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Floriana Viola
l’Ispirazione
come la luce,
una lanterna che ci fa strada
Immagine di copertina: Floriana Viola
www.giunti.it
© 2016 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia
Piazza Virgilio 4 - 20123 Milano - Italia
ISBN 9788809819290
Prima edizione digitale: novembre 2016
Indice
Ringraziamenti.............................................................................................................................................. 5
Ecco a voi l’ispirazione! ............................................................................................................................ 6
Dedica.............................................................................................................................................................. 7
Premessa......................................................................................................................................................... 8
1. Il respiro della tenerezza: l’ispirazione......................................................................................... 10
2. La dissolvenza dorata nella vita quotidiana: la nascita e il tramonto dell’amore ......... 25
STORIA DI UNA CRISI MATRIMONIALE..............................................................................................................................26
GIOSUÈ CARDUCCI E ANNIE VIVANTI................................................................................................................................32
3. Ispirazione e realtà............................................................................................................................... 44
TESLA: INVENTORE E RIVOLUZIONARIO..........................................................................................................................44
ADRIANO OLIVETTI IL SOCIOLOGO-UMANISTA..........................................................................................................52
STEVE JOBS: CREATIVITÀ E BELLEZZA.................................................................................................................................54
4. La paura dell’ispirazione come movimento di metamorfosi................................................. 64
LA NAVE PERDUTA..................................................................................................................................................................... 64
LA PAURA DEL CAMBIAMENTO............................................................................................................................................66
5. Alchimia e talento................................................................................................................................. 68
ALCHIMISTI E STILNOVISTI...................................................................................................................................................... 71
6. Ispirazione dinamica e ispirazione contemplativa..................................................................... 76
SANTA TERESA D’AVILA............................................................................................................................................................ 77
SANTA TERESINA DEL BAMBINO GESÙ..............................................................................................................................79
ANNA MAGDALENA BACH....................................................................................................................................................82
7. Tutto è sospeso a un respiro!........................................................................................................... 86
IL PELLEGRINO MODERNO....................................................................................................................................................96
ABY WARBURG ........................................................................................................................................................................... 98
8. La poesia dell’ispirazione, i suoi colori e le sue luci...............................................................104
DANTE ALIGHIERI E LA VITA NOVA.................................................................................................................................................... 105
ANTONIO VIVALDI...................................................................................................................................................................107
GIACOMO LEOPARDI: ORFEO ED EURIDICE..................................................................................................................112
9. Il mistero degli incontri personali.................................................................................................118
IMPARARE A INTERPRETARE “IL TEMPO”..........................................................................................................................119
MARIANGELA, GIORGIA, GABRIEL......................................................................................................................................120
10. Conclusioni......................................................................................................................................... 129
Identità rivelata........................................................................................................................................ 139
Bibliografia................................................................................................................................................. 140
4
A Marco e Vanna che mi hanno aiutato
dialogando con me a far nascere questo testo.
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Ecco a voi l’ispirazione!
La signora dei poeti e degli artisti in generale, ma anche dei manager, dei
grandi imprenditori, dei matematici, dei fisici, degli astronomi! L’ispirazione
è una di quelle realtà che non hanno definizione precisa ma che occupano il
cuore e la mente di noi tutti! Abbiamo bisogno dell’ispirazione perché essa è il
personaggio centrale della nostra vita in quanto ci indica la misteriosa alchimia
che portiamo in noi! Fa in modo che rispettiamo la voce forte e ad un tempo
sottile del nostro profondo, senza avere paura. L’ispirazione richiede rispetto
per l’impalpabile, l’invisibile non ammette rozzezza e ha come punto finale la
silenziosa creatività. La silenziosa creatività sembrerebbe quasi un paradosso,
ma non lo è, perché la creatività ha come caratteristica essenziale il rigore che
non ammette sbavature, non consente falsi sorrisi e non ammette rumorosi
atteggiamenti emozionali.
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A mia madre che mi ha
insegnato a riconoscere
l’ispirazione.
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Premessa
Pioveva ed era necessario chiudere la finestra dello studio accostando le imposte,
erano circa le sei del pomeriggio di una giornata lavorativa e normale. Entrando
nella stanza accesi una lampada a stelo collocata vicino alla scrivania: la luce
era tenue, improvvisamente come un bagliore mi attraversò la mente e vidi il
titolo di un libro “La dama invisibile – L’ispirazione”. Dopo mi apparve l’indice
vergato con il computer che dava indicazione dei capitoli, come ad esempio
“alchimia e talento”, “ispirazione dinamica e ispirazione contemplativa”,
“ispirazione e realtà”, “la nascita dell’amore” ecc.
Fui molto colpita da quella visione, anzi quasi un po’ impaurita come mi fosse
stato dato un ordine per comporre un libro con un tema di grande impegno
ma che dovevo scrivere. Sentii quasi mi fosse stato dato un ordine a cui non
potevo sottrarmi.
Un certo sgomento mi attraversò il cuore poiché il tema affidatomi mi
appariva estremamente astratto e di difficile scrittura perché sembrava quasi
impersonare una condizione creativa che dovevo raccontare senza possibilità di
scegliere, ma obbedendo a un ordine superiore che ignoravo da dove venisse.
Forse proveniva dall’interiorità e non dal di fuori ma in ogni caso non erano
ammesse repliche. Era la prima volta che ricevevo una imposizione del genere,
pensai perciò che in ogni caso sia che venisse dall’esterno che dall’interno era
necessario ubbidire.
Questo è un libro della “crisi”, perché sottolinea la necessità di essere
consapevoli del transito che stiamo compiendo da un mondo confuso e incerto
8
a un mondo totalmente diverso che ci aspetta oltre uno spazio di cui non
conosciamo bene il limite. In questo spazio è contenuta la possibilità di arrivare
a un mondo nuovo, che ancora non siamo in grado nemmeno di immaginare.
Si parla spesso di città costruite nello spazio, di meccanismi scientifici che ci
solleveranno da molte fatiche ma produrranno un problema per le generazioni
che verranno le quali dovranno riuscire ad appropiarsi di un modo diverso di
intendere il tempo.
A questo proposito mi è caduto l’occhio su di una pagina di Einstein tratta
da Il mondo come io lo vedo (1931) scritto durante la crisi del 1929 e che qui
riporto perché mi pare che le parole dell’autore possano interpretare anche la
crisi che noi viviamo oggi, perché si tratta sempre della “natura umana” con le
sue luci e le sue ombre, i cui comportamenti si ripetono inesorabilmente:
Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta
progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi
supera sé stesso senza essere “superato”.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e
dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie
di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo
lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il
conformismo.
Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che
è la tragedia di non voler lottare per superarla.
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1. Il respiro della tenerezza: l’ispirazione
Nel primo capitolo mi occuperò, attraverso la mia diretta esperienza, di come
si possa riconoscere la presenza dell’ispirazione. Poiché questo argomento
è assolutamente astratto e inafferrabile, il problema che mi sono posta
nell’affrontare la prima tappa è stato quello di riconoscere una struttura
necessaria per reggere la prima architrave, come il filo del funambolo teso tra due
mondi: da una parte la dimensione astratta e personale che porta all’ispirazione
individuale, dall’altra la necessaria storicizzazione dell’argomento per costituire
una intelaiatura d’appoggio.
Tra questi due argomenti si colloca un’esperienza diretta che porta il nome di
un amico venuto da lontano e che mette in evidenza sia lo spazio sia il tempo
che possono separare gli esseri umani (ma che non li dividono definitivamente)
e l’ispirazione d’amore con cui si decide in 24 ore e tramite una rosa rossa di
una vita intera con un matrimonio che è tuttora felice.
Seduta al tavolo di un caffè sulla riva degli Schiavoni a Venezia nell’ora quasi
del tramonto, osservavo attentamente ciò che mi appariva davanti agli occhi:
sul fondo l’isola di San Giorgio, sulla destra la punta della Dogana, ancora più
lontano i palazzi della Giudecca. Improvvisamente mi sentii come trasportata
da un vento che non era né lieve né forte ma aveva come una consistenza di
cristallo, di una forza cioè che incideva la realtà senza tuttavia determinarla
del tutto come se quella forza avesse bisogno di concretizzarsi in una idea che
poteva diventare reale.
Cercai di capire che cosa potesse essere quello strano sentimento che mi
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faceva come scivolare sul tempo, sull’acqua ed entrare misteriosamente nei
colori di quella visione. Non sapevo dare un nome a quella forza ignota che mi
abitava in modo sostanziale e profondo. Davanti a me c’erano è vero le cose
sopraelencate che scorrevo con gli occhi quasi carezzando quel panorama, ma
l’animazione che avevo in cuore apparteneva a un’altra realtà.
Perché mi interessava tanto cogliere il senso di quel vento che improvvisamente
mi abitava e mi rendeva in qualche modo inquieta, facendomi sentire il bisogno
di una realizzazione? La contemplazione di quel paesaggio non mi bastava ma
era indispensabile per poterne sentire la voce. La luce del sole al tramonto che
radeva l’acqua della laguna tanto da farla sembrare quasi una lamina dorata, le
imbarcazioni che correvano sull’acqua sembravano ignoti fantasmi perché tutto
lo spazio della contemplazione era stato invaso dalla ispirazione misteriosa.
Non seppi mai dove stessi andando, avvolta da quel vento. Ma mi fu chiaro
immediatamente che senza quella spinta quasi violenta verso l’ignoto non
avrei mai potuto comporre né operare niente di creativamente valido. Dunque
l’ispirazione esisteva, lo avevo capito chiaramente e questa idea mi teneva
piacevolmente compagnia perché mi permetteva di immergermi in un tempo
e in un luogo sospesi.
Ispirazione è una parola romantica che oggi si usa raramente. Oggi prevale
la dimensione tecnologica e quindi il nuovo linguaggio è fatto molto spesso di
sigle. Il nuovo umanesimo non può prescindere dal linguaggio tecnologico, il
quale tuttavia non è sufficiente per esprimere i sentimenti più profondi. Così
stiamo aspettando lentamente l’emergere di una idea nuova di ispirazione che
esige anche un nuovo modo di esprimerla. L’ispirazione non appartiene solo
agli artisti ma è elemento indispensabile anche per la tecnologia che sembra
sopravanzare sull’umanesimo. Solo con la fusione di queste due modalità
espressive potremo dire di essere approdati a una nuova epoca. Sembra
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necessario, da quanto vediamo intorno a noi anche attraverso le esperienze
climatiche, dover cancellare dalla nostra mente il passato conservando però la
capacità di salvarne alcuni aspetti.
Si può ipotizzare una base fisica per l’ispirazione? Non esiste materia
conosciuta alla quale questa fisica sia applicabile, tuttavia sappiamo di non
conoscere oltre il 90% della materia esistente nell’universo. Nessun indizio ci
è dato sul tipo di fisica che governa questa materia, si può forse ipotizzare
che come esiste una fisica della materia macroscopica (quella che conosciamo
meglio) ed esiste una fisica del sub-atomico (la fisica quantistica che risponde
a leggi assolutamente proprie), possa esistere una terza fisica diversa dalle due
precedenti e in grado di spiegare fenomeni come l’ispirazione.
La vicenda che voglio qui narrare e che mi riguarda direttamente è il ritorno,
dopo quarant’anni, di un amico polacco che in famiglia credevamo perduto.
Avevamo conosciuto Andrea B. perché era in Italia come rifugiato politico
avendo lasciato la Polonia come dissidente. Andrea ci aveva raccontato che,
recandosi a uno sportello per alcuni documenti riguardanti il suo stato di
rifugiato politico, aveva visto in quell’ufficio una bella signora bionda con
cui aveva scambiato qualche parola, venendo così a sapere che lei si chiamava
Jeanne ed era olandese.
Si lasciarono con la promessa di rivedersi presto e Andrea l’indomani tornò
con una rosa rossa e le chiese di sposarlo. Era entrato in lui uno spirito che lo
ispirava? È probabile, poiché il matrimonio è ancora in piedi felicemente e
quella rosa rossa rimane per loro il simbolo di una scelta felice. Come avrebbe
potuto Andrea senza la misteriosa “Dama invisibile”, “l’ispirazione”, avere il
coraggio di fare a Jeanne una simile proposta?
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Nella storia di Andrea sembra che, oltre alla sensazione di una lunga lontananza,
ci sia anche una condizione di calcolabilità di questa lontananza, come di
qualche cosa che possa essere misurabile numericamente; cioè che il tempo e
la lontananza fisica possano in realtà essere quantificabili matematicamente.
Forse questo può far veramente pensare a una forma fisica della materia nel
senso cioè che la lontananza, il tempo, possano assumere una forma di realtà
quasi geometricamente misurabile.
Allora la corposità fisica di Andrea e la sua lontananza nel tempo e nello
spazio possono far presagire la sua materializzazione quasi come una
“rivelazione”: un soffio misterioso lo ha come avvolto e me lo ha portato vicino,
quasi creativamente. Andrea è solo un esempio, un’esperienza recente che ho
sentito, osservato e vissuto, ma tutto questo può valere anche per altre persone
o situazioni. Si direbbe quindi che la materia assuma in molti casi una forma
geometrica calcolabile come fosse un’equazione matematica alla cui soluzione,
però, non riusciamo ad arrivare. Osserviamo e sentiamo le componenti di questa
equazione ma non abbiamo ancora la possibilità di raggiungerne l’essenza.
La dimensione spirituale nell’uomo può essere negata o accolta ma in ogni
caso, vivendo, ci si pone il problema se esiste il soprannaturale o se tutto muore
con noi. Se crediamo in un Dio, siamo in genere portati a pensare a Lui come a
un essere lontanissimo da noi, mentre invece potremmo vedere in lui un grande
amico, un amico intimo perché a lui dobbiamo il creato e particolarmente
anche la vita.
Perché non riusciamo a sentire la tenerezza di Dio su di noi e a cogliere
la sua capacità di esprimere tutta la sua potenza in modo diretto e semplice?
Preferiamo lasciarlo lontano perché non ci inquieti con le sue proposte di vita,
ma se leggiamo Genesi non possiamo più separarci dalla sua presenza nel nostro
vivere.
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In Genesi 1 è detto:
v. 1: In principio Dio creò il celo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre
ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!” e
la luce fu. […] E Dio separò la luce dalle tenebre.
v. 9 Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia
l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra mentre chiamò la massa delle
acque mare.
v. 14 Dio disse: “Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo per separare il giorno
dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel
firmamento del cielo per illuminare la terra”.
v. 20 Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra davanti
al firmamento del cielo”.
v. 22 Dio li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli
uccelli si moltiplichino sulla terra”.
v. 26 Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza:
domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali
selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Capitolo 2 Genesi:
v. 4: Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre
era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata perché il Signore Dio non aveva
fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua
sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere
vivente.
v. 8: poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
aveva plasmato.
Mi sembra che questi versetti della Genesi indichino il primo barlume del
concetto di ispirazione. Dio è la madre dell’ispirazione. Dopo averlo plasmato
con la polvere del suolo, Dio soffiò un alito di vita nelle sue narici e l’uomo
divenne vivo. L’ispirazione, cioè, è la vita e lo è stata anche per la nascita del
creato quando la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso. Il
soffio di Dio ha creato l’universo dal nulla.
Quando nella varie religioni si parla di ispirazione, in genere si dice che l’uomo
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diventa come uno strumento passivo dello spirito divino. Mi viene qui in mente
un capitolo dell’Esodo in cui si racconta di un roveto che ardeva per il fuoco
senza mai consumarsi. Questo episodio dell’Esodo 1,3 dice esattamente così:
“Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian,
condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del
Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed
ecco: il roveto ardeva per il fuoco ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto
non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal
roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i
sandali dai piedi perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse « Io sono il
Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora
si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio”.
Questa è una ispirazione venuta dallo Spirito, che spaventa Mosè per la
potenza di Dio. Potremmo definirla “sublime”: non è certamente una ispirazione
umana o, se la si considera umana, lo è ad un livello superiore di azione e di
linguaggio.
Un altro momento in cui lo spirito si manifesta come ispirazione è nel Vangelo
di Marco, dove si parla delle tentazioni nel deserto. Il testo dice esattamente
così: “Ed ecco in quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato
nel Giordano da Giovanni. E subito uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli
e lo spirito discendere verso di lui come una colomba.
E venne una voce dal celo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il
mio compiacimento». E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto
rimase 40 giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo
servivano”.
Ancora una volta lo Spirito sospinge all’azione e gli angeli appaiono
simbolicamente come custodi della sua condizione.
Perché parlo di tenerezza? Perché certamente Dio ha attuato la sua creazione
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con enorme tenerezza, soprattutto quando creando l’uomo ha operato,
attraverso il suo alito, il miracolo tenero della vita. Quindi alle origini del
creato c’è una grande forma di “ispirazione” di “tenera ispirazione” espressione
d’amore. Dunque le cose informi, confuse e imprecise possono diventare chiare
e luminose attraverso il respiro dell’ispirazione che crea forma e contenuti.
Ma per dare corpo storico al concetto di ispirazione e per attribuire a questa
parola un valore anche sociale, è forse opportuno rifarsi brevemente ai vari
significati che essa ha assunto attraverso i secoli.
Nel mondo antico l’ispirazione era soprattutto legata al concetto della poesia:
possiamo parlare del nucleo della teoria dell’ispirazione attraverso Platone che
riteneva che il poeta parlasse attraverso l’ispirazione divina perché in lui era
presente il fenomeno dell’entusiasmo. L’entusiasmo poetico è quasi un furore
che si può paragonare all’ebbrezza delle “baccanti”. Perché questo? Perché negli
stati di grande esaltazione l’uomo diventa uno strumento della divinità.
Il poeta non può fare poesia finché rimane in possesso di tutte le sue facoltà e la
sua mente non è interamente rapita. Secondo la teoria del dáimōn di Platone,
abbiamo scritta nel nostro destino la nostra vocazione. Questo pensiero
dell’ispirazione da parte degli dei è legato sia alla poesia che alla divinazione: i
poeti come gli indovini erano ispirati da un dio.
Mi sembra molto interessante il rapporto esistente nella cultura latina tra
furore e ispirazione. In genere si riconosce alla passione amorosa il termine di
furore, quasi una specie di follia, ma sappiamo anche che il furore anticamente
indicava soprattutto lo stato di esaltazione in cui venivano pronunciate le
profezie. Il rapporto tra profezia e poesia si può anche spiegare con il fatto
che il poeta viene spesso chiamato vate (veggente-profeta), ma il furore non è
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soltanto proprio delle passioni amorose, è proprio anche di ogni tipo di quella
creatività che coglie tutti gli uomini ispirati nei più vari campi al momento
della creazione.
L’ispirazione furiosa che necessita della tenerezza per diventare evento
operativo è una idea che ci consente di guardare con attenzione al tempo in
cui viviamo. Non c’è cosa più importante a proposito dell’ispirazione che la
parola ispirata per definizione della Bibbia. Sia nella parte vetero-testamentaria
che in quella neo-testamentaria l’idea dell’ispirazione divina è molto frequente.
Uno studioso afferma che l’ispirazione è linguisticamente connessa alla nozione
di “spirito”, la ruah di Jahweh e perciò alla dimensione del respiro, Dio alita
sull’uomo.
Dante Alighieri nella Divina Commedia (canto XXIV del Purgatorio, versi
49-54, a cura di A.M. Chiavacci Leonardi, Mondadori 1991) parla in modo
mirabile della ispirazione:
E io a lui “I’ mi son un, che quando/Amor mi ispira, noto, e a quel modo/ch’è ditta
dentro vo significando”.
Il poeta ispirato trasmette fedelmente quello che gli viene dall’alto e questo tipo
di ispirazione non è soltanto individuale ma viene da un principio trascendente,
è come un abbandono tenero all’amore. C’è quindi una concezione nello “Stil
Novo”, una concezione che viene da un impulso trascendente che viene dall’alto.
Nella poetica dantesca e stilnovistica il poeta è mosso sia da un fattore spirituale
che da un dittatore che è l’amore, la donna amata è il tramite tra il poeta e il
mondo divino, l’amore è una idea che contiene un impulso sovrannaturale.
Nella Vita Nova c’è espressa la concezione mistico-esoterica della poesia, non
sempre e non tutti possono spiegare, cogliere e decifrare i versi che in genere
sono destinati a un piccolo e ristretto gruppo di iniziati: quelli che sono cioè
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i “fedeli” dell’amore. Nella Vita Nova si percepisce che il dono della poesia è
concesso solo a pochi e che questi pochi hanno il privilegio di essere ispirati
dalla divinità.
Dante si paragona agli apostoli Pietro, Giovanni e Jacopo sul monte Tabor
(Purgatorio, canto XXXII, versi 73-74) mentre nel canto XVII del Paradiso il
trisavolo Cacciaguida gli attribuisce lo status di poeta-profeta.
Un altro autore utile per la comprensione del concetto di’“ispirazione” è il
Petrarca. L’uomo, secondo il Petrarca, se vuole esprimersi in modo veramente
efficace deve lasciarsi rapire oltre il proprio limite. I luoghi della natura, secondo
lui, offrono la più alta possibilità di conoscere l’ispirazione. In una famosa lirica
del Canzoniere, il Petrarca scrive:
“solo e pensoso i più deserti campi vò misurando a passi tardi et lenti/ e gli occhi porgo
per fuggire intenti/ ove vestigia uman la rena stampi”. [XXXV]
Non bisogna dimenticare che il poeta fa un grande elogio della vita solitaria
dell’artista e ne esalta la malinconia e scontrosità. In una lettera che invia al
fratello Gherardo giunge perfino a paragonare la poesia alla teologia. Egli non
rinuncia ad accostare le favole poetiche alla Sacra Scrittura, il che significa che
per lui la poesia ha una origine divina.
Nel Boccaccio il tema dell’ispirazione si intreccia alla figura delle muse, le
vere ispiratrici quindi del Boccaccio sono le donne e non le muse in senso
astratto. Se alle muse vengono attribuite virtù positive, questo dipende dal
fatto che esse sono creature femminili. Nella parte finale della sua biografia, il
Boccaccio interpreta un sogno profetico: la madre di Dante sogna di partorire
un bambino vicino a una pianta d’alloro e ad una fonte, il bambino crescerà
nutrendosi con le bacche dell’alloro e bevendo l’acqua della fonte. In breve
tempo diventerà un pastore e poi un pavone.
La visione della madre di Dante fornisce quasi un oroscopo della vita e
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dell’opera del poeta, il pastore significa sapienza poetica e filosofica, il pavone
invece è come una proiezione simbolica della Commedia, della sua lingua e
del fine ultimo dell’opera. L’alloro è l’immagine più simbolica del sogno e
nell’interpretazione del Boccaccio fonda una specie di teoria astrologica, diventa
l’emblema di un’arte poetica che viene data solo per dono divino.
Dunque per il Boccaccio la smania febbrile che secondo lui è all’origine della
poesia proviene direttamente da Dio e solo pochi sono quelli a cui è destinato
questo dono. È vero che la poesia è ispirazione divina ma rappresenta anche una
conquista laboriosa e si ottiene solo se si è in possesso dei necessari strumenti
delle conoscenze erudite.
Nel Rinascimento c’è l’idea che il furore poetico derivi direttamente da Dio
e che sia superiore alla poesia che nasce solo per abilità umana. Bisogna che il
poeta si lasci andare completamente al furore creativo.
Nel ’400 si recupera la concezione stilnovistica dell’ispirazione, come si può
evincere dal Canzoniere di Lorenzo de’Medici in cui l’amore ha la forza di
una fonte che produce la parola poetica. Nel ’400 viene sottolineato il valore
della poesia nata dal furore e ci si rifà ai poeti delle origini come Orfeo ed
Esiodo. Nell’epistola De divino furore di Marsilio Ficino si mette in evidenza la
superiorità della poesia ispirata rispetto alla poesia che è frutto di studio. Poeti
si nasce!
Ficino distingue due tipologie di furor: la prima è una esaltazione effimera
come quella dei sacerdoti e dei rapsodi, la seconda invece è una realtà esistenziale
propria di coloro che trascorrono la vita nella contemplazione raggiungendo il
culmine della conoscenza. La teoria dell’entusiasmo, del fervore elaborata da
Marsilio Ficino ebbe un’ampia diffusione nella cultura rinascimentale italiana
ed europea.
Il motivo del furore poetico compare più volte anche nell’opera di
Angelo Poliziano. Nel Poliziano torna per il poeta la necessità del sostegno
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dell’ispirazione. Per lui, come per altri umanisti, il furore è l’elemento che
consente di innalzare la poesia al di sopra di altre forme d’arte. Il canto ispirato
non può essere simile a quello del suono della lira né a nessun’altra forma di
musica, l’ispirazione proviene per lui dagli antichi papiri che trasmettono a chi
li legge una forza quasi magnetica dalla quale si origina la poesia. Per il Poliziano
dunque quel dolce furore giunge come dono della divinità, indirettamente
attraverso i classici.
Nel ’600 il tema del furore e dell’entusiasmo attraversa una fase di eclissi. Tra
il ’600 e il ’700 la filosofia dominante è di impronta razionalistica e si tenderà
a ridurre l’entusiasmo a una specie di fanatismo religioso condannandone
ogni forma. Nel ’600 particolarmente si scrivono libri interi contro il furore e
l’entusiasmo e questa idea circola in modo sotterraneo. In ambito europeo il
testo più importante sull’argomento è la Lettera sull’entusiasmo di Shaftesbury.
Tra la seconda metà del ’700 e l’inizio dell’’800 la cultura letteraria italiana
presenta un panorama in cui convivono tradizione e innovazione, atteggiamenti
pre-romantici e retaggi illuministici. Nel romanticismo l’ispirazione e
l’entusiasmo conoscono la loro suprema valorizzazione ma il concetto di
entusiasmo non è sovrapponibile a quello classico, viene anzi proposta una
specie di metamorfosi.
Nella storia del romanticismo inglese ci sono molti autori che sviluppano il
concetto di entusiasmo e di ispirazione.
Per esempio Edward Young propone l’idea di genio come “conoscenza innata
sorretta dal divino afflato dell’entusiasmo”. Ma nel panorama inglese il testo
più importante per la teoria dell’ispirazione è Defense of Poetry di Shelley, dove
egli afferma:
“La poesia è davvero qualcosa di divino. Essa è a un tempo il centro e la circonferenza
della conoscenza; è ciò che comprende tutte le scienze e a cui tutte le scienze devono
essere ricondotte. La poesia diversamente dal raziocinio non è un potere da esercitarsi
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in accordo con la volontà. Un uomo non può dire voglio comporre poesia”.
Nell’area latina dell’Europa il trattato più importante della poetica romantica
è De l’Allemagne di Madame De Stael il cui testo si conclude con una apologia
dell’entusiasmo:
“Molti sono prevenuti contro l’entusiasmo; lo confondono con il fanatismo ed è
errore grave. Il fanatismo è passione esclusiva; l’entusiasmo si congiunge all’armonia
universale; è l’amore del bello, l’elevazione dell’anima, la gioia della dedizione; è tutto
questo unito in un sentimento solo che possiede assieme la grandezza e la calma.
Il significato greco ne è la definizione più nobile: Dio in noi. Ed in realtà quando
l’esistenza dell’uomo è espansiva ha qualche cosa di divino”.
Il romanticismo italiano fu sui generis e alcuni studiosi ne mettono addirittura
in discussione l’esistenza. Il nostro romanticismo presenta motivi di continuità
con l’illuminismo e scarse aperture alle innovazioni romantiche.
La posizione polemica del Foscolo nei confronti del romanticismo italiano
non toglie però nulla alla parte di lui molto legata alla estetica romantica e
che ha specificatamente al centro il concetto di entusiasmo poetico. Il motivo
dell’entusiasmo in Foscolo trattato nel discorso quarto della Chioma di Berenice
in cui ci sono dei riferimenti precisi allo Ione di Platone.
L’idea dell’ispirazione si trova anche nelle opere più creative del Foscolo: in
una ad esempio delle Ultime lettere di Jacopo Ortis si parla con chiarezza della
ispirazione che può nascere soltanto nell’indipendenza e nella solitudine. Ma la
vera celebrazione dell’ispirazione sta nei Sepolcri.
Il Leopardi nella Lettera ai Sigg. compilatori della Biblioteca Italiana mette
al centro del discorso il valore della ispirazione poetica. Egli, a differenza di
Madame de Stael, sostiene che lo studio e l’approfondimento delle letterature
straniere non servono a creare un poeta ma piuttosto è la scintilla dell’ispirazione
la condizione essenziale perché un poeta venga considerato tale.
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A più riprese il giovane Leopardi si sofferma sul tema dell’entusiasmo, ed è
attraverso l’entusiasmo che egli infatti parla della propria vocazione poetica. In
una lettera del 1817 indirizzata a Pietro Giordani il Leopardi parla della genesi e
della natura della sua vocazione alla poesia e dice della “smania violentissima di
comporre”. Per il giovane Leopardi insomma il vero poeta non può prescindere
dal soccorso di un intervento divino.
Il tema dell’ispirazione e dell’entusiasmo sarà presente soprattutto nello
Zibaldone: proprio attraverso l’entusiasmo il Leopardi scorge la possibilità “dei
rapporti tra cose disparatissime” e la possibilità di “trovare dei paragoni, delle
similitudini astrusissime e ingegnosissime”. Proprio attraverso l’entusiasmo dove
si uniscono stati d’animo alle volte apparentemente opposti come ad esempio
la disperazione, la gioia e il dolore, si riconosce l’alto valore dell’ispirazione.
Per il Leopardi l’ispirazione è connessa soprattutto con un certo tipo di
poesia, la lirica, che secondo il poeta è il genere letterario più rilevante a cui egli
tende a subordinare tutti gli altri. Per il Leopardi le poesie “non sono poesie se
non in quanto liriche”. Nello Zibaldone si legge:
“i lavori di poesia vogliono per natura essere corti. E tali furono e sono tutte le poesie
primitive (cioè le più poetiche e vere), di qualunque genere presso tutti i popoli”.
La brevità insomma per il Leopardi è come la definizione stessa della poesia
che per lui consiste “essenzialmente in un impeto”, vale a dire che la poesia è
come un lampo creativo. Il Leopardi insomma vede nella parola poetica una
scintilla divina (Raoul Bruni, Il divino entusiasmo del poeta: ricerche sulla storia
di un tòpos, Scuola di dottorato di ricerca in Scienze Linguistiche Filosofiche e
Letterarie, Padova 2008).
Nel primo Novecento una rivista molto importante come “Lacerba”,
diretta da Giovanni Papini, contiene alcune affermazioni che ci fanno capire
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il significato del Novecento e come a quei tempi venisse inteso il valore della
persona. C’è una frase di Alfredo Oriani che potrebbe essere stata messa sulla
testata della rivista e che invece si trova nella Rivolta Ideale: “l’individuo non è
tale che nella unità delle sue antitesi”.
Sempre Oriani aggiunge che vita e storia non possono essere mutate
nell’essenza ma debbono sempre nobilitarsi nelle forme: la vita è tragedia e
la storia poema; nell’una l’individuo soccombe davanti a sé stesso, nell’altra
s’immola alla continuità della propria gente (Oriani, La rivolta ideale).
Più volte si è detto e ripetuto che “avanguardia” viene da “modernità”, la
modernizzazione non ha “origini” ma solo “inizio” secondo la sintesi brillante
di Edwar Said per il quale la modernizzazione è qualche cosa che viene sempre
riesaminata e reinventata (Beginnings, Introduzione alla 2 ed., Columbia Univ.
Press., 1985).
Tutti gli storici e i critici sanno che l’arte mediocre rivela lo spirito della
propria epoca in modo netto e diretto perché essa rimane documento e non
diventa una dimensione monumentale. Questa idea però mette in evidenza
non tanto la modernità di un’epoca ma piuttosto il modernismo, l’avanguardia
si contrassegna perciò proprio per la modernità che la distingue.
Ogni civiltà ha un senso inconsapevole della propria modernità culturale,
potremmo quindi dire che la modernità contiene in sé un sentimento del
nuovo che porta a una riflessione sul valore dell’ispirazione come “rinascita”,
di una ispirazione cioè che serve a costruire il presente e il futuro non sulle
fondamenta del passato.
I movimenti di avanguardia presenti in tutto il Novecento, come ad esempio
futurismo, dadaismo, surrealismo, cubismo ed espressionismo, portano con
loro tutti gli elementi dei movimenti d’avanguardia della tradizione europea, in
particolare della rivoluzione romantica e hanno contribuito a formare la nostra
coscienza culturale di uomini del XXI secolo. La storia quindi dell’ispirazione
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legata a questi movimenti non si è mai fermata perché essa ha il compito
di trasformare in azione tutto ciò che sembra emergere dal caos profondo
dell’essere.
Inoltriamoci in una riflessione sulla nostra contemporaneità, dove la parola
ispirazione viene usata soprattutto in campo commerciale: si parla ad esempio
della moda dicendo che un certo stilista si è ispirato a…, che una macchina
porta con sé nella sua linea motivi “ispirati” che rendono felici per la sua bellezza.
Nel nostro tempo l’ispirazione non nasce mai nella solitudine di un singolo
ma è frutto invece di un team di lavoro che insieme costruisce “ispiratamente”
oggetti e forme. Tutto questo non vale quando si parla di una personalità
geniale, sappiamo infatti che un genio opera in solitudine e propone poi a un
team di perfezionare la sua invenzione. La genialità non può essere collettiva.
L’ispirazione è diventata elemento determinante per la produzione, quindi
l’ispirazione è vista come un veicolo di risorse anche economiche. Se noi per
esempio pensiamo alle montature degli occhiali, alle volte ne troviamo di
bellissime che portano la firma di famosi stilisti, Dior, Chanel ecc. Dunque
l’ispirazione ha a che fare con il “bello”: la bellezza “ispira” sentimenti vari
anche alle volte discordanti. La bellezza è intrigante e ci mette d’avanti la vita
e la morte.
Perché la morte? Siamo abituati a pensare alla morte come a qualche cosa di
buio di brutto di triste, di limitante. La bellezza invece ci spinge verso la vita
attiva e anche contemplativa, si può essere spinti da una bella idea verso un
progetto entusiasmante perché è bello e diventa realizzabile nella misura in cui
la bellezza ha il sopravvento sulla sua eventuale caducità. La bellezza quindi
può essere in qualche modo definita l’elemento che costituisce l’ispirazione,
forse la bellezza è il corpo dell’ispirazione.
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