Bozza intervento DG Forum Internazionalizzazione
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Bozza intervento DG Forum Internazionalizzazione
FORUM INTERNAZIONALIZZAZIONE 2007 BANCHE E IMPRESE NELLA SFIDA DELLA COMPETIZIONE GLOBALE “IL MERCATO CINESE COME SFIDA E OPPORTUNITÀ” MASSIMO MAMBERTI Direttore Generale ICE Roma, martedì 25 settembre 2007 Il mercato cinese come sfida e opportunità Forum Internazionalizzazione dell’ABI, Roma 24-25 settembre 2007 Intervento del Direttore Generale dell’ICE Dr. Massimo Mamberti 1. Il grande potenziale cinese Tutti siamo ormai consapevoli che, per le sue potenzialità di sviluppo economico, la Cina rappresenta un’enorme opportunità per le imprese italiane. Non solo è il paese più popoloso del mondo (vi risiedono infatti oltre 1,3 miliardi di persone), con una crescita demografica attesa tale da rafforzare sempre più il suo primato. E’ anche quello che mostra tassi di crescita in continua accelerazione: il PIL cinese è cresciuto, infatti, negli ultimi anni a tassi record dell’8-9% con una previsione di crescita per quest’anno che supera addirittura l’11% (Banca Mondiale). Il rischio di “surriscaldamento” dell’economia e di pressioni inflazionistiche a seguito di tassi di sviluppo così elevati è al momento prevenuto dalla Banca Centrale cinese, che quest’anno ha rialzato il tasso d’interesse per ben quattro volte. Il paese, ormai definito la “fabbrica del mondo”, deve la sua “esplosione” economica alla notevole espansione del sistema industriale, favorita anche da un’ampia disponibilità di manodopera a basso costo, che ha attratto ingenti investimenti esteri. Il miglioramento delle condizioni di vita, anche se solo di una parte della popolazione, favorisce lo sviluppo dei consumi, che fanno registrare, negli ultimi 10 anni, ritmi di crescita superiori alla media dell’Europa Occidentale. L’enorme afflusso di capitali diretti in Cina, che nel 2006 ha rappresentato il terzo paese percettore di IDE dall’estero, ha contribuito ad espandere l’enorme e crescente surplus della bilancia dei pagamenti (superiore al 9 per cento del prodotto interno lordo). Molto ampio è in particolare l’avanzo nei confronti degli Stati Uniti il cui passivo della bilancia dei pagamenti di parte corrente costituisce com’è noto una delle principali fonti di rischio in tutte le previsioni economiche a breve e medio termine. 2 2. La Cina: nuovo protagonista del commercio internazionale Negli ultimi anni, il contributo della Cina allo sviluppo del commercio mondiale di manufatti è diventato sempre più rilevante: a questo paese va attribuito oltre un quinto della crescita reale delle esportazioni del 2006 e quasi il 15 per cento della crescita delle importazioni. Nel corso dell’ultimo decennio, oltre ad un’accelerazione della crescita, si sono anche avuti profondi cambiamenti nella composizione delle importazioni di manufatti cinesi. A testimonianza della centralità della Cina nei processi di riallocazione produttiva mondiale, si nota il considerevole aumento del peso delle importazioni di Elettronica e, in misura inferiore, di Mezzi di trasporto e Altri beni consumo, grazie ad un aumento negli investimenti, in particolare quelli diretti a potenziare la logistica, e all’aumento della spesa delle famiglie. Si è ridotta, invece, l’incidenza delle importazioni dei settori del Tessile e Abbigliamento e Calzature (Made in Italy), dell’Elettromeccanica e dei Prodotti Intermedi, che non hanno proseguito nella vivace crescita sperimentata nelle prime fasi di sviluppo del processo di industrializzazione. 3. Quale strategia d’ingresso nel mercato cinese per le aziende italiane? Dopo la liberalizzazione nell’ambito dei rapporti economico/commerciali con l’estero negli ultimi anni, si sono fortemente ampliate le opzioni strategiche di inserimento nel mercato cinese. Nell’ottica dell’inserimento commerciale, vi è stata innanzitutto un’importante evoluzione dal punto di vista normativo, dopo il passaggio, avvenuto nel 2004, dal vecchio sistema basato sulle autorizzazioni preventive al nuovo sistema che prevede solo una registrazione delle società di import/export, con la creazione del “Foreign Trade Operator”. In Cina è quindi possibile avviare tutte le “classiche” strategie commerciali d’ingresso, dall’accordo di agenzia/distribuzione all’accordo di fornitura, dall’Ufficio di rappresentanza al franchising. Va inoltre evidenziato che: 1. dopo l’ingresso della Cina nel WTO, i dazi doganali sono stati sostanzialmente ridotti, anche se sono ancora frequenti variazioni delle tariffe. 3 2. la liberalizzazione ha portato ad un’apertura del commercio interno, tradizionalmente protetto, alle società estere, grazie ad una normativa specifica degli investimenti esteri nel settore commerciale. Sul piano della collaborazione industriale/tecnologica e di IDE, in Cina è possibile realizzare le varie tipologie di joint venture, da quelle contrattuali come accordi di licenza, di assistenza tecnica, cessione di know how (con alcune limitazioni) a quelle societarie, con possibilità di maggioranza di capitale da parte dell’investitore estero, dall’acquisizione di società cinesi agli investimenti diretti ex novo di intera proprietà straniera. Le tipologie di inserimento più incoraggiate dalle Autorità locali e più efficaci rimangono quelle di investimento, anche se la liberalizzazione mette a disposizione tutte le scelte strategiche solitamente attuabili all’estero. Più incoraggiate, perché la normativa cinese antepone l’obiettivo dell’attrazione degli investimenti esteri a quello della parità di trattamento tra aziende locali e quelle a partecipazione straniera, con disposizioni fiscali più favorevoli per queste ultime. Più efficaci, perché consentono una presenza stabile, un radicamento in un mercato attraente non solo per poter sfruttare il favorevole costo del lavoro, o garantire una presenza anche in altri mercati asiatici vicini alla Cina, ma anche sempre più per sfruttare le opportunità nascenti dalla stessa espansione della sua domanda interna. In tale ottica, la Cina è un’opzione prioritaria per le aziende italiane, non solo per quelle che devono attuare ex novo o rendere più articolata la loro strategia di internazionalizzazione, ma anche per quelle che devono riorientare delocalizzazioni già realizzate in passato, ad esempio nell’Est Europeo. Proprio lo sfruttamento del basso costo della manodopera cinese, unito alla forte crescita del livello qualitativo delle produzioni in ogni settore, consentono infatti di considerare la Cina come una delle possibili vie di sbocco alternative. Il riorientamento della delocalizzazione in Cina, a seguito di un costo del lavoro decisamente più competitivo, può essere una delle opzioni strategiche per tali aziende. 4 4. Qual è la posizione dell’Italia nel mercato cinese e quali sono le nuove opportunità esistenti? Se analizziamo la presenza italiana nel mercato cinese, vediamo che i risultati non sono adeguati alle nostre potenzialità. L’ingresso delle imprese italiane nel mercato cinese rimane infatti in via prioritaria legato alla penetrazione commerciale. Anche sotto questo aspetto, peraltro, vi sono ampi margini di sviluppo per gli esportatori italiani: la Cina pesa ancora molto poco sulle esportazioni italiane (1,7% nel 2006) e, anche negli anni più recenti, ha contribuito solo marginalmente alla crescita del nostro export. È opportuno sottolineare, però, che la dinamica delle esportazioni verso la Cina si muove su ritmi assai più elevati rispetto al totale dei flussi in uscita dall’Italia; infatti, se nel quinquennio 2002-‘06 le nostre esportazioni totali a prezzi costanti sono cresciute in media d’anno a ritmi intorno all’1,6%, quelle verso la Cina hanno registrato un incremento dell’11,4%. A fronte di un mutamento delle quote relative dei paesi asiatici, con la crescita di Corea del Sud, Singapore e Filippine e il calo di Taiwan, Giappone e Hong Kong, la Germania risulta il solo Paese non asiatico tra i primi 15 esportatori in Cina ad avere registrato una crescita delle proprie quote, grazie in particolare alle sue performance nel comparto elettromeccanico. Tuttavia la quota dell’Italia nel 2006 e, dai dati al momento disponibili, anche nei primi mesi del 2007 sta mostrando un netto recupero diffuso un po’ a tutti i settori merceologici. Questo sta avvenendo anche grazie al fatto che nel mercato cinese stanno emergendo importanti segnali di un cambiamento del contesto competitivo in senso più favorevole per le nostre imprese. Le opportunità per le aziende italiane derivano dai processi di modernizzazione della struttura produttiva del paese e dalla crescente capacità di spesa di alcune fasce della popolazione cinese. Attraverso un’analisi che utilizza diversi indicatori (come ad esempio il PIL pro capite dei diversi paesi di provenienza delle esportazioni per ogni settore) emerge come in Cina vi siano una serie di settori, prevalentemente del comparto elettromeccanico e del Made in Italy, in cui la composizione degli esportatori conferma ancora una volta le ipotesi di una progressiva apertura del mercato a tipologie qualitative di prodotti di gamma medio alta prima poco rilevanti. In questo contesto, le imprese italiane potranno maggiormente far leva sugli aspetti competitivi diversi dal prezzo per cercare di vincere la concorrenza degli altri paesi più industrializzati. 5 Notevoli sono le opportunità nel settore della meccanica soprattutto in quei comparti in cui le aziende mantengono una buona capacità innovativa. Più in particolare, le opportunità risiedono in settori quali il meccano-tessile, le tecnologie per plastica, legno, ceramica, metalli e la meccanizzazione agricola. Nel settore automobilistico vi sono ampie possibilità di espansione nel settore della componentistica, poiché i maggiori produttori si sono spostati in Cina e la produzione di componenti di qualità dipenderà molto dall’apporto tecnologico proveniente dall’estero. Proprio in questo settore emerge la necessità di attivare insediamenti produttivi all’interno dell’area asiatica per le tipologie di mezzi con maggior domanda dal mercato cinese, completando magari la gamma d’offerta con flussi di esportazione direttamente dall’Italia. Una forte spinta deriva anche dalla necessità di realizzare opere infrastrutturali: molto è stato fatto nel corso degli ultimi anni per la costruzione di strade, autostrade, ponti, ferrovie, centrali elettriche; ma molto è ancora da realizzare anche all’interno del quadro di espansione previsto dagli appuntamenti delle Olimpiadi del 2008 a Pechino e della Esposizione Universale del 2010 a Shangai. Anche il sistema dei trasporti marittimi e fluviali, nel settore energetico e della protezione ambientale, le aziende italiane possono giocare un ruolo interessante e risultati positivi sono già stati conseguiti anche sulla spinta del progetto del Ministero dell’Ambiente in partnership con l’Ice. 5. Le multinazionali cinesi investono sempre di più all’estero, le aziende italiane devono investire di più in Cina La definizione della Cina come “Fabbrica del Mondo”, cui si faceva riferimento prima, sta sempre più diventando riduttiva dal momento che il paese non solo attrae investimenti diretti, nei settori ad elevata intensità di lavoro e in quelli in cui è richiesto un livello più elevato di conoscenze tecnologiche (skill-intensive), ma ha anche intrapreso con decisione il sentiero multinazionale con i suoi maggiori gruppi industriali. Già dai primi anni dopo il 2000, il governo cinese ha intrapreso azioni volte a promuovere l’internazionalizzazione del sistema produttivo seguendo tre indirizzi principali: a) iniziative per favorire l’approvvigionamento energetico, b) partecipazioni nei servizi per migliorare la penetrazione dei beni nei mercati finali, 6 c) IDE per l’accesso a tecnologie e acquisizioni di imprese con marchi già forti nei mercati al fine di elevare la qualità e l’immagine percepita. È a partire dal 2001 che i flussi di investimenti in uscita dalla Cina sono divenuti gradualmente più rilevanti fino a totalizzare alla fine del 2005 uno stock di 57 miliardi di dollari. Il livello è ancora poco significativo (rappresenta circa lo 0,9% del totale mondiale) ma il tasso di crescita è particolarmente elevato. Le principali destinazioni sono ancora i paesi del continente asiatico, ma recentemente si assiste a un notevole allargamento verso altre aree geografiche, Africa e America Latina in primis, dove gli Ide sono principalmente destinati allo sfruttamento delle risorse naturali. La presenza di Ide cinesi in Italia è in netta crescita rispetto al passato: le imprese cinesi in Italia hanno realizzato alla fine del 2005 un fatturato di circa 769 miliardi di euro, mentre alla fine del 2001 il fatturato realizzato non superava i 120 miliardi. Anche se l’ammontare di investimenti diretti esteri provenienti dalla Cina è ancora limitato in termini assoluti, non mancano i presupposti perché i flussi vadano sviluppandosi nei prossimi anni. Anche per quanto riguarda la presenza di imprese italiane in Cina si assiste a una tendenza crescente, intensificatasi sensibilmente negli ultimi quattro anni: la Cina è ormai il settimo paese per presenza italiana all’estero e il terzo se si considera solo il settore manifatturiero, per cui l’incidenza della Cina come paese di destinazione supera quella di paesi tradizionalmente importanti, come Polonia o Brasile. Alla fine del 2005, più di 600 imprese italiane avevano un insediamento sul mercato cinese con circa 46.000 addetti e un fatturato di 3,5 miliardi di Euro. A circa un sesto delle imprese italiane presenti in Cina è attribuibile più di una partecipazione. Rispetto ad altri paesi europei, la posizione dell’Italia è però ancora contenuta, con una quota sugli investimenti nel paese inferiore a Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Francia. Osservando la distribuzione settoriale emerge il ruolo significativo del comparto manifatturiero. Al suo interno sono prevalenti il settore delle macchine e apparecchi meccanici ed elettrici e i settori tradizionali del Made in Italy (calzature, mobili e abbigliamento). Da questi stessi comparti può provenire la maggiore spinta per un incremento della presenza multinazionale italiana. La caduta dei vincoli legati all’accordo sul tessile e 7 abbigliamento e la maggiore capacità di presidio attraverso la presenza diretta, anche in un’ottica di tutela dei marchi, possono rappresentare presupposti strategici per un recupero della posizione italiana rispetto ai principali paesi europei. Analogamente, risulta cruciale un rafforzamento dei servizi e degli investimenti più finalizzati al mercato interno, attualmente su livelli piuttosto contenuti. Dal punto di vista degli investitori, ancora dominante è il ruolo delle grandi imprese, che più facilmente sono in grado di superare i vincoli alla crescita multinazionale derivanti dalle distanze fra i paesi (fisiche, ma anche culturali). Dalla dinamica recente è possibile notare, tuttavia, un cambiamento nel profilo delle imprese investitrici a favore anche di piccole e medie imprese. 6. Conclusioni In definitiva, i grandi progressi della Cina hanno moltiplicato le opportunità di inserimento per le aziende italiane, sia a livello commerciale/esportativo, con la creazione di nuovi spazi inesistenti fino a pochi anni fa, a seguito dell’intenso sviluppo economico, sia e soprattutto a livello di investimenti produttivi, grazie al deciso innalzamento degli standard qualitativi medi della produzione locale. Ciò renderà possibile aprire la strada della delocalizzazione anche ad aziende operanti in fasce relativamente elevate del mercato, ferma restando la concentrazione in Italia delle lavorazioni più complesse ed esclusive. Un deciso incremento di investimenti produttivi italiani in Cina contribuirebbe quindi a consolidare il crescente fenomeno del Made BY Italy, sempre più complementare al classico Made IN Italy e sempre più necessario per rafforzare la competitività complessiva del nostro Paese nel mercato globale. Sul fronte del marketing strategico si giocherà nei prossimi anni una partita fondamentale per la competitività all’estero. In questo quadro altamente concorrenziale, la collaborazione industriale con le aziende cinesi è destinata sempre più a rappresentare un’arma vincente non solo per le aziende, ma anche per i distretti industriali italiani. Una partita in cui i distretti sono in prima linea, in considerazione della forte accentuazione dei processi di delocalizzazione che molti di essi hanno già messo in atto per le produzioni ad alta intensità di lavoro, per concentrarsi sempre più su fasi e processi più qualificati ed innovativi. 8 La Cina rappresenta un anello importante di tale strategia, essendo in grado di garantire un livello qualitativo adeguato delle produzioni delocalizzate. Ciò consente di moltiplicarne al tempo stesso anche le finalità, non solo “difensive”, per sfruttare il minor costo della manodopera, ma anche “offensive” per cogliere le opportunità della domanda interna cinese, crescente e rivolta a nuove fasce di prodotti. L’ICE è, come sempre, in prima linea con la sua rete di Uffici in Cina e a totale disposizione delle aziende per assisterle nell’affrontare le sfide e nel cogliere le nuove opportunità offerte da questo grande Paese. 9