dicevo…

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dicevo…
“…dicevo…”
Scandicci. Mattina. Una stagione qualsiasi dell’anno. Matilde è alla fermata. Matilde è nervosa. Sì, anche oggi. Anche oggi è lì. Ad aspettare. La sua vita dopotutto non è stata sempre una costante attesa?! Un’attesa inconcludente. Lo sa bene. Quel malcelato desiderio di buttare all’aria tutto e partire. Andare lontano. Sì, lontano, dove nessuno possa più dirle nulla. Su come vivere, vestire, mangiare. E magari anche su chi amare. Eh sì l’amore. Guarda quella coppietta. Loro sì che sono felici. Dove andranno? Lei ha una valigia. Lui è con l’aria trepidante...Uno che ha l’aria di essere pazzamente innamorato della sua donna. Un po’ come lei no?! Sì anche lei è innamorata. O non lo è?... Ecco la ginnastica dei neuroni, ogni mattina, imperterrita ricomincia. E non serve nemmeno fare una dannata corsa dal portone di casa verso la fermata, e contemplare l’autobus, quel dannato groviglio di lamiere, partire. E tu rimani lì, fermo. Immobile. Contemplante, appunto. E guardi l’orologio. Ma i pensieri ci sono sempre e comunque. E più o meno inconsciamente sai che dovrai attendere. Ancora attendere. Devi aspettare. E i tuoi programmi lentamente cominciano a sgretolarsi. Niente colazione al bar, se c’è fila nemmeno giornale all’edicola, niente sguardo incantato davanti alle vetrine, sì il tailleur lo guarderò domani. L’aula è l’unica ragione di vita. Perché arrivare tardi ormai è pressoché una certezza. La domanda è solo una: di quanto?! Ci sono ritardi e ritardi. Ritardi di un treno o di un bus. Ritardi di una lettera. Ritardi nella risposta di un sms per esempio. Come quello che Matilde cerca nell’indicibile silenzio di uno schermo di cellulare. Eppure niente. Il vuoto. Si vede che Ale non si sarà ancora alzato. Non mi ha neanche squillato ieri sera quando è tornato. Ma è tornato, vero? Sì, sicuramente è tornato. Dove potrebbe andare altrimenti? Poi oggi doveva anche andare al lavoro presto. Sì, mi risponderà. Entro mezz’ora. Se no lo chiamo io. Promesso. Ma tanto mi risponderà. Nel frattempo chiederò a Elisa di tenermi un posto, altrimenti chi la segue più la lezione. Se mi tocca andare in piccionaia tanto vale vada a far shopping! Che poi non sarebbe una cattiva idea… Uff… Ma arriva o no questo maledetto autobus?! Non è possibile! Tutte a me! Uno è qui che deve andare al lavoro e….uffa, sì chiamerò Elisa…le mando un messaggio, più comodo. Poi magari è in giro e non sente o ha da fare. Meglio un messaggio. Però dopo, ecco, finalmente sta arrivando. Dai dai. Che solo i miei piedi sanno la corsa che tra un po’ dovrò fare! Prima cosa però devo trovare posto. Un posto ci deve essere, non può essere tutto pieno. No, impossibile! No e poi no. Un posto c’è. E sarà mio. …………… Come al solito. Sempre fuori rimango. In piedi. Tanto ormai fosse la prima volta. Venti minuti di zuffa. E tira e spingi e molla e cellulare. Devo anche tirare fuori il lettore mp3 altrimenti finisce che m’addormento. Che sonno, lo sapevo che ieri sera non era la serata giusta per il cinema. Non è mai la serata giusta se la mattina dopo alle 9 si deve andare a lezione. Non è mai la serata giusta. Già. Come mi dice sempre Ale…….. Mai al momento giusto. Eh sì. Guarda quei bimbi. Eh le gite scolastiche. Che ricordi. Con lo zainetto. Il panino di mamma, il cappottino per non prendere freddo e la carta di riconoscimento attorcigliata al collo. Che poi cosa andavamo a vedere? Egiziani, primitivi, etruschi…solite cose alla fine, sempre quelle. Un po’ come in facoltà. Un po’ come queste giornate di niente. Sveglia, autobus, colazione al volo, ammesso riesca a farla e non sia in ritardo come oggi, e poi lezione, scrivi, ascolta, scrivi, ascolta, magari scrivi e ascolta insieme, rispondi al cellulare, caffè con le amiche, pausa pranzo, fila alla mensa, per mangiare poi non si sa cosa, poi lezione e lezione ancora. Arriverà sera anche oggi, come sempre. Autobus, casa, via i libri, su la borsa di palestra e via, la cena la farò dopo quando torno. Un dopo molto vago, alla fine che conta? Tanto lo so: tornerò a casa e avrò sonno. Troppo stanca. A letto. E si riparte, tram tram quotidiano come tante piccole formichine. ……………. Che noia! Eh sì. Come queste strade. Come quel bambino che girovaga senza meta. Dov’è che va a quest’ora?! Poi come è vestito, che stracci sono quella roba?...Mah, strana la gente….come l’autista!!! Se frena così un’altra volta ci finisco davvero per terra prima o poi! Ah cavolo se gli tagliano così la strada, poveretto, ha ragione anche lui ...ma ancora lì quel bambino, ma che fa?... Va a un semaforo…a ognuno che si ferma chiede qualcosa…svestito più che vestito, chiede, chiede. E aspetta. Aspetta. Eh sì. Forse nemmeno lui sa cosa. Aspetta il suo turno. Il suo turno per essere felice. Elemosina istanti di felicità. Quella che gli è permessa. E pezzo dopo pezzo la sua anima si sgretola su questi marciapiedi e in mezzo a questo smog. ……………. Il turno. Già, ognuno ha un suo turno. Ora sta a me, scendo qua….scusi mi lascia passare?...Arrivata. Anche per stamattina viaggio finito. Alla fine è andata bene. Pensavo peggio. Sì, attendere non è il massimo, fare tardi anche. Almeno io però qualcosa in cui sperare ce l’ho. Una meta ce l’ho. Non il top, un‘aula di università. Però poteva andarmi peggio. Poteva toccarmi un semaforo.