Divorzio

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Divorzio
Giurisprudenza
Divorzio
Revisione dell’assegno divorzile
I
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 19 novembre 2010, n. 23508 - Pres. Luccioli - Est. Ragonesi
Matrimonio - Divorzio - Obblighi verso l’altro coniuge - Assegno post-matrimoniale - Conseguimento di eredità da parte
dell’ex coniuge onerato - Incrementi reddituali - Rilevanza sul tenore di vita - Esclusione - Rilevanza ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge obbligato - Ammissibilità.
(L. 1 dicembre 1970 n. 898, art. 5)
L’acquisizione di beni per via successoria dopo la cessazione della convivenza non influisce nella valutazione
del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della
determinazione dell’assegno divorzile. Tuttavia, i beni ereditati che confluiscono nel patrimonio del coniuge
obbligato all’assegno vanno ad accrescere il reddito personale di quest’ultimo, il cui accertamento costituisce
uno dei criteri da applicare nella determinazione dell’assegno di divorzio.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. civ. sez. I, 30 maggio 2007, n. 12687.
Difforme
Non si rinvengono precedenti difformi in merito.
... Omissis ...
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il M. si duole del fatto che
la Corte d’appello, nel valutare la propria situazione economica abbia tenuto conto dell’eredità che aveva acquisito per successione dal proprio genitore deceduto dopo
sette anni dall’intervenuta separazione.
Con il secondo motivo si duole della mancata presa in
considerazione del contributo dato da esso genitore nella
crescita delle figlie; non limitato agli aspetti economici
ma esteso anche alla loro crescita in particolare dopo il
trasferimento della madre in altra città.
Con il terzo motivo contesta la decorrenza dell’assegno.
Il primo motivo è infondato, anche se la motivazione della Corte d’appello necessita di correzione ai sensi dell’art.
384 c.p.c..
In via di fatto è pacifico che nel caso di specie l’eredità
paterna è pervenuta al M. il (omissis), sei anni dopo la separazione avvenuta nel (omissis), ma prima che venisse
instaurato il giudizio di divorzio in data (omissis), quando,
dunque, i coniugi erano già separati.
Ciò posto, questa Corte ha ripetutamente affermato il
principio che l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi
(o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive),
raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e
ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel
corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio.
Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni
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patrimoniali dell’ex-coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al
momento del divorzio, (Cass. 2273/96; Cass. 5720/97;
Cass. 4319/99; Cass. 17103/02).
In tal senso la giurisprudenza ha ulteriormente chiarito
che le aspettative ereditarie sono sino al momento dell’apertura della successione prive, di per sé, di valenza sul
tenore di vita matrimoniale e giuridicamente inidonee a
fondare affidamenti economici. Con la conseguenza che,
mentre le successioni ereditarie che si verifichino in costanza di convivenza coniugale, incidendo sul tenore di
vita matrimoniale, concorrono a determinare la quantificazione dell’assegno dovuto dal coniuge onerato, quelle
che si verifichino dopo non sono idonee ad essere valutate, sotto detto profilo, secondo i principi sopra indicati.
(Cass. 12687/07).
In altri termini, l’acquisizione di beni per via successoria
dopo la cessazione della convivenza non influisce nella
valutazione del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.
Ciò, tuttavia, non vuol dire che i beni in questione non
debbano essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge che viene
gravato dell’assegno divorzile, dovendo tale valutazione
essere fatta sulla base dei criteri stabiliti dalla L. n. 898
del 1970, art. 5, in ragione delle condizioni dei coniugi,
delle ragioni della decisione, del contributo personale ed
economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed
alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
(Cass. SS.UU. 29 novembre 1990, n. 11490, alla quale si
è conformata, consolidandosi, la successiva giurisprudenza, di questa Corte).
In virtù di detto disposto normativo, pertanto, il reddito
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ne complessiva dei contributi dati da entrambi i genitori
nell’allevamento della prole.
Trattasi di valutazione di merito non sindacabile in questa sede di legittimità in quanto basata su principi di
equità e di buon senso.
Il terzo motivo è inammissibile.
Al ricorso per cassazione in esame devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, (in vigore dal 2 marzo 2006) e, per quel che
occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei
casi di cui all’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a
pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c.,
n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del
fatto controverso in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura; in altri termini deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. sez. un 20603/07).
Nel caso di specie nessuna sintesi della doglianza con cui
si contesta il vizio di motivazione della sentenza viene riportata in calce al motivo in esame, onde lo stesso non è
suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità.
Il ricorso va pertanto respinto.
... Omissis ...
di entrambi i coniugi da stimarsi all’attualità ed in concreto tramite un adeguato accertamento costituisce uno
dei criteri da applicare nella determinazione dell’assegno
di divorzio (v. Cass. 7117/06).
Nel caso di specie pertanto non è dubbio che la disponibilità patrimoniale acquisita dal M. in via ereditaria, in
quanto costituente in ogni caso una voce reddituale, debba essere valutata ai fini di cui sopra, ed in tale prospettiva appare corretta la valutazione effettuata dalla Corte
d’appello.
Il motivo va dunque respinto.
Il secondo motivo è infondato e per certi versi inammissibile.
Alla luce di quanto appena esposto, in ordine al fatto che
tra i criteri da prendere in esame ai fini della determinazione dell’assegno divorzile vi è anche il contributo dato
dalle parti alla conduzione familiare, va osservato che,
nel caso di specie, la Corte d’appello ha dato atto in narrativa della doglianza del M. circa il fatto che non si era
tenuto conto che sin dal (omissis) le due figlie (all’epoca
di 20 e 14 anni) erano andate a convivere con il padre
che aveva quindi significativamente contribuito al loro
mantenimento ed al loro allevamento ed alla loro educazione, ma ha ritenuto che ciò non potesse comunque “riflettersi negativamente sulla quantificazione dell’assegno
spettante alla G.”.
Con tale espressione la Corte d’appello ha implicitamente affermato che non poteva comunque disconoscersi il
contributo dato da quest’ultima alla cura ed all’allevamento delle figlie, in tal modo effettuando una valutazio-
II
CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, 10 maggio 2010, n. 448 - Pres. Cantoni - Rel. Florini
Matrimonio - Divorzio - Obblighi verso l’altro coniuge - Assegno post-matrimoniale - Tenore di vita matrimoniale - Incrementi reddituali dell’onerato - Prevedibilità al momento della cessazione della convivenza - Incidenza sull’assegno postmatrimoniale - Rilevanza.
(L. 1 dicembre 1970 n. 898, art. 5)
L’ex coniuge che senza sua colpa non sia in grado di procurarsi adeguati redditi propri ha diritto a conservare
un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe stato, presumibilmente,
raggiunto nel caso di prosecuzione del matrimonio. A tal fine i miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, assumono rilievo qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass., 15 settembre 2008, n. 23690; Cass., 26 settembre 2007, n. 20204; Cass., 28 gennaio 2004, n.
1487; Cass., 26 giugno 1997, n. 5720.
Difforme
Non si rinvengono precedenti difformi in merito.
… Omissis …
Motivi della Decisione
A/1) Con l’unico motivo di appello, la difesa del dott.
XX - libero professionista odontoiatra - lamenta che il
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Tribunale abbia ribadito a suo carico l’entità dell’assegno
di mantenimento, concordato fra i coniugi in data 10 settembre 2001, all’epoca del verbale di separazione ex art.
158 c.c., trascurando le mutate condizioni economiche
delle parti e finendo per confondere la diversa natura del
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precedente “contributo” di cui all’art. 156 c.c., rispetto al
cd. “assegno divorzile” ai sensi dell’art. 5 comma VI, L.
898/1970; le censure dell’appellante - a sostegno della
propria domanda, volta ad ottenere la revoca di ogni
somma da lui dovuta alla YY - imputano al primo Giudice, essenzialmente, la mancata considerazione riguardo:
a) la duratura e notevole incidenza, sul reddito dell’obbligato, di vari prelievi per rimborsi di mutui e finanziamenti in corso;
b) la migliorata condizione economica di controparte,
che ora - dopo avere lasciato la casa ex-familiare, prima
tenuta in locazione - gode della disponibilità gratuita di
un’abitazione, fornitale a titolo di comodato dai genitori;
c) la breve durata del sodalizio coniugale della coppia protrattosi appena di tre anni, tenuto conto che al matrimonio nel maggio 1998 era seguita la separazione, dapprima promossa in forme giudiziali su iniziativa del marito, con ricorso notificato fino dal 7 giugno 2001 - ed il
suo limitatissimo apporto nella formazione del patrimonio, tanto più ai fini dello sviluppo dell’attività professionale di dentista;
d) le caratteristiche analoghe del tenore di vita - assolutamente “normale”, trattandosi di una coppia ancor giovane, ove il marito continuava ad impiegarsi nelle “guardie mediche”, pur avendo iniziato ad esercitare anche la
libera professione - goduto dai protagonisti della vicenda,
sia durante la loro vita in comune, sia in seguito: sicché il
reddito attuale della beneficiaria dell’assegno divorzile
sarebbe di per sé idoneo a garantirle un livello di esistenza comparabile a quello originario.
A/2) A fronte di tali doglianze avversarie - cui per la prima volta si aggiungeva, durante la discussione “camerale”
davanti alla Corte, l’affermazione dell’appellante circa
un altrui preteso “lavoro in nero“ (cfr. verb. ud. 16 aprile
2010) - l’odierna resistente replicava che nessuna modifica determinante delle rispettive situazioni sarebbe ravvisabile nel nostro caso, ed in particolare resterebbe immutata la forte sproporzione tra le proprie disponibilità
patrimoniali e quelle del XX, su cui si fonda la persistente giustificazione dell’onere a carico di quest’ultimo, onde evitare che ella subisca altrimenti un radicale deterioramento della relativa fascia socio/economica; in particolare, la YY deduceva che: I) correttamente il Tribunale di
Parma avesse, anzitutto, riconosciuto come dato di “comune esperienza” che fosse “poco attendibile la dichiarazione dei redditi, trattandosi di professionista che, in ipotesi, ha l’opportunità di emettere fatture con importi inferiori ai reali prezzi praticati”; II) inoltre, il successo professionale del dott. XX emergeva dalla creazione di un
moderno studio odontoiatrico, sito in (omissis) (Parma) ove egli opera con almeno un paio di assistenti stabili, oltre a collaboratori più saltuari, le cui pregevoli caratteristiche risultavano anche dall’apposito sito internet che ne
pubblicizzava le prestazioni - ed aperto dopo la separazione, mentre in precedenza aveva tenuto altri due ambulatori, prima a (omissis) (Reggio Emilia) (dal 1997 fino al
2001) e poi a (omissis) (Parma); III) ella - dal 1987 addetta part time alla CAMST di Bologna, ora con uno stipendio medio di circa Euro 850 al mese - utilizza in comodato un modesto appartamento di proprietà dei geni-
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tori, dovendosene tuttavia accollare le spese condominiali e di manutenzione ordinaria; IV) quale ulteriore indice delle risorse a disposizione dell’ex-marito, la stessa da
un lato ne menzionava lo stile di vita con abitudini asseritamente dispendiose, d’altro canto evidenziava sia gli
oneri che egli aveva sostenuto per giungere - senza successo, ma comunque costringendola a difendersi pure in
quella sede - ad un annullamento “rotale” del loro vincolo religioso, sia il ricorso ad un investigatore privato da
parte del medesimo, tanto che in data 13 maggio 2009 la
YY aveva sporto querela “contro ignoti”, dopo la scoperta di un apparato “rilevatore satellitare GPS”, installato
sotto la carrozzeria della propria automobile: il relativo
procedimento - instauratosi appunto nei confronti di XX
e di certo P. (omissis) - si era poi chiuso ben presto (il 12
giugno 2009), con l’archiviazione degli atti, per mancata
violazione di norme penali.
B) Questa Corte ritiene opportuno richiamare alcuni criteri stabiliti in giurisprudenza - soprattutto sulla scorta
delle linee guida elaborate dalla S.C. - che si rivelano di
grande utilità, per le soluzioni da adottare nella delicata
materia in esame:
a) nei rapporti tra assegno ex art. 5 D.Lgs. 898/1970 ed assegno di mantenimento - stabilito in sede di separazione
- in primo luogo «la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti
in vigenza di separazione, considerata la diversità delle
discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei
relativi trattamenti - correlate a diversificate situazioni e delle rispettive decisioni giudiziali; poiché l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio,
prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti,
operanti nel regime di convivenza e di separazione, mentre costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio»
(così Cass. 11575/2001; e cfr. Cass. 593/2008; Cass.
1758/2008; Cass. 14965/2007; Cass. 15610/2007; Cass.
4764/2007; Cass. 4021/2006); e ciò sebbene gli assetti patrimoniali definiti al momento della separazione fra i coniugi possano pur sempre valere da “mero indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili di valutazione” (v. Cass. 11575/2001, ossia si
tratta di elementi utilizzabili dal Giudice, ma senza “costituire autonomo elemento, dotato di portata delimitante la quantificazione dell’apporto in questione, secondo
un principio avulso dal dato normativo”, v. Cass.
17017/20008, Cass. 25010/2007, ecc.);
b) Il parametro essenziale sta comunque nel previo “accertare quale fosse il tenore di vita goduto, o che avrebbe
potuto godere la parte in costanza di matrimonio e se con
il suo attuale reddito possa conservarne uno analogo. In
proposito, il tenore di vita goduto durante il matrimonio
- cui rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno di divorzio è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e
delle loro disponibilità patrimoniali, e non già quello tollerato, subito od anche concordato, attraverso l’adozione
di particolari criteri di suddivisione delle spese familiari e
di disposizione dei redditi personali residui” (Cass.
10210/2005); infatti - onde riconoscere, in sede di divor-
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zio, l’altrui obbligo di mantenimento - occorre tenere
conto che tale assegno «nella disciplina dettata dall’art. 5
l. 898/1970 … si configura con natura eminentemente
assistenziale, essendone condizionata l’attribuzione alla
specifica circostanza della mancanza di mezzi adeguati, o
dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; gli
altri criteri ivi previsti, invece, sono destinati ad operare
solo se l’accertamento dell’unico suddetto elemento attributivo si sia risolto positivamente, poiché essi incidono unicamente sulla quantificazione dell’assegno» (v.
Trib. Roma 3 aprile 2009, su Corr. Mer., 2009, VII, 717),
e quindi il relativo diritto può essere negato soltanto se la
condizione fisica ed economica del richiedente sia tale da
consentire a quest’ultimo di conservare autonomamente
un tenore di vita simile a quello goduto vigente matrimonio, come realizzatosi di volta in volta nel singolo caso
concreto, pure grazie ai redditi allora percepiti dall’altro
coniuge, a carico del quale andrebbe posto il corrispondente obbligo (v. Cass. 10221/2009).
c) È così che l’operazione di verifica in tema di accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due
fasi: nella prima il giudice deve accertare l’inadeguatezza
dei mezzi dell’istante (e la impossibilità per questi di procurarseli per ragioni oggettive) a consentire al medesimo
un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
matrimonio, oppure che poteva legittimamente fondarsi
su aspettative maturate nel corso del matrimonio, determinando allora le somme in astratto sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, le quali costituiscono la
misura massima dell’assegno divorzile; nella seconda, il
giudice deve provvedere alla determinazione in concreto
dell’assegno, utilizzando gli elementi indicati dal medesimo art. 5 cit., a titolo di criteri correttivi. Quanto al tenore di vita coniugale, esso deve essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare
complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, e tale valutazione deve essere operata con riguardo al momento della pronuncia di divorzio, comprendendovi anche gli incrementi economici intervenuti dopo la cessazione della convivenza, che costituiscano
tuttavia il naturale e prevedibile sviluppo dell’attività
svolta durante la stessa (così C. App. Roma 22 aprile
2009, su Banca Dati Jurisdata Platinum); altrettanto - ed in
termini del tutto condivisibili - merita sottolineare che
«la nozione di adeguatezza postula un esame comparativo
fra la situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente e quella della famiglia - all’epoca di cessazione
della convivenza - che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se
successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, trovando radice in detta attività, e/o nel tipo di qualificazione professionale, e/o nella
collocazione sociale dell’onerato stesso» (così Trib. Monza 24 marzo 2009, v. loc. ult. cit.).
d) Invero, la tipologia del contributo potenzialmente derivante dall’art. 5 comma VI cit. «trova fondamento nella solidarietà post-coniugale, espressione del più generale
dovere di solidarietà economico-sociale sancito all’art. 2
Cost., dalla quale sorge l’obbligo di corrispondere un as-
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segno periodico a favore dell’ex coniuge privo di mezzi
adeguati, nonché di riparare allo squilibrio economico
derivante dal divorzio, in piena conformità al valore del
sottostante matrimonio, come indicato dall’art. 29 Cost.» (v. Cass. 16789/2009); anche per questo fondamentale motivo, «il deterioramento del tenore di vita sopravvenuto al divorzio e derivante dalla sensibile disparità di
redditi giustifica l’attribuzione dell’assegno divorzile, nonostante la breve durata del matrimonio, che costituisce
solo un elemento capace di ridurne l’ammontare» (v.
Cass. 2721/2009, nonché Cass. 28741/2008 secondo cui
«la durata del matrimonio non costituisce presupposto
per l’accertamento del diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio; tale accertamento va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e
la durata può influire unicamente sulla misura dell’assegno», ecc.).
e) Per riassumere, riportandoci ad uno dei più recenti insegnamenti della S.C., possiamo concludere - ribadendo
alcuni degli aspetti sopra evidenziati - che «l’accertamento del diritto all’assegno divorzile si suddivide in due momenti, nel primo dei quali il Giudice è tenuto a verificare l’eventuale inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe stato, presumibilmente, raggiunto nel caso di prosecuzione del matrimonio medesimo, mentre nel secondo, il Giudice è
chiamato a determinare in concreto l’assegno, desumendo induttivamente il tenore di vita dalla documentazione
relativa ai redditi dei coniugi, nel momento della pronuncia di divorzio» [così Cass. 23906/2009, la cui motivazione chiarisce «Secondo l’orientamento di questa
Corte, espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite 29 novembre 1990, n. 11492, … nella disciplina dettata dall’art. 5 l. 898/1970 … - che subordina l’attribuzione di un
assegno di divorzio alla mancanza di “mezzi adeguati” l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando anzitutto la inadeguatezza dei mezzi del
coniuge richiedente, per conservare un tenore di vita
analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che
sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso (v. Cass. 4764/2007; Cass. 4021/2006;
Cass. 10210/2003; Cass. 6541/2002; ecc.) … il Giudice è
chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in
relazione all’inadeguatezza dei mezzi od all’impossibilità
di procurarseli, per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ovvero che poteva legittimamente fondarsi su
aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al
momento del divorzio. Nella seconda fase, il giudice deve
poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che agiscono come fattori
di moderazione e diminuzione della somma considerabile
in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad
azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile
con i suddetti elementi di quantificazione (ex plurimis, v.
Cass. 15610/2007; Cass. 18241/2006; Cass. 4040/2003).
Nel determinare l’assegno, il Giudice può desumere in-
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duttivamente il tenore di vita attraverso la documentazione relativa ai redditi dei coniugi al momento della pronuncia di divorzio (Cass. 19446/2005; Cass. 13169/2004;
Cass. 6541/2002), costituendo essi - insieme agli immobili direttamente goduti dai coniugi - il parametro per determinarlo (Cass. 10210/2005). Inoltre può dare motivatamente valore preminente - in relazione alla fattispecie
- altresì ad uno solo dei criteri stabiliti dall’art. 5, potendo così giustificare la concessione dell’assegno anche solo in base alle condizioni economiche delle parti .
Quanto, poi, all’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive, tale presupposto dell’assegno comporta che detta indisponibilità non
deve essere imputabile al richiedente (Cass. 432/2002).
Pertanto, si deve trattare della impossibilità di ottenere
mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della
mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita
sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in
costanza di matrimonio; pertanto, l’accertamento della
relativa capacità lavorativa va compiuto - non nella sfera
della ipoteticità o dell’astrattezza, bensì in quella dell’effettività e della concretezza (Cass. 7117/2006) - dovendosi, all’uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie, in rapporto ad ogni fattore economico/sociale, individuale, ambientale, territoriale (Cass. 13169/2004). I relativi accertamenti - attenendo al merito - sono incensurabili, se adeguatamente
motivati”].
C/1) Proprio sulla base dei vari parametri appena illustrati - a questo punto - occorre analizzare i dati istruttori
ed i documenti forniti dalle parti, ai fini del giudizio nel
presente gravame; in riferimento alla posizione dell’odierno appellante, il riscontro per tabulas evidenzia come
le uniche sue denunce dei redditi sottoposte alla valutazione della Corte siano quelle - già prodotte in atti davanti al Tribunale parmense - dei periodi d’imposta compresi fra il 2000 (Mod. Unico 2001) ed il 2005 (Mod.
Unico 2006), ossia dall’anno anteriore alla separazione
fra le parti (quando il contribuente era 39 enne), fino a
quello prima della sentenza parziale che ne ha pronunciato il divorzio (quando egli aveva 45 anni): infatti, dalla loro lettura emerge che il dott. XX alla voce “totale
compensi” denunciava al fisco rispettivamente - sempre
in “cifra lorda” - Lit. 258.120.000 per il 2000 e Lit.
217.252.000 per il 2001 (poi Euro 99.754.000 per il 2002,
Euro 121.177 per il 2003, ed Euro 149.400 per il 2004),
nonché infine Euro 152.995 per il 2005. Egli risulta inoltre proprietario di una - pur piccola - abitazione in (omissis) (Parma) e titolare dello studio odontoiatrico di (omissis), sempre nella provincia di Parma; quest’ultima struttura - come si desume anche delle immagini e dalle didascalie sul relativo sito web (v. all.ti comp. risp. conv.) - è
dotata sia di varie apparecchiature, sia di due ambulatori
entrambi muniti di “sedia attrezzata”, oltre alla stanza
personale del professionista, ad una sala d’attesa e ad un
terzo ambulatorio definito “in costruzione”. Se ne conclude che:
a) il reddito lordo del professionista - il quale ammontava ad oltre Lit. 260 milioni durante il periodo di convivenza matrimoniale - superava ancora Lit. 217 milioni al-
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l’epoca dell’accordo per la separazione consensuale, cioè
quando (nel verbale 10 settembre 2001, v. doc. 1 fasc.
conv.) era stato pattuito fra i coniugi un contributo del
marito alla moglie, pari a Lit. 1.300.000 mensili, equivalente all’importo di Euro 718,80 poi maturato (con il dovuto adeguamento, secondo gli indici ISTAT di rivalutazione annua) nei tre anni fino al ricorso per cessazione
degli effetti civili del matrimonio, da parte della YY;
b) allo stesso modo, in prossimità della sentenza di divorzio - depositata il 31 maggio 2006 e passata in giudicato,
per mancata impugnazione - tale medico/dentista percepiva ricavi superiori di circa Euro 40 mila rispetto alle
somme dichiarate nell’anno della separazione consensuale (2001), e che comunque oltrepassavano di Euro 20 mila il maggior importo denunciato dal medesimo durante
l’anno precedente, periodo dell’ultima fase dell’unione
coniugale (2000).
C/2) A fronte del quadro probatorio appena ricostruito che per la sua obiettività non subisce smentite, né si ravvisa alcuna incompatibilità fra tali attestazioni ed il contenuto delle prove orali, qui invocate dalla difesa appellante - trova allora piena dimostrazione la tesi, sostanzialmente recepita anche “in prime cure”, che qualifica l’attuale condizione economica del dott. XX come uno “sviluppo diretto” e “ragionevolmente prevedibile” delle situazioni di fatto già realizzatesi, anteriori sia alla separazione, sia al divorzio: ne consegue che la duplice valutazione richiesta in proposito - sul tenore di vita della coppia, e riguardo il pregiudizio che all’altro soggetto sia derivato dallo scioglimento del matrimonio, ai fini della dedotta impossibilità di continuare a godere di uno standard
analogo - trova il suo positivo presupposto, per il nostro
caso, nella conservazione del livello di reddito maturato
in costanza di matrimonio, con un tendenziale incremento secondo una “linea” che corrisponde al progressivo
successo di un medico odontoiatra preparato e volenteroso; come, d’altronde, era ben ipotizzabile secondo logica,
man mano che le capacità personali, l’esperienza e la durata dell’attività - unite alla sempre miglior struttura operativa, di cui il professionista sia in grado di avvalersi - favoriscono naturalmente l’afflusso della clientela.
C/3) È vero, come accennato, che si tratta di introiti “al
lordo”, ma mentre la natura delle spese e delle obbligazioni fatte valere dall’odierno appellante - essenzialmente riconducibili a risorse “funzionali” per lo sviluppo dello studio dentistico, che altrimenti non si spiegherebbe nelle
attuali dimensioni e notevoli caratteristiche, anche facendo ricorso a mutui bancari, il cui rilascio notoriamente presuppone la radicata solvibilità del richiedente, od almeno sostanziose garanzie - implica che la scelta del dott.
XX, di procedere ad investimenti nella propria attività,
resta di per sé non censurabile, tuttavia essa non può equivalere tout court ad una diminuzione di pari entità del sottostante reddito “virtuale”; piuttosto, dobbiamo considerare che situazioni del genere tendono a risolversi in una
condizione patrimoniale ancora più vantaggiosa per il futuro, con una prospettiva di parallelo incremento - senza
“cesure” rispetto alla fase originaria, vissuta durante i tre
anni del sodalizio coniugale, quando già il reddito professionale di quel medico risultava considerevole - del “teno-
Famiglia e diritto 5/2011
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Divorzio
re di vita” dell’interessato, che appunto non esula comunque dall’ambito delle “aspettative maturate nel corso del
matrimonio” (come si esprime Cass. 23906/2009, cit.): in
definitiva, registrando altresì la motivata adesione del
Procuratore Generale (che nella memoria d’intervento ha
bene individuato i fattori essenziali della vicenda, cfr. atti), il complesso degli elementi così illustrati esime la Corte da ulteriori valutazioni, inducendo ad accantonare altri
aspetti riferibili all’odierno appellante - pur richiamati
dalla difesa resistente, come le disponibilità pecuniarie
impiegate nell’acquisto di opere d’arte e per assoldare un
investigatore privato che “sorvegliasse” gli spostamenti
della ex-moglie - i quali emergono con rilievo decisivo assai inferiore, od appaiono anche meno significativi.
D/1) Passando ora alla posizione di YY, i relativi elementi appaiono più semplici da decifrare, in quanto ella risulta tuttora dipendente presso la CAMST - con un orario
di h. 30 settimanali, come operaia V livello, assunta dal
giorno 1° dicembre 1987 (quando era appena 20enne) ed attualmente percepisce uno stipendio “netto” di circa
Euro 893 al mese, secondo le pacifiche indicazioni fornite dalla busta/paga per lo scorso febbraio 2010 (v. doc. 3
all. comp. risp. conv., mentre la sua retribuzione mensile
ammontava ad Euro 829,26 nel settembre 2005, l’anno
prima del divorzio), donde constatiamo che la progressione salariale della suddetta non raggiunge (in media) Euro
200 per ogni anno trascorso: ebbene, sulla scorta di tali
dati - mentre nulla depone per lo svolgimento di un lavoro “in nero” da parte della medesima, secondo la tardiva asserzione del difensore avversario, ex se inammissibile perché formulata per la prima volta durante la discussione camerale, senza indicare le modalità di tale pretesa
occupazione, e senza neppure menzionare i testi che
avrebbero dovuto fornirne la prova, secondo l’istanza
istruttoria che deve quindi intendersi respinta (v. verb.
ud. 16 aprile 2010) - la disparità di risorse economiche
esclude la necessaria “autosufficienza reddituale” della
YY: ciò nel senso - che interessa nella presente sede, ove
merita sottolineare che se la vettura “BMW” dell’uno risale al 2004, l’utilitaria dell’altra presenta addirittura una
targa ancora esclusivamente numerica, con la sigla della
provincia (v. querela in atti) - di impedirle di mantenere
in modo autonomo lo standard socio/economico potenzialmente insito nel suo originario rapporto di coniugio,
qualora l’assegno a carico del dott. XX fosse eliminato, od
anche solo ridotto.
D/2) Non vale, infine, a modificare il giudizio appena
espresso la disponibilità in comodato di una modesta abitazione - di proprietà dei genitori della resistente (v. in
atti, anche circa le caratteristiche immobiliari del bene,
avente una superficie di mq. 55) - per la quale risultano
poste a carico della YY le spese correnti, condominiali e
di manutenzione, anche straordinaria, sostenute pro quota nello stabile ove si trova tale appartamento; infatti, la
possibilità di risparmiare quel canone di locazione - pari
ad Euro 495 mensili, che gravava su di lei durante la prima fase della separazione, quando era temporaneamente
rimasta nella ex-casa familiare, in affitto - non si riferisce
ad un importo idoneo a modificare lo squilibrio patrimoniale sopra evidenziato, ma risponde semmai a canoni di
Famiglia e diritto 5/2011
opportunità e di “buon senso”: pertanto, essi non debbono certo assumere un’incidenza deteriore, rispetto a chi
decide apprezzabilmente di adottarli, sicché va senz’altro
confermata sul punto la pronuncia di primo grado, che ha
quantificato in Euro 750 mensili - con una minima riduzione rispetto allo stesso importo (di Euro 759,04) derivante dall’adeguamento aritmetico secondo gli indici
ISTAT, maturato sull’originario contributo spettante alla
moglie ed a carico del marito, risalente al 4 ottobre 2001
- la vigente misura dell’obbligazione divorzile in questione, a carico dell’odierno appellante.
E/1) La resistente all’impugnazione principale ha poi, dal
canto suo, proposto appello incidentale sotto un duplice
profilo:
a) da un lato ha fatto rilevare - in termini di censura nel
merito - l’omessa previsione del “criterio di adeguamento
automatico dell’assegno”, dovutole “almeno con riferimento agli indici di svalutazione”, ai sensi del comma VII
dell’art. 5 l. 898/1970, la cui mancanza non risultava accompagnata da alcuna “motivata decisione” e che, ad
ogni modo, non si giustificava per l’estraneità del caso all’ipotesi normativa di “palese iniquità”;
b) d’altro canto, ha ritenuto ingiusta la - anche qui immotivata - compensazione delle spese processuali.
E/2) Le obiezioni formulate con il gravame incidentale
appaiono entrambe fondate:
a) sotto il primo aspetto, si tratta di una carenza contra legem, che trascura un dettame stabilito in termini assolutamente generali dal comma VI dell’art. 5 cit. - tanto da
confinare in ambiti di vera eccezionalità l’opposta situazione - sicché nulla osta a correggere il vizio in esame,
una volta osservato come nessun elemento sconsigli a
provvedervi; ciò tenuto conto, altresì, che non si ravvisano ragioni per cui il semplice recupero dell’eventuale
“svalutazione” - sulla base dei parametri ISTAT - dovrebbe rappresentare una “palese iniquità”.
b) Quanto poi alla seconda doglianza, è vero che nulla, ai
fini dell’art. 92 comma II c.p.c., risulta precisato dal Tribunale di Parma nel disporre l’integrale compensazione
delle spese di quel giudizio - onde giustificare una scelta
che, ormai da tempo, l’ordinamento vede con sfavore e
tende a scoraggiare - ma, soprattutto, questa Corte osserva che nel nostro caso nessun motivo induce a “sterilizzare” le conseguenze tipiche di una soccombenza esclusiva:
e ciò nei confronti di chi ha dapprima coltivato senza
successo le tesi poi respinte “in prime cure”, ma tanto più
- con infondata determinazione - ha voluto riproporle
anche in appello.
Ne deriva l’integrale condanna del XX - riformando pure
la relativa compensazione, pronunciata nella sentenza a
quo - a rimborsare integralmente alla YY le spese di giustizia del doppio grado, secondo quanto rispettivamente
liquidato in dispositivo; peraltro, nella presente sede non
possono essere considerati gli oneri della fase chiusa dalla sentenza parziale con cui - in data 31 maggio 2006, e
senza pronuncia circa le spese in parte qua - il Tribunale
parmense si è limitato a dichiarare il solo divorzio della
coppia, in quanto tale decisione risulta certamente estranea all’appello in esame.
…Omissis…
455
Giurisprudenza
Divorzio
GLI INCREMENTI REDDITUALI DEL CONIUGE OBBLIGATO
ED I LORO RIFLESSI SULL’ASSEGNO DIVORZILE:
DAL CRITERIO DELLA PREVEDIBILITÀ A QUELLO
DELL’INCIDENZA PROPORZIONALE ALLA DURATA
DEL MATRIMONIO?
di Enrico Al Mureden
Due pronunce recenti in tema di incrementi di reddito dell’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno
divorzile offrono lo spunto per una riflessione più generale sull’opportunità di adottare un’interpretazione rigorosa delle disposizioni relative alla durata del matrimonio ed all’incapacità del richiedente di procurarsi adeguati redditi propri, così da escludere in radice l’attribuzione dell’assegno divorzile nelle ipotesi in cui il matrimonio abbia avuto una breve durata, non vi siano figli e gli ex coniugi siano ancora giovani. Occorre considerare, inoltre, che laddove la breve durata del matrimonio conduca solo ad una riduzione dell’assegno divorzile, che pure continua a sussistere, sembra imporsi l’esigenza di superare le incertezze legate all’applicazione del criterio secondo cui la rilevanza degli incrementi reddituali dipenderebbe dal fatto che essi possano essere considerati prevedibili sviluppi di situazioni in nuce durante il matrimonio. In queste ipotesi, invece, apparirebbe più opportuno adottare un criterio che - evitando valutazioni eccessivamente discrezionali sul carattere prevedibile degli incrementi - assicuri una misura della compartecipazione del coniuge titolare dell’assegno divorzile agli incrementi reddituali dell’altro rigorosamente proporzionale alla durata del matrimonio.
1. Gli incrementi di reddito del coniuge
obbligato ed i loro riflessi sull’assegno
divorzile
Due pronunce recenti - una relativa agli incrementi
di reddito che scaturiscono dal conseguimento di
un’eredità (1), l’altra concernente gli incrementi di
reddito che derivano dallo sviluppo dell’attività professionale (2) - fanno emergere persistenti incertezze riguardo al problema della rilevanza degli incrementi reddituali del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile.
Nella fattispecie sottoposta alla S.C. l’incremento di
reddito era dovuto all’acquisizione da parte del marito di un patrimonio immobiliare pervenuto per
successione mortis causa sette anni dopo la separazione. Pertanto si poneva il problema di stabilire se
il conseguimento dell’eredità potesse considerarsi
un “ragionevole sviluppo” di “aspettative maturate
nel corso del matrimonio ”. Allineandosi ad un
orientamento consolidato, la S.C. ha sancito che
«l’acquisizione di beni per via successoria dopo la
cessazione della convivenza non influisce nella valutazione del tenore di vita tenuto dalla famiglia in
costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della determinazione dell’assegno divorzile». Infatti, precisa la S.C., sino al momento dell’apertura della successione «le aspettative ereditarie
sono (…) prive, di per sé, di valenza sul tenore di vita matrimoniale e giuridicamente inidonee a fonda-
456
re affidamenti economici». Dunque, continua la
motivazione, «mentre le successioni ereditarie che si
verifichino in costanza di convivenza coniugale, incidendo sul tenore di vita matrimoniale, concorrono a determinare la quantificazione dell’assegno dovuto dal coniuge onerato, quelle che si verifichino
dopo non sono idonee ad essere valutate, sotto detto profilo» (3). Cionondimeno, gli incrementi di
reddito derivanti dal conseguimento di un’eredità
da parte del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile assumono rilievo “ai fini della valutazione della sua capacità economica” (4). Sulla base di queste premesse la S.C. conclude che «nel caso
di specie (…) non è dubbio che la disponibilità patrimoniale acquisita» dal marito «in via ereditaria,
in quanto costituente in ogni caso una voce reddituale, debba essere valutata ai fini» della quantificazione dell’assegno divorzile. In questa prospettiva la
valutazione effettuata dalla Corte d’appello di Bologna, che aveva preso in considerazione la situazione
patrimoniale complessiva dell’obbligato ed i suoi
Note:
(1) Così Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, in De jure.
(2) Così App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, in
www.giuremilia.it.
(3) In senso conforme v. Cass., 30 maggio 2007, n. 12687, in Dir.
famiglia, 2007, 1654.
(4) Così Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, cit.
Famiglia e diritto 5/2011
Giurisprudenza
Divorzio
miglioramenti a seguito della vicenda successoria,
ha trovato piena conferma.
Nella seconda decisione esaminata la Corte d’appello di Bologna era chiamata a decidere in ordine alla
rilevanza degli incrementi di reddito conseguiti dall’ex marito a seguito dello sviluppo dell’attività di
dentista, che già esercitava durante il matrimonio.
In questo caso la Corte, pur in presenza di un matrimonio durato solamente tre anni e nel quale non
erano nati figli, ha sancito il diritto della parte debole a beneficiare di un assegno divorzile; assegno
commisurato anche in ragione degli incrementi reddituali conseguiti dall’obbligato dopo la separazione.
Così, seguendo un orientamento consolidato (5), la
Corte di appello di Bologna ha ribadito che il coniuge economicamente debole ha diritto a «conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe stato, presumibilmente, raggiunto nel caso di prosecuzione del matrimonio medesimo»; pertanto «i miglioramenti
della condizione finanziaria dell’onerato, anche se
successivi alla cessazione della convivenza» assumono rilevo qualora costituiscano «sviluppi naturali e
prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio» (6).
Le decisioni brevemente illustrare e, più in generale, l’analisi complessiva degli orientamenti in tema
di riflessi degli incrementi reddituali sull’assegno
post-matrmoniale inducono a riflettere sull’opportunità di modulare le tutele offerte al coniuge economicamente debole mediante un’interpretazione
rigorosa delle disposizioni relative alla durata del
matrimonio ed all’incapacità di procurarsi adeguati
redditi propri (7). Più in particolare appare opportuno evitare un’applicazione tendenzialmente
uniforme delle regole che governano l’attribuzione
dell’assegno divorzile. Valorizzando una prospettiva
ormai consolidata in molti ordinamenti europei e
nordamericani, sarebbe opportuno differenziare
nettamente il trattamento economico della parte
debole in ragione della durata del matrimonio, in
modo da assicurare, da un lato, una tutela economica significativa solo al coniuge che per lungo tempo
si sia dedicato alla cura della famiglia e limitare,
dall’altro, le pretese del coniuge debole laddove la
breve durata del matrimonio, l’assenza di figli e la
giovane età dovrebbero condurre ad affermare un
“principio di autoresponsabilità” (8), evitando di
creare proiezioni del tenore di vita matrimoniale
che possono apparire ingiustificate (9), a maggior
ragione se riferite anche agli incrementi di reddito
del coniuge onerato.
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2. La tutela del coniuge debole al termine
del matrimonio di breve durata.
Il riferimento al tenore di vita potenziale:
osservazioni critiche
Secondo un orientamento assolutamente consolidato l’attribuzione dell’assegno divorzile presuppone “la mancanza di mezzi adeguati da parte del richiedente” (10); l’adeguatezza dei mezzi del richiedente, poi, deve essere commisurata all’esigenza di
“conservare un tenore di vita analogo a quello goNote:
(5) L’orientamento consolidato viene ribadito, tra le tante, da ultimo, da Cass., 4 novembre 2010, n. 22501; Cass., 9 maggio
2008, n. 11560, in De jure.
(6) Così App. Bologna, 10 maggio 2010, cit.
(7) Cfr. infra par. 4.
(8) Sul punto v. Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli
europei a confronto, in Il nuovo diritto di famiglia, in Trattato diretto da Ferrando, II, Bologna, 2008, 229; Ferrando, Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir.
fam., 1998, 728; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la
riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in Familia,
2008, 22, la quale illustra la riforma del mantenimento operata
nell’ordinamento tedesco il 1° gennaio 2008 ed il principio dell’autoresponsabilità.
(9) Un esempio emblematico in tal senso è indubbiamente costituito da Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, in questa Rivista,
2009, 683-693, con nota di Al Mureden, L’assegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale riabilitativa, in Corr.
giur., 2009, 474, con nota di Quadri, Brevissima durata del matrimonio e assegno di divorzio. Sul problema dell’eccessiva tutela assicurata al coniuge debole dopo un matrimonio di breve durata, Rimini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in questa Rivista, 2008, in
part. 420-421. Per una rigorosa applicazione del criterio della durata del matrimonio al fine di escludere l’attribuzione dell’assegno divorzile v. Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, in questa Rivista, 1996, con nota di Carbone, Matrimonio effimero: l’assegno
non è dovuto e in Foro it., 1997, I, 1541, con nota di Quadri, Rilevanza della “durata del matrimonio” e persistenti tensioni in
tema di assegno di divorzio, Cass. 16 giugno 2000, n. 8233, in
questa Rivista, 2000, 505.
(10) L’orientamento espresso da Cass., sez. un., 29 novembre
1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con note di Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle Sezioni unite, e di Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno
di divorzio), è stato ribadito in numerosissime pronunce: tra le
tante, da ultimo, da Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, cit.;
Cass., 9 maggio 2008, n. 11560, cit. Sulla natura e i presupposti
dell’assegno di mantenimento e di quello di divorzio, Arceri, sub
art. 156, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, Milano, 2009,
806 ss.; Pittalis, sub art. 5, l. div. in Codice della famiglia, cit.,
3895 ss; Rossi Carleo, La separazione e il divorzio, in Tratt. dir.
priv., diretto da Bessone, IV, I, Torino, 1999, 273 e 399 ss.; Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini e Tommaseo, Lo
scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2004, 512 ss.; Quadri, La nuova
legge sul divorzio, Napoli, 1987; Macario, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, a cura di Lipari,
Padova, 1988, 907; Governatori, in AA.VV., Come calcolare gli
assegni di mantenimento nei casi di separazione e divorzio, Milano, 2009, 27.
457
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duto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione
dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente
prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel
corso del rapporto matrimoniale” (11). A tal fine,
precisa costantemente la S.C., «il tenore di vita può
desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare dei loro redditi e disponibilità patrimoniali» (12); pertanto la quantificazione dell’assegno divorzile deve essere attuata «nella
misura necessaria, in relazione alla situazione economica di ciascuna parte, a rendere tendenzialmente possibile il mantenimento di detto tenore di vita» (13).
L’orientamento appena riassunto può apparire
condivisibile con riferimento ai casi in cui il coniuge economicamente debole abbia dedicato
molti anni alla cura della famiglia (14) o nelle ipotesi in cui, anche dopo un matrimonio di breve durata, uno dei coniugi assuma la veste di “genitore
prevalente” e sia chiamato a prendersi cura dei figli per un arco di tempo considerevole. Cionondimeno, l’osservazione comparatistica e l’analisi di
alcuni dati statistici recenti suggeriscono l’opportunità di non estendere un simile approccio alle
fattispecie in cui si pone il problema di tutelare il
coniuge economicamente debole al termine di un
matrimonio di breve durata e nel quale non siano
nati figli. Più precisamente, occorre considerare
che una significativa parte dei divorzi interessano
persone che al momento della rottura del matrimonio hanno un’età inferiore ai quarant’anni,
hanno vissuto un’esperienza coniugale durata meno di quattro anni e non hanno avuto figli (15). In
casi come questi il riferimento al tenore di vita goduto dalla coppia durante il matrimonio rischia di
proiettare una situazione che ha interessato una
parte assai breve della vita dei coniugi su di un arco temporale futuro notevolmente esteso e nel
corso del quale, anche in considerazione dell’età
relativamente giovane delle persone coinvolte, si
realizzeranno verosimilmente mutamenti significativi per entrambi sia nella sfera professionale, sia
in quella familiare. In altri termini, la pretesa di
mantenere anche dopo il divorzio il tenore di vita
coniugale, l’aspirazione a condividere potenzialità
economiche non attualizzate durante il matrimonio e quella a vedere riconosciute aspettative di
miglioramento realizzatesi dopo la separazione
possono apparire un opportuno riconoscimento
del contributo dato da un coniuge nel corso di un
matrimonio di lunga durata o di quello che sarà
presumibilmente prestato nella veste di “genitore
458
prevalente” dopo la separazione. Tuttavia, nei casi
in cui il coniuge economicamente debole abbia
vissuto un’esperienza matrimoniale di breve durata
e non debba prendersi cura di figli in tenera età,
queste stesse tutele appaiono una proiezione del
tenore di vita coniugale difficilmente giustificabile, a maggior regione se estesa alle potenzialità
economiche non effettivamente godute ed alle
aspettative di miglioramento non ancora maturate
nel corso del matrimonio (16). In definitiva, in situazioni come queste, appare inappropriata l’idea
di mantenere tra gli ex coniugi un’interdipendenza
che si protrarrà per un tempo largamente più esteso rispetto a quello della limitata durata del matrimonio (17). Al contrario apparirebbe opportuno
che - sulla scorta delle soluzioni adottate in diversi ordinamenti europei di civil law, nel diritto inglese e nei Principles of the Law of Family Dissolution
americani - dopo un congruo arco di tempo nel
quale al coniuge economicamente debole viene
garantita una assistenza “riabilitativa”, sia valorizzata l’esigenza di eliminare o quantomeno limitare
posizioni di dipendenza reciproca, consentendo a
ciascuno di lasciarsi definitivamente alla spalle le
conseguenze economiche della breve esperienza
matrimoniale (18).
Note:
(11) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit..
(12) Tra le tante, da ultimo, Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, in
De Jure.
(13) Cass., 9 maggio 2008, n. 11560, cit.
(14) Cass., 14 gennaio 2008, n. 593, in De Jure.
(15) Istat, Il matrimonio in Italia. Anno 2008, Statistica in breve
dell’8 aprile 2010, 1.
(16) Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini e Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 512 ss.; Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, cit.,
229; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del
mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 22.
(17) Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, cit.
(18) Al riguardo costituisce un punto di riferimento da guardare
con estremo interesse la tendenza - particolarmente sviluppata
nei Paesi di common law - a prevedere un trattamento nettamente differenziato del coniuge debole nei matrimoni di lunga
durata e più in generale in quelli in cui sono presenti figli, da una
parte, e in quelli di breve durata e in cui non vi sono figli, dall’altra. Per una illustrazione più dettagliata cfr. Al Mureden, Nuove
prospettive di tutela del coniuge debole, Milano, 2007, cap III. La
tendenza a limitare la previsione di assegni periodici a vantaggio
dell’ex coniuge divorziato si riscontra anche nell’ordinamento
francese, (art. 276-3 Code civil), L. 26 maggio 2004, n. 439, entrata in vigore il 1º gennaio 2005; in quello spagnolo (art. 97 comma 1 Código civil) e in quello tedesco (art. 1578 BGB) 1º gennaio
2008. con riferimento a quest’ultimo v. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi
in Germania, cit., 22 ss.
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3. La durata del matrimonio come criterio
per attuare un trattamento differenziato
delle conseguenze patrimoniali della crisi
coniugale
Anche nel nostro ordinamento, operando una rilettura sistematica degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, si potrebbero individuare le basi sulle quali sviluppare l’idea di adottare trattamenti dei riflessi patrimoniali della crisi coniugale differenziati in funzione della durata del rapporto matrimoniale (19).
Un primo passo in questa direzione può essere compiuto muovendo da quell’orientamento che valorizza la suddivisione del percorso che conduce allo
scioglimento del vincolo coniugale nella doppia fase
di separazione e divorzio. Nella separazione - che
rappresenta in molti casi una fase temporanea di avvicinamento al divorzio - si tende infatti a “conservare il più possibile tutti gli effetti del matrimonio
compatibili con la cessazione della convivenza e,
quindi, il tenore e il tipo di vita di ciascun coniuge”
sia per i matrimoni di breve durata (20), sia, a maggior ragione, per quelli durati a lungo.
La differenziazione nel trattamento economico del
matrimonio di breve e di lunga durata si dovrebbe
realizzare in maniera più marcata nel contesto del
divorzio, attribuendo all’elemento della durata
un’incisiva funzione di discriminante sia in negativo
che in positivo. In altri termini, valorizzando l’importanza della durata del matrimonio, da un lato si
potrebbe restringere l’accesso all’assegno post-matrimoniale ed alle tutele ad esso collegate (spettanza
della pensione di reversibilità ex art. 9 l. div. e del
trattamento di fine rapporto ex art. 12 bis, l. div.) nei
matrimoni di breve durata e, dall’altro, rendere più
agevole e ampio l’accesso a dette tutele per i matrimoni durati a lungo (21).
In un simile contesto al coniuge che non disponga di
mezzi adeguati per essersi dedicato per un breve periodo alla cura della famiglia ed aver rinunciato all’attività lavorativa extradomestica facendo affidamento
sulle potenzialità economiche dell’altro, il diritto al
mantenimento dovrebbe essere garantito con una
certa larghezza nella fase (tendenzialmente temporanea (22)) della separazione, per poi essere riconsiderato in un’ottica più restrittiva - ed eventualmente
negato - al momento del divorzio. Qualora, invece, il
coniuge economicamente debole abbia per lungo
tempo dedicato le proprie energie alla cura della famiglia, il diritto al mantenimento dovrebbe essere
pienamente riconosciuto non solo nella fase della separazione, ma anche in quella del divorzio (23).
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In questa prospettiva l’assunto secondo cui «alla
breve durata del matrimonio (…) non può essere riconosciuta un’efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento» è funzionale all’esigenza
di rimettere gradualmente il coniuge debole nelle
condizioni di provvedere a se stesso, rendendo il
meno traumatico possibile il passaggio dallo status
di coniuge a quello di coniuge separato e, infine, di
ex coniuge divorziato (24). Il fatto che poi “il diritto all’assegno di divorzio” possa “essere escluso in
considerazione della brevissima durata della convivenza matrimoniale” (25) rappresenta un importante passo verso la tendenza a limitare l’accesso all’assegno post-matrimoniale alle sole ipotesi in cui
l’incapacità di procurarsi mezzi adeguati si accompagni ad una significativa durata del rapporto matrimoniale.
4. L’opportunità di valutare l’incapacità
della parte debole di procurarsi adeguati
redditi propri in funzione della breve durata
del matrimonio e della giovane età
L’obiettivo di realizzare un trattamento differenziato delle conseguenze patrimoniali del divorzio in
ragione della breve durata del matrimonio dovrebbe essere perseguito anche attraverso una valutazione rigorosa dell’incapacità del coniuge che richiede l’assegno divorzile di procurarsi adeguati
Note:
(19) La necessità di individuare regole capaci di offrire una “duttile risposta a tutti i vari modelli concreti di matrimonio” viene
sottolineata in Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.
In questo senso v. anche le considerazioni di Quadri, Rilevanza
della “durata del matrimonio” e preesistenti tensioni in tema di
assegno di divorzio, cit., 1547.
(20) Cass., 16 dicembre 2004, n. 23378, in questa Rivista, 2005,
129-136, con nota di Al Mureden, Il mantenimento del coniuge
debole: verso un trattamento differenziato dei matrimoni di breve e di lunga durata?
(21) Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, cit.; Cass., 22 agosto 2006,
n. 18241, in De jure.
(22) Nello studio statistico Separazioni, divorzi e provvedimenti
emessi, cit., si legge che la percentuale delle separazioni che si
sono convertite in divorzio si attesta intorno al 70%.
(23) L’esigenza di garantire al coniuge debole il mantenimento
del tenore di vita coniugale per un tempo tendenzialmente indeterminato e di ricompensare adeguatamente la contribuzione al
ménage familiare prestata per un considerevole numero di anni
emerge in Cass., 17 gennaio 2002, n. 432, in questa Rivista,
2002, 317 e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 38, con nota di Al
Mureden, In tema di adeguatezza dei redditi del coniuge divorziato; Cass,. 14 gennaio 2008, n. 593, in De jure.
(24) Cass., 16 dicembre 2004, n. 23378, cit.
(25) Cfr. in tal senso le già richiamate Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.; Cass., 29 ottobre 1996, n. 9439, cit.
459
Giurisprudenza
Divorzio
redditi propri per ragioni oggettive (art. 5, comma
6, l. div.) (26).
Invero dall’analisi delle pronunce giurisprudenziali
che affrontano specificamente il problema dell’incapacità di procurarsi redditi propri da parte del coniuge che richiede l’assegno divorzile emerge un’uniformità nei criteri di valutazione che desta alcune perplessità. In particolare il rischio di dare luogo ad ingiustificate proiezioni del tenore di vita matrimoniale si coglie laddove la S.C. sancisce che “l’impossibilità di procurarsi gli adeguati mezzi di sostentamento
per ragioni obbiettive” deve essere riferita ad “un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a
quello goduto in costanza di matrimonio” e “non
già” alla “mera autosufficienza economica”; che
“l’accertamento della impossibilità di procurarsi
mezzi” adeguati “per il coniuge richiedente l’assegno
va condotta, (…) con riferimento alla finalità, perseguita dal legislatore, che le condizioni economiche non risultino deteriorate per il solo effetto del
divorzio”. Pertanto l’effettiva incapacità del richiedente di procurarsi redditi propri non dovrebbe essere valutata “nella sfera dell’ipoteticità o della astrattezza”, ma “in quella della effettività e della concretezza”, tenendo “conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso di specie in relazione ad ogni
fattore individuale, ambientale, territoriale, economico-sociale”. Tali principi vengono formulati ed
applicati in modo indifferenziato, sia con riferimento alla situazione di coniugi in età avanzata e per
lungo tempo dediti alla cura della famiglia, sia riguardo a coniugi che si facciano prevalente carico
della cura dei figli dopo la separazione, sia, infine,
quando viene in considerazione la posizione del coniuge giovane, reduce da un matrimonio breve e
senza figli. Così, ad esempio, la sentenza del giudice
di merito che aveva negato il diritto all’assegno divorzile ad una donna trentasettenne la quale, “essendo nel pieno delle sue energie fisiche e mentali,
aveva la astratta possibilità di inserirsi in qualsiasi
lavoro conforme alle sue capacità ed al patrimonio
culturale acquisito con gli studi universitari” è stata
cassata dalla S.C., che ha riaffermato il principio secondo cui è necessario compiere un “accertamento
circa la concreta possibilità di reperimento di un’attività lavorativa tale da non deteriorare il tenore di
vita” pregresso “della donna” (27).
L’opportunità di differenziare la valutazione dell’incapacità di procurarsi redditi propri da parte di colui
che richiede l’assegno divorzile e di adottare un approccio rigoroso e restrittivo in presenza di coniugi
giovani, sposati per un breve periodo e senza figli risulta ancor più evidente laddove si allarghi l’ambito
460
di osservazione agli orientamenti formatisi riguardo
al mantenimento dei figli maggiorenni. In effetti il
raffronto tra la posizione di questi ultimi e quella
dell’ex coniuge ancora giovane e reduce da un matrimonio breve fa emergere un possibile paradosso. Il
diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, da
una parte, viene riconosciuto con una notevole ampiezza (28), ma, dall’altra, trova - opportunamente un limite pressoché insuperabile oltre ad una certa
soglia di età del richiedente (29). In definitiva si può
affermare che, superata la soglia dei trent’anni, salvo
il caso in cui il figlio non dimostri che l’oggettiva incapacità di procurarsi redditi e rendersi economicamente indipendente derivi da difficoltà del tutto
particolari (30), il diritto al mantenimento è tendenzialmente destinato ad affievolirsi ed a venir meno (31). Come osservato, invece, il diritto al manteNote:
(26) Sul punto v. Arceri, sub art. 155 quinquies c.c., in Codice della famiglia, cit., 683 ss; Ead., I diritti dei figli maggiorenni, in Arceri-Sesta (a cura di), Il diritto dell’affidamento dei figli, Torino,
2011, in corso di pubblicazione; Auletta, sub art. 155 quinquies
c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli,
Della famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 741 ss; Romano, sub art. 155 quinquies c.c., in Patti - Rossi Carleo (a cura di),
Provvedimenti riguardo ai figli, Art. 155 - 155 sexies, in Commentario del codice civile Scialoja - Branca, a cura di F. Galgano,
Libro primo - Delle persone e della famiglia, Bologna - Roma,
2010, 333 ss..
(27) Cass., 26 febbraio 1998, n. 2087, in De Jure; sempre in senso analogo Cass. 2009, n. 23906, in De jure, “ha confermato
l’assegno nei confronti di una donna disoccupata, seppur giovane, ritenendo molto scarse le possibilità di reperire una occupazione nel contesto sociale in cui viveva”.
(28) Cass., 26 gennaio 2011, n. 1830, in De Jure, secondo cui
«permane l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne anche se questi si sposa»; Cass., 3 gennaio 2011, n. 18, in De Jure, ha sancito che «l’assegno di mantenimento in favore del figlio va versato anche quando l’attività di lavoro precaria svolta da
quest’ultimo non comporta un’indipendenza economica che
possa giustificare l’esonero dei genitori dal suo mantenimento
né la riduzione dell’assegno stesso», cassando «il ricorso avanzato dall’ex coniuge che chiedeva la riduzione dell’importo versato alla figlia maggiorenne, in considerazione del fatto che la ragazza svolgeva un’attività lavorativa, seppur precaria, e che la
stessa non viveva più con la madre affidataria».
(29) Arceri, La posizione dei figli maggiorenni, cit., richiama decisioni nelle quali il raggiungimento di un’età avanzata ha fatto apparire “irragionevole il pretendere di continuare a gravare sui genitori ormai anziani” (Cass., 25 maggio 1981, n. 3416, in Giust.
civ., 1982, 1336; Trib. Cagliari, 13 marzo 1997, in Riv. giur. sarda,
2000, 99).
(30) V. Cass., 11 giugno 2008, n. 15444, in Questioni di Diritto di
Famiglia, 2008, 5, 93 e ss. con nota di Gentile, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne affetto da handicap psichico e
neurologico, che ha riconosciuto il diritto al mantenimento del figlio trentenne, affetto da balbuzie, scoliosi e disturbi psichici.
(31) Dall’analisi della casistica giurisprudenziale emerge che la
cessazione del dovere di mantenimento del figlio maggiorenne
può aver luogo a seguito dell’abilitazione all’esercizio di una pro(segue)
Famiglia e diritto 5/2011
Giurisprudenza
Divorzio
nimento che fa capo al coniuge incapace di procurarsi redditi propri non risente, in linea di principio,
di preclusioni legate all’età del richiedente. Dunque,
si potrebbe concludere che il “dovere di attivarsi” richiesto al figlio maggiorenne risulta assai più intenso di quello richiesto, dopo un breve matrimonio, al
coniuge economicamente debole ancora in giovane
età. Per dare al discorso una dimensione più concreta e rendere evidente la portata del possibile paradosso, si può immaginare il caso in cui un uomo di
mezza età sia tenuto al tempo stesso al mantenimento del figlio trentenne avuto dal primo matrimonio
e della seconda moglie, anche essa per ipotesi trentenne, con la quale abbia diviso un secondo matrimonio di breve durata (32). Applicando le regole
che emergono dagli orientamenti della S.C., si dovrebbe concludere che, in prospettiva, l’incapacità
di procurasi adeguati redditi propri del figlio è destinata ad essere valutata in modo sempre più severo e
restrittivo con l’aumentare dell’età di quest’ultimo
fino a quando, in un arco temporale relativamente
limitato, si addiverrà alla cessazione del diritto al
mantenimento. Lo stesso non potrebbe dirsi con riferimento alla seconda moglie che, nonostante la
giovane età e la breve durata del matrimonio, beneficia di una valutazione sulla sua incapacità di procurarsi adeguati redditi propri che, in linea di principio, non è destinata a divenire più severa con il
passare degli anni.
In conclusione, anche questa particolare prospettiva
testimonia ulteriormente la necessità di valutare
con estremo rigore l’incapacità di procurarsi redditi
propri da parte del coniuge che domanda l’assegno
divorzile, tenendo in considerazione la breve durata
del matrimonio e la giovane età del richiedente.
5. Gli incrementi di reddito dell’ex coniuge
onerato e l’opportunità di modularne
l’incidenza sull’assegno divorzile in
funzione della durata del matrimonio
Come osservato, un’applicazione rigorosa dei criteri
previsti dall’art. 5 l. div. potrebbe condurre in molti
casi ad escludere la corresponsione dell’assegno divorzile a fronte di matrimoni di breve durata o laddove la capacità del coniuge debole di reperire adeguati redditi propri sia favorita dalla giovane età e
non risulti limitata dall’esigenza di prendersi cura
dei figli. In ipotesi come queste il problema della
persistente partecipazione del coniuge economicamente debole ai benefici economici connessi agli
sviluppi della situazione patrimoniale dell’altro finirebbe per risolversi in radice.
Occorre considerare, però, che possono verificarsi
Famiglia e diritto 5/2011
situazioni nelle quali la breve durata del matrimonio
conduce solo ad una riduzione dell’assegno divorzile, che pure continua a sussistere. In questi casi il coniuge economicamente debole può aspirare ad un
incremento dell’assegno divorzile in ragione degli
incrementi reddituali dell’obbligato, ad una eventuale compartecipazione al TFR percepito da quest’ultimo (art. 12 bis, comma 1, l. div.), infine, all’eventuale ripartizione della pensione di reversibilità
con il coniuge superstite (art. 9, commi 2 e 3, l.
div.).
Con specifico riferimento al problema della rilevanza degli incrementi reddituali dell’obbligato, la S.C.
ha sancito costantemente che il diritto della parte
debole alla compartecipazione agli incrementi di
reddito realizzati dall’ex coniuge dovrebbe dipendere dal fatto che tale incremento possa essere considerato un prevedibile sviluppo di situazioni in nuce
al momento della separazione (33). Questo criterio
Note:
(continua nota 31)
fessione (Cass., 3 novembre 2006, n. 23596, in questa Rivista
2007, relativa ad un caso in cui il figlio aveva conseguito l’abilitazione per l’esercizio della professione di legale a New York) o dopo che il figlio abbia vissuto una o più esperienze di lavoro consone alla sua preparazione (Cass., 28 agosto 2008, n. 21773, in
De jure, concernente l’assunzione, seppur in prova, presso una
compagnia aerea). Per una accurata ricostruzione v. Arceri, I diritti dei figli maggiorenni, cit., la quale precisa che - salvo alcuni
precedenti di segno contrario (Cass., 24 settembre 2008, n.
24018; Cass., 12 gennaio 2010, n. 261, in De jure) - si può affermare che, in linea di principio, qualora le esperienze lavorative
“abbiano termine, per qualsiasi motivo (licenziamento, dimissioni o altra causa), l’obbligo di mantenimento dei genitori non risorge” e “la posizione del figlio già integrato nel mondo del lavoro, in sostanza, diviene in tutto e del tutto parificabile a quella
di un adulto, con la conseguenza che egli potrà reclamare solo gli
alimenti, ove di tale diritto sussistano i presupposti di legge”. In
ogni caso, in linea di massima, è da escludere la persistenza diritto del figlio maggiorenne ad essere mantenuto successivamente al trentesimo anno di età. In tal senso Cass., 2 febbraio
2006, n. 2338, in De Jure, relativa ad una figlia trentaduenne ancora dedita agli studi universitari; Cass., 30 agosto 1999, n.
9109, in De Jure, riguardante un figlio trentacinquenne, ancora
studente universitario; ancora Cass., 18 gennaio 2005, n. 951, in
De Jure.
(32) Al riguardo si pensi al caso in cui la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva attribuito alla ex moglie un assegno
divorzile al termine di un matrimonio durato meno di una settimana (Cass., 4 febbraio 2009, n. 2721, cit.).
(33) Il principio ha trovato applicazione, ad esempio, in Cass., 15
settembre 2008, n. 23690, in Guida al diritto, 2008, 53, che ha
considerato prevedibile lo sviluppo della carriera del marito, ricercatore universitario all’epoca della separazione e divenuto in
seguito professore ordinario ed affermato professionista; Cass.,
28 gennaio 2004, n. 1487, in questa Rivista, 2004, 237, con nota di Liuzzi, Assegno di divorzio e incrementi reddituali e in La
nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, I, 748-755, con
nota di Al Mureden, Assegno di divorzio ed incrementi reddituali; Cass., 26 giugno 1997, n. 5720, in De Jure, che ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso di prendere in consi(segue)
461
Giurisprudenza
Divorzio
è stato motivatamente ritenuto opinabile, empirico
e, in definitiva, attributivo di un tasso di discrezionalità giudiziale che può condurre a decisioni difficilmente prevedibili (34). Esso, inoltre, è funzionale
a discriminare gli incrementi reddituali rilevanti da
quelli che non possono essere presi in considerazione, ma non fornisce indicazioni riguardo alla misura
della compartecipazione del coniuge richiedente alla migliorata situazione patrimoniale dell’altro. Il
che può dar luogo a due ordini di inconvenienti.
Anzitutto è possibile che si escluda in radice la rilevanza di incrementi che - secondo una valutazione
connotata da un notevole margine di discrezionalità
- appaiono sviluppi non prevedibili di situazioni già
presenti al momento della separazione. Inoltre potrebbe accadere che sia attribuita un’incidenza eccessiva agli incrementi reddituali considerati rilevanti, rispetto ai quali non viene previsto un meccanismo di valutazione correlato alla durata del matrimonio. Solo per fare un esempio, potrebbe accadere
che l’incremento di reddito scaturito dallo sviluppo
di una carriera valutato come imprevedibile venga
considerato in radice irrilevante e che il coniuge titolare dell’assegno divorzile, anche dopo un matrimonio di lunga durata, non veda riconosciuto alcun
riflesso connesso a tale miglioramento economico.
Peraltro, poterebbero verificarsi situazioni in cui da
una progressione di carriera valutata come prevedibile scaturisca un considerevole incremento dell’assegno post-matrimoniale, anche a beneficio di un ex
coniuge che abbia alle spalle un matrimonio di breve durata.
Queste situazioni fanno apparire opportuna l’adozione di un approccio diverso da quello costantemente
utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità e tale da
assicurare che la compartecipazione del coniuge titolare dell’assegno divorzile agli incrementi reddituali dell’altro risulti rigorosamente proporzionale
alla durata del rapporto matrimoniale. In altre parole, il diritto del coniuge economicamente debole a
vedere incrementato l’assegno divorzile in ragione
dei miglioramenti economici dell’obbligato non dovrebbe essere collegato alle valutazioni relative alla
prevedibilità degli incrementi, che, come osservato,
appaiono connotate da un elevato grado di discrezionalità; esso dovrebbe dipendere, invece, dall’estensione temporale del rapporto matrimoniale.
Quindi, il fatto che il coniuge onerato abbia raggiunto posizioni di vertice nella carriera universitaria (35), abbia espanso la propria attività di libero
professionista (36), abbia conseguito un successo
elettorale nella veste di uomo politico (37), abbia
visto incrementare il proprio reddito a seguito di
462
una vicenda successoria (38), dovrebbe avere una ricaduta sull’incremento dell’assegno divorzile che risulti proporzionata al lasso di tempo durante il quale simili aspettative sono state condivise con l’ex coniuge. In questo modo, in primo luogo, si eviterebbe
di “selezionare” le “aspettative rilevanti” facendo ricorso al criterio del “prevedibile sviluppo” che, come osservato, è stato motivatamente ritenuto opinabile (39). In secondo luogo, si realizzerebbe un trattamento uniforme di tutte le aspettative, che, a prescindere dalla fonte da cui scaturiscono, garantirebbe una compartecipazione agli incrementi reddituali dell’ex coniuge proporzionata alla durata del rapporto matrimoniale.
A ben vedere questo criterio, basato sul dato oggettivamente controllabile della durata del matrimonio, trova un significativo riscontro sul piano sistematico. L’analisi delle disposizioni in tema di compartecipazione dell’ex coniuge titolare dell’assegno
divorzile al TFR percepito dall’altro (art. 12 bis,
comma 1, l. div.) (40) e di ripartizione della pensione di reversibilità tra l’ex coniuge titolare di assegno
divorzile ed il coniuge superstite (art. 9, commi 2 e
3, l. div.) inducono ad affermare che il principio della partecipazione alle utilità patrimoniali proporzionale alla durata del matrimonio sia “immanente”
nel sistema di regole previste a tutela dell’ex coniuge
economicamente debole. Infatti, l’art. 12 bis l. div.,
riconosce all’ex coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e sia titolare di assegno ai sensi
dell’art. 5 l. div. il diritto al quaranta per cento dell’indennità totale di fine rapporto riferibile agli anni
in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matriNote:
(continua nota 33)
derazione ai fini della revisione dell’assegno di divorzio gli incrementi di reddito derivati all’obbligato dall’attività di dentista iniziata soltanto dopo lo scioglimento del matrimonio; Cass., 26
settembre 2007, n. 20204, in Foro it., 2007, I, 3385, che ha
escluso che l’attività libero-professionale esercitata dall’ex marito al momento del divorzio costituisse il prevedibile sviluppo della carriera da lui svolta nella pubblica amministrazione durante la
convivenza matrimoniale.
(34) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, in Dir. Famiglia, 2009, 2, 591.
(35) In questo senso, tra le tante Cass., 15 settembre 2008, n.
23690, cit.
(36) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit.
(37) Cass., 28 gennaio 2004, n. 1487, cit.
(38) Cass., 10 novembre 2010, n. 23508, cit.
(39) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 596-599.
(40) Arceri, sub art. 12 bis l. div., in Codice della famiglia, cit.,
3979 ss.
Famiglia e diritto 5/2011
Giurisprudenza
Divorzio
monio (41). Similmente, la ripartizione della pensione di reversibilità tra l’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile ed il coniuge superstite deve essere
attuata “tenendo conto della durata del rapporto”
matrimoniale (art. 9, comma 3, l. div.).
6. Il mantenimento dell’ex coniuge
e l’inadeguatezza del riferimento al tenore
di vita coniugale di fronte alle esigenze
antagonistiche delle “seconde famiglie”
L’adozione di un criterio capace di limitare le pretese della parte debole in funzione della breve durata
del matrimonio e della giovane età del beneficiario
risulta particolarmente opportuna anche laddove
l’ex coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno
divorzile formi una nuova famiglia. In tal caso può
porsi il problema di un’equilibrata ripartizione delle
risorse tra il primo coniuge (soprattutto se reduce da
un matrimonio di breve durata) e la seconda famiglia che l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile abbia ricostituito in seguito al divorzio (42).
La S.C. - prendendo atto del dato per cui la presenza di una nuova famiglia costituita dall’ex coniuge
tenuto al pagamento degli assegni di mantenimento
ex art. 155 c.c. e divorzile ex art. 5 l. div. determina
una variazione degli assetti pregressi di cui non può
non tenersi conto - ha sancito che in questi casi si
impone un “temperamento dei diritti della prima famiglia” necessario ad “evitare un trattamento deteriore della seconda”. In definitiva il secondo matrimonio e la nascita di figli dell’obbligato rendono necessaria una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti (43).
Indubbiamente il problema può porsi in termini assai particolari nell’ipotesi in cui l’esigenza di attuare
un’equilibrata divisione delle riscorse della parte
economicamente forte veda interessato da un lato
l’ex coniuge ancora giovane, reduce da un matrimonio di breve durata e senza figli e, dall’altro, il secondo coniuge ed i figli nati nel secondo matrimonio. In una fattispecie come questa emerge chiaramente l’inadeguatezza dell’impostazione che mira a
garantire all’ex coniuge economicamente debole un
assegno divorzile idoneo a permettergli di conservare “un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso,
ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto
matrimoniale” (44). Infatti, applicando senza adeguati correttivi ai matrimoni di breve durata i criteri adottati dalla S.C. con riferimento al manteni-
Famiglia e diritto 5/2011
mento dell’ex coniuge economicamente debole ed
all’incidenza degli incrementi di reddito sull’assegno
divorzile, si potrebbe giungere in alcuni casi a soluzioni applicative non convincenti. È ipotizzabile, ad
esempio, l’ex coniuge di una persona che al momento della separazione stava già esercitando una professione suscettibile di sviluppi che la S.C. considera prevedibili possa vedere riconosciuto - anche dopo pochi anni di matrimonio - il proprio diritto ad
un incremento dell’assegno divorzile (45). In questo
modo l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile, già tenuto ad assicurare all’altro per
un tempo assai esteso una situazione economica
analoga a quella goduta in costanza di matrimonio,
si troverebbe costretto ad incrementare la sua esposizione “distraendo” parte dei propri incrementi reddituali a scapito della nuova famiglia (46). Proprio
questa particolare prospettiva sembra confermare
ulteriormente l’opportunità di ricercare in via interpretativa soluzioni che, a fronte di matrimoni di breve durata e nei quali non siano presenti figli, consentano, in primo luogo, di limitare le perduranti
posizioni di interdipendenza tra i coniugi e, in secondo luogo, di modulare in funzione della breve
durata del matrimonio la compartecipazione della
parte debole agli incrementi reddituali dell’altra.
7. L’incidenza degli incrementi reddituali
sulla quantificazione dell’assegno divorzile,
la rilevanza della durata del matrimonio e
la prospettiva dei “nuovi metodi di calcolo”
Adottando una regola che permetta al giudice di
modulare in ragione della durata del matrimonio la
compartecipazione dell’ex coniuge divorziato agli
incrementi reddituali dell’altro può porsi il problema della esatta quantificazione della misura della
compartecipazione. Sotto questo profilo sembra da
osservare con interesse la possibilità di fare ricorso
Note:
(41) Pittalis, sub art. 9, l. div. in Codice della famiglia, cit., 3947
ss.
(42) Ronfani, Recensione a Al Mureden Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, in Sociologia del
diritto, 2008, 193.
(43) Cass., 23 agosto 2006, n. 18367, in Giur. it, 2007, 326, con
nota di Barbiera, Difficili modifiche rilevanti dell’assegno di divorzio quantificato secondo il criterio del tenore di vita matrimoniale; Cass. 24 gennaio 2008 n. 1595, in De Jure.
(44) Cass., 4 novembre 2010, n. 22501, cit.
(45) Cass., 15 settembre 2008, n. 23690, cit.
(46) Ronfani, Recensione a Al Mureden Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, cit., 194.
463
Giurisprudenza
Divorzio
ad un metodo di calcolo dell’assegno divorzile messo a punto dal Magistrato referente per l’informatica
dell’Ufficio distrettuale di Palermo (47) e che prevede un sistema di riduzione dell’assegno divorzile
in ragione della durata del matrimonio (48). In particolare, prendendo come punto di riferimento il dato dell’ISTAT che indica in diciassette anni la durata media dei rapporti matrimoniali conclusi con il
divorzio, si stabilisce che il tetto massimo dell’assegno divorzile individuato nella prima fase del giudizio (49) non vada mai ridotto se la durata del matrimonio è pari o superiore alla soglia dei diciassette
anni, “mentre nel caso di una durata inferiore” è
previsto un efficace meccanismo di riduzione. In
quest’ultima ipotesi, infatti, il sistema di calcolo divide la somma (individuata in ragione delle disparità di reddito nella prima fase del giudizio) “in diciassettesimi e la moltiplica per il numero effettivo
degli anni di matrimonio”. In altre parole nei matrimoni durati più di diciassette anni si ravvisa la presenza di un contributo la cui durata è così estesa nel
tempo da giustificare il fatto che il coniuge economicamente debole benefici dell’assegno post-matrimoniale nella misura massima individuata nella prima fase del giudizio solo facendo riferimento alla disparità di reddito. Per i matrimoni che hanno avuto
una durata inferiore, invece, si dovrebbe operare
una riduzione del tetto massimo utilizzando un coefficiente fisso per ogni anno di matrimonio. Così, ad
esempio, nel caso in cui, all’esito della prima fase del
giudizio, la valutazione comparativa della situazione
patrimoniale dei coniugi abbia condotto all’individuazione del tetto massimo dell’assegno divorzile in
1000 euro mensili, si manterrà questo importo inalterato se il matrimonio è durato più di diciassette
anni, mentre in caso di durata inferiore, si opererà
una riduzione proporzionale togliendo 1/17 per ogni
anno in meno rispetto alla soglia dei diciassette anni. Dunque, se il matrimonio fosse durato tre anni, il
tetto massimo di 1000 euro verrebbe ridotto di
14/17 (823 euro circa) e l’assegno sarebbe liquidato
nella misura di 3/17 (circa 176 euro).
In effetti un simile meccanismo di decurtazione potrebbe essere utilmente applicato anche per modulare l’incidenza degli incrementi reddituali. In questa
prospettiva si potrebbe immaginare il caso in cui un
coniuge con un reddito di 2000 euro mensili, corrisponda all’altro un assegno divorzile di 400 euro
mensili e, dopo qualche tempo dalla separazione,
veda raddoppiare i propri redditi. Secondo l’impostazione proposta, gli incrementi reddituali dell’obbligato dovrebbero riflettersi sulla quantificazione
dell’assegno divorzile in misura proporzionale alla
464
durata del matrimonio. L’applicazione del metodo di
calcolo indicato sembra confermare l’utilità pratica
di questa impostazione. Nella fattispecie indicata
l’ex coniuge che abbia alle spalle un matrimonio di
lunga durata (secondo i criteri adottati, superiore ai
diciassette anni) potrebbe beneficiare di un considerevole incremento del proprio assegno: così a fronte
di un reddito passato da 2000 a 4000 euro mensili, si
dovrebbe immaginare un incremento dell’assegno
divorzile da 400 a 800 euro mensili. Quando le stesse condizioni economiche siano riferite ad ex coniugi che abbiano alle spalle un matrimonio di breve
durata (ad esempio tre anni) il meccanismo di riduzione previsto dal metodo di calcolo dovrebbe condurre ad individuare un incremento dell’assegno pari a soli tre diciassettesimi (3/17) del suo importo e
quindi ad una somma assai limitata: precisamente, a
fronte dello stesso aumento di 2000 euro mensili
l’assegno divorzile liquidato inizialmente nella misura di 400 euro mensili subirebbe un incremento di
poco superiore ai 70 euro mensili.
8. Osservazioni conclusive
L’insieme delle considerazioni svolte sin qui induce
a condividere le critiche mosse all’orientamento
della S.C. in tema di incrementi reddituali del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile
(50). In effetti, la distinzione tra gli incrementi che
Note:
(47) http://www.giustiziasiclia.it/contenuti/Sito_no_frame/Calcolo
Assegni/AssMant.htm
(48) Per una illustrazione degli altri metodi di calcolo cfr. Al Mureden, Tenore di vita e assegni di mantenimento tra diritto ed
econometria, in questa Rivista, 2008, 52-58; Id., L’assegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Configurabilità e limiti della funzione assistenziale riabilitativa, in questa Rivista, 2009, 683-693. Con riferimento al metodo
“MoCAM” v. Maltagliati e Marliani, in AAVV, Come calcolare gli
assegni di mantenimento nei casi di separazione e divorzio, Milano, 2009, 228 ss.; con riferimento al metodo “Chicos” cfr. Maglietta, L’affidamento condiviso, Milano, 2010, 82-87.
(49) Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit.
(50) Osserva Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 598, che «i criteri con i quali le c.d. aspettative
vengono esaminate sono (…) inaccettabili, perché si parla genericamente di “ragionevole sviluppo” di situazioni già presenti o di
miglioramenti “rapportabili all’attività svolta o al tipo di qualificazione professionale”, sicché ne restano esclusi solo i casi di sopravvenuti “eventi eccezionali e imprevedibili”, come nel caso in
cui un pubblico dipendente, dopo dieci anni dalla cessazione della vita matrimoniale, abbia intrapreso l’attività libero-professionale». In realtà, continua l’A., «prevedibili sono solo quegli sviluppi
economici già in nuce presenti, come nel caso di miglioramenti
legati alla carriera di un pubblico dipendente o di un lavoratore subordinato, programmati in base all’anzianità e dunque conoscibili
(…), e non già di un professionista, per il quale il trascorrere del
tempo non è, di per sé, garanzia di successo». Sempre in questo
(segue)
Famiglia e diritto 5/2011
Giurisprudenza
Divorzio
derivano dal conseguimento di un’eredità - che non
influisce nella valutazione del tenore di vita, ma viene comunque in considerazione nella valutazione
del patrimonio del coniuge obbligato - e quelli che,
derivando da espansioni dell’attività professionale,
possono assumere rilievo solo qualora costituiscano
prevedibili sviluppi di attività già in nuce durante il
matrimonio può condurre a risultati talvolta difficilmente giustificabili (51).
La ricerca di criteri che consentano di addivenire a
soluzioni applicative coerenti e prevedibili ha condotto in primo luogo ad allargare l’attenzione anche
al problema, più ampio, di modulare le tutele giuridiche offerte al coniuge debole in funzione della
breve durata del matrimonio e dell’impegno richiesto per la cura dei figli (52); in questa prospettiva
sembra opportuno adottare letture interpretative rigorose, funzionali ad escludere in radice perduranti
posizioni di dipendenza economica tra gli ex coniugi divorziati quando il matrimonio abbia avuto una
breve durata, non vi siano figli ed i coniugi, in ragione della giovane età, siano chiamati a riattivarsi
(53).
In secondo luogo, anche ove il coniuge sposato per
un breve periodo acceda alla tutela dell’assegno divorzile (54), appare comunque opportuno individuare una regola di compartecipazione alle aspettative realizzatesi ed agli incrementi reddituali dell’altro che non operi arbitrarie selezioni basate su un
concetto di prevedibilità opinabile e vago; diversamente, facendo riferimento ad un criterio che lo
stesso legislatore mostra di utilizzare in altri contesti
(compartecipazione al TFR, ripartizione della pensione di reversibilità) appare opportuno modulare la
misura della compartecipazione dell’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile in funzione della durata
del rapporto matrimoniale.
Applicando questo criterio alla fattispecie oggetto
della decisione della S.C. in tema di incrementi
derivanti dal conseguimento di una eredità, il diritto del coniuge debole a vedersi attribuito un assegno divorzile che tenga conto dei miglioramenti
della situazione patrimoniale dell’ex marito dovrebbe comunque essere riconosciuto in ragione
della considerevole durata del rapporto matrimoniale. Diversamente, ove la medesima situazione si
verifichi nel contesto di un matrimonio di breve
durata e nel quale non siano presenti figli, i riflessi
sull’assegno divorzile dell’incremento patrimoniale
derivante dal conseguimento dell’eredità da parte
dell’ex coniuge obbligato dovrebbero essere minimi, e cioè proporzionati alla breve durata del matrimonio.
Famiglia e diritto 5/2011
Sempre seguendo questa impostazione, in casi simili
a quello deciso dalla Corte d’appello di Bologna, il
coniuge economicamente debole al quale - nonostante la breve durata del matrimonio - sia riconosciuto un assegno divorzile potrebbe aver diritto ad
una compartecipazione agli incrementi di reddito
dell’altro, ma solo in una misura rigorosamente proporzionale alla breve durata del rapporto matrimoniale, e quindi minima.
Note:
(continua nota 50)
senso l’A. osserva che i «giudici, per altro verso, riconoscono
che, in linea di principio, il coniuge divorziato non può accampare
diritti su fortune sopravvenute dell’altro coniuge, a cominciare da
eredità, o vincite al totocalcio o alla lotteria, ma poi, con l’erroneo
argomento dell’aspettativa, recuperano spazi di manovra per favorire il coniuge “sfortunato”, senza considerare che, in questa
logica-illogica, divenire eredi significa attualizzare una aspettativa
di certo già esistente in precedenza».
(51) Gazzoni, Aiuti familiari, plusvalenze maritali e assegno divorzile, cit., 596-599.
(52) Cfr. retro par. 3 e 4.
(53) Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del
mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 22.
(54) App. Bologna, 10 maggio 2010, n. 448, cit.
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