l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 31 (47.465) Città del Vaticano mercoledì 8 febbraio 2017 . Nel messaggio per la quaresima il Papa attualizza la parabola di Lazzaro I cattolici di fronte ai temi cruciali del nostro tempo I poveri bussano alla nostra porta Al di sopra della politica «Il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita». È quanto ricorda Papa Francesco nel messaggio per la quaresima 2017, presentato martedì mattina, 7 febbraio. Incentrata sul tema «La Parola è un dono. L’altro è un dono», la riflessione del Pontefice riprende e attualizza la parabola evangelica di Lazzaro: una «pagina significativa — la definisce Francesco — che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci a una sincera conversione». «Il primo invito che ci fa questa parabola — rileva il messaggio — è quello di aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto». La quaresima infatti «è un tempo propizio per aprire la porta a ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo». Il Papa ricorda che alla radice di tutti i mali c’è «l’avidità del denaro», che «può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico». In questo modo, anziché «essere uno strumento al nostro servizio», il denaro «può asservire noi e il mondo intero a una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace». La parabola mostra inoltre che «la cupidigia del ricco lo rende vanitoso». La sua personalità si realizza in- di LUCETTA SCARAFFIA a posizione tenuta da Papa Francesco, fin dai primi mesi del pontificato, nei confronti di grandi temi come l’aborto, il matrimonio omosessuale, l’eutanasia, è stata ferma e coerente con la morale cattolica, ma attenta a non legarla a scelte partitiche. In questo modo ha cercato di strappare i cattolici dall’abbraccio interessato delle destre. Senza deflettere dai principi della morale cattolica, ha voluto infatti sfuggire alla politicizzazione che queste questioni hanno assunto nella vita di molti paesi democratici, per non trovarsi prigioniero di quello che stava diventando, a tutti gli effetti, un appiattimento della Chiesa su posizioni strettamente politiche. È stata un’operazione non facile, che gli è costata molte critiche, ma della quale ora si raccolgono i frutti. La posizione della Chiesa sui due temi cruciali del nostro tempo, i migranti e la vita, è chiara e autonoma dalla politica, tanto che può muoversi liberamente senza timore di venire immediatamente schiacciata dal peso di un’apparente coincidenza. Si tratta di un difficile equilibrio, che va riaggiustato di volta in volta: più facile rinchiudersi in posizioni precostituite e in apparenza chiare. Un atteggiamento in parte nuovo, che non si può confondere con il relativismo, perché basato sulla consapevolezza profonda che ogni volta bisogna L Willy Fries, «Lazzaro e l’uomo ricco» fatti «nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi»; ma «l’apparenza maschera il vuoto interiore». Per l’uomo corrotto dalle ricchezze, dunque, «non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo». Alla fine, «solo tra i tormenti dell’aldilà il ricco riconosce Lazzaro». E questo è «un messaggio per tutti i cristiani»: in realtà, «la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo». Da qui l’invito conclusivo del Pontefice a vivere il cammino della quaresima come «tempo favorevole per rinnovarsi nell’incontro con Cristo vivo nella sua parola, nei sacramenti e nel prossimo». PAGINA 8 Circa due milioni di civili privi di approvvigionamento idrico Aleppo senz’acqua y(7HA3J1*QSSKKM( +_!"!?!"!:! DAMASCO, 7. Non conosce fine il dramma di Aleppo, un tempo seconda città della Siria, oggi un cumulo di macerie a causa del conflitto. La città è controllata dalle forze governative, tranne alcune aree circostanti dove sono ancora presenti ribelli o gruppi jihadisti. A pagare il prezzo più alto sono soprattutto i civili: anche nelle zone liberate, sono costretti a vivere in condizioni estreme. Ieri l’ultimo allarme delle Nazioni Unite: dallo scorso 14 gennaio circa due milioni di persone sono senza acqua potabile. Il portavoce Stéphane Dujarric ha riferito che «l’Onu sta fornendo il combustibile per alimentare le pompe di cento pozzi e ha inviato cisterne piene d’acqua». I combattimenti hanno distrutto gran parte delle infrastrutture e soprattutto gli ospedali. L’appello di ieri è solo l’ultimo di una lunga lista. Meno di un mese fa l’organizzazione umanitaria internazionale Save The Children aveva indicato che tra gli sfollati di Aleppo est «migliaia sono bambini e neonati, in condizioni di estrema vulnerabilità, spesso malnutriti, dopo mesi sotto assedio senza cibo adeguato». Dato confermato dall’Unicef, che denunciava la tragedia di «molti orfani che hanno bisogno di aiuto immediato o rischiano la morte». Come detto, se ad Aleppo città i combattimenti sono finiti, le violenze continuano invece nella provincia. L’esercito siriano ha annunciato ieri di aver completamente circondato i miliziani del cosiddetto stato islamico (Is) asserragliati ad Al Bab, a nord di Aleppo e a 25 chilometri dal confine turco. Proprio in questa zona sono ancora attivi molti gruppi jihadisti. L’accerchiamento della città di Al Bab è stato completato di recente — dicono fonti governative — grazie al supporto russo. È stato preso il controllo dell’unica strada che ancora collegava la città a Raqqa, un altro importante centro jihadista contro il quale nel frattempo è scattata la terza fase dell’avanzata delle Forze democratiche siriane (insieme di gruppi di ribelli e forze curde che agiscono supportate dalla coalizione internazionale a guida statunitense). Ma non è solo l’area di Aleppo a essere sede di violenze. Il ministero della difesa russo ha registrato ieri otto violazioni della tregua nelle ultime 24 ore, di cui quattro nella provincia di Latakia, tre in quella di Hama e una in quella di Damasco. La Turchia invece ha denunciato sette violazioni della tregua: quattro nella provincia di Damasco, una nella provincia di Idlib, una nella Distribuzione di acqua potabile da parte della Croce Rossa in un quartiere di Aleppo (Epa) provincia di Aleppo e un’altra nella provincia di Homs. E sempre ieri ad Astana, in Kazakhstan, le delegazioni di Russia, Turchia e Iran hanno confermato di essere «pronte a cooperare negli interessi della piena esecuzione della tregua». Secondo Mosca, «i partecipanti all’incontro di Astana hanno discusso dell’andamento dell’attuazione del regime di cessate il fuoco in Siria, delle misure particolari per crea- re un meccanismo di monitoraggio della tregua in atto» nelle zone in cui non sono presenti gruppi jihadisti. Intanto, in un rapporto l’organizzazione Amnesty International ha denunciato che oltre 13.000 persone sarebbero state giustiziate in un carcere di Damasco in cinque anni di guerra. L’organizzazione riferisce di migliaia di impiccagioni di massa avvenute nella prigione di Saydnaya in un periodo che va dall’inizio della rivolta del 2011 al 2015. Nel rapporto, basato su interviste a 31 ex carcerati e oltre cinquanta funzionari, Amnesty sostiene che le esecuzioni sarebbero state autorizzate da alti funzionari governativi. Queste azioni — si legge nel documento — «miravano a schiacciare ogni forma di dissenso tra la popolazione siriana». Le autorità di Damasco hanno negato le impiccagioni. scegliere, e che per farlo è fondamentale muoversi a un livello più alto di quello della polemica politica. Del resto la Chiesa sa da tempo cosa significhi prendere le distanze da coloro che solo esteriormente sono compagni di battaglia: Napoleone, che aveva reso molto più severa la legislazione contro l’aborto, non l’aveva certo fatto perché mosso da motivi morali, ma per garantire soldati al suo esercito, frutto della coscrizione obbligatoria. E allo stesso modo si erano comportati i governi europei dopo la prima guerra mondiale, che aveva determinato una ecatombe di giovani maschi. In entrambe le situazioni la Chiesa ha saputo prendere le distanze dalle contingenze politiche, grazie proprio all’altezza morale con cui affrontava il problema. Ma soprattutto grazie al fatto che la misericordia, il perdono, fanno parte della tradizione cattolica tanto quanto la condanna del peccato. Proprio questo particolare punto di vista permette alla Chiesa di uscire da schematiche equazioni, nelle quali talvolta si è trovata imprigionata. Quando infatti è stata dimenticata questa specifica condizione, che è proprio quella che differenzia la posizione cattolica da qualsiasi parte politica, la Chiesa o singoli gruppi di cattolici hanno rischiato di essere usati, manipolati, travisati. Pagando a caro prezzo l’immersione nel gioco politico, nel quale alla fine non hanno mai tratto niente sul lungo periodo. Ma c’è sempre chi prova, da un lato come dall’altro, a tirare la Chiesa dalla propria parte. Ed è solo alzando il punto di vista con il quale si interpreta il mondo che ci circonda, ritornando allo spirito evangelico senza paura di sembrare ingenui, che si può trovare la posizione giusta e libera con la quale guardare al presente. Papa Francesco lo sta facendo, con la fatica che implica questo districarsi da mille lacci e da mille condizionamenti, interni ed esterni. I fedeli dovrebbero aiutarlo, facendo uno sforzo in più per capire cosa accade, senza farsi condizionare dalle voci che sembrano sapere qual è la via giusta solo perché sembra la più facile. Sedici stati federali si schierano contro il provvedimento di Trump sull’immigrazione Braccio di ferro WASHINGTON, 7. È ancora scontro sull’immigrazione negli Stati Uniti. Sedici stati hanno presentato ieri presso la corte di appello di San Francisco un documento in cui si schierano contro l’ordine esecutivo firmato dal presidente Donald Trump che impone la sospensione degli ingressi da sette paesi islamici (Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Yemen e Siria). È l’ultimo atto di un lungo braccio di ferro: tre giorni fa sempre la corte di appello federale di San Francisco aveva respinto il ricorso del dipartimento di giustizia contro la sospensione del provvedimento da parte di un giudice federale di Seattle. La corte federale di appello di San Francisco ha convocato per oggi un’udienza per affrontare la questione. Saranno ascoltati i legali del dipartimento di giustizia e quelli degli stati di Washington e del Minnesota che sono stati i primi a intentare la causa contro il divieto. L’amministrazione ha già presentato ai giudici una memoria difensiva. Il dipartimento di giustizia chiede alla corte federale di ripristinare immediatamente l’ordine perché «da esso dipende la sicurezza nazionale» si legge nella memoria inviata ai giudici. Il decreto — si sottolinea ancora — «è legale e rientra nell’esercizio dei poteri del presidente per quel che riguarda sia l’ingresso di stranieri negli Stati Uniti sia l’ammissione dei rifugiati». L’ordine esecutivo stabilisce che i cittadini dei sette paesi coinvolti non potranno entrare negli Stati Uniti per una durata di novanta giorni, in attesa che l’amministrazione decida quali informazioni sia necessario raccogliere su ogni migrante prima di consentirne l’ingresso. Intanto, contro l’ordine esecutivo si sono apertamente schierate le grandi compagnie della Silicon Valley. Da Facebook a Microsoft, da Apple a Google, i giganti della new economy hanno presentato ieri un’azione legale per opporsi al provvedimento. Una nota che definisce illegale l’ordine esecutivo di Trump è stata presentata alla corte d’appello della California ed è firmata in tutto da 97 aziende della Silicon Valley, dove circa il 37 per cento degli addetti sono stranieri. La preoccupazione è appunto che a causa dell’ordine «numerosi deten- tori di visto di lavoro che lavorano con impegno negli Stati Uniti, contribuendo al successo del nostro paese, possano avere difficoltà» si legge nella nota. Intanto, sul piano internazionale, non si stemperano i toni tra Washington e Teheran, dopo la lunga scia di polemiche suscitate dal test missilistico iraniano del 29 gennaio. La guida suprema iraniana, l’ayatollah Sayyed Ali Khamenei, è intervenuto oggi con parole molto dure per criticare non solo il provvedimento sull’immigrazione, ma anche le nuove sanzioni introdotte dal presidente Trump. Quest’ultimo — ha detto Khamenei — «rivela il vero volto dell’America». Sulla stessa linea il presidente iraniano, Hassan Rohani, che ha chiesto di mantenere l’intesa sul nucleare in quanto «vantaggiosa per tutti». In un libro di Ian Stewart Le diciassette equazioni che hanno cambiato il mondo CARLO MARIA POLVANI A PAGINA 4 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 8 febbraio 2017 Mario Draghi presidente della Bce (Reuters) Dopo lo scandalo degli impieghi fittizi STRASBURGO, 7. «L’euro è irrevocabile». Questo il primo punto ribadito ieri dal presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, che ha smontato alcune accuse degli antieuropeisti, ricordando che «prima della moneta unica i paesi soffrivano di continue svalutazioni competitive». E ha poi avvertito sui rischi di deregolamentare il settore bancario, come propone Trump, spiegando che «si tornerebbe ai rischi che hanno permesso la grande crisi scoppiata dieci anni fa». Intanto, lo spread di rendimento tra Italia e Germania vola ai massimi da febbraio 2014, toccando i 200 punti. Draghi ha parlato all’Europarlamento in occasione dell’anniversario della firma del trattato di Maastricht, che nel 1992 ha reso possibile la nascita dell’euro. «Fu una decisione coraggiosa», ha affermato, spiegando che a Maastricht si sono creati legami che hanno resistito alla «peggior crisi economica dalla seconda guerra mondiale». Ed esattamente a proposito di crisi, Draghi ha espresso grande preoccupazione per «l’idea di ripetere le condizioni che hanno portato al crack finanziario». Il riferimento è alla proposta dell’amministrazione statunitense di allentare le regole di Wall Street, volute da Obama per evitare il ripetersi di disastri finanziari delle banche. Draghi ha chiaramente detto che «è qualcosa di molto preoccupante», sottolineando che «l’ultima cosa di cui abbiamo biso- Fillon nella bufera non si ritira Draghi difende la moneta unica e avverte sui rischi della deregolamentazione bancaria L’euro è irrevocabile gno è l’allentamento delle regole». In sostanza, il presidente Donald Trump ha spiegato di voler svincolare le banche dall’obbligo di depositi di denaro significativi da mettere in gioco in caso di crack finanziari, senza pesare sui cittadini. Draghi ha poi fatto una precisazione importante: la Bce e la Germania non manipolano il cambio. Dopo le insinuazioni di alcuni membri del team del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Dra- diamo con preoccupazione ad annunci di potenziali misure protezionistiche». Guardando allo spread, l’ex titolare di palazzo Koch si è spinto dal terreno dell’economia a quello politico per una raccomandazione: «I mercati stanno reagendo a diverse condizioni e dunque le politiche di bilancio in tutti i paesi dovrebbero essere volte a sostenere la ripresa, ma allo stesso tempo in maniera sostenibile». Putin e Merkel per la tregua nel Donbass Mentre in Grecia sale la protesta di migranti e cittadini Nuovo record di sbarchi in Italia BRUXELLES, 7. Si contano già 10.000 sbarchi di migranti sulle coste italiane nel 2017: ben 2500 sono arrivati negli ultimi due giorni. Intanto, in Grecia non si fermano le proteste per le condizioni di vita dei profughi nei campi di accoglienza. Il ministero degli interni italiano ha parlato di 9359 arrivi, il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (6030) e subito dopo sono state avvistate altre centinaia di profughi che sbarcheranno nelle prossime ore. Gli stranieri provengono in grande maggioranza dall’Africa: Guinea, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, Gambia e Marocco le nazionalità più rappresentate. E dopo l’accordo tra Italia e Libia e i vari programmi di cooperazione con i paesi africani che l’Ue sta studiando, l’alto rappresentante per gli affari esteri e le politiche di sicurezza, Federica Mogherini, ha ricordato l’importanza di considera- ghi ha sottolineato che «è stato il Congresso di Washington, in un documento del 14 ottobre 2016, a sottolineare che la Germania non manipola il cambio». E ha precisato anche che «il surplus corrente tedesco era al 6 per cento già quando l’euro/dollaro era a 1,4», che significa che si deve riconoscere «la forza dell’economia tedesca» senza ipotizzare speculazioni inesistenti. Piuttosto, il presidente della Bce, senza mezzi termini, ha affermato: «Guar- re l’Egitto «paese chiave per la stabilità nella regione, sia per la Libia sia per il processo di pace in Medio oriente». Lo ha fatto nell’ambito del consiglio dei ministri europei degli esteri in corso oggi. Sottolineando che «sull’immigrazione è stato raggiunto un accordo di principio per un dialogo formale» con il Cairo, Mogherini ha spiegato che per questo «è stato deciso di invitare il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, alla riunione del prossimo consiglio a marzo». In Grecia resta alta la tensione per la situazione dei 60.000 migranti bloccati nel paese dopo la chiusura delle frontiere europee lo scorso anno. Ieri un gruppo di manifestanti, composto sia da greci che da rifugiati stranieri, ha contestato il ministro per le migrazioni, Yannis Mouzalas, al suo arrivo nel campo Elliniko. Da giorni alcuni migranti ospitati dal centro hanno iniziato uno sciopero della fame. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino Un’Unione a due velocità BRUXELLES, 7. Prende piede nella discussione politica a Bruxelles l’idea di un’Europa “a due velocità”, cioè più fluida, dinamica. Idea lanciata dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, e che è stata salutata da molti europeisti come il possibile salvagente di un’Unione che rischia di affondare. Secondo la commissione europea, non c’è un progetto ma potrebbe nascere. «I trattati permettono già di viaggiare a velocità diverse in certe aree» ha dichiarato il portavoce della commissione, Margaritis Schinas, che ha aggiunto: «La velocità è importante ma ugualmente importante è l’obiettivo indicato», ribadendo che «l’obiettivo della commissione è sostenere l’unità dell’Unione». Questa sembra essere anche la linea che emerge nelle parole del tedesco Manfred Weber, capogruppo al parlamento europeo del partito popolare (Ppe), di cui fa parte anche Angela Merkel. L’Unione è un’unità — ha sottolineato Weber — e «per principio non ci possono essere stati di prima e seconda classe», ma «non è possibile che a dettare il ritmo delle decisioni politiche siano sempre i paesi più lenti». Il cancelliere Merkel — oggi in visita a Varsavia — è tornata sull’argomento dopo la prima dichiarazione su questo tema nei giorni scorsi. Ieri ha detto che «esiste già un’Europa a MOSCA, 7. Il presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno discusso questa mattina della situazione in Ucraina. Nel corso di un colloquio telefonico, i due leader si sono detti d’accordo «sulla necessità di un ripristino immediato del regime di cessate il fuoco nel Donbass» secondo quanto riferisce l’ufficio stampa del Cremlino. «Il presidente russo e il cancelliere tedesco — si legge ancora nella nota — si sono pronunciati a favore di una rapida ripresa del cessate il fuoco e hanno sostenuto in questo contesto gli sforzi della missione speciale di monitoraggio dell’O sce». Russia e Germania fanno parte, assieme a Francia e Ucraina, del cosiddetto Quartetto di Normandia, un gruppo di mediazione che punta a una soluzione al conflitto nel Donbass in base ai protocolli di Minsk. Putin e Merkel — sempre stando alla presidenza russa — si sono detti pronti a organizzare «nel prossimo futuro dei contatti tra i ministri degli esteri e tra i consiglieri dei leader del formato di Normandia, e quindi continuare a discutere la situazione al più alto livello». vicedirettore Piero Di Domenicantonio ROMA, 7. «Non bisogna smarrire mai il senso dei propri limiti soprattutto istituzionali». È la raccomandazione che il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha espresso incontrando i giovani magistrati che, una volta finito il loro iter formativo, si accingono a indossare la toga e «rendere giustizia». Mattarella ha sottolineato che «senza giustizia non c’è dignità della persona, non c’è uguaglianza, non c’è democrazia». Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va «Tutto quello che ho fatto è legale» ha assicurato ieri Fillon. «Comprendo il bisogno di avere spiegazioni, ma tutti i fatti di cui sono accusato sono trasparenti». Il compenso percepito da Penelope Fillon in qualità di assistente parlamentare era «perfettamente giustificato». E questo perché il lavoro di Penelope — ha spiegato il candidato — «era indispensabile nella mia circoscrizione». Inoltre, «in virtù della corretta divisione dei ruoli istituzionali, nessuno ha il diritto di sindacare il lavoro di un assistente parlamentare, salvo il parlamentare stesso». Nel frattempo, la magistratura sta indagando anche sul titolo di Grande ufficiale della Legion d’Onore attribuito dall’ex premier nel 2010 a Marc Ladreit de Lacharrière, il milionario proprietario della «Revue des Deux Mondes» che due anni dopo assunse la moglie Penelope come consulente editoriale. Sul piano politico, Alain Juppé, il secondo classificato alle primarie del centrodestra, ha escluso di voler sostituire Fillon. I sondaggi dicono che al ballottaggio lo scontro sarà tra la leader del Front National, Marine Le Pen, e il liberal Emmanuel Macron di En Marche! Dibattito a Bruxelles sulla proposta del cancelliere tedesco Mattarella chiede equilibrio ai giovani magistrati Tensioni nel campo profughi di Elliniko a sud di Atene (Afp) PARIGI, 7. «Chiedo scusa ai francesi, ma non ritiro la candidatura». Ha usato queste parole ieri François Fillon, candidato dei Républicains alle presidenziali francesi, intervenendo sugli scandali legati ai presunti impieghi fittizi in parlamento di sua moglie e dei suoi figli. A meno di tre mesi dalle presidenziali, Fillon è passato al contrattacco. «Nulla mi farà cambiare, sono io il candidato alle elezioni, il candidato per vincere» ha detto davanti a circa duecento giornalisti nel suo quartier generale di Parigi. L’ex primo ministro ha denunciato «attacchi di una violenza inaudita» da parte della stampa. È una cosa «mai vista nella storia della Quinta Repubblica». Ora — ha sottolineato Fillon — c’è una sola priorità: l’Eliseo. «Inizia una nuova campagna elettorale». Dopo le rivelazioni del settimanale «Canard Enchaîné», la giustizia francese ha aperto un’indagine preliminare per appropriazione indebita e abuso d’ufficio contro Fillon, la moglie Penelope e due dei cinque figli. Al centro — sostiene la magistratura — ci sarebbero impieghi fittizi in parlamento che avrebbero fruttato alla famiglia quasi un milione di euro. Nelle parole di Mattarella un preciso invito a evitare le trappole del narcisismo: «Rifuggite dal sottile condizionamento della percezione dell’importanza del proprio ruolo», ha detto il capo dello stato che ha spiegato di ricordarlo innanzitutto a se stesso. E poi ha indicato le doti da coltivare: «Equilibrio, ragionevolezza, misura, riserbo» e «arte del dubbio». Mattarella ha parlato da primo magistrato d’Italia e ricordando anche la propria esperienza di giudice della corte costituzionale. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale diverse velocità, come nel caso dell’eurozona e di Schengen» per poi sottolineare che «in tutti i casi la Germania parteciperà». L’ipotesi della doppia velocità è stata appoggiata nei giorni scorsi dai paesi Benelux (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo) nonché da Francia e Italia. Si potrebbero ipotizzare cooperazioni rafforzate — dicono gli analisti — perché alcuni stati si possano integrare più in fretta in settori chiave, a esempio quello della difesa comune. Qualche commentatore lo ricorda sottolineando che l’Europa può sentirsi minacciata da un eventuale depotenziamento della Nato. L’idea di un’Europa a due velocità non è certo nuova. È stata lanciata già negli anni novanta dall’allora presidente della commissione europea, Jacques Delors. Ciclicamente è riemersa come possibile soluzione per conciliare le differenti posizioni. Il nuovo Palazzo Europa a Bruxelles che ospiterà le prossime riunioni del Consiglio Ue (Epa) Salvatore Romeo indagato per abuso d’ufficio ROMA, 7. Salvatore Romeo, ex capo della segreteria politica del sindaco di Roma, Virginia Raggi, è indagato dalla procura capitolina per concorso in abuso d’ufficio. L’ipotesi di reato è stata formulata nell’ambito dell’inchiesta sulle nomine effettuate da Raggi. Romeo avrebbe ricevuto un invito a comparire per essere interrogato in settimana dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pubblico ministero Francesco Dall’Olio. Si tratta della stessa persona, si ricorda, che ha Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 sottoscritto due polizze vita delle quali risultava beneficiaria la stessa Raggi, sebbene quest’ultima, interrogata nei giorni scorsi dai magistrati, abbia dichiarato di non esserne a conoscenza. Gli stessi inquirenti hanno ritenuto che, allo stato delle indagini, la stipula delle due polizze da parte del funzionario, dimessosi dopo l’arresto del capo del personale del Campidoglio, Raffaele Marra, non costituisce un fatto penalmente rilevante. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 8 febbraio 2017 pagina 3 Dopo un lungo dibattito nel governo e il drammatico sgombero di Amona La Knesset regolarizza gli insediamenti in Cisgiordania Primo processo ad Ankara per il fallito golpe ANKARA, 7. Si è aperto ieri il primo processo ad Ankara per il fallito golpe del 15 luglio scorso. Alla sbarra ci sono 27 sospetti membri della rete del predicatore islamico Fethullah Gülen, ora in esilio negli Stati Uniti, accusati di aver preso il controllo con la forza del comando del reggimento aereo speciale dell’esercito, nel distretto di Etimesgut della capitale turca, poi usato come base durante il tentativo di golpe. Il pubblico ministero ha chiesto tre ergastoli e sentenze da sette a quindici anni per «attività eversive e associazione terroristica». L’udienza si è svolta in un’aula di tribunale appositamente costruita nel complesso della prigione di Sincan. Alcuni processi per il golpe erano già iniziati in altre città turche. Intanto, le autorità turche hanno fatto sapere che sono almeno 149 i soldati ancora ricercati per il fallito golpe. Lo ha reso noto il ministro della difesa di Ankara, Fikri Işık, in risposta a un’interrogazione parlamentare. Tra i soldati che risultano in fuga, ci sono anche sette generali. Secondo le autorità, alcuni di loro potrebbero trovarsi all’estero, ma non è stato fornito alcun dettaglio sui possibili paesi in cui i militari si sarebbero rifugiati. Nei provvedimenti governativi seguiti al tentativo di golpe, oltre 20.000 militari sono stati cacciati dall’esercito. Questo mentre la Turchia è alle prese con l’emergenza terrorismo. Ieri il vicepremier e portavoce del governo di Ankara Numan Kurtulmuş, ha detto che il paese è determinato a «mettere in ginocchio» la rete jihadista legata al cosiddetto stato islamico (Is). Commentando la maxiretata che due giorni fa ha portato all’arresto di 763 sospetti membri dell’Is in 29 province del paese, Kurtulmuş ha dichiarato: «Otterremo i risultati impedendo il reclutamento di nuovi militanti» e ostacolando la formazione di nuove cellule. Complessivamente — ha reso noto il ministero dell’interno — nell’ultima settimana i presunti jihadisti arrestati e detenuti sono stati 820. Secondo l’intelligence, l’Is starebbe preparando «nuovi sensazionali attacchi nel paese dopo quelli dei mesi scorsi», tra cui la strage di capodanno a Istanbul. TEL AVIV, 7. Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato ieri a tarda sera, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, la legge per la legalizzazione degli insediamenti ebraici su terre private palestinesi. Il provvedimento è stato al centro di un lungo dibattito politico all’interno del governo, con il premier, Benjamin Netanyahu, che ha cercato fino all’ultimo di rinviarne l’approvazione nonostante le pressioni del movimento dei coloni, e questo soprattutto per evitare tensioni internazionali. La regolarizzazione arriva dopo il drammatico sgombero dell’avamposto di Amona, mercoledì scorso, dove 42 famiglie hanno dovuto lasciare le loro case per l’applicazione di una sentenza della Corte suprema israeliana. Il provvedimento, particolarmente sostenuto dai partiti di destra della coalizione al governo, in particolare Focolare ebraico del ministro dell’educazione Naftali Bennett, punta a prevenire altri sgomberi simili a quello di Amona, ma va con- Uniti, Donald Trump. Più volte la nuova amministrazione statunitense si è espressa in termini molto più favorevoli circa decisioni controverse del governo israeliano. Tecnicamente, la legge approvata ieri dalla Knesset regolarizza tra i 2500 e i 4000 alloggi tra i quali figurano — secondo l’associazione Peace Now — anche circa 797 strutture in 55 avamposti. Si propone poi di «regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e consentire il loro continuo stabilirsi e sviluppo» si legge nel testo. Il provvedimento agisce in forma retroattiva e stabilisce un meccanismo di compensazione per i proprietari palestinesi dei terreni su cui sono stati costruiti insediamenti o case: questi potranno ricevere un pagamento annuale pari al 125 per cento del valore dei terreni per 20 anni o, in alternativa, altri terreni a loro scelta dove è possibile. I palestinesi e il governo turco hanno già espresso una dura con- Netanyahu e il premier britannico May a Downing Street (Reuters) danna nei confronti della regolarizzazione decisa dalla Knesset. Ankara ha definito il provvedimento «inaccettabile», mentre l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio oriente, Nikolay Mladenov, ha detto che la legge «diminuisce fortemente le prospettive di pace arabo israeliane». La nuova legge ha portato divisione anche all’interno di Israele e non è escluso che venga contestata legalmente. Combattimenti tra esercito e talebani Le autorità locali e le Nazioni Unite chiedono trecento milioni di dollari Ancora vittime tra civili afghani Aiuti per Haiti KABUL, 7. Tre civili, due donne e un bambino, sono morti e quattro altre persone sono rimaste ferite ieri in Afghanistan per lo scoppio di un proiettile di mortaio durante uno scontro fra forze di sicurezza afghane e talebani nella provincia orientale di Laghman. I combattimenti sono avvenuti poche ore dopo la pubblicazione da parte della Mis- sione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Unama) di un rapporto in cui si denuncia che le vittime civili del 2016 hanno avuto un aumento di oltre il tre per cento rispetto al 2015. E, intanto, il governatore del distretto di Khak-eSafed della provincia occidentale afghana di Farah è morto oggi in un attentato dei talebani. Agenti afghani durante un’operazione nel distretto di Sangin (Epa) Rabat chiede all’Europa di sbloccare l’accordo di libero scambio RABAT, 7. Il Marocco ha chiesto che venga sbloccato il negoziato per la firma nell’accordo di libero scambio con i paesi dell’Unione europea. Rabat sollecita Bruxelles ad assicurare «le condizioni necessarie per garantire al meglio le intese» e ventila la possibilità di non riuscire a contenere i flussi migratori verso le sponde europee. È una dura presa di posizione quella del ministero dell’agricoltura e della pesca del Marocco che invita Bruxelles a spegnere le polemiche e a ignorare i tentativi di disturbo. Nel testo di un comunicato ufficiale si legge inoltre che «ogni ostacolo rappresenta una minaccia diretta alle migliaia di posti di lavoro in un settore particolarmente sensibile, oltre che un rischio effettivo di ripresa dei flussi migratori che il Marocco, a fronte di uno tro la comunità internazionale che vede negli insediamenti un «ostacolo» al processo di pace con i palestinesi. L’Onu considera gli insediamenti in Cisgiordania una minaccia per la realizzazione della soluzione dei due stati. La tensione, su questo tema, si è particolarmente elevata nelle ultime settimane. All’inizio di gennaio il governo israeliano ha dato il via libera alla costruzione di 143 nuove case nel quartiere ebraico di Gilo a Gerusalemme est, territorio che i palestinesi rivendicano quale capitale di un loro futuro stato autonomo. Gli alloggi — secondo altre fonti sarebbero 153 — erano stati già deliberati e bloccati tempo fa su pressione della passata amministrazione statunitense di Barack Obama. Non è un caso che l’approvazione del provvedimento arrivi proprio adesso. La settimana prossima Netanyahu — ieri a Londra per incontrare il premier britannico May — sarà a Washington per incontrare, per la prima volta, il presidente degli Stati sforzo notevole, è riuscito a gestire e contenere». Firmati nel 2012, gli accordi di libero scambio reciproco sono stati sospesi nel 2015. Il Marocco lamenta lo stallo nella trattativa malgrado le assicurazioni di una ripresa dei colloqui. «O si persevera nell’accordo così tenacemente cercato e pazientemente costruito, o si decide di chiuderlo, senza possibilità di ritorno, concentrandosi sulla costruzione di nuove possibili relazioni e circuiti commerciali», sostiene Rabat. Intanto il Marocco è rientrato nell’Unione africana (Ua) grazie a una decisione assunta durante il ventottesimo vertice dell’organizzazione tenuto a fine gennaio ad Addis Abeba. Nel 1984 Rabat decise di ritirarsi dall’Ua in segno di protesta contro la presenza di altri membri. PORT-AU-PRINCE, 7. Occorrono trecento milioni di dollari per affrontare l’emergenza umanitaria ad Haiti. L’appello è stato lanciato dalle autorità locali e dalle Nazioni Unite. Tra i più bisognosi nella repubblica caraibica, figurano anche le vittime dell’uragano Matthew che nello scorso mese di ottobre ha provocato ingentissimi danni e la morte di almeno 900 persone ad Haiti e altre sei vittime in Florida. «Solo per soddisfare le esigenze primarie di 2,4 milioni di persone ci sarà bisogno di oltre 290 milioni di dollari», ha detto El-Mostafa Benlamlih, coordinatore delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite ad Haiti. Quattro mesi dopo l’uragano che ha causato quasi tre miliardi di dollari di danni, la situazione è ancora grave. Circa un milione e mezzo di persone sono rimaste senza abitazione. Inoltre Haiti deve affrontare la più grande epidemia di colera attualmente in atto nel mondo. Nel 2017 gli esperti stimano che si potrebbero verificare 30.000 casi. A questo si aggiunge una crisi migratoria. Dal giugno 2015 sono arrivate ad Haiti circa 160.000 persone provenienti dalla Repubblica Dominicana. Gli arrivi stanno aggravando la crisi umanitaria di uno dei paesi più poveri dei Caraibi. I fondi raccolti finora, anche grazie a partner internazionali, saranno utilizzati per gli aiuti a non più del 20 per cento della popolazione. In Mosca rilancia il dialogo sulla crisi libica MOSCA, 7. Il viceministro degli esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha incontrato ieri a Mosca il rappresentante speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, con cui ha discusso della situazione nel paese nordafricano. Nel colloquio, secondo quanto riferisce il dicastero russo, Bogdanov «ha confermato la necessità di coinvolgere nei lavori sulla formazione di un governo unitario i rappresentanti di tutte le principali forze politiche, gruppi tribali e regioni del paese. In questo contesto — continua la nota di Mosca — è stata sottolineata l’importanza di arrivare in modo rapido a soluzioni di consenso sulle restanti questioni controverse, che permetteranno ai libici di iniziare a risolvere pressanti questioni nazionali, tra cui il contrasto alla minaccia terroristica». Anche l’Unione europea incoraggia il dialogo tra il governo di unità nazionale presieduto dal premier libico, Fayez Al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, sostenuto dal parlamento di Tobruk. Lo ha chiarito l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, al termine della riunione del consiglio dei ministri degli esteri a Bruxelles. «Quando vedete nelle conclusioni il supporto agli sforzi internazionali e regionali, compreso quello della Tunisia — ha detto Federica Mogherini — è proprio per facilitare il dialogo tra Haftar e Al Sarraj. Vediamo la necessità che tutti gli attori trovino il loro terreno comune per unificare il paese». L’Unione europea, ha aggiunto, «riconosce il governo di accordo nazionale e la legittimità che viene dalla risoluzione Onu, ma incoraggiamo il dialogo, l’impegno e che trovino un accordo». particolare verranno indirizzati a sostenere gli oltre 46.000 sfollati a causa del terremoto del gennaio del 2010, ospitati ancora in campi senza strutture sanitarie o di sicurezza sufficienti. La situazione è grave, ma «mobilitare risorse per Haiti è sempre più difficile dato il clima economico globale e i bisogni umanitari significativi in altre zone del mondo», ha sottolineato da parte sua Jordi Torres Miralles, assistente tecnico del dipartimento aiuti umanitari e protezione civile della Commissione europea (Echo) ad Haiti. Riprendono i colloqui tra Bogotá e guerriglieri dell’Eln QUITO, 7. Rappresentanti del governo della Colombia e dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo gruppo di guerriglia del paese, si incontrano oggi a Quito per aprire un tavolo di trattativa al fine di porre fine a un conflitto che dura da 52 anni. È la seconda volta che le parti si riuniscono per discutere. Il primo tentativo, il 27 ottobre scorso, non è andato a buon fine per il mancato rilascio dell’ex deputato Odín Sánchez de Oca, liberato il 2 febbraio. Il politico, 61 anni, era prigioniero dei guerriglieri dall’aprile 2016. Ora tutto sembra essere pronto a Quito per far riprendere i colloqui esplorativi e completare il processo di pace avviato grazie al recente accordo con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), che hanno già cominciato a consegnare le armi e stanno cercando di reinserire i propri membri nella società civile. Tensione tra Argentina e Bolivia per le nuove norme sugli immigrati BUENOS AIRES, 7. L’inasprimento della politica dell’immigrazione in Argentina, dove è stato varato un decreto per facilitare l’espulsione degli stranieri che commettono reati e per impedire l’ingresso di pregiudicati, ha fatto salire la tensione con la Bolivia. Il presidente boliviano Evo Morales ha duramente criticato il suo omologo argentino Mauricio Macri ma, su invito di questi, ha inviato una delegazione a Buenos Aires guidata dal presidente del senato José Alberto Gonzales, nel tentativo di avviare un confronto. La paura dei boliviani è che allo scopo di combattere il crimine si finisca per espellere persone che si recano in Argentina solo per questioni lavorative. Ma il governo argentino assicura che non c’è nessuna intenzione di procedere alle espulsioni senza prima avere verificato ogni caso separatamente. Buenos Aires tiene a precisare che non c’è nessuna persecuzione contro gli immigrati e che l’Argentina rimane un paese aperto, facendo riferimento anche alla costituzione che garantisce la possibilità di ingresso a «tutti gli uomini del mon- do che desiderano soffermarsi sul suolo argentino». Ma alcune dichiarazioni, in particolare quelle del ministro per la sicurezza Patricia Bullrich, hanno fatto salire la tensione con la Bolivia, con il Perú e con l’Uruguay, i paesi che hanno il maggior numero di emigrati in Argentina. Il vero problema è la crisi economica, sostiene Juan Vázquez, di Simbiosis Cultural, una delle organizzazioni boliviane che operano nel paese. «C’è molta preoccupazione, perché non c’è lavoro — aggiunge — il settore tessile, dove opera il maggior numero di boliviani, sta andando molto male anche a causa delle importazioni sempre più importanti. Quasi tutti i lavoratori non sono regolari, o non adempiono completamente alle norme, e quindi potranno essere espulsi facilmente». Da parte sua il ministro Bullrich sostiene che la legge è simile a una norma in vigore in Bolivia, e «non ha nulla a che fare con la migrazione, ma si riferisce al crimine». Alcuni boliviani, però, rilevano che in Argentina si comincia a notare una ondata di xenofobia mai vista in precedenza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 8 febbraio 2017 Yvain Coudert «La mela di Newton» (2015) di CARLO MARIA POLVANI n anno prima della sua morte, il matematico gallese Robert Recorde (1512 circa 1558), snervato dal dovere ripetere l’espressione «è uguale a» nel suo libro The Whetstone of Witte (La pietra per affilare l’intelletto), introdusse il simbolo di uguaglianza, commentando che «non ci fossero due cose più uguali» di due trattini orizzontali gemelli disposti l’uno sopra l’altro. Poco a poco, il segno grafico “=”, scalzando altri simboli concorrenti quale “æ” (in riferimento all’aggettivo æqualis), si impose nella raffigurazione del concetto di uguaglianza. Nell’uso previsto dal suo ideatore, tuttavia, il segno di uguale aveva una funzione precisa: unire due espressioni aritmetiche che avessero la stessa risposta all’interno di uno degli strumenti essenziali della matematica, la æquatio (termine popolarizzato da Fibonacci nel Liber abaci del 1202). L’efficacia dell’equazione deriva dal fatto che il rapporto di eguaglianza che essa stabilisce si può esprimere in vari modi, introducendo semplicemente, in ambo i lati dell’equivalenza, un valore identico (per esempio, dandosi 2+3=5 e sottraendo 2 da entrambe le espressioni, si ottiene 2+3–2=5–2 e quindi, 3=5–2). Questa stessa qualità permette di risolvere un’equazione quando essa racchiude un’incognita (per esempio, dandosi 2+x=5 e sottraendo 2 da entrambi le espressioni, si ottiene 2+x–2=5–2 e quindi, x=3). E, più generalmente, essa stabilisce delle relazioni certe fra dei valori variabili contenuti in un’equipollenza (per esempio, dandosi 2+x=y, si ha la certezza che quando x vale 3, y vale per forza 5; e ri- U Rapporti di uguaglianza e nessi di causalità in un libro del matematico britannic0 Ian Stewart Le diciassette equazioni che hanno cambiato il mondo relazione obbligatoria fra la sua pressione, il suo volume, la sua quantità e la sua temperatura (per esempio, capire perché, in montagna, dove la pressione atmosferica è più bassa, l’acqua bolla a una temperatura inferiore ai 100° Celsius). Le potenzialità di questo strumento matematico diventano ancora più indiscutibili quando esso diventa funzionale nello L’opera curata dallo studioso sviluppo d’innovazioni ingegneristiche (per esempio, il è un’enciclopedia del sapere scientifico prevedere che a pressioni più E sollecita interrogativi alte le temperature di evaporazione siano superiori, consulla natura stessa della relazione sentì al calvinista francese fra matematica, fisica e chimica Denis Papin — che anticipando la revocazione dell’Editto di Nantes era spettivamente che quando y vale 5, x vale fuggito a Londra per diventare assistente per forza 3). del sullodato Boyle — di ideare le digeQuesta qualità spiega perché tale stru- steur, autocriticamente definendolo «un mento matematico sia diventato così dut- moyen de cuisson un peu brutal» come tile nel descrivere le leggi fondamentali lo sperimentarono molte massaie, a loro della fisica e della chimica. Si pensi alla spese, prima che le pentole a pressione “equazione di stato dei gas perfetti” — fossero munite di valvole di sicurezza). completata a partire dei lavori dei grandi In altre parole: uno strumento logico chimici: Robert Boyle (1627-1691), Jac- nelle mente dei matematici è diventato ques Charles (1746-1823), Amedeo Avo- un attrezzo di scoperta scientifica e di gadro (1776-1856) e Joseph Louis Gay- applicazione ingegneristica nelle mani di Lussac (1778-1850) — P¸V=n¸R¸T, che si può ricercatori nelle scienze naturali e d’indescrivere in questo modo: il valore della ventori in quelle applicate. Questo è forpressione (p) moltiplicato per quello del se il messaggio più basilare dell’opera del volume (v) è uguale a quello della quan- professor Ian Stewart, Le 17 equazioni che tità del gas (n) moltiplicato per quello hanno cambiato il mondo, appena pubblidella temperatura (t) e di una costante cata dalla Einaudi. Non è la prima volta universale (r). Questa equivalenza per- che il docente dell’università di Warwick mette di calcolare una incognita quando si distingue per le sue capacità di divulse ne conoscono le altre tre (per esempio, gatore scientifico; ma, nell’opera appena la pressione di un gas, quando ne si sa il completata, egli è riuscito a mettere a divolume, la quantità e la temperatura). E sposizione dei suoi lettori una piccola enpiù generalmente, di comprendere il ciclopedia del sapere scientifico. In dicomportamento di un gas a partire dalla ciassette capitoli, altrettante equazioni so- no sviscerate e il loro ruolo nello sviluppo del sapere scientifico evidenziato, facendo risaltare come le relazioni stabilite dalle eguaglianze matematiche siano state indispensabili nel comprendere le leggi dell’universo e nel saperle sfruttare. L’equazione della legge gravitazionale universale — che impone che la forza di attrazione fra due corpi sia proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa — prevede i percorsi ellittici dei pianeti intorno al sole ed è stata strumentale nello sviluppo dei navigatori satellitari. L’equazione della legge della distribuzione normale — che statuisce che la probabilità di osservare un particolare valore incluso in un gruppo sia dipendente dallo scarto tipo fra il valore stesso e la media dei valori dello stesso gruppo — anticipa la possibilità del verificarsi di uragani di particolare violenza ed è utilizzata per effettuare vendite allo scoperto in borsa. L’equazione sulla propagazione delle onde — che decreta che l’accelerazione della diffusione di una vibrazione sia dipendente dalla spostamento medio dei segmenti contigui del mezzo che la veicola — spiega la produzione di un suono da parte di una corda di un violino che vibra sotto un archetto ed è impiegata dalle apparecchiature che verificano l’intensità dei terremoti per anticiparne pericolose conseguenze quali gli tsunami. Le equazioni senza le quali il nostro mondo non sarebbe quello che è, sono presentate in forma concisa e accattivante dal Laureato 1995 del Michael Faraday Prize che, anche quando considera delle equipollenze contenenti degli strumenti matematici più avanzati — come il calcolo infinitesimale dell’equazione NavierStokes che descrivendo la dinamica dei Elogio del cane Incisione da un incunabolo Dopo il 1460 un infelice e dotto profugo greco rifugiato — come tanti altri in Italia dopo la catastrofica caduta di Costantinopoli (1453) in mano turca — donò a un illustre signore una cagnolina, e pensò umanisticamente di accompagnare il grazioso omaggio con un breve scritto, ovviamente nella lingua di Platone. Edito per la prima volta nel 1590, riedito da Angelo Mai e poi ristampato nella serie greca del Migne, questo Elogio del cane (latinamente Laudatio canis) di Teodoro Gaza è stato ora tradotto in italiano e annotato da Lucio Coco (Firenze, Leo S. Olschki, 2016, pagine 31, euro 5). L’esule di Tessalonica, che si permise di rifiutare sdegnosamente cinquanta scudi d’oro offertigli da Sisto IV per alcune traduzioni e dall’umanista ritenuti insufficienti, celebra nel suo scritto, tanto minuscolo quanto grazioso, la versatilità del cane, la sua fluidi, è usata per fare volare gli aeroplani — accompagna il lettore, passo per passo. Ma forse, quello che colpisce di più nell’opera del membro della Royal Society, è il notare che, a volte, lo sviluppo teorico della matematica fu indipendente o comunque ben antecedente alle sue applicazioni nelle scienze naturali. L’equazione F–E+V=2 (in tutti i poliedri regolari, il numero delle facce, F, meno quello degli spigoli, E, più quello dei vertici V, uguale a 2) magistralmente dimostrata da Leonardo Eulero (1707-1783), gettò le basi per la topologia senza la quale, nel 1953, James Watson e Francis Crick non avrebbero potuto svelare i segreti della struttura a doppia ellissi tipica dell’acido desossiribonucleico (Dna). Analogamente, l’equazione che diede nascita ai numeri complessi 2–1=0 (introducendo l’immaginario numero iota il cui quadrato equivale a –1) fece esclamare Gerolamo Cardano (1501-1576) che tale nuovo numero fosse «tanto astruso quanto inutile» allorché, nel 1900, esso si rivelò indispensabile per definire i principi della meccanica quantistica introdotti da Max Planck. Leggendo il lavoro del professor Stewart, si è portati quindi a interrogarsi sulla natura stessa della relazione fra la matematica e la fisica e la chimica. Nel 1960, il premio Nobel Eugene P. Wigner (1902-1995) pubblicò un influente articolo su quella che definì «l’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali» senza riuscire però a riconciliare due percezioni divergenti. Galileo Galilei, nel Saggiatore (1623), sosteneva che il libro della natura fosse scritto nella lingua matematica e che senza di essa, cercare di capirne le leggi equivaleva ad «aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto». All’opposto, Bertrand Russell, in An Outline of Philosophy (1927), sospettava che la nostra mancanza di conoscenza dell’universo spiegasse il perché ne intendessimo unicamente gli aspetti matematici. Non si saprebbe a chi dei due dare ragione; senonché, risulta incontrovertibile che le equazioni matematiche, nel contesto della formulazione delle leggi naturali, operano efficacemente perché decretano un nesso causale indubbio fra le componenti principali di uno stesso fenomeno. Il rapporto di uguaglianza rappresenta pertanto un utile strumento per caratterizzare le relazioni di causalità, senza le quali una conoscenza certa dei fenomeni è difficilmente raggiungibile. Il grande poeta, lui sì, aveva sicuramente ragione: «Felice è co- Justus Sustermans, «Galileo Galilei» (XVII secolo) lui che ha potuto conoscere la causa delle cose» (Felix qui potuit rerum cognoscere causas atque metus omnis et inexorabile fatum subiecit pedibus, Virgilio, Georgiche II, 489-490) «sottomettendo ogni paura e l’implacabile destino». Manuale per gatti eccellente predisposizione alla caccia, la sua fedeltà e le doti come guardiano, arrivando a un’affermazione che molti amanti di questi animali compagni degli esseri umani condivideranno in pieno: «Il cane è filosofo nell’indole». Non manca naturalmente una rassegna dei cani famosi dell’antichità, ma colpisce per la sua freschezza la descrizione di un animale davvero molto amato: «Che poi sia assai amorevole e affettuoso, chi non lo sa? Infatti quando il padrone è a casa, resta a casa; quando esce, esce anche lui e non c’è strada per quanto lunga, non c’è terreno accidentato, né sete, né caldo, né freddo che gli impedisca di seguirlo ovunque. Lo accompagna ora precedendolo, ora tornando da lui, ora giocando e scodinzolando e facendo assolutamente di tutto per procurare al padrone divertimento e piacere». Meglio non si poteva dire. (g.m.v.) Ha passato i cinquanta, ma certo non li dimostra, il manuale ad usum felis (Paul Gallico, Il grande miao. Autobiografia di un gatto, Milano, Rizzoli, 2016, pagine 174, euro 16) che insegna al gatto di ogni età come trattare l’umano che gli appartiene. Sì, Larry, attuale Chief Mouser to the Cabinet Office, ovvero il responsabile della caccia ai topi al numero 10 di Downing Street gli appartiene. Infatti nessuno, senza cadere nel ridicolo, può usare espressioni come “il mio gatto” o, peggio, “mi sono preso un gatto”, essendo lui, piuttosto, proprietà privata del gatto che si degna di vivergli accanto. Beninteso, purché vezzeggiato, coccolato, ben nutrito e obbedito. Quando narra della gattina che istruisce i più piccoli all’uso e all’abuso dell’umano, Gallico finisce per fornire dei “gattolici” un ritratto che è insieme esilarante e commovente, preciso come un’istantanea. È la storia di un asservimento senza alcuna voglia di liberarsi dal giogo. E se a qualcuno viene in mente di chiedersi, e chiederci, perché si accetta di farsi addomesticare da un gatto la risposta è contenuta in una sola parola: fascino. Che è come il coraggio di Don Abbondio: se uno non lo ha non se lo può dare. Averne è un mistero, spiegarlo non si può, ed è irresistibile. E “sua gattità” di fascino ne ha da vendere. (carla mosca) L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 8 febbraio 2017 pagina 5 Natalie Portman nei panni di Jacqueline Kennedy Senza eroismi in aiuto delle popolazioni più povere Le ragioni del volontariato di GIANPAOLO ROMANATO In «Il diritto di contare» e «Jackie» Ritratto di signore di EMILIO RANZATO tanno uscendo in queste settimane nelle sale due film che hanno vari punti di contatto: Il diritto di contare, di Theodore Melfi, e Jackie, di Pablo Larraín. Sono infatti entrambi film biografici, ed entrambi hanno come sfondo un decennio cruciale della storia americana, gli anni Sessanta. Infine, sono tutt’e due ritratti di donne che si sono ritrovate inaspettatamente ad avere sulle spalle il destino della loro nazione. Per molti aspetti, sono anche film speculari. Il primo racconta un episodio S prende forma. Impegnata in uno dei territori più innocui ma non meno accesi della Guerra fredda, l’America deve fare i conti con divisioni interne mai risolte. Proiettata nel futuro attraverso le sue missioni nello spazio, deve scontare il peso di arretratezze che la legano ancora a un passato remoto. La sceneggiatura scritta dallo stesso regista, e tratta dal libro di Margot Lee Shetterly, si avvale di queste suggestive dicotomie e contraddizioni, che fanno della vicenda della matematica afroamericana un piccolo grande crocevia storico. Malgrado ciò, lo script non riesce a nascondere a lungo i propri limiti. Le corse verso i bagni di un campus vicino da parte della protagonista, a cui viene impedito di usare i servizi igienici dei bianchi, sono rappresentative del registro leggero che legittimamente si è scelto, e danno immediatamente il senso dell’assurdità di certe discriminazioni. Ma sono anche l’esempio di un film che rischia di rintanarsi troppo in piccoli episodi, senza avere il respiro e la forza espressiva per allargare davvero lo sguardo sulla questione segregazionista in generale e su tutto quel periodo storico. La storia di Johnson e delle sue battaglie rimane dunque fra le pareti della Nasa. Il che non le impedisce comunque di assumere un importante signifi- Il primo film racconta l’episodio sconosciuto di una donna che assunta dalla Nasa offre un contributo decisivo alla corsa allo spazio Il secondo parte da un evento arcinoto e si concentra sulla storia di Jacqueline Kennedy Taraji P. Henson interpreta la matematica afroamericana Katherine Johnson che nessuno conosceva, il secondo un evento tragico ed epocale; il primo si svolge con uno stile piano e un tono non lontano da quello di una commedia, il secondo non ha praticamente uno sviluppo narrativo e si potrebbe quasi definire uno spin-off di JFK girato come Shining. Alla fine degli anni Cinquanta la matematica afroamericana Katherine Johnson (Taraji P. Henson) viene assunta dalla Nasa. Darà un contributo decisivo alla corsa allo spazio, in cui l’America è impegnata in competizione con l’Unione Sovietica. In particolare, i suoi calcoli saranno indispensabili per portare a termine con successo la missione Mercury-Atlas 6, quella in cui l’astronauta John Glen effettuerà la prima orbita terrestre. Oltre ai complicatissimi problemi matematici che la missione comporta, però, Johnson dovrà superare gli ostacoli di una doppia discriminazione, dovuta sia al sesso, sia al colore della pelle. Anche se per motivi pratici, più che ideologici, il capo del suo distaccamento (Kevin Costner) la aiuterà a superare queste barriere, nonché la diffidenza dei colleghi. Il diritto di contare ha dunque il merito di portare sullo schermo una storia vera tanto sconosciuta quanto importante ed emblematica, capace cioè di sintetizzare in modo credibile una fase di transizione della democrazia statunitense. Significativo è in particolare il contesto in cui il racconto cato simbolico: superando le divisioni interne si possono raggiungere grandi obiettivi. Dove finisce la storia del film di Melfi (febbraio del ’62), comincia praticamente quella della first lady Jacqueline Kennedy in Jackie, ovvero nelle ore immediatamente successive all’attentato di Dallas in cui rimane ucciso suo marito John (novembre ’63). Anche questo film non allarga lo sguardo sulla Storia con la s maiuscola, ma non vuole nemmeno farlo. Più che di un racconto, infatti, si tratta di un’inquietante istantanea che cristallizza uno stato di paralisi, tanto di una nazione, quanto di una donna. Lo splendido lavoro del direttore della fotografia Stéphane Fontaine confeziona immagini dalle tonalità plumbee, quasi spettrali, e conferisce al film una fosca atmosfera di presagio degna di una tragedia greca. A sottolineare come l’attentato al presidente sia solo il primo di tanti eventi traumatici che sconvolgeranno la nazione per più d’un decennio, e che — un po’ come nella storia raccontata dal film di Melfi — faranno emergere dissidi intestini e forze autodistruttive. Ma anche la protagonista viene colta dal film in una sorta di catalessi, o meglio di limbo, sospesa fra una dimensione contingente fatta di preoccupazioni pratiche e borghesi da una parte — alle confidenti chiede che cosa ne sarà di lei sul piano economico, dove andrà a vivere — e di abissali considerazioni esistenziali dall’altra, compresa la speranza di fare la stessa fine dell’amato marito, nell’irrazionale desiderio di sostituirsi a lui. A questa, come ad altre riflessioni, non può essere di grande aiuto un altrettanto sconvolto Bobby (Peter Sarsgaard), immerso in un comprensibile disfattismo («siamo solo bella gente che non ha concluso nulla», dice), laddove un prete aiuterà invece la donna a interpretare serenamente quanto accaduto, anche alla luce della volontà di Dio. Per una volta, dunque, vediamo sul grande schermo una figura clericale non ridotta a una macchietta, anche perché sostenuta dall’ultima interpretazione del grande John Hurt, scomparso poche settimane fa. Portman, invece, benché candidata all’O scar, non trova forse la sua interpretazione migliore, ma regge comunque quasi da sola lo sguardo della cinepresa dall’inizio alla fine del film. l Terzo mondo fu uno dei miti della generazione nata negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Oggi, non esistendo più il Secondo mondo, cioè il blocco dei Paesi retti da regimi comunisti, quell’espressione è ormai priva di senso. Tuttavia rimane nell’immaginario e anche nel linguaggio di molti di noi — almeno dei più anziani — richiamando speranze, attese, illusioni, ideali. Il Terzo mondo erano i popoli che uscivano dal colonialismo, i nuovi stati che si affacciavano alla ribalta della storia reclamando spazio, autonomia, dignità. In Africa e in Asia, dove la carta geografica, nell’arco di un ventennio, fu rivoluzionata dalla decolonizzazione. Ma anche l’America Latina, che la propria indipendenza l’aveva raggiunta all’inizio dell’Ottocento, era largamente Terzo mondo. Perché quel concetto non era politico, era anche sociale, economico. Il Terzo mondo era infatti quella parte del globo, territorialmente maggioritaria, che voleva emanciparsi dall’egemonia politica del Primo e del Secondo mondo, cioè dal blocco euroamericano e da quello sovietico, ma voleva anche uscire dalla morsa della povertà e del sottosviluppo, voleva crescere, industrializzarsi, creare infrastrutture, costruire un sistema produttivo e alimentare autosufficiente, voleva rompere le catene monopolistiche che imbrigliavano il mercato internazionale. Fu il primo segnale della globalizzazione. E infatti in quegli anni l’Onu — una realtà ben diversa dalla vecchia Società delle nazioni del periodo interbellico — che in pochi anni vide moltiplicarsi il numero degli Stati membri, con le numerose agenzie che le fecero da corollario (Unesco, Fao, Oms, Unicef), assunse I un ruolo centrale. E divenne prioritario un concetto: quello di cooperazione. I governi del Primo mondo, cioè dei Paesi ricchi e sviluppati, dovevano cooperare con quelli del Terzo mondo, cioè portavano la voce dei mondi nuovi, dei popoli emergenti, di giovani Chiese, come si diceva allora, destinate a rinnovare la millenaria struttura ecclesiastica. La costituzione conciliare Gaudium et spes è Un lungo percorso Pubblichiamo quasi per intero l’introduzione al libro Andare: perché? Esperienze di cooperazione tra i popoli di Carla Grossoni (Vercelli, Publycom Editore, 2016, pagine 250, euro 12). L’autrice racconta il suo lungo percorso, prima come volontaria e poi come cooperante in alcuni progetti sostenuti dal governo italiano in Brasile, Thailandia, Cambogia, Somalia, Mozambico, regalando al lettore la testimonianza fresca e vivace di una vita spesa per l’aiuto alle popolazioni dei paesi poveri, senza negare le difficoltà, senza falsi eroismi, ma, come scrive Francesco Lazzari nella quarta di copertina del libro, «nella serena consapevolezza che ciascuno deve fare la propria parte, e che per tutti c’è una parte che ciascuno può fare». dei Paesi nuovi, per aiutarli probabilmente il documento a svilupparsi in una visione più significativo di questa solidaristica dei rapporti in- stagione ricca di fervore e di ternazionali. speranza, ma anche — dobL’idea della cooperazione biamo aggiungere con il prese piede rapidamente e si senno di poi — di fragili illuallargò a quella che oggi sioni. A Giovanni XXIII, morto chiamiamo società civile, diventando ben presto un con- nel 1963, era succeduto Giocreto progetto di vita per vanni Battista Montini, Paomolti giovani di allora. In lo VI, che aveva fatto proItalia, ma non solo qui, le prio questo anelito di rinnoorganizzazioni cattoliche fu- vamento e aveva inaugurato rono massicciamente coin- una nuova fase del pontifivolte in questa svolta. La Chiesa cattolica aveva chiuso L’idea di cooperazione nel 1965 il concilio Vaticano II. Per si allargò rapidamente alla società quattro anni era visdiventando ben presto suta nel clima fervido di speranze di un concreto progetto di vita rinnovamento proper molti giovani di allora posto da Giovanni XXIII. Vescovi di ogni parte del mondo erano confluiti a Roma, cato, segnata dai primi viagsi erano confrontati, si erano gi nel mondo. L’enciclica conosciuti. Il Concilio aveva Populorum progressio (1967) globalizzato la Chiesa, al cui fu il coronamento di questa vertice si affacciavano vesco- apertura al mondo, quasi vi e, per la prima volta, car- uno squillo di tromba per i dinali di colore. E questi giovani cattolici di allora. La cooperazione allo sviluppo divenne così la nuova frontiera della gioventù cattolica. Cooperazione intesa come solidarietà, condivisione di vita, impegno contro la povertà, la discriminazione, l’ingiustizia. In questo clima si rinnovò l’opera dei missionari, nacquero innumerevoli organizzazioni non governative (ong), sbocciarono progetti di vita, aiutati dai primi interventi legislativi volti a sostituire il servizio militare con il servizio civile. In Italia cominciò allora la pressione per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, sotto la spinta della celebre Lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani. Le esperienze successive hanno messo in luce le ingenuità e le semplificazioni di quegli ideali, che produssero successi, ma anche sperperi, insuccessi. Tuttavia lo slancio ideale e morale di un’intera generazione, l’apertura che avvenne allora verso la mondialità, il riconoscimento che la diversità non è un limite ma un arricchimento reciproco, rimangono fra i lasciti migliori di quegli anni. civile L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 8 febbraio 2017 Collaborazione tra cattolici e protestanti in Germania D ialogo sui banchi di scuola Nel movimento ecumenico Non si deve tornare indietro ROMA, 7. Una sfida, per tutti, «e questa sfida può mettere in conto anche una certa paura e resistenza. Ma è la nostra stessa fede a chiederci di uscire dall’isolamento. Se veramente crediamo in un Dio che è diventato carne in Gesù Cristo, in un Dio che è stato il primo a uscire fuori da se stesso, noi oggi non possiamo fare il movimento contrario». Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, spiega così al Sir timori e speranze del movimento ecumenico, mobilitatosi nei giorni scorsi con iniziative e progetti in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Non finisce qui. Sta crescendo una sensibilità più ampia che abbraccia tutto l’arco dell’anno. Al di là di progetti e iniziative, è lo stile che sta cambiando», afferma don Bettega, che invita a «guardare l’altro come qualcuno da cui posso imparare e non come qualcuno a cui dare un contentino perché è ortodosso o protestante o perché ha bisogno di una sala per celebrare la liturgia o il culto». In pratica, «non si tratta di sentirci magnanimi, compiacersi per la nostra generosità, ma di prendere atto che la storia e il tempo nel quale viviamo ci obbligano a uno sguardo aperto». E avere uno sguardo aperto significa oggi «riconoscere che ciascuno di noi è chiamato a imparare dall’altro perché la verità a cui aneliamo è qualcosa che supera me cattolico, me ortodosso, me protestante e come tale va ricercata insieme». Considerazione che è poi il frutto della settimana di preghiera, con la quale i credenti si sono riconosciuti, in questi anni, sempre più come fratelli. Avere uno sguardo aperto — osserva il rappresentante della Cei — è anche «dare in uso una chiesa a una diocesi ortodossa, che sia del patriarcato ecumenico, russo o romeno. Significa riconoscere che quella comunità è diventata particolarmente numerosa nella mia città e, quindi, evidentemente bisognosa di un luogo in cui incontrarsi e celebrare». E «può diventare un’occasione per lavorare insieme e operare in quanto cristiani sul territorio. È il segno non tanto di una comunità cattolica che diminuisce ma di una cristianità che in Italia aumenta. Solo se riusciamo a uscire dal nostro piccolo recinto, possiamo essere Alleanza battista e gesuiti sul blocco agli ingressi negli Stati Uniti Impatto negativo nei rapporti tra le religioni WASHINGTON, 7. «Le azioni governative stanno già avendo un impatto negativo sulla vita delle famiglie. Esse stanno influenzando negativamente coloro che lavorano direttamente con i rifugiati e stanno creando difficoltà inaspettate per le istituzioni battiste negli Stati Uniti, come le università e i seminari dove sono tanti gli studenti iscritti provenienti dai sette paesi citati». È quanto si legge in una dichiarazione diffusa dalla Baptist World Alliance (Bwa) — comunione di 235 convenzioni e unioni battiste presenti in 122 paesi — che giudica negativamente i primi effetti dell’ordine esecutivo del presidente Donald Trump che ha dettato il blocco dell’immigrazione da sette paesi a maggioranza islamica. Una presa di posizione che si aggiunge al coro di proteste che negli ultimi giorni si sono levate contro il discusso provvedimento della Casa Bianca. Pur riconoscendo che un governo ha il diritto di garantire la sicurezza dei propri cittadini, l’Alleanza battista mondiale rileva come oggi ci sia «la tentazione di cedere alla paura e di perseguire frettolosamente politiche sbagliate che avranno effetti deleteri a lungo termine e che minano la libertà di religione». Già nel luglio dello scorso anno, viene ricordato nella dichiarazione, il consiglio generale della Bwa, riunitosi a Vancouver, in Canada, aveva invitato le convenzioni, le unioni e i singoli credenti a mettere in pratica l’insegnamento biblico di accoglienza degli stranieri e in particolari dei rifugiati, persone vulnerabili spesso perseguitate per la loro fede. Forte preoccupazione per gli effetti dell’ordine esecutivo sull’immigrazione, ritenuto «un affronto alla nostra missione e un attacco ai valori americani e cristiani», è stata espressa anche dalla Conferenza dei gesuiti del Canada e degli Stati Uniti, che hanno assicurato di volere ugualmente proseguire nel «nostro lavoro, in difesa e in solidarietà verso tutti i figli di Dio, musulmani o cristiani». I gesuiti, si ricorda in una dichiarazione, «tramite il nostro lavoro nelle scuole superiori, nelle università, nelle parrocchie e in ministeri caratteristici come il servizio per i rifugiati», hanno una «lunga tradizione di accoglienza e di accompagnamento dei rifugiati, a prescindere dal culto che professano». E oggi più che mai, conclude la dichiarazione, «la nostra identità cattolica e gesuita ci chiama ad accogliere lo straniero e ad avvicinarci a diverse culture e tradizioni religiose con apertura e comprensione. Non dobbiamo farci prendere dalla paura. Dobbiamo continuare a difendere i diritti umani e la libertà religiosa». Parole in grande sintonia anche con quelle contenute in una nota congiunta diffusa dal Jesuit refugee service e dalla comunità islamica italiana Coreis, nelle quali si rileva che l’ordine esecutivo del presidente statunitense «è discriminatorio e mette a repentaglio le relazioni tra cristiani e musulmani». grati e leggere questo fenomeno come provvidenziale». Sul cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma protestante, don Bettega spiega che «visioni discordanti e tentennamenti» in ambito cattolico vanno «capiti e rispettati». Del resto «abbiamo alle spalle cinque secoli di storia che hanno visto separazioni, guerre e reciproca diffidenza». Resta il fatto però che «Lutero non volesse spaccare e dividere la Chiesa. Se andiamo alle fonti e ai documenti, ci rendiamo conto che era volontà di Lutero riformare la Chiesa. Se poi a dispetto di questa originaria volontà, le cose siano andate diversamente e le Chiese si siano separate è un dramma di cui pentirsi e chiedere perdono. Ma, come ha detto Papa Francesco a San Paolo fuori le Mura, “guardare indietro è d’aiuto e quanto mai necessario per purificare la memoria, ma fissarsi sul passato, attardandosi a ricordare i torti subiti e fatti e giudicando con parametri solo umani, può paralizzare e impedire di vivere il presente”». L’ecumenismo «è un movimento che spinge in avanti, che mi obbliga a uscire dagli schemi. Il confronto con gli altri mi chiede di lasciare qualcosa di definito e sicuro per andare verso qualcosa che non conosco. Non sappiamo cosa vuol dire e cosa implica essere uniti. Sappiamo — conclude il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso — che siamo incamminati verso la comunione piena di tutti i credenti in Cristo, ma come concretamente questo avvenga ancora non lo capiamo. Per questo, preghiamo perché il Signore doni unità e pace secondo la sua volontà, non la nostra». BERLINO, 7. L’ecumenismo si impara anche sui banchi di scuola. Accade in Germania dove l’episcopato cattolico ha da poco pubblicato un documento nel quale si auspica una più stretta collaborazione con la comunità protestante nella realizzazione dei programmi per l’insegnamento scolastico della religione. Un modo anche per garantire concretamente l’ora di religione a tutti gli allievi delle scuole primarie e secondarie pubbliche che ne fanno richiesta. «La cooperazione è assai importante per il futuro dei corsi di religione», ha dichiarato l’arcivescovo di Paderborn, Hans-Josef Becker, presidente della Commissione educazione e scuola della Conferenza episcopale tedesca, il quale chiarisce che «è fondamentale che questa cooperazione non sia soltanto organizzativa ma anche pedagogica». Nei fatti, questo implica il raggruppamento degli allievi cattolici e protestanti ma anche di quelli non appartenenti ad alcuna religione, per assicurare la presenza di corsi là dove l’esiguo numero di iscritti rende difficile la formazione di classi distinte, cattoliche e protestanti. «Il numero di allievi dei corsi di religione è in forte ribasso», spiega Maria Jakobs, direttrice dell’Istituto di pedagogia religiosa nella diocesi di Freiburg im Breisgau, per la quale «da un lato, questo si spiega con i cambiamenti demografici, dall’altro con il fatto che sempre meno bambini sono battezzati. Inoltre ci sono anche altre materie, come l’etica e la filosofia, interessate dalle stesse questioni dei corsi di religione cattolica». Parallelamente, come riferisce il sito Riforma.it, aumenta il numero di studenti musulmani e senza appartenenza religiosa e alcuni di essi partecipano ai corsi di religione, modificandone l’omogeneità iniziale. È il caso del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Länder nel nord del paese, dove, secondo le cifre della comunità evangelica, il 50 per cento degli studenti partecipa ai corsi di religione protestante anche se meno del 16 per cento della popolazione locale fa capo a questa comunità ecclesiale. In questo senso, 163 accademici hanno auspicato che la cooperazione non si limiti alle due confessioni cristiane ma si estenda alle altre religioni, come l’ebraismo e l’islam, perché, viene spiegato, «una società pluralista ha bisogno di persone che sappiano giudicare le religioni con buonsenso e che siano pronte al dialogo». ll documento dell’episcopato cattolico — intitolato «Il futuro dell’educazione religiosa confessionale. Raccomandazioni per la cooperazione dell’istruzione religiosa cattolica con quella protestante» — affronta dunque il nuovo scenario del posizionamento nella società tedesca dell’insegnamento religioso nelle scuole. Negli intenti c’è però soprattutto la necessità di inserire l’insegnamento in una dimensione ecumenica poiché, è spiegato nella presentazione del documento, «l’educazione religiosa confessionale punta al trasferimento di conoscenze e competenze nel trattare con la fede cristiana e le altre religioni, per sviluppare la capacità di orientamento religioso nella vita personale e sociale». Anche perché, aggiunge l’arcivescovo di Paderborn, un insegnamento «della religione cattolica in uno spirito ecumenico è sempre aperto alla cooperazione con l’istruzione religiosa protestante». Lutto nell’episcopato Monsignor José Gea Escolano, vescovo emerito di MondoñedoFerrol, è morto in Spagna lunedì 6 febbraio. Il compianto presule era nato il 14 giugno 1929 a Real de Gandía, in arcidiocesi di Valencia, ed era stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1953. Eletto alla sede titolare di Are di Numidia e al contempo nominato ausiliare di Valencia il 25 marzo 1971, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 8 maggio. Era stato trasferito a Ibiza il 10 settembre 1976 e poi a Mondoñedo-Ferrol il 15 maggio 1987. Aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi il 6 giugno 2005. I funerali si celebrano nella cattedrale di Valencia martedì pomeriggio, 7 febbraio, alle 17.30 Nuovi ingressi nella Churches’ Mutual Credit Union Cooperazione oltre le divisioni LONDRA, 7. Non solo lo studio e l’approfondimento teologico o la comune testimonianza della carità nei settori fondamentali dell’assistenza ai più bisognosi. Nel Regno Unito i sentieri dell’ecumenismo passano anche nel campo finora inedito della mutua assistenza del clero, o quantomeno del loro fondo pensione. Ne dà notizia il sito in rete della Church of England, che registra, non senza una certa soddisfazione, il re- cente ingresso della Chiesa cattolica nel fondo comune gestito dalla Churches’ Mutual Credit Union, cooperativa di credito cui già aderiscono, oltre alle comunità anglicane di Inghilterra, Galles e Scozia, anche la Methodist Church of Great Britain, la Scottish Episcopal Church e la United Reformed Church. «Sono lieto — ha dichiarato in proposito il primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Can- terbury, Justin Welby — che la Chiesa cattolica in Inghilterra e Galles e in Scozia sia ora sotto l’ombrello della Churches’ Mutual Credit Union. Questo segna un enorme passo avanti nel nostro impegno per costruire una forte unione nel settore del credito, non solo nelle aree più povere di questo paese ma per tutti». L’ingresso della Chiesa cattolica nei fondi della Churches’ Mutual Credit Union consente di fornire nuovo impulso a una realtà ancora giovane, poiché è sorta solo due anni fa. Sono infatti circa 37.000, viene stimato, i nuovi potenziali aderenti al fondo, calcolando oltre al clero cattolico, anche il personale delle diocesi e delle scuole cattoliche. «Sono felice — ha dichiarato il cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles — di entrare a far parte della Churches’ Mutual Credit Union. Il loro lavoro oggi è molto importante in quanto si tratta di un istituto finanziario che riflette direttamente il nostro sforzo condiviso per dare a tutti l’opportunità di gestire finanziariamente al meglio le proprie risorse. Questa Credit Union riecheggia aspetti chiaramente importanti della nostra comprensione cristiana di lavorare insieme per il bene comune». † Il Collegio degli Scrittori e la comunità religiosa de «La Civiltà Cattolica» si unisce ai nipoti nell’annunciare la morte del Padre LUCIANO CALDIROLI S.I. avvenuta nella notte di domenica 5 febbraio 2017. Lavoratore instancabile e coraggioso, a partire dagli anni ’50 ha contribuito con passione e spirito di servizio al buon funzionamento della Rivista, servendo la Compagnia di Gesù in circostanze anche difficili. La loro preghiera lo accompagna. Le esequie hanno avuto luogo lunedì 6 febbraio, alle ore 10.30, nella Cappella della Civiltà Cattolica in via di Porta Pinciana 1 Roma. La salma è stata tumulata nel cimitero di Legnano. † Il Cardinale Prefetto della Segreteria per l’Economia, S.Em.za George Pell, il Segretario Generale, Monsignor Alfred Xuereb e il Segretario per la Sezione Amministrativa, Monsignor Luigi Mistò unitamente agli ufficiali tutti, partecipano con la preghiera e le più sentite condoglianze al lutto del dottor Emilio Ferrara per la morte del papà GIO CONDINO FERRARA Città del Vaticano, 7 febbraio 2017 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 8 febbraio 2017 pagina 7 Il logo dell’incontro in corso alla Casina Pio IV Giornata mondiale contro la tratta Si sono aperti con il saluto del vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle scienze, i lavori del summit sul traffico di organi e sul cosiddetto “turismo dei trapianti”, che si svolge il 7 e l’8 febbraio alla Casina Pio IV in Vaticano. Il tema dell’incontro — introdotto da Francis Delmonico, chirurgo e docente statunitense, particolarmente esperto nel campo dei trapianti di organi, e da Jeremy Chapman, direttore della divisione di medicina e cancro all’ospedale Wesrmead di Sydney — è stato affrontato a partire da due documenti di grande rilevanza sul tema del traffico di organi umani: la dichiarazione di Istanbul (2008) e la convenzione del Consiglio d’Europa (2014). Il primo testo, in particolare, è stato al centro dell’intervento di Alexander Capron, co-direttore del Centro pacifico per la politica sanitaria ed etica. Molti dei partecipanti al summit sono stati presenti alla redazione di questo documento, avvenuta nella capitale turca tra il 30 aprile e il 2 maggio 2008, durante la riunione promossa dalla Transplantation Society e dalla International Society of Nephrology. La dichiarazione afferma che tutti i paesi hanno bisogno di un inquadramento giuridico e professionale per disciplinare la donazione di organi e le attività di trapianto, così come di una supervisione trasparente da parte di un sistema normativo che garantisca la sicurezza del donatore e del ricevente e il rispetto di standard e divieti in materia di pratiche non-etiche. Gli estensori della dichiarazione hanno anche riconosciuto che le pratiche non rispettose dei principi etici sono, in parte, una indesiderabile conseguenza della carenza globale di organi per trapianto. Per questo, viene richiesto a ogni Bambini, non schiavi di ANNA POZZI Alla Casina Pio IV incontro sul traffico di organi Dalla parte delle vittime paese di impegnarsi a garantire l’applicazione di programmi volti a fornire un numero sufficiente di organi per il trapianto in grado di soddisfare le esigenze dei propri cittadini, anche attraverso politiche adeguate riguardo ai donatori. Temi, questi, ripresi anche da Marta López Fraga, del comitato europeo sul trapianto di organi, che ha fatto riferimento alla convenzione adottata nel luglio 2014 dal Consiglio d’Europa con l’obiettivo di sanzionare penalmente il traffico di organi a fini di trapianto, di proteggere le vittime e di facilitare la cooperazione a livello nazionale e internazionale per perseguire più efficacemente i responsabili. La mattinata si è conclusa con una panoramica delle situazioni in alcuni paesi dell’America (Canada, Stati Uniti, Messico, Guatemala, Perú, Costarica, Nicaragua, Colombia, Argentina Brasile) e dell’Africa (Egitto, Nigeria, Libia, Sudan, Eritrea, Somalia, Sud Africa e regione sub-sahariana). «Sono bambini, non schiavi!». È il tema scelto per la terza giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone che si celebra l’8 febbraio. Ovvero nel giorno della festa liturgica di santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e divenuta religiosa canossiana, e quindi canonizzata nel 2000. Un simbolo, ancora oggi, per tante donne, uomini e bambini che lottano per spezzare le catene delle moderne schiavitù. Il tema si ispira anche al messaggio di Papa Francesco per la giornata dei migranti, dedicata proprio ai minori: «specialmente quelli soli», scrive il Pontefice, che sollecita tutti «a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari». Sono soprattutto loro, infatti, che rischiano di finire nelle più Inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale vaticano L’ottantottesimo anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano sarà inaugurato sabato 18 febbraio. Alle 9, nella cappella di Maria Madre della Famiglia, nel palazzo del Governatorato, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, celebrerà la messa. Seguirà, nell’Aula vecchia del sinodo, la relazione del promotore di giustizia, Gian Piero Milano. Scott Erickson, «Trafficked» In Giappone beatificato Justus Takayama Ukon Il principe missionario «Infaticabile promotore dell’evangelizzazione del Giappone», Justus Takayama Ukon «fu un autentico guerriero di Cristo, non con le armi di cui era esperto, ma con la parola e l’esempio». È il profilo spirituale del martire laico che il cardinale Angelo Amato ha beatificato martedì 7 febbraio, durante la celebrazione presieduta a Osaka in rappresentanza di Papa Francesco. Il prefetto della Congregazione delle cause dei santi all’omelia ha ricordato come il nuovo beato (1552-1615), «educato all’onore e alla lealtà», maturò una «fedeltà al Signore Gesù così fortemente radicata da confortarlo nella persecuzione, nell’esilio, nell’abbandono». Infatti, ha aggiunto, «la perdita della sua posizione di privilegio e la riduzione a una vita povera e di nascondimento non lo rattristarono, ma lo resero sereno e perfino gioioso, perché si manteneva fedele alle promesse del battesimo». Del resto, la singolare biografia di Justus è quella di «un principe di altissimo rango, appartenente alla classe più nobile del Giappone», che all’alba dell’evangelizzazione del suo Paese decide di abbracciare con entusiasmo la nuova fede portata dai missionari gesuiti. Anzi, ha sottolineato il celebrante, «con l’intento di diffondere il cristianesimo, fonda seminari per la formazione di catechisti» autoctoni, tra i quali molti subirono il martirio, come san Paolo Miki. Ma quando venne ordinata «l’espulsione dei missionari, interrompendone così la feconda attività evangelizzatrice», Justus piuttosto che abbandonare la fede scelse l’esilio. Riabilitato nel 1592, purtroppo nel 1614 subì l’emanazione di un nuovo editto che ingiungeva di abbandonare il cristianesimo. «Il rifiuto — ha ricordato il cardinale Amato — costò a Justus un sofferto periodo di privazioni e di solitudine. Prima deportato a Nagasaki, fu poi condannato all’esilio nelle Filippine». Insieme con trecento cristiani raggiunse Manila dopo una lunga e travagliata navigazione durata 43 giorni. Indebolito dalle malattie contratte durante la deportazione, si spense nella capitale filippina 44 giorni dopo l’arrivo. «Aveva 63 anni — ha spiegato il porporato — la maggior parte dei quali passati come straordinario testimone della fede cristiana in tempi difficili di contrasti e di persecuzione». In pratica, ha detto ancora il prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, il nuovo beato «visse da cristiano, non considerando il Vangelo come una realtà estranea alla cultura giapponese». Anzi «d’accordo con l’approccio dei missionari gesuiti, egli puntava esclusivamente sull’annuncio del Vangelo e sulla figura di Gesù, che donava la vita per la salvezza degli uomini e per la loro liberazione dal male e dalla morte». Al punto che «gli ultimi mesi della sua esistenza furono un continuo corso di esercizi spirituali, accompagnato dalla preghiera, dai sacramenti, dal raccoglimento e dalle conversazioni spirituali con i missionari». E fu «con questi sentimenti» che «accolse la morte offrendo la vita per la conversione del Giappone, pregando e perdonando i suoi persecutori. Spirò — ha rimarcato il cardinale Amato — invocando il nome di Gesù e consegnando come il protomartire Stefano il suo spirito al Signore». Infine il porporato ha attualizzato la propria riflessione evidenziando l’eredità che Justus ha lasciato ai cristiani giapponesi. Egli, ha detto, «viveva di fede. E la viveva valorizzando le tradizioni della sua cultura». Con «il suo comportamento autenticamente evangelico aveva colto il messaggio centrale di Gesù, la legge della carità. Per questo era misericordioso con i suoi sudditi, aiutava i poveri, dava il sostentamento ai samurai bisognosi. Fondò la confraternita della misericordia. Visitava gli ammalati, era generoso nell’elemosina, portava assieme al padre la bara dei defunti che non avevano famiglia e provvedeva a seppellirli». Inoltre, ha concluso, «la spiritualità ignaziana lo spingeva alla meditazione, al silenzio, alla preghiera, al raccoglimento, alla mortificazione, al discernimento, alla rinuncia a se stesso». cupe zone d’ombra del grave sfruttamento che coinvolge, nel mondo, dai 21 ai 35 milioni di persone, costrette a prostituirsi o ai lavori forzati, ma anche “usate” per espianto illegale di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimoni precoci, adozioni illegali, gravidanze surrogate e reclutamento di bambini-soldato. Sono loro i nuovi schiavi del XXI secolo. Per questo — su sollecitazione di Papa Francesco che infaticabilmente denuncia quello che definisce «un crimine contro l’umanità» — è stata istituita nel 2015 la giornata mondiale ecclesiale contro la tratta, che viene promossa a livello internazionale da Talitha Kum, la rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone, in coordinamento con la Congregazione per gli istituti la vita consacrata e le società di vita apostolica, il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, la Pontificia Accademia delle scienze, Caritas internationalis, l’Unione internazionale delle associazioni femminili cattoliche (WUCWO) e il gruppo di lavoro contro la tratta della commissione giustizia e pace delle Unioni internazionali delle superiore e dei superiori generali (Uisg-Usg). «Ufficialmente — ricorda suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana, coordinatrice del comitato per la giornata — la schiavitù è stata abolita due secoli fa. Di fatto, però, non abbiamo mai avuto tanti schiavi nel mondo come oggi. E tra questi, circa un terzo sono minori. Un fenomeno in continua crescita, estremamente preoccupante e drammatico». Si calcola infatti che, negli ultimi trent’anni, circa trenta milioni di bambini siano stati coinvolti nella tratta. E ancora oggi, nel mondo, ogni due minuti, una bambina o un bambino è vittima di sfruttamento sessuale. Mentre sono più di duecento milioni quelli costretti a lavorare, spesso in gravi condizioni di sfruttamento. Per un giro d’affari illegale stimato globalmente attorno ai 150 miliardi di euro. Un business enorme, che in alcune regioni del pianeta, compresa l’Europa, rende più del traffico di droga e di armi. Le iniziative legate a questa giornata si sono moltiplicate, in questi anni, sia in Italia sia nel mondo, arrivando a coinvolgere ben 154 paesi. In Italia, sono cominciate già nei giorni scorsi, con un seminario che si è tenuto il 3 febbraio presso la Pontificia università Gregoriana, sul tema della giornata 2017: «“Sono bambini, non schiavi!”. Voci di donne a confronto, sulla tratta di bambini, bambine e adolescenti». Vi ha partecipato, tra gli altri, il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Il giorno successivo, nella parrocchia romana di Ognissanti, si è tenuta una veglia di preghiera contro il traffico di esseri umani, presieduta dal vescovo ausiliare Gianrico Ruzza. Inoltre nella mattina di mercoledì 8, proprio in coincidenza con la giornata, tutto il comitato partecipa all’udienza generale di Papa Francesco. E in serata, alla Casa internazionale delle donne di Roma, l’associazione Slaves no more, presieduta da suor Eugenia Bonetti — da oltre vent’anni in prima fila per combattere la tratta e proteggere le vittime — organizza un convegno per fare il punto sulla situazione italiana, tra criticità, sfide e buone pratiche. Il tema è: «Accoglienza, legalità, inclusione per le vittime di traffico degli esseri umani. Non si tratta!». Saranno presenti esperti e politici, ma soprattutto persone che lavorano sul campo per prevenire la tratta e proteggere le vittime. Per l’occasione, verrà presentato anche il libro Il coraggio della libertà (Cinisello Balsamo, Paoline, 2017, pagine 176, euro 13) di Blessing Okoedion, giovane nigeriana, ex vittima di tratta, che ha avuto non solo il coraggio di denunciare, ma anche di raccontare la sua storia. Altro importante avvenimento, a Milano, dove il Pontificio istituto missioni estere (Pime), in collaborazione con Caritas ambrosiana e Mani Tese, organizza un convegno su «Migrazioni e traffico di esseri umani», riservato in particolar modo a giornalisti, insegnanti e assistenti sociali. Molte iniziative si svolgeranno in altre parti d’Italia, dove si sono mobilitate diocesi, parrocchie, as- Ascoltiamo il grido di tanti bambini schiavizzati. Nessuno resti indifferente al loro dolore. @M_RSezione (@Pontifex_it) sociazioni, scuole, biblioteche, a testimonianza di una crescente attenzione nei confronti di questa piaga. Lo stesso sta avvenendo in tutto il mondo. «Questo terribile fenomeno ci deve riguardare e preoccupare per via della nostra fede, ma anche semplicemente perché siamo umani», ha fatto notare suor Carmen Sammut, presidente dell’Uisg. «Penso — ha proseguito — che se si incontra qualcuno che è stato vittima del traffico, non si possa dormire tranquilli fintanto che non si è fatto qualcosa. L’incontro anche solo con una persona vittima di tratta deve cambiare la nostra vita». È lo scopo anche di questa giornata: creare più consapevolezza attorno a questo drammatico fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e ingiustizia che colpisce tante persone, che non hanno voce, non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi. Al contempo, si vuole stimolare tutti i soggetti istituzionali, ecclesiali e della società civile a dare risposte concrete e appropriate alle moderne forme di tratta di esseri umani. È quello che stanno già facendo moltissime religiose in Italia e nel mondo, grazie a reti nazionali e internazionali, come Renate in Europa o, appunto, come Talitha Kum, che è presente in settanta paesi e cinque continenti. «Le religiose — precisa suor Sammut — sono coinvolte a diversi livelli: identificazione e aiuto alle vittime, promozione delle loro capacità di ottenere giustizia, protezione dei gruppi più vulnerabili, istruzione, educazione, sensibilizzazione, attività di lobbying. Ma dobbiamo diventare più consapevoli anche di come ciascuno di noi può diventare complice della tratta e delle nuove schiavitù attraverso le proprie abitudini di vita e di consumo. E ricordare quanto ci dice Papa Francesco, ovvero che “l’acquisto non è solo un fatto economico, ma anche un’azione morale”». Ecco perché in questa giornata occorre ribadire, da un lato, la necessità di garantire diritti, libertà e dignità alle persone vittime del traffico e ridotte in schiavitù; e, dall’altro, denunciare sia le organizzazioni criminali sia coloro che usano e abusano della povertà e della vulnerabilità di milioni di persone per farne oggetti di piacere o fonti di guadagno, corpi-merce da vedere e comprare o braccia da sfruttare per il lavoro schiavo. «Dobbiamo unire le forze — insiste Papa Francesco — per liberare le vittime e per fermare questo crimine sempre più aggressivo, che minaccia, oltre alle singole persone, i valori fondanti della società e anche la sicurezza e la giustizia internazionali, oltre che l’economia, il tessuto familiare e lo stesso vivere sociale». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 Nel messaggio per la quaresima il Papa attualizza la parabola di Lazzaro I poveri bussano alla nostra porta «Il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita». È quanto ricorda Papa Francesco nel messaggio per la quaresima 2017, presentato martedì mattina, 7 febbraio. Incentrata sulla dimensione del dono, la riflessione del Pontefice riprende e attualizza la parabola evangelica dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. La Parola è un dono. L’altro è un dono Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2, 12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore. Gesù è l’amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr. Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016). La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla base di tutto c’è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr. Lc 16, 19-31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione. 1. L’altro è un dono La parabola comincia presentando i due personaggi principali, ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr. vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l’uomo degradato e umiliato. La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr. Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016). Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell’uomo ricco. 2. Il peccato ci acceca La parabola è impietosa nell’evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr. v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come “ricco”. La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell’argento e dell’oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr. Ger 10, 9) e ai re (cfr. Gdc 8, 26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest’uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l’amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr. Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013). Dice l’apostolo Paolo che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace. La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può per- Provocazione fondamentale In un mondo in cui circa ottocento milioni di persone soffrono la fame, in una società segnata da violenze e povertà fisiche e spirituali, è l’«attenzione all’altro» la provocazione fondamentale per ogni cristiano. È questo il cuore del messaggio del Papa per la prossima quaresima secondo monsignor Giampietro Dal Toso, segretario delegato del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, e Chiara Amirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti, che nella mattina di martedì 7 febbraio, hanno presentato il documento pontificio nella Sala stampa della Santa Sede. «È importante — ha detto il primo — capire quanto abbiamo bisogno dell’altro» e quanto il rapporto con l’altro «ci cambia la vita». In questo senso, il ricco della parabola evangelica citata nel messaggio è criticato «non perché pos- siede ricchezze, ma perché vive del suo io e non si apre all’altro». E la «scelta fondamentale per l’alterità» è stata sottolineata attraverso la concreta esperienza della comunità Nuovi Orizzonti. «Ho cominciato — ha raccontato Amirante — a percorrere di notte le strade per ascoltare il grido dei poveri e ho scoperto tante nuove povertà: droga, alcol, aids, prostituzione, bambini abusati, bulimia, anoressia... Ho capito che c’era bisogno di proporre un incontro, quello con la parola di Dio e con lo stile di vita del Vangelo». Oggi la comunità, nata all’inizio degli anni Novanta, conta 207 centri di accoglienza e formazione, mille équipe di servizio, e ben mezzo milione delle persone che, dopo essere state aiutate a uscire dai propri problemi, si sono fatte a loro volta protagoniste di evangelizzazione. mercoledì 8 febbraio 2017 nora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c’era posto per Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso. Solo tra i tormenti dell’aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po’ di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell’aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene. La parabola si protrae Fyodor Bronnikov, «Lazzaro alla porta dell’uomo ricco» e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. mettersi. Ma l’apparenza maschera il vuo- Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in to interiore. La sua vita è prigioniera vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzadell’esteriorità, della dimensione più su- ro da loro per ammonirli; ma Abramo riperficiale ed effimera dell’esistenza (cfr. sponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltiibid., 62). no loro» (v. 29). E di fronte all’obiezione Il gradino più basso di questo degrado del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano morale è la superbia. L’uomo ricco si ve- Mosè e i profeti, non saranno persuasi ste come se fosse un re, simula il porta- neanche se uno risorgesse dai morti» (v. mento di un dio, dimenticando di essere 31). semplicemente un mortale. Per l’uomo In questo modo emerge il vero problecorrotto dall’amore per le ricchezze non ma del ricco: la radice dei suoi mali è il esiste altro che il proprio io, e per questo non prestare ascolto alla Parola di Dio; quele persone che lo circondano non entrano sto lo ha portato a non amare più Dio e nel suo sguardo. Il frutto dell’attaccamen- quindi a disprezzare il prossimo. La Paroto al denaro è dunque una sorta di cecità: la di Dio è una forza viva, capace di susciil ricco non vede il povero affamato, pia- tare la conversione nel cuore degli uomini gato e prostrato nella sua umiliazione. e di orientare nuovamente la persona a Guardando questo personaggio, si com- Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che prende perché il Vangelo sia così netto nel parla ha come conseguenza il chiudere il condannare l’amore per il denaro: «Nessu- cuore al dono del fratello. no può servire due padroni, perché o Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si af- tempo favorevole per rinnovarsi nell’infezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non contro con Cristo vivo nella sua Parola, potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore 24). — che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore — ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cam3. La Parola è un dono mino di conversione, per riscoprire il doIl Vangelo del ricco e del povero Lazza- no della Parola di Dio, essere purificati ro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua dal peccato che ci acceca e servire Cristo che si avvicina. La liturgia del Mercoledì presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio delle Ceneri ci invita a vivere un’esperien- tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovaza simile a quella che fa il ricco in manie- mento spirituale anche partecipando alle ra molto drammatica. Il sacerdote, impo- Campagne di Quaresima che molti organendo le ceneri sul capo, ripete le parole: nismi ecclesiali, in diverse parti del mon«Ricordati che sei polvere e in polvere torne- do, promuovono per far crescere la cultura rai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono dell’incontro nell’unica famiglia umana. entrambi e la parte principale della para- Preghiamo gli uni per gli altri affinché, bola si svolge nell’aldilà. I due personaggi partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo scoprono improvvisamente che «non ab- aprire le nostre porte al debole e al povebiamo portato nulla nel mondo e nulla ro. Allora potremo vivere e testimoniare in possiamo portare via» (1 Tm 6, 7). pienezza la gioia della Pasqua. Anche il nostro sguardo si apre all’aldiDal Vaticano, 18 ottobre 2016 là, dove il ricco ha un lungo dialogo con Festa di San Luca Evangelista Abramo, che chiama «padre» (Lc 16, 24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché fi- Messa a Santa Marta Ritorno alle origini per capire chi è l’uomo e, soprattutto, chi è l’uomo agli occhi di Dio. Seguendo i suggerimenti della liturgia della parola, Papa Francesco, nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 7 febbraio, si è soffermato a riflettere sulla creazione e sul grande amore che il Signore nutre per l’uomo. Il Pontefice ha innanzitutto ripreso uno dei versetti del salmo responsoriale: «O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra» per ricordare come la Chiesa, in questi giorni, «ci porta a lodare tanto il Signore». E, proseguendo nella lettura del salmo 8 — «Ma, Signore, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? Il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» — ha sottolineato come questo esprima «l’ammirazione davanti alla tenerezza, all’amore di Dio: perché tu ti comporti così con noi? Non siamo niente, ma tu sei grande...». La risposta si trova nella prima lettura che riporta il racconto della creazione tratto dalla Genesi (1, 20 - 2, 4). Lì si legge, infatti, alla fine del sesto giorno: «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. Domini sui pesci del mare, gli uccelli...”. E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. E li benedisse e disse loro: “Siate fecondi, moltiplicatevi; riempite la Terra; soggiogatela; dominate sui pesci del mare...”». Cioè, ha detto il Papa, «Dio dà tutto all’uomo. E la creazione dell’uomo e della donna è l’incoronazione di tutta la crea- Questione di dna zione del mondo, è il fine». Ma, si è chiesto, «cosa ci dà Dio» per farci dire nel salmo: «Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?». Émile Bernard, «Adamo ed Eva» (1888) «Prima di tutto — ha risposto — ci ha dato il dna, cioè ci ha fatto figli, ci ha creati a sua immagine, a sua immagine e somiglianza, come lui». E, ha aggiunto il Pontefice, «che gli assomigli tanto o poco, è figlio: ha ricevuto l’identità». Si tratta di un legame che resta. E così «se il figlio diventa buono, il padre è orgoglioso di quel figlio» e dice: «ma guarda che bravo!». Ugualmente, se il figlio «è un po’ bruttino», il padre comunque dirà: «è bello!», perché «il padre è così, sempre». E ancora: «se è cattivo, il padre lo giustifica, lo aspetta...». Lo stesso Gesù, del resto, «ci ha insegnato come un padre sa aspettare i figli». In definitiva, Dio «ci ha dato questa identità di figli». Addirittura possiamo dire: «Siamo “come dei”, perché siamo figli di Dio». E Dio «è contento, perché ha sulla terra un figlio, come ne ha un altro in cielo. È felice il Signore: “È molto buono”, dice a se stesso». Questa, quindi, è la prima cosa che Dio ha dato all’uomo nella creazione. Le seconda è insieme un «dono» e un «compito». Cioè, ha spiegato Francesco, «ci ha dato tutta la terra». Infatti nella Scrittura si legge: «Domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio dice agli uomini: «riempite la terra, soggiogatela, dominate sui pesci del mare e su ogni essere vivente». Dio, cioè, «ha dato la regalità: è un re, l’uomo. È quello che domina. Così lo vuole il Signore: non lo vuole schiavo, lo vuole signore». E cosa comporta questa signoria? Comporta «il compito di portare avanti il Creato», cioè «un lavoro». Il Pontefice si è soffermato su quest’ultimo aspetto: «Come lui ha lavorato nella creazione, ha dato a noi il lavoro, ha dato il lavoro di portare avanti il creato. Non di distruggerlo; ma di farlo crescere, di curarlo, di custodirlo e farlo portare frutto avanti». Tra l’altro, ha aggiunto, c’è un fatto «curioso»: Dio «ha dato tutto», ma «non ci ha dato i soldi». Non a caso «dicono le nonne, che il diavolo entra dalle tasche...». L’ultimo dono indicato dal Pontefice si trova proseguendo nella lettura della Genesi: «Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò». Cioé: «la terza cosa che ha dato è l’amore». Dio dice: «Non è buono che l’uomo viva da solo. E ha fatto la compagna». A tale proposito Papa Francesco ha confidato che a volte, ascoltando «qualche musica che cerca di dire questo», gli «piace pensare» come potrebbe essere stato «quel primo dialogo, quando tutti e due si guardavano; il dialogo tra l’uomo e la donna, il dialogo dell’amore». Riassumendo, Dio ha detto all’uomo: «Tu sei il figlio, tu devi fare questo: custodire il creato, lavorare, andare avanti. E amare. Perché io sono amore e ti do questo». Di fronte a ciò viene da esclamare con la Scrittura: «Sei grande, Signore, sei grande! Che cosa è mai l’uomo, perché tu di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Davvero, lo hai fatto poco meno di un Dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani: tutto hai posto sotto i suoi piedi. O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!». Dio, ha detto il Pontefice, «ci ha dato l’identità: abbiamo la stessa identità di Dio, siamo figli di Dio. Siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Ci ha dato il dono della terra, del creato: “Tutto è vostro, ma per portarlo avanti, per custodirlo, non per distruggerlo!”». E «questo si fa con il lavoro: il lavoro è un dono di Dio e quando una persona non ha lavoro, si sente senza dignità, le manca qualcosa che viene da Dio». Infine Dio «ci ha dato l’amore: l’amore che incomincia qui, nell’uomo e nella donna». Perciò, ha concluso, «ringraziamo il Signore per questi tre regali che ci ha dato: l’identità, il dono-compito e l’amore. E chiediamo la grazia di custodire questa identità di figli, di lavorare sul dono che ci ha dato e portare avanti con il nostro lavoro questo dono, e la grazia di imparare ogni giorno ad amare di più».