La malattia di Behçet, malattia rara, provoca cecità e disturbi

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La malattia di Behçet, malattia rara, provoca cecità e disturbi
CARTELLA STAMPA
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
BEHÇET
La malattia di Behçet, malattia rara,
provoca cecità e disturbi neurologici.
I malati vanno da un medico all’altro
per una diagnosi che arriva
dopo tre-quattro anni.
C’è un farmaco che blocca la cecità
e i disturbi neurologici
ma non può essere prescritto ai malati
e quindi non può essere rimborsato.
Studiosi italiani dimostrano
che il farmaco arresta
la malattia di Behçet.
CONFERENZA STAMPA - ROMA, 13 MARZO 2008
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
Del Bianco:« La Behçet ci nega una vita normale,
le Istituzioni il farmaco che arresta la malattia»
intervista a
ALESSANDRA DEL BIANCO
Segretario nazionale Associazione SIMBA
M
alattia di Behçet. Per descriverla e per
raccontare i gravi problemi, non solo
fisici, che vive un malato basterebbe
riferire cosa è accaduto e che cosa
accade ad Alessandra Del Bianco,
infermiera a Pisa, malata di Behçet e
promotrice di SIMBA, l’associazione
che riunisce e rappresenta i pazienti,
della quale è segretario nazionale.
"Mi sono ammalata quando ero bambina - dice
Alessandra Del Bianco - mi hanno diagnosticato la
malattia quando avevo 33 anni, dopo anni di isolamento,incomprensione e sofferenze. E ci sono riuscita navigando in internet come gran parte di chi
soffre della mia stessa patologia. E’ stato il professor Stefano Bombardieri, Primario della Clinica di
Reumatologia di Pisa, a fare la diagnosi e ad iniziare una cura, dapprima con tantissimi farmaci,
dal più tradizionale cortisone, a vari immunosoppressori,senza quasi nessuna efficacia clinica, poi
con infliximab, che sta bloccando le complicazioni maggiori della malattia che già da anni mi
hanno colpita".
Ma sono molte le difficoltà che affronta un
malato di Behçet?
Ancora oggi le persone affette da qualsiasi tipo di
patologia si trovano di fronte ad enormi difficoltà
per curarsi in modo adeguato. Ciò diventa ancora
più evidente nel campo delle malattie rare, nonostante l'articolo 32 della Costituzione affermi che
tutti hanno lo stesso diritto di curarsi e di condurre una vita sana: il diritto alla salute significa diritto a cure adeguate e a mantenersi il più possibile in
buone condizioni psicofisiche. I pazienti colpiti da Behçet e i loro familiari, dai quali e per i
quali SIMBA è nata nel marzo del 2007, si
confrontano ogni giorno con una
gamma di difficoltà ben più ampie di
altre categorie di malati. Oltre agli
ostacoli che affliggono qualsiasi paziente, essi
devono infatti sopportare anche problemi che derivano direttamente dal fatto di essere affetti da una
patologia rara, difficile da diagnosticare ed, ancora di più, da curare. Dalle testimonianze raccolte
dalla nostra Associazione, e ancor prima dal gruppo di auto-aiuto da cui essa è nata, emerge che l'iter necessario ad arrivare ad una diagnosi adeguata è lungo e difficile: occorrono in media cinque
anni. Questa è, tuttavia, solo la premessa, indispensabile per poi affrontare l’altrettanto delicata e
lunga fase di approntamento di una terapia adeguata. I tempi sono lunghi, troppo dilatati, a causa
dell’ancora scarsa conoscenza di questa malattia
da parte di molti medici. Lo dimostrano le testimonianze dei medici con cui siamo in contatto e
dei pazienti che si rivolgono a noi per trovare
sostegno.
Qual è la giornata di un paziente?
Già comincia con il grande problema della stanchezza. Ci si alza stanchi, come e più della sera
prima anche se le ore di sonno sono state sufficienti. E con questa situazione il malato si trascina
per tutta la giornata. Su questo terreno si innescano i disagi, alcuni dolorosi, che sono espressione
della malattia, più o meno gravi, più o meno invalidanti. Al dramma si unisce l’altro dramma della
mancata presa d’atto della gente che ti circonda.
Non è indifferenza, ma la gente non si accorge che
una persona è malata perché non porta segni visibili: siamo tutte persone molto forti psicologicamente, abituate a far fronte da sole ai mille problemi della vita. E’ difficile vederci fermi in un
letto. E’ grave che anche i medici spesso non
attribuiscano eccessiva importanza alla nostra
malattia perché si soffermano sui singoli sintomi che talvolta sono limitati, pur se
dolorosi. Ci trattano come se fossimo
sofferenti solo di quel singolo sinto-
mo quando, addirittura, come troppo spesso accade, trattandosi di una malattia rara, non ci tacciano
di depressi e di malati immaginari. Le conseguenze sociali della malattia sono gravi: vivere con una
malattia rara ha infatti ripercussioni su ogni aspetto della vita relazionale (scuola, lavoro, famiglia,
tempo libero). Tali pazienti infatti, come detto, si
stancano facilmente, devono evitare stili di vita
stressanti che possono agire come stimoli trigger e
causare il peggioramento e/o la ripresa della
malattia. In caso di recidiva, siamo costretti a lunghe assenze dal lavoro o dalla scuola, le quali possono, nei casi più gravi, portare all'uscita precoce
dalla scuola stessa o precludere molte possibilità
lavorative. La stessa vita affettiva ne risente, poiché tali pazienti non riescono spesso a seguire i
ritmi degli amici (ricordiamo che sono di solito
persone giovani). La famiglia, a sua volta, non riesce a capire fino in fondo il desiderio di questi
ragazzi di condurre una vita il più possibile normale, per il timore che accada loro qualcosa. Tutto
ciò può condurre ad un vero e proprio 'isolamento
sociale', non solo da parte della società ma anche
da parte del paziente che, sentendosi abbandonato
a se stesso, tende a ripiegarsi sui propri problemi e
quindi a peggiorare la propria qualità di vita.
Perché è nata SIMBA?
Uno degli scopi per cui è stata creata SIMBA è
quello di mettere i pazienti in comunicazione con
i medici: a questi ultimi spetta il compito di parlare ai malati e ai familiari. Le informazioni possono essere le più disparate, ad esempio l'indicazione dei Centri più vicini al paziente, notizie sui farmaci e sulle indagini diagnostiche necessarie.
SIMBA, invece, cura direttamente l'aspetto legato
alle relazioni tra i pazienti che, altrimenti, sul territorio sono destinati a rimanere isolati - abbiamo
creato dei referenti di zona per essere più vicini
possibile a chi chiede il nostro aiuto - in modo da
aiutarsi a vicenda curando l'aspetto psicologico: a
tal fine è stato avviato uno studio che si avvale
della competenza di uno psicologo. Il mezzo scelto per comunicare dalla nostra Associazione è
principalmente il computer, visto che tale patologia colpisce prevalentemente persone giovani,
ma anche il telefono: io stessa come tutti,
sono impegnata diverse ore al giorno a
rispondere alle domande più disparate di pazienti e familiari. Abbiamo,
inoltre, iniziato una campagna di
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informazione che si avvale di tutti i canali possibili, e questo perché c’è la necessità di far conoscere all’opinione pubblica la patologia, in particolare ai medici di base, cioè proprio coloro che, in
collaborazione con gli specialisti, devono monitorare la salute dei pazienti.
Simba, il leone coraggioso.
Il nostro lavoro di divulgazione serve a far cadere
barriere invisibili ma radicate che hanno prodotto
quel deserto psicologico e sociale cui abbiamo
accennato. Un’associazione di auto-aiuto formata
da pazienti ha lo scopo di tenere alta l'attenzione
su tutti gli aspetti e, contemporaneamente, ascoltare un paziente in difficoltà. A volte è sufficiente
sentirsi dire "Ti capisco", sentirsi in grado di aiutare altri nelle stesse condizioni attraverso la condivisione delle proprie storie per non sentirsi soli e
non far sentire tale un malato raro. Diventa così
perfino possibile ridere insieme, rimuovere parte
di quella tensione affinché non diventi essa stessa
intollerabile. Ciò, tuttavia, diventerà una realtà
solo se non si considererà questa condivisione una
semplice "valvola di sfogo", ma un punto di partenza per crescere interiormente e aiutare chi soffre. Questo è lo spirito da cui è nata SIMBA onlus:
un ruggito per far ascoltare la propria voce presso
medici ed istituzioni ma anche, e soprattutto, un
balzo in avanti verso gli altri per non essere più
soli.
Cosa chiede l’Associazione alle istituzioni?
Chiede che, in attesa che venga estesa l’indicazione del farmaco anche alla malattia di Behçet, la cui
efficacia è stata dimostrata dalla letteratura internazionale con un grande contribuito della Scuola
italiana, le autorità sanitarie prendano in considerazione l’autorizzazione all’impiego di infliximab
ai sensi della legge 648/96. Da un lato vi sono
pazienti che, pur sviluppando iniziali complicazioni, non vengono adeguatamente trattati, con conseguente possibilità di ulteriore peggioramento ed
eventuale instaurarsi di handicap cronici. Vi sono
inoltre pazienti che, venendo a conoscenza di questa, come di altre terapie, sono costretti a spostarsi
verso quei pochi Centri accreditati in cui è possibile sottoporsi alla cura. Ciò determina per i
malati e le loro famiglie un forte impegno economico, senza contare i giorni lavorativi o
di studio persi. Si deve alla buona
volontà e all’alto spirito sociale di
alcuni medici se il farmaco viene prescritto, visto
che lo fanno sotto la loro personale responsabilità
e la loro comprovata esperienza. I soldi necessari
per coprire la spesa non vengono rimborsati dallo
Stato ma restano in carico alle Asl che erogano il
medicinale. I pochi Centri che offrono questa terapia, si trovano subissati di lavoro e di pazienti. Le
Asl che concedono il farmaco sono molto poche e
lo fanno pur sapendo che non avranno mai il rimborso. Se venisse accolta la richiesta inoltrata dalla
nostra Associazione al Ministero della Salute,
sarebbe assicurata almeno la continuità assistenziale su tutto il territorio italiano, auspicata tanto
dai pazienti quanto da alcune Istituzioni. Del resto
la Costituzione prevede uguale dignità di trattamento per tutti i pazienti, indipendentemente dalle
loro condizioni economiche o di qualsiasi altro
tipo. In attesa dell’indicazione ministeriale, i
malati di Behçet dovrebbero poter usufruire dei
fondi dalla Legge 648/96, che prevede l’istituzione di un elenco di medicinali erogabili se non esiste una valida alternativa terapeutica, anche quando non abbiano ancora l’indicazione ministeriale.
Sono farmaci a totale carico dello Stato. Un altro
diritto negato ai malati di Behçet. Siamo rari ma
non unici e siamo certi che insieme si può ottenere moltissimo, anche grazie ai medici che hanno
dimostrato maggiore sensibilità. Stiamo organizzando uno studio genetico e clinico sulla malattia,
il primo in Europa e forse nel mondo per estensione e casi esaminati, grazie alla collaborazione dei
maggiori esperti della malattia e del dottore
Leonardo D’Agruma di San Giovanni Rotondo,
un genetista che vuole studiare la malattia di
Behçet. Dovremo trovare i fondi necessari allo
studio ma tutti insieme ce la faremo. E’ importantissimo.
SIMBA
Associazione Italiana Sindrome e Malattia di Behçet
Presidente
ANDREA BENEDETTO BELVINI
Vicepresidente
MARIA BEATRICE MARINI
Segretario Nazionale e Tesoriere
ALESSANDRA DEL BIANCO
Comitato scientifico
DOTT. OLIVIERI
PROF. FELICIANI
PROF.BOMBARDIERI
DOTT. EMMI
DOTT. D’AGRUMA
DOTT. DE CATA
DOTT. DI BATTISTA
SIMBA
Via XXIV maggio n.28
Pontedera (PI)
Tel.3294265508
www.behcet.it
[email protected]
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
Olivieri:«Le Istituzioni concedano il farmaco.
Lo chiedono i malati. Lo chiediamo noi medici»
intervista a
IGNAZIO OLIVIERI
Direttore del Dipartimento di Reumatologia,
Regione Basilicata, Ospedale San Carlo di Potenza
e Madonna delle Grazie di Matera
B
reve viaggio nella malattia di Behçet, “la
malattia della via della seta”. Una patologia invalidante che può portare alla cecità
e a gravi danni neurologici. Un viaggio fra
diagnosi tardive, come tardive sono, di
conseguenza, le cure. Fra disperazione e
speranze dei malati e dei loro familiari e
nuove concrete possibilità di cura offerte
dalla Scienza con un grande contributo della
Scuola italiana. Un viaggio con Ignazio Olivieri,
Direttore del Dipartimento di Reumatologia,
Regione Basilicata, Ospedale San Carlo di
Potenza e Madonna delle Grazie di Matera.
E’ una malattia rara?
Visti i pochi numeri è una malattia rara. Non si
conoscono i numeri esatti. In Basilicata, su una
popolazione di 600mila abitanti ci sono 20 malati.
Nel Centro che dirigo, fra i pochissimi in Italia, ho
avuto in cura finora 300 malati provenienti da tutta
Italia.
Quali le cause della malattia?
Sono ancora sconosciute. C’è una predisposizione
genetica legata all’antigene di istocompatibilità,
B51. Questo antigene è largamente presente nella
popolazione ma fortunatamente sono pochi a sviluppare la malattia. Forse recitano un ruolo anche
fattori ambientali.
Quando insorge la malattia?
E’ fra i venti e i quarant’anni che la malattia si
mostra tale con un ‘grappolo’ di segni e sintomi.
E’ un’età questa in cui i soggetti sono nel pieno
della loro vita professionale e di relazione. Si
diceva di numeri piccoli, ma sono numeri di
giovani che vedono bloccata la loro esistenza.
Non è una malattia visibile, non ci
sono mani danneggiate dall’artrite,
non ci sono difficoltà di deambulazio-
ne. E poi la stanchezza, sempre presente, non si
mostra all’esterno. Sono malati che devono dire di
essere tali perché la gente intorno non si rende
conto del loro stato. Solo quando i danni gravi si
sono manifestati, soprattutto vista e problemi neurologici, allora la malattia diventa visibile. Tra i
venti e i quarant’anni c’è la manifestazione conclamata della malattia ma i segnali, magari singolarmente, possono aver avuto inizio negli anni precedenti. In rari casi sin da bambini. Ma quando i
sintomi sono singoli è ancora più difficile fare una
diagnosi.
Perché è definita “la malattia della via della
seta”?
La malattia di Behçet non ha la stessa diffusione in
tutto il mondo. E’ presente maggiormente in quella fascia del pianeta che va dal Giappone al bacino
del Mediterraneo. Forse è giunta dalle nostre parti
lungo “la via della seta”, quella percorsa nelle
immigrazioni dall’Asia. In Giappone, l’incidenza
è ben più alta che in Italia. Non conosciamo le
cause dell’insorgenza ma sappiamo molto sui
segni e sintomi, diversi e pesanti.
Quali sono?
Afte orali e genitali. Disturbi cutanei soprattutto
agli arti inferiori con l’eritema nodoso. Flebiti.
Tanta stanchezza. Oltre che febbre. E poi i segni e
sintomi più invalidanti: perdita progressiva della
vista fino ad arrivare nella metà dei casi alla cecità,
gravi danni neurologici e gastrointestinali quest’ultimi simili al morbo di Crohn. Sono importanti la diagnosi precoce e un’ altrettanto precoce
terapia prima che i danni diventino irreversibili.
Si fa una diagnosi clinica perché non esiste un
marker di laboratorio specifico. E’ fortunato il
paziente che viene indirizzato ad un
Centro specializzato dove un’équipe
multidisciplinare possa prenderlo in
carico. In questo caso, la diagnosi viene fatta da
reumatologi, oculisti, neurologi, dermatologi,
gastroenterologi. Sono pochi i Centri in Italia che,
pur avendo l’indicazione per la malattia di Behçet,
hanno un’esperienza sufficiente per formulare una
diagnosi. E così molti malati per sentirsi diagnosticare la malattia di Behçet attendono anche trequattro anni. Un tempo prezioso perduto. E intanto i sintomi viaggiano verso i danni irreversibili.
Ma si cura?
Se la diagnosi è precoce e se la terapia inizia molto
presto, prima dei danni irreversibili, si può intervenire con notevole possibilità di successo. Prima
si utilizzava solo il cortisone, in alte dosi, associato ad un immunosoppressore e si ottenevano risultati modesti. Adesso c’è un farmaco biologico,
infliximab, la cui efficacia nella malattia di Behçet
è dimostrata dalla letteratura internazionale: è questa la grande novità che sta dando speranze concrete ai malati. Grande è stato, e continua ad essere, il contributo della Scuola italiana rappresentata
da esperti di Potenza, Prato, Reggio Emilia e
Palermo.
Quali risultati si ottengono con questo farmaco
biologico?
Se la diagnosi è stata precoce e quindi si è potuto
iniziare presto la terapia con infliximab, si ottiene
l’arresto della malattia impedendo, soprattutto,
l’evoluzione verso la cecità e lo sviluppo dei danni
neurologici. A questo proposito è stata proprio la
Scuola italiana a dare il maggior contributo nella
dimostrazione scientifica dall’efficacia dell’infliximab sui sintomi neurologici e oculari.
Come si sommininistra?
Attraverso flebo. Già al primo mese si possono
osservare concreti progressi.
Perché la diagnosi spesso arriva con tanto ritardo?
E’ una malattia poco conosciuta perché poco frequente. Pertanto non sono molti i medici che vedono pazienti con questi sintomi. E quando li vedono, solitamente, non collegano questi sintomi
fra di loro. Qualche esempio. L’oculista non
sospetta che un calo della vista possa avere un
legame con le afte genitali che il
paziente descrive. Come pure un reumatologo non rapporta l’artrite con il
calo della vista. Anche il neurologo
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non vede un collegamento con sintomi dermatologici.
I malati chiedono che venga concessa per questo farmaco l’indicazione per la malattia di
Behçet così come esiste per l’artrite reumatoide
e la spondilite anchilosante. Ad oggi ad un
malato di Behçet non può essere prescritto il
farmaco.
Lo chiedono i malati ma lo chiediamo anche noi
medici. Adesso il farmaco è prescritto dal medico
sotto la sua personale responsabilità e viene concesso dalle Asl, molto poche, pur sapendo che non
saranno mai rimborsate. E’ un grande gesto di
maturità sociale quello dei medici e delle Asl. In
Basilicata tutte le cinque Asl concedono il farmaco. Un bell’esempio di buona sanità. L’indicazione
consentirebbe la gratuità del farmaco ai pazienti. Il
farmaco dovrebbe essere prescritto in Centri specializzati a malati nei quali non stanno funzionando i farmaci tradizionali.
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Cantini:« Il paradosso della malattia di Behçet:
sintomi evidenti eppure diagnosi tardive»
intervista a
FABRIZIO CANTINI
Dirigente II Livello
II Unità Operativa Medicina-Reumatologia
Ospedale Misericordia e Dolce di Prato
“L
a malattia di Behçet vive un paradosso, i sintomi dell’insorgenza sono ben
definiti ed evidenti eppure la diagnosi
si fa attendere anche tre-quattro anni.
Questo oggi, perché un tempo i malati compivano un pellegrinaggio da un
medico all’altro per decenni", Parla
Fabrizio Cantini, Dirigente II livello
della II Unità Operativa Medicina-Reumatologia
Ospedale Misericordia e Dolce di Prato.
Perché questo avviene?
Non sempre il medico riesce a mettere insieme
tutti i tasselli di quel puzzle che è rappresentato
dalla malattia di Behçet. Sono sintomi dermatologici, gastroenterologici, reumatologici, oculistici,
neurologici. Solo mettendoli tutti insieme si può
disegnare il quadro della malattia. Fino a quando il
quadro non è chiaro il malato passa da uno specialista all’altro, a seconda della manifestazione in
atto, e ognuno gli fa una diagnosi per così dire
“incompleta” ma senza inquadrare la manifestazione clinica in un quadro più generale di malattia.
Quali sono i sintomi della malattia, così vari e
pure così evidenti?
Ci sono manifestazioni minori e maggiori. Le
minori sono quelle che, da un punto di vista clinico possono causare un danno relativamente lieve
all’organismo ma sono pur sempre dolorose. E
cioè stomatite, afte nel cavo orale, afte genitali
molto dolorose: solitamente guariscono ma quelle
genitali lasciano cicatrici. E poi manifestazioni
dermatologiche con eritema nodoso, prevalentemente sugli arti inferiori, la papulopustolosi,
una specie di acne che compare sul tronco,
l’artrite e disturbi gastroenterologici. Queste
manifestazioni possono comparire
singolarmente o associate tra loro.
E le manifestazioni maggiori?
Una delle manifestazioni più gravi è rappresentata
dall’interessamento oculare, cioè un’infiammazione dell’uvea posteriore, spesso anche dei vasi retinici. Un paziente su due nonostante le terapie tradizionali aveva una progressiva riduzione della
vista fino alla cecità. E poi possono esserci infiammazioni a livello delle arterie cerebrali: meningoencefalite con tutte le pesanti manifestazioni
neurologiche che questa situazione provoca. Più
raramente si manifestano trombosi dei seni venosi
a livello cranico, potenzialmente fatali. Ci può
essere inoltre un interessamento diffuso dell’albero venoso con flebiti agli arti inferiori, e talvolta
possono essere colpite la cava inferiore e le grosse
vene del mediastino superiore, situazioni molto
gravi.
Queste le manifestazioni ma quali sono i campanelli d’allarme che devono far nascere i
primi sospetti?
Sono sintomi vari e che difficilmente al loro insorgere fanno pensare alla malattia di Behçet. In
genere sono le manifestazioni minori che compaiono singolarmente e che quindi difficilmente
sono rapportabili ad un quadro più articolato come
la malattia di Behçet.
Quanto tempo passa dalla manifestazione della
malattia alla diagnosi?
Un tempo passavano decenni, adesso tre-quattro
anni e non è certamente poco il tempo che si
perde. C’è da dire che nelle Scuole di specializzazione si è cominciato a parlare di malattia di
Behçet, descritta nel 1937 da un dermatologo di
Istanbul che si chiamava proprio Hulusi
Behçet, negli anni ’80 ma sono pochissimi i
medici che vedono malati con questa
patologia e quindi non si fanno un’esperienza in merito. Un tempo, con la
diagnosi di malattia di Behçet ai malati venivano
somministrate forti dosi di cortisone associate ad
un immunosoppressore come la ciclosporina e l’azatioprina. Ma questi pazienti quasi nella metà dei
casi andavano comunque verso la cecità.
E adesso?
C’è un farmaco biologico, infliximab, che domina
tutte le manifestazioni della malattia con una
remissione completa. Soprattutto in pazienti resistenti alle terapie tradizionali.
Lei prescrive questo farmaco malgrado non
abbia l’indicazione per la malattia di Behçet?
Lo prescrivo sotto la mia personale responsabilità,
perché ho partecipato a studi scientifici che ne
dimostrano l’efficacia ed in quanto responsabile di
un Centro di riferimento per le malattie reumatiche rare. Lo prescrivo gravando sul bilancio della
ASL da cui dipendo e questa è una realtà che si
registra in poche ‘isole felici’, come in Toscana, in
Basilicata, a Reggio Emilia e a Roma.
I tempi sono maturi per l’indicazione ministeriale?
Certamente, ci sono tutte le dimostrazioni scientifiche. Qualcuno dice che è una malattia molto rara
ma io a Prato seguo attualmente 30 pazienti di cui
10 preservano la vista grazie ad infliximab.
Sembra un numero limitato ma si tratta di malati
giovani e con patologia molto grave che non possono permettersi di pagare il farmaco. Gli strumenti di legge per ottenere il farmaco con spesa a
carico del SSN senza aggravio di bliancio per le
ASL ci sono, e mi riferisco alla legge 648 del
1996.
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
Salvarani:« Il volto drammatico della Behçet:
colpisce i giovani nel cuore della vita»
intervista a
CARLO SALVARANI
Direttore della Struttura Complessa di
Reumatologia
Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia
”H
a un volto drammatico la malattia
di Behçet : colpisce i giovani. Sono
persone fra i venti e i quarant’anni,
la media è 33 anni, che alla comparsa dei sintomi stanno vivendo il
loro momento migliore. Alcuni
sono studenti, altri sposati, altri
stanno tentando la scalata della loro
carriera. Numeri piccoli ma che riguardano persone che dalla malattia si vedono stroncare le loro
speranze". Parla Carlo Salvarani, Direttore della
Struttura Complessa di Reumatologia, Arcispedale
Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.
Ma questi malati non avevano avuto avvisaglie?
E’ certamente una malattia che è partita da lontano
e una singola manifestazione non ha fatto pensare
alla malattia di Behçet. Quando esplode la situazione è subito grave: afte orali e genitali, eritema
nodoso agli arti, disturbi gastrointestinali e principio di artrite. E poi le manifestazioni più gravi
come un inesorabile calo della vista e disturbi neurologici. Il tutto vissuto con una grande stanchezza anche quando ci si alza al mattino. Una malattia così metterebbe in ginocchio chiunque.
Figuriamoci un giovane che sta vivendo il meglio
della sua esistenza.
Lei parla di una malattia che viene da lontano,
quindi colpisce anche i bambini?
I casi di bambini con gli stessi segni e sintomi che
si dimostrano negli adulti fra i venti e i quarant’anni sono fortunatamente molto rari. Ma ci
sono. E anche per loro l’esistenza è molto difficile: vorrebbero andare a scuola ma spesso per
loro è impossibile. Un dramma anche per i
familiari che peregrinano da uno specialista
all’altro.
Ma la società si rende conto dell’an-
goscia che vivono questi malati?
Assolutamente no. Ovviamente con le dovute
eccezioni. Il fatto è che la malattia di Behçet non è
visibile, non ci sono segni sulle mani, come non ci
sono sul volto. I pazienti camminano bene. Poiché
hanno a che fare con sintomi pesanti hanno imparato a non arrendersi e quindi nei rapporti interpersonali si mostrano decisi ed impegnati. Quasi
nessuno li prende per malati, anche quando dicono
che sono molto stanchi e hanno febbri ricorrenti.
Sono malati che ‘navigano’ non solo perché vanno
da un Centro ad un altro, da uno specialista ad un
altro ma perché cercano in internet una soluzione.
Ed è proprio internet, come il caso del campione
italiano dei 100 metri Francesco Scuderi, che rappresenta la cometa che indica la strada. La diagnosi un tempo avveniva dopo molti anni, vorrei citare il caso di Alessandra Del Bianco, segretario
nazionale di SIMBA, l’associazione dei pazienti
con malattia di Behçet, che si è ammalata da bambina e ha avuto la diagnosi a 33 anni. Adesso i
tempi si sono ridotti a tre-quattro anni, ma sono
comunque tanti per l’evoluzione della malattia.
Anche perché prima si inizia la cura e migliori
sono i risultati che si ottengono.
Lei insieme a colleghi del suo stesso ospedale, di
Potenza, Prato e Palermo ha partecipato a studi
che hanno dimostrato l’efficacia di un farmaco
biologico, infliximab, prezioso nella terapia
della malattia.
Una bella soddisfazione per la Ricerca italiana,
spesso misconosciuta e non certo ben sostenuta.
La letteratura internazionale, con il grande contributo italiano, ha messo in evidenza che questo
farmaco può bloccare la malattia. Vorrei ancora citare il caso di Francesco Scuderi che è tornato a gareggiare e spera oggi di andare a
Pechino. La Scuola italiana si è distinta proprio nella dimostrazione del-
l’efficacia di infliximab nei disturbi oculari e neurologici. Ci sono Ricerche pubblicate da prestigiose riviste come Arthritis & Rheumatism,
Rheumatology
e
Current
Opinion
in
Rheumatology. Una recente ricerca condotta da
specialisti dell’Arcispedale di Reggio Emilia, ha
valutato tutte le nuove diagnosi di malattia di
Behçet nella provincia di Reggio Emilia in un
periodo di 17 anni. In tale studio di popolazione è
stata per la prima volta identificata la prevalenza e
la incidenza della malattia di Behçet nella popolazione Italiana.
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
Scuderi:« La Behçet mi ha fermato.
Il farmaco infliximab mi ha riportato in pista »
intervista a
FRANCESCO SCUDERI
Fiamme Azzurre - Squadra atletica degli Agenti di Polizia Penitenziaria.
Olimpico a Sydney.
Campione italiano 100 metri
E’
il 2003, per Francesco Scuderi - per gli
amici “Ciccio” - è il titolo italiano dei 100
metri. Un trionfo. Ottobre, sempre del
2003 aspettando le Olimpiadi di Atene:
febbri continue, ulcere nel cavo orale e la
vista che lentamente cala. Marzo 2008:
sognando Pechino. Dal trionfo alla disperazione, alla speranza e adesso al sorriso.
In mezzo una malattia fra le più rare, la malattia di
Behçet, l’intuizione di un medico italiano e un farmaco biologico, infliximab, più preziosi di un oro
olimpico.
Come è passato dalla gioia di un trionfo alla
disperazione e poi al ritorno alle gare?
Nel 1992 mi misi in luce ai campionati studenteschi, avevo 15 anni, e cominciai ad allenarmi con
Filippo Di Mulo sui 100 metri. Con me c’è anche
mio fratello Luca che ora è pilota nella Marina
Militare. Una serie di successi, correvo con la
Libertas, ai Campionati di Società fino al secondo
posto agli Assoluti italiani del 1996. E poi il bronzo ai Mondiali juniores di Sydney, davanti a me
due nigeriani. Nel 1998 divento campione d’Italia
precedendo quel grande atleta che è Stefano Tilli.
Una grande soddisfazione alla finale nella 4x100
alle Olimpiadi di Sydney. Quattro titoli italiani
consecutivi, dal 2000 al 2003, ero al massimo
della forma. E al massimo della felicità. Mi sembrava di toccare il cielo con un dito pensando ai
primi campionati studenteschi nella piccola pista
di Catania.
E poi cosa accadde?
Era l’ottobre del 2003, stavo programmando
gli allenamenti perché in agosto sarei dovuto
andare alle Olimpiadi di Atene. Una mattina
mi sento molto male, una febbre altissima, inspiegabile per i medici, anche
per mio padre che è medico di fami-
glia. Un’iniezione di antibiotico, è un tentativo,
ma scoppia una crisi di allergia. Mi salva il 118.
Sei mesi alla ricerca di una diagnosi. “Una febbre
misteriosa” dicevano tutti e intanto comparivano
noduli che si formavano ai vasi sanguigni delle
gambe e drammaticamente calava la vista tanto
che riuscivo ad intravedere soltanto luci ed ombre.
Preso dalla disperazione, con la mia fidanzata
Manuela - diventerà mia moglie - mi metto alla
ricerca di chi possa essermi d’aiuto per arrivare
una diagnosi. “Malattia di Behçet” mi dice la professoressa Raffaella Scorza di Milano. Nessuno ne
sapeva niente. Poco si trovava anche su internet.
Per la cura buio assoluto, come i miei occhi.
Ma lei non si è arreso.
Assolutamente. Sentivo volar via la mia vita e con
la vita i miei sogni di gloria. Un giorno, navigando in internet insieme a Manuela, scopriamo che
c’è un’associazione, SIMBA, dedicata proprio alla
malattia di Behçet. Il segretario nazionale
Alessandra Del Bianco mi mette in contatto con il
professor Ignazio Olivieri a Potenza. E’ lui la mia
salvezza. Conferma la diagnosi e mi propone un
farmaco immunosoppressore, nuovissimo per la
terapia della malattia. Sto subito meglio e posso
immediatamente eliminare il cortisone che, essendo ritenuto una sostanza dopante, mi avrebbe
impedito di gareggiare. Riprendo a vedere, le ulcere se ne vanno e, soprattutto, ritrovo la voglia di
vivere. Con grande tenacia mi rimetto a fare gli
allenamenti sempre per le Fiamme Azzurre, cioè la
squadra degli Agenti di Polizia Penitenziaria. E
arriva il giorno in cui - che emozione - torno a
gareggiare. Accade a Catania, con tanti amici a
guardarmi. Con tanto batticuore. Che bello vincere. Da quel momento non mi sono più fermato e nel febbraio 2006 ad Ancona negli
Indoor 60 risento il sapore di una gara
nazionale. Vado a Mosca per gli
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
indoor mondiali, arrivo 16esimo, agli Europei di
Goteborg in finale con la 4x100. Mi alleno intensamente perché Pechino non è lontana. Spero proprio di gareggiare.
Una grande lezione di vita, una
grande esperienza.
Ho imparato ad avere fiducia nel
domani e nella medicina perché
senza il professor Olivieri e senza
infliximab, sarei ancora in preda
alla disperazione, spegnendo la TV
ogni volta che si parla di gare d’atletica. Dalla mia esperienza vorrei
dare il consiglio a tanti giovani di
credere negli altri e in se stessi.
Olivieri:«Così ho aiutato Francesco
a vincere la sua gara più difficile»
"Un giorno, era il novembre del 2004, viene nel mio studio in Ospedale a
Potenza un giovane di Catania. Si presenta: sono Francesco Scuderi. Penso
subito al campione italiano dei 100 metri, olimpionico a Sidney ma non è
quell’ atleta così prestante e così sicuro di sé che avevo visto in televisione
mentre gareggiava. Lo visito: calo notevole della vista, lesioni cutanee, flebite,
afte orali. Mi racconta che dopo un lungo peregrinare, a seguito di una fortissima febbre e comparsa di alcuni sintomi, aveva avuto da un medico di
Milano la diagnosi di malattia di Behçet. Confermo la diagnosi. C’erano tutti
i segni e i sintomi. Scuderi a questo punto mi dice: “Dottore, voglio tornare a
correre, voglio tornare a vincere. La mia vita e la mia carriera non possono
finire così. La medicina è come lo sport, quando si è ad un passo dalla sconfitta e tutto sembra perduto, arriva la vittoria. E io voglio vincere”. Pensai
subito a come dire al giovane che il suo era solo un sogno". Così Ignazio
Olivieri, Direttore del Dipartimento di Reumatologia della Regione Basilicata,
Ospedale San Carlo di Potenza e Madonna delle Grazie di Matera, comincia
il racconto di un dramma e di un sogno realizzato.
Che accadde?
Consigliai a Francesco che, al momento, seguiva una terapia con alte dosi di
cortisone associato ad un immunosoppressore, di andare a Napoli per una
visita dall’oculista Loredana Latanza.Volevo una migliore valutazione dell’interessamento oculare.Volevo questa consulto perché la malattia va diagnosticata e curata con una stretta collaborazione multidisciplinare. Prendere un
sintomo e isolarlo da tutti gli altri porta fuori strada.
Come ha curato Scuderi?
L’ho sottoposto ad una terapia con infliximab, avevo già trattato altri pazienti
con questo farmaco. Ero confortato dalla letteratura internazionale e dai
risultati che stavo ottenendo. Un trattamento sotto la mia responsabilità perché infliximab, allora come adesso, non ha l’indicazione per la malattia di
Behçet. La prima visita avvenne, come ho già detto, nel novembre del 2004.
A maggio Francesco Scuderi vince la prima gara a Catania con 10 secondi e
5 decimi, sui 100 metri. Il primato del mondo della vittoria della scienza. Nel
gennaio 2006 arriva primo ai campionati italiani indoor di atletica leggera e
nel mese di marzo entra in semifinale nella stessa gara ai campionati mondiali indoor di Mosca. Nell’agosto 2006 partecipa ai campionati europei in
Svezia. La staffetta italiana entra in finale con il terzo miglior tempo ma
perde la medaglia per un errore fra il primo ed il secondo cambio. Adesso
Scuderi si allena, è in piena forma, sogna le Olimpiadi di
Pechino.Vorrei aggiungere che quello dell’atleta non è
un caso isolato.Tanti malati curati con questa terapia
hanno l’arresto della malattia. Prima si fa la diagnosi, prima si inizia la cura e meglio si sta.
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
Infliximab nel trattamento
delle malattie autoimmuni
I
nfliximab è un anticorpo monoclonale
“chimerico” (75 per cento umano e 25 per
cento murino) in grado di neutralizzare
l’attività infiammatoria della citochina
denominata Tumor Necrosis Factor alfa
(TNF-α), attiva nel corso di alcune patologie croniche a prevalente eziologia
autoimmune. Infliximab agisce legandosi
con alta selettività e affinità alle due forme della
citochina: TNF-α solubile e legato alle membrane
cellulari. Infliximab è anche in grado di indurre
mediante apoptosi (la cosiddetta “morte cellulare
programmata”) la lisi (cioè il disfacimento) di
molte cellule infiammatorie attivate (linfociti T,
macrofagi), contribuendo alla notevole efficacia e
rapidità del farmaco in molte malattie autoimmuni.
AREA REUMATOLOGICA
Nell’artrite reumatoide, infliximab è indicato per
la riduzione dei segni e dei sintomi e il miglioramento della funzionalità in pazienti con malattia in
fase attiva quando la risposta ai Disease
Modifying Anti Rheumatic Drugs (DMARDs),
come il metotrexate, sia stata inadeguata.
Nella spondilite anchilosante, infliximab è stato il
primo farmaco biologico anti TNF-α a ottenere in
Europa l’indicazione per l’utilizzo in questa patologia, dimostrando di essere efficace nel ridurre la
sintomatologia clinica e nel controllare il danno
articolare, migliorando la funzionalità fisica e la
qualità della vita dei pazienti. L’efficacia è stata
dimostrata nelle forme assiali, in quelle periferiche
e nelle diverse manifestazioni extra-articolari della
malattia (uveite, malattia di Crohn, colite ulcerosa, lesioni orali).
Nell’artrite psoriasica, infliximab si è dimostrato efficace nel ridurre segni e sintomi della malattia. L’efficacia è stata
dimostrata sia verso la componente
articolare, con un netto miglioramento della funzionalità fisica, sia verso quella cutanea.
AREA DERMATOLOGICA
Nella psoriasi, l’impiego di infliximab su pazienti
refrattari alle terapie tradizionali consente di ottenere un netto miglioramento delle lesioni psoriasiche nelle forme più gravi della malattia. Questo
miglioramento si instaura molto rapidamente e si
mantiene nel tempo, ritardando l’eventuale recidiva delle lesioni. Il farmaco è assai efficace in
tempi ridotti nelle forme più gravi di psoriasi
ungueale e artropatica.
AREA GASTROENTEROLOGICA
Nella malattia di Crohn (dell’adulto e del bambino), infliximab è efficace nel controllo della patologia in pazienti che non hanno risposto alle terapie convenzionali. Infliximab è l’unico farmaco
biologico indicato nella malattia di Crohn nella
forma luminale e fistolizzante.
Nella colite ulcerosa, infliximab – primo farmaco
biologico ad avere ottenuto l’indicazione per il
trattamento dei casi moderati o gravi – può avere
efficacia clinica e indurre la guarigione mucosa in
più del 60 per cento dei casi, con un significativo
impatto sul mantenimento della remissione clinica
e conseguente non esecuzione di colectomia nel
lungo termine. La risoluzione dei sintomi si associa inoltre a una riduzione del consumo di steroidi
e del ricorso a ricovero ospedaliero e chirurgia.
Appunti
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Appunti
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Appunti
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ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHÇET
SIMBA
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA
DI
BEHÇET
Presidente
ANDREA BENEDETTO BELVINI
Vicepresidente
MARIA BEATRICE MARINI
Segretario Nazionale e Tesoriere
ALESSANDRA DEL BIANCO
Comitato scientifico
DOTT. OLIVIERI
PROF. BOMBARDIERI
PROF. FELICIANI
DOTT. EMMI
DOTT. D’AGRUMA
DOTT. DE CATA
DOTT. DI BATTISTA
SIMBA
Via XXIV maggio n.28
Pontedera (PI)
Tel.3294265508
www.behcet.it
[email protected]
Questa cartella stampa è stata curata nei testi
e nella grafica dall’ARGON MEDIA srl
Ufficio Stampa Conferenza SIMBA
Roma, 13 marzo 2008
ARGON MEDIA srl
VIA CASSIA 701
Tel.06.33.26.54.38
[email protected]