano. L’erogazione di questi SE è sempre più minacciata, come recentemente riconosciuto nel Millennium Ecosystem Assessment (2005), dall’impatto ecologico delle attività umane. I SE raramente sono contabilizzati o inclusi nelle priorità di politiche o di sviluppo, nonostante contribuiscano ad una parte rilevante dell’economia e del valore economico dei territori in cui viviamo (Wilson et al., 2004). Esplicitare il valore economico di SE potrebbe facilitare l’integrazione di aspetti ambientali nelle decisioni e scelte economiche. Soprattutto di fronte a piani e progetti, che modiicheranno le coperture e gli habitat (quindi gli ecosistemi), conoscere eventuali perdite in termini di funzioni o servizi può aiutare a operare scelte più sostenibili, sia in senso ecologico sia economico. Ormai sono numerosi le valutazioni sul valore economico dei SE a livello mondiale (da Costanza et al., 1997). Recentemente diversi autori rilevano la necessità di un’integrazione della valutazione dei SE nei processi decisionali di pianiicazione e gestione sostenibile del territorio, a diferenti livelli scalari di analisi (de Groot et al., 2002). Per la realtà italiana sembrano piuttosto scarsi gli studi condotti, e solitamente limitati per area considerata e numero di SE considerati. La valutazione dei lussi di SE è un’area di ricerca relativamente recente (Santolini 2008; Chiabai et al., 2009; Petrosillo et al., 2009). In particolare, sembra mancare una caratterizzazione esaustiva dei diversi SE alla scala regionale, alla quale operano gli strumenti di pianiicazione, che possa orientare i decisori verso scelte più consapevoli di un uso sostenibile delle risorse e dei territori. D’altra parte, la valutazione economica di SE per vaste aree (es. sovra provinciali) è complessa e costosa. In questi casi si ricorre a una stima mediante il metodo detto ecosystem value transfer (Navrud & Bergland, 2001), un approccio estesamente applicato per ottenere una stima del valore economico di beni e servizi erogati dagli ecosistemi qualora non si disponga di dati e informazioni suicienti a causa di vincoli temporali o economici (NRC, 2005). Tale approccio si basa su analogie tra eco- 232 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità sistemi valutati direttamente e quelli oggetto di valutazione (Nijkamp et al., 2008). I risultati sono credibili nella maniera in cui si riesce a provare queste analogie o si modiicano e adattano i valori di letteratura al caso in esame. L’obiettivo del presente contributo è mostrare una prima stima dei servizi ecosistemici a scala nazionale, su base regionale, basata su un’analisi della letteratura internazionale e una calibrazione locale. Nella prima parte è descritta la metodologia sviluppata per calibrare il value transfer sugli ecosistemi delle regioni italiane, a partire dai dati Corine Land Cover. Dopo aver esempliicato alcuni risultati, il lavoro si conclude con alcune osservazioni sulle future applicazioni dell’approccio adottato a livello nazionale e sulle implicazioni nel campo della pianiicazione e gestione del territorio. Materiali e metodi Nel presente studio la valutazione dei SE è consistita in un adattamento del metodo ecosystem value transfer, sulla base di dati di letteratura derivati dal database ECOVALUE (2004, http://ecovalue.uvm.edu) e dei dati di copertura CORINE LAND COVER (CLC) riferiti al 1990 e al 2000. In dettaglio, il valore dei servizi ecosistemici è ottenuto mediante una sorta di somma pesata, in misurato in lusso annuo (€/anno): Dove: Ak area totale uso del suolo k (in ha) Pkf funzionalità dell’uso del suolo k di erogazione del servizio f Vf valore economico del servizio ecosistemico f (in €/ha · anno-1) Il valore Vf è ricavato dalla letteratura economica. Il peso Pkf, o fattore di funzionalità (tra 0 e 1), è stato deinito sulla base del parere degli esperti, tramite il metodo dell’indagine Delphi. Tale metodo prevede un questionario somministrato individualmente e reiterato in più turni. A ogni turno sono forniti al rispondente le stime e i commenti di tutti gli altri. Il processo dovrebbe portare a una convergenza delle opinioni. I dati della letteratura economica sono stati ricavati dal database di ECOVALUE, integrato con una revisione ed estensione della letteratura al 2009. Da que- 233 Maria Angela Cataldi et al. sta collezione di studi si sono selezionati quelli più pertinenti o più analoghi al caso di studio. Nello speciico sono stati raccolti o dedotti valori monetari espressi in € 2007/ha di 10 servizi ecosistemici (come classiicati in ECOVALUE) potenzialmente erogati da ciascuna categoria di uso del suolo. Nella tabella I si presentano i valori medi derivati da letteratura dei SE potenzialmente “erogati” dalle diverse coperture, tale matrice non è completa poiché alcuni tipi di uso del suolo possono fornire solo alcuni SE, o non sono disponibili le relative valutazioni. €3 € 124 € 87 € 624 € 10 Forest € 317 € 31 € 31 € 28 €1 € 24 €2 € 76 €2 € 302 € 60 € 76 € 629 Waste Assimilation €7 € 1.548 Recreation € 145 Soil Retention and Formation € 58 Pollination Nutrient Regulation € 23 Aesthetic and Amenity Freshwater Regulation and Supply Cropland Pasture grassland Habitat Refugium, and biodiversity Climate and Atmospheric Gas Regulation Tabella I: Estratto della matrice dei valori medi (in € 2007/ ha all’anno) dei diversi SE per differenti usi del suolo. Barren Land Urban Green € 4.609 Beaches Freshwater Wetland € 232 € 5.260 Saltwaterwetland € 117 € 1.672 Freshwater Saltwater € 212 € 8.788 € 760.298 € 80 € 3.484 € 1.310 € 1.454 € 267 € 219 € 30 € 6.779 € 685 € 583 € 621 € 33 € 134 € 129 € 9.298 € 582 € 617 € 1.067 € 243 La deinizione del peso Pkf, speciico per ciascuna coppia copertura e servizio (CLC-SE), ha tenuto conto della diversa funzionalità dell’uso del suolo k di erogazione del servizio f rispetto alle classi più generali di copertura usate nella letteratura (vedi Tab. I) e di uno dei due fattori locali, calcolati per ogni poligono CLC: quota e distanza da aree urbane. Così, l’adattamento al caso Italia ha comportato una prima 234 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità diferenziazione tra sotto-categorie di uso del suolo, distinguendo una diversa funzionalità di erogazione di SE ad esempio tra diversi tipi di bosco (latifoglie, conifere, misto), e una seconda calibrazione per distinguere diverse condizioni del contesto territoriale a parità di copertura. Le variabili quota e distanza sono state selezionate in base ad alcune assunzioni e alla limitata disponibilità di dati spaziali omogenei per tutto il territorio italiano. Si assume che la quota a scala nazionale possa discriminare a parità di uso del suolo una diversa capacità di erogare servizi ecosistemici, ad esempio si pensi al servizio di “nutrient regulation” di due aree boscate a latifoglie alla quota 0-800 metri e 800-1500. Si assume che a parità di uso del suolo una diversa distanza da aree urbane abbia ripercussioni specialmente su alcuni servizi ecosistemici. Queste ripercussioni possono essere sia negative, si pensi alla funzione di habitat di un’area umida a una distanza tra 0-500 m o maggiore di 1500 m da una città, sia positive, si pensi al valore ricreativo di un bosco vicino alle abitazioni o remoto e dificilmente accessibile. Risultati La stima del peso, o funzionalità, è stata deinita da un gruppo di dieci esperti. Il gruppo ha svolto due focus group (a distanza) per concordare la variabile (tra quota e distanza) più signiicativa più rilevante per ciascun SE, gli intervalli numerici degli attributi quota e distanza, la qualità della relazione (positiva vs. negativa) tra il servizio e l’attributo (quota-distanza). Dopo la prima deinizione è stata compiuta una seconda stima autonoma degli esperti (secondo il metodo dell’indagine Delphi). La seconda stima ha portato a una certa convergenza dei pareri esperti, quindi a una deinizione più robusta dei fattori di correzione. Per brevità si riportano solo alcuni risultati della valutazione su base esperta dei SE a scala regionale. Nello speciico ci si riferisce ai servizi “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (Clima) e “Regolazione dei nutrienti” (Nutrienti). Il primo consiste nell’insieme di processi biotici e abiotici supportati da componenti naturali o semi-naturali degli ecosistemi che inluenzano il bilancio chimico d’atmosfera in svariati modi (es. bilancio CO2/O2, regolazione dei livelli di SOx). Il secondo servizio consiste nella capacità da parte di piante e animali, supportati da taluni ecosistemi, di utilizzare e trasformare (accumulare) azoto, potassio e zolfo (es. processo di nitriicazione per opera di batteri azoto-issatori). 235 Maria Angela Cataldi et al. Nella igura 1 si mostra l’evoluzione dei lussi di valore dei citati SE per l’Italia tra il 1990 e il 2000. Nello speciico, si può notare (Tab. II) che generalmente il servizio Nutrienti è diminuito e in misura maggiore rispetto al servizio Clima, soprattutto in Liguria (–34,5 %) e Molise (–19,2 %). Le uniche regioni in cui tale lusso di valore è aumentato sono la Sardegna (+1,1 %) e la Calabria (+0,9 %). Il servizio Clima è diminuito in modo poco signiicativo, con un massimo di perdita per l’Umbria (–0,7 %), altrove è invece aumentato, specie in Piemonte (+5,1 %). Figura 1: Valore complessivo regionale (in kilo-euro per ettaro) per il servizio di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (sopra) e del servizio “Regolazione dei nutrienti” (sotto) e sua variazione fra il 1990 e 2000 sulla base dell’elaborazione dei dati CORINE Land-cover. 236 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità Tabella II: Andamento regionale e nazionale del valore economico in kilo-euro per i due servizi di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (Clima) e del servizio “Regolazione dei nutrienti” (Nutrienti) e sua variazione percentuale rispetto all’anno 1990. Discussione La valutazione economica dei SE ha assunto dal 1997 (Costanza et al., 1997) un’importanza applicativa crescente, diventando strategica nella salvaguardia di quei processi territoriali che mantengono beni e servizi funzionali al benessere dell’uomo e delle sue attività. Nonostante ciò, i SE in genere non sono ancora inclusi nei criteri di pianiicazione e gestione del territorio, i quali non tengono conto dei costi derivanti dal degrado e dalla perdita degli ecosistemi e delle loro funzioni. Esiste una controversia concettuale riguardo all’uso di approcci economici applicati agli ecosistemi (Pimm, 1997; Norgaard et al., 1998). L’approccio economico, infatti, è di natura antropocentrica e valuta gli ecosistemi secondo l’utilità per l’uomo. La stima del valore dei SE è inevitabilmente soggettiva in quanto i SE possono 237 Maria Angela Cataldi et al. essere percepiti in modo diferente da diversi soggetti in diversi contesti. Tuttavia, utilizzando strumenti e metodi dell’economia è possibile giungere a indicazioni generali e condivisibili. Il termine monetario costituisce un metro comune che facilita le analisi dei costi e beneici e permette di valutare le criticità o le potenzialità associate a particolari misure di gestione da intraprendere e ai possibili scenari d’intervento. I primi risultati presentati, relativi alla variazione del valore economico dei SE su base regionale, consentono di associare ai cambiamenti di uso del suolo modiiche nella fornitura potenziale di SE. Da queste informazioni si possono dedurre indicazioni su vulnerabilità e potenzialità tra regioni, che dovrebbero essere considerate nella deinizione di strategie di sviluppo futuro così come nella gestione attuale. Dai risultati preliminari emerge, ad esempio, che in alcune regioni i cambiamenti di uso del suolo hanno portato a una diminuzione importante del servizio di “Regolazione dei nutrienti”, con potenziale impoverimento della disponibilità per le attività agricole. Per il servizio di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici”, invece, la variazione di coperture CLC 1990-2000 non evidenziano signiicative variazioni. Lo studio presentato, ancora in via di sviluppo, presenta dei limiti, alcuni concernenti i dati disponibili, altri di tipo metodologico. Per esempio il dato di base, la copertura per l’Italia secondo la classiicazione CORINE Land Cover, essendo stato prodotto per una scala di riferimento di 1:100.000 non permette di individuare le moltissime aree umide inferiori ai 25 ha e trascura la itta rete idrograica nazionale. Queste aree, anche se di ridotte dimensioni, sostengono molti SE e in modo molto eiciente. Dal punto di vista metodologico un limite consiste nello stimare l’erogazione di SE solamente sulla base delle coperture di uso del suolo e di fattori di correzione topograici. Molte altre variabili, correlate a processi ecologici complessi, inluenzano la produttività di SE da parte di una stessa copertura. Un primo esempio è la supericie, alcuni processi sono sostenuti solo da aree con una minima estensione (efetto “massa critica”): si pensi a un piccolo bosco, ad esempio, esso non svolge gli stessi servizi (es. regolazione del clima) svolti da una foresta. Un possibile sviluppo futuro di quest’approccio è di introdurre ulteriori coeficienti di correzione, per considerare altri processi sottesi all’erogazione di SE e per contestualizzare meglio il loro valore economico. Lo stesso approccio potrebbe essere ainato per alcune regioni target con l’uso di altri dati, attualmente non disponibili per tutta Italia, quali la carta degli habitat derivati dal progetto Carta della Natura (ISPRA, 2009) e altri indicatori più signiicativi come l’indice di valore ecologico e l’indice di pressione, applicati alla carta degli habitat. 238 Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità Conclusioni La valutazione dei servizi ecosistemici (SE) in un dato territorio può essere di grande utilità per i decisori nel valutare gli efetti del cambiamento di uso del suolo sullo stesso benessere umano, legato inevitabilmente all’erogazione dei SE. Nel presente studio si sono presentati i primi risultati di una stima di SE per tutto il territorio nazionale, tramite l’approccio value transfer spazialmente esplicito. I risultati riguardano i cambiamenti nell’erogazione di SE a scala regionale dovuti al cambiamento di uso del suolo intercorso tra il 1990 e il 2000. Bibliografia Chiabai, A., Travisi, C. M., Ding, H, Markandya, A. & Nunes, P. A. L. D. (2009) Economic Valuation of Forest Ecosystem Services: Methodology and Monetary Estimates. Note di Lavoro della Fondazione Eni Enrico Mattei. Available at: http://www.feem.it. Costanza, R., d’Arge, R., de Groot, R., Farber, S., Grasso, M., Hannon, B., Limburg, K., Naeem, S., O’Neill, R. V., Paruedo, J., Raskin, R. G., Sutton, P. & van den Belt, M. (1997) he value of the world’s ecosystem services and natural capital. Nature, 387, 253-260. de Groot, R. S., Wilson, M. A. & Boumans, R. M. J. (2002) A typology for the classiication, description and valuation of ecosystem functions, goods and services. Special Issue: he Dynamics and Value of Ecosystem Services: Integrating Economic and Ecological Perspectives. Ecological Economics, 41, 393-408. Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ISPRA (2009) Progetto Carta della Natura. Available at: http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Progetti/Carta_della_Natura/. Millennium Ecosystem Assessment (2005) Ecosystems and Human Well-being: Biodiversity Synthesis Report. Island Press, Washington, DC. National Research Council (2005) Valuing Ecosystem Services: Toward Better Environmental Decision Making. National Academy Press, Washington, D.C. Nijkamp, P., Vindigni, G. & Nunes, P. A. L. D. (2008) Economic valuation of biodiversity: A comparative study. Ecological Economics, 67, 217-231. Navrud, S. & Bergland, O. (2001) Value Transfer and Environmental Policy. EVE Policy Research Brief Series. Cambridge Research for the Environment. Norgaard, R. B., Collin, B., Values Reading Group (1998) Special Section: Forum on Valuation of Ecosystems Services. Ecological Economics, 25, 37-39. Petrosillo, I., Zaccarelli, N., Semeraro, T. & Zurlini, G. 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Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, Netherlands. 239 Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino, caso della Val di Ledro (TN) Toward an evaluation of ecosystem services within alpine tourism, a case study at Ledro Valley (TN) Rocco Scolozzi1*, Alessandro Gretter1, Cristina Orsatti1 & Ilaria Goio2 1 Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Research & Innovation Centre, Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige, (TN) 2 Facoltà di Economia, Università di Trento, Via Inama 5, 38122 Trento *[email protected] Abstract Considerando la spesa totale dei turisti (2007) nella Valle di Ledro, divisa per la sua supericie, si potrebbe dedurre che il paesaggio ledrense sostiene in media “entrate” dell’ordine di 400.000 € per km2. Da quali variabili dipende questo “valore territoriale”? È possibile individuare aree o ecosistemi che maggiormente contribuiscono a tale valore? Nelle Alpi l’industria turistica usa e consuma risorse del territorio che dipendono direttamente, o in modo mediato dalla cultura locale, dai servizi ecosistemici (SE). Questi servizi sono “prodotti” del funzionamento degli ecosistemi presenti nel territorio. Cosicché funzioni ecosistemiche di regolazione, di habitat, di produzione di beni locali, i valori d’uso (es. ricreativo) e di non-uso (es. estetico) supportano le pubblicizzate “risorse” del territorio (i cosiddetti “attrattori” turistici), riassunti nello slogan “natura, salute, arte e tempo libero”. Stimare il valore economico di questi servizi, inteso come metro comune di misura e non come valore di vendita, permette di confrontare alternative di sviluppo (es. nuove infrastrutture vs. conservazione/ ripristino di ecosistemi), quindi orientare scenari di sviluppo concretamente sostenibili. In questo lavoro si propone un primo tentativo di localizzare lussi di utilità (o valori) provenienti dal funzionamento degli ecosistemi in un territorio. Nello speciico, partendo dal presupposto che gli utenti-fruitori dei SE sono quelli che determinano, con le loro scelte, gran parte del valore dei SE, si presentano i risultati di una prima campagna d’indagine rivolta ai turisti della Valle di Ledro, fruitori esterni di risorse territoriali e servizi ecosistemici derivanti. La valle di Ledro, posta nella parte meridionale della Provincia Autonoma di Trento, ha caratteristiche geograiche che la rendono rappresentativa di molti processi socio-ecologici comuni in tutta la bio-regione alpina. 241 Rocco Scolozzi et al. Introduzione Il valore dei servizi ecosistemici, un concetto antropocentrico, dipende dall’“oferta” di lussi di utilità “erogati” dagli ecosistemi e dalla “domanda” dell’uomo-fruitore. Domanda e oferta sono eterogenee nello spazio e nel tempo, così lussi di utilità possono avere sorgenti difuse o puntiformi. La distinzione e deinizione delle sorgenti di valore è incerta e sfumata soprattutto per quei SE che dipendono in qualche modo dalla percezione dell’utente-fruitore e dalla mediazione culturale del contesto (Plummer, 2009). Per questo motivo la complessità spaziale dei SE costituisce una frontiera e sida della ricerca applicata nell’ambito della loro valutazione e quantiicazione. Ad ogni SE può essere associato un attributo spaziale e una modalità di fruizioni (Costanza, 2008; Tab. I). Tabella I: Caratterizzazione di servizi ecosistemici secondo attributi spaziali (Costanza, 2008). Ecosystem Service Spatial characteristic Code Carbon sequestration (NEP), Carbon storage Cultural/existence value Global non-proximal (does not depend on proximity) NProx Disturbance regulation/ storm protection Waste treatment, Pollination Biological control, Habitat/rifugia Local proximal (depends on proximity) Local Soil formation, Food production/non-timber forest products, Raw materials In situ (point of use) InSitu Water regulation/flood protection Water supply, Sediment regulation/erosion control, Nutrient regulation Directional flow related: flow from point of production to point of use Dir Genetic resources, Recreation potential Cultural/aesthetic User movement related: flow of people to unique natural features UserMov Alcuni SE esistono in quanto mediati dal contesto culturale e dipendono dalle pratiche di gestione e dalle modalità di valorizzazione da parte dei soggetti che costruiscono e mantengono il contesto di questi SE, o “paesaggio culturale”. Un esempio riconosciuto a livello europeo sono le formazioni erbose a Nardus (codice 6230, in base alla direttiva Habitat Natura 2000), le quali dipendono da un pascolamento tradizionale, purché non eccessivo. Spesso è il paesaggio culturale, e il suo insieme di pratiche e risorse sociali, che ospita e sostiene una risorsa territoriale (nell’esempio, un habitat “prioritario” per la conservazione ma anche sito ricercato dal turismo naturalistico). Si possono riconoscere così sistemi socio-ecologici (Alessa et al., 2008) in cui il paesaggio culturale sostiene taluni SE e ne è a sua volta inluenzato. Special- 242 Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino mente il turismo delle Alpi dipende fortemente sia dalla dimensione culturale sia dalla dimensione ecologica dei paesaggi, che, d’altra parte, hanno una lunga storia di gestione. Lo studio si colloca nell’ambito dell’analisi dei sistemi socio-ecologici, l’obiettivo generale è quello di esplicitare processi socio-ecologici (Alessa et al., 2008; Lacitignola et al., 2007), frutto dell’interazione tra processi ecologici e sociali in un dato contesto, per distinguere e modellare possibili elementi di resilienza e innovazione di questi sistemi. Nello speciico, l’intento di questa prima fase è di esplicitare spazialmente e qualitativamente funzioni del territorio/paesaggio. Si tratta, quindi, di deinire i fattori che determinano un “valore” per il fruitore-turista, o funzionalità, e di identiicare le aree che supportano questi “valori”. Una domanda di ricerca successiva sarà quella di deinire relazioni qualitative tra intensità d’uso di una risorsa e sua funzionalità, dove sullo sfondo vi è il concetto di uso sostenibile del territorio e delle sue funzioni. Materiali e metodi Per esplicitare spazialmente e qualitativamente funzioni e “valori” del territorio si è adottata una metodologia interdisciplinare, derivando cioè metodi e approcci dalle diferenti discipline dell’antropologia, dell’economia e dell’ecologia del paesaggio e integrando (dove possibile) gli eterogenei risultati con strumenti propri dei sistemi informativi geograici (Geographical Information System, GIS). Nello speciico della prima campagna d’indagine l’attenzione è stata rivolta verso gli utilizzatori esterni del sistema valle di Ledro, in altre parole ai turisti e visitatori. In una fase preparatoria sono state raccolte informazioni sui principali “attrattori” turistici, tramite un esame dei materiali pubblicitari di analoghe valli alpine nella provincia di Trento (Valle di Non, Valle di Sole, Valli Giudicarie). Gli “attrattori” sono intesi come “fattori” di attrattività del luogo turistico, deiniti come categorie di elementi territoriali (es. il castello, il borgo storico, il prodotto locale) o di valori astratti (es. l’ospitalità, la tranquillità). Questi fattori attrattivi possono avere una collocazione territoriale e attributi spaziali che inluenzano la loro fruibilità. Ogni fattore sottende a un particolare uso o fruizione con o senza consumo, ad esempio il camminare lungo la costa del lago (fruizione senza consumo), il raccogliere funghi nei boschi (fruizione con consumo). Il valore (o anche attrattività) dipende dal tipo di uso e dall’intensità di uso, in en- 243 Rocco Scolozzi et al. trambi i casi. Nell’esempio camminare con molti altri turisti lungo il lago può diminuirne il valore. Con la presenza di molti raccoglitori ci saranno meno funghi, così il bosco diventa meno attraente. I diversi usi sono connessi a processi naturali (es. crescita dei funghi) e culturali di riconoscimento (nell’es. del lago: qualità percepita dell’acqua, quindi condizioni troiche del lago). Oggetto dell’indagine è la Valle di Ledro, territorio della dimensione di circa 150 km2, posto nel Trentino Meridionale ai conini con la Lombardia e poco distante dal Lago di Garda. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di un bacino semiartiiciale (il lago di Ledro) e da un’estesa copertura forestale; il tutto organizzato attraverso la realtà amministrativa di sei comuni che dal gennaio 2010 hanno deciso di raggrupparsi in unica unità, il comune di Ledro. La presenza antropica in Valle è caratterizzata da circa 6000 abitanti residenti e da un lusso turistico annuo di quasi centomila unità, concentrato prevalentemente nel periodo estivo (Fig. 1). Figura 1: Due vedute della Valle di Ledro: Tiarno di Sotto (sinistra), lago di Ledro (destra). Per la deinizione dei fattori più importanti per la Valle di Ledro sono stati contattati alcuni turisti attraverso un lavoro di campo (Cliford & Marcus, 1986), utilizzando 11 osservazioni partecipanti 1 e 85 interviste etnograiche (Wolcott, 2004). Per avere un’omogenea distribuzione del “campionamento” tra diverse tipologie di turista (es. sportivo, naturalista, in famiglia, pensionato) le interviste e le osservazioni sono state svolte in diferenti luoghi della valle in conformità a diverse fruizioni presupposte sulla base di una pre-analisi. Per la localizzazione dei “valori” come importanza percepita dai turisti è stato proposto un esercizio di mappatura dei valori, o value preference mapping (es. Ray1 244 L’osservazione partecipante (shadowing) è parte del Lavoro di campo. È fondamentale strumento di distinzione tra ciò che viene detto e ciò che chi osserva e partecipa vede e attesta attraverso la propria presenza e esperienza dei fenomeni sul campo (Corbetta, 1999). Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino mond et al., 2009). Tal esercizio è consistito nel chiedere di segnalare, tramite dieci adesivi verdi, su una stampa plastiicata di un’ortofoto aerea i luoghi considerati, in base alla propria esperienza e conoscenza, più importanti o cui è attribuito il maggior valore. Per i luoghi più importanti potevano essere usati più di un adesivo, ino a esaurimento dei dieci disponibili. Il rispondente doveva riferirsi a una propria soggettiva deinizione di valore (es. d’uso, di non-uso, afettivo) dei luoghi, questo per non inluire sulla valutazione. In seguito si chiedeva di individuare (con cinque nastri arancioni) i luoghi percepiti “a rischio” di perdita del valore attribuito, luoghi in qualche modo vulnerabili. L’esercizio di cartograia è stato ripetuto 62 volte coinvolgendo 105 persone. Per aggregare le valutazioni si è calcolata una somma pesata delle preferenze, in cui il peso è stato deinito dal numero di nastri verdi sullo stesso luogo. Risultati I fattori di attrazione turistica principali, più pubblicizzati (vedi analisi materiali pubblicitari) e maggiormente riconosciuti (vedi consultazione dei turisti) si possono riassumere in cinque categorie astratte tra loro parzialmente sovrapponibili: “muoversi/sport”, “vedere/panorama”, “sapori/prodotti locali”, “esperienza/scoperta culturale”, “ospitalità” (Fig. 2). Questi attrattori o categorie possono essere proiettati su oggetti del territorio. Ad esempio, il sistema malga-pascolo costituisce il luogo per “sapori/prodotti locali” e “esperienza/scoperta culturale”. Agli stessi oggetti possono corrispondere uno o più servizi ecosistemici, per l’esempio precedente: dal sistema malga emerge un valore o funzione di habitat (per la biodiversità dei pascoli alpini) e una funzione di produzione alimentare. La spazializzazione delle preferenze dei luoghi ha comportato una digitalizzazione di oggetti territoriali come riferiti dai rispondenti, in genere toponimi o siti ben riconoscibili (Fig. 3). Ovviamente tali aree (poligoni) sono da intendere solamente indicative di aree aventi una maggior “concentrazione” di valore, i cui conini sono incerti e possono essere ambigui. 245 Rocco Scolozzi et al. Figura 2: Schema concettuale delle relazioni tra “attrattori” turistici, elementi di paesaggio e servizi ecosistemici, con specifiche relazioni spaziali. Figura 3: Oggetti-luoghi del paesaggio Ledro riconosciuti dai turisti. 246 Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino Discussione e conclusioni In questa fase esplorativa d’indagine si sono deiniti i principali “attrattori”, questo ha permesso di ipotizzare le diverse fruizioni del paesaggio/sistema turistico della Valle di Ledro. Le ipotesi derivate dalla letteratura sono state validate e ainate in base ad una consultazione estesa dei turisti. L’uso di diversi approcci ha permesso una sorta di triangolazione tra riferimenti e dati. I primi risultati delle interviste e delle osservazioni dei partecipanti hanno permesso di interpretare e codiicare le mappe di valore deinite dagli stessi turisti. La percezione dei valori ambientali da parte dei fruitori fonda l’attribuzione di valori a luoghi, intesi come elementi del paesaggio. A sua volta la percezione di tali valori è inluenzata da elementi culturali (non esplorati in questa fase) e da funzioni ecosistemiche. Il riconoscimento e l’uso di talune o altre risorse territoriali, insieme alla loro gestione, modiicano il paesaggio stesso e i processi sociali ed ecologici che lo sostengono. Ad esempio al pascolo di sussistenza si sostituisce lo sfalcio incentivato da sussidi, motivati dalla frequentazione/attrazione turistica. L’esplicitazione e deinizione di “attrattori” turistici come oggetti del paesaggio supporta l’assunzione che i sistemi turistici nelle Alpi sono dei moderni sistemi socio-ecologici. La deinizione di attrattori turistici e la localizzazione dei processi di supporto a questi attrattori è un esercizio complesso. I limiti diicilmente riducibili derivano principalmente dal fatto che tali attrattori e processi non hanno una precisa collocazione territoriale e che dipendono dalla percezione soggettiva di fruitori e attori/gestori del paesaggio. Inoltre, la funzionalità degli ecosistemi è diicilmente determinabile e di conseguenza la produttività dei servizi ecosistemici derivanti può essere solo stimata e con signiicativi gradi d’incertezza. In ogni caso, localizzare tali attrattori può orientare l’attenzione sulle relazioni tra processi ecologici e quelli cognitivi del turismo, specie nel disegno di strategie di gestione o di sviluppo. Se i valori di una risorsa/processo di paesaggio sono mediati dal riconoscimento, anche la capacità portante può dipendere da percezioni e riferimenti cognitivi, vedi il caso di congestione di un sentiero o un’area pic-nic. Individuare tali possibili conlitti o semplicemente competizioni con metodi multidisciplinari può contribuire a comprendere le dinamiche di trasformazione in atto e orientare azioni per gestire la loro evoluzione. 247 Rocco Scolozzi et al. Ringraziamenti Quanto presentato in questo contributo rientra nel primo anno di attività del progetto di ricerca “Public policies and local development: innovation policy and its effects on locally embedded global dynamics” (OPENLOC), inanziato dalla Provincia Autonoma di Trento (“Linea Grandi Progetti”) e diretto dall’Università degli Studi di Trento, Facoltà di Economia (www.openloc.eu). Bibliografia Alessa, L., Kliskey, A. & Brown, G. (2008) Social-ecological hotspots mapping: A spatial approach for identifying coupled social-ecological space. Landscape and Urban Planning, 85, 27-39. Cliford, J. & Marcus, G. E. (1986) Writing culture: he poetics and politics of ethnography. California. Corbetta, P. (1999) Metodologia e tecnica della ricerca sociale. Il Mulino, Bologna. Costanza, R. (2008) Ecosystem services: multiple classiication systems are needed. Biological Conservation, 141, 350-352. Lacitignola, D., Petrosillo, I., Cataldi, M. & Zurlini, G. (2007) Modelling socio-ecological tourism-based systems for sustainability. Ecological Modelling, 206, 191-204. Plummer, M. L. (2009) Assessing beneit transfer for the valuation of ecosystem services. Frontiers in Ecology and the Environment, 7, 38-45. Raymond, C. M., Bryan, B. A., MacDonald, D. H., Cast, A., Strathearn, S., Grandgirard, A. & Kalivas, T. (2009) Mapping community values for natural capital and ecosystem services. Ecological Economics, 68, 13011315. Wolcott, H. F. (2004) he art of ieldwork. Altamira Press, Lanham, MD. 248 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico Reconstruction of a lagoon environment (mangroves) of tropical coastal areas of Veracruz, Mexico, in Naples Botanical Garden Bruno Menale, Giancarlo Sibilio* & Gioacchino Vallariello Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi Federico II, Via Foria 223, 80139 Napoli *[email protected] Abstract Nel presente lavoro, vengono presentati i mangrovieti dell’area tropicale del Messico in prossimità delle lagune di Catemaco ed è descritto il nuovo settore espositivo dell’Orto Botanico di Napoli dedicato a questi ecosistemi ed a quelli delle foreste tropicali messicane. Vengono descritte le caratteristiche tecniche del nuovo spazio espositivo ed elencate le specie attualmente messe in coltivazione. Inine viene proposta una rassegna dei beni e dei servizi ecosistemici che è possibile trattare durante le visite guidate, al ine di sensibilizzare il pubblico verso le tematiche concernenti la conservazione di questi importanti ma delicati ecosistemi. La ricostruzione del mangrovieto nell’Orto Botanico di Napoli ha consentito di realizzare uno nuovo spazio multisensoriale ed un laboratorio multidisciplinare dove afrontare i temi della conservazione. Introduzione I mangrovieti rappresentano ecosistemi complessi delle aree costiere e dei delta dei iumi delle zone a clima tropicale del pianeta. Sono foreste costituite da gruppi di piante non strettamente imparentate tra loro e con diverso habitus, in grado di tollerare la presenza di acqua salmastra con diferenti livelli di salinità e suoli regolarmente soggetti al lusso delle maree. Le mangrovie sono formazioni uniche e signiicative; la loro collocazione e le caratteristiche proprie di questi ecosistemi ne determinano una polifunzionalità nei confronti degli ecosistemi terrestri e marini. Purtroppo le aree occupate dalle mangrovie sono soggette ad una conversione in altre attività produttive, divenendo superici agricole, foreste da legna, saline e soprattutto 249 Bruno Menale et al. impianti di acquacoltura per l’allevamento dei gamberi (Ronnback, 1999). Nell’ambito di una sempre più spinta globalizzazione, le tematiche di conservazione si estendono oltre i conini di un paese. Molte comunità biologiche di importanza planetaria sono spesso ubicate in aree del pianeta depresse economicamente, dove l’uso delle risorse del territorio come fonte di sussistenza è maggiormente marcato e non esistono o non è possibile attuare piani di conservazione eicaci. La ricostruzione di un mangrovieto nell’Orto Botanico di Napoli vuole fornire un laboratorio didattico per favorire la conoscenza di un ecosistema poco conosciuto e lontano dalla realtà del Mediterraneo e promuoverne la conservazione. Il mangrovieto della Laguna di Alvarado (Veracruz) Il mangrovieto realizzato nell’Orto Botanico di Napoli è dedicato all’area della laguna di Alvarado, uno dei sistemi estuario-lagunari più produttivi della parte orientale del Golfo del Messico (Fig. 1). Questa laguna si estende lungo le coste del Golfo occupando un’area di circa 62 km2. La laguna è interamente circondata da mangrovieti prevalentemente costituiti da mangrovie rosse (Rhizophora mangle L.), mangrovie nere (Avicennia nitida Sessé & Moc.) e mangrovie bianche (Laguncularia racemosa Gaertner il.). La laguna di Alvarado gioca un ruolo cruciale nella produttività delle aree circostanti. Essa costituisce un importante sito di conservazione, ospitando molte specie minacciate di estinzione ed oltre 100 lagune minori ed interne occupate da foreste di mangrovie. Inine l’intero sistema lagunare sostiene una delle più grandi popolazioni al mondo di lamantino (Trichechus manatus L.) e naturalmente costituisce un hotspot di diversità faunistica in generale (Vazquez-Yanes, 1980; Bronzo & Barney Guillermo, 1995-1996, Finn et al. 1999; Cruz-Escalona et al., 2007). 250 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) Figura 1: Mangrovieto delle lagune interne di Alvarado, 2007 (A); segni delle variazioni del livello dell’acqua sulle radici a trampolo (B); vista da satellite della laguna di Alvarado, Veracruz, (foto satellitare di Google Maps) (C). Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli è stato realizzato all’interno di una nuova serra che a completamento sarà interamente dedicata alla coltivazione di specie viventi nelle foreste pluviali tropicali del Messico. La nuova struttura, ubicata accanto alla Serra “Merola”, sostituisce una costruzione realizzata nel 1820 e dotata di una vasca per la coltivazione delle piante acquatiche nel 1913 (Pisano, 1992; Zecchino, 2005). All’interno della serra, ampio spazio è occupato da una vasca ovoidale della profondità di 1,6 m (livello dell’acqua: 1,4 m), della lunghezza di 9,9 m e larga 6,5 m. Al ine di collocare correttamente le mangrovie, all’interno della vasca sono state realizzate tre aiuole in mattoni con pareti forate ad intervalli regolari così da permettere l’uniforme distribuzione dell’acqua e la sua circolazione. 251 Bruno Menale et al. Le mangrovie messe in coltivazione appartengono a specie comuni nell’area di Veracruz, ad eccezione di Conocarpus erectus L. Esse sono nate da semi, ovvero da embrioni essendo le specie vivipare, raccolti in alcune spedizioni botaniche; gli esemplari più vecchi collocati nella nuova serra misurano circa 2,5 m di altezza, hanno un’età di circa 10 anni ed erano tutti precedentemente coltivati nel complesso delle Serre Califano. Gli esemplari più giovani sono invece nati da piante già presenti nell’Orto Botanico di Napoli; dopo numerosi sforzi, infatti, è stato possibile mettere a punto un protocollo di coltivazione cha ha consentito la ioritura e la fruttiicazione delle piante adulte ino a produrre nuovi embrioni utilizzati per la moltiplicazione. Nella serra la temperatura dell’aria e dell’acqua della vasca, l’umidità e l’irraggiamento solare sono gestiti da un sistema computerizzato che ne consente un monitoraggio costante. La temperatura dell’aria può variare da 15 °C notturni a 30 °C diurni (in estate la temperatura diurna raggiunge i 38 °C). La temperatura dell’acqua della vasca è impostata a 22 °C, l’umidità relativa tra 50 e 75 %. Tali valori sono molto simili a quelli adottati nel progetto Biosphere 2 del Dipartimento di Biologia dell’Università Georgetown di Washington (Finn, 1996). In relazione alla salinità dell’acqua, al ine di ospitare specie galleggianti, sommerse e semisommerse, si è preferito utilizzare acqua dolce. Le mangrovie non richiedono acqua salata per sopravvivere, anzi il sale costituisce fonte di stress; in acque povere di sali il tasso di crescita tende ad aumentare. La stessa viviparia presente in alcune mangrovie sembra essere correlata al miglioramento delle capacità di sopravvivenza in acque salate; i sali tendono a ridurre la capacità di sviluppo dell’apparato radicale dei giovani embrioni (Ball et al. 1998; Takemura et al. 2000; Ye et al. 2005). La vasca presenta un circuito misto per la regolazione della temperatura ed il iltraggio dell’acqua. Attraverso una pompa sommersa parte dell’acqua ritorna ad un impianto di riscaldamento e decalciicazione, previo passaggio in un iltro a centrifuga; un sensore misura la temperatura e se questa è inferiore a quella stabilita invia l’acqua alla caldaia, facendo entrare nella vasca nuova acqua calda e decalciicata. Al ine di evitare il proliferare delle alghe e per favorire la pulizia supericiale dello specchio d’acqua, è stato predisposto un iltro “a caduta” riempito unicamente con lana vetro. In tabella I viene riportato l’elenco delle specie ospitate nella vasca. 252 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) Tabella I: Elenco delle specie ospitate nella vasca: alcune specie hanno una provenienza “esotica” rispetto al biotopo prescelto; sono state tuttavia inserite per scopi didattici o in taluni casi per le caratteristiche comuni degli ambienti di provenienza. Mangrovieto Sommerse e semisommerse Epifite Fauna Avicennia nitida Jacq. Bacopa caroliniana B. L. Rob. Cryptocereus anthonyanus Alexander Anableps anableps L. Conocarpus erectus L. B. monnieri (L.) Wettst. Epiphyllum oxypetalum (DC.) Haw. Anodonta cygnea L. Laguncularia racemosa L. Cabomba aquatica DC. Myrmecodia platytyrea Becc. Cambarellus montezumae Saussure Rhizophora mangle L. C. caroliniana A. Gray Rhipsalis capilliformis F.A.C. Weber C. patzcuarensis Villabos Acrostichum aureum L. C. piauhyensis Gardner Tillandsia aeranthos Desf. ex Steud. Gambusia affinis Baird & Gilard Ceratophyllum demersum L. T. argentea Griseb. Hyphophorus helleri Heckel Ripariale Ceratopteris siliquosa (L.) Copel. T. bailey Rose ex Small Hypostomus plecostomus L. Pachira aquatica Aubl. Echinodorus cordifolius (L.) Griseb. T. bulbosa Hook. Uca burgersi Holthius E. tenellus Buchenau T. butzii Mez Galleggianti Egeria densa Planch. T. caput-medusae E. Morren Aeschynomene fluitans Pete Eichhornia azurea (SW.) Kunth T. cyanea Linden ex K. Koch Azolla caroliniana Willd. Eichhornia crassipes Buchenau T. duratii Vis. Higrorhiza aristata Nees; Eleocharis parvula Nees & Schauer T. ionantha Planch. Lemna major Griff. Fontinalis antipyretica Hedw. T. ionantha scaposa L.B. Sm. Limnobium laevigatum Heine Hydrocotyle leucocephala Cham. & Schltdl. T. juncea Willd. ex Steud Pistia stratiotes L. H. verticillata Turcz T. magnusiana Wittm. Salvinia natans Pursh Lobelia cardinalis L. T. oaxacana L.B. Sm. S. oblongifolia Martius Ludwigia glandulosa Walter T. recurvata L. Lysimachia nummularia L. T. schiedeana Steud. Micranthemum micranthemoides Wetts. T. seleriana Mez Riccia fluitans L. T. stricta Sol. ex Sims Victoria regia Lindl. T. streptophylla Scheidew ex C. Morren T. usneoides (L.) L. 253 Bruno Menale et al. “Infopoint” dei beni e dei servizi ecosistemici offerti dai mangrovieti Il nuovo spazio espositivo dell’Orto Botanico di Napoli dedicato al mangrovieto (Fig. 2), oltre a costituire un laboratorio multidisciplinare per studi botanici, anatomici e di isiologia vegetale, rappresenta uno “strumento” utile per illustrare tematiche legate ai servizi ecosistemici oferti da questo tipo di foreste. Non sono inoltre da trascurare gli aspetti etnobotanici: sono infatti molteplici i prodotti utilizzati dall’uomo e provenienti dai boschi di mangrovie. L’immagine 6 di igura 2 riporta degli aghi in legno di mangrovia utilizzati per la tessitura delle reti; alcuni di questi aghi sono attualmente conservati presso la sezione di Etnobotanica del Museo di Paleobotanica ed Etnobotanica dell’Orto. Ronnback (1999) e Walters et al. (2008) hanno illustrato dettagliatamente i servizi ed i beni prodotti dagli ambienti di mangrovia. In particolare negli studi condotti da Walters et al. si è cercato di quantiicare economicamente i servizi oferti da tali ambienti, un approccio spesso necessario al ine di promuovere adeguati piani di conservazione. Figura 2: 1) Vista del Mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli 2) “Prop root” di Rhizophora mangle 3) Giovane embrione in fase di sviluppo 4) Infiorescenza di Laguncularia racemosa 5) Foglie di Acrostichum aureum e isola galleggiante a Salvinia oblongifolia 6) Ago (cucella) in legno di mangrovia rossa per la tessitura delle reti da pesca ad Antigua, Vercacruz, Messico. Alcuni di questi manufatti sono attualmente conservati presso la sezione di Etnobotanica del Museo di Paleobotanica ed Etnobotanica dell’Orto Botanico di Napoli. 254 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) Prodotti naturali Il numero di prodotti naturali che è possibile ricavare da un mangrovieto è notevole e può variare in funzione della ricchezza in specie. Di seguito viene presentato solo un elenco sintetico dei materiali principali: Carburanti (carbone, alcool, legna), materiali da costruzione di vario tipo, prodotti alimentari (crostacei, molluschi, pesci, tartarughe ed altra fauna, frutti e foglie commestibili, zucchero, miele, olio da cucina, bevande sostitutive del tè, aceto, bevande fermentate), utensili domestici (legno, colle, cere, incenso, ibre naturali, tinture, tannini), principi attivi (molecole farmacologicamente attive ed ancora poco studiate). Inoltre, le mangrovie forniscono materiali fertilizzanti, pesticidi naturali, carta e materie prime utili per le lavorazioni artigianali. I mangrovieti, inoltre, sono tra i principali ambienti da cui provengono pesci, piante ed altri materiali che vengono normalmente commercializzati nel prospero mercato dell’acquarioilia. Servizi ecosistemici I mangrovieti forniscono una grande varietà di servizi ecosistemici che possono essere suddivisi in servizi di supporto, di consumo, di regolazione e culturali. Sui servizi ecologici forniti dai mangrovieti, Ronnback (1999) riporta che tali ambienti proteggono da maree, uragani e inondazioni, riducono l’erosione litorale e dei iumi e forniscono un supporto bioisico ad altri ecosistemi, ad esempio bloccando i sedimenti sottili ed evitando così l’intorpidimento delle acque più al largo che altrimenti comprometterebbe gli ecosistemi di barriera corallina. Lo stesso autore, inoltre, aferma che i mangrovieti costituiscono luoghi per la crescita degli avannotti e per l’accoppiamento e l’alimentazione di molte specie ittiche; si stima che in Australia il 67 % delle specie ittiche sia dipendente dai mangrovieti (NTGA, 2009). Tali ambienti costituiscono anche luogo di riparo, nidiicazione e crescita di molte specie di uccelli stanziali e migratori, sostengono la biodiversità e le risorse genetiche, sequestrano e riciclano materiali organici, nutrienti ed inquinanti, esportano materiale organico e nutrienti, ofrono una regolazione biologica dei processi e delle funzioni ecosistemiche, costituiscono un sistema biologico di resilienza, producono ossigeno e sequestrano carbonio. Costituiscono bacini d’acqua e di ricarica delle falde sotterranee, promuovono la formazione di suolo e ne mantengono la fertilità, inluenzano 255 Bruno Menale et al. a livello globale e locale il clima, costituiscono un habitat per le popolazioni indigene, garantiscono la sussistenza delle popolazioni costiere, rappresentano un patrimonio culturale, spirituale, religioso ed artistico e costituiscono sia una fonte di informazioni scientiiche e di educazione ambientale, sia attrattori turistici e luoghi di ricreazione. Una quantiicazione economica di alcune delle funzioni ecosistemiche dei mangrovieti ci è fornita da Walters et al. (2008). Si stima, ad esempio, un valore nell’attività di iltri biologici naturali delle acque di 1193 – 5820 $ per ha/anno, mentre nella prevenzione dalle catastroi, erosione ed inondazione il loro valore può essere quantiicato in 3600 e 4700 $ per ha/anno. Inine, i mangrovieti hanno una capacità di sequestrare il carbonio stimata in 1500 kg per ha/anno. Conclusioni Attualmente si ritiene che gli ecosistemi di mangrovieto occupino una supericie inferiore ai 15 milioni di ha (stima del 2000) ed abbiano perso un quarto della loro estensione a partire dal 1980, quando era stata stimata una supericie di 19,8 milioni di ha (Wilkie et al. 2003). Le stime sulla loro estensione segnano ancora un trend negativo; soprattutto in passato molte aree sono state completamente distrutte. Nelle Filippine, tra il 1951 ed il 1988, il 67 % dei mangrovieti sono stati distrutti a favore dell’allevamento dei gamberi (Kautsky et al. 2000). Tuttavia sono numerosi gli studi che evidenziano la possibilità di operare degli interventi di ripristino degli ambienti di mangrovieto con costi contenuti e buoni risultati nell’arco di 15-30 anni. In tal caso occorre sottolineare che sarebbero necessari maggiori studi al ine di catalogare le varie tipologie di mangrovieto; tali ambienti, infatti, assumono caratteristiche diverse in funzione delle varie combinazioni di idrologia e condizioni climatiche (Lewis III, 2005). L’Orto Botanico di Napoli, nella realizzazione di un’area espositiva di foresta di mangrovieto, cerca di aprire una inestra spazio-temporale al ine di illustrare a studenti e visitatori una realtà poco conosciuta. Le mangrovie e le aree lagunari rappresentano un bene comune e la partecipazione alla loro conservazione deve essere condivisa. Oltre a rivestire una funzione didattica, l’area espositiva del mangrovieto dovrà pertanto sensibilizzare il pubblico sulla necessità di conservare questo tipo di ambiente. 256 Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto) Ringraziamenti Si ringraziano: il Prof. Paolo De Luca per aver fortemente promosso questo progetto; il Dottor Mario Vazquez Torres, dell’Università Veracruziana, per l’aiuto fornito in Messico ed in Italia; il Sig. Mario Riccio, che si dedica costantemente alla nuova area espositiva e tutto il personale delle Serre Califano che da anni segue con cura le mangrovie dell’Orto. Bibliografia Ball, M. C., Cochrane, M. J. & Rawson, H. M. (1998) Growth and water use of the mangroves Rhizophora apiculata and R. stylosa in response to salinity and humidity under ambient and elevated concentrations of atmospheric CO2. Oceanographic Literature Review, 45, 353-354. Bronzo, E. & Barney Guillermo, H. 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NTGA (Northern Territory Government of Australia) (2009) Mangrove Management in the Northern Territory “he mangrove ecosystem”. Northern Territory Government of Australia. Report. www.nt.gov.au/nreta/wildlife/nature/ pdf/mangroves /2_mangrove_ecosystem.pdf. Pisano, P. (1992) Le “Stufe dell’Orto Botanico di Napoli”, 73-80. In AA.VV. (1992). L’Orto Botanico di Napoli 1807- 1992, a cura di Tommaso Russo, Graiche Cimmino, Napoli. Ronnback, P. (1999) he ecological basis for economic value of seafood production supported by mangrove ecosystems. Ecological Economics, 29, 235-252. Takemura, T., Hanagata, N., Sugihara, K., Baba, S., Karube, I. & Dubinsky, Z. (2000) Physiological and biochemical responses to salt stress in the mangrove, Bruguiera gymnorrhiza. Aquatic Botany, 62, 15-28. Vazquez-Yanes, C. (1980) Rhizophoraceae. Flora de Veracruz. Ed. Istituto Nacional de Investigaciones sobre Recursos Bioticos, Xalapa, Veracruz, Mexico, 12, 1-10. Walters, B. B., Ronnback, P., Kovacs, J. 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Pubblicato nel 2007. 258 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici nel Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” (Lecce, Italia) Seaside tourism and perception of ecosystem’s services in the “Litorale di Ugento” Regional Natural Park (Lecce, Italy) Nicola Zaccarelli1*, Simone Zecca1, Marco Dadamo2, Irene Petrosillo1 & Giovanni Zurlini1 Laboratorio di Ecologia del Paesaggio, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Università del Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce 2 Scuola Superiore ISUFI – Settore Patrimonio Culturale: Conoscenza e Valorizzazione, Università del Salento, Ex Convento dei Padri Domenicani, Corso Umberto I, 73020 Cavallino (LE) *[email protected] 1 Abstract Il turismo balneare e la conservazione della natura in Provincia di Lecce dipendono pesantemente dalla disponibilità, dalla qualità e dalla quantità di un ampio spettro di servizi ecosistemici (SE) e dal capitale naturale (CN) del sistema della fascia costiera. Un’indagine sulla percezione dei SE e del CN rilevanti per l‘attività turistica balneare è stata avviata nell’estate del 2009 attraverso il coinvolgimento dei gestori degli stabilimenti balneari e sviluppando un apposito questionario improntato sullo schema D-P-S-I-R (Driving forces, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte). La popolazione indagata include tutti gli stabilimenti lungo il tratto di costa sabbiosa del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento”, uno dei tratti più importanti della Provincia di Lecce. I risultati mostrano come esistano diverse incongruenze nella percezione soggettiva dei SE e del CN, in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzione dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoerente fra impatti e pressioni associate alle attività di uno stabilimento balneare; iii) una scarsa sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del Parco sul valore e l’importanza del CN e dei SE. Le implicazioni di queste incoerenze di percezione sono discusse nel contesto della sicurezza ambientale (environmental security) e delle strategie di conservazione, sottolineando come l’Ente Gestore debba operare al ine di superare tali problematiche per raggiungere non solo un maggior consenso ma anche una reale eicacia nelle azioni di gestione. 259 Nicola Zaccarelli et al. Introduzione I servizi ecosistemici sono generati a scale ecologiche diferenti, a volte sovrapposte (MEA, 2003) e sono utilizzati a scale sociali multiple (Berkes et al., 2002), dando luogo a possibili discordanze e interazioni tra scale. Una situazione di discordanza si veriica quando non vi è allineamento fra le scale di variabilità ambientale e le scale sociali dell’organizzazione responsabile per la gestione (Cumming et al., 2006). Si può assistere, ad esempio, ad una mancata concordanza, in termini di scale spaziali, tra i livelli gerarchici di azione degli enti di governo e le scale di variabilità ambientale; problematiche di scala provinciale, vengono afrontate, invano o in maniera errata, a livello comunale. In altre situazioni, i tempi di azione degli enti di governo, condizionati da speciiche scadenze, diicilmente riescono ad operare in linea con le scale della variabilità ambientale. Ma fenomeni di discordanza spazio-temporale si veriicano altresì quando non vi è concordanza tra le scale di variabilità ambientale e le scale di azione degli utilizzatori o dei fruitori di un territorio. Una percezione discordante delle interazioni che possono stabilirsi tra le modalità di svolgimento di una attività economica o di utilizzazione di un territorio e le reali dinamiche ambientali, può generare o ampliicare problematiche di ‘governance’. Il mancato allineamento tra le scale di variabilità ambientale e quelle sociali di azione delle autorità politiche o degli utilizzatori di un territorio può inquadrarsi nell’ottica della sicurezza ambientale, qualora si coniguri una situazione di rischio o fragilità per i servizi ecosistemici (ES) o per il capitale naturale (CN). In tal caso si evidenzia la necessità di analizzare, sia in senso oggettivo che soggettivo, le potenzialità di perdita di ES o di CN, dovute ad una discordanza scalare (Zurlini & Müller, 2008). Un sistema turistico basato sulle risorse naturalistiche rappresenta un esempio di sistema socio-ecologico (SES); (Gunderson & Holling, 2002) particolarmente complesso, in cui si assiste ad una stretta interazione di problematiche sociali, economiche ed ambientali, che non possono essere valutate isolatamente (Vitousek, 1997; Funtowicz & Ravetz, 2001). Il CN e numerosi ES ad esso associato costituiscono il fondamento dell’attrattività di una località turistica. Una loro perdita determinerebbe il declino di un sito turistico. Nel caso in cui sia necessario contemplare esigenze di conservazione e tutela della biodiversità, in quanto trattasi di aree protette di particolare pregio e di esigenze di fruizione turistica, si rivela estremamente utile un continuo monitoraggio 260 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici degli impatti ambientali dovuti al turismo e dell’eicienza delle politiche e degli strumenti adottati per gestirli (analisi oggettive) nonché, allo stesso tempo, della percezione delle risorse ambientali, della consapevolezza dell’impatto ambientale e della eventuale volontà a mitigarlo da parte dei portatori di interessi (analisi soggettive). È in quest’ottica che il presente lavoro ha inteso valutare la percezione dei ES e del CN da parte dei gestori degli stabilimenti balneari operanti lungo la fascia costiera del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” (P.N.R.). Obiettivo di tale analisi è l’identiicazione degli aspetti problematici connessi alla visione di tipo “aziendale” del portatore di interessi (lato soggettivo), per poter identiicare i possibili rischi connessi alla sicurezza dei servizi e supportare lo sviluppo di un’adeguata regolamentazione da parte dell’Ente Parco. Ai ini di una corretta interpretazione dei risultati dell’indagine percettiva, è stato fondamentale realizzare preliminarmente un’attenta analisi di caratterizzazione oggettiva dell’area di studio per ciò che concerne gli aspetti ambientali e socio-economici. Area di studio L’indagine ha coinvolto i gestori degli stabilimenti balneari ricadenti all’interno dei conini del P. R. N. “Litorale di Ugento” (L.R. n. 13 del 23/05/07) (Fig. 1). L’economia del Comune di Ugento è legata al settore agricolo ed a quello dell’accoglienza turistica, che presenta caratteri di marcata stagionalità e di forte specializzazione nelle tipologie di servizi oferti (Zecca, 2006). L’area presenta un campeggio, 6 villaggi turistici ed appartamenti privati nelle marine di Torre San Giovanni, Torre Mozza e Lido Marini, con un totale di circa 23.000 posti letto contro una popolazione residente al 2008 di 12.073 unità. Nei suoi otto chilometri il tratto di costa indagato ospita 25 stabilimenti balneari a gestione principalmente familiare (Fig. 2), che operano da almeno 10 anni e presentano un totale di circa 2.700 ombrelloni. 261 Nicola Zaccarelli et al. Figura 1: Inquadramento del P.N.R. “Litorale di Ugento” e dettaglio della località di T. San Giovanni con indicazione delle principali fonti di pressione che agiscono sull’arenile. Sono indicati i perimetri degli stabilimenti balneari dell’area (in nero), i varchi nel cordone dunale (pallini rossi), la posizione dei parcheggi retrodunali (in viola) e nell’inserto un esempio delle strutture degli stabilimenti. Figura 2: Localizzazione degli stabilimenti balneari lungo la costa del P.N.R. “Litorale di Ugento” che hanno (in verde) e non hanno (in rosso) compilato il questionario. In viola l’area del parco. 262 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici La costa di Ugento mostra i caratteri tipici delle spiagge della Provincia di Lecce per dimensione, servizi ed infrastrutture per l’accoglienza, esempliicando le problematiche croniche dell’uso balneare delle coste leccesi (Fig. 1): elevato livello di afollamento sia di turisti che di stabilimenti; danni difusi al cordone dunale con formazioni di tagli per l’accesso alla spiaggia; degrado della fascia dunale e retrodunale per abbandono di riiuti; presenza di “parcheggi temporanei” (ad es. incolti o campi non coltivati) in area retrodunale in assenza di uno speciico reticolo stradale; forte dinamicità della linea di costa con gravi processi erosivi in atto; depositi stagionali ingenti di foglie di Posidonia oceanica (circa 3.000 m3 su km x anno). Il pregio del Parco è dimostrato dall’elevata diversità loristica (400 taxa sui 1300 dell’intero Salento, con 251 generi, 70 famiglie e 12 endemismi; Marchiori et al., 1996), da una forte rappresentatività degli habitat tipici dell’area mediterranea, dalla presenza di un sito della Rete NATURA 2000, e dal ruolo di stepping stone per l’avifauna assunto dall’area palustre e dai bacini artiiciali di boniica per le rotte di numerosi migratori. Materiale e Metodi Per valutare la natura ed il grado della percezione dei gestori degli stabilimenti balneari in merito al CN ed ai SE è stato predisposto un questionario a scelta multipla compilato direttamente dal soggetto intervistato, somministrato ai 25 gestori dell’area all’inizio della stagione turistica (aprile-giugno 2009). L’espressione della preferenza poteva avvenire attraverso la selezione di un’alternativa e con l’indicazione su scala ordinale. L’intervistatore ha presentato genericamente l’attività di ricerca ed ha indicato l’ailiazione universitaria e con l’Ente Gestore del Parco. Non sono state fornite informazioni relative ai quesiti se non al termine della compilazione. Sono state elaborate 17 domande, formulate in un linguaggio piano e non specialistico. Il questionario è stato organizzato in tre sezioni. La prima per la raccolta di dati generali sul gestore (es. età, sesso e livello di istruzione). La seconda per la raccolta di informazioni relative al CN e SE del contesto territoriale nel quale l’attività del gestore si inserisce. La terza per indagare gli elementi speciici del CN e dei SE legati direttamente all’attività economica del gestore. La seconda e terza parte presentano domande in blocchi che seguono lo schema D-P-S-I-R (EEA, 1995). Fissato dalla scelta del settore economico del turismo balneare (cioè il determinante), troviamo domande relative alle possibili forme di pressione, ai caratteri 263 Nicola Zaccarelli et al. degli elementi naturali (cioè lo stato), agli impatti ed alle modalità di coinvolgimento dei gestori nelle azioni di tutela e valorizzazione del parco. Per le diverse domande e per blocchi di domande (in base allo schema D-P-SI-R) sono state calcolate le proporzioni delle risposte rispetto al totale. Mentre il test di Kolmogorov-Smirnov per due campioni indipendenti è stato impiegato per confrontare le distribuzioni delle risposte. Solo una parte dei risultati è presentata in questo contributo, mentre per maggiori dettagli si rimanda al corresponding author. Risultati e Discussione Sul totale di 25 stabilimenti, 5 hanno riiutato di compilare il questionario con rimostranze varie legate alle attività condotte dall’Ente Gestore del Parco (Fig. 2). Dei partecipanti 15 erano uomini e 5 donne. Dieci gestori avevano un’età superiore ai 36 anni, mentre 2 maggiore di 50. Il livello di istruzione prevalente è il diploma, con un solo laureato e 6 titolari di una licenza media. Tabella I: a-f: Risultati di alcune domande presenti all’interno del questionario somministrato. 264 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici Le tabelle 1-a e 1-b riportano le proporzioni di risposte ottenute in merito a quesiti inerenti lo stato del CN rispetto ad una valutazione di contesto generale del parco e della speciica zona dello stabilimento, rispettivamente. Valori elevati sulla qualità e consistenza del CN sono molto frequenti quando si guarda all’intero Parco, con l’eccezione dello stato dei bacini che presentano tendenze opposte. Mentre a livello di stabilimento la percezione cambia, con punteggi meno elevati ed una decisa 265 Nicola Zaccarelli et al. stroncatura dei bacini (cioè puzza ed insetti sono le cause principali). Inoltre intervistati sul valore delle foglie spiaggiate di Posidonia, più della metà dei gestori le considera un problema (0,60) poiché “non piace ai bagnanti” e meno di un terzo ne apprezza l’importanza quale indicatore di qualità delle acque e fattore di difesa dall’erosione costiera. Le tabelle 1-c e 1-d mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di domande sulle pressioni e le minacce a livello di parco e di stabilimento che possono degradare il CN ed i SE. Vi è una marcata coerenza nei punteggi globali nel considerare le sorgenti di pressione come reali cause di trasformazione del territorio poiché poco meno della metà delle risposte identiica le opzioni come reali minacce. Mentre nel dettaglio delle voci emerge come aspetti legati al traico veicolare ed all’afollamento della spiaggia non siano considerati pressioni, probabilmente perché direttamente legati all’attività dello stabilimento. Le tabelle 1-e e 1-f mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di domande sugli impatti che deteriorano il CN ed alterano il livello dei SE considerati sia a livello di parco che di stabilimento. Per entrambi i livelli, la maggiore proporzione di risposte (superiore a 0,67) individua i fattori proposti come elementi di impatto nell’immediato (risposta “Sì”). Importante è però il dato a livello di stabilimento che vede nella “qualità delle acque del mare” un elemento degradato, rilevando una precisa distorsione nel giudizio mediato dalla percezione del gestore che si contrappone al giudizio di balneabilità delle acque espresso dalle misurazioni di ARPA Puglia e che è dettata principalmente dalla presenza di foglie di Posidonia e da riiuti spiaggiati. Confrontando la distribuzione dei punteggi globali per i blocchi di domande relative a pressioni ed impatti per i due livelli di indagine emerge una diferenza statisticamente signiicativa (probabilità inferiore a 0,05): la percezione presenta livelli superiori per gli impatti, mentre è inferiore per le fonti di pressione che possono in seguito trasformarsi in impatto, questo sia a livello di parco che di stabilimento. Inine, nel blocco di domande relativo alla sezione “risposte” emerge a livello generale che i gestori preferirebbero essere coinvolti nelle attività di tutela e valorizzazione del parco principalmente o attraverso la loro associazione di categoria (0,28) o con incontri pubblici (0,32). Mentre intervistati su cosa farebbero loro per meglio gestire le bellezze naturali del parco la risposta più frequente è stata “rimuovere i parcheggi retrodunali ed attivare un servizio navetta” (0,40), seguita da “regolamentare ed attrezzare gli accessi al mare sulle dune” (0,38). 266 Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici Conclusioni I risultati mostrano l’esistenza di diverse incongruenze nella percezione soggettiva dei SE e del CN; in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzione dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoerente fra pressioni e impatti associati alle attività di uno stabilimento balneare; iii) esiste pure una scarsa sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del Parco sul valore e l’importanza del CN e dei SE. La lettura del territorio, emersa dai risultati dei questionari, evidenzia una situazione di discordanze scalari, ove si contrappone una “visione utilitaristica” di breve termine in contrasto con le diverse entità temporali delle dinamiche ambientali. Le implicazioni di queste incoerenze di percezione, discusse nel contesto della sicurezza ambientale e delle strategie di conservazione, devono indurre l’Ente Gestore ad operare non solo attraverso una maggiore regolamentazione delle attività, ma anche con strumenti partecipativi e con attività di sensibilizzazione. In tal modo, nell’ottica del superamento di tali problematiche, sarà possibile raggiungere un maggior consenso ma anche una reale eicacia nelle azioni di gestione. Un primo passo per afrontare le discordanze spazio-temporali è la consapevolezza dell’esistenza di un’incoerenza fra scale ecologiche dei servizi e scale sociali (Cumming et al., 2006). La soluzione ai problemi ambientali dei sistemi costieri, odierni e futuri, non può prescindere da uno studio ed un’analisi trans- e interdisciplinare delle diferenti modalità di interazione, succedutesi nel tempo, tra la componente antropica e quella naturale. 267 Nicola Zaccarelli et al. Bibliografia Berkes, F., Colding, J. & Folke, C. (2002) Linking Social and Ecological Systems: Building Resilience for Complexity and Change. Cambridge University Press, Cambridge. Cumming, G. S., Cumming, D. H. M. & Redman, C. L.(2006) Scale mismatches in social-ecological systems: causes, consequences, and solutions. Ecology and Society, 11(1), 14. EEA – European Environmental Agency (1995) Europe’s Environment. he Dobris Assessment, Copenhagen. Funtowicz, S. O. & Ravetz, J. (2001) Post-Normal Science: Environmental Policy Under Conditions of Complexity. Available at: http://www.jvds.nl/pns/pns.htm. Gunderson, L. H. & Holling, C. S. (2002) Panarchy: Understanding Transformations in Human and Natural Systems. Washington, DC, Island Press. Marchiori, S., Gennaio, R. & Piccinno, A. (1996) Segnalazioni Floristiche Italiane, Inform. Bot. Ital, 844 (28), 271272. Millennium Ecosystem Assessment [MEA] (2003) Ecosystems and Human Wellbeing. Island Press,Washington, DC. Vitousek, P. M. (1997) Human domination of earth ecosystems. Science, 278, 5335. Zecca, S. (2006) Dinamiche paesistiche nella pianiicazione territoriale: il caso del Parco Regionale “Litorale di Ugento”. Tesi di laurea in Valutazione di Impatto e Certiicazione Ambientale, Università degli Studi di Lecce. Zurlini, G. & Müller, F. (2008) Environmental security. In: Sven Erik Jorgensen and Brian D. Fath Editor-in-chief. Systems Ecology. Encyclopedia of Ecology. Elsevier, Oxford, 2, 1350-1356. 268 Educazione ambientale oggi Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze in ambiente mediterraneo Local approach to environmental education: lessons from two Mediterranean experiences Lucia Fanini1*, Mohamed ElGtari2, Soumia Fahd3 & Felicita Scapini1 Dipartimento di Biologia Evoluzionistica, Università di Firenze, via Romana 17, 50125 Firenze Dipartimento di Biologia, Università di Gafsa, Cité Ennour, Route Kasserine, 2100, Gafsa (Tunisia) 3 Dipartimento di Biologia, Università Abdelmalek Essaâdi, Faculté des Sciences de Tétouan, BP 2121, Tétouan (Marocco) *[email protected] 1 2 Abstract Sono riportate due esperienze di educazione ambientale rivolte alle scuole primarie in Tunisia e Marocco. Partendo da un approccio all’ambiente locale e “domestico” sono state analizzate a) le fonti di informazione disponibili ai bambini e alle bambine di città e campagna per la formazione di una coscienza ambientale e b) la conoscenza dei concetti proposti loro dalle fonti di informazione: programmi scolastici, TV e contesto sociale. Dai risultati emerge l’importanza dell’integrazione e dell’aggiornamento delle conoscenze in ambito ecologico, per formare nei cittadini di domani una coscienza ambientale corretta e al tempo stesso legata al dominio afettivo. Introduzione Alcuni dei risultati ottenuti in progetti euro-mediterranei di ricerca MEDCORE e WADI sono stati difusi direttamente nelle scuole primarie dei siti di studio, per favorire la comunicazione diretta tra ricercatori, insegnanti e bambini e fornire loro informazioni che li riguardano da vicino (che altrimenti, se difuse esclusivamente con articoli internazionali e comunicazioni a congressi, rimarrebbero a loro precluse). Le esperienze riportate di seguito hanno quindi carattere locale, ma possono essere considerate in un’ottica più ampia, permettendo attraverso un processo di upscaling la considerazione di eventuali proprietà emergenti dell’intero sistema (sensu Marten, 2001). L’ambiente trattato è quello “domestico” per i bambini e le 271 Lucia Fanini et al. loro famiglie: la spiaggia nel caso della città tunisina di Nefza e gli habitat dell’erpetofauna endemica nel caso della valle di Oued Laou in Marocco. Nel primo caso, la spiaggia è fonte di ingressi economici attraverso le attività turistiche, ma è anche legata ad attività tradizionali come la pesca di sussistenza e l’artigianato (che utilizza piante della duna, come Ammophila arenaria). Nel secondo caso, il passaggio della gestione dell’acqua dalle autorità tradizionali di villaggio (jma’a) alla gestione governativa sta mettendo a rischio le infrastrutture tradizionali (pozzi, sorgenti e canali di irrigazione – saquìas), a loro volta legate al biota locale e nello speciico all’erpetofauna (Campo Muñoz, 2007). In questo contesto, già ricco di contrasti, è stato istituito nel 2006 il Parco Nazionale di Talassemtane, riserva Man And Biosphere (MAB) dell’UNESCO, ma ben poco percepito dagli abitanti che vivono all’interno dell’area del Parco. In entrambi i casi è evidente un contrasto tra modelli di sviluppo estremamente diversi, che riportano a dinamiche comuni a buona parte delle zone costiere del Mediterraneo, andando oltre la dimensione locale: pressioni (spesso esterne, come il turismo stagionale e la costruzione improvvisa e sregolata di nuove infrastrutture) insistono sull’ambiente ecologico e socio-culturale, che viene a trovarsi in un contesto diicile, in cui tradizione e modernità vengono presentate come inconciliabili anziché mutuamente utili per una gestione sostenibile dell’ambiente locale. L’educazione ambientale agisce spesso su concetti già esistenti nel background culturale individuale, ma che possono essere errati o obsoleti. Un’azione di educazione ambientale dovrebbe identiicare innanzitutto i concetti e le informazioni problematiche, e sostituirli con concetti ed informazioni corretti ed aggiornati (Elamé, 2002). Scopo generale delle nostre attività era proporre una visione aggiornata dell’interazione uomo-ambiente, in cui l’azione umana non è più contrapposta alle dinamiche naturali, ma vi è integrata: le caratteristiche ecologiche di un ambiente, integrate dalla conoscenza del contesto socio-culturale ed economico, portano alla considerazione dell’ecologia come parte integrante del sistema sociale che in quell’ambiente si è sviluppato (Marten, 2001). In entrambi i casi, la scuola pubblica è stata considerata essenziale per il coinvolgimento della maggior parte dei bambini in età scolare, che probabilmente, almeno nelle zone rurali, abbandoneranno gli studi prima della scuola secondaria. Sono state quindi analizzate le fonti di informazione disponibili e utilizzate dai bambini, così come la conoscenza dei concetti relativi all’ambiente locale ed alle relazioni uomo-ambiente. Dai risultati ottenuti nei contesti locali sono state derivate indicazioni per l’integrazione delle conoscenze relative alle relazioni uomo-ambiente in un contesto più ampio. 272 Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze Materiali e metodi Sono state coinvolte scuole primarie pubbliche (sia in Marocco che in Tunisia sono in atto crescenti sforzi per far rispettare l’obbligo scolastico, sia per i bambini che per le bambine, UNSD, 2008). Attività e questionari sono stati sono stati discussi con i ricercatori e gli insegnanti locali per garantire la pertinenza e l’adattamento al contesto locale e sono stati sottoposti dagli insegnanti ai bambini degli ultimi due anni della scuola primaria, che da programma scolastico avevano già efettuato lezioni di educazione ambientale. I questionari comprendevano una caratterizzazione del bambino partecipante (genere e provenienza da ambiente urbano o rurale) e domande raggruppabili secondo temi ecologici generali. Nel caso di Nefza, il questionario è stato proposto ai bambini prima e dopo l’esperienza di educazione ambientale, per un’analisi post-hoc. Inoltre, una parte introduttiva chiedeva di indicare eventuali fonti di informazione ambientale oltre i programmi scolastici, suddivise in “generali” (TV, libri) e “locali” (andare in spiaggia, parlare in famiglia, partecipare a clubs culturali della scuola). Nel caso di Oued Laou, il questionario era volto all’analisi delle fonti di informazione ambientale, perciò è stato proposto una volta sola, in occasione dell’esperienza di educazione ambientale e della consegna del libro. I questionari completi sono scaricabili da: http://www.medcore.unii.it/methodologies_medcore.htm e http://www.wadi.unii.it/methodology_children_questionnaire_herpetofauna.pdf. La gita al mare (Nefza) Abbiamo considerato la gita scolastica come uno strumento di apprendimento preferenziale, attendendoci un maggiore coinvolgimento emotivo e l’aumento della predisposizione all’approccio inquiry-based (Hargreaves, 1994); in questo caso la meta della gita era la spiaggia a pochi chilometri di distanza dalla scuola e i bambini erano accompagnati dai ricercatori, con cui discutevano le domande del test. Dettagli in Fanini et al. (2007). La diferenza tra le risposte alla stessa domanda prima e dopo la gita in spiaggia è stata analizzata mediante ANOVA per genere e ambiente di provenienza (urbano e rurale) dei bambini. Nei questionari era inoltre presente l’opzione “non so”, la cui scelta è stata utilizzata come indicatore di incertezza/ di concetti non chiari (Fanini et al., 2007). 273 Lucia Fanini et al. Il libro illustrato (Oued Laou) Abbiamo considerato lo storytelling come l’approccio più adatto a temi così complessi come la situazione di transizione che si sta veriicando nella valle di Oued Laou: una storia raccontata permette di integrare dati quantitativi e qualitativi e di spiegarli, associandoli sia alla realtà che all’immaginario (Zellmer et al., 2006). Nel racconto erano presentati anibi e rettili, il wadi Laou (un wadi è un corso d’acqua con variazioni stagionali di portata), il Parco Nazionale di Talassemtane. Per realizzare un libro che raccontasse una storia sull’ambiente locale sono stati coinvolti i disegnatori dell’Accademia di Belle Arti di Tétouan (Fanini, 2008; libro disponibile su richiesta all’autore). Nel caso di Oued Laou, per l’identiicazione delle fonti di informazione utilizzate è stata analizzata la similarità per genere e ambiente di provenienza tra le risposte al test mediante le routines del software PRIMER (generalmente utilizzato per l’analisi di biodiversità, in questo caso rappresentata dalla diversità di risposte ottenute nei questionari) (Fanini & Fahd, 2009). Risultati A Nefza il campione includeva 34 maschi e 24 femmine; 42 bambini provenienti da zone urbane e 16 da zone rurali. Tutti i partecipanti all’attività utilizzavano fonti di informazione extrascolastiche sia di tipo generale che locale. L’analisi non ha riscontrato diferenze signiicative né per genere né per provenienza dei bambini, né per l’interazione dei due; i risultati sono quindi riportati relativamente all’intero campione. Le domande sull’ambiente isico della spiaggia (Tab. I, domande 1-3) hanno registrato un rilevante aumento di risposte corrette nel test efettuato dopo l’attività. I temi delle domande relative al biota della spiaggia (Tab. I, domande 4-6) sono invece risultati piuttosto chiari già prima dell’attività, quindi l’aumento di risposte corrette è stato inferiore rispetto al primo gruppo. Le risposte alle domande sugli impatti e sull’utilizzo della risorsa spiaggia (Tab. I, domande 7-10) sono risultate il gruppo con variazione più eterogenea tra risposte fornite prima e dopo il test. Nella valle di Oued Laou, il campione includeva 38 maschi e 38 femmine; 25 bambini provenienti da zone urbane e 49 da zone rurali. L’analisi della similarità (su matrice Bray-Curtis) ha evidenziato un background comune tra risposte del 60,62 %; per questo motivo anche in questo caso l’analisi delle risposte fornite al questionario è stata efettuata sull’intero campione. 274 Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze Tabella I: Risultati (valori riportati in percentuali arrotondate) del test sottoposto ai bambini prima e dopo la gita in spiaggia. Accanto alle risposte corrette è stato riportato il valore della risposta “non so”, utilizzato come parametro di incertezza e di mancanza di concetti chiari. Domanda 1. Cos’è una spiaggia? prima dell’attività dopo l’attività aumento di risposte corrette risposta corretta non so risposta corretta non so 39 12 96 2 57 2. Da dove viene la sabbia? 16 14 70 3 54 3. Come si formano le dune? 49 3 95 0 46 4. C’è vita in una spiaggia?° 67 12 100 0 33 5. Esistono animali che passano tutta la loro vita in spiaggia?° 67 16 97 0 30 6. Ci sono esseri viventi che contribuiscono alla conservazione della spiaggia? 72 12 95 2 23 7. Ci sono cose che puoi trovare sulla spiaggia, anche se sono estranee a questo ambiente? 21 31 66 7 45 8. Quali sono le cose e le attività che possono danneggiare una spiaggia? 51 2 74 10 23 9. Cosa possiamo fare per mantenere una spiaggia di buona qualità? 84 0 89 0 5 10. Quali sono i comportamenti corretti da tenere durante una gita al mare? 23 4 63 0 40 I risultati hanno evidenziato una prevalenza dell’esperienza diretta per quanto riguarda l’informazione sulle componenti dell’ambiente (Tab. 2, gruppo a.), una prevalenza dell’informazione proveniente dalla scuola per quanto riguarda le connessioni tra componenti dell’ambiente, uomo incluso (Tab. 2, gruppo b) e, nonostante un Parco Naturale sia ritenuto un beneicio sia per l’uomo che per l’ambiente, l’informazione sull’esistenza del Parco Nazionale di Talassemtane, di cui le due scuole rurali fanno parte, è risultata molto scarsa (Tab. 2, gruppo c). In entrambi i casi un risultato indiretto ma degno di nota è stata la grande attenzione rivolta dalle autorità locali alle esperienze di educazione ambientale e la richiesta di riproporle. 275 Lucia Fanini et al. Tabella II: Risposte ai questionari proposti agli scolari della valle di Oued Laou (valori riportati in percentuali arrotondate). La percentuale di risposte affermative, su cui sono poi state calcolate le altre percentuali, è riportata a fianco della prima domanda. In grassetto la risposta più frequente. Gruppo a. componenti dell’ecosistema Hai mai visto… Se sì, dove: si in natura TV In vendita al mercato 93,2 70,4 63,3 17,0 una salamandra 37,5 28,4 11,4 NA un rospo 60,0 50,0 27,3 NA una tartaruga Gruppo b. connessioni tra componenti dell’ecosistema. Acqua e uomo. Sapevi che… Se sì, come l’hai imparato? si famiglia scuola amici osservazione personale TV gli anfibi hanno bisogno di acqua per sopravvivere 86,4 15,9 43,2 12,5 17 23,9 le persone hanno bisogno di acqua per sopravvivere 80,7 23,9 46,6 14,8 12,5 23,9 ci sono problemi dovuti alla mancanza d’acqua 100,0 30,7 60,2 14,8 14,8 38,6 ci sono problemi dovuti all’inquinamento dell’acqua 100,0 30,7 60,2 16,0 21,6 44,3 Gruppo c. un esempio di gestione dell’ambiente: istituire un Parco naturale Un Parco naturale è… un’area in cui tutte le attività umane sono proibite 10,2 un’area che lo Stato ha deciso di gestire 21,6 un’area dedicata alla tutela ambientale 29,5 un’area dedicata alla tutela dell’uomo e dell’ambiente 79,5 Sapevi che… è stato istituito il Parco Nazionale di Talassemtane 50,0 276 Se sì, come l’hai saputo? famiglia scuola amici osservazione personale TV 14,8 5,7 10,2 30,7 29,5 Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze Discussione Tutti i bambini coinvolti hanno mostrato la stessa predisposizione all’apprendimento e le stesse occasioni di esperienza diretta a prescindere da genere e provenienza da zone di città o di campagna, nonostante in contesti come quello tunisino e marocchino i ruoli sociali maschili e femminili determinino diferenti ranges d’azione (ad esempio, le bambine delle zone rurali generalmente aiutano le madri nell’approvvigionamento di acqua potabile). L’età scolare è probabilmente un fattore che predomina su questi aspetti. Si tratta infatti di un’età in cui i bambini cominciano a rivolgere l’attenzione all’ecosistema nella sua interezza, per comprenderne le componenti e le dinamiche (Kidd & Kidd, 1996). I risultati indicano un utilizzo dei diversi strumenti disponibili per la formazione del bagaglio individuale di conoscenze ambientali, tra di essi la TV svolge un ruolo rilevante, anche se limitato ad alcuni ambiti (immagini di animali; buone pratiche ambientali). Tuttavia i media tendono a dare un’immagine generica (e in alcuni casi decisamente esotica) dell’ambiente, e i programmi scolastici non prevedono applicazioni locali dei concetti trasmessi. Di conseguenza questo tipo di informazione, se non mediata e adattata al contesto domestico, rischia di perdere eicienza (Iozzi, 1989). Una possibile integrazione a livello locale poteva essere svolta dalle famiglie, ma il loro ruolo in questo è risultato poco rilevante, probabilmente perché le pressioni contrastanti che insistono sugli abitanti delle zone considerate, riguardanti i loro modelli di sviluppo, hanno creato una situazione di confusione, per cui le famiglie hanno smesso di fornire informazioni sull’ambiente, non ritenendole più valide. Considerando le lezioni derivanti da entrambe le esperienze, emerge la necessità di una maggiore attenzione alle realtà locali anche da parte di quegli strumenti che, come scuola e TV, spesso forniscono informazioni esclusivamente di tipo generale. Le conoscenze ambientali, oltre ad essere acquisite per esperienza diretta dai bambini, dovrebbero essere integrate sia da mezzi potenti come la scuola e i media, sia dalle famiglie e comunità locali, per facilitare l’interiorizzazione dei concetti e creare la possibilità di stabilire legami tra ambiente e dominio afettivo (Vaughan et al., 2003). Per una corretta integrazione delle informazioni e un eiciente utilizzo di mezzi di comunicazione molto diferenti tra loro dovrebbe essere evitata per quanto possibile la settorializzazione in ambito formativo (Morin, 2000): i bambini, futuri cittadini, se educati a percepire i legami esistenti tra vita sociale, economia, approccio scientiico ed ecologia, avranno la possibilità di efettuare delle scelte consapevoli. Infatti in assenza di una completa consapevolezza del proprio ambiente e delle rela- 277 Lucia Fanini et al. tive dinamiche, è probabile che continuino a sfuggire alcuni concetti che vanno oltre la sfera prettamente ecologica, come il fatto che la qualità ambientale rappresenta la base per un’equità sociale. Gli articoli pubblicati relativamente ai singoli casi di studio sono scaricabili da http://www.iopan.gda.pl/oceanologia/49_1.html#A9 e http://www3.interscience.wiley.com/cgi-bin/fulltext/122414072/PDFSTART La metodologia relativa all’attività in spiaggia è stata inoltre presentata dal CORDIS come risultato da promuovere nel Technology Marketplace http://cordis.europa.eu/fetch?CALLER=NEW_RESU_TM&ACTION=D&QF_EN_RCN_A=43544 Bibliografia Campo Muñoz, A. (2007) La conservación de los anibios en el parque Natural de la Sierra de Mariola a través de la gestión del paisaje mediterráneo. Fundación Llar de Mariola, Banyeres de Alicante. Elamé, E. (2002) Intercultura, ambiente, sviluppo sostenibile. Quaderni dell’interculturalità 23, EMI, Bologna. Fanini, L. (2008) Cosa c’è dietro una storia a fumetti … interdisciplinarietà e collaborazioni a disposizione dei bambini della valle del wadi Laou, Marocco. Eco 5 anno XX/150, 36-37. Fanini, L., ElGtari, M., Ghlala, A., ElGtari-Chaabkane, T. & Scapini, F. (2007) From researchers to primary school: dissemination of scientiic results on the beach. An experience of environmental education at Nefza, Tunisia. Oceanologia, 49, 145-157. Fanini, L. & Fahd, S. (2009) Storytelling and environmental information: Connecting schoolchildren and herpetofauna in Morocco. Integrative Zoology, 4, 178-185. Hargreaves, L. J. (1994) Attributes to meaningful ield trip experiences. Master of arts thesis, Faculty of Education, Simon Fraser University. Iozzi, L. A. (1989) What Research Says to the Educator Part One: Environmental Education and the Afective Domain. Journal of Environmental Education, 20, 3-9. 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Ecological complexity, 3, 171-182. 278 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici A guide for observing and studying freshwater microorganisms Annastella Gambini*, Alfredo Broglia & Antonella Pezzotti Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, 20126 Milano *[email protected] Abstract Utilizzare un microscopio a scuola è indubbiamente afascinante per gli studenti, attirati dalla potenzialità dello strumento e dalla curiosità di scoprire un mondo che non si vede a occhio nudo. Tuttavia questa attività è spesso diicile da afrontare, sia per gli insegnanti della scuola di base sia per quelli delle scuole superiori senza una speciica formazione in biologia. Se il vetrino non è ben preparato, se l’insegnante non sa bene dove eseguire i prelievi, e non riconosce le peculiarità delle “particelle” che si spostano spesso molto velocemente si assiste in breve tempo ad una perdita di attenzione da parte degli studenti e nel rapido svanire di qualunque interesse per l’osservazione. La guida qui descritta vuole essere un valido supporto alle osservazioni di microrganismi che si trovano frequentemente in pozze, stagni, fontanili, ecc.. Le fotograie riproducono gli organismi a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni diverse (mentre si spostano alla ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano forma, ecc.). Il riconoscimento avviene confrontando quello che si vede al microscopio con quanto riportato nelle schede della guida che fornisce inoltre alcune informazioni sulla biologia degli organismi e sull’ambiente acquatico in cui vivono. L’utilizzo di questo strumento didattico, ancora in fase sperimentale, consente di organizzare il lavoro al microscopio anche senza la guida di un esperto. Alla ine dell’attività è possibile scoprire che una vorticella, un rotifero, un ciliato… hanno moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per procurarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Organismi tanto piccoli e osservati con poco interesse, spesso solo attraverso le pagine di un libro, possono così diventare un po’ più familiari, far sorgere nuove domande e discussioni fondamentali sugli ambienti in cui vivono: ecosistemi da rispettare e conservare sul territorio vicino a noi. 279 Annastella Gambini et al. Introduzione: ideazione e realizzazione della guida “Vita e segreti dei microrganismi acquatici. Guida per l’osservazione e lo studio” Il fascino subito dagli studenti quando sono invitati a utilizzare il microscopio consiste principalmente nell’avvicinarsi allo strumento usato dai ricercatori, nell’andare nello spazio “magico” del laboratorio, attirati, forse solo in parte, dalla curiosità di scoprire oggetti che non si vedono a occhio nudo. Capita spesso che gli insegnanti della scuola di base impieghino i pochi fondi a disposizione per il laboratorio per l’acquisto di microscopi. Vengono convinti ad acquistare strumenti obsoleti, talvolta pagati più di quel che valgono, li preparano allineati sul bancone e (spesso) conducono i ragazzi al loro utilizzo senza averli mai provati prima. Fanno osservare capelli, ali di mosca, petali di iori… talvolta osservano vetrini già preparati in dotazione allo strumento, ma dopo qualche tempo si rendono conto che utilizzare i microscopi per attività che suscitino interesse richiede una preparazione speciica e li mettono sotto chiave nell’armadio dimenticandoli per sempre. Una delle diicoltà per gli insegnanti è la mancanza di una adeguata formazione sia sui contenuti (conoscenze di base delle strutture cellulari e dei principali gruppi di viventi che si possono osservare) sia nell’utilizzo pratico della strumentazione (quali accorgimenti adottare nel fare i prelievi, come preparare i vetrini, come scegliere la luce con cui illuminare il preparato, ecc.). Anche gli insegnanti delle scuole superiori che non hanno una speciica formazione in biologia si trovano ad afrontare queste diicoltà. L’osservazione dei microrganismi acquatici, tuttavia, è un’attività didattica che si fa con una certa frequenza in tutti gli ordini di scuola. Ma, se il vetrino non è ben preparato, se l’insegnante utilizza prelievi che non sono densi di organismi, se non riconosce le peculiarità delle “particelle” che si spostano spesso molto velocemente, si assiste in breve tempo ad una perdita di attenzione da parte degli studenti e nel rapido svanire di qualunque interesse per l’osservazione. I manuali che si trovano in commercio sono diicilmente utilizzabili a scuola perché troppo speciici: classiicano per gruppi tassonomici come il genere o la specie e utilizzano un linguaggio tecnico non facilmente comprensibile dai non-esperti. Sono fatti, in poche parole, per altri scopi (Streble & Krauter, 2002). Abbiamo perciò pensato di realizzare una guida per aiutare insegnanti e studenti a interpretare i vetrini, dando l’idea di entrare in un vero e proprio ambiente naturale corredato da tutte le caratteristiche di quelli visibili a occhio nudo (Gambini et al., 2009). 280 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici Come proporre l’osservazione al microscopio da parte di insegnanti con limitate competenze nella preparazione dei vetrini, nelle colorazioni e nella reperibilità del materiale da osservare? Indubbiamente le strutture più adatte a tale scopo sono rappresentate da cellule che presentano pigmenti (non sono necessarie colorazioni) e da cellule libere (non sono necessarie sezioni). Sono pertanto da privilegiare cellule vegetali e microrganismi acquatici che, inoltre, si trovano praticamente sempre, salvo oscillazioni stagionali, in luoghi facilmente accessibili. Descrizione della guida e del suo utilizzo Come è fatta la guida La guida è costituita da circa 50 schede organizzate come in igura 1. La guida è costituita da schede organizzate nel seguente modo: • il titolo riporta il nome dell’organismo. Ogni colore dello sfondo rappresenta un diverso gruppo: l’azzurro i cianobatteri, il rosso gli animali e i protozoi, il verde le alghe verdi, l’arancio le alghe rosse, il giallo le altre alghe. • il sottotitolo riporta il nome scientifico dell’organismo o del gruppo a cui appartiene. • il corpo centrale della scheda riporta alcune brevi note sulle caratteristiche principali dell’organismo. In corsivo, sottolineate, si trovano le parole contenute nel glossario. • le fotografie sono state effettuate a diversi ingrandimenti, gli stessi utilizzati con i microscopi di un comune laboratorio di biologia. • le didascalie riportano l’ingrandimento e descrivono brevemente le immagini. Figura 1: Organizzazione delle schede della guida. Al centro di ogni scheda è riportata una breve descrizione delle principali caratteristiche biologiche dell’organismo riconosciuto e di quelle dell’ambiente in cui vive. In internet si trovano abbondanti informazioni su questi organismi che abbiamo ritenuto superluo inserire in una guida di questo tipo. Abbiamo voluto realizzare uno strumento didattico, privilegiando quindi nella stesura delle descrizioni gli aspetti percettivi (quelli che abbiamo provato noi stessi) e le sensazioni all’atto del prelievo (mucillaginoso, ruvido, verde chiaro, ecc.). 281 Annastella Gambini et al. Il linguaggio utilizzato è facilmente comprensibile anche agli studenti e agli insegnanti della scuola di base; i termini più speciici (es. specie, colonia, lagello, nucleo…) sono spiegati in un glossario posto alla ine della guida. Le fotograie sono tutte originali e provengono da prelievi fatti in luoghi d’acqua del territorio lombardo diversiicati e facilmente fruibili da tutti, come stagni, laghetti, fontanili con acqua ferma e acqua corrente, rive di iumi, ecc., dove gli organismi rappresentano specie cosmopolite, mai endemiche. Le fotograie sono state fatte a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni diverse (mentre si spostano alla ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano forma, ecc.) brevemente descritte nelle didascalie. Anche lo sfondo in cui si trovano gli organismi è stato lasciato per rappresentare il pullulare della vita inserita sui substrati abituali, quali si ritrovano osservando i vetrini nella realtà. In igura 2 è riportata come esempio una delle schede della guida. Figura 2: Esempio di scheda presente nella guida. 282 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici Come si utilizza Una volta preparato il vetrino, bisogna sfogliare la guida ino a trovare l’immagine più somigliante (la rilegatura ad anelli favorisce questa operazione), controllare all’ingrandimento successivo se compaiono nuove caratteristiche che confortano il riconoscimento, leggere le didascalie che spesso guidano ad un’osservazione a un ingrandimento maggiore completando così l’identiicazione. Ora si può dare un nome all’organismo visualizzato: questo “nome” risulta così essere la conclusione di un lavoro (pratico e intellettuale) che hanno fatto gli studenti stessi, insieme e sotto la guida del proprio insegnante. “Si muove, scappa fuori dal campo! Cosa mai starà facendo? Dove andrà? Cosa lo spingerà a correre incessantemente o a ruotare le proprie ciglia?”. Queste sono le domande che dovrebbero sorgere tra i ragazzi, questa è la base di un osservazione scientiica che mira a far emergere domande piuttosto che a chiudere le curiosità mettendo un “nome inale” a risoluzione del percorso (Oldfather et al., 2001) Così si stimola anche il senso del scoperta. A questo proposito anche le domande che pone l’insegnante sono importanti, nell’ottica di una metodologia sociocostruttivista che noi adottiamo in linea con le più recenti indicazioni pedagogicodidattiche (Varisco, 2002; Nigris, 2009). Egli non dichiara ai suoi studenti “Ora guardiamo i parameci che si muovono”, ma chiede “Cosa saranno e come vivranno quelle palline che corrono qua e là? Cosa stanno facendo? Chi sono?”. Dopo aver riconosciuto l’organismo si possono leggere alcune informazioni sulla sua biologia ed ecologia. Questo è un punto fondamentale che esula dal dare un nome agli organismi, per inserirli invece in modo diretto nella complessa catena di relazioni in cui la loro nicchia ecologica si è sviluppata. Metodologia applicativa e risultati della sperimentazione L’utilizzo di questo strumento didattico consente di organizzare il lavoro al microscopio anche senza la guida di un esperto. Tuttavia nelle prime due sperimentazioni, rivolte a studenti di diverse età, è stato presente un ricercatore universitario. 283 Annastella Gambini et al. Laboratorio didattico sul campo (Laboratorio Didattico del Laghetto) Da anni abbiamo in gestione per conto della Provincia di Milano – Direzione Centrale Risorse Ambientali – alcune attività didattiche di educazione ambientale in un luogo d’acqua restaurato e conservato a sue spese, il Laboratorio Didattico del Laghetto (Gambini et al., 2007; Gambini, 2008). In quest’area sono presenti tre luoghi d’acqua diversi: un laghetto alimentato dalla falda, uno stagno artiiciale e una vasca di acqua corrente. Dopo aver osservato liberamente i tre ecosistemi acquatici e averne descritto le caratteristiche macroscopiche (odore, colore, presenza di piante e animali…) gli studenti (sia della scuola di base, sia universitari) efettuano alcuni prelievi per analizzare l’acqua al microscopio all’interno del laboratorio appositamente allestito. La presenza di un microscopio dotato di telecamera e videoproiettore consente una visione collettiva. In questo modo gruppi di 7-8 ragazzi sono invitati a riconoscere i microrganismi presenti e le loro caratteristiche e a collegare alcuni adattamenti che essi presentano alle caratteristiche del luogo del prelievo (Fig. 3). Le vorticelle … sembrano aquiloni! È come se si lasciassero trasportare dall’aria, però dall’acqua. E poi c’è il filo che le tiene attaccate, come quello degli aquiloni. Andiamo a vedere sulla guida se si parla di quel filo … sì, dovrebbe essere il peduncolo. Figura 3: a sinistra: disegno di uno studente universitario; a destra: descrizione di un bambino di scuola primaria. Si possono in tal modo porre a confronto ecosistemi acquatici diversi e capire, tra l’altro, che l’ambiente microscopico risente di caratteristiche comunemente rilevabili come l’illuminazione, la temperatura dell’acqua, la presenza di una itta vegetazione ripariale, ecc. (Gomarasca, 2002). Questo non è inutile se si pensa che nell’immaginario delle persone i microrganismi acquatici vivono in una specie di ambiente uniforme, costante e sconosciuto perché invisibile, immaginato come omogeneo. 284 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici Laboratorio didattico ad ampia diffusione – Vita nell’acqua presente e futura Il laboratorio didattico Vita nell’acqua presente e futura è stato organizzato in occasione del Festival della scienza 2009 svoltosi a Genova nel novembre 2009. Nello spazio dedicato (dotato di ampie superici per raccogliere tutti i materiali prodotti) i conduttori, formati dal nostro gruppo di ricerca, hanno esaminato insieme ai partecipanti (classi scolastiche prevalentemente nei giorni feriali, ma anche ragazzi e adulti arrivati spontaneamente al laboratorio) gli organismi prelevati in precedenza. Il microscopio corredato da un sistema di proiezione ha mostrato gli organismi invisibili, un panorama pullulante di cui ci si diverte a riconoscere i protagonisti. Fondamentale è stato l’utilizzo della guida e lo stimolo sia a riconoscere organismi sconosciuti che a cercarne di nuovi. Il risultato positivo di questa attività deriva non solo dal numero di visitatori pervenuti, ma anche dal lavoro che essi hanno svolto: i numerosi disegni sono arrivati a coprire le intere pareti dell’enorme spazio in cui abbiamo allestito il laboratorio (Fig. 4), la creatività nel rappresentarli, l’attenzione mostrata ai particolari, le domande sorte durante l’attività mostrano il successo di questa iniziativa. Figura 4: Laboratorio “Vita nell’acqua presente e futura”. Festival della Scienza. Genova 2009. A sinistra: una delle pareti del laboratorio ricoperta dai disegni realizzati; a destra: particolare del disegno di un visitatore. L’attività del laboratorio didattico è stata accompagnata dalla realizzazione di un blog che in futuro prevediamo di aprire a tutti. Attraverso questo strumento si potranno raggiungere due scopi: rispondere alle domande poste dagli interlocutori e favorire una forma di apprendimento collettivo che, sia pur virtuale, sarà comunque possibile sperimentare. 285 Annastella Gambini et al. Conclusioni Si invoca oggi da più parti un cambiamento della scuola, sempre più criticata riguardo alla sua efettiva eicacia per una formazione moderna e sostenibile (Sterling, 2006). Se da un lato si discute e ci si confronta, soprattutto a livello internazionale, sull’attuazione di un’educazione veramente sostenibile, dall’altro ci si trova ad avere a che fare con strumenti che appaiono completamente inadeguati. I cardini dell’innovazione dei curricula uniicano, tra gli altri, due aspetti fondamentali, riconosciuti a livello internazionale: la complessità e gli aspetti della percezione sistemica (della società, dell’ambiente, della complessità dei viventi) e l’applicazione di metodologie attive che dovrebbero sostituire l’apprendimento trasmissivo tuttora imperante, ecc. (Trombulack et al., 2004). Per attuare questa trasformazione occorrono consapevolezza, studio (formazione degli insegnanti) e strumenti. Quello qui presentato è uno di questi strumenti che non solo serve a riconoscere, a dare un nome, ai diversi componenti della fauna e lora microscopiche, ma stimola anche il fare attivo degli studenti, la collaborazione all’interno di piccoli gruppi, la visione sistemica, ecc. (De Vecchi & Carmona-Magnaldi, 2006). Alla ine dell’attività si diventa consapevoli che una vorticella, un rotifero, un ciliato… hanno moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per procurarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Conoscere un ambiente sconosciuto e imparare a interpretarne le caratteristiche peculiari è forse l’obiettivo principale. Un altro tuttavia potrebbe essere quello di avvicinarsi a percepire un mondo lontano (in questo caso perché invisibile) in modo diverso. Si riporta in igura 5 una frase di M. Roland, naturalista francese del secolo scorso (Roland, 1950). È un umile stagno in seno ad un piccolo bosco senza pretese […] Prenderò un po’ di quell’acqua per osservarla più da vicino […] La preparazione del miracolo è una creazione in miniatura. Si tratta di far uscire dalle nostre dita un oceano, la sua fauna e la sua flora. La fauna di prima del diluvio, che aveva bisogno dell’immenso oceano planetario per spassarsi, si contenta ora di pochi millimetri quadrati […] In selve inestricabili, fatte di erbe fini come fili di ragno, tale fauna si muove, vive e muore con istinti simili a quelli degli animali giganteschi delle antiche ere: solo le dimensioni differiscono […] Figura 5: Pensiero di Marcel Roland tratto da “Le meraviglie del microscopio”. 286 Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici Quando ci si rende conto della presenza di organismi viventi nell’acqua, se ne può facilmente riconoscere il valore ecologico e ambientale (Cunningham et al., 2004). L’inquinamento delle acque non signiica solo un rischio per la nostra salute ma incide anche sulla futura sopravvivenza delle creature microscopiche che la abitano. Avvicinandosi alla straordinarietà della vita si getta, inoltre, una delle basi fondamentali per portare avanti scelte e azioni future, tenendo conto anche della loro sostenibilità (Mayer, 2003). Occorre conservare il bene prezioso della vita in tutte le sue forme, anche in quelle che non sono così facilmente alla portata dei nostri sensi ma che comunque svolgono un ruolo importante nell’ecosistema al quale appartengono. Bibliografia Gambini, A., Gomarasca, S. & Broglia, A. (2009) Vita e segreti dei microrgansmi acquatici. Guida per l’osservazione e lo studio. Editrice Mimesis, Milano. Cunningham, W. P., Cunningham, M. A. & Saigo, B. W. (2004) Fondamenti di ecologia. he McGraw-Hill Companies, Milano. De Vecchi, G. & Carmona-Magnaldi, N. (2006) Aiutare a costruire le conoscenze. La Nuova Italia, Firenze. Gambini, A., Pezzotti, A. & Borgo, V. (2007) Tre luoghi d’acqua a confronto. Osservazione, analisi, relazioni. 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Trombulack, S. C., Omland, K. S., Robinson, J. A., Lusk, J. J., Fleischner, T. L., Brown, G. & Domroese, M. (2004) Principles of Conservation Biology: Recommended Guidelines for Conservation Literacy from the Education Committee of the Society for Conservation Biology. Conservation Biology, 18, 1180-1190. Varisco, B. M. (2002) Costruttivismo socio-culturale. Carocci, Roma. 287 Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici Ecology in the lab: aquatic microcosm experience Annastella Gambini1*, Silvana Galassi2 & Stefania Barmaz1 Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano 20126 2 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Biologia *[email protected] 1 Abstract Il laboratorio “Microcosmi acquatici” è rivolto a studenti di Scienze della Formazione Primaria per proporre loro esperienze pratiche su alcuni concetti fondamentali dell’ecologia quali la crescita di popolazione, le catene alimentari e le altre interazioni tra organismi. I microcosmi da noi allestiti sono contenitori aperti in cui sono presenti un produttore primario (Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapitata) e un consumatore di primo ordine (Daphnia magna); in altri contenitori è aggiunto anche sedimento prelevato da un acquario in uso per valutare il ruolo dei decompositori. Gli studenti realizzano diverse condizioni sperimentali che forniscono la base per una discussione di gruppo. Le fasi che costituiscono il percorso laboratoriale sono: • osservazione e descrizione dettagliata degli organismi a disposizione • formulazione di ipotesi relative alle loro esigenze di crescita • preparazione di microcosmi per la veriica delle ipotesi • osservazioni periodiche degli organismi presenti • discussione inale e conclusioni La discussione, correlata all’esperienza pratica, è mirata a far rilettere sulle trasformazioni dei microcosmi e sui concetti di ecologia correlati. A partire da strumenti e materiali a costo relativamente contenuto è così possibile far lavorare e rilettere gli studenti su alcuni concetti chiave dell’ecologia. Le conoscenze scientiiche si devono considerare irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; occorre pertanto formare insegnanti in grado di promuovere non solo nuove conoscenze ma anche esperienze concrete da proporre in futuro ai propri studenti della scuola primaria. I risultati ottenuti sono consistiti nella valutazione da parte nostra dei quaderni di laboratorio degli studenti in cui essi hanno registrato tutte le proprie esperienze e dei poster allestiti per mostrare all’esterno i risultati del proprio lavoro. 289 Annastella Gambini et al. Introduzione Le conquiste tecnologiche, soprattutto negli ultimi tempi, ci rendono talmente lontani dall’ambiente naturale da farci dimenticare il nostro legame con il mondo naturale (Odum, 1988). Le conoscenze scientiiche si devono considerare una delle basi irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; diventa così imprescindibile l’insegnamento dell’ecologia, a partire dalla scuola primaria, anche per instaurare un nuovo rapporto con l’ambiente. Occorre pertanto una formazione degli insegnanti in grado di promuovere non solo conoscenze ma anche esperienze concrete da proporre ai propri studenti. Il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Milano Bicocca propone nel curriculum universitario, oltre alle lezioni frontali in aula, esperienze basate sul rapporto diretto con animali, funghi e piante da svolgersi in laboratorio e sul campo. Tali esperienze didattiche devono condurre a due diversi tipi di competenze: la conoscenza dell’oggetto di studio e la competenza da mettere in gioco per proporre temi analoghi ad allievi della scuola primaria (Gambini et al., 2006; Roberts & Gott, 2008). Le caratteristiche fondamentali di tali attività sono: 1. Lavoro a piccoli gruppi: il lavoro di gruppo permette l’instaurarsi di un dialogo costruttivo tra gli studenti. La dimensione del gruppo è critica ai ini di realizzare un’efettiva partecipazione da parte di ogni studente, gruppi troppo grandi portano all’isolamento di alcuni elementi, mentre la sola attività individuale comporta la mancanza di un dialogo costruttivo (De Vecchi & Carmona Magnaldi, 2000). 2. Introduzione allo studio degli organismi: l’osservazione degli organismi, l’analisi del rapporto struttura/funzione di ogni elemento osservato, il disegno dal vero favoriscono l’acquisizione di alcuni concetti base della biologia. Attraverso il disegno gli studenti sono portati a osservare in modo approfondito ogni parte dell’oggetto in studio e a rilettere sulla sua funzione. 3. Raccolta di domande durante l’osservazione: domande del docente atte a sondare le conoscenze pregresse degli studenti e domande che sorgono tra gli studenti dal lavoro di osservazione e favoriscono l’elaborazione di ipotesi. 4. Costruzione di ipotesi, sulla base delle quali verrà costruita l’esperienza di laboratorio: questo aspetto, risultato di discussioni di gruppo, è fondamentale per tenere alto l’interesse degli studenti (si consideri il fatto che si tratta di studenti iscritti a un corso di laurea sostanzialmente umanistico). 290 Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici 5. Confronto delle ipotesi fra vari gruppi guidato del docente: ogni gruppo imposta la propria esperienza sulla base delle proprie ipotesi confrontando i propri risultati con quelli degli altri. 6. Realizzazione di un prodotto inale: la preparazione di un prodotto inale è inalizzata alla rielaborazione di quanto appreso da parte dello studente e alla sua valutazione. In questo lavoro è presentato un esempio di laboratorio pedagogico-didattico basato sulla costruzione di microcosmi acquatici, svolto nel corso degli anni accademici 2006-2008. In igura 1 e in igura 2 sono riportate due foto dei microcosmi realizzati. Figura 1: Visione d’insieme dei microcosmi preparati durante il laboratorio. Al centro un microcosmo mantenuto al buio. Figura 2: Esempi di microcosmi. 291 Annastella Gambini et al. Materiali e metodi I materiali di partenza per lo svolgimento di questa esperienza sono a costo relativamente contenuto e sono stati utilizzati strumenti che fanno parte della dotazione base di un laboratorio di biologia: • Acqua San Benedetto • Becher • Pompe d’acquario • Vetrini e piastre Petri • Lente di ingrandimento • Stereomicroscopi e microscopi ottici Gli organismi di partenza sono comunemente utilizzati per saggi ecotossicologici e completamente caratterizzati da un punto di vista biologico (IRSA, 1991): • un produttore primario (Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapitata) • un consumatore di primo ordine (Daphnia magna) • sedimento prelevato da un acquario d’acqua dolce. L’esperienza inizia con l’osservazione a occhio nudo seguita da osservazione a ingrandimento crescente accompagnata da una breve discussione e dal disegno degli organismi e delle strutture riconosciute come riportato in igura 3. Figura 3: Esempio di disegno realizzato durante il laboratorio. Nel caso della Daphnia magna, oggetto dell’osservazione, prima con lente di ingrandimento e poi con uno stereo microscopio (da 10 x a 40 x), sono le principali strutture corporee e la modalità di movimento e alimentazione. Anche le alghe ven- 292 Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici gono osservate prima ad occhio nudo e in seguito con il microscopio ottico (da 100 x a 400 x). Ogni gruppo formula delle ipotesi sulle esigenze per la sopravvivenza degli organismi in esame e sulle possibili interazioni tra gli stessi. A partire dalle ipotesi vengono costruiti i microcosmi. Ogni microcosmo è costituito da un becher aperto la cui composizione è variabile e viene decisa e discussa con gli studenti, mantenendo isso il volume inale. Ogni sistema è fotografato e monitorato al ine di veriicarne i cambiamenti. Al microcosmo da testare è aiancato un microcosmo di controllo, in condizioni ottimali contenente in un volume inale di 200 ml: • 5 individui di Daphnia magna adulti • 300.000 cell/ml di sospensione algale • acqua • sedimento • luce • agitazione costante Dal confronto con il controllo gli studenti possono confutare o riiutare le ipotesi iniziali. Al termine dell’attività ogni gruppo prepara un poster in cui ha riassunto le ipotesi e i risultati ottenuti e lo espone a tutta la classe. Durante tutta la durata del laboratorio le osservazioni vengono puntualmente registrate su un quaderno di laboratorio individuale. Risultati L’esperienza qui descritta è stata svolta durante tre successivi anni accademici (2006-2008). Si tratta di un’esperienza della durata di 20 ore, svolta in giorni successivi per consentire un’osservazione costante dei microcosmi da parte di ogni gruppo. Dall’analisi dei quaderni di laboratorio raccolti al termine di ogni anno di attività è stato possibile valutare (per lo meno qualitativamente) l’efettiva utilità dell’esperienza. Ogni studente ha, infatti, annotato le sue ipotesi iniziali e ogni fase del percorso che lo ha portato a scartare o accettare l’ipotesi iniziale. In genere, le ipotesi formulate dagli studenti riguardavano le esigenze degli organismi (“le alghe fanno la fotosintesi, quindi necessitano di luce”, “la Daphnia magna si nutre di alghe”). L’utilizzo di sedimento d’acquario ha permesso di aprire una inestra sul mondo dei decompositori, anello fondamentale dell’ecosistema (“nel sedimento ci sono i decompositori”). La veriica delle ipotesi sopra riportate è avve- 293 Annastella Gambini et al. nuta mediante l’osservazione di microcosmi alterati (senza luce, senza Daphnia magna e senza sedimento). Le osservazioni nel corso di 3-5 giorni hanno riguardato i cambiamenti del colore dell’acqua del campione esaminato (osservazione a occhio nudo dell’intensità del verde, come indice della densità delle alghe) e le diferenze giornaliere tra il campione e il suo controllo. I parametri selezionati per l’osservazione dei cambiamenti si sono rivelati suficienti: i cambiamenti di colore dell’acqua, per esempio, erano molto evidenti soprattutto dopo 4 giorni di osservazione, riconfermando la possibilità di svolgere quest’esperienza anche senza il supporto di strumenti per la conta algale o camere di Burker non sempre facilmente reperibili, soprattutto considerando un eventuale adattamento dell’esperienza alla scuola primaria. I tempi di osservazione si sono rivelati adeguati anche se averli più dilatati favorirebbe una migliore osservazione della crescita algale. L’utilizzo di un controllo si è rivelato strumento indispensabile per una migliore interpretazione dei risultati. L’osservazione dei risultati e la discussione collettiva hanno messo in luce maggiori informazioni sorte dall’esperienza. Discussione La costruzione di microecosistemi rappresenta una notevole sempliicazione di quello che avviene negli ecosistemi reali ma permette di approfondire e interpretare le relazioni che avvengono anche nei sistemi complessi. Di solito a scuola l’argomento “ecosistema” è trattato in modo teorico: è liquidato con la conoscenza di elenchi (brevissimi) di elementi legati da relazioni alimentari, spesso poco correlati ai fattori abiotici, il ruolo dei decompositori è solo accennato, i sussidiari riportano modelli estremamente riduttivi della complessità degli ecosistemi (Gambini et al., 2009). Si vanno a visitare luoghi naturali protetti, o all’acquario a vedere come è stata ricostituita la barriera corallina, si guardano documentari sul deserto, sulle savane, sulle zone alpine, ma raramente sono proposte attività didattiche “per capire” alcuni aspetti delle relazioni tra gli elementi degli ecosistemi. Mediante la costruzione di microcosmi sono stati afrontati argomenti base della biologia (fotosintesi, rapporto struttura/funzione negli organismi viventi) e dell’ecologia (predazione, crescita di popolazione, ruolo dei decompositori, ecosistemi). La valutazione del prodotto inale da parte del docente, rappresentato dal quaderno di laboratorio e dal poster realizzato dagli studenti, ha permesso di veriicare sia l’utilità dell’esperienza sia l’eicacia della metodologia proposta. In particolare, è 294 Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici stata valutata la capacità di rielaborare i concetti alla base dell’esperienza e il livello di comprensione. Sarebbe interessante riproporre tale esperienza all’interno della scuola primaria per veriicare le diferenze di apprendimento tra adulti e bambini e la competenza didattica acquisita dopo la partecipazione al laboratorio (spiegazioni e conduzione di discussione attorno al tema) che le future insegnanti acquisiscono attraverso queste pratiche di laboratorio. Bibliografia De Vecchi, G. & Carmona Magnaldi, N. (2000) Aiutare a costruire le conoscenze. La Nuova Italia, Firenze. Gambini, A., Pezzotti, A. & Ardemagni, A. (2006) Il laboratorio della vasca tattile: un approccio alla biologia che parte dall’esperienza personale. Le Scienze Naturali nella scuola, Anno XV, 28, Lofredo Editore. Gambini, A., Pezzotti, A. & Broglia, A. (2009) Sussidiari ed esperienze didattiche di tipo pratico: due modi contrapposti con cui afrontare a scuola la complessità dei temi ambientali. Atti del XVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecologia. IRSA (1991) Saggio di tossicità con Daphnia. Quaderni IRSA n.93. Odum, E. P. (1988) Basi di Ecologia, Piccin-Nuova Libreria. Roberts, R. & Gott, R. (2008) Practical work and the importance of scientiic evidence in science curricula. Education in Science, 230, 8-9. ASE (Association for Science Education). Available at: www.ase.org.uk/htm/ members_area/journals/eis_nov_2008/8-9.pdf 295 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto A website to help student’s hands-on appreciation of climate changes Giovanna Ranci Ortigosa1*, Giorgio Guariso1 & Antonio Bossi2 1 Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano, Via Ponzio 34/5, 20133 Milano 2 WWF Italia, Programma Educazione, Via Orseolo 12, 20144 Milano *[email protected] Abstract Il progetto “Consumi amici del clima”, promosso dal WWF Italia e sviluppato dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano grazie al contributo della Fondazione Cariplo, è un progetto di didattica avanzata e interattiva rivolto alle Scuole Secondarie di secondo grado. Suo scopo principale è quello di sensibilizzare gli studenti al problema dei cambiamenti climatici stimolandoli ad adottare comportamenti e stili di vita che producano meno emissioni di gas serra. Il progetto si concretizza nel sito Internet www.consumieclima.org che accompagna le classi in un viaggio in sei tappe lungo il percorso dell’anidride carbonica, partendo dalle emissioni individuali per arrivare alla variazione della temperatura media terrestre. Caratteristica peculiare del corso è quella di chiedere agli allievi di valutare personalmente le diverse problematiche legate ai cambiamenti climatici, utilizzando dati reali e strumenti matematici implementati attraverso fogli di calcolo strutturati ad hoc. Lo studente passa quindi dalla stima delle proprie emissioni all’analisi statistica delle temperature, dalla valutazione delle conseguenze sugli ecosistemi ino a sperimentare un modello climatico globale sempliicato per simulare gli efetti di diverse politiche di riduzione delle emissioni climalteranti. Alla ine del percorso ogni classe è invitata a comunicare la propria esperienza e le proprie scoperte attraverso la preparazione di materiale multimediale che viene pubblicato sul sito web. Il progetto, già segnalato dalla Commissione Europea, nell’anno scolastico 2008-2009 è stato seguito da undici classi di varie scuole della Lombardia. 297 Giovanna Ranci Ortigosa et al. Introduzione e obiettivi del progetto I cambiamenti climatici pongono l’urgente necessità di azioni eicaci di educazione alla sostenibilità che promuovano stili di vita e modelli di consumo a minor impatto ambientale (UNESCO, 2005). Tali azioni sono fondamentali per poter fornire ai giovani le conoscenze scientiiche necessarie per intraprendere scelte consapevoli (Lenzen & Murray, 2001) e possono eicacemente avvalersi di Internet e delle nuove tecnologie della comunicazione (UNESCO, 2007). I cambiamenti climatici, dal canto loro, sono un ottimo argomento dal punto di vista didattico per favorire un approccio scientiico ai problemi ambientali che ne evidenzi l’intrinseca complessità (Dahlberg, 2001). In questo ambito si colloca il progetto “Consumi amici del clima” promosso dal WWF Italia e sviluppato dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano grazie al contributo della Fondazione Cariplo. L’obiettivo centrale del progetto è quello di sensibilizzare gli studenti delle Scuole Secondarie di secondo grado al problema dei cambiamenti climatici, rendendoli maggiormente consapevoli delle conseguenze dei propri comportamenti e stimolandoli a trovare e ad attuare coscientemente comportamenti che riducano le proprie emissioni. Le tematiche del progetto sono state afrontate seguendo due linee guida peculiari e per molti versi innovative: 1. rendere gli studenti protagonisti del proprio apprendimento e delle proprie scoperte proponendo loro le diverse problematiche come domande a cui devono cercare essi stessi risposte (European Commission, 2007); 2. introdurre, in modo semplice e operativo, competenze che diicilmente entrano a far parte del bagaglio scolastico e personale degli studenti delle scuole secondarie ma che sono utili per rispondere alle domande stesse e, più in generale, per comprendere appieno la complessità delle problematiche ambientali. In particolare, si introducono: a) l’analisi di ampi insiemi di dati ambientali reali che mette gli studenti a diretto confronto con situazioni vere, diverse dagli esercizi che si utilizzano normalmente in classe, consentendo loro di ripercorrere, almeno in parte, l’efettivo lavoro degli scienziati e di rendersi conto dell’estrema complessità dei fenomeni e della conseguente impossibilità di una loro descrizione esaustiva; b) l’utilizzo di strumenti quantitativi, quali semplici modelli e metodi di analisi dei dati, che, seguendo procedure chiaramente deinite, trasparenti e ripercorribili, permettono agli studenti di leggere e confrontare dati, di stimare gli ef- 298 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto fetti conseguenti a diversi stili di vita/scenari, stimolandoli così ad una maggior responsabilizzazione verso le proprie scelte individuali; c) l’uso di modelli dinamici che, tenendo conto dell’evoluzione nel tempo di un processo, forniscono agli studenti nuove chiavi di lettura di fenomeni ambientali, spesso studiati a scuola unicamente in condizioni di equilibrio, e permettono di comprendere le conseguenze di una certa azione anche molto in là nel tempo; d) l’introduzione al concetto di incertezza, strettamente legato allo sviluppo scientiico perché insito nei dati che vengono utilizzati, nei modelli che descrivono i processi reali e nelle previsioni dei fenomeni. Si propone così ai ragazzi l’idea che non esistono modelli o soluzioni esatte ma che, come diceva Leonardo da Vinci, “nelle cose confuse, l’ingegno si desta” e occorre quindi imparare a navigare nella complessità, uscendo da schemi consolidati per sviluppare un pensiero creativo e soluzioni operative innovative. Il sito web “Consumi amici del clima” Il progetto si è concretizzato nella realizzazione del sito web (www.consumieclima.org) dedicato a studenti e docenti delle Scuole Secondarie di secondo grado, a cui propone un percorso didattico speciico, ma accessibile a tutti. L’area principale del sito è “Il nostro percorso” (Fig. 1) che consiste in sei moduli, più quello introduttivo, che accompagnano gli studenti, passo passo, nella scoperta del fenomeno dei cambiamenti climatici. Il percorso parte dalle nostre emissioni di gas serra, prosegue verso l’atmosfera dove esse si accumulano dando luogo ad un aumento dell’efetto serra e dove si scopre che la crescita della concentrazione dei gas serra è legata all’aumento della temperatura atmosferica. Inseguendo le conseguenze del riscaldamento globale, si torna quindi sulla Terra per scoprire quali azioni e cambiamenti concreti sono necessari per una sua riduzione. 299 Giovanna Ranci Ortigosa et al. Figura 1: Una pagina del percorso di www.consumieclima.org. Sulla sinistra il menu delle sezioni del modulo. I punti di domanda nel testo rimandano alle voci del glossario. Ogni modulo è composto dalle medesime sezioni che forniscono sia i concetti teorici che gli strumenti quantitativi per afrontare le esercitazioni pratiche inerenti all’argomento trattato. Le sezioni sono le seguenti: • Il problema: delinea il problema centrale del modulo ponendo agli studenti una domanda concreta a cui devono trovare risposta; • Mettiti alla prova: fornisce i dati per svolgere piccoli studi guidati che, analizzando un problema reale, permettano di dare una risposta alla domanda posta nella sezione iniziale. L’esercitazione consiste in un foglio elettronico (Microsoft ® Excel) in cui tutte le celle sono bloccate e non modiicabili tranne quelle utili allo studente per inserire dati e formule necessarie alla soluzione degli esercizi (Fig. 2); • Strumenti utili: contiene le schede operative che descrivono i metodi quantitativi da utilizzare per lo svolgimento dell’esercitazione; • Trai le conclusioni: permette di accedere, tramite un test a risposta multipla sull’esercitazione svolta, alla discussione dei risultati, collegandoli a conclusioni più generali. 300 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto Presentazione del problema Dati del caso reale (non modificabili) Risposte aperte degli studenti (celle libere in cui devono essere inserite formule) Risposte chiuse degli studenti (da selezionare tra le opzioni) Spazio di lavoro per calcoli intermedi e note Figura 2: Un foglio di calcolo per le esercitazioni del progetto “Consumi amici del clima” con le varie tipologie di celle utilizzate. La tabella I riporta i contenuti dei moduli, mette in evidenza il processo logico e di apprendimento che caratterizza ciascuno di essi (problema – esercitazione per risolverlo – conclusioni) e come essi siano concatenati logicamente tra loro (la domanda di un modulo parte dalle conclusioni del modulo precedente). Ciascun modulo contiene tutte le nozioni e gli strumenti necessari per il suo svolgimento anche in maniera indipendente dagli altri. Si può quindi scegliere di svolgerli in maniera consequenziale, ma anche di svolgerne solo alcuni o di seguire percorsi diversi che mettano in maggiore evidenza alcuni aspetti, quali la comprensione scientiica del fenomeno piuttosto che il tema dei consumi. Proprio in questa libertà di fruizione sta il grande vantaggio dell’approccio adottato, nonché il ruolo attivo che l’insegnante può assumere nel guidare gli studenti lungo il percorso e anche nelle singole esercitazioni. 301 Giovanna Ranci Ortigosa et al. Tabella I: Sintesi dei contenuti dei moduli didattici del progetto “Consumi amici del clima”. Introduzione Notizie dal mondo Una sequenza di immagini e titoli di giornali per incuriosire e interrogarsi sui cambiamenti climatici Il problema Mettiti alla prova Trai le conclusioni Modulo 1 Noi, produttori di CO2 Tutti noi emettiamo gas serra, quanto ne emettiamo? Calcolo e lettura critica della carbon footprint individuale e di classe. Il nostro stile di vita e molte attività umane causano notevoli emissioni di gas serra in atmosfera. Modulo 2 Anidride carbonica dove vai? Dove va l’anidride carbonica che emettiamo? Bilanci numerici del ciclo del carbonio; stima degli alberi necessari per assorbire le nostre emissioni di gas serra. Le emissioni antropiche di anidride carbonica non riescono ad essere “smaltite” dal ciclo del carbonio: in atmosfera entra più CO2 di quanta ne esca. Modulo 3 Ma quanta CO2 c’è in atmosfera? Se la CO2 si sta accumulando in atmosfera, quanto aumenta la sua concentrazione? Come conoscere le concentrazioni di CO2 attuali e del passato? Lettura e analisi di serie reali di dati di concentrazione atmosferica di CO2 Misurazioni effettuate nella nostra atmosfera ci confermano che la concentrazione di CO2 sta aumentando e ha raggiunto livelli mai toccati negli ultimi 650.000 anni. Modulo 4 Troppo caldo in arrivo? L’aumento di gas serra in atmosfera ha conseguenze sulla temperatura terrestre? Analisi di dati reali per verificare il legame tra concentrazione di CO2 e temperatura media terrestre. Studi scientifici dimostrano che l’aumento di concentrazione di CO2 è legata ad un aumento della temperatura media terrestre. Modulo 5 Cosa sarà di noi? Quali saranno le conseguenze dell’aumento della temperatura terrestre? Come prevedere il clima del futuro? Ghiacciai che scompaiono, città che vengono sommerse, animali che emigrano: misura di alcune conseguenze dei cambiamenti climatici. Le conseguenze del riscaldamento globale riguarderanno molte variabili climatiche e molti aspetti della nostra vita. Alcuni cambiamenti sono già in atto! Modulo 6 … e ora cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare per arrestare i cambiamenti climatici? Serve ridurre le nostre emissioni di gas serra in atmosfera? Utilizzo di un modello climatico globale semplificato per simulare gli effetti di diversi scenari di emissione di gas serra sulla temperatura media terrestre. Le nostre emissioni influenzano la variazione della temperatura media terrestre. Individuare politiche e scelte amiche del clima è possibile. A titolo di esempio, il modello climatico globale sempliicato contenuto nel modulo 6 permette diversi modi di utilizzo. Basato sulle equazioni sviluppate da Joos et al., (2001) attualmente implementate nel Java Climate Model (www.climate. unibe.ch/jcm), esso consente di stimare la variazione di temperatura prevista nel 2050 e nel 2100 in corrispondenza di diversi tassi di variazione delle emissioni di 302 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto CO2 equivalente ed aerosol. Lo studente, intervenendo direttamente sul foglio di calcolo, può quindi valutare gli efetti di diversi scenari di emissione in termini di concentrazioni, di forzanti radiativi, di andamento delle temperature. Ma, grazie alla lessibilità del software, può anche porsi e risolvere il problema inverso (quale dovrebbe essere la variazione delle emissioni per raggiungere in un certo anno una certa temperatura?) o sperimentare gli efetti di una misura di contenimento delle emissioni che venga applicata solo da un certo anno in avanti. Sul sito sono presenti anche: • l’area “Abbiamo scoperto che…” che raccoglie i materiali (video, presentazioni, testi) prodotti dalle classi; • l’area “Per i docenti” speciicatamente dedicata a fornire supporto agli insegnati riguardo l’articolazione del percorso didattico, i prerequisiti necessari per afrontarlo, i contenuti dei moduli e le soluzioni degli esercizi (protette da password); • un glossario accessibile direttamente dai testi (Fig. 1); • bibliograia scientiica, elenco di siti web tematici e materiale di approfondimento scaricabile (video, banche dati, articoli scientiici e divulgativi). Il sito web è stato sviluppato ponendo grande attenzione alla sua chiarezza e facilità d’utilizzo ainché tutti i contenuti fossero usufruibili in maniera autonoma e lessibile da docenti e studenti nonché all’uso di una comunicazione (sia linguistica che graica) chiara, stimolante e adatta all’età, ottenuta anche attraverso la preparazione di materiali multimediali e igure interattive. Erogazione del progetto nell’anno scolastico 2008/2009 Nel corso dell’anno scolastico 2008/09 il progetto è stato proposto a undici scuole secondarie della Lombardia (3 licei scientiici e 8 istituti tecnici) per un totale di 12 classi o gruppi (3 classi del biennio, 7 del triennio e 2 gruppi di interclasse). Il percorso didattico è iniziato con una conferenza di presentazione aperta a tutti, seguita da due incontri di formazione e veriica per i soli docenti con i curatori del progetto, e ha visto la disponibilità di un tutor contattabile via posta elettronica da docenti e studenti. Undici classi hanno seguito il progetto ino alla ine dell’anno scolastico affrontando alcuni o tutti i moduli. Un questionario di valutazione inale compilato da studenti e docenti ha evidenziato che: 303 Giovanna Ranci Ortigosa et al. • l’interesse della maggior parte dei docenti è stato molto alto; • tra gli studenti, il 18 % ha trovato il progetto molto interessante, il 74 % abbastanza interessante e solo l’8 % per nulla interessante; • sono state apprezzate soprattutto la chiarezza con cui sono trattati gli argomenti, il metodo di lavoro proposto e l’organizzazione del sito web; • la principale diicoltà incontrata è stata la mancanza di tempo (il progetto è iniziato solo a febbraio 2009); • le classi del biennio hanno incontrato diicoltà ad usare alcuni degli strumenti matematico-quantitativi proposti e i fogli elettronici. Nel periodo di erogazione del corso (febbraio-maggio 2009) gli accessi al sito sono stati oltre 2000 con una media giornaliera di 45 visite e 28 visitatori, le pagine web visitate oltre 24000 di cui circa 9000 visitate più volte, mediamente ogni visita è durata quasi 6 minuti e ha comportato la visione di circa 7 pagine. Il tutor è stato contattato quasi esclusivamente dai docenti circa 50 volte, sia sui contenuti del corso che per questioni tecniche e organizzative. Dieci classi, sulle undici partecipanti, hanno prodotto video, presentazioni e testi sui temi del progetto o hanno svolto e commentato gli esercizi proposti, contribuendo anche al loro miglioramento. Discussione La scommessa alla base del progetto non era semplice data la più volte rilevata avversione di molti studenti alle materie scientiiche e alla matematica, in particolare. Tuttavia il corso ha trovato un riscontro molto positivo da parte dei docenti e indubbiamente soddisfacente da parte degli studenti, malgrado le diicoltà incontrate. A riprova di ciò, il fatto che molti dei docenti riproporranno il progetto in maniera autonoma a nuove classi. L’esperienza ha dimostrato che sarebbe utile mettere a punto una guida dettagliata agli esercizi per i docenti, rivedere alcune schede “Strumenti” risultate di più diicile comprensione ed eventualmente creare un livello di esercizi più semplice rivolto alle classi del biennio. La lessibilità della struttura proposta si è rivelata molto importante per i docenti che hanno potuto adattarla alla loro speciica situazione creando percorsi ad hoc per le diverse classi o anche per i diversi studenti. Proprio in questo senso i do- 304 Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto centi hanno espresso la preferenza per una formazione speciica sui contenuti rivolta a loro, piuttosto che direttamente agli studenti. Per difondere il progetto nell’anno scolastico 2009-10 è stato distribuito ad altre Scuole Secondarie e agli Uici Scolastici un CD-ROM contenente l’intero sito e si sta valutando la sua traduzione in inglese. Credits Il sito web del progetto è stato realizzato da Invisibile Studio (www.invisiblestudio.it), la segreteria organizzativa è stata curata dall’Associazione Idea (www.ideainrete.net). Bibliografia Dahlberg, S. (2001) Using Climate Change as a Teaching Tool. Canadian Journal of Environmental Education, 6, 9-17. European Commission (2007) Science Education NOW: A renewed Pedagogy for the Future of Europe. Oice for Oicial Publications of the European Communities, Luxembourg. Joos, F. I. C., Prentice, S., Sitch, R., Meyer, G., Hoos, G.-K., Plattner, S., Gerber & Hasselmann, K., 2001. Global warming feedbacks on terrestrial carbon uptake under the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) emission scenarios, Global Biogeochemical Cicles, 15, 891-907. Lenzen, M. & J., Murray (2001) he Role of Equity and Lifestyles in Education about Climate Change: Experiences from a Largescale Teacher Development Program. Canadian Journal of Environmental Education, 6, 32-51. Unesco (2005) United Nations Decade of Education for Sustainable Development (2005-2014): International Implementation Scheme. UNESCO, Paris. Unesco (2007) he UN Decade of Education for Sustainable Development (DESD 2005-2014). he First Two Years. UNESCO, Paris. 305 Ecologia: raccontami la storia del mio futuro Ecology: tell me the history of my future Serenella Sala* & Valentina Castellani Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano *[email protected] Abstract La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo paradigma scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una prospettiva di innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed istituzionali nei quali esso vive. In questo contesto l’ecologia rappresenta una delle discipline fondamentali per comprendere cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo. Il contributo proposto illustra modalità e ragioni per far evolvere l’educazione ambientale, attraverso la maggior integrazione di principi ecologici, verso una educazione alla sostenibilità. Introduzione La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo paradigma scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una prospettiva di innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed istituzionali nei quali esso vive. Ma al di là del paradigma scientiico – inteso come “una costellazione di conclusioni, concetti, valori, tecniche condivise da una comunità scientiica, e usate dalla comunità per deinire problemi e soluzioni lecite” (Kuhn, 1962), la scienza della sostenibilità richiede di deinire anche un nuovo paradigma sociale – inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e comportamenti condivisi da una comunità, che dà forma ad una visione particolare della realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996). La ragione di questa necessità di nuovi paradigmi nasce proprio dalle speciicità della scienza della sostenibilità: problemi e soluzioni lecite possono essere deinite solo muovendo da alcuni principi base relativi alla initezza delle risorse a disposizione, alla capacità di carico dei sistemi naturali, al ruolo delle reti e alla loro 307 Serenella Sala & Valentina Castellani complessità (Buchanan, 2004). Le cosiddette soluzioni lecite non investono però la sola sfera scientiica ma anche il paradigma sociale, i modelli di produzione e consumo e, in ultima analisi, le scelte economiche e sociali di coloro che sulle risorse ambientali basano la propria sopravvivenza. Appare logico, quindi, che il paradigma sociale che determina scelte di produzione e consumo e comportamenti rappresenti la dimensione delle soluzioni lecite dei problemi riguardanti la sostenibilità, sia essa intesa come debole o forte (Daly & Farley, 2004). In questo contesto la scienza della sostenibilità rappresenta una scienza di sintesi che integra diverse discipline al ine di comprendere i cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo. Non è ancora una disciplina scientiica matura (Komiyama & Takeuchi, 2006) con chiare componenti concettuali e teoriche, ma una convergenza transdisciplinare di rilessioni e ricerche derivanti da discipline diverse, che cercano di analizzare le interazioni dinamiche tra sistemi naturali, sociali ed economici e di comprendere i modi migliori per “gestirle” (Bologna, 2008). Importanti istituzioni universitarie hanno avviato programmi di ricerca interdisciplinare nella scienza della sostenibilità “per migliorare la comprensione delle dinamiche dei sistemi uomo-ambiente, per facilitare la progettazione, l’implementazione e la valutazione di pratiche di intervento che promuovano la sostenibilità in particolari luoghi e contesti e per migliorare il collegamento tra ricerche rilevanti e comunità innovative da una parte e rilevanti politiche e comunità di management dall’altra” (Harvard Univerrsity, 2009). In questo scenario l’ecologia può rappresentare efettivamente la “scienza guida” (Dellavalle, 2003) dello sviluppo armonioso tra società umana e ambiente ed essere una fondamentale disciplina di educazione non solo “ambientale” ma anche di “sostenibilità” (Castellani & Sala, 2008) come verrà chiarito in seguito. Educazione ecologica ed educazione ambientale non sono sinonimi Le potenzialità dell’educazione ambientale come strumento di cambiamento culturale per un futuro sostenibile sono note già da tempo ma, perché questo sia realmente possibile, occorre ampliare gli orizzonti educativi, introducendo una serie di prospettive multidisciplinari, trasversali e globali, che investano le modalità di pen- 308 Ecologia: raccontami la storia del mio futuro siero, le conoscenze, ma anche i comportamenti e le relazioni sociali (Falchetti & Caravita, 2005). Nello speciico, occorre porre l’accento sulla diferenza tra educazione ambientale ed educazione ecologica. Nonostante spesso usati come sinonimi, non lo sono afatto. L’educazione ecologica supera la descrizione dei comparti ambientali e il mero trasferimento di nozioni e prevede, sia nei contenuti che nei metodi, l’integrazione di alcuni principi ecologici di base. Un elenco non esaustivo ma indicativo di tali principi ecologici è quello fornito dalle correnti della cosiddetta “Ecoliteracy” che ritiene l’attuale crisi ecologica in parte una crisi legata ai sistemi e ai contenuti educativi delle società moderne (Stone & Barlow, 2005) e che insegna agli studenti ad individuare connessioni tra problemi apparentemente disgiunti, immaginare “pattern” anziché parti disgiunte, a vivere se stessi come comunità di apprendimento in interrelazione con tutta la rete della vita. I concetti di base sviluppati dall’educazione ecologica possono essere sintetizzati come: • Reti. Tutti i membri di una comunità ecologica sono interconnessi in una rete vasta e intricata di relazioni (la rete della vita) da cui derivano le loro proprietà essenziali. • Sistemi nidificati. In tutta la natura si trovano a più livelli strutture dei sistemi nidiicati che contengono altri sistemi ed allo stesso tempo sono parte di un tutto più grande. Ciascun livello può sviluppare un insieme di proprietà emergenti. • Cicli. Le interazioni tra i membri di una comunità ecologica si basano sullo scambio di energia e di risorse in continua ciclicità. • Flussi. Tutti gli organismi sono sistemi aperti, il che signiica che hanno bisogno di un lusso continuo di energia e di risorse per rimanere vivi. • Sviluppo ed evoluzione. Il dispiegarsi della vita, che si manifesta come lo sviluppo e l’apprendimento a livello individuale e come l’evoluzione a livello di specie, comporta un gioco di creatività e di adattamento reciproco, in cui gli organismi e l’ambiente coevolvono. • Equilibrio dinamico. Tutti i cicli ecologici agiscono come anelli di retroazione, e questa è la modalità di regolazione e organizzazione delle comunità ecologiche che mantengono così uno stato di equilibrio dinamico caratterizzato da continue luttuazioni (Centre of Ecoliteracy, 2009). 309 Serenella Sala & Valentina Castellani Dall’educazione ecologica all’educazione alla sostenibilità e ad un nuovo concetto di “cittadinanza” Le side poste dallo sviluppo sostenibile ci richiedono di evolvere i paradigmi scientiici, sociali ed educativi e in questa evoluzione il ruolo dell’ecologia è quanto mai cruciale. Non dobbiamo inventare da zero comunità umane sostenibili. Possiamo imparare dalle società che hanno vissuto sulla terra per centinaia di anni. Ma soprattutto possiamo modellizzare e comprendere gli ecosistemi, che sono comunità sostenibili di piante, animali e microorganismi. Dal momento che la primaria caratteristica della biosfera è quella di sostenere la vita, una comunità umana sostenibile dovrebbe essere tale da utilizzare il proprio potenziale culturale, sociale e tecnologico per onorare, supportare e cooperare con la natura nel suo ruolo di sostenere la vita (Centre of Ecoliteracy, 2009). Infatti, le più note deinizioni di sostenibilità (IUCN/UNEP/WWF, 1991) riguardano per lo meno quattro dimensioni: oltre quella ambientale sono contemplate quella economica, quella sociale e quella istituzionale. Questa visione richiede, quindi, di coinvolgere anche il sistema sociale ed economico nella transizione verso la sostenibilità ed in questo coinvolgimento si sostanzia la transizione tra educazione ambientale ed educazione alla sostenibilità. Aumentare la complessiva consapevolezza ecologica per arginare “l’atteggiamento incurante e rapace verso la vita” (Lorenz, 1974) che caratterizza l’archetipo del cittadino consumatore compulsivo. Se l’attuale crisi economica la immaginassimo come un fattore limitante dell’attuale sviluppo, e prendessimo ad esempio le dinamiche dei sistemi ecologici per capire cosa succederà alla “popolazione”, la selezione naturale ci insegnerebbe che i più resistenti saranno coloro che avranno sviluppato maggiori capacità di adattamento, che con nuove risorse riusciranno a continuare a soddisfare i propri bisogni. Se questo in natura avviene per via istintiva, in una società fatta di uomini è frutto anche di conoscenza e di nuova conoscenza. Può sembrare estremamente utopistico ma il “sapere” può diventare la chiave di volta e la formazione, l’istruzione e la ricerca in ecologia e nella scienza della sostenibilità, le leve fondamentali dell’evoluzione della nostra era, l’antropocene. Ecco perché l’ecoalfabetizzazione rappresenta un modo per sviluppare il senso critico e per comprendere i principi ecologici che gli ecosistemi hanno sviluppato per sostenere la rete della vita, sviluppando un nuovo concetto di cittadinanza: se conoscere la Costituzione è uno degli elementi per essere un consapevole abitante di una nazione, conoscere i principi ecologici lo è per essere un consapevole abitante della Terra. 310 Ecologia: raccontami la storia del mio futuro La transizione verso l’educazione alla sostenibilità L’educazione alla sostenibilità riveste un ruolo chiave nell’evoluzione dell’attuale contesto culturale, basata su una profonda conoscenza tecnico-scientiica, inserita in una visione sistemica ed olistica dell’ambiente, tale da permettere di cogliere le relazioni di causa-efetto tra gli elementi che lo compongono e tra ambiente, economia, società, cultura, tradizioni e storia. Lo sviluppo di percorsi di educazione alla sostenibilità ad oggi è una sida aperta, che richiede: • di tradurre il sapere relativo ad una varietà di discipline e di aspetti, spesso tra loro fortemente correlati; • di non trasferire solo nozioni ma di intervenire sui comportamenti dei singoli, corresponsabilizzandoli; • di integrare degli aspetti precipui dell’educazione ambientale con quelli dell’educazione al consumo, in quanto le tematiche dello sviluppo sostenibile e della protezione dell’ambiente sono strettamente correlate a tutti gli aspetti della vita quotidiana e alla necessità di nuovi modelli di sviluppo della società; • di sviluppare modelli di formazione formale ed informale capaci di coinvolgere ed educare non solo studenti delle scuole primarie e secondarie ma di aprirsi all’intera comunità. Ad esempio estendendosi alle Università, dove si formano i decisori del futuro ma anche al resto della società civile (cittadini, imprese ecc). L’impianto educativo in relazione alla sostenibilità si fonda, quindi, su almeno tre aspetti: • conoscitivo (principi ecologici da un lato e impatti sull’ambiente di prodotti e processi dall’altro); • formativo (sviluppo delle capacità di operare per problemi, comprendendone la complessità e sviluppo della creatività per l’elaborazione di un’ampia varietà di soluzioni); • orientativo (basato sulla stimolazione delle attività cognitive ainché i soggetti risultino costruttori della propria conoscenza e consapevoli dei propri comportamenti). L’obiettivo inale non è quindi il mero trasferimento di nozioni ma lo sviluppo di empowerment e di capacity building. In quest’ottica emerge l’esigenza di una più ampia formazione ai formatori perché si possa passare da un’educazione “episodica” e molto spesso svolta da soggetti esterni alla scuola (quali ad esempio associazioni ambientaliste, cooperative che 311 Serenella Sala & Valentina Castellani propongono percorsi formativi e laboratori), ad una vera integrazione nell’attività didattica svolta durante l’anno. Si rivela quindi necessaria una formazione multilivello al ine di completare la preparazione tecnico–scientiica degli educatori e di dare loro adeguate competenze circa gli aspetti umanistici, pedagogici, etici, comunicativi e psicologici fondamentali per la traduzione del “sapere” in un “agire” e in un “saper fare” consapevole e compatibile con l’ambiente. Alcune esperienze di educazione alla sostenibilità Le rilessioni contenute in questo scritto derivano dall’esperienza di ricerca interdisciplinare del Gruppo di Ricerca sullo Sviluppo Sostenibile e dalle esperienze di educazione alla sostenibilità realizzate negli ultimi 3 anni, sperimentando metodi e approcci alla formazione formale ed informale e relazionandosi con esperienze nazionali ed internazionali. Documentazioni relative a queste attività sono disponibili sul sito www.disat.unimib.it/griss. L’esperienza ha permesso di delineare un orizzonte nel quale l’educazione allo sviluppo sostenibile richiede il ripensamento dei modelli classici di educazione ambientale al ine di mettere in relazione aspetti scientiici ed aspetti di cultura civica e di cittadinanza, per evolvere dalla comprensione dei problemi alla modiica dei comportamenti. Le iniziative consistono in una serie di progetti focalizzati sul tema del ciclo di vita di prodotti e processi, indirizzati a tre categorie chiave di soggetti: studenti delle scuole primarie e secondarie, cittadiniconsumatori ed imprese. Per ognuna di queste categorie di soggetti sono state individuate modalità di interazione ad hoc, partendo da attività di sensibilizzazione, informazione ed educazione incentrate sulla difusione di modelli di produzione e consumo sostenibili, con l’obiettivo di intervenire sui modelli culturali di riferimento nonché sugli stili di vita e sui valori dei destinatari (Castellani & Sala, 2009; Hawken et al., 1999), prendendo parte anche alle Attività di Educazione all’ambiente e allo Sviluppo Sostenibile 2008-2010 della Regione Lombardia, patrocinate dall’UNESCO nell’ambito del decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile. Sono, inoltre, presentati i risultati di una serie di giornate di studio promosse dal GRISS sul tema dello sviluppo sostenibile, come momento di confronto tra i docenti e i ricercatori aferenti a diversi ambiti disciplinari (ecologia, economia, sociologia, psicologia, scienze della formazione, ecc.) che hanno sviluppato linee di ricerca sui diversi aspetti della sostenibilità. 312 Ecologia: raccontami la storia del mio futuro Conclusioni Il mondo accademico in generale e quello ecologico in particolare hanno un ruolo e una responsabilità fondamentali nella ricerca e nella difusione della cultura della sostenibilità. In primis, l’integrazione (mainstreaming) dei concetti e principi della sostenibilità nei vari ambiti disciplinari, la formazione degli studenti alla sostenibilità e, inoltre, la possibilità di considerare gli atenei stessi quali luoghi di sperimentazione di politiche e azioni di sostenibilità. In questo contesto, si può considerare l’ecologia una delle discipline fondamentali per comprendere cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo, non solo in coloro che hanno una formazione scientiica con un percorso di studi in cui l’ecologia è prevista quel materia di studio, ma trasversalmente: dalle discipline tecnico-scientiiche a quelle economiche e sociali. Ed è cruciale anche il ruolo delle modalità e dei contenuti della comunicazione della scienza in questo contesto. Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio abuso dei termini “ecologico/sostenibile/sostenibilità” con signiicati e contesti di utilizzo molto diversiicati e con una scarsa condivisione dei concetti fondanti ad essi sottesi. Dal momento che proprio nella comunicazione pubblica e pubblicitaria si usano molti “slogan”, la ricerca nell’ambito della scienza della sostenibilità dovrebbe anche individuare modalità nuove per la comunicazione dei propri risultati per distinguersi e non sovrapporsi al dilagante impoverimento di signiicato. La comunicazione della scienza in tale ambito favorirebbe quella formazione “informale” nei confronti della società civile nel suo complesso, assolutamente auspicabile nel nostro attuale contesto sociale. 313 Serenella Sala & Valentina Castellani Bibliografia Bologna, G. (2008) Manuale della sostenibilità. Edizioni Ambiente, Milano. Buchanan, M. (2004) Nexus. Perchè la natura, la società, l’economia, la comunicazione funzionano allo stesso modo. Mondadori editore, Segrate. Capra, F. (1996) he web of life. Anchor Books, Doubleday, New York. Castellani, V. & Sala, S. (2008) Sostenibilità ambientale: storia e prospettive di un connubio tra ecologia, chimica e termodinamica per l’ecoinnovazione. In: Atti della IX Convention ARG Chimica Ambiente Beni Culturali, Cinisi (PA), 17-21 novembre 2008. Castellani, V. & Sala, S. (2009) Investigating stakeholders’ perspectives about local development and business strategies. Proceedings of Easy-Eco (Evaluation of Sustainability) Conference 16-18 ottobre 2009, Budapest. Centre of Ecoliteracy (2009). Available at: www.ecoliteracy.org (visitato novembre 2009). Daly, H. & Farley, J. (2004) Ecological Economics: Principles and Applications. Island Press, Washington. Dellavalle, S. (2003) L’urgenza ecologica. Percorso di lettura attraverso le proposte dell’etica ambientalista. Baldini e Castoldi Dalai editore, Milano. Falchetti, E. & Caravita, S. (a cura di) (2005) Per una ecologia dell’educazione ambientale. Ist. Scholé Futuro, Torino. Harvard University (2009) Sustainability Science Program at Harvard’s Center for International Development. Available at: http://www.hks.harvard.edu/centers/cid/programs/sustsci (visitato settembre 2009). Hawken, P., Lovins, A. & Lovins, L. H. (1999) Natural Capitalism: Creating the Next Industrial Revolution, Earthscan, London. Komiyama, H. & Takeuchi, K. (2006) Sustainability science: building a new discipline. Sustain. Sci., 1, 1-6. Kuhn, T. (1962) he Structure of Scientiic Revolution, University of Chicago Press, Chicago. IUCN/UNEP/WWF (1991) Caring for the Earth. A strategy for sustainable living. IUCN, UNEP and WWF, Gland, Switzerland, and Earthscan, London. Lorenz, K. (1974) Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Adelphi editore, Milano. Stone, M. K. & Barlow, Z. (2005) Ecological Literacy: Educating Our Children for a Sustainable World. Sierra Club Books, San Francisco. 314 Autori Andrisano, Teodoro … 105 Fanini, Lucia … 271 Antonucci, Antonio … 105 Fano, Elisa Anna … 77 Arena, Carmen … 37, 181 Fiorese, Giulia … 149 Aretano, Roberta … 123 Galante, Gina … 45 Barmaz, Stefania … 289 Galassi, Silvana … 289 Berretta, Claudia … 231 Gambini, Annastella … 279, 289 Bocchi, Stefano … 59 Giordano, Maria … 37 Boschetti, Mirco … 59 Giuliani, Alessandro … 105 Bossi, Antonio … 297 Goio, Ilaria … 241 Broglia, Alfredo … 279 Gomarasca, Stefano … 59 Buia, Maria Cristina … 181 Graci, Giancarlo … 59 Cantiani, Maria Giulia … 223 Gretter, Alessandro … 15, 159, 241 Carraro, Elisa … 131 Guariso, Giorgio … 149, 297 Castellani, Valentina … 139, 307 Lorenti, Maurizio … 181 Cataldi, Maria Angela … 231 Maggi, Marta … 59 Cazzolla, Roberto … 25 Maggi, Oriana … 45 Ciarallo, Marilena A. … 205 Maino, Federica … 223 Cingolani, Linda … 169 Maiolini, Bruno … 19 Cobolli, Marina … 105 Menale Bruno … 249 Copetti, Diego … 131 Meola, Angela … 37 Cotroneo, Rossana … 45 Morri, Elisa … 231 Dadamo, Marco … 259 Müller, Felix … 123 Dal Bello, Luca … 19 Notarnicola, Claudia … 25 Davolos, Domenico … 45 Orsatti, Cristina … 241 De Marco, Anna … 37 Pace, Daniela Silvia … 231 De Meo, Isabella … 223 Padula, Rosalba … 169 DeFries, Ruth … 189 Paletto, Alessandro … 223 ElGtari, Mohamed … 271 Panetta, Silvia … 45 Fahd, Soumia … 271 Pecher, Caroline … 71 315 Perego, Enrico … 149 Scolozzi, Rocco … 97, 159, 231, 241 Perini, Luigi … 89 Semeraro, Teodoro … 197 Petrosillo, Irene … 123, 197, 213, 259 Sibilio, Giancarlo … 249 Pezzotti, Antonella … 279 Tappeiner, Ulrike … 71 Pietrangeli, Biancamaria … 45 Tartari, Gianni … 131 Pileri, Paolo … 59 Tasser, Erich … 71 Pluchinotta, Angela … 77 Tersigni, Stefano … 89, 205 Porzio, Lucia … 181 Torelli, Renato … 205 Ramberti, Simona … 89 Valente, Donatella … 213 Rampa, Anna … 59 Valerio, Azzurra … 105 Ranci Ortigosa, Giovanna … 297 Vallariello, Gioacchino … 249 Reiss, Julia … 77 Venier, Marco … 231 Rovero, Francesco … 189 Vettorato, Daniele … 97 Sala, Serenella … 139, 307 Virzo De Santo, Amalia … 37 Salerno, Franco … 131 Woodward, Guy … 77 Salvati, Luca … 89, 205 Zaccarelli, Nicola … 197, 213, 231, 259 Santolini, Riccardo … 231 Zecca, Simone … 259 Scapini, Felicita … 271 Zitti, Marco … 89 Scepi, Edoardo … 45 Zurlini, Giovanni … 123, 197, 213, 259 316