numero 8 - Giardinaggio Indoor

Transcript

numero 8 - Giardinaggio Indoor
NUMERO OTTO
GENNAIO/FEBBRAIO 2008
Giardinaggio Indoor
www.giardinaggioindoor.it
[email protected]
Pubblicazione e distribuzione gratuita
---------------------------RESPONSABILE DI REDAZIONE
Michel Venturelli
CAPOREDATTORE
Massone Giada
REDAZIONE
Massone Giada
Michel Venturelli
Cantabrina Glauco
Manzilli Clementina
Lodi Lidia
Roccatagliata Giustina
COLLABORATORI DI REDAZIONE
Noucetta Kehdi
William Texier
Mal Lane
Andrea Sommariva
Christian Cantelli
---------------------------CONTATTI
[email protected]
PUBBLICITÀ
[email protected]
GIARDINAGGIO INDOOR È UNA PUBBLICAZIONE
BIMESTRALE A DISTRIBUZIONE GRATUITA EDITA DA:
Michel Venturelli
Casella Postale 207
6500 Bellinzona 5
Svizzera
---------------------------GIARDINAGGIO INDOOR È DISPONIBILE
PRESSO I DISTRIBUTORI UFFICIALI:
Indoorline (GE)
Italgrow (GE)
MCK Bio-Gardening (LI)
Arios Grow Shop (CA)
Greentown Biogardening Growshop (MI)
Il Giardino Idroponico (VE)
Growshop (NO)
Fronte del porto (SP)
City Jungle (UD)
IndoorHeart (PR)
I contenuti della pubblicazione sono di proprietà
dell’editore, nessuna parte della rivista può
essere utilizzata senza espresso consenso dell’editore.
Le opinioni contenute nella pubblicazione ed espresse
negli articoli dai giornalisti partecipanti alla redazione
sono da considerarsi personali e
non necessariamente condivise dall’editore.
Foto copertina: Matt Smith
Foto pagina 3: Everton Hadley
EDITORIALE
4
GLI ORMONI NELLE
PIANTE (SECONDA PARTE)
5
PIANTE RESISTENTI
ALLA SICCITÁ
7
L’IMPORTANZA DEL pH
10
COLTIVARE
PEPERONCINI
NELLA LANA DI ROCCIA
13
PIANTE CARNIVORE
18
(SECONDA PARTE)
NEWS
27
L'ESPERTO RISPONDE
30
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
In questo primo bimestre del 2008 vogliamo dedicare un articolo alla coltivazione fuori suolo di una delle varietà vegetali in assoluto
più amate del mondo: il peperoncino.
Dolce, piccante, rosso, giallo o verde, tondo, allungato, grande o piccolo vanta schiere di appassionatissimi che si dilettano nella
coltivazione, nella raccolta e nella degustazione di questo prodigioso e antichissimo frutto.
Originario del Messico fu importato in Europa da Colombo. Grazie anche alla sua capacità di adattamento divenne una delle spezie
più usate anche nel vecchio mondo, dove si diffuse quasi subito.
Oltre al noto utilizzo culinario il peperoncino è un antibatterico e antimicotico utilizzato spesso nella conservazione dei cibi, ha
proprietà antiossidanti, favorisce la digestione e allevia alcuni sintomi nelle malattie da raffreddamento.
Per gli appassionati italiani è d'obbligo una visita al sito, provvisto di frequentatissimo forum, schede e fotografie
www.peperonciniamoci.it.
Su questo numero pubblichiamo inoltre la seconda parte di due interessanti articoli: Siglinde ci illustra ancora la funzione degli
ormoni nelle piante e Fabio d'Alessi dell'A.I.P.C. prosegue nell'introduzione al mondo delle popolarissime piante carnivore, un
genere che suscita sempre curiosità.
E' utile infine, per un buon inizio dell'anno, un bel ripasso delle basi: il pH nelle coltivazioni domestiche, capire cos'è e come gestirlo
al meglio.
In chiusura come sempre i consigli dell'esperto in fuori suolo e alcune interessanti notizie dal mondo nella rubrica delle news, dove
scoprirete un battello davvero speciale che porta nel cuore di New York un messaggio importante a favore dell'ambiente e delle
tecnologie ecocompatibili, oltre ad ottime verdure idroponiche.
FOTO: HILDE VANSTRAELEN
Gli ormoni vegetali e quelli umani hanno
alcune caratteristiche in comune, ma
quelli delle piante non vengono prodotti
attraverso ghiandole e vengono trasportati
direttamente attraverso le pareti cellulari.
Nel precedente capitolo della nostra guida
abbiamo parlato dell'auxina, l'ormone più
conosciuto, sintetizzato per la produzione
di polveri radicanti per talee.
Adesso vediamo gli altri tipi di ormoni,
non meno importanti per le funzioni della
pianta:
le gibberelline
le citochinine
l'acido abscissico
e l'etilene.
Come abbiamo già visto l'auxina influenza
lo sviluppo delle radici e viene prodotta
nelle parti verdi più giovani; si muove
all'interno della pianta in una maniera
particolare, attraversando direttamente le
pareti delle cellule, per fluire in una
direzione soltanto. Ogni cellula contiene le
informazioni relative alla posizione delle
foglie e delle radici, e questo permette un
“orientamento” tale da inviare l'ormone
esattamente dove è richiesto, anche se la
pianta viene capovolta.
parti del mondo, Europa compresa.
Sono state individuate 110 differenti
tipologie di gibberelline, il 30% delle quali
sono biologicamente attive; quel 70%
restante può comunque essere attivato da
piccoli cambiamenti.
Nonostante queste varietà abbiano
differenze strutturali molto piccole, le loro
funzioni possono differire parecchio.
Una delle proprietà che più colpiscono è
quella di far crescere in maniera normale,
fino al raggiungimento dell'altezza
standard, cultivar geneticamente nane o
mutanti: si tratta di un effetto che
soltanto le gibberelline hanno, essendo
strettamente connesse con il processo di
allungamento del fusto.
Questi ormoni sono spesso utilizzati nella
stimolazione della fioritura, ma svolgono
un ruolo di primo piano anche nella
germinazione del seme, nella divisione
cellulare e nella fruttificazione.
Una concentrazione troppo elevata di
gibberelline dà effetti contrari a quelli
desiderati: crescita rapida caratterizzata da
fusto debole e allungato, carenza di
raccolto, salute generale precaria.
Come nel caso dell'auxina, questi ormoni
vengono utilizzati nelle colture commerciali nella gestione delle coltivazioni da
frutto, nella produzione di malto e orzo
(per accelerare la germinazione delle
piante e in seguito la fermentazione della
birra) e nell’allungamento della canna
da zucchero, con un risultante aumento
della resa.
Altri impieghi: per aumentare la grandezza
dell’uva priva di semi; applicate sui frutti
degli agrumi le gibberelline ritardano la
senescenza, così i frutti possono rimanere
sull’albero più a lungo in modo tale da
estendere il periodo commerciale.
Nelle piante superiori la gibberellina è
prodotta dai meristemi apicali a subapicali
del fusto, dalle giovani foglioline, dai
editoriale
4
Nel 1926 in Asia era molto diffusa una
malattia del riso nota col nome di “foolish
seedling”, “crazy rice-sprout disease” o
“piantina sciocca”, che causava una crescita
estremamente veloce di germogli allungati
ed esili, incapaci di resistere al vento e alla
pioggia e di dare semi. In quell'anno il
professor Eiichi Kurosawa scoprì che
l'anomalo sviluppo era da imputare alla
secrezione di un fungo, il fungus
gibberella, al cui principio attivo venne
dato, anni dopo, il nome di acido
gibberellico.
Oggi il fungus gibberella fujikuroi è
classificato come fusarium moniliforme e
ne è stata accertata la presenza in diverse
gli ormoni nelle piante - seconda parte -
LE GIBBERELLINE
5
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
giovani embrioni e dal seme, e viene
trasportata attraverso il sistema di circolazione centrale.
Le citochinine innescano la proliferazione
cellulare in tessuti che contengono una
concentrazione ottimale di auxine:
entrambi questi ormoni partecipano alla
regolazione del ciclo cellulare, l’auxina
regola gli eventi che portano alla
replicazione del DNA, mentre le
citochinine regolano gli eventi che portano
alla mitosi.
Le Citochinine inoltre promuovono la
sintesi di proteine fotosintetiche.
Una talea, immersa nell'acqua e nei
nutrienti, inizia a crescere solo nel
momento in cui sviluppa la prima radice:
qualcosa a livello radicale infatti promuove
lo sviluppo di foglie e proteine.
Di cosa si tratta?
Se somministriamo citochinina alla talea,
questa comincerà immediatamente a
crescere anche senza radici; questa è una
proprietà peculiare di questo ormone.
Come è stato riportato nelle conclusioni
del “World Water Forum”, tenutosi
recentemente in Messico, la popolazione
mondiale sta crescendo in modo
allarmante e si stima che raggiungerà la
soglia dei sei miliardi entro la fine
dell’anno 2050.
Quel qualcosa infatti che le radici
producono e che dà il via alla crescita della
piantina è appunto la citochinina.
Questi ormoni vengono trasportati
passivamente dalle radici al germoglio
attraverso lo xilema.
Essi si muovono attraverso la pianta sotto
forma di nucleotidi, lungo la corrente di
traspirazione, insieme all’acqua e ai sali
minerali assorbiti dalle radici.
Una volta raggiunte le foglie possono
essere convertiti in basi libere o in
glucosidi. I glucosidi di Citochinine si
accumulano ad elevate concentrazioni
nelle foglie, e la loro presenza è rilevabile
anche nelle foglie più vecchie.
L’ACIDO ABSCISSICO
Questo ormone deve il suo strano nome al
suo coinvolgimento nell'ascissione, ossia la
perdita di una parte della pianta, come i
fiori o i frutti.
gli ormoni nelle piante - seconda parte -
Viene spesso definito ormone dello stress
per la sua efficacia nel reagire a situazioni
critiche con la chiusura degli stomi e conseguente riduzione della perdita dell’acqua
dovuta alla traspirazione. La chiusura degli
stomi è una evento immediato che può
essere osservato in pochi minuti.
Nei periodi freddi l'acido abscissico ritarda
lo sviluppo delle gemme e dei semi, in
caso di siccità promuove lo sviluppo
radicale a discapito di quello fogliare, in
antagonismo con l'auxina e le giberelline.
Di conseguenza, risulta di fondamentale
importanza riuscire a coltivare piante
anche in terreni che presentano in genere
caratteristiche svantaggiose.
E’ responsabile della senescenza delle
foglie, ed è la sostanza deputata alla
stimolazione della dormienza, e per tale
ragione è detta anche Dormina.
Le piante, durante l’evoluzione, hanno
sviluppato una serie di meccanismi di
adattamento per sopravvivere alle
condizioni ambientali più avverse.
[continua sul prossimo numero]
In alcuni casi sono in grado di sfuggire agli
stress ambientali, modificando per
esempio il proprio ciclo vitale; in altri casi
FOTO: STEPH P, RONNY SATZKE
6
Pertanto, anche la richiesta di cibo
aumenta molto rapidamente. Poiché per
produrre cibo serve
una quantità di
acqua pari a settanta
volte quella richiesta
per tutti gli altri usi
quotidiani, risulta
chiaro che ridurre i
consumi di acqua in
agricoltura è uno
degli
obiettivi
principali
della
ricerca nel settore
agronomico.
Inoltre la siccità,
assieme ad altri fattori come il freddo e
l’alta salinità del
terreno, è uno degli
stress abiotici che limitano maggiormente
la distribuzione geografica delle specie
coltivate e che compromettono la crescita e
la produttività delle piante.
tollerano le avversità, attivando meccanismi di difesa o di adattamento; inoltre
possono sfruttare barriere morfologiche o
fisiologiche, come la chiusura degli stomi o
la presenza di spesse cuticole, per non
rischiare un’eccessiva traspirazione.
Una delle risposte più immediate delle
piante a condizioni di carenza idrica per
limitare la traspirazione, consiste nella
chiusura dei pori stomatici, dovuta alla
perdita di turgore delle cellule di guardia
che li circondano.
Gli stomi (dal greco “stoma”, cioè bocca)
sono dei veri e propri pori presenti sulla
superficie degli organi verdi delle piante,
Tale processo è regolato dall’ormone acido
abscissico, i cui livelli aumentano in
risposta alla siccità.
circondati da due cellule, chiamate cellule
di guardia degli stomi. Attraverso tali pori
avviene l’ingresso di anidride carbonica,
utilizzata dalla pianta nel processo fotosintetico, e la fuoriuscita di acqua per
traspirazione. Ogni anno circa il 40% del
carbonio atmosferico (300x1015 g di C)
attraversa gli stomi e poco meno della
metà viene assimilato nei prodotti della
fotosintesi. Inoltre, tramite la traspirazione
attraverso gli stomi, ogni anno vengono
persi circa 30-40x1018 g di vapor d’acqua.
La perdita d’acqua deve essere compensata
dall’assorbimento radicale, che dipende
dalla disponibilità d’acqua del terreno.
L’apertura degli stomi riflette quindi un
compromesso tra il fabbisogno fotosintetico di CO2 e la disponibilità di acqua.
Recenti studi nella
pianta
modello
Arabidopsis thaliana
hanno
mostrato
come sia possibile
ottenere piante più
tolleranti alla siccità,
modificando alcune
componenti
del
sistema di trasduzione del segnale delle
cellule di guardia.
Per esempio, aumentando l’espressione
di geni che regolano
positivamente
la
risposta
all’acido
abscissico nelle cellule di guardia, è
possibile migliorare la risposta delle piante
allo stress idrico. Arabidopsis thaliana è
diventata negli ultimi anni un organismo
modello per lo studio della genetica e della
biologia molecolare e cellulare delle piante,
poiché possiede una serie di vantaggi:
piccole dimensioni (che la rendono ideale
negli spazi ristretti dei laboratori e delle
serre negli istituti di ricerca), ciclo vitale
breve (circa sei settimane), elevata produttività di semi (fino a 10000 semi per
pianta), ridotte dimensioni del suo
genoma (circa 125 milioni di paia di
nucleotidi, in soli cinque cromosomi),
primo ad essere stato sequenziato nel regno
vegetale. Un ulteriore vantaggio di
Arabidopsis è la semplicità con la quale si
piante resistenti alla siccità grazie alla mutazione di un gene
LE CITOCHININE
7
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
solo il 17%. Dopo sedici giorni le
differenze sono ancora più marcate:
mentre il mutante mantiene il 30% di
contenuto idrico, il controllo solo il 6%.
È interessante notare come le piante
mutanti nel gene AtMYB60 non
presentino, in condizioni standard di
crescita, nessuna anomalia morfologica e
di sviluppo rispetto alle piante non
geneticamente modificate, a differenza di
quanto avviene in molti casi in cui una
maggiore tolleranza alla siccità va a scapito
della produttività della pianta.
possono produrre piante transgeniche,
tramite il processo di trasformazione
genetica,
sfruttando
il
batterio
Agrobacterium tumefaciens per incorporare nuovo DNA nel genoma della pianta.
Tramite un’analisi dei profili di trascrizione su scala genomica in piante normali e
piante mutanti sono stati identificati
alcuni geni apparentemente regolati dal
fattore trascrizionale AtMYB60.
Per alcuni di essi è stato dimostrato un
ruolo nella risposta delle piante alla siccità,
avvalorando ulteriormente l’ipotesi di un
coinvolgimento diretto di AtMYB60 nella
regolazione di questo processo.
Dal 2000, anno in cui si è terminato il
sequenziamento del genoma di Arabidopsis,
il punto focale della ricerca su questa pianta
è diventato scoprire quale sia la funzione di
ognuno dei suoi circa 26 mila geni.
L’obiettivo è quello di estendere le conoscenze di base acquisite su questo organismo modello a specie di interesse agronomico per migliorarne le caratteristiche.
piante resistenti alla siccità grazie alla mutazione di un gene
8
Poiché l’apertura degli stomi nelle piante
mutanti è ridotta e queste risultano più
Nel nostro laboratorio è in corso la caratterizzazione della famiglia di geni MYB di
Arabidopsis, codificanti per fattori
trascrizionali, cioè proteine in grado di
legarsi al DNA e di attivare o reprimere
l’espressione di altri geni.
La nostra attenzione è stata rivolta
prevalentemente a geni della famiglia
MYB, la cui espressione è modulata in
risposta alla siccità, quindi con un
possibile ruolo nella risposta a tale stress.
Uno di essi è risultato essere il gene
AtMYB60 espresso in normali condizioni
di crescita, ma non in risposta alla siccità e
alla somministrazione di acido abscissico
ed espresso in modo estremamente
specifico solo nelle cellule di guardia degli
stomi. In piante portanti una mutazione in
AtMYB60 che lo rende completamente
inattivo, i pori stomatici, in normali
condizioni di crescita, presentano
un’apertura ridotta rispetto alle piante di
controllo. Queste piante mutanti, in
condizioni di siccità, presentano una
drastica riduzione del tasso di traspirazione
e, di conseguenza, una maggior resistenza
Mappe: su gentile concessione del sito http://www.agriregionieuropa.it/
al disseccamento. Infatti, come mostrato
nella figura, piante mutanti (a sinistra)
non bagnate per otto giorni presentano
foglie ancora verdi e turgide, mentre le
piante normali (a destra) mostrano
chiaramente gli effetti del disseccamento.
Un’analisi quantitativa del contenuto
d’acqua di queste piante ha mostrato che
gli individui mutanti dopo otto giorni di
disseccamento mantengono il 55% di
contenuto d’acqua relativo, a differenza
delle piante non mutanti che mantengono
resistenti alla siccità, la nostra ipotesi è che
la perdita della funzione del gene
AtMYB60 sia percepita dalle cellule di
guardia come un segnale che attiva la
risposta allo stress, producendo effetti
benefici a lungo termine durante la
disidratazione.
Lo studio, recentemente confluito in un
brevetto curato da Unimitt, apre nuove
possibilità per ridurre il consumo di acqua
in condizioni normali e incrementare la
sopravvivenza e la produttività delle specie
coltivate in condizioni di carenza idrica.
Le specie su cui abbiamo iniziato a
trasferire le conoscenze acquisite in
Arabidopsis sono pomodoro, una pianta
dicotiledone, e riso, una monocotiledone.
Le strategie che stiamo utilizzando
riguardano: l’identificazione e la modificazione in tali specie di geni ortologhi di
AtMYB60 (geni simili in termini di
sequenza ad AtMYB60 e che svolgono la
stessa funzione), per aumentare la tolleranza alla siccità e ridurre l’utilizzo di acqua;
lo sfruttamento delle sequenze regolative
di AtMYB60 o dei suoi ortologhi per far
esprimere altre proteine in modo specifico
nelle cellule di guardia.
Sempre con l’obiettivo di migliorare la
tolleranza agli stress.
http://www.sisuni.unimi.it/
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Per regolare il pH dovremo innanzitutto
misurarlo: tutti i fertilizzanti, gli ormoni
ed i prodotti aggiunti all'acqua modificheranno il pH dell'acqua in vario modo,
doveremo quindi effettuare la misurazione
sempre dopo aver aggiunto tutti gli
elementi del nostro liquido d'irrigazione.
Coltivando indoor prima o poi saremo
costretti ad affrontare problemi o
situazioni legate al livello di pH dell'acqua
di irrigazione o del terreno.
Per quest’ultimo i problemi sono relativi,
in quanto esso assolve ad un’importante
azione “tampone” nei riguardi delle
fluttuazioni del pH, la situazione cambia
radicalmente invece allorché si decida di
passare ad un sistema idroponico.
Prima di tutto specifichiamo cos'è il pH
esattamente: la scala che misura l'indice di
acidità/alcalinità di una sostanza.
Parte da 1 ed arriva a 14 dove 1 è la
sostanza più acida possibile mentre 14 la
più alcalina. A 7, cioè a metà, si trova il pH
cosiddetto neutro.
Il punto cruciale da sottolineare, ed il
principale motivo per cui a noi interessa il
pH dell'acqua irrigua, è che la disponibilità dei micro e macro nutrienti varia a
seconda del livello di pH dell'acqua.
(vedi tabella).
Per fare un esempio a pH 8,5 avremo una
discreta disponibilità di Potassio (K) ma
non avremo Ferro (Fe) e Fosforo(P).
Se le nostre piante non riceveranno una
dose equilibrata dei vari elementi ad esse
necessari si creeranno presto scompensi e
disturbi, le piante ad un determinato
livello di pH non assorbiranno alcuni
elementi i quali saranno presenti ad una
concentrazione via via sempre maggiore
nel liquido irriguo in un concatenarsi di
conseguenze; partendo da una soluzione
dal pH non ottimale si potrebbero venire a
creare situazioni dannose per la pianta in
breve tempo. Nell'esempio riportato in
foto una soluzione di pH 8 ha portato ad
una evidente carenza di Ferro (Fe),
dimostrata dalla clorosi delle foglie.
Per far sì che le nostre piante abbiano a
disposizione e ricevano la giusta dose di
nutrienti il pH dovrà rimanere entro una
determinata “fascia”.
Come già detto in precedenza la regolazione del pH varia a seconda del substrato, in
terra il pH della soluzione nutritiva si
dovrebbe attestare indicativamente tra 6 e
7, per il cocco la maggior parte dei
produttori di fertilizzante consiglia uno
scarto tra il 5,8 e il 6,2 mentre in
idroponica si tende ad usare preparazioni
leggermente più acide che dovrebbero
rimanere tra 5,5 e 5,8.
In linea di massima comunque l'acqua
dell'acquedotto pubblico è molto più
spesso basica che acida tranne nel caso in
cui essa non provenga da una cisterna.
Sarà molto più comune quindi dover
abbassare il livello del pH piuttosto che
doverlo alzare.
Per misurare il pH esistono sia test manuali che tester elettronici, ovviamente i test
manuali sono meno precisi e pratici, ma
sicuramente meno dispendiosi, e saranno
più adatti a un coltivatore in terra, mentre
per un uso più mirato e costante come
quello di un coltivatore in idroponica quelli
elettronici risulteranno quasi indispensabili.
Prendiamo ad esempio una vasca idroponica, per preparare la soluzione aggiungeremo acqua ed i fertilizzanti necessari e quindi effettueremo la misurazione del pH. Se
avessimo pH 8 dovremo abbassare tale
Sarà bene, soprattutto le prime
volte per prendere dimestichezza
col procedimento, avanzare per
tentativi, aggiungere un piccolo
quantitativo di acidificatore e
ricontrollare il pH dopo aver
mescolato bene.
Continuare finché non avremo
raggiunto il pH necessario. Con
un po’ di pratica, se si utilizzeranno sempre
la stessa acqua e gli stessi fertilizzanti e ci
segneremo o terremo a memoria di volta in
volta quanto pH-down abbiamo usato, col
tempo diventerà molto semplice regolare
il pH.
E’ bene far presente che il liquido irriguo
reagirà in modo diverso ai modificatori di
pH a seconda della sua densità.
Per abbassare il pH dell'acqua demineralizzata ad esempio servirà molto meno
pH-down di quanto ne servirebbe per
abbassare degli stessi gradi l'acqua del
rubinetto (spesso ricca di minerali e
calcio). Se poi si dovesse preparare in anticipo la soluzione e lasciarla “riposare”
(utile se usando acqua dell'acquedotto si
debba far evaporare il cloro) sarà bene
regolare il pH successivamente a tale procedimento e non in precedenza.
Un elemento piuttosto “pesante” che
spesso contribuisce a mantenere stabile il
pH del liquido irriguo è ad esempio il
Potassio (K).
l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche
l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche
La scala è algoritmica, il che significa che il
livello pH 5 è dieci volte più acido del pH
6 e quindi 100 volte più di pH 7, questo è
già un indice di come le fluttuazioni di pH
non siano un fenomeno trascurabile.
valore fino a 5,5 quindi dovremo
abbassare il pH, acidificare, di 2,5.
Per fare ciò esistono i prodotti
cosiddetti pH-down, disponibili
presso i Grow-shops sia liquidi
che in polvere.
10
11
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Uno dei tanti metodi per coltivare in
idroponica prevede l'uso di un substrato di
lana di roccia, versatile e gestibile, che offre
la possibilità di monitorare al meglio le
piantine. Questo articolo intende aiutare i
novelli coltivatori ad iniziare al meglio le
loro colture.
l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche
12
NB: Si sconsiglia vivamente l'uso di
rimedi fai-da-te per modificare il pH
dell'acqua o del terreno in ambito domestico a meno che non si sappia bene quel che
si sta facendo. Aggiungere cenere sulla
superficie del terriccio inacidisce sì ma può
causare una grave intossicazione delle
piante data dagli elementi presenti in essa,
aggiungere bicarbonato di sodio per alzare
il pH fa in modo che si creino sali
nell'apparato radicale che impediscono
l'assorbimento di qualsiasi sostanza da
parte dello stesso. Aggiungere succo di
limone abbasserà solo temporaneamente il
pH ma presto, essendo organico degraderà
ed il pH fluttuerà inesorabilmente.
Controllare e regolare il pH ad ogni irrigazione per la terra e con regolarità per
l'idroponica consentirà alle nostre piante
di avere a disposizione la quantità ottimale
di micro e macro elementi e la possibilità
di assorbirli in modo efficace garantendo
una migliore, più rapida e più produttiva
crescita.
AVVIO INDOOR
Come la vermiculite, l'argilla espansa e
altri materiali inorganici, la lana di roccia è
un medium neutro ed inerte che non
contiene nessun nutriente, ma con un alto
potere di assorbimento e mantenimento
dell'acqua.
Come il nome suggerisce la lana di roccia è
costituita da roccia disciolta dal calore e
solidificata successivamente in fibre
all'interno di appositi contenitori, che
viene successivamente tagliata nelle
pratiche forme che il nostro garden di
fiducia ci offre, come la classica lastra, i
cubi in varie dimensioni e i pannelli.
E' importante ricordare che solo la lana di
roccia commercializzata specificamente per
uso ortobotanico può essere utilizzata nella
coltivazione, e che quella venduta per
altri scopi, ad esempio come isolante, è
trattata con sostanze chimiche e olii che
ucciderebbero le piante.
La scelta di questo materiale è dettata
anche dal fatto che anche quando è saturo
d'acqua mantiene una grande quantità di
aria fra le sue fibre, scongiurando così il
pericolo di marcescenze nelle radici;
inoltre è un substrato sterile, che non sembra gradito ai funghi infestanti, facile e leggero da maneggiare e che non sporca.
Ovviamente c'è anche il rovescio della
medaglia, ad esempio il fatto che un
medium neutro richiede un costante
monitoraggio dei valori del pH, ma
soprattutto la necessità di attenersi a
qualche semplice regola.
SICUREZZA
Sebbene la teoria secondo la quale il
rockwool sarebbe cancerogeno sia stata
smentita da parecchio, è bene prendere le
dovute precauzioni per evitare l'effetto
irritante che questo materiale ha quando è
manipolato a secco.
Ricordiamo dunque che è buona norma
spruzzarlo con acqua prima di maneggiarlo, indossare guanti ed evitare di respirarne
la polvere, in quanto le fibre hanno
un'azione meccanica sulla pelle e sulle
vie respiratorie che possono causare
arrossamento, prurito, ed irritazioni.
SAPORE
Bene, stabilito come procedere facciamo
una piccola premessa riguardo a diffusi
pregiudizi sul gusto dei prodotti ottenuti
idroponicamente.
Molte persone associano il classico
pomodoro “che non sa di niente” o la
verdura acquosa alla coltura fuorisuolo,
dimenticando che il fattore che più
influisce sul sapore è la genetica scelta.
Il prodotto economico del supermercato
infatti è solitamente un cultivar veloce, che
matura in fretta, ottenuto badando al
soldo per avere frutta e verdura bella
da vedere, resistente alle malattie e al
trasporto, spesso raccolta acerba e
maturata in bui container.
E' ovvio che con queste premesse non avremo mai nel piatto saporite prelibatezze ma
solo insipidi vegetali, siano cresciuti essi in
idroponica o nel migliore terriccio.
Una pianta cresciuta con abilità e cura da
un buon giardiniere idroponicamente avrà
un aroma senza nulla da invidiare alla coltura organica bio, pronto nella metà del
tempo.
coltivare peperoncini nella lana di roccia
Esistono inoltre complessi minerali da
aggiungere nelle vasche idroponiche
concepiti proprio per questo scopo.
La stabilità del pH è un elemento chiave
per il successo, dato che un sistema
idroponico perderebbe la sua praticità se
fossimo costretti a dover controllare e
regolare costantemente il pH del liquido
irriguo. Oltretutto le fluttuazioni di pH
sarebbero molto dannose per le piante:
sarà bene quindi fermare gli impianti a
circolazione continua se dovessimo
immettere liquido non regolato nella
cisterna e regolarlo prima di rimettere in
funzione il tutto.
13
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Altrettanto indispensabili sono i nutrienti,
specifici per idroponica: mai utilizzare per
nessuna ragione fertilizzanti generici o
pensati per altri substrati o sostanze estranee valide nella coltura in terra (sangue di
bue, gusci d'uovo, cenere). In idroponica
infatti, essendo un tipo di coltivazione
“pulita” sono assenti i funghi e i batteri
utile alla decomposizione di tali fertilizzanti che finirebbero per marcire.
PH ED EC
coltivare peperoncini nella lana di roccia
14
Se avete quindi deciso di diventare un
buon coltivatore idroponico la prima cosa
di cui preoccuparsi è del nutrimento delle
piantine: per sapere se state lavorando
correttamente è basilare monitorare i
valori di pH ed EC.
La sigla pH (potentia hidrogenii) indica il
grado di acidità della soluzione nutritiva.
Un valore di 7.0 determina una soluzione
neutra, mentre con un pH di 0.0 sarebbe
totalmente acida e con pH 14 totalmente
basica.
Nella coltivazione in terra il valore ottimale si aggira intorno al 7, ma in rockwool è
preferibile un valore compreso tra 5.5 e
6.5, in modo che i nutrienti siano
facilmente assimilati dalle radici.
Con un pH inferiore a 5 le piante iniziano
a soffrire, e sotto a 4.5 le radici vengono
irrimediabilmente danneggiate.
EC significa electrical conductivity, ovvero
conducibilità elettrica, e permette di
misurare la quantità di sali disciolti
attraverso la capacità di una soluzione
come conduttore elettrico: l'acqua
distillata ha un valore EC di 0.0.
Per i peperoncini adulti è consigliabile
mantenere l'EC tra 1.4 e 1.8, mentre le
piantine appena germinate e le talee vanno
tenute in valori compresi tra 1.0 e 1.2.
Rilevando valori superiori a 2.0 abbiamo
un chiaro indizio di sovrafertilizzazione,
verificabile anche dai sintomi della pianta,
come arrotolamento e necrosi delle foglie,
che presentano punte brune e morte.
Utilizzando un substrato inerte come la
lana di roccia abbiamo la certezza che non
altererà in nessun modo i valori che ci
interessano.
ATTREZZATURA NECESSARIA
Alla luce di quanto appena detto sono è
indispensabile procurarsi un misuratore
del pH e uno dell EC (o una versione combinata) che ci permetteranno un perfetto
controllo della soluzione nutriente; senza
di essi il fallimento è praticamente
assicurato perché sarebbe impossibile
contrastare le fluttuazioni dei valori.
La marca che consiglio -economica e
affidabile- è Milwaukee.
Per tenere sotto controllo il pH è necessario dotarsi anche di apposite soluzioni condizionanti, chiamate solitamente pH down
e pH up, anche se solitamente l’acqua del
rubinetto tende ad essere troppo basica per
via degli elementi disciolti in essa, rendendo così necessario il solo utilizzo di un prodotto acidificante (pH down). Per dosare i
vari prodotti procuratevi qualche dosatore
e pipetta graduata, o siringa, assicurandovi
che abbiano una scala comprendente i
millilitri.
Peri nutrimenti, i pH down-up e i dosatori la mia marca di riferimento è General
Hydroponic Europe.
FOTO: SANTERI KYRÖHONKA
risparmiare tempo e fatica con un serbatoio
capiente (intorno ai 40 litri) che basterà per
una settimana e mezzo/due.
In rari casi di acqua con grandi concentrazioni di carbonati può essere veramente
difficoltoso mantenere il pH stabile, ma si
può rimediare attrezzandosi con un filtro
ad osmosi inversa.
QUALITÀ DELL'ACQUA
Inizialmente sarà bene determinare la
qualità dell'acqua a disposizione, dura (con
alte percentuali di calcio e magnesio) o
morbida.
L'acqua dura ha un pH e un EC elevati: è
necessario controllarla regolarmente ed
abbassare i valori con il pH down, ma si può
LA SOLUZIONE NUTRITIVA
Come abbiamo detto il rockwool non
contiene nessun nutrimento, quindi sarà il
coltivatore a somministrare quanto la
pianta necessita aggiungendolo all'acqua a
pH controllato.
Nella scelta dei fertilizzanti bisogna
leggere le etichette e badare che nel set
primario di nutrienti figurino gli elementi
NPK, ovvero nitrato, fosforo e potassio
(Nitrate, Phosphorus e Kalium).
Inoltre un buon prodotto segnalerà la
presenza di tutti i nutrienti secondari utili.
Nella mia esperienza personale trovo
particolarmente apprezzabili i fertilizzanti
tricomponenti, composti appunto da tre
bottiglie contenenti ognuno una formula
diversa, due delle quali riferite ad un
diverso stadio della crescita e la terza ricca
di microelementi.
Utilizzando questo tipo di fertilizzazione
sarà possibile avere completo e diretto
controllo su ogni fase dello sviluppo della
pianta: radicazione, fase vegetativa, fase di
fioritura, produzione dei frutti.
Nel caso dei peperoncini a volte le ultime
fasi possono sovrapporsi, perché capita che
la pianta continui a fiorire anche durante
la crescita dei frutti.
Ogni stadio ha specifiche esigenze, per cui
nella radicazione aumenta il bisogno di
fosforo, nella vegetazione quello di nitrati
e potassio, durante la fruttificazione bisogna somministrare più potassio e diminuire i nitrati per mantenere le foglie sane.
Molti fertilizzanti per idroponica sono
stati pensati per nutrire piante ad uso
medico ed enfatizzano molto la fase della
fioritura, con un focus sui principi attivi
derivanti: nel nostro caso però quello che
ci interessa è il frutto, per cui è bene
iniziare con una dose dimezzata rispetto a
quella indicata in etichetta, misurare l'EC
e verificare che tutto sia nella norma.
Potremo poi procedere e sistemare il pH.
E' altamente raccomandabile tenere nota
di quello che facciamo, in modo da non
essere costretti a procedere per tentativi
avendo segnato le giuste combinazioni e le
quantità adatte.
Se durante la coltivazione doveste
correggere il pH
ricordate di farlo
sempre gradualmente, un cambiamento
troppo repentino
dell'acidità rovinerebbe la soluzione e
danneggerebbe la
pianta.
PREPARARE
LA LANA
DI ROCCIA
Per funzionare al
meglio e conservare
le proprie caratteristiche la lana di
roccia deve essere
condizionata prima
dell'uso, preparate
dunque una soluzione di acqua con
un pH stabilizzato
intorno al valore di
5.2, quindi immer-
getevi il rockwool e lasciatelo in ammollo
24 ore.
Questo assicurerà che l'acqua penetri in
ogni fibra e stabilizzerà il pH del substrato.
Ora lasciate defluire strizzando se è necessario, e bagnate infine con la soluzione
nutritiva.
ANNAFFIATURE
La lana di roccia può essere utilizzata in
sistemi Ebb and flow o con gocciolatore,
ma non in Deep Water, dove le radici marcirebbero o soffocherebbero.
La scelta migliore resta la combinazione
rockwool/gocciolatore, dove la soluzione
può essere somministrata da una a molteplici volte in una giornata, in quantità tale
da far defluire circa il 10-20% della soluzione stessa ad ogni innaffiatura in modo
da eliminare indesiderati depositi di sali.
Ogni una o due settimane si bagneranno le
piantine con acqua pura a pH stabile, per
sciacquare eventuali residui.
Ovviamente si può procedere all'annaffiatura a mano, seguendo tempi e criteri vicini a quelli della coltivazione in terra. Nella
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
fase di radicazione può essere d'aiuto
lasciare asciugare un poco il cubetto di lana
di roccia, perché le radici crescano di più
alla ricerca dell'acqua.
La fase preparatoria della coltivazione in
rockwool richiede un po’ di lavoro; dovranno essere effettuate parecchie misurazioni,
in modo da conoscere perfettamente, nelle
fasi avanzate, quali sono e come dovrebbero essere i valori della soluzione.
I campioni prelevati con una siringa dal
cubetto risulteranno un po' differenti dalla
soluzione nel serbatoio, con pH più alto ed
EC più basso. Un EC alto significherà che
c'è uno sgradito deposito di sali che deve
essere immediatamente risciacquato via
con acqua pura a pH stabilizzato.
Un pH alto invece ci dice che l'acqua non
è stata adeguatamente corretta o sufficientemente decantata prima dell'uso e i carbonati l'hanno resa basica.
TRAPIANTO
Uno dei maggiori vantaggi del substrato
scelto è che possiamo direttamente prendere
il cubetto dove la piantina è germinata e
semplicemente infilarlo in un cubo più grosso, che a sua volta verrà posto sulla lastra.
Niente sporcizia e nessuno shock per la
pianta dunque. Immediatamente dopo il
trapianto è buona norma somministrare
più fosforo e meno nitrati per incoraggiare
la radicazione, tenendo sempre presente
che nessun elemento va mai tolto del tutto
o sorgeranno delle carenze.
L'articolo è online sul sito
http://fatalii.net/
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Continuiamo dal numero scorso l'articolo
sulle piante carnivore. Dopo l'introduzione
e la presentazione delle varietà, riprendiamo con la categorizzazione.
tipo esclusivamente carnivoro, ad ascidio.
Un unico genere con un’unica specie:
Cephalotus follicularis, australiana.
Abbastanza raro, abbastanza costoso, abbastanza difficile, assolutamente meraviglioso.
SARRACENIA FLAVA
CEPHALOTUS FOLLICULARIS
SARRACENIA
E DARLINGTONIA
Pianta molto rara e particolare, esistente in
un unico genere con una unica specie,
Abbandoniamo le trappole ad ascidio a
“bicchiere” per arrivare alle piante con
PIANTE CON TRAPPOLA
AD ASCIDIO
E qui passiamo dal regno del “piccolo e
carino” al regno del “grande e meraviglioso”.
Innanzitutto, cos’è una trappola ad
ascidio? Tecnicamente l'ascidio è una
foglia modificata in modo da formare una
specie di contenitore con la forma più o
meno di un bicchiere.
Qui le prede vengono intrappolate e
digerite lentamente. L’ascidio è prodotto
dalle foglie che si ripiegano su se stesse,
richiudendosi. Il funzionamento è piuttosto semplice: le piante producono questi
ascidi con una apertura libera.
Successivamente attirano gli insetti con
vari sistemi (colori, nettare). Gli insetti che
cadono negli ascidi vi muoiono e vengono
digeriti lentamente. Vista la relativa
semplicità di questa trappola, ci sono più
generi di piante carnivore che l'hanno
adottata, in maniere diverse. Vediamoli.
CEPHALOTUS - FOTO: JEAN SCHROETER - JUST CHAOS PHOTOS
NEPENTHES ALATA
piante carnivore - seconda parte 18
Nel genere Nepenthes gli ascidi sono formati all’estremità delle foglie. L’aspetto di
queste piante è quindi di piante con foglie
“normali” con delle specie di “bicchieri”
pendenti attaccati alla punta delle foglie.
Gli ascidi sono ripieni di liquido digestivo
che uccide e assimila le prede.
Qui a destra una tipica Nepenthes, con le
sue foglie ad ascidio pendente. Come si
può vedere, sono piante estremamente
belle e affascinanti, con colori che vanno
dal rosso al viola, al nero, in combinazioni
di colori che hanno spesso dell’incredibile.
Esiste un unico genere: il genere
NEPHENTES - FOTO: KEVIN TUCK
Nepenthes, con decine di specie. Sono
tutte piante tropicali (provengono dalle
zone del Borneo e lontano oriente), ed
hanno bisogno di condizioni di crescita
molto particolari, con temperature e umidità controllate, fotoperiodo costante, ecc.
In natura spesso hanno comportamento
spesso epifita o semi rampicante e crescono
abbarbicate su altre piante, nelle foreste
tropicali, o comunque su detrito di origine
vegetale.
Alcune delle specie sono quasi estinte o
esistono solo in coltivazione.
Le dimensioni sono notevoli, e ci sono
Nepenthes che possono arrivare a metri di
lunghezza con ascidi della capacità di 1-2
australiana, il Cephalotus follicularis.
In questa pianta, al contrario della
Nepenthes (dove le foglie hanno un aspetto normale, al cui apice è attaccato l’ascidio) esistono due tipi distinti e separati di
foglie. C'è un tipo di foglia a lamina, che è
in tutto e per tutto una foglia normale,
come potrebbe essere quella di una qualsiasi pianta non carnivora. Alternate a queste
foglie ci sono poi delle foglie esclusivamente ad ascidio, con una forma tipica di
bicchiere con coperchietto.
Questa pianta, se cresciuta bene, presenta
gruppi di decine di foglie normali e decine
di trappole. Le trappole ad ascidio possono
arrivare a 10 centimetri d’altezza e sono
delle vere e proprie tombe per formiche.
Tipico dell'Australia, il Cephalotus è abbastanza raro ed impegnativo da coltivare.
Cresce su terreni torbosi e umidi, in condizioni di pieno sole.
Ripetiamo quindi: due tipi di foglia distinti: un tipo non carnivoro, normale e un
allungato, una specie di cono gelato
piantato per terra. Gli insetti, anche qui,
sono attirati verso il cono, dove cadono e
muoiono, e lentamente vengono assimilati.
trappole ad ascidio a “cono”. In questo
caso le foglie sono sempre richiuse su se
stesse a formare un contenitore, ma questo
contenitore non è pendulo e portato
all'estremità delle foglie, bensì è eretto,
Come si può vedere le sarracenie hanno
spesso un aspetto assolutamente incredibile
e che non richiama in alcun modo le altre
piante. Non hanno foglie a lamina, di
aspetto normale, bensì solamente foglie a
cono (salvo rari casi), hanno colori che
vanno dal giallo-verde al rosso porpora.
Tutte le sarracenie provengono dagli Stati
Uniti, e sono adattate a climi da temperato
freddo a temperato caldo. Richiedono
molte ore di sole pieno, terreni sempre
fradici e torbosi (tipici di paludi torbose) e
inverni freddi durante i quali entrano in
dormienza.
Esistono sarracenie che arrivano anche a
più di un metro di altezza e che possono
formare delle vere e proprie colonie di
centinaia di ascidi a cono. Le forme vanno
dal cono eretto ed allungato a coni schiacciati a terra, a coni piccoli a forma di
becco-di-pappagallo.
Due generi: Sarracenia, con 8 specie, tutte
assolutamente meravigliose e non impossibili da coltivare. Hanno la caratteristica di
potersi incrociare bene tra loro, con la possibilità quindi di formare un numero infinito di ibridi diversi dalle 8 specie esistenti.
DARLINGTONIA CALIFORNICA, unico genere
con unica specie. Molto affine alle
Sarracenie, è detta anche pianta-cobra per
Le piante carnivore sono piante che mangiano animali.
Sarà vero? Definite così potrebbero sembrare
degli esseri mostruosi e pericolosi. In effetti è così,
ma gli “animali” di cui queste piante si nutrono sono per lo più
insetti non più grandi di una vespa o di un moscone.
Questo è il motivo per il quale spesso si usa il termine piante
insettivore, senz’altro meno cruento e impressionante.
Per la verità, le piante carnivore si nutrono di insetti
per necessità. Sono piante, infatti, che in natura vivono
in ambienti particolarmente poveri di quei nutrienti necessari
alla crescita di tutte le piante.
Le ritroviamo in paludi, in torbiere acide, su rocce spoglie,
abbarbicate su tronchi di altre piante, sott’acqua...
Le piante carnivore riescono a sopravvivere in questi ambienti
sterili e inospitali ricavando il loro nutrimento dagli insetti.
In questo modo, anche se il terreno è sterile,
queste piante riescono comunque a crescere e moltiplicarsi.
piante carnivore - seconda parte -
litri. Sono piante impegnative, alcune
rarissime, e spesso molto costose.
Sono, d’altronde, piante che danno un
enorme soddisfazione se coltivate con
successo, e alcuni dei migliori coltivatori
mondiali di piante carnivore sono appunto
coltivatori di Nepenthes.
19
CEPHALOTUS - FOTO NORMAN LEE
la forma particolare delle trappole, che
somigliano alla testa di un cobra.
É anche questa una pianta tipica di zone
torbose e umide degli Stati Uniti. Più rara
delle Sarracenie e più impegnativa da
coltivare.
Sarracenie e Darlingtonia sono tutte
piante delicate, impegnative ma non
impossibili da coltivare.
Crescono lentamente ma sono, come le
Nepenthes, dei veri e propri sogni da coltivare. Alcuni tra i più grandi coltivatori ed
esperti di piante carnivore sono coltivatori
di Sarracenia.
piante carnivore - seconda parte 20
HELIAMPHORA NUTANS
Altro genere di piante carnivore con trappole ad ascidio di forma conica ed allungata.
Come le sarracenie e la Darlingtonia, non
presenta foglie normali, ma esclusivamente
foglie a cono allungato verticalmente.
Le trappole sono ritenute molto primitive,
in quanto sono meno sofisticate e perfezionate di quelle di sarracenie e Darlingtonia.
L’aspetto richiama in qualche modo quello
delle sarracenie, con la differenza che gli
ascidi non hanno il “coperchio” come
succede per quelli delle sarracenie.
DARLINGTONIA - FOTO: LUCAS THORNTON - HTTP://WWW.FLICKR.COM/PHOTOS/CHUG/
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Un unico genere: Heliamphora, comprendente 5 specie. Sono tutte piante di montagna tropicale (tepui). Richiedono particolarissime condizioni di coltivazione.
Rare, alcune rarissime, impegnative, costose, lente a crescere e delicatissime.
Insomma, hanno tutti i difetti ma anche
un piccolissimo pregio: sono bellissime.
ALTRE TRAPPOLE,
ALTRE SPECIE
DARLINGTONIA - FOTO: FREDERICK DEPUYDT
Le piante sono talmente belle e impegnative che tutti gli appassionati di
piante carnivore ritengono sia uno “status symbol” riuscire ad avere una
Heliamphora in buona condizione nella
propria collezione.
UTRICULARIA
Le utricolarie sono piante molto strane.
Alcune specie sembrano muschi con foglie
piccolissime e fiori coloratissimi ma molto
minuti; altre specie risultano invece più
piante carnivore - seconda parte -
Le heliamphore sono piante particolarissime che vivono in ambienti estremi sulle
cime degli altopiani (detti tepui) in
Venezuela e Brasile, dove ci sono condizioni ambientali proibitive, costanti precipitazioni, forte vento, notti gelide.
Queste qui sopra esposte sono i tre tipi di
trappola più noti e comuni nel mondo
delle piante carnivore. Ma non sono gli
unici. Esistono infatti specie a volte meno
note e meno coltivate, ma non per questo
meno interessanti.
Diamo una veloce occhiata:
SARRACENIA - FOTO KEVIN TUCK
23
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
CHIAVE RICONOSCIMENTO
Riassumiamo tutto ciò esposto sin d'ora,
cercando di fissare in memoria almeno uno
schemino di minima. Abbiamo diviso le
piante carnivore in vari gruppi a seconda
del meccanismo di cattura. Costruiamoci
quindi uno schema a “domanda/risposta”
(tipo chiave dicotomica) per riconoscere i
principali generi di piante carnivore.
- Foglia che si chiude a scatto? Trappola a
tagliola: Dionaea muscipula
Unico genere, una sola specie. Comune, di
facile coltivazione. USA.
- Foglia con superficie viscida? Trappola a colla:
*Ghiandole invisibili, foglia dall'apparenza
liscia? Pinguicula
Un genere, parecchie decine di specie,
alcune comuni e di facile coltivazione.
Distribuite su tutto il globo, in tutti i tipi
di terreni. Particolare il gruppo delle pinguicole messicane. Pinguicula moranensis
molto indicata per i principianti.
HELIAMPHORA - FOTO: LUCAS THORNTON HTTP://WWW.FLICKR.COM/PHOTOS/CHUG/
vistose con foglie a “penna” o di altre
forme e fiori meravigliosi. Alcune terrestri,
altre completamente acquatiche.
Unico genere Utricularia con decine di
specie sparse su tutto il globo.
La caratteristica di queste piante è che
sono dotate di piccolissime trappole sotterranee o subacquee, simili a piccolissimi
sacchettini. Questi sacchettini sono sottovuoto e quando un microscopico animaletto ci passa vicino si aprono per una frazione di secondo, lo risucchiano all’interno e
si richiudono. Col tempo poi l’animaletto
muore e viene assimilato. Le trappole non
sono molto grandi (nell'ordine di 1-2 millimetri) e spesso la parte visibile della pianta è scarna e misera, e questo è il motivo
piante carnivore - seconda parte UTRICULARIA - FOTO: TIM WATERS
24
per cui sono molto rare da trovare in coltivazione. Nonostante questo la bellezza dei
fiori e la semplicità di coltivazione rendono le utricolarie una interessante alternativa alle solite carnivore.
ALDROVANDA VESICULOSA
Unica specie di un genere ormai quasi scomparso. In pratica è una piccola dionea acquatica. Senza radici, vive in acqua e ha piccolissime trappole (microscopiche) che funzionano in maniera simile a quelle della dionea,
cioè a scatto. É una pianta che una volta era
molto comune in tutta Europa. A tutt’oggi,
ormai, si ritiene sia praticamente scomparsa
da quasi tutti gli ambienti dove era prima
presente, a causa dell'inquinamento.
Rarissima da trovare in coltivazione, perchè
spesso vista come specie di poco interesse,
piccola e insignificante. É invece una pianta
molto interessante per la sua parentela con
una pianta apparentemente così diversa
come appunto la Dionaea muscipula.
Ci sono altri generi di piante carnivore
(Genlisea, Ibicella e altri) ma sono talmente
rare e insolite da trovare in coltivazione da
essere note solamente ad alcuni coltivatori
particolarmente esperti.
*Ghiandole ben visibili, foglia dall’appa-
renza pelosa? Drosera
Un genere, parecchie decine di specie,
alcune comuni e di facile coltivazione.
Distribuite su tutto il globo, su terreni
spesso umidi e torbosi. Particolari il gruppo delle drosere nane australiane, delle
giganti africane, delle drosere tuberose e
altre ancora. Drosera capensis indicata per
i principianti.
- Foglia a tubo o a bicchiere? Trappola ad
ascidio:
*Foglie normali, con bicchiere pendente
all’estremità? Nepenthes
Un genere, parecchie decine di specie, tutte
tropicali e di coltivazione impegnativa.
Distribuite in zone tropicali autraliane e
orientali. Due gruppi: gruppo di pianura e
gruppo di montagna (più esigenti). Rare e
costose, molto ricercate per la particolare
bellezza. Crescono su altre piante o su detriti di origine vegetale in ambiente umido.
*Due tipi di foglie distinte: foglie normali
a lamina, non carnivore, e foglie completamente a bicchiere, carnivore? Cephalotus
follicularis
Un genere, una specie, di origine australiana. Di coltivazione impegnativa, e difficile
da trovare. Molto bella, cresce in colonie
molto vaste, su terreni torbosi e umidi, in
piane assolate.
*Ascidi tutti a cono, allungati e verticalmente inseriti nel terreno, con un prolungamento a “cappello” o “coperchio” che
copre l'apertura dell’ascidio? Sarracenia
Un genere, 8 specie, tutte di zone paludose e umide degli USA. Impegnative (ma
non troppo), e di particolare bellezza.
Indicata per i principianti la Sarracenia
purpurea venosa ed alcuni ibridi in commercio.
*Ascidi tutti a cono, allungati e verticalmente inseriti nel terreno, ma privi di
“cappello”? Heliamphora
Un genere, 5 specie, tutte di zone di montagna tropicale del Sud America.
Estremamente rare, impegnative, ma particolare bellezza.
[CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO]
Sito di riferimento: aipcnet.it
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
GIARDINI PER GUARIRE
Gli healing gardens mirano nelle strutture
di cura a migliorare le condizioni di vita e
di salute sia dei pazienti, sia del personale,
sia dei parenti, come hanno dimostrato
numerose ricerche.
La più celebre è quella “storica” condotta da
Roger Ulrich, della A & M University del
Texas, nella quale venne esaminato nel
1984 un reparto che ospitava pazienti operati di calcoli renali: i malati che potevano
scorgere gli alberi dal loro letto avevano
minori complicazioni, meno dolori e guarigioni più rapide di quelli sprovvisti di visioni sulla “natura”.
Rachel e Stephen Kaplen dell’Università del
Michigan hanno dimostrato una rigenerazione delle capacità di attenzione dopo un
periodo di sforzo mentale, aspetto particolarmente utile per il personale sanitario.
I giardini curativi sottintendono due
aspetti: il giardino dove coltivare le piante e
i fiori a fini riabilitativi, e il giardino piacevole dove curarsi passeggiando e sostando.
Ciò che va sottolineato è come l’abbinamento tra architettura del verde e strutture
di cura non sia nuovo: si pensi ai tradizionali ospedali a padiglioni del primo
Novecento, immersi in viali alberati.
Tale attenzione si è progressivamente ridot-
ta nelle realizzazioni successive, costringendo gli spazi verdi a spazi residuali.
Dagli Stati Uniti gli healing gardens si
sono sviluppati in Europa e si stanno affermando anche in Italia.
Al fine di colmare una lacuna progettuale,
la Facoltà di Agraria dell’Università degli
Studi di Milano ha istituito nel 2006,
e ripropone per il 2008, un corso di
perfezionamento su questo tema.
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
Al fine di conferire rigore scientifico al
percorso progettuale degli healing gardens
è stato costituito un gruppo di lavoro
(denominato Club di Milano) che riunisce
al suo interno sia le componenti tecnicoprogettuali che quelle mediche. Il gruppo
interdisciplinare comprende, tra gli altri,
esperti di bioclimatologia medica, psicologi e psichiatri, nonché docenti ed operatori del settore farmaceutico.
Al momento sono in corso due ricerche
applicate: la prima è relativa alla valutazione dell’effetto della fruizione del verde sui
familiari degli ospiti della Residenza per
anziani Saccardo di Milano; la seconda, per
news
28
la quale è stato redatto uno specifico protocollo di studio, si svolge presso la Clinica
psichiatrica Ville di Nozzano (Lucca) e
riguarda uno studio osservazionale sugli
effetti, nei soggetti affetti da disturbi
dell’umore, di un ambiente ospedaliero
confortevole con rimandi alla natura e alla
frequentazione del verde.
Da "Healing gardens: giardini per guarire
di Alessandro Toccolini, Istituto di
Ingegneria agraria, Università degli Studi
di Milano".
http://www.sisuni.unimi.it/jumpNews.asp?
idLang=IT&idChannel=14&idUser=0&id
News=10874
LA FATTORIA
GALLEGGIANTE
NEL CUORE DI NEW YORK
Creato dall’ente non profit New York
Sun Center for Sustenible Engineering, è
stato varato -è proprio il caso di dirlo- il
progetto Science Barge.
Nell’ambito del PlanNYC 2030,
programma che si prefigge una serie di
migliorie ambientali per la Grande Mela
da realizzarsi nei prossimi anni, vede la
luce un’imbarcazione davvero speciale.
Alimentata da una combinazione di
energia solare, turbine eoliche e biodisel
rappresenta il grado zero delle emissioni
inquinanti.
A bordo sono in funzione serre idroponiche in grado di produrre verdure in gran
quantità utilizzando un quarto delle
risorse idriche impiegate nella coltura
tradizionale, applicando le tecniche tipiche
del fuorisuolo (riciclaggio dell’acqua,
substrato in rockwool e fibra di cocco).
Questo cibo viene coltivato con gran
dispendio di acqua e utilizzo di pesticidi,
ed essendo prodotto lontano dalla città
causa un grande consumo di carburante,
traffico sulle strade, emissione di monossido di carbonio durante il trasporto.
La Science Barge, placidamente adagiata
nel fiume Hudson, è meta di visite scolastiche e turistiche, ed è possibile non solo
ammirare e fare foto, ma anche eseguire
piccoli esperimenti idroponici e fare uno
snack a base di sanissime verdure prodotte
a bordo.
Quanto coltivato nelle serre oltre ad essere
consumato in loco viene venduto ai
ristoranti e ai negozi della zona.
La popolazione mondiale è in continuo
aumento, sostiene ancora Caplow, e
chiaramente le cose andranno peggiorando
a meno che non si cambi radicalmente
politica.
Solo imparando a gestire le risorse
naturali, e soprattutto quelle rinnovabili,
saremo in grado di far fronte alle esigenze
di tutti.
La tecnologia e la ricerca avranno un ruolo
di spicco nei cambiamenti necessari per
avviarsi ad un più intelligente impiego
delle energie.
Oltre a rappresentare un modo originale e
coinvolgente di mostrare tecnologie come
l’idrocoltura e i pannelli solari al grande
pubblico, il progetto si propone di
sensibilizzare le masse verso temi ecologici.
La fattoria galleggiante promuove anche
l’utilizzo di sistemi idroponici per
produrre ortofrutta sui tetti, un tema di
grande sviluppo in questi giorni nelle
metropoli.
Secondo i costruttori, Science Barge
rappresenta anche una metafora per
l’umanità e il futuro del pianeta:
“possiamo galleggiare insieme, o
sicuramente insieme affonderemo”.
Altre informazioni e foto sul sito
http://www.nysunworks.com/
Foto: http://www.aidg.org/
(The Appropriate Infrastructure Development
Group)
Come ricorda Ted Caplow, direttore
esecutivo del Sun Center, produrre cibo
per sfamare la popolazione di New York
richiede un'estensione di 60.000 acri, pari
alla superficie dell’intero stato del
Wyoming.
In queste pagine la Science Barge,
la chiatta - fattoria galleggiante simbolo
dell’imminenza di importanti cambiamenti
ambientali nelle strade di New York.
news
La prima edizione del corso, svoltasi nei
mesi di aprile e maggio 2006, ha visto la
partecipazione di circa 50 iscritti. Gli argomenti trattati sono stati: il processo di progettazione delle aree verdi; i criteri generali per la progettazione degli healing gardens; l’accessibilità; la componente verde;
gli healing gardens per i malati di
Alzheimer; l’horticultural therapy;
l’approccio medico agli healing gardens;
alcune esperienze estere di progettazione.
Tra i docenti, Clare Cooper Marcus della
University of California, riconosciuta
esperta internazionale della materia, professori delle Università di Torino e di
Firenze, esperti e professionisti del settore.
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
29
GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8
--MI
PIACEREBBE INIZIARE A COLTIVARE
MEGLIO L’ACQUA DEL RUBINETTO O
ORCHIDEE MA NON SO BENE DA DOVE INI-
QUELLA DEL POZZO?
ZIARE.
NOCIVO NELL’ACQUA?
DELLE
MI HANNO DETTO DI
SAPROFITE PERCHÉ SONO
PRENDERE
LA TERRA.
VORREI
COSA
PUÒ ESSERCI DI
PIÙ FACILI
DA COLTIVARE IN MODO TRADIZIONALE CON
ANCHE UNA PIANTA CHE
NON MUOIA SUBITO, MA VIVA A LUNGO. CHE
TIPO DI PIANTA È PIÙ ADATTA A ME?
Le Orchidee fanno parte di una famiglia
assai vasta, differiscono fra loro moltissimo
in forma, colore, odore, esigenze.
Si può fare una prima suddivisione a partire dal substrato: si definiscono Epiphites (o
epifite) quelle che si sviluppano su tronchi,
Litophytes (o litofite) quelle che crescono
abbarbicate alle rocce, e Saprophytes (o
saprofite) quelle che in natura crescono su
foglie morte o altri medium simili e semplicemente terricole o terrestri quelle che
crescono in terra o sabbia.
I coltivatori si avvalgono di una grande
varietà di substrati, adeguatamente annaffiati e fertilizzati. Si tratta di piante meno
difficili da trattare di quanto spesso si
creda, facendo una scelta ben ragionata al
momento dell'acquisto è possibile senz’altro trovare una bella piantina con poche
esigenze adatta anche ai principianti.
Se ben curata, un’orchidea è per sempre,
vista la longevità che caratterizza la maggior parte delle specie.
Per qualche buon consiglio e un primo
approccio consiglio il popolare sito con l’annesso forum http://www.orchidando.net/
l’esperto risponde
30
--E'
Purtroppo parecchi elementi contaminanti
possono essere disciolti nell’acqua che
utilizzi, che sia quella della fornitura municipale o venga dal pozzo.
Ecco i più frequenti:
- Alto tasso di TDS (elementi solidi
disciolti), potrebbero bloccare il corretto
assorbimento dei nutrienti.
- Cloro, utilizzato dall’acquedotto come
battericida, a seconda della concentrazione
può essere anche mortale per le piante.
- Durezza. L’acqua dura è caratterizzata da
un’alta presenza di calcio e magnesio, può
impedire alla pianta di nutrirsi, e formare
depositi che ostruiscono i tubi.
- Fluoruri, dannosi sia per l’uomo che per
le piante, sono
purtroppo spesso
presenti.
Bloccano l’azione
naturale degli enzimi nello sviluppo
della pianta.
- Composti organici volatili, possono
portare alla morte
di fiori, foglie e
frutti.
- Ferro/ Zolfo favoriscono lo sviluppo
delle alghe ma
bloccano la crescita delle piante. L’acqua
può diventare maleodorante e macchiare.
- Pesticidi/ Erbicidi posso finire nelle falde
se nelle vicinanze ci sono aree agricole.
- Batteri. Si trovano spesso nei pozzi a
causa di rifiuti in decomposizione,
possono contaminare frutti e fiori e sono
dannosi per l’uomo.
- Nitrati. In grandi quantità sono sostanze
tossiche, causano sviluppo di alghe.
Puoi richiedere le analisi dell’acqua del
rubinetto direttamente all’azienda erogatrice e fare esaminare quella del pozzo da
un laboratorio, per stabilire se necessiti di
un sistema di filtraggio ed eventualmente
che tipo scegliere.
La qualità dell’acqua è degli elementi che
maggiormente influenzano la riuscita del
raccolto.