Apparecchi fantascientifici tra marketing e reale utilità

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Apparecchi fantascientifici tra marketing e reale utilità
SPECIALE CHIRURGIA / 3
I robot
Apparecchi
fantascientifici
tra marketing
e reale utilità
Né meglio né peggio della chirurgia
classica: questi i bilanci degli studi
scientifici sugli esiti della chirurgia
robotica. A svantaggio della macchina
vi sono gli alti costi e la necessità
di formare bene il personale; a vantaggio,
la minore degenza dei malati
a cura di DANIELA OVADIA
primi interventi chirurgici in cui il bisturi
era nelle mani di un
robot invece che in
quelle di un medico
datano dalla metà degli anni
ottanta. Da allora sono stati
eseguiti con questi strumenti migliaia di interventi in
tutto il mondo, con una crescita costante sia del numero totale
di pazienti
sia delle indicazioni. Se
all’inizio il
robot era presente soprattutto nelle sale operatorie di
urologia o neurochirurgia
(dove gestisce, per esempio,
il cosiddetto gamma knife,
uno strumento che consente
di distruggere, con un apposito raggio, una parte di tes-
I
suto contenuto nella cavità
cranica, per esempio un tumore, senza aprirla), oggi si
utilizza anche in ginecologia, chirurgia vascolare, dermatologia e in molte altre
specialità.
C’È UN UOMO DIETRO
“È importante ricordare
che il robot non si muove
mai da solo e
che, anche
se il chirurgo non sta fisicamente
nella stessa
stanza del
paziente e della macchina, è
pur sempre lui a governarla
attraverso l’uso di appositi
joystick e di un video che riprende il campo operatorio”
spiega Jacques Marescaux,
chirurgo e presidente dell’IRCAD (Institut de Recherche
Un joystick
governa
i movimenti
della macchina
12 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2013
contre les Cancers de l’Appareil Digestif) di Strasburgo,
un centro europeo di punta
nella formazione dei medici
nel campo della chirurgia laparoscopica (cioè con l’uso
di sonde) e robotica. Marescaux lo sa bene, dato che
nel 1992 fu il primo al
mondo a effettuare un intervento di asportazione della
colecisti tra le due sponde
dell’oceano: mentre la paziente stava in sala operatoria a Strasburgo, Marescaux
governava il robot che la
operava da una consolle in
un centro di New York. L’intervento, battezzato “Operazione Lindbergh”, come il famoso aviatore del primo
volo transoceanico, fece ovviamente scalpore. “Sicuramente ha contribuito a rendere famosa la chirurgia robotica, anche al di là delle
mie aspettative. Se da un
lato gli strumenti di comando a distanza sono utilissimi
nel caso in cui ci siano problemi a reperire un chirurgo
esperto, sono del tutto inutili in un contesto normale”
continua il medico francese.
BISOGNO DI FORMAZIONE
UN PROBLEMA DI COSTI
ra gli aspetti più negativi della chirurgia robotica, se
si esclude quello della formazione dei chirurghi, vi
sono senza dubbio i costi. Che però si possono ridurre
drasticamente se si fa funzionare la stessa macchina per
discipline diverse, come ormai accade in quasi tutti i
centri che ne hanno una. In alcune regioni, come la
Toscana, l’ottimizzazione dei costi nasce anche dalla
T
In questo articolo:
chirurgia robotica
chirurgia laparoscopica
costi sanitari
MANCANO
GLI STUDI
Ora che i robot
sono diffusissimi e
presenti in molti ospedali anche piuttosto
piccoli, i medici (e i pazienti più accorti) cominciano a
chiedersi se offrono davvero
dei vantaggi rispetto agli in-
terventi classici. E, con l’esclusione della chirurgia
del cervello, per la quale la
robotica ha costituito una
vera svolta, nelle altre indicazioni vi sono ancora questioni aperte.
In uno studio recente, effettuato da un gruppo di medici del Karolinska Institutet
di Stoccolma, sui risultati
dell’asportazione della vescica effettuata da un robot,
comparati con quelli di un
intervento classico, la chirurgia robotica mostra di essere del tutto equivalente a
quella manuale, ma con un
costo più elevato, anche perché, oltre al costo della macchina in sé, ogni kit chirurgico viene a costare oltre
1.500 dollari. Il lavoro è stato
pubblicato sulla rivista European Urology. La stessa rivista ha pubblicato, nel mese
di maggio 2013, le linee
guida dell’Associazione europea di urologia (EAU) in
merito alla chirurgia robotica del tratto urinario (rene, vescica e prostata)
sulla base di
tutti gli studi
finora disponibili.
Anche in
questo
caso
gli
condivisione: un solo apparecchio serve diversi ospedali e i
chirurghi (con i loro pazienti) si spostano a turno presso la
struttura che lo ospita. Non tutti, però, sono adatti a guidare il
robot: secondo uno studio effettuato negli Stati Uniti da
Medicare (l’assistenza statale che copre la popolazione più
anziana e le categorie a rischio), ci vogliono speciali doti sia
fisiche sia cognitive, che vanno individuate all’inizio del
training. Per tutti gli altri, è molto meglio continuare a usare
con maestria la chirurgia laparoscopica o addirittura il buon
vecchio bisturi.
esperti sostengono che “la
chirurgia robotica è possibile e sicura per la maggior
parte degli interventi urologici, ma i dati disponibili, in
particolare per quanto riguarda gli esiti nei tumori,
sono ancora insufficienti e
sono necessarie ulteriori indagini, anche se sono più
consistenti
nell’ambito
degli interventi
di
asportazione
della prostata”. Nella revisione sono compresi
anche alcuni studi sull’asportazione della prostata
che dimostrano come, a
fronte di minore complicanze postoperatorie e di una
degenza più breve, la chirurgia robotica dia però maggiori problemi di lesioni ai
nervi che attraversano l’organo, con un rischio più elevato di impotenza e incontinenza sulla lunga distanza.
Anche in ginecologia la
situazione è simile: una recente revisione sugli interventi di asportazione dell’utero pubblicata dalla rivista
JAMA conferma l’assenza di
reali benefici a fronte di un
aumento dei costi.
stanno acquistando queste
macchine, non per un vero
bisogno o vantaggio ma perché spinti dal marketing. E
una volta che un ospedale
ha fatto la spesa, deve poi
giustificarla promuovendo
la chirurgia robotica presso
il pubblico”.
Non c’è quindi nulla da
salvare in questa tecnologia
tanto pubblicizzata? Marescaux ritiene
di sì. “Innanzitutto dire che
gli esiti a distanza sono uguali a quelli del paziente operato alla vecchia maniera, ma
senza tener conto del fatto
che il dolore postoperatorio è
minore e la ripresa più rapida, significa non considerare
il benessere del paziente.
Forse dopo anni non ci sono
differenze, ma sul momento
il malato è ben contento di
potersene tornare a casa in
24 ore e senza grosse complicazioni. Inoltre uno dei grandi problemi della chirurgia è
la standardizzazione delle
procedure: ogni chirurgo
opera come vuole, ognuno
ha la propria tecnica, anche
perché ogni persona ha un’anatomia un po’ differente da
quella degli altri. Alla luce di
ciò come si fa a scoprire qual
è la tecnica più efficace e a
diffonderla tra gli altri chirurghi? La robotica obbliga al
massimo della standardizzazione possibile alla luce
della variabilità degli individui e ciò permette una migliore formazione dei giovani chirurghi e una concreta
possibilità di comparare finalmente gli esiti di tecniche diverse e le performance
dei singoli medici”.
I vantaggi?
Meno dolore
e ricoveri
più brevi
LE SPINTE DEL MARKETING
I più critici sono però gli
estensori della guida per il
paziente della Harvard Medical School di Boston, uno
dei templi della medicina
moderna: “Sono tecnologie
impressionanti ma sfortunatamente, al momento attuale, vi sono poche prove,
se non nessuna, che la chirurgia robotica aiuti il paziente oppure il chirurgo.
Eppure sempre più ospedali
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