La Rivoluzione francese e le sue cause

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La Rivoluzione francese e le sue cause
LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LE SUE CAUSE
DI ROBERTO d’AMATO
Introduzione
Questo argomento è stato già affrontato da molti studiosi di politica e di storia, mi sono permesso
anch’io, che sono un comune mortale, di fare una modesta analisi politica, con un metodo
comparativo isprirandomi ai giorni nostri, per quanto concerne la politica.
Capitolo 1
Il secolo dei lumi.
Alla fine del 1700, l’Ancien Régime era pervaso da una profonda crisi, la mancanza di omogeneità
politica provocava un’instabilità politica nell’azione di governo del re. Vi fu il periodo della
Reggenza, che diede prestigio alla Francia, espansione territoriale, attuata dal suo predecessore
Luigi XIV, il cosidetto Re Sole, egli, anche grazie al regalo postumo di un vegliardo, cioè il
cardinale Fleury, ottenne la Lorena, la Corsica, la Francia e riuscì ad ottenerla grazie alla cronica
crisi della Repubblica di Genova (un anno prima che nascesse Napoleone Buonaparte, quest’ultimo
durante il periodo delle Repubblica francese, francesizzò il cognome in Bonparte). La corte del re,
Luigi XVI, viveva spensierata a Versailles, incapace di cogliere gli avvenimenti politici e sociali
che si stavano ormai delineando nella società francese. La miopia politica del re, assertore di un
potere assoluto illuminato, fu nella sua incapacità di imporre ormai ad una nobiltà parassitaria e
nostalgica, una nuova funzione, non più impostata sulle rendite fondiarie bensì sulla creazione di
quello spirito imprenditoriale e mercantilistico che in Inghilterra, nel 1600, prese già vigore in modo
determinante tra il ceto nobiliare. Questa statisticità politica ed economica provocò nella Francia
una profonda crisi che fu accentuata dall’incapacità dei ministri economici del re di imporre alla
nobiltà le tasse e le imposte in modo equo. Alla frustrazione della borghesia francese, privata del
tutto del potere poitico, pur avendo una funzione economica dello stato, si aggiunse il malcontento
dei contadini. Le masse contadine, che vivevano in condizioni di estrema miseria ed indigenza,
sentivano il netto divario tra la vita di campagna e il comportamento frivolo e dispendioso di una
società chiusa nei suoi privilegi e nelle sue consuetudini arcaiche. A farsi portatore di questo
crescente malcontento popolare e sociale furono i cosidetti intellettuali che si rifacevano alla
filosofia dei Lumi. In tale clima di insoddisfazione generalizzata, lo spirito dei Lumi, mettendo a
nudo le pieghe sociali e politiche, accuivano i malcontenti, denunciavano le ingiustizie r reclavano
le riforme. Non per niente il potere politico era detenuto dall’uno per cento della popolazione, cioè
la nobiltà; infatti le carriere militari, giudiziarie, diplomatiche, erano esclusivamente riservate alla
classe sociale patrizia e gentilizia. La società francese ufficilalmente era divisa in tre ordini: il clero,
che contava circa centocinquantamila persone, la nobiltà, circa mezzo milione, e i restanti del terzo
stato(alta borghesia, media borghesia, piccola borghesia, operai professionisti), che rappresentavano
due milioni e mezzo di persone. I nobili rappresentavano una casta chiusa, tuttavia nel 1700 i
borghesi arricchiti comprarono cariche amministrative, cosidetta nobiltà di toga, mescolandosi con
l’antica nobiltà (quest’ultima si vantava di discendere dai Franchi di Carlo Magno). Questa nuova
nobiltà, prettamente di toga, avendo molto denaro investiva nelle rendite fondiarie in modo oculato.
Ormai lo zoo che aveva creato Luigi XIV per relegare l’alta nobiltà e per tenerla sotto controllo era
destinato alla chiusura; questa classe patrizia improntata a una rigida etichetta, che si presentava
troppo fatua e cerimoniosa, tante volte citata dal duca di Saint Simon, sembrava suscitare una
profonda ilarità perché la preoccupazione principale della nuova nobiltà e della vecchia nobiltà era
la corsa sfrenata alla ricchezza, al fine di poter condurre una vita brillante. Ovviamente la nobiltà,
per mantenere i propri privilegi, si appoggiò a determinati valori filosofici, quali la nascita, la
superiorità di sangue e l’onore visto in funzione mistica. Tutti questi valori comporteranno per il
nobile un codice di maniere, corteggiamenti, mode e persino linguaggio, destinato a distinguere i
membri di questo universo dai “plebei” e congenitamente inferiori. Teorico, ideologico e filosofico
della nobiltà era il Montesquieu, che riservava a questa classe sociale una funzione determinante. Il
teatro della vita nobiliare non era più la campagna, dove in un maniero cadente vegetava il
gentiluomo rustico con le sue antiquate nozioni di fedeltà e di lealtà, bensì le città. Fu allora che si
moltiplicarono i superbi hotel, le superbe dimore dei parlamentari, che espletavano una funzione di
propaganda. Il fulcro della moda era Parigi, eterna scenografia dell’aristocrazia, la quale investiva le
proprie energie e soprattutto le proprie risorse economiche. La vita della classe nobiliare si
espletava nei salotti, all’Opera, ecc.. Tutti i lussi erano al suo servizio; non solo, ma anche chi
scriveva a livello amatoriale come me ed esprimeva critiche a questo sistema feudale prossimo al
collasso. Questa vita eccessivamente frivola era enormemente esosa per la nobiltà che, per reperire
il denaro necessario al fine di poter condurre questo stile decadente e dispendioso, dovette
confrontarsi nel campo economico con una borghesia molto agguerrita. Questo rigido steccato
sociale che si era creato in Francia fra le varie componenti sociali provocherà quella grande scintilla
che nei secoli a venire sconvolgerà tutto il mondo. In Inghilterra ci fu la rivoluzione di Cromwell,
che durò due anni in cui fu giustiziato un re e poi lui fu dissotterato e giustiziato a sua volta da
morto, ciò rese la nobiltà inglese meno reazionaria e più aperta nei confronti della borghesia, la
quale potè più facilmente accedere alla nobiltà per meriti economici. Addirittura, sostiene de
Toqueville, troviamo aristocratici inglesi che sovente pranzano con i propri contadini, cosa
impensabile nella Francia dell’Ancien Régime; questa flessibilità ha permesso alla nobiltà inglese di
sopravvivere fino ai giorni nostri, altra caratteristica che aveva la nobiltà inglese, come quella
protestante dell’Olanda, Danimarca e Scandinavia, era quella di essere più dedita al commercio e
alle industrie, mentre quella spagnola, francese, italiana erano legate alla terra, quindi questa
arretratezza economica si rifletteva anche nella loro ideologia politica, cioè retrograda e
reazionaria. Da questo si deduce che un duro scontro sociale si stava delineando, la vecchia classe
era al capolinea e la borghesia era pronta a sostituirsi. Un po’ come adesso, che assistiamo alla crisi
inesorabile della borghesia, del libero mercato senza regole e del capitalismo padronale e vediamo
affacciarsi con decisione, grazie alla globalizzazione, altri popoli che fino ad adesso erano stati
esclusi dal processo produttivo economico mondiale, perché tutto grazie alla guerra fredda ruotava,
fra le due sponde dell’Atlantico (U.S.A. – U.R.S.S. Europa).
Ritornando alla Francia del 1750, ai tempi di Luigi XV si erano create delle cricche o ai giorni
nostri diremmo gruppi di pressione ai nobili, che avevano un fine affaristico. Scoppiarono degli
scandali dopo il 1780 (bancarotta dei Rohan Guémanéé, fallimento del conte d’Artois, affaire della
collana), che umiliarono la corona e rimisero in luce il malaffare che regnava fra l’aristocrazia e il
potere. La classe sociale antagonista per antonomasia era la borghesia, sempre rivolta a competere
con gli aristocratici, e ad elevarsi economicamente. Questi borghesi, gran lavoratori, parsimoniosi e
severi, impregnati di una certa morale giansenista, censuravano volentieri lo stile di vita della
nobiltà scialacquona, godereccia e corrotta del settecento. Nel 1700 la borghesia redditiera si
organizzò in modo sistematico per elaborare una propria struttura, impiegò il proprio tempo nelle
discussioni delle accademie di provincia, della società di pensiero, partecipò alle logge massoniche
borghesi (distinte da quelle della nobiltà), destinò molto denaro all’acquisto di libri, a ricerche, a
esperienze, manifestando di avere fame di conoscenza. Il clero aveva due problemi: uno materiale e
l’altro morale; innanzitutto l’attribuzione dei benefici avveniva in una cornice sempre più
aristocratica; dopo il 1760 tutti i vescovi furono di estrazione nobile. Era l’alto clero che percepiva
la quota principale della decima, di cui distribuiva una scarsa fetta ai curati e vicari sotto forma di
“congrua”. Eccezion fatta per gli ordini severi, la vita dei regolari si rilassò e le abbazie finirono per
essere abitate solo da pochi religiosi, per lo più rampolli della nobiltà, i quali in tal modo godevano
di rendite considerevoli utilizzate per l’edificazione di santuosi palazzi, abbazie, conventi. Essi
divennero più amministratori dei beni della Chiesa che religiosi, quindi svolsero una funzione più
laica che spirituale. L’alto clero della Chiesa francese si occupava più della cura degli affari che non
delle sue anime, questo provocò una forte deplorazione da parte dei fedeli di campagna che di
fronte a questa mondanità, condotta da questi rampolli della nobiltà vestiti in l’abito talare, non
potevano tacere. Questo fece sì che si svilupparono nel basso clero tendenze presbiteriane. Nel
XVIII secolo il giansenismo (dottrina morale e teologica risalente al vescovo Giansenio d’Ypres,
professata dai religiosi di Port Royal in Francia nel XVII secolo, estesa poi in molto paesi d’Europa
e condannata dalla Chiesa Cattolica per la sua eccessiva ridigezza e per la sua opposizione alla
morale ufficiale dei Gesuiti), divenne l’espressione religiosa dell’ostilità verso l’assolutismo
governativo. Il paradosso era che la Chiesa in Francia contivuava fedele alla logica del suo ruolo e
alla sua struttura di “corpo sociale” a preconizzare la repressione contro tutte le dissidenze, in primo
luogo contro i protestanti, ferocemente ostile a quella filosofia dei Lumi, che pur certi suoi prelati
patrocinavano nei salotti. Tuttavia, malgrado le rivendicazioni del basso clero e le deviazioni di
questo o quel vescovo, malgrado la sua eterogenità totale, il clero, profondamente lealista, restava
uno dei fondamenti della società dell’Ancien Régime. Altri gruppi marginali, una sorta di Bohéme
alla quale apparteneva Diderot che ne evocò i tratti. Tra i frequentatori di caffè, giardini e altri
luoghi in cui si spacciavano novità, si agitavano idee, si ottenevano informazioni, si intessevano
intrighi. La crisi endemica dell’Ancien Régime fu accentuata dalla difesa ad oltranza dei privilegi
feudali, ormai anacronistici della nobiltà (tipo la decima e tutti quei diritti signorili che ormai
apparivano ridicoli) per la società francese del XVIII secolo. Questo perenne contrasto tra
assolutismo regio e forze cosidette progressiste (illuministi, certi settori della magistratutra, interi
circoli di intellettuali) creava un’atmosfera densa di contasti e di situazione permanentemente
agitata della società francese, la quale mostrava un fermento crescente. Queste aspettative, frustrate
dai ceti cosidetti subalterni, sarebbero poi sfociate nella grande Rivoluzione Francese. Diderot,
grande enciclopedista, aveva già previsto questa grande rivoluzione. Essa avrebbe non solo
cambiato la Francia, ma l’intera Europa ne sarebbe stata contagiata. La pressione fiscale verso la
metà del 1700 aumentò a dismisura perché l’esercito e la marina furono pontenziate, soprattutto
sotto il duca di Choiseul. Questo aumento della pressione delle tasse e delle imposte raggiunse,
sotto Fleiry e la marchesa di Pompadour, enormi livelli, che furono dettati dallo sperpero della
corte, ormai votata alle più disparate stravaganze, come la moltiplicazione di piccoli appartamenti,
più sontuosi dei grandi, frequenza e ricchezza delle feste, in progressione costante dopo la morte di
Fleury, mantenimento di un personale enorme e soprattutto distribuzione di pensioni e di “grazie”.
L’aumento delle imposte indirette gravarono soprattutto su prodotti di consumo corrente, vini e
sale, reso evidente dal continuo aumento, dopo il 1738, del tasso di locazione dell’esattoria
generale. Vista l’entità dei diritti da essa introitati dal re e l’oraganizzazione dei suoi servizi, i salari
che distribuiva ai suoi innumerevoli dipendenti e il fasto dei suoi dirigenti, essa era divenuta la
prima potenza finanziaria della Francia. La superoligarchia dei quaranta esattori generali, legati tra
loro mediante matrimoni e dotati di considerevoli influenze in seno al governo, che nulla poteva
senza di essi (e reciprocamente), formava in realtà un mondo a sé. La maggior parte dei regi prelievi
sulla rendita delle terre proveniva dall’imposta diretta “La taille”, che gravava quasi esclusivamente
sui contadini. Senza dubbio i privilegiati, al pari degli altri sudditi, erano costretti a pagare la
capitazione, ma lo facevano in maniera insufficiente, e quel che se ne ricavava era scarso. Ina attesa
dell’istituzione di un’imposta fondiaria proporzionata sui redditi (il ventesimo introdotto a partire
dal 1749, tanto a lungo contestato e che permetteva incassi tanto dilazionati, nonostante la
fraseologia ad effetto delle dichiarazioni ufficiali), la taille continuò a schiacciare il mondo
contadino. Questo conservatorismo fiscale, di conseguenza, produsse un arretramento tecnologico
dell’agricoltura, perché mentre in Inghilterra si usavano nuovi macchinari e il concime, in Francia si
aveva un’agricoltura di scarsa redditività, basata su rotazioni rudimentali, in cui il maggese aveva
larga parte, sullo sfruttamento mal condotto di un suolo consistente in parcelle sbriciolate e
sottoposte alle costrizioni e servitù collettive, e sulla sopravvivenza dei terreni comunali,
indispensabile complemento di quell’antico sistema. Fu allora che prevalsero le idee e le teorie sulla
fisiocrazia, di prelevare la quota d’imposta sul prodotto netto dell’agricoltura incoraggiata,
migliorata e reinserita in un circuito di libertà di produzione e di scambi, affidata ad una classe di
proprietari defeudalizzati. Sicchè l’assolutismo classico di Luigi XIV che, sotto l’onnipotenza del
monarca, era parso fungere da coordinatore e fattore di equilibrio per tutte le forze politiche e
sociali fino a poc’anzi tanto antagoniste, nel 1700 un po’ alla volta perse il proprio carattere di
arbitro per divenire il garante e in realtà il complice di un ordine sociale e morale sempre più
squilibrato, ingiusto e infine insopportabile. La legge era vincolata al re sia direttamente che
indirettamente, i giudici erano solo dei meri esecutori del volere del sovrano. Il monarca se voleva
poteva sottrarre ai giudici i procedimenti ad essi affidati, ed affidarli ad altri come commissioni,
gran consiglio intendenti. Il re se voleva poteva fare incarcerare o detenere chiunque gli garbasse,
mediante una semplice lettre de cachet, procedimento del resto perfettamente “legale” nel senso che
era integrato naturalmente nel sistema. Questo sistema si era affermato ai tempi di Luigi XIV, ma
sul finire del 1700 questa serie di prerogative o, se possiamo affermare, questa onnipotenza del
sovrano, fu guardata con estrema critica. Poi, nel XVIII secolo, il re Luigi XVI, invece di abolire i
privilegi, li mantenne e per il popolo questo atteggiamento del potere non fu più sopportabile. Sul
finire del 1700 assistiamo al ritorno preponderante dell’alta nobiltà nel governo e nell’altra
amministrazione, questo arretramento di potere della borghesia, che si era conquistata con Luigi
XIV, si ritrovava ora ridimensionata. Questa oligarchia nobiliare, non solo frustrava il terzo stato
(cioè borghesia e popolo), ma rendeva le riforme dello stato impossibili da attuare in senso
democratico. Altra crisi del sistema democratico monarchico assolutistico francese era
rappresentata dagli intendenti, che erano l’espressione della volontà del re. Le varie organizzazioni
poitiche locali (parlamenti, assemblee provinciali) li consideravano come una manifestazione palese
d’interferenza dell’amministrazione centrale. In seguito il loro ruolo fu ridotto, perché vennero
scontrarsi con i governatori provenienti dalla nobiltà. La funzione degli intendenti fu rimessa in
discussione anche dal governo, tra cui ricordiamo Turgot, che non li vedeva di buon occhio. Necker
aveva da ridire sulla loro prerogativa e meditava di sopprimerli con l’istituzione delle assemblee
provinciali tra il 1778 e il 1787, finì per togliere alla funzione molto del loro prestigio e soprattutto
poteri. Il problema principale dell’epoca fu l’incapacità dei sovrani a comprendere, se non in modo
frivolo, il loro impegnativo mestiere di re. Essi si insediavano a Versailles, al centro di una realtà
che li isolava e li portava a vivere in un’altra dimensione, lontana dai bisogni primari dei sudditi.
Infatti la superficialità del re si manifestava nel suo maggiore impiego alle cosidette attività
cavalleresche (caccia, cerimonie, agli affari esteri). I re francesi erano sordi nel risolvere i problemi;
ma il vero problema stava nella loro inettitudine di risolvere i problemi tecnici del governo. Né
Luigi XV, uomo dallo spirito più elastico e dalla personalità più complessa malgrado avesse delle
broblematiche caratteriali, né tanto meno Luigi XVI, apatico e di straordinara ingenuità politica,
avevano l’istruzione e le capacità intellettuali necessarie per espletare l’esercizio di responsabilità
complesse e divenute gravi. Non erano sedotti e neppure interessati all’esercizio del potere, se non
in maniera superficiale, tuttavia con un’alta consapevolezza della propria responsabilità nei
confronti della corona affidata loro da Dio, essi si ostinavano a mantenere i loro diritti. Ovviamente
questo atteggiamento di fierezza non poteva bloccare la marea di critiche che da ogni parte
piombavano sul regime e neanche nell’esercito ormai Luigi XVI poteva contare ciecamente. I Lumi
non furono, a rigor di termini, una filosofia propriamente detta, per esempio Fontanelle era un
meccanicista inquieto, Helvetius un materialista “egoista”, Diderot un materialista inquieto, Buffon
era un “naturalista”, La Mettrie un medico, d’Alembert un geometra, Montesquieur un giurista.
Tuttavia tutti avevano in comune un certo atteggiamente mentale che si rifaceva al metodo
scientifico e cercava nell’indagine empirica sulle cose. I Lumi furono un’intelligenza rinnovata, un
nuovo rischiaramento. Il punto di riferimento non era più la fede bensì la ragione, molto
illuminante, da cui deriva il nome. Nel XVIII secolo tale ragione era incerta: da un lato la ragione
cartesiana, che giustificava le idee innate, i principi assiomatici della natura umana, dall’altra la
ragione sperimentale, che procedeva di pari passo, l’una e l’altra vicendevolmente illuminandosi. Il
razionalismo cartesiano aveva creato il clima intellettuale degli ambienti di pensiero e di cultura;
d’altra parte quali potessero essere i correttivi apportati allo sperimentalismo di Newton e di Locke,
i pensatori ei Lumi restarono aggrappati alla forma di ragionamento del cartesianismo. In effetti la
filosofia dei Lumi, nonostante la sua grande passione per il concreto, non era avversa alla tesi e
volentierei anzi postulava l’innatismo dei nuovi cardini, cioè Natura, Progresso, Felicità, Libertà,
spesso arrivando ad una nuova ortodossia. L’ateismo era materia dei meccanicisti come La Mettrie
e degli sperimentalisti come Helvetius, Diderot, D’Holbach o dei più arditi nella loro ricerca di un
uomo totale. Secondo i Lumi, nel periodo che visse anche Retiff de la Bretonne, l’uomo non era più
soggetto alla volontà teologica della Chiesa, ma diveniva parte integrante della natura fisica,
materiale, misurabile con tutti i suoi diritti. L’uomo dunque doveva adoperare la ragione e la natura,
applicarle alla realtà immediate, agli oggetti pratici che lo interessavano e che interessavano la
società. Ottimismo o pessimismo, ragione o sentimento, ricerca della felicità o fede nel progresso,
non furono che un modo di forze coniugate, per minare le convenzioni e le consuetudini, le
istituzioni, che né la natura, né l’utilità, né la giustizia sanzionavano. La scienza scoprì immensi
orizzonti che diedero slancio e impulso allo spirito, portandolo all’idea di un miglioramento della
condizione umana grazie al’applicazione di scoperte concatenate; niente progresso senza progresso
scientifico, l’influenza del metodo scientifico si riscontra anche nella letteratura: abbiamo Rosseau
che esaltò il proprio masochismo Retiff de la Bretonne, il proprio feticismo, Chorderlos de Laclos
anatomizzò la perversione morale e de Sade, stese un catalogo delle mostruosità della natura.
Abbiamo alcuni chierici, come Lavoiser, che esaltarono questa scienza. La Chiesa da questi
pensatori intellettuali venne ridicolizzata, non solo, anche il suo eterno bigottismo e il suo cieco
fanatismo. In contrapposizione dei Lumi, al tempo di Restiff de la Bretonne, nacque un movimento
che si pose in un certo qual modo in antitesi ai Lumi, i maggiori rappresentanti furono Nonnotte,
Palissot, Fréreon e Moreau. Questi studiosi non negarono la filosofia del tempo, ma ne criticarono
l’eccessivo razionalismo meccanicistico. Questi antifilosofi riprendendevano i temi primitivi della
felicità e della innocenza naturale, valorizzando gli studi sull’antichità classica e sul cristianesimo.
Gli aspetti del pensiero dei Lumi furono raccolti nell’Enciclopedia, questa enorme opera letteraria
che venne iniziata nel 1750, aveva la pretesa di esporre in modo semplice e chiaro tutte le
conoscenze acquisite fino a quel periodo. I personaggi che vi collaborarono furono i seguenti:
Rosseau, Montesqueiu, Voltaire e Turgot. Il fine dell’opera era esaltante, essa dimostrava la
possibile padronanza dell’Uomo sull’universo da cui dipendeva; in essa Diderot e d’Alembert
esortavano e volevano convincere a pensare con la propria testa, a cercare la verità, nella scienza e
nella storia e non più nella Bibbia e nella dottrina della Chiesa. La novità dell’opera
dell’Enciclopedia consisteva nel comprovare che la felicità umana dipendeva dall’uomo stesso,
capace di tutto, d’intraprendere e di realizzare, a patto che fosse liberato e affrancato dai suoi
schemi atavici. Nel 1759 la Chiesa attaccò l’Enciclopedia, che fu messa al bando, d’Alembert
abbandonò l’impresa di concludere l’opera, Diderot invece continuò, grazie al sostegno della
marchesa di Pompadour e di quello di Malesherbes, allora direttore della biblioteca. Del resto, la
persecuzione contribuì al successo dell’Enciclopedia, che divenne un grosso affare commerciale.
Tuttavia, anche se vi era un’apertura nei confronti del popolo, Diderot e Rosseau, massimi filosofi
del pensiero politico che si stava affermando, ammettevano che il popolo non doveva essere reso
partecipe del potere diretto, perché troppo rozzo; quindi solamente dei saggi dotati di una buona
cultura avevano diritto di governare la moltitudine. Poi questi filosofi della politica auspicavano una
transizione democratica nella monarchia francese, cioè sul modello inglese, infatti loro sognavano
una monarchia costituzionale, dotata del bilanciamento dei poteri (potere legislativo, potere
esecutivo, potere giudiziario). Si chiedeva inoltre una cessazione delle persecuzioni religiose e una
maggiore tolleranza nei confronti delle altre realtà politiche e religiose. Questi filosofi detestavano
tutti gli abusi, la miseria degli uni, lo sfarzo degli altri, i privilegi ingiustificati che schiacciavano il
popolo, il dispotismo. Il diritto di proprietà doveva essere mantenuto, contemperando i giusti limiti
costituzionali, secondo i filosofi Rosseau e Morelly.
Nel 1786, in piena crisi, si verificò un netto incremento dei prezzi, generatore di fallimenti e di
difficoltà, cui per soprammercato si aggiunsero due anni di grave deficit agrario e di disordini nelle
campagne. A questo si aggiunse la categorica contarietà della nobiltà di pagare in modo equo le
imposte e le tasse, non per niente l’editto fiscale di Lomenié de Brienne, fallì miseramente. Anzi, si
ebbe una controreazione della nobiltà che si riprese in modo diplomatico l’antico potere che aveva
(per esempio certi duchi e principi potevano battere moneta ed amministrare la giustizia nele regioni
della Francia che amministravano), senza contare gli innumerevoli privilegi e prerogative su cui
poteva contare. A mettere in difficoltà il potere assoluto del re erano le finanze dello Stato, che
erano state impegnate in una serie di conflitti, tra cui la guerra dei sette anni 1762-1770 e la guerra
d’indipendenza americana 1776. Il mantenimento di eserciti poderosi e di una marina francese
competitiva a quella inglese comportava enormi costi. Il governo francese fece una politica
aggressiva ed ambiziosa, retaggio di Luigi XIV, nelle colonie americane, sostenendo un aspro
scontro con gli inglesi. I francesi si espansero in Canada ed in Louisiana, scontrandosi con i coloni
inglesi, poi l’ascesa al trono inglese di Guglielmo III, nel 1688, non fece che accentuare la tensione
fra la Francia e la Gran Bretagna, specialmente in Canada e in Louisiana. Quindi la Francia si
scontrò militarmente con l’Inghilterra in Canada (che perse con la guerra dei sette anni, la Gran
Bretagna vinse grazie all’apporto determinante dei coloni inglesi). In India, grazie alla Compagnia
delle Indie francesi, si espanse creando numerevoli basi, che provocarono un conflitto sanguinoso
con l’Inghilterra. In Europa la Francia doveva misurarsi non solo con l’Inghilterra, ma soprattutto
con potenze del calibro di Austria e Prussia (fondatori dello stato prussiano gli antichi preti
guerrieri, i cavalieri teutonici, e gli Juncker, nobili prussiani che si adoperarono tantissimo per
rendere lo stato forte, anche se Federico I e Federico II, con il loro centralismo, lo resero potente,
grazie anche alla loro centralizzazione). Quindi la Francia era impegnata su due fronti nelle colonie
contro l’Inghilterra, in Europa era insidiata da Austria e Prussia. Nel 1740, alla morte
dell’imperatore Carlo VI e all’ascesa al trono di Maria Teresa, la Francia intervenne per mettere in
serie difficoltà l’Austria, che creò una coalizione di principi, capeggiata da Federico II di Baviera.
La Gran Bretagna capì il disegno politico dei governanti francesi, come molti sanno, con la pace di
Westfalia (1648) l’Inghilterra fu l’ago della bilancia in Europa, funzione esercitata fino alla fine
della seconda guerra mondiale, affinchè nessun paese prendesse il sopravvento nel continente. In
seguito questa funzione di equilibrio fu svolta, dopo la seconda guerra mondiale, da Stati Uniti,
Russia (U.R.S.S.) e in un certo qual modo dalla Cina. Nella guerra di successione austriaca la Gran
Bretagna intervenne a favore dell’Austria. La Francia fu sconfitta in Europa dalla coalizione
formata da Austria, Prussia e Inghilterra, e in Canada la Gran Bretagna sconfisse pesantemente la
Francia. A ciò si assomma la miopia della classe politica e dirigente francese, ancorata a schemi
feudali, che spendendo molto denaro per l’esercito portò le finanze dello stato alla catastrofe
finanziaria. Con il trattato di Parigi la Francia dovette cedere il Canada e alcuni territori in Europa.
Nelle colonie americane fu voluta l’indipendenza dalla madrepatria, perché la Gran Bretagna
esercitava nei confronti delle colonie un controllo capillare di ogni attività economica, addirittura
non potevano comprare neanche il tabacco dagli altri paesi. La Francia appoggiò i coloni americani,
questo per la monarchia francese fu come un boomerang perché costò in modo esorbitante alle già
magre finanze dello stato francese, senza contare l’influenza politica che ebbero queste idee
libertarie, democratiche e soprattutto d’uguaglianza. Il problema che affliggeva la Francia era la
perenne crisi delle finanze reali. La gestione frivola che ne faceva la corte, la vendita delle cariche e
la speculazione dei finanzieri sovente di estrazione bassa e volgare (come Bernard Crozat e i fratelli
Pâris) rendevano questo paese sempre sull’orlo di un sollasso finanziario. Con Luigi XVI l’alta
nobiltà riuscì a rientrare nei gangli del potere e si scontrò economicamente con la borghesia, che si
dimostrava sempre più agguerrita. I costumi libertini, tendevano alla libertà, alle novità, come le
mode, la musica da camera, le decorazioni degli appartamenti con uno stile molto innovativo. I
luoghi alla moda di Parigi erano il Temple, il Palais Royal, il Cafè Procope, insomma la capitale
finalmente s’impose su Versailles, dal punto di vista politico, mondano, culturale. Il denaro fu
considerato un elemento essenziale per raggiungere il piacere, il lusso, il godimento immediato.
Luigi XV fu il re che tentò di risanare le finanze dello stato, ma il condizionamento politico
esercitato dalle sue amanti (Madame de Châteauroux, del Barry, una donna mercenaria, che fece
carriere per le sue doti amatorie). Alla morte di Luigi XV salì al trono Luigi XVI, che tentò di
eliminare i ministri più retrogradi e cercò di limitare il potere dell’alta nobiltà. Re Luigi XVI
nominò un abile ministro, Turgot, che cercò di risollevare le finanze della Francia ormai esauste.
Con Turgot, furono tassate le rendite fondiarie dei ricchi borghesi e dei nobili, però, nonostante
fosse stato adottato un sistema fiscale equo, la Francia non riusciva a far cassa sufficiente per
sopperire alle varie esigenze e incombenze che gli si presentavano. Interi settori produttivi furono
lasciati fuori dal sistema delle tasse e imposte, come per esempio i redditi industriali e commerciali.
All’epoca dei Lumi, nel 1700, fino alla vigilia della Rivoluzione, si vide il nascere di salotti dove la
donna era regina o meglio il centro dell’attenzione, si passava il tempo in divertimenti spesso futili,
dove gli animi erano vuoti, ma le maniere esteriori irreprensibili e il linguaggio raffinato e caustico,
la conversazione era l’arte suprema. Non solo la conversazione parlata, ma anche la conversazione
scritta: era un incessante scambio di biglietti, messaggi, lettere vergate o dettate all’istante, che in
effetti crearono uno stile di espressione scorrevole e trasparente, privo di argomentazioni prolisse e
inutili. In questo ambito tanto sui generis, gli hommes de lettres o di pensiero e i filosofi
costituivano l’interesse e l’ornamento di quelle riunioni. La duchessa del Maine (1676-1753) nel
suo castello di Sceaux aveva dato l’esempio di quelle riunioni galanti in cui le feste e i divertimenti
si intrecciavano alla eleganza della letteratura. I salotti di ceto sociale inferiore (piccola nobiltà)
erano certo meno raffinati, ma di una sostanza intellettuale molto elevata. Quello di Madame de
Tencin (1622-1749) raccoglieva gente di corte come d’Argenson, intellettuali come Fontanelle,
Helvetius, Montesquieu, d’Argental. Il solo a non mettervi piede era d’Alembert, suo figlio
naturale. L’atmosfera di quelle riunioni era sciolta e agevole, ma la conversazione non doveva
superare certi limiti in fatto di arditezza, era la padrona di casa diplomaticamente a tenerla in riga. Il
salotto di Madame du Deffend (1697-1786) era più aristocratico; la padrona di casa, antica bellezza
della Reggenza, spriritosa, acuta, intelligente, cercava nella compagnia degli uomini di valore
distrazione e appagamento dalla sua eterna noia. Ebbe come ospiti Choiseul, Montesquieu,
d’Alembert, Voltaire. Quest’ultimo fu sempre vicino alla nobildonna: l’aspetto seducente di questi
brillanti salotti consisteva nel piacere di ritrovarsi tra gente di spirito, privi di etichette, e nel potersi
dedicare a quelle discussioni, a quelle battute, a quelle riflessioni pungenti, e anche a quelle
cattiverie che facevano lo stile di vita di quella buona società. Anche se non hanno avuto
un’influenza determinante sulle idee, hanno lasciato la propria traccia sul modo di esporle e di
propagarle. Ovviamente non mancavano riunioni più serie ed impegnate, ad esempio sorse il Club
de l’Entresol dell’abate Alary, che comprendeva una ventina dei più validi spiriti dell’epoca, una
sorta di accademia libera dove venivano affrontate le tematiche più varie, dalla politica, alla
solidarietà, infatti anche l’abate de Saint Pierre esponeva le sue idee umanitarie e ne proponeva i
rimedi. Fleury, preoccupato dei concetti troppo rivoluzionari, fu costretto a chiuderlo. C’erano per
finire i cafè, innumerevoli a Parigi e in provincia dove si trovava la gente di mondo, dove
l’abbigliamento era più disinvolto e, malgrado le orecchie della polizia, si riuniva senza distinzione
di ceto o classe sociale. In questi luoghi si diffondevano novità, aneddoti, idee con vivacità e in
modo spinto. Ecco lo spirito di fronda, brillante, beffardo, l’arte della battuta, dell’allusione, del
sottinteso, che contrassegnavano quella moltitudine di piccole opere o opuscoli, tramite i quali si
esprimevano le idee e i gusti di quella società, la quale al pari della letteratura e della filosofia,
rivelano un certo gusto del gioco, che rappresentò il marchio del secolo. Bisogna ammettere che la
cultura dell’alta società produsse gentilezza nello spirito e nel cuore. Essa era portata dalla
perfezione della vita mondana, letteraria, artistica, il tutto incentrato in una commistione di gusto,
costituito da un equilibrio di toni di buone maniere, di eleganza, di forma o di apparenza. Il
settecento fu il secolo di quei ritratti di persone un po’ stravaganti, vanitose, solenni, disinvolte, dal
colorito luminoso, dai tratti sbiaditi e animati da un sorriso spirituale e appagato; il secolo degli
abiti dai colori congiunti, dalle decorazioni raffinate in cui erano presenti le trine del rococò, le rose,
le faretre, le perle e le colombe, tutti gli accessori della mitologia aristocratica. Bisogna ammettere
che questa società si configurava superficiale e frivola, egoista, scettica, anche se era quella
brillante della corte e dei salotti, essa seppe conferire all’arte di vivere uno stile così accattivante e
così elegante da riuscire a conquistare l’Europa, da continuare a colpirla anche dopo duecento anni
di distanza. Leggera, cavalleresca, amante del piacere, essa non può lasciare nessuno in disparte,
essa rappresentò per la donna una forma primordiale di emancipazione, essa ebbe un ruolo
determinante nella nascita del nuovo spirito. Le donne appoggiarono le persone aperte d’idee, non
per niente sostennero la filosofia. Le donne dell’alta nobiltà e della borghesia erano convinte che
una filosofia liberatrice riscattasse la condizione femminile in una società arcaica, quanto ormai
prossima a scomparire sotto la grande rivoluzione che si stava preparando. Aggiungiamo che le
donne pretendevano nella filosofia, le forme dello stile e la circolazione delle idee, pretendendo che
gli argomenti più duri si ornassero di seduzioni e galanterie. Diciamo che il secolo dei Lumi fu la
base della società borghese liberale, infatti fu il periodo che andò elaborandosi il rituale delle
iniziazioni massoniche, condite da apporti orientali ed egizi. Da Cagliostro al conte de Saint
Germain, che si affermava di discendere dai faraoni, scomparve da Parigi senza saper che fine
avesse fatto. Il proliferare dei riti esoterici alla vigilia della rivoluzione francese, denota una
profonda crisi spirituale della società francese e una totale mancanza di fede nella religione
cattolica, almeno nei ceti dirigenti.
Capitolo II
La rivoluzione francese
La rivoluzione abbattè teste e troni, creò diritti nuovi e nuovi doveri, cancellò con un tratto di penna
privilegi millenari, sovvertì costumi, abitudini, tradizioni. La maggioranza degli storici afferma che
la rivoluzione francese fu la risposta al sistema feudale imperante. I contadini costituivano l’85%
della popolazione francese, il 30% del territorio francese era in mano alla nobiltà, il 10% al clero,
che svolgeva un ruolo parassitario e inutile e i cosidetti diritti signoriali erano ulteriormente esosi.
L’arretratezza della campagna esasperava la situazione, perché l’agricoltura era impostata con un
sistema di coltivazione superato. A rendere la situazione più complicata c’erano le taglie che i ricchi
imponevano al popolo, che si sentiva schiacciato, la plebe era enormemente tassata, i pedaggi
inceppavano il commercio, i dazi eccessivi per esempio condannavano il coltivatore della vite a non
bere mai il vino e talvolta non poter salare una frittata d’aglio; la corruzione, che faceva perdere ai
poveri le controversie intentate dai nobili; le corveés (lavori coattivi e gratuiti, prestati dal popolo al
padrone e che potevano essere pubblici) che rubavano ai lavoratori il tempo, unica merce che
potevano commerciale, la totale sottomissione delle classi umili alle classi cosidette superiori.
L’Ancien Régime alla vigilia della convocazione degli Stati Generali che era un organismo chiuso
in caste. Il clero era il primo ordine e a sua volta era diviso in alto clero e basso clero come l’alta e
la piccola nobiltà, poi bisognava distinguere quell’alta nobiltà che era vicina alla corte, che godeva
di enormi privilegi. L’ingiustizia più palese erano i privilegi fiscali che esentavano quasi
completamente la nobiltà ed il clero. Il terzo stato era composta dall’alta borghesia fino al
sottoproletariato. L’alta borghesia si sentiva frustrata, perché, pur avendo un peso economico
notevole, non contava nulla politicamente. Altro elemento fondamentale di profonda crisi dello
stato francese era l’assolutismo, considerato ormai anacronistico, perché in Francia, come in
Spagna, il re aveva una notevole onnipotenza, che gli derivava da un potere considerato divino, cioè
il Signore delevaga al sovrano di esercitare quell’autorità sacra che a sua volta legittimava il re.
Inoltre la mancanza di contrappesi rendeva il potere di Luigi XVI, intoccabile. La nobiltà francese
non riuscì ad aprirsi come quella inglese, ma rimase perennemente fossilizzata ai suoi atavici
privilegi: continuò a riscuotere con precisione certosina i diritti antichi, delimitò con fanatica
precisione le mappe terriere e i loro registri, a ciò si aggiunse la cronica oziosità della classe
patrizia, la quale continuava ad avere un tenore di vita sproporzionato, rispetto alle proprie
possibilità. In Francia si contava in base ai quarti di nobiltà e Chérin, eminente genealogista, era
molto temuto a corte, qui si vede l’ottusità e l’agonia di una classe dirigente prossima a scomparire.
Altro elemento negativo della nobiltà era la sua stupida ostinazione a non pagare le tasse o a pagarle
in modo ridicolo; infatti i vari ministeri che si succedettero tentarono, ma senza successo, d’imporre
un’equità fiscale, tentativo che fallì miseramente. L’aumento dei prezzi fu determinante per quanto
concerne la sopravvivenza dei contadini e degli operai, il pane che era l’alimento più consumato,
lievitò in modo vertiginoso. Un po’ come oggi, dove in Italia, assistiamo a una concentrazione di
ricchezza, dove una strettissima percentuale di popolazione vive nel lusso sfrenato e la stragrande
maggioranza della popolazione vive in miseria, facendo salti mortali per arrivare a fine mese. Nel
1789 si ebbero in effetti tre rivoluzioni: una parlamentare, una rivoluzione delle città, una
rivoluzione delle campagne. Il 5 maggio 1789, gli Stati Generali vennero solennemente inaugurati
dal re a Versailles, dopo tre mesi, il 9 luglio, essi si dichiararono (Assemblea Nazionale Costituente)
e, nei giorni successivi, ci fu la mitica presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789. La borghesia costituì
delle assemblee in contrapposizione alle vigenti disposizioni. Il 20 giugno si ha il giuramento della
Pallacorda, nel quale si accordarono di non separarsi, affinché la costituzione non entri in vigore.
Non solo, il 14 luglio il re fu costretto a richiamare il ministro Necker e ad accettare la coccarda
tricolore. Nelle campagne ormai la rivolta era dilagata, ci furono assalti ai castelli, con conseguenti
incendi, sovente i diritti signoriali vennero bruciati. Dupont de Namours e Target, chiesero il ritorno
all’ordine da parte delle masse contadine, questo accentuò in modo vertiginoso la frattura tra
rivoluzione borghese e contadina o popolare. Fra gli episodi raccapriccianti che avvennero, ci fu
quello del governatore della Bastiglia, de Launes, che fu decapitato e la sua testa fu portata in
trionfo su una picca. La Bastiglia, antica fortezza, era difesa da un centinaio di mercenari svizzeri e
veterani. In questa prigione vi furono rinchiusi senza processo molti uomini famosi come Voltaire,
La Beaumelle, Morellet, e il giornalista avvocato Linguet. L’unico reato che avevano commesso
questi personaggi famosi era quello di aver diffuso le idee di libertà e giustizia. Un po’ come
avviene oggi in Italia, se sei contro il primo ministro, giornalista o comune mortale, non dico che
rischi la testa, ma subisci una discriminazione strisciante. Per esempio Alexis de Tocqueville, antica
nobiltà della Normandia, fu ministro degli esteri di Napoleone III, ipotizzò e affermò che dato che
la sovranità risiede nel popolo, se il governo compie atti contro il popolo quest’ultimo può abbattere
il sistema di governo esistente. Oggi, nell’affermare un simile concetto, si può rischiare di passare
per terrorista, quindi soggetto alla galera. Anche se sono passati duecento anni, il concetto è sempre
quello, guai a mettersi contro l’attuale apparato statale.
Il 4 agosto 1789 il duca d’Aigullon, con alcuni altri nobili liberali, dichiarò decaduto il sistema
feudale, anche se l’Assemblea Nazionale fu vaga su questo provvedimento di estinzione dei diritti
signoriali. Allora i contadini capirono che il diritto civile borghese non era sufficiente a proteggerli,
perché i diritti signoriali fuono eliminati senza nessun risarcimento. L’Assemblea Nazionale iniziò
ad elaborare la nuova Costituzione, nonostante l’iniziale Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino, il 26 agosto 1789, i lavori procedettero con estrema lentezza. Fra i personaggi che
cercarono all’inizio di salvare la monarchia ricordiamo La Fayette, fautore di una monarchia
costituzionale, e Bailly, sindaco di Parigi, ottimo astronomo e poeta, Mirabeau, Duport, Lameth. I
beni del clero furono nazionalizzati, e i religiosi dovettero giurare fedeltà alla nazione, questo
provocò una grave frattura fra il papa Pio VI e la nuova repubblica francese, si creò una divisione
tra i religiosi giuratori del nuovo stato francese e i refrattari, fedeli all’autorità di Roma (cioè la
stragrande maggioranza). Il re e la regina furono ricondotti a Parigi il 5 e 6 ottobre 1789 a furor di
popolo, soprattutto le donne parigine si fecero interpreti di questo desiderio popolare, affinché il re
lasciasse Versailles e rientrasse nella capitale, per rendersi conto dei problemi che attanagliavano la
città. Dopo un anno e mezzo circa il clima era mutato, infatti il 17 luglio 1791 ci fu il massacro di
Champ de Mars, e i parigini, sollecitati dai cordiglieri, presentarono una petizione per la
deposizione del re. Bailly, sindaco di Parigi e La Fayette, capo della guardia nazionale,
proclamarono la legge marziale e spararono sulla folla. Si creò una frattura insanabile fra
rivoluzione borghese e rivoluzione popolare. La Fayette, nella sua ingenuità politica, sperava di
creare, come in Gran Bretagna, una monarchia costituzionale, però in Frenacia l’ostilità del re Luigi
XVI, che non si dava per vinto di aver ceduto il potere di derivazione divina, era forte. Molti nobili,
spaventati dagli eventi rivoluzionari, lasciarono la Francia, e presero il nome di emigrati (conte di
Provenza, conte di Artois). L’emigrazione, da parte dei rivoluzionari, fu derisa e beffeggiata, come
per esempio il goffo tentativo del principe di Condé di far evadere il re fallì miseramente. In molte
zone della Francia ci furono delle ribellioni fomentate dalla nobiltà. Il re Luigi XVI faceva finta di
seguire i consigli di Mirabeau, di La Fayette, ma tentò la fuga il 20 giugno 1791, con la sua
famiglia. Riconosciuto a Varennes, fu riportato a Parigi. Dopo il 1791, le masse popolari furono
politicizzate e più impegnate, non per niente si moltiplicarono i sanculotti, fenomeno
preminentemente parigino. Nella campagna, l’autunno 1791 fu caratterizzato dalle Jacquerie, rivolte
contadine violente, con saccheggi e incendi di castelli. In Francia sorsero vari club di estrazione
popolare, come i cordiglieri, queste società, basate sulla fratellanza, ebbero come ho detto poc’anzi
una forte base popolare, infatti a Parigi vi era il club dei cordiglieri, dove prendevano la parola
Danton e Marat. Come sostiene anche Restiff de la Bretonne l’ala prettamente borghese e schierata
a destra era quella dei foglianti, che poteva contare 263 deputati su 745, e non nascondeva le
divisioni al suo interno, in varie fazioni: quella di La Fayette, e dall’altra il triumvirato di Bernave,
Duport, Lameth e Dupon de Nemours; al centro c’erano i girondini, che facevano capo a
Gensonné, Condorcet, e dall’altro alcuni democratici avanzati, come Chabot, Merlin. A sinistra
c’erano i giacobini (Marat, Roberspierre). Diciamo con la rivoluzione francese sono iniziate le
divisioni destra, sinistra, centro, un po’ come adesso, solo che adesso la politica è noiosa e
decadente e priva di prospettiva. Solo le rivoluzioni fatte con il sangue, a mio modesto parere,
hanno avuto un discreto successo, perché la classe dirigente precedente che ha sfuttato, rubato e
fatto ogni tipo di malvagità, è stata completamente eliminata, le cosidette rivoluzioni di velluto non
producono nessun effetto, così quei vecchi e quegli imbelli che s’illudono di portare dei
cambiamenti notevoli nella società, peccano di stupidità politica, l’esempio più lampante l’abbiamo
avuto nella maggioranza dei paesi dell’est, dove gli ex comunisti in genere hanno mantenuto il
potere, addirittura sono diventati più ricchi, mentre gli oppositori con l’avvento del sistema liberista
sono diventati più poveri oppure hanno perso il lavoro. La rivoluzione francese era in pericolo
perché molti sovrani europei non potevano tollerare questo stravolgimento radicale, essi temevano
che le idee rivoluzionarie si sarebbero diffuse nei propri paesi. Gli oppressori devono sempre
temere gli oppressi, quest’ultimi quando la situazione sarà esasperata faranno il pelo al proprio
oppressore, anche se lui adesso si crede invincibile. La corte del re di Francia, oscillava fra fedeltà
alla nazione e sogno di ripristinare il vecchio sistema, il popolo aveva capito che il re era
inaffidabile per la nazione, quindi assaltò le Tuillers massacrando quei beceri mercenari svizzeri e
nel settembre del 1792 la monarchia fu dichiarata decaduta. Il 20 settembre, a Valmy, le truppe
prussiane comandate dal duca di Brunswick furono fermate. Il re era incarcerato nella prigione del
Tempio, con la sua famiglia. La Comune di Parigi era in uno stato permanente di fermento
rivoluzionario e il popolo ormai si sentiva protagonista della scena politica. L’affermarsi dei leader
giacobini, Marat, Robespierre e Danton, rese la situazione a Parigi molto incandescente e senza
controllo. L’aggravarsi della situazione politica in Francia e soprattutto a Parigi, dove si temeva il
complotto aristocratico per rovesciare la rivoluzione, diede inizio ai massacri di settembre, infatti le
folle parigine assalivano le carceri e si facevano giustizia sommarimente degli aristocratici, degli
ecclesiastici, dei semplici detenuti. Io voglio condannare il sangue che è corso per rafforzare la
rivoluzione, però il popolo finalmente potè esprimere tutta la rabbia, la passione politica e l’odio
sviscerale verso la nobiltà, che tentava con ogni mezzo di far fallire la rivoluzione. Secondo il mio
modesto parere, questo slancio rivoluzionario, con tutte le sue accentuazioni, bloccò l’involuzione
autoritaria e borghese che stava rendendo la situazione politica francese instabile. Nel 1792 Pétion
affermava in modo inequivocabile che ci doveva essere un’amalgama o più precisamente una
simbiosi tra borghesia e popolo al fine di salvaguardare la rivoluzione. La borghesia, in questo
contesto politico, si divise in due tronconi, uno dei quali appoggiava le richieste del popolo e quindi
tentò di realizzare in parte quel programma sociale tanto decantato dalla rivoluzione, l’altro era
invece su posizioni prettamente conservatrici, di una una borghesia più retriva, volta solo a
proteggere la proprietà privata e a bloccare le istanze popolari. Quindi alla sinistra avevamo Danton,
Marat e Saint Just, mentre il gruppo dei conservatori era rappresentato da Vergniaud, Guidet e
Gensonné. La terza forza, oltre alle due borghesie (una reazionaria, l’altra fermamente riformista)
era rappresentata dalle masse, cui le sezioni delle società popolari fornivano un inquadramento, una
formazione, strutture. Vi erano alcuni capi come Vailet e Jacques Roux (detto il prete rosso), ai
gruppi meno “puri” che attorno alla comune parigina erano animati da Hébert soprattutto. Nello
scontro più forte tra la Montagna e la Gironda, per quanto concerne Luigi XVI, i montagnardi
volevano condannare il re, infatti i grandi accusatori furono Saint Just, Robespeierre e Danton, i
quali si batterono strenuamente per la sua condanna, mentre i girondini tentarono in tutti i modi di
salvarli. La condanna capitale venne votata 387 voti, contro 718 (la condizionale venne respinta
essa poteva consistere nell’esilio o nell’appello del popolo). Il re fu ghigliottinato il 21 gennaio
1793. Anche suo cugino, il duca d’Orléans, votò a favore della sua condanna a morte. L’esecuzione
del re, secondo me, tranciò definitivamente il legame tra Ancien Régime e rivoluzione, in pratica il
popolo francese riuscirà ad estrinsecare per un certo periodo la sua libertà e i concetti fondamentali,
libertà, uguaglianza e fraternità, rappresenteranno un cardine irrinunciabile per la costituzione
francese. Quindi la democrazia, con la morte del re, potè realizzarsi appieno. La morte del re
rinfocolò la guerra che, dopo Valmy, aveva preso un andamento favorevole per gli eserciti francesi.
La battaglia di Jemmepes spalancò ai francesi i Paesi Bassi austriachi, e fu poi la rivolta di Nizza e
della Savoia, in Germania furono occupate Magonza e Francoforte. La morte del re provocò un
trauma politico non indifferente, un sovrano giustiziato dal popolo, in quel contesto storico, era una
manifestazione barbara e primitiva. Molti sovrani, dal re di Napoli a quello della Spagna, ai principi
tedeschi, crearono una coalizione antifrancese. La motivazione oltre che politica, come ho detto
poc’anzi, poteva divenire distruttiva per l’istituto monarchico assolutista, diffuso in quasi tutta
Europa. Così anche se molti sovrani illuminati con l’appoggio delle varie logge massoniche
avevano avviato delle riforme, essi non volevano rinunciare all’investitura divina, della loro carica
ricevuta per grazia di Dio. Questo fondamento ideologico, se nel Medioevo e Rinascimento poteva,
in qualche modo, avere una base politica con l’appoggio determinante della Chiesa, al fine di
rendere più stabili gli stati unitari (Spagna, Francia, Gran Bretagna) ora non lo aveva più. Alla fine
del 1700, questa concezione politica propugnata dai sovrani, con l’ausilio delle istituzioni religiose,
non aveva più motivo di esistere, perché il potere temporale e spirituale, secondo gli illuministi e i
maggiori politologi dell’epoca, non necessariamente convivevano, essi infatti sostenevano in modo
veemente il trapasso del potere al popolo, unico depositario della sovranità. Il popolo francese non
si rese conto realmente dell’enorme influenza che aveva nelle vicende politiche del suo paese, così
alla lunga fu soppiantato da un’alta borghesia avida non solo di potere ma soprattutto di denaro. Ai
giorni nostri, lo vediamo in Europa: i cinesi si stanno instaurando nei principali gangli economici
delgli stati europei, perché dato che la Cina ha una cultura millenaria, ha capito che con il ptere
economico ottieni anche il controllo politico di uno stato. Perché sono i politici dello stato che
fissano in linea di massima i criteri economici fondamentali del proprio paese. Ovviamente chi
detiene la forza economica, deve recepire le linee di politica economica del governo. In ogni
rivoluzione che si rispetti c’è una fase controrivoluzionaria o un’inversione autoritaria, nel caso
della rivolta della Vandea e della Bretagna, c’era anche una motivazione politica ed ideologica. La
Ricordiamo che con la pace di Westfalia, fino alla seconda guerra mondiale, l’Inghilterra cercò di
mantenere un equilibrio in Europa, senza che nessuna potenza europea prendesse il sopravvento,
quindi il vecchio leone cercò di contenere prima Napoleone, poi la Prussia di Bismarck e in seguito
si battè accanitamente contro la Germania di Hitler. Anche l’Austria e la Prussia appoggiarono i
controrivoluzionari. In molte province delle Francia meridionale e nord occidentale, i contadini
erano molto conservatori dell’ordine precostituito e poi in quelle zone vi era una specie di rapporto
solidale fra feudatario e il popolo, non come in certi agglomerati urbani (Parigi, Marsiglia), dove gli
steccati sociali erano palesi e le vessazione all’ordine del giorno. In queste zone, la fede nella
religione era molto radicata, e l’ateismo militante propugnato dai montagnardi e giacobini
riscuoteva scarso successo, nonostante la propaganda serrata dei rivouzionari, che accusavano il
clero di essere uno dei maggiori protettori dell’Ancien Régime e del sistema feudale. I contadini di
queste zone rivendicavano il desiderio a professare la loro religione e ad ascoltare la messa, su
questo passo, darei in parte ragione ai controrivoluzionari (capegiati dai nobili emigrati come
d’Elbé e de Charette), perché ogni individuo ha diritto di professare la propria religione, ovviamente
nel rispetto delle regole democratiche, e non religioni fondamentaliste che incitano
all’annientamento della personalità della personalità umana, frustrando l’individuo nella sua
capacità di agire e di pensare. Il fanatismo non appaga nella lotta politica, nel lungo periodo anzi è
deleterio. Bisogna ammettere che se i patrioti americani prima e gli irlandesi poi, non avessero
praticata una guerra estema e una lotta senza quartiere, la corona inglese non avrebbe concesso
facilmente a loro l’indipendenza. Quindi tutti quei pseudo perbenisti che difendono le rivoluzioni
pacifiche, sono degli ipocriti pacifisti e dei falsi sognatori, perché solo eliminando fisicamente i
propri avversari, la rivoluzione può trionfare e liberarsi di tutte le impurità, che la possono far
fallire. Nel caso specifico della rivoluzione francese, quando il popolo di Parigi capì che i girondini,
con il loro patetico moderatismo, volevano convogliare la rivoluzione su posizioni di privilegio
delle classi benestanti. Il popolo francese vedeva che gli eserciti autriaci, spagnoli, inglesi e
prussiani stavano occupando vaste fette di territorio francese, mentre gli inserti realisti cattolici,
cioè precisamente i partigiani del re detronizzato (Luigi XVI) avevano anche loro occupato vasti
territori francesi, tra cui Nantes. I giacobini, come Marat, Robespierre, Danton e Couthon (girava su
di una sedia a rotelle) e Restiff del la Bretonne, racconta come il comitato di salute pubblica,
promosso dai personaggi poc’anzi citati, salvò la Francia dai nemici esterni (potenze straniere) e
interni (realisti cattolici). La determinazione di salvare la rivoluzione, secondo me, sta nell’estremo
rigorismo morale di questo organo politico, poc’anzi citato, soprattutto l’incorruttibile Robespierre
si prodigò per salvare la giovane repubblica francese. Possiamo affermare con tutta tranquillità che
lui è stato il salvatore della patria, il grande Robespierre è forse il politico più onesto che abbia
avuto la Francia. In Italia abbiamo avuto grandi politici, come Cavour, fautore dell’unità d’Italia,
Giolitti, grande politico, che sostenne l’apertura ai socialisti e il suffragio universale maschile, De
Gasperi, artefice della ricostruzione durante l’unità d’Italia. Questi emeriti politici, non posso
affermare o giurare per la loro onestà (probabilmente due massoni presunti e un Opur dei presunti).
In Italia l’onestà è una virtù astratta e teorica, forse anch’io da classico italiano non sono un
angioletto. Durante il periodo di Maxmillian Robespierre s’instaurò un periodo politico denominato
“Terrore”, la rivoluzione, fino a quel momento in mano alla borghesia, divenne strumento di
partecipazione popolare alle vicende politiche della Francia. Solo durante il Terrore e con
Robespierre che presiedeva in modo inflessibile il Comitato di salute pubblica il popolo ebbe una
certa dignità e un certo rispetto politico. I sanculotti, la parte politica più estrema del popolo, si sentì
immedesimata nella rivoluzione, infatti in questo periodo fu promulgata la legge del suffragio
universale e le donne ebbero molti diritti. Dopo una fase sanguinaria della rivoluzione e quando il
pericolo sembrava ormai scongiurato, la borghesia conservatrice prese nuovamente il potere
eliminando Robespierre, Couthon e Saint Just; neanche Hébert e i suoi seguaci si salvarono.
Abbiamo altri esempi, come in Cina e a Cuba, che quando le forze borghesi minacciano la
rivoluzione vi è un irrigidamento dei capi e viene attuata una specie di rivoluzione permanente, al
fine di salvaguardare il popolo dalle sue conquiste sociali. L’opera di scristianizzazione del popolo
attuata da Robespierre e Saint Just esaltando la virtù e la ragione, riuscì per un breve periodo a far
trionfare la rivoluzione popolare, anche Hébert, pur essendo più a sinistra dell’Incorruttibile
(Robespierre) fu eliminato, perché considerato personaggio destabilizzante. Robespierre e i suoi
partigiani cercavano di alleviare le sofferenze delle masse popolari, attraverso aiuti agli indigenti,
controllo dei prezzi e la creazione di un calmiere per i beni di prima necessità. In seguito alle
sanguinose lotte politiche, non solo in seno al suo partito, Robespierre perse di credibilità anche agli
occhi del popolo, la destra borghese ne approfittò per eliminare fisicamente Robespierre e i suoi
seguaci fra cui de Saint Just (quest’ultimo era fornito del titolo nobiliare di cavaliere e sua madre
era figlia di un notaio). Con la caduta dei giacobini, il popolo arretrò notevolmente nelle sue
conquiste sociali, come annotò Restiff de la Bretonne, la nuova alta borghesia ricominciò ad
arricchirsi e a sfoggiare una ricchezza grossolana che non si era mai vista: i prezzi dei beni di prima
necessità fuorono liberalizzati, questi provvedimenti generarono una forte inflazione e affamarono
le masse popolari. Un po’ come sta avvenendo da noi, dove un governo come il nostro, prettamente
borghese, non esercita nessun controllo sui prezzi invocando il libero mercato e non tenendo conto
delle persone che hanno un salario fisso, distogliendo il popolo su altri temi politici, come il
terrorismo, l’emigrazione provocando la guerra dei poveri, tra emigrati e strati sociali della
popolazione, spesso culturalmente non preparati e quindi facilmente strumentalizzabili, dai ceti
sociali alti della società. Da quando c’è l’umanità, i ricchi fanno gli interessi dei loro simili e i
poveri come dei pesciolini piccoloi, vengono divorati dalle classi sociali più alte, in mome di una
presunta inferiorità sociale, che anche se in modo ipocrita non è sancita dalla Costituzione italiana,
viene nei fatti praticata. L’esempio più banale, l’abbiamo con gli assistenti sociali, che essendo
impregnati di ideologie radical-chic o borghesi-progressiste, agiscono per luoghi comuni. Il povero
deve essere bastonato, perché non può pagare avvocati, mentre alcune donne di elevato ceto sociale,
che fanno del male ai propri simili, riescono sempre a farla franca. Ritornando alla rivoluzione
francese, con la morte di Babeuf il movimento popolare subì una totale caduta di partecipazione
popolare. Il fallimento della congiura degli Eguali, in cui furono propagandate le prime idee
comuniste. Il tentativo fallì miseramente, perché non si ebbe il totale appoggio del popolo, le
rivoluzioni portate avanti da un’elite privilegiata sono destinate a fallire. Quindi da questo mio
piccolo scritto si capisce, analizzando le strutture politiche della Grecia, di Roma, dei Comuni, delle
Signorie, ecc., come la storia sia cinica, si hanno periodi di alternanza politica più o meno lunghi,
caratterizzati dalle aperture progressiste e involuzioni autoritarie-conservatrici. La natura politica
dell’uomo non cambia, ovviamente in tutti i periodi storici abbiamo pochissimi politici onesti, la
stragrande maggioranza pensa ad approfittare della propria posizione, magari anch’io farei lo stesso,
ma non penso, io sono un tipo fondamentalmente onesto e non diventerò mai un politico. Il popolo
nella sua base è marcio, quindi è per quello che vengono eletti personaggi che non sono per niente
rispondenti alle aspettative. Gli idealisti, sia al giorno d’oggi, sia nella rivoluzone francese che
abbiamo analizzato, sono destinati a soccombere, perché l’animo umano è cattivo di natura.
L’onestà, la virtù e soprattutto la lealtà sono mere concezioni filosofiche, e in politica sono solo
strumenti di facciata, l’uomo diventa leggermente onesto forse solo quando estrinseca un suo
bisogno fisiologico. Non sono estremista, ma realista, le mezze misure sono per gli opportunisti, per
i puri come me il pensiero politico deve essere coerente e non perdersi nei meandri del linguaggio
politichese. Abbiamo visto come durante la rivoluzione francese, come pure durante il periodo di
“mani pulite” (Di Pietro), tutti si propongono di liberare la società dagli elementi negativi, ma alla
fine la corruzione e la debolezze permangono. Tutti partono con sani principi, poi difronte alla
vastità ed alla complessità della società rimangono vittime di sé stessi. La rivoluzione francese
lanciò un messaggio fondamentale al mondo cioè dettò le regole e gli schemi della democrazia
borghese. Anche se bisogna ammettere che la rivoluzione francese terminò con tante promesse e
speranze, sovente deluse, persino con frustrazioni che portarono al suo superamento. La
rivoluzione, come dissero alcuni avversari, non provocò stagnazione economica, addirittura
crebbero i matrimoni, anche se la natalità, sin dai tempi di Napoleone, è stata per la Francia la
maglia nera. Negli ultimi quindici anni la Francia, come la Germania, ha attuato una politica
concreta per la famiglia, nel nostro paese, dopo un breve accenno a sostegno della maternità e della
famiglia, lo Stato si è dimostrato poco attento a queste problematiche. Questo interessamento dello
Stato italiano, nei confronti della natalità, poteva rappresentare una ricchezza per il nostro paese,
che sta invecchiando vertiginosamente. Bisogna disciplinare in senso restrittivo la normativa
sull’aborto, perché oggi una donna sposata può abortire senza il consenso del marito, abbiamo
l’esempio lampante di nullità del maschio. Dato che la donna non può appagare interamente il
proprio individualismo, con la procreazione assume anche degli obblighi verso l’umanità, la colpa
c’è, l’ha anche l’uomo, con il suo infantilismo permanente, con il suo esasperato egoismo. Diciamo
chiaramente c’è la volontà, da parte di questa società matriarcale che trae origine dagli U.S.A., a
demolire la figura maschile, a privarla di qualsiasi potere e scelta. Insomma, è iniziata la caccia
all’uomo, avallata da un ostracismo giuridico che non tiene conto dell’uguaglianza tra i sessi, ma
delle prevaricazioni, esercitate sovente dalle donne, forti di una legislazione che erroneamente
considera il gentil sesso la parte più debole. La rivoluzione francese provocò un inurbamento della
popolazione rurale, cioè vi fu un flusso enorme della popolazione contadina verso la città. Per
quanto concerne il periodo del Terrore e della rivoluzione francese, spesso gli individui giustiziati
non provenivano dai ceti cosidetti privilegiati (nobiltà, clero, alta borghesia), ma nella maggioranza
dei casi si trattò di operai e contadini. Altro elemento che svantaggiò la rivoluzione francese fu la
forte inflazione, che iniziò a crescere nel 1792 fino al 1795, diminuendo il potere d’acquisto, dei
contadini e degli operai, cioè i salariati a reddito fisso, creando malcontento e anarchia. Questa
eccessiva circolazione della moneta fu dovuta alla speculazione che fece l’alta borghesia, non solo
per il profitto, ma soprattutto per contenere le istanze proletarie e popolari, sulla libertà,
sull’uguaglianza nell’accedere all’istituto giuridico della proprietà privata. Robespierre allargò il
più possibile la cerchia delle persone che potevano esprimere il diritto di voto, mentre l’alta
borghesia voleva che si votasse in base al censo (reddito). Una delle cause fondamentali della
rivoluzione fu che mentre prima il popolo riusciva a comprare il pane, alla vigilia del grande evento
che avrebbe sconvolto il mondo la maggioranza della popolazione faceva la fame, a questo si
aggiungeva la carestia nelle campagne, dove i contadini più deboli erano vittime del vagabondaggio
e brigantaggio. Le donne, artigiani e piccoli borghesi ebbero un ruolo attivo nella realizzzione di
questo epocale evento. Fu durante la rivoluzione francese che vennero riconosciuti i diritti alla
popolazione di colore e ai mulatti. Le distinzioni sociali devono basarsi sulla comune utilità, quindi
non più diritto di sangue, ma di censo e qui che la borghesia in modo spudorato attua le più
spregevoli operazioni finanziarie: de Sade ha previsto che alla fine anche la borghesia sarà
schiacciata dalla sua stupida e ottusa cupidigia. Come la nobiltà di Carlo Magno (800 d.C.), che alla
fine del 1800 perse il potere cedendolo alla borghesia francese rampante. Ai giorni nostri abbiamo
l’esempio più lampante di borghesia guerrafondaia, avvinghiata al suo potere, che pur di mantenerlo
crea confitti nel mondo. Oggi i nobili sono persone anacronistiche, dotati di solito di una forte
cultura, ma sono lì a rappresentare gli ultimi fantasmi, che se nel Medioevo fu una classe gloriosa,
oggi può solo suscitare ilarità. Diciamo che l’Ancien Régime era un sistema decadente e privo di
alternative. I costumi libertini concernevano soprattutto la nobiltà. Infatti durante questo periodo era
quasi d’obbligo avere l’amante, sempre per quel discorso sulla galanteria. Oggi invece la decadenza
dei costumi non riguarda solo una ristretta cerchia di privilegiati, ma investe tutta la società italiana.
Ci prodighiamo per salvare un gatto o un gufo, poi non aiutiamo le persone anziane o disederedati,
che avrebbero tanto bisogno della nostra solidarietà non solo materiale, soprattutto umana. Anche ai
tempi della rivoluzione francese accadeva che i nobili affamassero il popolo, però davano da
mangiare alla propria cagnolina. Le persone che adorano in modo eccessivo gli animali non hanno
rispetto per i propri simili. Ritronando al discorso di prima, i cardini della rivoluzione francese
furono la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza, in seguito la borghesia aggiunse sicurezza e
proprietà. Altra riforma che si fece durante la rivoluzione francese è il cambiamento dei mesi, con
nomi che rispecchiavano le condizioni climatiche del momento. L’intolleranza verso i preti
refrattari che non volevano giurare fedeltà alla repubblica, bensì restare fedeli a Roma e celebrare la
messa in lingua latina, molti di loro furono condannati a lavori forzati nella Guaiana francese.
Ovviamente la presa della Bastiglia rappresentò la fine del regime assolutista e l’inizio della libertà.
Fu salvaguardata, per la prima volta, la libertà personale dell’individuo e fu soppressa la tortura. Il
costituente Robespierre cercò di abolire la pena capitale, ma non vi riuscì, per l’opposizione di ampi
settori borghesi benpensanti. Furono inoltre promulgate leggi a favore dei protestanti, affermato il
principio di laicizzazione dello stato francese e non più tollerata l’influenza della Chiesa nello stato,
pensate che in Italia la Chiesa fino ai giorni nostri ha svolto politica e attività di proselitismo. Nelle
varie costituzioni della rivoluzione francese 1791-1793, fu ribadito il concetto della sovranità del
popolo, il principio elettivo in tutti i campi ed il principio della separazione dei poteri, ribadito da
Montesquieu. Il discorso della tutela della proprietà privata durante il periodo rivoluzionario, mal si
conciliava con l’ideale di una società che attribuiva a tutti uguali possibilità. Durante il periodo
rivoluzionario alla Chiesa furono confiscati quasi tutti i beni, corrispondenti al 10% del territorio
nazionale, per la nobiltà il discorso fu complicato ed articolato, in pratica anche i nobili emigrati
avevano perduto beni, quindi l’espropriazioni furono vanificate. La classe sociale che si impossessò
dei beni del clero e della nobiltà fu soprattutto la borghesia. Gli ideali di Babeuf e degli eguali, a
lora va il merito di aver saputo esprimere una dottrina, concependone la realizzazione
rivoluzionaria. Il “Comunismo della ripartizione” prevedeva la ridistribuzione dei beni e delle
opere, mezzo per prevenire a quella comune felicità che avrebbe assicurato l’uguaglianza dei
godimenti.
Conclusioni
La rivoluzione francese è stata senza dubbio l’avvenimento più importante dell’umanità,
ovviamente dopo la scoperta dell’America 1492, ad opera di Cristoforo Colombo, che fece iniziare
l’epoca moderna, così i traffici si spostarono dal mar Mediterraneo all’oceano Atlantico, sfatando
un mito, che dopo le colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra) non ci fosse nulla, ed inoltre le
cosidette teorie sulla forma della terra vennero avvalorate da questo esploratore, smentendo quanti
sostenevano in base ad un dogma assoluto, altre verità. Infatti la Chiesa, che sosteneva la teoria
geocentrica (o tolemaica), in base alla quale il Sole gira attorno ai pianeti, mentre Keplero e Galileo
Galilei sostenevano la teoria eliocentrica, cioè la Terra e i pianeti giravano attorno al Sole. Con
questo cosa voglio dire, che ci sono dei momenti storici, come la rivoluzione francese, che sono
basilari e importanti per l’umanità. Ovviamente se non ci fosse stata la rivoluzione francese,
l’umanità sarebbe rimasta indietro di duecento anni. L’Islam, per esempio, perché è ancorato
all’anacronistica concezione potere teologico e potere temporale. I due poteri, in questa società,
tendono a fondersi, bloccando in pratica l’evoluzione del potere laico dello Stato, il quale risulta
condizionato politicamente, quindi la libera circolazione delle idee, viene ostacolata e quindi
risultano anche le sceenze empiriche o meccanicistiche. Limitate. Solamente creando un rapporto
armonioso fra stato e religione si potrà avere un certo equilibrio, nella società, non che i problemi si
risolvano del tutto. In pratica la rivoluzione francese con la sua purezza politica affermò un
principio elementare e basilare, che non esistono verità assolute, cioè né la divinità del potere del re,
né il dogma dell’infallibilità delle religioni.
Rivoluzione francese
Dedica alla rivoluzione francese
Un nuovo amore.
Fu allora che nacquero i primi sintomi di quell’amore. Nel frastuono di rumori e parole, tra discorsi
ascoltati e risposte a domande; che come d’improvviso notai in disparte quegli occhi verdi e
malinconici che mi guardavano senza dire parola. Muti e silenziosi, a volte timidamente sorridenti,
ma fui colpita, avevo l’impressione che quegli occhi parlassero della tua malinconia, delle tue frasi
mai dette. E in quel momento capii che ti avrei abbracciato consolato, forse amato. Esprimevi
dolcezza e pacatezza, tranquillità e pudore e io ne rimasi attratta. Capii che tutti quelli che
avrebbero voluto farsi notare non li avrei mai notati; non avrei notato sempre quelli che stavano più
nell’ombra e nel silenzio ed aspettano come te; che l’amore giungesse a loro come un raggio di sole
improvviso.
Iliev Silvana Patrizia
Testi consultati
Biografie Bompiani Milano 1983 Danton – Il tribuno del popolo- Norman Hampson
Biografie Bompiani Milano 1984 Robespierre – L’incorruttibile – Norman Hampson
Salvadori Massimo Storia dell’età moderna. Dal cinquecento all’età napoleonica. Torino,
Laescher, 1990
Fascicolo di Tecniche di seduzione e brevi cenni storici, Roberto d’Amato
Roberto d’Amato, L’arte amatoria e il pensiero politico secondo la concezione del divino marchese
Donatien Alphonse François de Sade
La ronda del gufo Restiff de la Bretonne, editore Corbaccia Milano 1929
Gabriele De Rosa Storia Moderna e contemporanea, Minerva Italica 1971
Giuseppe Dall’Asta Storia Moderna, Bresso Cetim 1972
Robert Roswell Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, Rizzoli Milano 1971
Eric John Hobsbawn, Le rivoluzioni borghesi 1789-I, Milano Il saggiatore 1971
Hebert Luithy, Storia moderna e contemporanea sec. XVI – XVIII, da Calvino a Rosseau.
Tradizioni e modernità nel pensiero socio-politico della riforma della rivoluzione francese 17501815, Biblioteca Universale Rizzoli Milano 1976
Donatien Alphonse François detto le marquise, Pensiero politico, Einaudi Torino
Sade James Cleugh, Il marchese de Sade e il cavaliere von Sacher Masoch, Mursia Milano
George H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, E.T.A.S. libri Milano
Richelieur, Dall’Oglio editore Milano
Il sottoscritto Robeto d’Amato, nato a Bra (CN), discendente dall’antichissima casata dei baroni
Amato di Sciacca (proveniente dalla Catalogna, Spagna), venuta in Italia nel XIII secolo e
appartenente in via molto collaterale al ramo dei duchi di Caccamo e dai principi di Galati. I miei
avi erano guelfi, cioè parteggiavano per il Papa, ho avuto due vescovi in via collaterale (a Castro e a
Umbriatico) e via diretta a Lacedonia. Arma D’Azzurro a sei stelle d’oro con sei punte 3, 2, 1.
Motto: VINCERE AUT MORI. Mi sono diplomato all’Istituto tecnico ‘Gian Rinaldo Carli’, di
Trieste. Ho frequentato l’università degli studi di Bologna, avendo avuto come docenti, presso la
facoltà di giurisprudenza di Bologna, prof. Ugo Ruffolo, Francesco Galgano, Roversi-Monaco, l’ex
preside Roberto Bonnini della facoltà di giurisprudenza, Giuseppe Caputo, docente di diritto
canonico, della Torre, docente di diritto ecclesiastico. Ho già pubblicato i due libri “Tecniche di
seduzione e brevi cenni storici” e “L’arte amatoria e il pensiero politico secondo la concezione del
divino marchese Donatien Alphonse François de Sade”.