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Glocul!
Mare Tranquillitatis (racconto) …………………………………………….pag. 1
Il divo (racconto) ……………………………………………………………..pag. 4
Victor il fricchettone (racconto) …………………………………………..pag. 6
La morte di Gigi Sabani (racconto)……………………………………….pag. 9
Il maresciallo (racconto)…………………………………………………….pag. 11
No blood for chairs (racconto)…………………………………………….pag. 13
Quilli campono (racconto)…………….…………………………………...pag. 15
Il professionista (racconto)………………………………………………….pag. 17
Ognissanti (racconto)………………………………………………………..pag. 20
Terremoto (racconto)………………………………………………………..pag. 21
Trans (racconto)………………………………………………………………pag. 23
L’esondazione (racconto)………………………………………………….pag. 27
Palestra (racconto)…………………………………………………………..pag. 29
Saṃsāra (racconto)……………………………………………………….....pag. 34
Selex™ (racconto)……………………………………………………………pag. 40
L’architetto (racconto)………………………………………………………pag. 46
La lotteria (racconto)……………………………………………………….. pag. 50
Neve (racconto)………………………………………………………………pag. 53
Lo sfigato (racconto)…………………………………………………………pag. 56
Centro commerciale (racconto)…………………………………………..pag. 58
Primarie (racconto)…………………………………………………………...pag. 61
i
Capanno di caccia (racconto)…………………………………………...pag. 64
Carnevale (racconto) ………………………………………………………pag. 70
Glocul! (?) ……………………………………………………………………..pag. 72
ii
Mare Tranquillitatis
La riserva di ossigeno stava per finire e quella con ogni probabilità sarebbe stata la sua ultima
passeggiata sul brullo suolo lunare. La Terra, su cui era nato e cresciuto, e in cui era abituato a
porrel‟origine e il termine di tutte le vicende del creato, era ridotta a una moneta su un immenso e
vuoto sfondo nero.
I suoi compagni, il senso della sua missione da astronauta, tutto gli appariva oltremodo evanescente:
era solo in un‟atmosfera aliena e ormai la sua psiche lo stava trasportando in una dimensione onirica
e pastosa, per fuggire la coscienza che gli poneva davanti la lucida immagine di un teschio
ghignante perso negli incomprensibili meandri dell‟infinitamente grande e dell‟infinitamente
piccolo.
Probabilmente la civiltà era nata dallo stesso meccanismo psicologico: il primo uomo uscito
dalla condizione di ferinità, accortosi dell‟assurdo di vivere in un mondo silenzioso sotto il dominio
di pulsioni cieche, per non impazzire era stato costretto a riscaldarsi ai focolari del calore umano, di
Dio, delle leggi, del senso. Da ragazzo tematiche del genere lo appassionavano, e aveva letto un
sacco di libri in proposito.
Ad ogni modo tutte quelle nozioni non gli erano di alcuna utilità in quel frangente: si trattava di
tirare le cuoia; prima o poi ci si arriva, e non si può impedirlo.
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Così camminava in un deserto di polvere e sabbia, le gambe pesanti come quando si attraversa la
macchia sotto la pioggia, con gli stivali di gomma che a ogni passo tirano su fango.
A un certo punto alzò gli occhi e
si accorse che su quello strano
orizzonte alieno caratterizzato da una
cesura netta tra terra e cielo si
stagliava un cimitero di campagna,
circondato da cipressi.
Con una strana evoluzione della
prospettiva con una decina di passi si
trovò a pochi metri dal cancello in
ferro battuto. Lo aprì e fece il suo
ingresso
nel
camposanto,
magneticamente
attratto
dalla
chiesetta che si trovava sul lato
opposto della costruzione, delimitata
da una cinta in muratura che formava
grossomodo un quadrato di una
quindicina di metri di lato, l‟intonaco
scrostato in più punti.
Appena entrato, sulla sinistra, un piccolo cumulo di fiori secchi e macerie segnava l‟ ingresso di un
qualche inquilino nella definitiva promiscuità dell‟ossario, dopo un‟estrema unzione impartita con
calce viva. Percorse il vialetto ricoperto di breccino che conduceva alla chiesetta, lasciandosi alle
spalle una cappellina familiare in laterizio, ornata da un bassorilievo raffigurante la deposizione di
Cristo dalla croce. Ai lati del vialetto, separate da una bassa siepe, alcune croci arrugginite piantate
sbilenche nella terra segnavano sepolture anonime.
Arrivò così davanti alla porta della chiesetta: in legno, usurata dal tempo e chiusa con un
chiavistello sigillato da un lucchetto, leggermente rialzata dal pavimento lasciava diffondere
dall‟interno una luce rossastra, come se qualcuno avesse acceso dei ceri. Cercò di aprirla, ma
produsse soltanto un tonfo sordo, che però non si sentì in quell‟atmosfera priva di suono. Ai lati
della porta, a un metro e mezzo dal suolo, c‟erano due finestre chiuse da inferriate, che
diffondevano anch‟esse l‟inquietante luce rossastra. Si avvicinò a una finestra per guardare
all‟interno della chiesetta, ma con lo stesso strano gioco di prospettiva di prima si accorse che era
situata troppo in alto per potervisi affacciare: sembrava che non gli fosse concesso di venire a parte
di ciò che si stava svolgendo nell‟edificio, anche se aveva la sensazione che fosse qualcosa che lo
riguardava.
Ai lati della cappella c‟erano due file di loculi. Raggiunse quella a sinistra, e diede uno sguardo alle
iscrizioni sui marmi: un anziano contadino, con i baffi e con un cappello in feltro in testa, lo fissava
con sguardo severo; era nato nel 1887 e morto nel 1962; una mano pietosa aveva lasciato dei
crisantemi nel recipiente in rame, e un rosario.
C‟erano anche le sue maestre dell‟asilo: una gioviale e pacioccona, l‟altra un po‟ tisica e dagli
occhi incavati, ma una brava ragazza anche lei. Gli sorridevano dalle foto sulle loro pietre tombali.
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Si sentiva stanco, molto stanco: si sdraiò per terra, si raggomitolò in posizione fetale, esalò l‟ultimo
respiro e morì.
Si trovava a più di trecentocinquantamila chilometri dalla Terra.
Nelle foto, in sequenza, i sepolcreti (o aree attigue) di Morcella, Monte Vibiano e Poggio Aquilone.
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Il divo
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Il giovane se ne stava seduto in poltrona, in pantofole e tuta, a leggere le ultime dal mondo del
gossip in una guida tv. Il campanello squillò. Smontò dalla poltrona e, camminando gattoni, si
diresse alla porta. Tirò giù la maniglia e gli comparse davanti Toto Cutugno, vestito bene, con un
ampio sorriso stampato su una faccia di bronzo e un mazzo di rose rosse in mano.
Vedendo che il ragazzo era già pronto il divo, continuando a sorridere
sfacciatamente, si chiuse la porta alle spalle, gettò i fiori per terra e
cominciò a sbottonarsi la patta: il giovane, che vi teneva gli occhi
incollati, scorse delle ampie macchie gialle sulle mutande del cantautore
Diffondendo un forte odore di maschio per l‟appartamento il divo tirò
fuori la nerchia e cominciò a fottere, con delicatezza ma costanza, la
bocca del giovane, tenendogli una mano sotto il mento e una sulla nuca:
il ragazzo teneva gli occhi chiusi, sorrideva e si abbandonava a ricordi
d‟infanzia.
Quando raggiunse l‟acme il divo estrasse la nerchia dalla bocca del ragazzo e si spremette i
coglioni sulla lingua che questi, continuando a tenere gli occhi chiusi e a sorridere, gli mostrava con
impertinenza, stando attento a non sprecare neanche una goccia di moccio salato. Il ragazzo ingoiò.
Toto Cutugno si recò al bagno per pulirsi, mentre il giovane andò in cucina per preparare la cena:
buttò due porzioni di risotto ai frutti di mare surgelato in padella, e riempì due calici con del vino
rosato a cinque euro la bottiglia.
Il divo tornò dal bagno tutto improfumato e i due, dopo aver
brindato e bevuto un po‟ di vino, cominciarono a consumare la cena. Il
ragazzo dopo due forchettate si accorse che Toto Cutugno lo fissava in
silenzio con il suo caratteristico sorriso sfacciato. Si aspettava qualcosa
di strano. Il divo lo afferrò con forza e cominciò a baciarlo infilandogli
la lingua in bocca, facendo cadere bocconi di risotto masticato sul
tavolo. Lo prese, lo girò e lo sbatté sul ripiano della cucina; gli tirò giù i
calzoni e le mutande e cominciò a massaggiargli le chiappe e il buco del
culo con dell‟olio d‟oliva preso dal tavolo: il giovane sentiva l‟olio
colargli tra le cosce glabre.
Toto entrò in lui senza alcuna delicatezza, e cominciò a spingere così
forte da farlo più volte sbattere violentemente contro lo spigolo del
ripiano: lacrime colavano lungo le guance del giovane, che piangeva in
silenzio. Quando diminuì l‟intensità e la frequenza delle spinte Toto si
chinò sul volto del ragazzo, che continuava a piangere, e lo baciò con lascivia sull‟orecchio destro,
leccandogli metà della faccia. Prese uno scottex, si pulì e se ne andò in salotto, a fumare una
sigaretta sul divano per lasciare al giovane il tempo di rendersi conto di quello che gli era successo.
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Passarono alcuni minuti. Il divo era di nuovo in tiro. Ora toccava al
ragazzo sorprenderlo: entrò in salotto vestito da colf, con in mano lo
scopetto del cesso: se lo portò alla bocca e se lo fece ruotare sulla lingua. Il
divo lo guardava sorridendo, con sguardo di sfida.
Il giovane si inginocchiò sul cantautore e cominciò a sbottonargli la
camicia: gli ricoprì di baci il petto peloso e gli leccò con passione le
ascelle nere, portandogli in contemporanea lo scopetto del cesso alla bocca
per fargli succhiare e odorare le rigide setole di plastica. Gli tolse la
cintura e gli abbassò i calzoni fino alle ginocchia, lasciando solo le
mutande a nascondergli la virilità: una volta che anche le mutande furono
sfilate, questa si palesò in tutto il suo bisogno di attenzione; ma il giovane
aveva altro per la testa: rigirato lo scopetto dalla parte del manico, con una
mossa decisa lo spinse per metà della sua lunghezza su per il culo del divo, facendogli fare un balzo
sul divano di almeno mezzo metro; arpionatogli il sesso con la bocca cominciò a lavorarselo di
lingua, continuando a fottere il divo con lo scopetto: il divo si contorceva sul divano, soffrendo
visibilmente; ma il gioco aveva le sue regole, e non si poteva sgarrare.
Non ci volle molto perché l‟eccitazione del divo scemasse. Anche questa volta il ragazzo ingoiò.
Il ragazzo era soddisfatto, aveva finalmente dominato il divo. Ma capì che qualcosa non andava,
poiché questi sorrideva. Gli fece cenno di voltarsi: nel corridoio in ombra c‟era qualcuno. La figura
avanzò lentamente verso il salotto illuminato, finché non si manifestò in tutto il suo orrore. Si
trattava di Enzo Ghinazzi, meglio conosciuto come Pupo: era vestito con stivaletti in pelle, calzoni
di pelle, un chiodo sul torace nudo; la zip dei calzoni era aperta, e il sacchetto delle palle pendeva
fuori dalla fessura. In mano aveva uno stiletto che sembrava molto affilato. L‟espressione sulla sua
faccia era il Male fatto cosa.
Il ragazzo capì che le cose si stavano mettendo male: va bene che aveva pagato per fare del sesso
estremo con i suoi divi preferiti, ma non si immaginava certo che si sarebbe arrivati a questo punto.
Avrebbe dovuto dare ragione a suo padre, da sempre diffidente nei confronti dell‟e-commerce.
Toto Cutugno gli cinse le spalle con le braccia possenti, per immobilizzarlo: il ragazzo non
oppose alcuna resistenza. Ormai le cose avevano preso questa piega, e non aveva senso opporsi al
fato. Chiuse gli occhi, e si abbandonò a ricordi d‟infanzia, in attesa che l‟olocausto si compisse.
Quando il coltello cominciò a ravanargli il collo la sua coscienza si dissolse, rivelando una
labilità pari a quella di una bolla di sapone.
5
Victor il fricchettone
1.
Victor era un olandese. Di buona famiglia aveva rifiutato la vita borghese, non per ragioni
ideologiche, ma semplicemente perché non vi si trovava a suo agio.
Da ragazzo, pur abitando in un paese “libero” e pur frequentando un ambiente culturalmente
elevato, trovava squallidi e vuoti i suoi coetanei, con le loro idee progressiste, le loro appassionate
discussioni sul cinema, sulla musica rock, sull‟arte moderna, con la loro vita “emancipata”: tutti
ugualmente banali e prevedibili, tutti in fondo soddisfatti di una vita improntata al benessere e alla
meschinità.
Era arrivato al punto di non provare più alcun interesse per quello che stava facendo, e di vedere nel
futuro, pur roseo secondo ogni previsione (e secondo i canoni borghesi), null‟altro che una gabbia
dorata. Così si era accodato a un gruppo di sbandati di varia estrazione, che aveva organizzato un
pulmino per andare in Italia, a vivere una vita semplice in mezzo alla natura. Il gruppetto raggiunse
i monti tra Orvieto e il lago Trasimeno nel giugno del 1984.
All‟inizio fu dura adattarsi ad una vita priva di comodità: i “fricchettoni” si stanziarono in uno dei
tanti casolari abbandonati dai contadini emigrati dalla zona, e con il tempo lo rimisero in sesto.
Vivevano di lavoretti, e allevando pecore.
La tranquillità di Victor e dei suoi compagni ebbe termine con l‟arrivo di un gruppo di tedeschi,
anch‟essi fricchettoni, ma in cerca di una vita di droga e sesso liberi piuttosto che di una vita
laboriosa a contatto con la natura. Ci furono dei litigi, soprattutto per questioni di donne, e in uno di
questi litigi Victor ferì un tedesco con un coltello: da allora tra i fricchettoni si diffuse la voce che
era matto; Victor divenne insomma un emarginato tra gli emarginati.
Così se ne andò a vivere da solo in una casa rimessa in sesto da altri fricchettoni, che
successivamente l‟avevano abbandonata sotto il richiamo della civiltà.
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Continuava a fare lavoretti per la gente della zona, che ormai lo considerava alla stregua di un
vicino di casa, seppur eccentrico. Quello che la gente non sapeva è che la solitudine e l‟isolamento
avevano liberato disturbi latenti in Victor, trasformandolo in un predatore. Il primo ad
accorgersene, suo malgrado, fu un vecchio di ottant‟anni che aveva smarrito la via di casa. Era
l‟estate del 2002.
2.
1 novembre 2008, ore 1:00; una Fiat Uno percorre la SS71 in direzione Parrano, destinazione le
“Tane del Diavolo”. A bordo due ragazzi, P.M., di 22 anni e S.M. di 20 e una ragazza, L.T., di 16.
Il giovane di 20 anni se ne stava seduto sul sedile di dietro, a guardare la luna andare e venire tra le
cime degli alberi, in silenzio, bevendo gin dalla bottiglia comprata al discount come se fosse birra;
aveva seri problemi relazionali, era brutto, e l‟unica cosa che gli interessava nella vita era ubriacarsi
e drogarsi fino a perdere conoscenza; se l‟era portato dietro solo perché aveva con sé dello skunk, e
credeva che fumando erba la ragazza si sarebbe disinibita, in modo da evitare inutili manfrine.
Lui se ne stava al volante con la ragazzina sul sedile a fianco; aveva messo su una canzone triste di
una boy band inglese degli anni ‟80 e le aveva detto che poco dopo aver inciso quel pezzo il
cantante si era suicidato; non era vero, ma sperava di stupirla e infatti ci era riuscito. Lei stava
seduta composta sul sedile, come in attesa di qualcosa; per uscire quella sera era dovuta
praticamente scappare di casa, ma nella sua inesperienza le sembrava che il gioco valesse la
candela.
Arrivarono alle “Tane” e parcheggiarono in mezzo ai cespugli. Nella playlist adesso c‟era Deborah
di Fausto Leali. Si girò e rivolse al passeggero di dietro un : “Dai coglione, imbastisci.” Questi con
espressione ebete portò gli occhi spenti sui suoi, per poi mettersi al lavoro. Prese con delicatezza la
mano fredda e sudaticcia della ragazza, e le rivolse un sorriso maliardo. Quando la canna fu pronta
la porse alla ragazza per fargliela accendere: non avendo mai fumato nulla al di sopra delle sigarette
ed essendo di costituzione piuttosto esile questa dopo un paio di tiri collassò; il sorriso sulla faccia
del guidatore si allargò fino a raggiungere i lobi delle orecchie. Raccolse lo spinello e lo diede al
compagno, che aveva ormai smezzato la bottiglia di gin. Si chinò sulla ragazza e cominciò a
toccarle il petto e a baciarle e a leccarle il collo e la guancia; la ragazza era bianca come un
lenzuolo, mugugnava con gli occhi chiusi e a un certo punto gli vomitò una cosa calda e arancione
tutto sopra i capelli. “Ah, ma porca madonna…” cominciò a dire il giovane mentre cercava di
pulirsi con i panni da lavoro che teneva sul sedile di dietro e mentre l‟abitacolo si saturava di odore
di vomito. Il passeggero sul sedile di dietro cominciò a ridere di un riso isterico, acuto. “Cosa hai da
ridere, faccia di cazzo?” l‟apostrofò il guidatore e visto che questi non smetteva né diminuiva di
intensità innervosito gli diede un pugno in faccia spaccandogli il labbro. Neanche questo però lo
fece smettere di ridere. Si accorse che il ragazzo che rideva guardava dietro di lui, e si girò: a
neanche un metro dal suo sportello c‟era un tizio che aveva più o meno l‟aspetto che avrebbe avuto
Gesù Cristo se fosse risorto dopo tre settimane invece che dopo tre giorni; gli pareva che
nell‟oscurità gli occhi gli brillassero di una debole luce rossastra. All‟inizio si spaventò un poco ma
poi la rabbia prese il sopravvento e afferrata una chiave inglese che teneva nel cruscotto aprì la
portiera con l‟intento di dare una lezione al guardone. “Hai così tanta voglia di vedere il colore del
tuo cervello fricchettone di merda?”. Ma non bisogna giocare con un predatore, specialmente
all‟interno della sua zona di caccia: appena sceso dalla macchina il ragazzo si trovò un coltello da
pastore immerso nel cuore.
Victor se ne tornò alla sua casa in mezzo al nulla, lasciandosi dietro un cadavere, una ragazzina
svenuta e un ragazzo strafatto che ancora non aveva smesso di ridere.
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3.
Quando la mattina dopo il giovane spacciatore si svegliò non ricordando nulla della sera precedente,
alla vista del cadavere dell‟amico immerso in un lago di sangue con un coltello che gli sporgeva dal
petto fu preso dal panico e scappò a piedi verso la stazione di Fabro Scalo con l‟intenzione di
raggiungere in treno Napoli, dove aveva delle conoscenze che, confidava, lo avrebbero nascosto
finché non si sarebbero calmate le acque. Ma venne quasi subito intercettato dai carabinieri, allertati
dai genitori della ragazzina preoccupati perché questa non aveva fatto ritorno a casa.
Allo spacciatore venne addossata tutta la responsabilità dell‟omicidio: la ragazzina, temendo per la
sua reputazione, testimoniò contro di lui, accusandolo di averla costretta a drogarsi e di avere
tentato di stuprarla, e di avere poi ucciso l‟amico che aveva cercato di difenderla dall‟orrenda
aggressione. Gli inquirenti sotto la pressione dei media avevano fretta di chiudere il caso, e trovare
un capro espiatorio in uno scarto della società era una soluzione che stava bene a tutti, con buona
pace della Giustizia.
Il fatto occupò l‟attenzione della gente per un paio di mesi: dalle pagine dei giornali e dagli schermi
televisivi i preti condannavano il degrado morale, l‟edonismo e l‟egoismo, gli psicologi l‟uso di
alcol e sostanze stupefacenti e la scelta di condotte di vita abiette da parte dei giovani, ossia di tutte
quelle che non prevedessero l‟andare al cinema con la ragazza, il fare sport, e il farsi mantenere
all‟università fino a trent‟anni; su internet e sui settimanali giornalisti e blogger radical chic si
divertirono a fare satira di tutto ciò, criticando il provincialismo del bel paese, e opponendogli la
vacuità della loro “larghezza di vedute” e della loro “cultura”. I politici, nel mentre che erano
impegnati a spartire denaro e potere tra potentati, si misero a invocare la tolleranza zero contro la
droga e la criminalità, gli uni battendo i pugni sul tavolo, gli altri seguendoli timidamente.
Ma Victor non seguì gli sviluppi della vicenda. Nella sua casa priva di telefono, di elettricità e di
acqua corrente viveva una vita basata unicamente sul sorgere e sul tramontare del sole.
Su un muro della stanza in cui era solito consumare i pasti un precedente inquilino aveva scritto con
la tempera la seguente frase: “Die Wüste wächst: Weh dem der Wüsten birgt!"
8
La morte di Gigi Sabani
Noi tutti sappiamo che Gigi Sabani ci ha lasciati lo scorso settembre, e ancora siamo tristi per la
scomparsa del buono e simpaticissimo presentatore. Quello che però non tutti conoscono è il vero
motivo per cui Gigi è morto. Lo riporto, nella speranza che qualcuno leggendo questo racconto
possa salvarsi la vita evitando di compiere i gesti sconsiderati che hanno portato alla morte
l’imitatore.
“Che caldo che fa!” pensava la giovane mamma mentre spingeva il passeggino su un marciapiede
alberato in cerca di un posto dove poter svuotare la vescica. Aveva le ascelle fradice di sudore e il
sudore le colava in perle lungo la fronte e anche dalla schiena molto sudore le si raccoglieva nello
spacco delle chiappe e anche più in giù. Ma non poteva pensare al sudore in mezzo alle gambe,
rischiava di rovesciare nei calzoni tutto il liquido caldo che si sforzava di tenere nella vescica.
Guardò la bambina, che rideva e agitava le braccine giocando con un sonaglio colorato: lei non
aveva problemi, poteva rilasciare la sua sporcizia odorosa quando voleva, riempiendo il pannolino.
La mamma le sorrise e disse: “Ma che bella bambina che ho” e agitò un dito davanti alla faccia
della bambina, che lo afferò con la manina e si mise a ridere e a sbavare. Intanto con lo sguardo la
mamma cercava un gabinetto pubblico, e si chiedeva come avrebbe fatto con il passeggino: non
poteva mica lasciare la figlioletta a un estraneo! Non con i tempi che correvano. Finalmente arrivò
a un parco pubblico e raggiunse i servizi, che si trovavano al centro dell‟area verde. Si sentiva
molto liberata e pregustava il piacere che avrebbe provato nello svuotarsi, ma rimaneva il problema
della bambina. Si guardò intorno, finché notò su una panchina un uomo che se ne stava sulle sue
mangiando un sandwich al tonno. Non poteva sbagliarsi, nonostante gli occhiali scuri: “Ma lei è
Gigi Sabani!” urlò la giovane mamma rivolta al signore; delle vecchiette si girarono di scatto. Il
presentatore si portò l‟indice davanti alla bocca per intimare alla giovane madre di non fare troppo
chiasso e le fece cenno di venire da lui. La donna gli si accostò. “E certo che sono io!” le disse Gigi
imitando la voce di Mike Buongiorno; aveva il mento unto di maionese. La madre entusiasta
applaudì e la bambina cercò di imitarla, non riuscendo però a far toccare una mano con l‟altra, come
alcune persone diversamente abili. Gigi e la mamma si misero a ridere. “Lei è simpaticissimo signor
Sabani, e tiene compagnia a molte persone che, per un motivo o nell‟altro, nella vita si trovano
spesso ad essere sole!”. “Lei mi fa arrossire” disse Gigi imitando Luca Giurato. “Ora però non
faccia lo scemo, che mi deve fare un favore…”. Mentre la giovane madre gli chiedeva di dare
un‟occhiata alla figlioletta nel mentre che lei era in gabinetto il presentatore tirò fuori da un
sacchetto di carta un altro sandwich al tonno e se lo mangiò in tre bocconate sporcandosi tutta la
bocca di unto. “Ma certo signora, si figuri, a me i bambini piacciono e anch‟io piaccio loro, vero
piccola?” Fece un po‟di solletico alla bambina, che si mise a ridere. “Allora siamo intesi. La
ringrazio ancora signor Sabani, lei è una persona squisita. Tanto faccio subito!” disse la giovane
donna mentre correva verso i servizi. Gigi conosceva le donne, e sapeva che non l‟avrebbe rivista
per almeno quaranta minuti.
Così se ne stava seduto sulla panchina, dondolando avanti e dietro il passeggino, in attesa della
donna che, come previsto, non arrivava mai. Aveva sbagliato ad accettare la proposta, si conosceva
e sapeva che quando avrebbe cominciato a sentire quel solletico in mezzo alle gambe non sarebbe
più riuscito a contenersi e avrebbe dovuto piegarsi al volere di quei pochi centimetri cubi di carne
che ultimamente nella sua vita lo costringevano a fare cose sempre più immonde. Cercava di fare di
tutto per evitare di far nascere il solletico: pensava alle cose più disgustose e tristi, tipo a un uomo
calvo, grasso e peloso che si insapona il buco del culo sotto la doccia, o a quel suo amico a cui era
venuto un tumore e che aveva perso tutti i capelli e tutti i denti a causa della radioterapia. Ma a un
certo punto il solletico arrivò e la sua coscienza si fece da parte per far emergere una componente
della sua anima tanto animalesca quanto fredda.
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Gigi si guardò intorno: era l‟ora di pranzo e il parco era vuoto, fatta eccezione per un vecchio che
dormiva della grossa spaparanzato su una panchina. Spinse il passeggino in una zona nascosta
dietro all‟edificio in cui erano allocati i servizi e si sbottonò la patta tirando fuori un cazzo corto e
scuro, già in tiro. Rimanendo in piedi cinse il passeggino con le cosce e si mise a menarsi l‟arnese
con la mano destra, proprio al di sopra della bambina, che faceva versi tipo “ga, ga”, sorrideva e
agitava le braccine. Con la mano sinistra intanto il presentatore si massaggiava le palle. La bambina
gli toccò con la manina la cappella lucida, e questo fu troppo per l‟imitatore: si strinse le palle più
forte, chiuse gli occhi e lasciò uscire quel torrente in piena che si sentiva dentro. Quando tornò in sé
riaprì gli occhi e diede uno sguardo alla piccolina: aveva la faccia e i capelli completamente
ricoperti di sperma denso e appiccicoso. La bambina si era messa a piangere e tossiva tra un vagito
e l‟altro perché aveva mandato giù un fiotto di sperma che le era finito in bocca e che ora le si era
fermato in gola. Gigi fu preso dal panico e non trovando mezzo migliore per cancellare le prove del
suo orrendo atto si mise a leccare la faccia della bambina, ingoiando il fluido appena uscito dal suo
cazzo corto e scuro. Per la faccia non ebbe grossi problemi, ma i capelli furono un osso duro: alla
fine riuscì a pulire anche quelli succhiandoli a ciocchette, ma li lasciò tutti impiastricciati di saliva.
Poteva sempre raccontare alla mamma che la piccola aveva rigurgitato e che lui aveva cercato di
pulirla con delle salviettine e un po‟ d‟acqua ma che, si sa, il vomito non è proprio facile da pulire.
Tutto sommato soddisfatto del suo lavoro di pulizia afferrò il passeggino e lo girò con l‟intenzione
di tornare alla panchina da cui si era congedato con la giovane madre: ma con sua sorpresa la donna
era proprio dietro di lui e lo osservava con espressione marziale. Preso alla sprovvista lasciò che
questa gli si avvicinasse e che con un tampone sporco di sangue mestruale gli facesse uno strano
disegno sul petto blaterando, in un idioma incomprensibile, quello che aveva tutta l‟aria di essere un
anatema.
Gigi sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiato. Preso dal panico scappò di corsa lasciandosi
alle spalle la giovane madre e la bambina oggetto delle sue orribili attenzioni.
Tre giorni dopo la vita del presentatore fu stroncata da un infarto “improvviso”.
Questa è la triste storia dei motivi della morte di Gigi Sabani. Anche se ha compiuto delle azioni
orribili noi sappiamo che in fondo era buono, e che ha fatto molto bene nella sua vita, tenendo
compagnia con la sua simpatia a molti anziani soli.
Riposa in pace, Gigi!
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Il maresciallo
Primo Mastrini ha vissuto una vita da contadino ai tempi in cui in Italia la carta igienica era un
lusso che pochi potevano permettersi. Nonostante le ristrettezze economiche e il regime di
semischiavitù imposto dal contratto mezzadrile, ha portato avanti la sua vita in modo onesto,
crescendo quattro figlie, tutte maritate e cinque figli, tutti divenuti persone rispettabili. Grande
lavoratore e buon cristiano, amato dai familiari e stimato dai compaesani, la morte lo ha colto nel
1963, all’età di sessantanove anni; è stato sepolto al cimitero di Morcella, dove tuttora riposa.
Una notte d‟estate, ore quattro e mezza del mattino: due giovanissimi, ubriachi, strafatti di cocaina,
di ritorno da una festa piena di ragazzini arrapati dalle acconciature peculiari e di ragazzine che
prendono la pillola che si dimenano al ritmo della house music, incontrano un loro amico più
grande, strafatto anch‟egli, e decidono di farsi tutti assieme un giro in macchina per le campagne del
marscianese, ai fini di smaltire la sbornia.
Il trio è scatenato: non c‟è cassonetto che si salvi dalla loro furia, alcuni vengono rovesciati, altri
dati alle fiamme; ogni animaletto, riccio, gattino, cagnolino, che ha la sfortuna di attraversare la
strada davanti all‟automobile dei giovani viene presto trasformato in un frappé. Questo finché i tre
non raggiungono il cimitero di Morcella.
“Fermati.”, disse il ragazzo più grande, che occupava il sedile posteriore. I due davanti non
l‟avevano neanche sentito: la radio sparava musica house a volumi insostenibili, e i due si
dimenavano, mimando danze e atti sessuali. Il giovane sul sedile di dietro si sporse in avanti e con
un pugno sfasciò la radio: il guidatore inchiodò. “Ehi, ma che cazzo ti è preso?”, disse il guidatore
nel mentre che si girava, prima di vedere lo sguardo del ragazzo: era impasticcato fino al midollo,
ma il suo sguardo era gelido, e sapeva che non era un tipo con cui scherzare: una volta uno
spacciatore marocchino gli aveva giocato un brutto tiro, e da allora non si era più visto; girava voce
che l‟avesse ammazzato e che avesse nascosto il cadavere in qualche bosco sui monti. “Ho detto
fermati. Apri il bagagliaio”. “Ma perché, cosa vuoi fare? Mi hai sfasciato la radio, porco dio, mi è
costata una settimana di lavoro…” disse il ragazzino istericamente: il ragazzo sul sedile dietro lo
fulminò con lo sguardo; il ragazzino spaventato tirò la leva del bagagliaio. Il giovane scese dalla
macchina, aprì il bagagliaio, prese il cric e si diresse come un automa verso il cancello del cimitero.
Il giovane seduto sul sedile passeggeri intanto continuava a danzare, nonostante la musica fosse
finita da un pezzo. “E che cazzo faccio adesso?” disse tra sé il guidatore, preoccupato, e ormai
ripresosi dalla sbornia, nonostante il consistente quantitativo di droga e alcolici consumati.
Dal cimitero cominciò a provenire un baccano infernale: urla, tonfi sordi, rumore di cose spaccate…
Cominciarono ad accendersi luci alle finestre delle case vicine. Al guidatore salì un brivido lungo la
spina dorsale: sapeva di essersi cacciato in un pasticcio. Prese per il braccio il compare, che
continuava a danzare, e si diresse verso il cimitero. “Vediamo di riprendere quello schizzato, e di
sciacquarci dai coglioni in fretta…”.
Appena varcata la soglia del cancello la scena che si presentò ai giovani fu la seguente: il loro
compare aveva sfasciato con il cric la pietra che chiudeva il loculo di Primo Mastrini e ora stava
tirando fuori la bara del poveretto dal sepolcro in cui era stata per più di quarant‟anni. Il guidatore
rimase a bocca aperta; il suo amico, fattissimo, se ne sbatté altamente e cominciò a pomiciare con la
foto sul loculo di una quindicenne morta negli anni trenta; tirò fuori l‟uccello dai pantaloni e si mise
a pisciare sulla tomba della madre della ragazzina, sepolta sotto di lei.
L‟impasticcato aveva quasi sfilato del tutto la bara che, priva di supporto, cadde sul suolo,
sfasciandosi: il giovane rimosse il coperchio e svelò la salma mummificata dell‟onesto contadino;
raccolse il cric, deformato per essere stato usato a mo‟ di mazzetta e cominciò a infierire sul
cadavere, sbavando, ridendo e urlando frasi del tipo: “Ti piace, brutto stronzo? Eh, ti piace?” I suoi
occhi incrociarono quelli del guidatore, che vi scorse la follia più pura.
Intanto una macchina dei carabinieri, allertati dagli abitanti della zona preoccupati per il baccano
che veniva dal camposanto, aveva imboccato il vialetto del cimitero. All‟interno c‟erano il
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maresciallo dei carabinieri T.F., e un giovane appuntato. Avendo visto arrivare la pattuglia gli
abitanti delle case vicine si fecero coraggio e uscirono di casa, dirigendosi verso il cimitero.
La macchina si fermò e il maresciallo e l‟appuntato si diressero verso il cancello. Alla vista del
maresciallo il ragazzino che guidava, l‟unico savio della combriccola, si mise a balbettare: “M- mmaresciallo, io ho c-cercato di…” T. gli passò accanto e, senza neanche guardarlo gli mise una
mano sulla faccia e lo spinse violentemente contro la colonna del cancello, facendogli sbattere la
nuca sullo spigolo; il ragazzino si afflosciò per terra. L‟appuntato gli fu subito sopra, spaventato:
“Maresciallo, ma lo avete ucciso…” T. neanche l‟ascoltò. Il giovane impasticcato intanto aveva
staccato la testa dalla salma di Primo Mastrini e alla vista del maresciallo gliela lanciò come se
fosse un pallone da calcio, e si mise a gridare: “Torel-lo nu-do! Torel-lo nu-do!”, accompagnando il
coro con un gesto del braccio. T. gli fu addosso e gli diede un pugno fortissimo nella pancia,
spappolandogli la milza. Il ragazzo si accasciò e si mise a mugugnare; T. lo prese per la collottola e
lo strascicò sul breccino fino a portarlo fuori dal cimitero, sul piazzale davanti al cancello, in cui si
era radunata una piccola folla che aveva avuto modo di vedere di quali orrendi crimini si fosse
macchiato il ragazzo. T. lo fece inginocchiare, estrasse la pistola dalla cintola e la puntò alla nuca
del giovane; sondò con lo sguardo i volti dei presenti: nei loro occhi vedeva assenso. Premette il
grilletto.
L‟appuntato, in preda a isteria, si mise a gridare: “Maresciallo, ma è impazzito! Per l‟amor del
cielo…” T. gli puntò la pistola contro: l‟appuntato si imbrattò i calzoni e si mise a piangere. “Come
vuole lei, maresciallo, come vuole lei. Cristo, che orrore…” T. intanto era tornato nel camposanto e
aveva recuperato il terzo giovane, che era collassato nel suo stesso vomito. Lo buttò sul cadavere
del giovane impasticcato e lo finì con un colpo alla testa, dopo aver di nuovo cercato e trovato
l‟assenso dei presenti.
La macchina dei giovani fu nascosta in un capannone di uno dei nipoti di Primo Mastrini, che
abitava nelle vicinanze del camposanto e che quella notte era stato presente all‟esecuzione. Per
quanto riguarda i cadaveri, possiamo solo dire che quell‟anno a Mezzagosto a Morcella le salsicce
avevano un sapore strano.
Dopo l‟esecuzione T. recuperò l‟appuntato, che piangeva come un bambino, e si fece accompagnare
alla Caserma. Perché, si sa, i criminali non dormono mai: e con loro chi ha l‟ingrato compito di
ripulire la città e il territorio dalla feccia, che di questi tempi abbonda come non mai.
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No blood for chairs
L‟internauta che capitasse, per caso o sua sponte, sul sito web dell‟azienda marscianese EMU
(all‟url www.emu.it), specializzata nell‟arredamento da esterni, si imbatterebbe in immagini che
ritraggono set di sedie e tavoli griffati da designer famosi disposti in posti ameni e chic al centro
della movida internazionale.
Quello che queste immagini pulite non dicono, l‟inquietante realtà che si cela sotto questi invitanti
richiami a spendere soldi per godere di tranquilli attimi di vita borghese, è che quelle sedie e quei
tavolini sono sporchi di sangue.
Lo scorso ventisei giugno, per la quindicesima volta nell‟arco di poco meno di due anni, all‟interno
dei capannoni della EMU le macchine hanno trasformato carne umana nelle sedie su cui ricchi
borghesi o gente che si indebita per giocare ai ricchi borghesi poggerà le proprie flaccide chiappe. E
non si sono accontentate di un dito, o di una mano, o di un‟avambraccio, ma per la terza volta in
ventidue mesi si sono rifiutate di fare sconti e si sono mangiate una vita umana.
Questa volta è toccato a Kaleem Hussain, operaio marocchino di ventotto anni, una moglie e una
figlia a Tangeri, venuto a morire in Italia con la speranza di regalare un futuro alla propria famiglia.
La moglie ha autorizzato chi scrive a pubblicare le foto della scena dell‟incidente, che sono riportate
nella pagina successiva. Si tratta di immagini forti, e pertanto se ne sconsiglia la visione a persone
impressionabili; è tuttavia mio parere che la gente abbia diritto ad essere informata sugli abomini
che si verificano all‟interno dei capannoni della EMU.
Su questi abomini i dirigenti, contattati, tacciono. “C‟ho da parlare assieme al mio avvocato con i
magistrati, figuriamoci se mi metto a parlare da solo con uno stronzo come te.” Queste le testuali
parole che il sottoscritto si è sentito rivolgere. Il non rispondere al sottoscritto sarebbe poca cosa,
ma non rispondendo al sottoscritto questi signori si rifiutano di rispondere alla cittadinanza intera.
La cosa grave, la cosa triste, è che neanche gli operai vogliono parlare. Temono per il proprio posto
di lavoro. L‟unica testimonianza che siamo riusciti a raccogliere è quella di un‟operaio di
sessantaquattro anni, prossimo alla pensione (da qui in avanti le testimonianze saranno riportate alla
lettera, per permettere al lettore di cogliere tutte le sfumature che una “messa in pulito” potrebbe
cancellare): “Che cazzo me frega, l‟anno prossimo io toquie nun ce sto‟più, più de quarant‟anni a
magnà la mmerda pe‟fa girà co i machinoni pieni de mignotte quei pezzi de‟mmerda dei padroni. E
se pole dì che m‟è annata de lusso, che nun c‟ho armesso la pelle, ma du‟ diti sì, elvè! (l‟operaio
alza la mano destra, a cui mancano indice e medio, NdA).” L‟operaio ci ha poi raccontato
un‟inquietante storia su un “ingegnere” (con questa generica qualifica gli operai indicano chi lavora
in ufficio), che riportiamo, ma su cui mettiamo una riserva, perché non siamo riusciti a verificarla:
“Mica s‟accontentono de schiavizzacce pe‟du‟soldi, je tocca dà tutto, la vita, la famiglia! C‟era „n
ingegnere de Foligno, uno basso, „no zozzo, che camminava come se c‟esse „na mela „ntol culo e
parlava co „na vocetta da frogio! Quillo era „na bestia! Na volta c‟era „n poraccio, che c‟eva bisogno
de lavorà perché c‟eva la mamma all‟ospedale co „n tumore, e l‟volevono caccià via. Embè io „na
sera tardi stavo to quie a lavorà pe fa lo straordinario e „n ho visto „sto poraccio che entrava „nto lo
studio dell‟‟ingegnere colla fija de cinque anni, e poi scappava da solo e la lasciava col frogio? L‟è
gita a pijà dopo „n ora e mezza, e quella piagneva, piagneva! E pu‟ l‟honno licenziato uguale „sti
pezzi de merda bavosi fiji de „na mignotta!”.
Come abbiamo già detto non ci è stato possibile verificare questa storia, ma di storie squallide
all‟EMU di Marsciano c‟è tutto meno che carenza. Come quella di Vasile Pop, rumeno di
trentacinque anni, che ha perso un avambraccio in una pressa ed è poi stato licenziato dai suoi datori
di lavoro (i “padroni”, per usare il lessico dell‟operaio intervistato). Pop Vasile si è suicidato lo
scorso dicembre, lasciando la moglie e un figlio sedicenne. “Non aveva soldi per comprare protesi,
andava in giro con uncino ricavato da gruccia per vestiti.” ci dice il suo amico Marcu mentre in un
caldo pomeriggio estivo riempie di bottiglie di birra vuote il tavolino del bar Millo‟s
“Mio marito non era più felice, si alzava mattina e cominciava a svuotare casse di Fink Brau;
neanche quando preparavo nostro piatto preferito, pasta al forno con aringhe, peperoni, aglio e
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formaggio era felice, e io adesso ha figlio che non lavora, sta sempre a centro giovanile a prendere
droga e a guardare donne nude su computer, come faccio io adesso, come faccio, eh?” Questa la
straziante testimonianza della moglie. Lo scorso dicembre, come abbiamo già detto, Vasile si è
impiccato, probabilmente arrivato al termine della sopportazione per le numerose umiliazioni che è
stato costretto a subire.
Potremmo continuare con altre storie di miseria umana, come già detto ce ne sono in abbondanza,
ma non è nel nostro interesse fare della facile pornografia dei sentimenti per riempire il vuoto di
notizie estivo e attirare il lettore pigro con l‟ennesima storia shock destinata a finire a breve nei
chiusini del marasma informativo. Non è nel nostro interesse neanche la vendetta nei confronti di
chi su questo sistema ci ha mangiato e continua a mangiarci sopra; per quello esiste la magistratura,
e abbiamo fede nel suo operato, anche se temiamo che i dirigenti si salveranno facendo a
scaricabarile; del resto in un paese in cui l‟ordinamento prevede la pena di morte uno non può
prendersela col boia, che fa soltanto il proprio lavoro.
Quello che ci piacerebbe, anche se è una cosa da illusi in questo mondo in cui si è costretti a essere
cinici e spassionati anche se si ha meno di trent‟anni, è di smuovere le coscienze e spingere la gente
a interrogarsi se sia possibile accettare la presenza, nel cortile della propria onesta, pulita e sana
cittadina, di un macello in cui vengono portati non capi di bestiame, ma persone. E magari quello
che esce da questi macelli costituisce addirittura un vanto per la cittadina, e un esempio della salute
e della qualità del sistema produttivo della stessa. Per non parlare poi, diminuendo la scala, di
quello che accade nel cortile del mondo ricco, anche se quello è veramente un lottare contro i mulini
a vento.
Purtroppo però temiamo che questa storia, che poi è appunto la storia dei tanti Kaleem Hussain e
Vasile Pop di questo mondo, non farà altro che fornire un argomento di conversazione per riempire
con quattro chiacchiere un afoso pomeriggio estivo, tra una cedrata e una partita di tressette. Magari
mentre si cerca un po‟ d‟ombra e un po‟ di movimento d‟aria sotto i quattro alberi fuori dal bar.
Magari mentre si poggiano le chiappe su una sedia dell’EMU.
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Quilli campono
C‟era una volta, nel ridente paese di M., situato ai piedi dei monti dell‟orvietano in prossimità
dell‟alcova del laido fiume N. e del ben più laido fiume T., un gruppo di persone che sotto
un‟insegna che si richiamava a una nobile pianta mediterranea gestiva il potere in un modo che
faceva ben capire cosa avesse presente Niccolò Machiavelli quando scrisse la sua famosa opera Il
Principe.
La triste storia che vi proponiamo è quella del giovane M.M., giovane ambizioso ma, come si vedrà,
piuttosto ingenuo; la sua inesperienza gli ha fatto credere di poter contare sulla propria astuzia per
fare le scarpe a chi la sapeva molto più lunga di lui. Il giovane, coordinatore di un circolo di una
frazione di M. (questi circoli erano un‟istituzione-truffa inventata da coloro che si riunivano sotto
l‟insegna predetta per accalappiare i voti della gente fornendo una parvenza di democrazia diretta)
ambiva a un ruolo più alto di quello di pedone sulla scacchiera del gruppo di potere di cui faceva
parte. E per realizzare le proprie aspirazioni pensò bene di ricorrere all‟arma del ricatto.
Era infatti venuto a conoscenza di una faccenda imbarazzante: pareva che la coordinatrice del
circolo di M., V.B., fidanzata e in odore di matrimonio, fosse stata vista abbracciare una scrivania
per il lato corto con le sottane alzate e con il potente uomo politico A.T. intento a farle un‟esaustiva
visita ginecologica. La cosa appariva ancora più squallida se si considera che A.T. era candidato
alla poltrona di sindaco e che V.B. ambiva a diventare assessore sotto di lui (ci sia perdonato il
gioco di parole).
M.M. era cosciente del fatto che nulla attira l‟attenzione della plebe come le vicende di sesso, e del
potenziale carattere diffamatorio dell‟informazione di cui era depositario. Era anche cosciente delle
ricadute elettorali negative che la diffusione della notizia avrebbe determinato, e che di conseguenza
i quadri del suo partito avrebbero fatto di tutto per evitarla.
Si recò quindi dal commander in chief G.C. per parlare delle sue prospettive di carriera all‟interno
del partito, facendo velate allusioni per far capire che se non fosse stato accontentato avrebbe messo
la popolazione a parte della vicenda della tresca. Ma G.C. non capì, in parte perché era ubriaco e in
parte perché la sua attenzione era distolta dal pensiero di un grosso affare che aveva per le mani: si
trattava di stoccare illegalmente rifiuti radioattivi nel biodigestore della frazione di O. per conto di
alcuni francesi che si erano messi in contatto con lui attraverso i suoi uomini della città gemellata di
T.; questa volta si trattava di grossi quantitativi di denaro, non delle solite marchette dei costruttori
della zona. Così intimò a M.M. di andarsene e di lasciarlo lavorare in pace.
Ma il giovane, con la cocciutaggine propria della sua età, non si diede per vinto e spedì al sindaco
una lettera in cui, senza mezzi termini, comunicava che se non fossero state prese in considerazione
le sue richieste si sarebbe rivolto al giornalista A.A. (lo stesso che scomparve tre anni dopo e il cui
corpo fu poi ritrovato nelle fondamenta dei grattacieli costruiti nella zona di Monte Lagello), il
quale avrebbe confezionato un piccante articolo che avrebbe dato il la a un vero e proprio sexgate.
G.C. si fece leggere la lettera dalla sua segretaria mentre annotava su un taccuino i numeri di
telefono di alcune accompagnatrici. Al termine della lettura fece una specie di grugnito, sollevò la
cornetta e chiamò il brutale maresciallo dei carabinieri T.F. perché risolvesse la questione a modo
suo.
La sera stessa una Fiat Uno con dentro T.F. raggiunse l‟abitazione di M.M. nella frazione di C.. Al
passaggio della macchina le luci delle case si spensero e le imposte delle finestre si chiusero: la
gente sapeva che se T. era in giro dopo il tramonto qualcosa di brutto sarebbe successo nella notte, e
non voleva essere coinvolta. T. suonò il campanello. Quando il padre di M.M. aprì la porta e vide
l‟espressione cattiva sulla faccia da cinghiale di T. capì subito come stavano le cose. “Tuo figlio”
disse T. con calma. “N-non è in casa.” rispose l‟uomo. Una manganellata gli spaccò tutti i denti
davanti. Cadde per terra e T. gli passò sopra. Non gli ci volle molto a trovare M.M., che piangeva
come un bambino. T. lo guardò con disprezzo, lo tramortì con una manganellata e lo caricò nella
Uno.
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Quando rinvenne M.M. si rendeva conto di stare affogando in un liquido denso e dall‟odore
insopportabile. Non gli ci volle molto per capire dove si trovasse: si trovava al biodigestore della
frazione di O. e stava annaspando in mezzo ai liquami. Facendo ricorso alle ultime energie tirò la
testa fuori dalla merda e colse un‟immagine raccapricciante: un giovane giornalista indipendente
della zona, M.B., era incatenato, nudo, sospeso sopra i liquami e si dimenava come uno scalmanato;
T. e un appuntato gli strappavano brandelli di carne dal corpo con delle tenaglie arroventate.
Una volta M.M. aveva avuto un diverbio con M.B., e quest‟ultimo lo aveva messo in guardia sulla
vera natura delle persone che gestivano il potere a M.. Aveva ragione, ma M.M. si consolò: in fin
dei conti non gli era toccata una fine migliore della sua.
L‟unico modo per tirare avanti in quella sporca cittadina era quello di piegare la testa, subire e
accontentarsi. Alcuni, la maggioranza, ci riuscivano, altri no. I liquami inghiottirono con una grossa
bolla il corpo di M.M. che andò a raggiungere sul fondo i cadaveri – e non erano pochi - di coloro
che, prima di lui, avevano sgarrato.
Epilogo
Due anni dopo una potente equipe informatica finanziata con 250.000 euro e capitanata da W. The
fishkeeper P. individuò il sito http://glocul.altervista.org. T.F. fu incaricato di risolvere il problema.
T., che era fondamentalmente un codardo, forte con i deboli e debole con i forti, pensò di
sorprendere J.O. nel sonno e di rapirlo all‟insaputa del suo potente padre. Ma quando T. e un
appuntato fecero irruzione nella camera di J.O. in una casa di campagna nei pressi della frazione di
M. non trovarono nessuno.
Quella notte J.O. aveva avuto un sonno agitato; gli era apparso il volto di M.M. e svegliatosi di
soprassalto aveva avvertito l‟inarrestabile impulso di recarsi al cimitero della frazione di M..
Quando seppe ciò che era successo a casa sua quella notte mentre lui era in giro per tombe si diede
alla macchia rifugiandosi sui monti tra M. e Gaiche, dove si propose di organizzare la Resistenza
contro le persone malvagie e senza scrupoli che si riunivano sotto l‟insegna del PD.
Tre giorni dopo il suo corpo, dilaniato da numerose scariche di pallettoni da cinghiale, giaceva in un
fosso presso Fibbino.
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Il professionista
Non è come dice la gente e soprattutto non è affatto facile. Sì, una casta c‟è; ma al suo interno si
svolge una permanente bellum omnium contra omnes, e il riuscire a stare a galla non è impresa da
tutti.
Ai vertici della casta ci sono persone che, oltre ad aver saputo giocare bene le proprie pedine sulla
scacchiera della vita, sanno stringere la fredda mano della morte e sostenere il suo sguardo vuoto
sfoderando un sorriso affabile. Ma non parlo della loro morte, il che non sarebbe poi affare di gran
conto: bensì di quella di coloro che fanno finire nelle liste di proscrizione, di quella di coloro che
fanno passare per le armi nelle tanti notti dei lunghi coltelli… E, non ultimo, di quella di tutti quei
poveretti che loro malgrado si trovano a dipendere indirettamente dalle loro azioni e dalle loro
decisioni.
Capita però che, per vizi di procedura, i vertici alti, o comunque medio-alti della casta si trovino ad
essere occupati da persone cui la vita ha ancora lasciato dentro un briciolo di coscienza. Per
l‟eliminazione di queste impurità il sistema – quando non è costretto a intervenire direttamente – fa
in genere affidamento sulle leggi fondamentali che regolano il funzionamento di quel quid che ha
portato i filosofi greci a spendere tante parole, cioè l‟anima.
È questo il caso del protagonista della nostra storia, un professionista abituato a ricoprire incarichi
dirigenziali nel campo dei lavori pubblici, che si è trovato per le mani un affare sicuramente molto
più grande di lui:
La sua più grande passione, nascosta e che ormai era degenerata fino a trasformarsi in una vera e
propria ossessione, era quella di cucinare la merda. La prima volta che l‟aveva fatto era a casa, da
solo, la moglie era uscita con le amiche; lui stava guardando la televisione, una partita di pallone.
Aveva bevuto un paio di birre e si sentiva la testa leggera e la mente sgombra non solo dalle
preoccupazioni che lo affliggevano in quasi ogni istante della sua vita, ma dal benché minimo
pensiero. Assecondando un moto della sua anima che veniva da chissà dove si recò in cucina, prese
un piatto e come se fosse una cosa normale vi si accucciò sopra e vi cacò dentro uno stronzo di una
quindicina di centimetri, largo a occhio e croce un pollice e mezzo. Si recò al bagno dove si nettò il
culo con della carta igienica e si fece il bidet, poi prese il piatto e lo portò in cucina. Mise un po‟ di
aglio a soffriggere in una padella, e vi buttò dentro lo stronzo, che sfrigolava come una bistecchina
di maiale; poi aggiunse del rosmarino; muoveva lo stronzo nella padella con un forchettone di
legno, guardandolo con aria inespressiva. Quando prese atto di quello che stava facendo sorrise,
prese la padella e ne rovesciò il contenuto nel water, per poi scaricare. Liquidò il tutto come uno
scherzo della sua mente troppo stressata e si rimise a guardare la partita di pallone in televisione.
Ma quel qualcosa di irrisolto che tutti ci portiamo dentro nel suo caso aveva ormai preso il
sopravvento sulla parte razionale e volitiva della sua anima; oltre ad aver assunto un carattere
decisamente inquietante.
Così, nelle settimane successive, mentre stringeva mani, sorrideva e si umiliava davanti a quelli che
sapeva essere degli uomini malvagi e senza scrupoli e mentre dipingeva davanti alle telecamere e
sulla carta stampata il progetto che coordinava come una manna caduta dal cielo per i cittadini che
abitavano quelle bellissime ma disagiate regioni, ogni mattina cacava in un cartoccio di carta
stagnola e poi portava a congelare lo stronzo nei locali di una pizzeria fallita in un posto sperduto
sui monti, locali che aveva affittato insieme a tutta l‟attrezzatura del ristorante.
Quando, sanate tutte le controversie, il progetto definitivo dell‟opera fu finalmente approvato, disse
alla moglie che si recava un fine settimana in Serbia, a cacciare con un gruppo di amici; in realtà
prese la macchina, il libro La grande cucina di Gianfranco Vissani e si recò alla sua pizzeria sui
monti.
Trascorse due giorni vestito con grembiule e cappello da chef, a preparare piatti secondo le cento e
più ricette del libro, sostituendo l‟ingrediente principale con la merda di quaranta giorni che aveva
conservato in congelatore. Non era uno schifoso, non mangiava le sue preparazioni; ogni volta che
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confezionava un piatto (e a forza di pratica stava diventando sempre più bravo nell‟arte culinaria)
gli faceva una foto e poi lo scaricava nel cesso. Quando arrivò il momento di tornare a casa, dopo
aver pulito meticolosamente il locale, in cui ormai non si scorgeva più alcuna traccia della deboscia
che vi si era consumata, era tranquillo e sereno e le cose assurde che aveva fatto gli apparivano
lontane, come se fossero avvenute in sogno. Quando giunse a casa le aveva completamente rimosse
e alla moglie che gli chiese come fosse andato il weekend di caccia rispose che aveva litigato con
un suo amico che voleva finire un capriolo ferito a una gamba. La moglie gli disse che sapeva che la
caccia non faceva per lui, che era troppo buono e gli diede un bacio sulla fronte.
Ma quando si cominciarono i lavori dell‟invaso e quando vide le camionate di robaccia mortifera
che venivano scaricate nel corpo diga la serenità gli passò di colpo; quando non doveva esibirsi in
sorrisi ruffiani davanti ai suoi padroni, o paternalistici davanti ai servi della carta stampata si
rinchiudeva nel suo ufficio; sentiva una morsa stringergli il cuore e spesso si metteva a piangere. Fu
da questa disposizione d‟animo che ebbero origine le scelte che portarono a uno dei più peculiari
suicidi accidentali tra quelli annoverati negli annali della cronaca.
Conosceva un tale, suo compagno di banco ai tempi del liceo, primario del reparto di geriatria
dell‟ospedale della città capoluogo della regione in cui si stava costruendo la micidiale opera; costui
era un uomo di mondo, e non fece (e non si fece) tante domande quando l‟amico gli offrì
cinquantamila euro per due mesi di andate di corpo degli ottanta pazienti del suo reparto. Alle
infermiere fu data disposizione di svuotare le padelle in un secchio; ogni giorno il professionista
passava a ritirare il secchio e lo portava nel suo locale sui monti, per depositarlo in una stanza in cui
aveva allestito una cella frigorifera.
Arrivò il giorno dell‟inaugurazione: nastri furono tagliati, sorrisi furono sprecati, fiumi di belle
parole autocelebrative da parte delle autorità furono riversate sui giornali e nei telegiornali. Anche il
Presidente della Repubblica si interessò della cosa, spedendo un messaggio che fu letto dal
presidente della Regione e in cui si descriveva l‟opera come frutto della ingegnosità dell‟Italia e
della laboriosità delle sue genti. Il professionista sorrideva, stringeva mani, recitava la parte che
aveva imparato a recitare da quando, a trent‟anni circa, aveva perso ogni fiducia nell‟umanità e
aveva messo da parte la propria coscienza e rinunciato a ogni moralità che non fosse di facciata; ma
la sua mente era altrove.
Quella sera, dopo i festeggiamenti, lasciò la moglie a dormire nel letto, salì in macchina e si diresse
sui monti, alla sua pizzeria, dove nelle settimane precedenti era stato portato un grande forno
elettrico di proprietà di una rinomata impresa dolciaria della zona, che si trovava a navigare in
cattive acque a causa della crisi economica che stava investendo la regione. Crisi economica a cui
l‟infrastruttura che il nostro professionista aveva contribuito a edificare avrebbe dovuto fornire una
risposta in termini di possibilità occupazionali e di formazione di un indotto legate alle notevoli
esigenze di manutenzione dell‟opera stessa.
Questo almeno sulla carta: in realtà all‟interno dell‟opera erano nascoste grosse quantità di micidiali
rifiuti tossici prodotti da una ricca nazione straniera che aveva contribuito con grossi finanziamenti
alla sua costruzione.
Quando aprì la cella frigorifera fu investito da una zaffata di aria più puzzolente del fiato di
Lucifero; cominciò a tirare fuori i barili, uno alla volta, e con una pala ne buttava il contenuto
all‟interno del forno.
Quando il forno fu pieno lo portò alla massima potenza e si sedette su uno sgabello posto davanti
allo stesso: fissava rapito le trasformazioni del contenuto del forno attraverso una specie di oblò: gli
stronzi e la diarrea congelata dei vecchi cominciarono prima ad ammorbidirsi, poi a liquefarsi;
grosse bolle cominciarono a formarsi e a scoppiare, andando e venendo con lo stesso potere
ipnotico dell‟acqua che scorre nel fiume, e creando figure della stessa amenità dei frattali di
Mandelbrot. Intanto la merda riscaldata cominciava a liberare gas che saturarono rapidamente il
vano del forno.
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Il professionista si sentiva libero, e sentiva una gioia immensa crescergli in petto; continuava a
fissare ipnotizzato le danze esotiche della merda bollente e capiva che tutte quelle menate su dio che
gli avevano fatto al catechismo non erano poi così prive di significato: lui si sentiva Dio nel cuore,
lui stava guardando dio. La pressione del gas all‟interno del forno intanto aumentava.
Epilogo
L‟esplosione fece crollare il solaio, e il professionista morì schiacciato sotto di esso; al momento di
morire era felice, come solo un uomo veramente libero può esserlo.
Oggi se si passa vicino al sito in cui sorgevano i locali dell‟ex pizzeria si può osservare un busto che
lo commemora ricordando il tanto che bene ha fatto per le popolazioni delle regioni benedette dalla
sua attività.
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Ognissanti
Erano le 19:45 del 31 ottobre e una signora di mezz‟età se ne stava sull‟uscio in attesa del figlio
ventisettenne che tardava a tornare a casa. Soffiava un vento leggero e umido, il cielo nuvoloso
rischiarato dalla luce di qualche centro abitato giù nella valle, o su qualche rilievo in lontananza,
comunque sicuramente più grandi del paese in collina in cui abitava da quando aveva memoria.
Il figlio era disoccupato. Aveva abbandonato la comunità da due settimane, e in quelle due
settimane per le sette aveva sempre fatto ritorno a casa. Diceva che andava in giro a cercare lavoro,
ma non trovava niente che lo soddisfacesse e si lamentava affermando che in questo paese ai
giovani non vengono concesse opportunità. Quella sera era la prima volta che sgarrava, e la madre
temeva che potesse essere ricaduto nel vortice di campari con gin e cocaina sempre in agguato nei
desolati bar dei depressi centri di provincia.
Con l‟anima in apprensione richiuse la porta e si apprestò ad imbastire la tavola per la cena, cena
invero piuttosto misera considerate le ristrettezze imposte da questi tempi non proprio floridi:
qualche fetta di coppa, del pane, un brodo di dado e una lattina di birra del discount, con la quale
sperava di placare i satanici appetiti del figlio ex-tossicodipendente. Intanto in televisione Carlo
Conti faceva il gioco della “ghigliottina”. Squillò il campanello.
Rincuorata, ma anche ansiosa, andò ad aprire la porta, e la scena che le si parò davanti fu la
seguente: un uomo basso e grasso, nel quale riconobbe il sindaco della vicina città di M., vestito da
diavolo, con una calzamaglia rossa che sembrava sul punto di lacerarsi in prossimità del ventre
prominente, un forcone di plastica e due corni sulla testa si accompagnava a una persona alta e
magra, che non poté riconoscere perché aveva il volto ricoperto da un lenzuolo nel quale aveva
ricavato due fori per gli occhi; era infatti travestito da fantasma.
La donna era rimasta con la bocca aperta, l‟espressione tra il perplesso e lo stupito; l‟uomo vestito
da diavolo, che non aveva smesso un attimo di fissarla negli occhi con un sorrisetto malizioso le
fece: “Dolcetto o scherzetto?”.
La donna si riebbe dallo stato di shock e, tornatale in mente la precedente preoccupazione circa le
sorti del figlio si arrabbiò e disse all‟uomo vestito da diavolo di lasciare in pace la povera gente,
dopodichè se ne tornò in casa sbattendosi la porta alle spalle. Ancora perplessa per la singolare
scenetta di poco prima, si sedette, stappò la lattina di birra e se ne versò un bicchiere: pensava di
averne bisogno, perché questo mondo è troppo strano perché lo si possa affrontare mantenendosi
sempre lucidi senza uscire di senno.
Non fece in tempo a bagnarsi le labbra che un rumore di vetri rotti la fece balzare dalla sedia e
correre verso la finestra: il diavolo e il fantasma avevano preso dei piedi di porco e le avevano
sfasciato i fanali della macchina, apprestandosi a continuare il lavoro sul parabrezza. L‟uomo
vestito da diavolo se la rideva della grossa mentre procedeva nell‟operazione; non era invece
possibile desumere lo stato d‟animo del fantasma - che si muoveva lentamente e in modo
dinoccolato - poiché, come abbiamo già detto, aveva il volto coperto.
Fuori di sé dalla rabbia andò a prendere la scopa e uscita di casa si scagliò contro i due birboni, che
capite le intenzioni della povera madre se la diedero a gambe: colpì un paio di volte il fantasma, che
era lento e scoordinato nella corsa, ma mancò il sindaco con un forte colpo di scopa indirizzato alle
prominenti natiche; il sindaco per risposta lanciò un fragoroso peto, mentre correva, continuando a
ridersela della grossa.
Dopo una quarantina di metri la madre, esausta, abbandonò l‟inseguimento e si accasciò a terra. Il
diavolo e il fantasma continuavano a correre nella notte, accompagnando alla corsa risate, interrotte
saltuariamente da qualche peto e da qualche bestemmia.
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Terremoto
“Non sai se la morte ti coglierà nel tuo letto, o sul lavoro, o per istrada, o altrove.”
San Giovanni Bosco
Era stato amore a prima vista.
Ai tempi era ancora sindaco di M., e si trovava nella cittadina di T. per delle iniziative legate al gemellaggio
tra i due comuni; alloggiava insieme alla moglie e ai figli in un appartamento messo a disposizione
dall‟amministrazione comunale.
Fu tornando a casa un venerdì sera, dopo un pomeriggio passato in brasseria a far bisboccia con il sindaco di
T. e gli scapigliati membri della sua giunta.
Aprì la porta, mezzo ubriaco e trovò la moglie intenta a fare le pulizie con un aspirapolvere industriale
bimotore da trentacinque litri che aveva trovato nello sgabuzzino dell‟appartamento: da allora per il resto dei
cinque giorni del periodo di permanenza a T. studiò ogni sorta di espediente per mandare i famigliari fuori
casa e rimanere solo in compagnia dell‟elettrodomestico.
Poi la vacanza finì, e fece ritorno alle desolate lande di M.; ma il ricordo del suo amore oltralpe non lo
abbandonava.
Così, dopo un paio di mesi, tornò a T. con la scusa di dover completare alcune formalità legate al
gemellaggio; il sindaco di T. non fece problemi – propose anche di rimediargli alcune escort, ma lui rifiutò –
e gli lasciò le chiavi dell‟appartamento.
Al termine della settimana aveva il cazzo tumefatto e la cappella delle dimensioni di una mela acerba, per cui
dovette sottoporsi a un intervento chirurgico; al dottore disse che aveva preso una pallonata durante una
partita di calcetto.
La moglie sospettò qualcosa, ma mangiò la foglia.
Quando però, qualche tempo dopo, lo vide far ritorno a casa con un aspirapolvere industriale da
milletrecento watt acquistato all‟Euronics fu troppo, e lo cacciò di casa.
La prospettiva di allontanarsi dai propri famigliari non lo spaventava, tanto aveva sempre il suo amore al
proprio fianco.
Così chiamò un amico che dopo aver sentito la situazione gli propose di andarsi a sistemare in un
appartamento di suo possesso situato nel borgo di S., rimasto vuoto dopo la morte della madre.
L‟appartamento fu presto trasformato in alcova: ora era felice, poteva finalmente dedicarsi a tempo pieno
all‟amore della sua vita.
Ma non aveva fatto i conti con la fallacia della scienza – le cui teorie, si sa, tengono insieme i fatti come le
carte in un castello di carte – che non aveva previsto la presenza di una faglia tettonica passante proprio sotto
il borgo di S..
21
Così, quando le forze della terra si liberarono, la trave che reggeva il soffitto dell‟appartamento non resse: il
solaio crollando lo seppellì proprio mentre si accoppiava con l‟elettrodomestico a cui negli ultimi anni aveva
consacrato la propria vita, arrivando addirittura a rinunciare, per esso, alla propria famiglia.
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Trans
Nella nostra società si è ormai fatta strada l‟idea per cui a ogni persona deve essere riconosciuto il diritto di
vivere liberamente la propria ricerca della felicità.
Questa idea si è estesa anche al campo della libertà sessuale, perfino nei suoi aspetti più estremi.
Mi riferisco a quei casi di persone che non riescono a scendere a patti con il proprio corpo, tanto che di
recente in un ospedale medio-grande del centro Italia un intervento di cambio di sesso è stato finanziato dalla
mutua.
Vi vado a raccontare la storia di due ragazzi, anch‟essi incapaci di accettare il proprio corpo, al punto da
arrivare a mutilarlo con modalità – e soprattutto per finalità - piuttosto peculiari.
Uno era un giovane di ventisette anni, impiegato presso l‟ufficio anagrafe del comune in cui risiedeva. Per
noia aveva cambiato i dati di più di cinquanta cartelle, tanto che almeno venti persone in perfetto stato di
salute agli atti risultavano morte: non se ne era mai accorto nessuno, o anche se qualcuno se ne era accorto
non gliene era importato; comunque, se gliene era importato, non si era preoccupato di farlo sapere in giro.
L‟altro era un grassone. Aveva trentadue anni ed era iscritto come studente fuori corso alla Facoltà di Lettere
e Filosofia; scriveva poesie sui fiori, i frutti e gli uccelli caratteristici delle stagioni, che ogni tanto venivano
pubblicate sul giornalino del liceo. Viveva da solo in una grande casa che gli avevano lasciato in eredità i
genitori.
I due erano amici, e si frequentavano con una certa regolarità da quasi quattro anni; si erano conosciuti al
funerale di un amico comune, un anziano vedovo che cercava compagnia mettendo annunci sui giornali
locali.
Ma andiamo a produrre una breve disamina delle loro personalità e delle loro abitudini, al fine di capire
meglio ciò che successe la sera in cui le loro vite cambiarono.
Il ragazzo impiegato presso l‟anagrafe era stato cacciato di casa dai parenti, e viveva in un monolocale in uno
degli orrendi e inutili palazzoni che negli ultimi anni si erano mangiati i campi a ridosso della cittadina in cui
risiedeva. Dai sei mesi in cui si era trasferito nell‟appartamento non lo aveva praticamente mai pulito, tanto
che era pieno di cumuli di rifiuti e la sporcizia si era impossessata di ogni anfratto.
Non riceveva mai nessuno, ad eccezione dell‟amico, che passava a trovarlo uno o due pomeriggi a settimana:
insieme prendevano un the e mangiavano biscottini della Bahlsen, discutendo di cose futili; a volte
guardavano un talk show in televisione, oppure si mettevano a leggere la Bibbia.
Si reputava un artista, e si era fatto riprendere dall‟amico mentre cacava su un laptop. Pensavano di mandare
il filmato in loop a un reading di poesie che questi aveva scritto sull‟alienazione nella società tecnologica;
per organizzare l‟evento avevano pensato di appoggiarsi a un festival dedicato ai giovani artisti che si teneva
ogni primavera nel loro paese, ma erano troppo timidi per farsi avanti e quindi finora la cosa non era andata
in porto.
Quanto al pingue amico, era asessuato; a sedici anni la madre – preoccupata per lo scarso interesse
dimostrato dal figlio nei confronti dell‟altro sesso - per svezzarlo aveva cercato di masturbarlo,
compromettendone definitivamente la già pigra sessualità.
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Volendo tirare le somme i due erano dei disadattati della peggior specie, anche se una persona
compassionevole avrebbe detto che erano soltanto due persone sensibili che scontavano in particolar modo il
disagio derivante dal fatto di vivere nella provincia della provincia.
Ma erano ben altri i problemi con cui i giovani dovevano confrontarsi.
L‟impiegato aveva infatti sviluppato una vera e propria ossessione nei confronti del personaggio protagonista
della serie televisiva Il Tenente Colombo. Si era scaricato da internet tutte le stagioni del telefilm, e il suo
appartamento era tappezzato di poster di Peter Falk che aveva ordinato sul web.
Aveva anche cominciato ad andare in giro con indosso un impermeabile sciatto e a fumare sigari dominicani
da un euro e cinquanta, nonostante gli procurassero la nausea e gli riempissero la bocca di afte.
Con una chiave inglese aveva provocato delle bozze sull‟utilitaria che aveva acquistato a rate, e dentro casa
teneva una bambola gonfiabile vestita con abiti distinti da signora di mezz‟età: la “signora Colombo”.
È proprio questo aspetto ossessivo della personalità del giovane che è particolarmente rilevante ai fini della
nostra storia; aspetto che condivideva con l‟amico, che aveva sviluppato un‟analoga ossessione nei confronti
di un altro personaggio televisivo, il Dr. House.
Lo studente aveva infatti speso più di settecento euri per acquistare i cofanetti edizione extralusso delle
prime cinque stagioni del telefilm, e collezionava bastoni da passeggio; l‟ultimo entrato nella collezione
aveva il pomo placcato di platino, e per comprarlo aveva dovuto vendere il maxischermo al plasma su cui il
defunto padre era solito guardare i documentari di Philippe Daverio.
Una volta ogni quindici giorni faceva il giro delle farmacie del circondario, acquistando medicinali a caso,
che poi consumava da solo nella sua abitazione: due volte si era dovuto recare al pronto soccorso, una volta
per un attacco di tachicardia e un‟altra per un fortissimo attacco di diarrea.
Andiamo a vedere quello che successe nella sera fatidica.
Suonò il campanello: l‟amico aprì e gli strinse la mano con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
Stava preparando un esame di archivistica e non si faceva la doccia da cinque giorni. Ciononostante era
vestito elegante, in giacca e cravatta.
Il grassone prese la pesante busta che l‟impiegato portava con sé e la appoggiò in un angolo.
Lo indirizzò in cucina: aveva chiesto alla colf di apparecchiare per una cena galante; questa aveva tirato fuori
l‟argenteria e sulla tavola spiccavano due calici in cristallo di Boemia che avevano fatto parte del corredo
nuziale della madre del giovane.
Il grassone aprì il frigorifero e tirò fuori due cartoni di vino in brick del discount da un litro e mezzo l‟uno,
uno di bianco e uno di rosso. Versò un calice all‟amico, che se lo scolò di un fiato, per poi riempirlo di nuovo
e così via, alternando bianco e rosso. Quanto a sé si versò un bicchiere di acqua di rubinetto e ne bevve un
sorso.
Tirò fuori dal congelatore due buste di risotto ai funghi pronto, mise una padella sul fuoco e ci mise a
sciogliere un intero panetto di burro; una volta che il burro fu squagliato riempì la padella con il contenuto
delle buste e aspettò che la pietanza cuocesse.
Mangiarono in silenzio, scambiandosi un sorriso di complicità di tanto in tanto.
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Finita la cena si recarono in salotto. Lo studente aveva dato disposizioni alla colf perché fosse acceso il fuoco
nel caminetto e sulla brace era stato messo ad arroventare un ferro da calza della defunta madre. Aprì la
credenza e tirò fuori una bottiglia di brandy, passandola all‟amico che ne bevve subito un lungo sorso; mise
sullo stereo un cd di canzoni di Natale cantate da bambini, nonostante fosse il ventitré marzo. Poi si accese
un cubano da quindici euri e si sedette su una poltrona davanti al caminetto.
Davanti a lui, su un‟altra poltrona, era seduto l‟amico, che continuava a bere brandy con un‟espressione resa
ebete dall‟alcol.
Non una parola fu scambiata tra i due per tutto il corso della serata; sulla faccia del grassone era dipinto un
sorriso malizioso.
Quando l‟amico bevve l‟ultimo sorso di brandy – era ubriaco al punto da non riuscire a stare seduto diritto
sulla sedia e continuava ad accasciarsi su un lato e a tornare su come uno di quei pupazzi per i giochi dei
bimbi – il grassone uscì dalla stanza e vi rientrò con in mano la busta portata dall‟amico, che conteneva un
coppo.
Posò il contenuto della busta tra le due sedie e diresse la propria attenzione verso il caminetto, pronto ad
iniziare il rituale che avevano concordato da mesi.
Preso il ferro da calza arroventato si avvicinò all‟amico, gli spalancò le palpebre dell‟occhio destro e ci infilò
dentro l‟arnese, forandogli la pupilla; subitamente si sedette sulla poltrona e stese lunga la gamba destra.
Per il dolore il novello Polifemo si riprese immediatamente dall‟ubriachezza e ricordatasi la propria missione
raccolse il coppo e lo scagliò con violenza sulla gamba del grassone, spappolandogli il ginocchio.
Non dovrebbe essere difficile indovinare le ragioni dietro gli scellerati gesti: i due volevano colmare in
maniera definitiva il divario che li separava dai loro beniamini.
La mattina seguente quando si recò nell‟appartamento per fare la pulizie la colf, trovatasi davanti
all‟infernale scena dei due giovani svenuti e imbrattati di sangue, per lo spavento fuggì dalla casa, non prima
di averla ripulita da tutti gli oggetti di valore. Poi, colta da un rimorso di coscienza chiamò il centodiciotto.
I giovani ebbero non poche difficoltà a spiegare agli inquirenti le ragioni del proprio comportamento, ma alla
fine riuscirono a far passare la cosa per una serata tra amici degenerata a causa dell‟alcol, e poiché nessuno
aveva sporto denuncia nei confronti dell‟altro il tutto si risolse con l‟obbligo di frequentare uno psicologo per
sei mesi.
Il grassone dovette subire un intervento chirurgico e portare un tutore alla gamba per quasi un anno; i dottori
gli dissero che sarebbe rimasto invalido per il resto della sua vita.
Allo studente dovettero asportare l‟occhio destro, che – su sua specifica richiesta – fu sostituito con un
occhio di vetro.
I due, uno storpio e uno orbo, erano finalmente felici: nella loro perversa ottica le cose erano andate
esattamente come dovevano andare.
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E così si conclude la storia dei due ragazzi, e della particolare trasformazione a cui hanno voluto sottoporre i
propri corpi.
Essa insegna che l‟indirizzo che la nostra società sta prendendo è giusto poiché nella vita ogni persona ha la
propria strada da seguire per giungere alla piena realizzazione di sé, e che la società sbaglia quando avanza la
pretesa di dire alle persone come devono vivere.
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L’esondazione
I tre erano usciti per bere una birra insieme nell‟inizio di gennaio di un inverno che si stava rivelando
estremamente piovoso. In particolare erano due giorni che le cateratte del cielo erano aperte, e quel giovedì
sera la pioggia battente avvolgeva la provincia silenziosa come il vestito buono che si mette addosso ai morti
prima di rinchiuderli nella cassa.
Alla fine avevano optato per il pub M…, una taverna ricavata in un vecchio casolare sulla piana attraversata
dal fiume N..
Il locale aveva conosciuto tempi migliori, ed era ora frequentato quasi esclusivamente dall‟umanità derelitta
proveniente dai centri per lo più agricoli della piana, in particolare da T., la cittadina - che nel complesso
aveva l‟aspetto di uno dei sobborghi della Bucarest di Ceausescu - sviluppatasi negli anni sessanta attorno
alla vicina centrale elettrica .
Però era un posto tranquillo, ed era quello che serviva ai tre per rilassarsi e distrarsi dalle faticose attività
quotidiane: uno era infatti impegnato nella stesura della tesi di dottorato, l‟altro lavorava presso la bottega
del padre (era il periodo dei saldi) mentre il terzo era disoccupato, ma trascorreva le giornate masturbandosi,
per cui di solito arrivava alla sera particolarmente sfinito.
Entrarono nel locale e lo trovarono vuoto, fatta eccezione per un paio di giovinastri vestiti da cafoni, un
uomo di mezz‟età - storpio e un po‟ tardo - che evidentemente non aveva altri posti dove andare e un gruppo
di trenta-quarantenni, tra i quali spiccava un tale con un‟inquietante faccia da bambino, tanto che si faceva
fatica a riconoscerne il sesso.
Salutarono il proprietario, un uomo con bandana e t-shirt e un affabilità da attore di produzioni pornografiche
della ex DDR, e si sedettero a un tavolo. Ebbero l‟impressione – comune a chi proviene da fuori nei piccoli
centri di provincia – di turbare una riunione di famiglia, e per un po‟ si sentirono osservati , e a disagio; gli
parve anche di sentire, come in sottofondo, un rumore strano, una specie di squittio.
Ma dopo un giro di birre, due bottiglie di sangiovese imbevibile e un paio di giri di amari la sensazione di
disagio passò, e nella cupola che l‟ebbrezza alcolica gli aveva costruito attorno non si accorsero che i clienti,
dopo aver confabulato con il proprietario, stavano progressivamente scomparendo dal locale; tranne lo
storpio, che continuava a sedere da solo su una panca, sorbendo una limonata.
Intanto fuori continuava a piovere.
Ad un certo punto lo storpio si alzò e fece per uscire. Ma, nella sua coscienza da mentecatto, ebbe una grande
sorpresa quando aperta la porta del locale vide che il parcheggio, separato dalla taverna da un paio di gradini,
era completamente sommerso dall‟acqua. Girò sui tacchi e, mezzo incespicando, rientrò dentro urlando, in
preda all‟euforia: “È scappito„l fiume! È scappito„l fiume!”.
I tre, che si trovavano in un'altra stanza, sentendo tutto quel trambusto si diressero verso l‟uscita. Ma
all‟improvviso mancò la luce e si sentì un urlo; mezzo inebetiti dall‟alcol rimasero immobili fino a quando
nella stanza vicina (quella dell‟ingresso) si diffuse un chiarore come di candele.
Varcata la soglia si trovarono davanti lo storpio disteso lungo per terra con accanto l‟uomo con la faccia da
bambino, che reggeva in una mano una torcia e nell‟altra una roncola. “Ma che cazzo…”, non ebbero il
tempo di finire la frase che si ritrovarono circondati dai giovinastri vestiti da cafoni, che li immobilizzarono.
Ancora non avevano pienamente realizzato quello che gli era successo quando nella stanza entrò il
proprietario, con indosso una specie di calzamaglia; si era tolto la bandana, e sulla pelata aveva dipinto uno
strano simbolo. “Me spiace freghi, ma „l Fiume è gonfio, e vole „l Su tributo. No‟ altri, che abitamo nto le
Su‟ vicinanze e che semo costantemente sotto la Su‟ minaccia, „n potemo esimece dal forniglieLo.”.
Il ragazzo che si sfiniva di seghe - il più sobrio dei tre - si guardò intorno, e gli sembrò di trovarsi in un set di
uno degli infiniti horror di serie zeta che si era visto sul pc di casa da quando aveva perso il lavoro. “Che
covo di rincoglioniti”, pensò.
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Li costrinsero a sdraiarsi supini sul pavimento, fino a quando le acque putride del fiume in piena li
sommersero, facendoli annaspare: si resero conto soltanto vagamente del proprietario del locale che apriva la
porta dello sgabuzzino – vicino alla quale lo squittio che gli era parso di sentire in precedenza era più intenso
– per far uscire una covata di nutrie che aveva allevato abituandole a mangiare carne.
All‟alba del giorno seguente aveva smesso di piovere e il Tgr delle 14:05 dichiarò che l‟ondata di piena del
fiume N. non aveva causato particolari disagi; tuttavia tre ragazzi che la sera precedente erano stati visti
aggirarsi nelle aree interessate dall‟esondazione risultavano dispersi.
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Palestra
“[…]questa vita fa tutto da sé […]”
Marco Masini
Si erano incontrati per caso. Avevano frequentato le superiori insieme, ma non si vedevano da anni, così
avevano deciso di organizzare una cena.
I due (i padroni di casa) vivevano assieme in un appartamento di un palazzo costruito negli anni sessanta in
un quartiere di edilizia popolare che ora era in preda al degrado più spinto e si era ridotto a un ghetto per
extracomunitari e persone disagiate.
Non erano omosessuali, anche se le ragazze - perlomeno quelle ”in carne ed ossa”, con tutto il loro corredo
di manfrine, fisime ed idiozia - non gli interessavano più di tanto.
Il terzo, il compagno di scuola che avevano incontrato per caso in una delle loro rare uscite
dall‟appartamento, era invece un donnaiolo e aveva il fisico scolpito perché frequentava una palestra tre sere
a settimana.
Personalmente ritenevano la palestra un luogo da cafoni, e non capivano perché la gente per fare sport
piuttosto che immergersi nella natura preferisse rinchiudersi in luoghi chiusi a respirare il sudore altrui.
A dire il vero però non è che nella proprie vite tenessero in particolare considerazione la salute e la forma
fisica.
Uno lavorava infatti in casa, al computer, disegnando layout per pubblicazioni e volantini per bambini.
La sedia su cui lavorava – nonostante fosse stata grigia in partenza – aveva assunto delle tinte arancioni e
quando si metteva un paio di mutande nuove queste dopo una seduta di cinque giorni senza doccia si
impregnavano talmente tanto di sudore che non era più possibile mandare via le macchie, neanche in
lavanderia.
Era goloso di barrette Lion e nonostante abitassero al primo piano prendeva sempre l‟ascensore perché il fare
due rampe di scale lo mandava in affanno.
Insisteva perché si facessero portare la spesa a casa, come i vecchi.
L‟altro era stato un brillante studente ed anche un discreto sportivo, ma si era lasciato andare alla mollezza
più totale. Beveva almeno due bottiglie di vino al giorno e aveva preso a fumare la pipa.
Era porno dipendente, e in media ogni giorno si masturbava tre volte, arrivando a raggiungere picchi di setteotto volte quando trovava qualcosa che lo eccitava in particolare modo; il suo idolo era l‟attore pornografico
Arnold Schwartzenpecker, famoso per le abbondanti eiaculazioni.
Non lavorava. Era ricco di famiglia e il padre per levarselo dai piedi aveva stipulato davanti a un notaio un
contratto con cui si impegnava a fornirgli una rendita mensile fino al raggiungimento del trentesimo anno
d‟età (credeva – la cosa era plausibile - che il figlio sarebbe morto prima).
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Per inciso quest‟ultimo giovane coltivava anche la propria personalità artistica: possedeva un unico libro –
un libro di poesie di Ada Negri – e lo leggeva in continuazione; le pareti della sua camera erano tappezzate
di immagini di prodotti alimentari ritagliate dai depliant con le offerte speciali dei supermercati che
arrivavano nella posta condominiale, con cui si divertiva a fare dei collage.
Al termine della cena il palestrato, trovandosi a disagio con quelli che erano evidentemente due disadattati e
conoscendo la passione dei suoi ex compagni di studi per il grottesco, si congedò accennando
scherzosamente a un integratore che circolava in palestra e che era da poco stato messo fuori legge, che
aveva tra gli effetti collaterali quello di aumentare copiosamente il volume di sperma prodotto nelle
eiaculazioni.
I padroni di casa rimasero seri e si scambiarono un‟occhiata di intesa mentre salutavano l‟amico
accompagnandolo alla porta.
Il giorno dopo erano iscritti alla palestra che si trovava all‟angolo dell‟isolato.
Al termine della prima settimana di allenamenti il ragazzo goloso di barrette Lion era tutto una tendinite,
tanto che non riusciva nemmeno a camminare senza farsi in continuazione delle abbondanti iniezioni di
antidolorifico.
L‟altro, quello dalla personalità artistica, aveva cominciato – su invito di un frequentatore abituale della
palestra (un tizio alto un metro e cinquanta, con un po‟di alopecia, i baffi e vestito sempre con una
calzamaglia rosa shocking) – a prendere degli ormoni, e nel giro di tre giorni i peli del culo gli si erano
infoltiti talmente tanto che ogni volta che andava di corpo doveva farsi uno shampoo tra le chiappe.
Al termine della seconda settimana fu chiaro che il grassone non poteva andare avanti negli allenamenti: il
suo tutor lo aveva diffidato dal presentarsi di nuovo in palestra dopo che un sanitario – intervenuto poiché il
giovane al termine di una sessione alla panca non riusciva più a muoversi - gli aveva diagnosticato due ernie
e tre strappi muscolari gravi.
L‟ “artista” invece – probabilmente anche grazie agli ormoni di cui ormai faceva un uso smodato – si sentiva
in ottima forma e continuava a frequentare la palestra con la sola prospettiva di lavorarsi il suo fornitore al
fine di ottenere il famigerato integratore dai grotteschi effetti collaterali.
Nel frattempo aveva preso a ordinare da internet – seguendo i link pubblicitari nei siti pornografici che
visitava in continuazione– confezioni di citrato di sildenafil a basso costo con le quali aveva ormai riempito
la scarpiera che teneva in camera e che usava a mo‟ di armadietto.
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Quando finalmente – dietro uno spropositato corrispettivo di mille euri - riuscì ad ottenere dal pusher un
abbondante quantitativo del farmaco illegale abbandonò la palestra e si rinchiuse in casa a rimestare tra i tre
terabyte di video pornografici che aveva scaricato dalla rete al fine di realizzare una compilation delle scene
di eiaculazione che trovava più eccitanti.
Cominciò anche ad assumere l‟integratore (e impose al coinquilino di fare altrettanto), in dosi tre volte
superiori a quelle che lo spacciatore gli aveva indicato come limite dal punto di vista del mantenimento della
salute.
Alla fine riuscì a mettere insieme un video di due ore e mezza selezionando le scene che preferiva dalle serie
A good source of iron, Feeding Frenzy e No cum dodging allowed per quanto riguarda il porno made in
U.S.A., e Semen Club e Sperm Viking per la JAV.
Il giorno seguente diede corpo per la prima volta alla fantasia che lo ossessionava da quando aveva sentito
parlare dell‟integratore, e alla concretizzazione della quale negli ultimi tempi aveva dedicato tutte le proprie
fatiche:
La mattina appena svegliati (vale a dire alle tredici e trenta, come accadeva di solito) i due amici fecero
colazione accompagnando al caffelatte quattro pasticche a testa dei farmaci contro la disfunzione erettile che
il ragazzo dalla personalità artistica aveva acquistato su internet.
Alzarono il riscaldamento al massimo, e posizionarono in soggiorno due stufette elettriche (di cui una con
ventola), in modo da trovarsi completamente a proprio agio una volta che si sarebbero spogliati.
Sul tavolino in mezzo alle poltrone era stata poggiata un‟insalatiera riempita con tre confezioni grandi di
“rustiche” San Carlo, e un calice di cristallo che il grassone aveva vinto con i punti del supermercato.
Sul mobile tv era stato posato il portatile del ragazzo debosciato.
Si spogliarono completamente e si misero a guardare una puntata di Nebbie e delitti con Luca Barbareschi,
aspettando che le pasticche che avevano assunto facessero effetto.
Dopo tre quarti d‟ora il giovane dalla personalità artistica aveva il cazzo così duro che credeva che se lo
avesse strusciato sul muro avrebbe grattato via l‟intonaco.
Il pene del grassone invece non era riuscito ad andare oltre la semierezione: il giovane aveva assunto
un‟espressione triste e fissava il pavimento davanti a sé; aveva cominciato a mangiare le patatine, e aveva già
svuotato a metà l‟insalatiera.
Il suo amico porno dipendente riteneva di essere pronto, e mise su la compilation che aveva preparato.
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Mentre sullo schermo scorrevano le immagini disgustose che attraverso il filtro della sua perversione gli
apparivano così eccitanti l‟”artista” se lo menava di gusto, ed ogni volta che raggiungeva l‟acme eiaculava –
in quantità abnormi, grazie alla droga che aveva assunto nei giorni precedenti – nel calice: dopo tre volte lo
aveva colmato a metà.
Ogni tanto qualche schizzo finiva nell‟insalatiera, sopra le patatine: il grassone non se ne curava, e
continuava a mangiarle con la sua espressione triste.
Dopo che ebbe eiaculato per la quarta volta il giovane debosciato guardò con serietà l‟amico adiposo, che
con gli occhi – senza abbandonare l‟espressione triste - fece un cenno di assenso: entrambi sapevano che era
necessario, allo stesso modo in cui era necessario per l‟acqua dei fiumi scorrere dai monti verso il mare e non
viceversa.
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Il ragazzo si alzò, andò verso il portatile e mise su l‟altro filmato che aveva preparato per l‟occasione: si
trattava di una compilation di spezzoni dei film reality gay di Gabriele Paolini, tra cui la scena in cui il
“profeta del condom” viene inculato da “Koks Xor”; come sottofondo musicale della compilation aveva
messo in loop la versione della canzone La verità cantata al festival di San Remo da Giuseppe Povia in
coppia con Marco Masini.
Il giovane tornò dal grassone, che lo aspettava con le ginocchia allargate poggiate sul pavimento, abbracciato
allo schienale della poltrona e con il ventre appoggiato sul sedile della stessa.
L‟ ”artista” intinse il birillo nel calice e lo infilò nell‟orribile buco del culo del coinquilino.
Con l‟amico che gli si muoveva dentro il grassone riuscì finalmente a raggiungere la completa erezione, e
mentre ascoltava con trasporto le farneticazioni di Paolini eiaculò sul parquet un seme così denso che
dovettero passare la cera due volte per far sparire la macchia.
Il rituale si ripeté per quattro giorni, al termine dei quali il giovane dalla personalità artistica cominciò ad
accusare dei terribili dolori al basso ventre.
Dovette recarsi in una struttura sanitaria, dove gli fu diagnosticata una prostatite acuta.
Una settimana dopo era di nuovo all‟ospedale perché - dopo essersi bevuto una bottiglia di grappa per farsi
forza - aveva appoggiato il pene su una battilarda e se lo era amputato con un coltello: non riusciva più a
convivere con l‟organo per mezzo del quale aveva compiuto quegli atti così repellenti, pur sapendo che
anche se lo avesse voluto non avrebbe potuto esimersi dal compierli.
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Saṃsāra
Sorse in me la visione, la conoscenza:
“Incrollabile è la liberazione della mia mente.
Questa è la mia ultima nascita e non ci
saranno altre rinascite."
Siddhārtha Gautama
1.
Erano sette mesi che non si radeva, e adesso aveva una bella barba nera, da seguace Sikh.
Tanti i commenti che aveva dovuto sentire dai suoi colleghi di lavoro, che gli facevano pressione
perché si tagliasse la barba con osservazioni ironiche, dacché la nostra società si professa tollerante,
ma in realtà dispone di mille più o meno raffinati strumenti per torturare ed escludere il “diverso”.
Aveva smesso di radersi perché era capitato su un sito internet di “bear” barbuti ripresi dopo essersi
fatti eiaculare in faccia, e la vista delle barbe impiastricciate da schizzi di sperma lo aveva eccitato e
divertito.
Così si era messo in testa di farsi crescere la barba per emulare i simpatici omosessuali; inizialmente
aveva pensato di cercare un compagno disposto a venirgli in faccia, ma poi la timidezza e la pigrizia
lo avevano spinto a fare da sé.
Si era pertanto imposto due settimane di astinenza dall‟eiaculazione e aveva cercato su un sito di
andrologia le istruzioni per farsi un massaggio prostatico.
Si era quindi preso un giorno di vacanza dal lavoro e per avere il culo completamente vuoto nei due
giorni precedenti aveva evitato di cacare e aveva mangiato solo frutta e biscotti ricchi di fibre con
la prospettiva di svuotarsi il ventre la mattina del dì fatale.
Dopo aver defecato andò sul bidet e con il dito indice si pulì per bene l‟ampolla rettale, nettandolo
dai residui di escrementi sotto l‟acqua corrente ogni volta che lo estraeva dall‟ano.
Prese un tubetto di vasellina che aveva acquistato al supermercato, un asciugamano e si diresse
verso la camera da letto.
Si mise in posizione bloccando i piedi sulla spalliera del letto, ripiegandosi su se stesso in modo da
avere la punta del pisello a dieci centimetri dal mento; si infilò nel culo un dito unto di vasellina e
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cominciò a massaggiare il suo clitoride di maschio fino ad eiacularsi in faccia l‟eccitazione
accumulata in due settimane di astinenza e sette mesi di fantasie.
Scemata l‟eccitazione si alzò e si contemplò allo specchio: il fisico magro, la pancia gonfia, la pelle
bianca per non aver mai preso il sole e la barba completamente impiastricciata di seme.
Si rese conto del tiro giocatogli dalla sua psicologia, che lo aveva portato a mezzo anno di
ossessione per evadere la coscienza che lo poneva continuamente di fronte alla desolazione e
all‟assenza di senso della sua vita.
Deluso e sconsolato prese le forbici e cominciò a tagliarsi via la barba.
Il giorno dopo al lavoro i suoi colleghi lo accolsero con fischi e complimenti, specialmente la
collega bionda sempre vestita di tutto punto, una persona - tutto sommato scialba ma molto
socievole - verso cui provava dell‟affetto senza essere tuttavia in grado di dimostrarglielo.
2.
Sul lavoro era molto stimato, una colonna portante nel suo settore e un punto di riferimento per
l‟azienda; ogni volta che riceveva una commessa si metteva giù a testa bassa e riusciva a portare a
termine i compiti assegnatigli nei tempi richiesti, con risultati ottimali.
Lavorava da solo, principalmente per incompatibilità di carattere con gli altri colleghi.
Se avesse avuto una benché minima attitudine alle relazioni sociali avrebbe sicuramente ricoperto
incarichi dirigenziali, invece - nel lavoro come del resto nella vita - si muoveva come un lupo
solitario, per cui era costretto a fare affidamento esclusivamente sulle proprie capacità.
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Aveva un‟indole portata alla speculazione filosofica e riteneva che la forma di organizzazione della
società in cui viveva fosse profondamente sbagliata.
Leggeva spesso le opere di Max Stirner, e La Repubblica di Platone.
A volte fantasticava sull‟acquistare tramite mutuo una delle tante villette in collina sfruttate per la
villeggiatura negli anni sessanta e ora abbandonate, e di trasformarla in un teatro per orribili torture,
come si diceva avesse fatto Gabriele D‟Annunzio con il “Vittoriale degli Italiani”.
Nel suo caso però le vittime sarebbero state persone affermate nella società; seviziandole,
immaginava, le avrebbe messe di fronte all‟inconsistenza della loro visione del mondo e della loro
gerarchia di valori, fondate esclusivamente sull‟accettazione sociale e in ultima analisi sulla paura
della morte.
Ad ogni modo l‟emarginazione gli pesava.
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Uscito dall‟azienda faceva rientro nella sua abitazione (dove viveva solo) e se non aveva del lavoro
da svolgere si ubriacava e si metteva su internet, navigando per forum di estrema destra dove si
emozionava di fronte a rivendicazioni improbabili.
Frequentava anche siti cattolici e si era iscritto a tre “raid Goum”, ma alla fine non vi aveva mai
partecipato perché riteneva che non fossero compatibili con la sua ideologia e con il suo carattere.
Aveva una forte energia sessuale e trascorreva ore a masturbarsi visionando la pornografia che
scaricava in continuazione da internet, lasciando acceso all‟uopo ventiquattrore su ventiquattro uno
dei tre pc che possedeva, sul quale aveva montato un sistema di raffreddamento a liquido.
3.
In casa aveva una cassaforte in cui teneva – accuratamente riposti in una cartella – i documenti del
progetto di un distributore automatico di stronzi umani e canini.
L‟idea gli era venuta dopo aver letto su un settimanale “liberal” – mentre attendeva il suo turno dal
parrucchiere - un articolo sul successo riscosso in Giappone dai distributori automatici di biancheria
intima usata.
Così la sua anima imprenditoriale gli aveva suggerito di conquistare una fetta di mercato che la sua
continua frequentazione dei bassifondi del web gli aveva rivelato essere piuttosto ampia.
D‟altra parte anche nella remota provincia in cui risiedeva stavano spuntando come funghi
distributori di materiale per adulti, finanche in aperta campagna, nelle piazzole di sosta dei benzinai.
Così si era scaricato da internet due giga di blueprint di distributori automatici delle tipologie più
svariate e si era messo in contatto (tramite un forum che frequentava) con un gastroenterologo
pakistano e con un veterinario del Cairo per avere informazioni su quali fossero le condizioni
ambientali ottimali per conservare la fragranza degli escrementi che intendeva vendere.
Si era comprato dei cuccioli di razze diverse, e nel giardino di casa aveva allestito un vero e proprio
canile.
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Dopo tre anni di progettazione si rivolse al centro prototipi dell‟azienda in cui lavorava, dove aveva
un contatto, e riuscì a mettere in piedi una versione perfettamente funzionante, sebbene limitata, del
suo modesto contributo alla mirabolante storia dell‟ingegnosità e della creatività umane.
Gli stronzi per il momento si potevano reperire soltanto in due modalità, o avvolti in un cartoccio
fatto con carta di giornale, o confezionati in una scatola per scarpe.
Gli rimaneva da introdurre una modalità in vaschetta, anche perché intendeva proporre diverse
tipologie di consistenza della merda umana, ma doveva ancora studiare le condizioni più adatte per
la conservazione della diarrea.
Aveva inoltre dei problemi con gli stronzi di San Bernardo, che venivano fuori troppo secchi.
Messe a punto queste piccolezze gli restava da trovare un finanziatore e un‟azienda in grado di
serializzare la produzione del macchinario da lui inventato e da stabilire i prezzi di vendita per i vari
articoli.
In realtà però i soldi non gli interessavano affatto.
Negli ultimi tre anni aveva lavorato al suo progetto almeno quattro ore al giorno, anche i sabati e le
domeniche, togliendo ore al sonno per non rimanere indietro con il lavoro.
Le poche volte che gli si era presentata l‟opportunità di fare vita sociale aveva rifiutato dicendo che
aveva del lavoro da svolgere, suscitando le perplessità anche dei suoi colleghi più zelanti.
4.
Nel giorno stabilito uscì di casa presto e andò al supermercato dove comprò una bottiglia di
spumante e una confezione da due chili di gelato alla vaniglia.
Quando tornò a casa trovò un messaggio nella cassetta delle lettere che lo informava dell‟avvenuta
consegna; il prodotto era stato messo nel seminterrato, in accordo con le istruzioni ricevute.
Andò in giardino a svuotare le particolari lettiere per cani che aveva progettato (asettiche e
termoregolate), e ne portò il contenuto dentro casa.
La sera, dopo aver cenato con il gelato, si recò nel seminterrato.
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Stappò la bottiglia di spumante, infilò un nichelino nel distributore e si prese un cartoccio fumante
di merda di cane, contemplando con sguardo fiero la sua creazione.
5.
Ma qualcosa stava accadendo, si sentiva strano.
Nel giro di pochi minuti perse ogni interesse verso l‟invenzione che pure gli era costata così tanta
fatica.
Sapeva perché, aveva già sperimentato il meccanismo.
L‟ossessione scemava per lasciare il posto allo sconforto, che presto sarebbe stato sostituito da una
nuova ossessione, sempre più imprevedibile; e così avanti, fino alla morte.
Gli rimaneva un‟unica consolazione: nella sua solitudine e nella sua disintegrazione sociale
probabilmente non avrebbe mai avuto una famiglia e dei figli; non si sarebbe pertanto macchiato
dell‟orribile crimine della perpetuazione della vita.
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Selex™
Con 3.308 punti di vendita presenti in tutta Italia, un
fatturato 2009 di 8,5 miliardi e oltre 30.000 addetti, il
Gruppo Selex è oggi ai vertici del panorama
distributivo nazionale (Fonte IRI).
1.
“(ANSA) – PAVIA, 14 MAR – Un giovane di trentadue anni è morto a causa di un‟indigestione di
formaggio. Il giovane soffriva di obesità patologica e viveva con la compagna, anch‟essa malata, in
un appartamento di Bucella, frazione del comune di Vigevano. “Era arrivato a mangiare in media
venti scamorze al giorno”, ha raccontato la fidanzata al medico che ne ha constatato il decesso.”
“(ANSA) – BARLETTA, 17 MAR – Un anziano senza fissa dimora è stato ritrovato in fin di vita
nei pressi del porto di Barletta. Tempestivo l‟intervento dei sanitari del 118, allertati da alcuni
operai portuali. “L‟abbiamo sottoposto a lavanda gastrica e abbiamo rinvenuto nel suo stomaco una
quantità abnorme di crocchette per cani”, dichiara il medico che lo ha preso in cura all‟ospedale di
Andria. In uno stabile dismesso in cui l‟anziano viveva assieme ad altri clochard sono state
rinvenute sessantuno buste da cinque chilogrammi ciascuna di cibo per animali.”
“(ANSA) – PERUGIA, 21 MAR – Siglato oggi a Castiglione del Lago l‟accordo tra Coop Centro
Italia e Famila, la catena di supermercati punta di diamante del gruppo di distribuzione Selex.
L‟accordo, grazie al quale il marchio tedesco acquisisce il controllo finanziario di Coop Centro
Italia, pone le basi per la futura fusione tra i due gruppi.”
Alla maggior parte della gente sarebbero apparse notizie scorrelate, ma non a loro. Loro erano
infatti passati per l‟inferno Selex.
40
2.
Tutto era cominciato quando per confezionare una pasta cipolla e salsiccia avevano acquistato un
sacco da un chilogrammo di cipolle della linea “I prodotti della natura Selex”.
Da quel giorno avevano dovuto fare i conti con un appetito diabolico: si recavano al supermercato
mattina e pomeriggio, acquistavano decine di chilogrammi di cipolle e poi correvano a casa a
mangiarle.
Avevano imparato a cucinarle nei modi più disparati (anelli di cipolla fritti, zuppa di cipolle,
sformato di cipolle) ma spesso per placare la loro fame satanica le mangiavano crude, a morsi,
senza neanche preoccuparsi di togliergli la buccia.
Consumati dal fuoco della dipendenza si lasciarono andare alla trasandatezza più totale,
tralasciando la pulizia del proprio corpo e della propria abitazione.
Così quando un giorno i genitori – preoccupati perché da tempo non ricevevano loro notizie - si
recarono a fargli visita, appena aperta la porta di casa furono colti da malore: la madre si accasciò
sullo stipite, mentre il padre corse in gabinetto a rimettere.
Credevano che i figli avessero cominciato a far uso di sostanze stupefacenti così, d‟accordo con gli
altri famigliari, li fecero rinchiudere in una comunità di recupero per tossicodipendenti gestita da
religiosi.
Il prete che aveva il compito di decidere sul loro destino era fermamente convito che fossero
eroinomani, e li indirizzò a un percorso di recupero basato su un trattamento duro.
Per tre settimane furono costretti su dei letti, legati braccia e gambe; venivano sodomizzati con dei
bastoni più volte al giorno.
Al termine del periodo, che trascorsero in uno stato semiallucinatorio a causa delle fortissime crisi
di astinenza, si rimisero completamente, principalmente perché i prodotti con cui si alimentavano
provenivano dall‟orto della comunità, gestito da altri tossicodipendenti sotto la stretta supervisione
dei religiosi.
3.
Una volta rimessisi cominciarono a interrogarsi su quello che gli era capitato.
L‟illuminazione gli venne un giorno quando, guardando distrattamente il telegiornale, si
imbatterono in un servizio a proposito della nomina a Cavaliere della Repubblica di Giovanni
Pomarico, presidente di Selex.
Fu come se un mondo gli si fosse schiuso dinnanzi agli occhi.
Aprirono diversi siti internet, in cui esposero le proprie teorie: veniva introdotto il concetto di SOG
(acronimo di Selex Occupation Government) per indicare la grande influenza che il gruppo Selex
aveva sulle strutture dello Stato; il gruppo Selex veniva anche accusato di voler realizzare il
controllo delle menti tramite l‟introduzione di appetitori chimici nei cibi commercializzati.
Smisero di acquistare prodotti alimentari nei supermercati e si rivolsero esclusivamente ad aziende
di cui avevano la sicurezza di poter ricostruire la filiera.
In particolare il loro referente di fiducia era Giovanni, un meridionale che aveva colto nella
schizzinosità dei ceti medio-alti delle regioni rosse del centro Italia un‟opportunità per fare soldi e
aveva preso a occuparsi di filiera corta e altre amenità di questo genere.
41
4.
La situazione precipitò rapidamente.
Le città si riempirono di uomini e donne con la pappagorgia e il vomitare agli angoli delle strade per
il troppo mangiare divenne una pratica così comune che in poco tempo perse ogni forma di
squalifica sociale.
Alla presentazione della nuova linea di divise della Polizia di Stato fu impossibile non notare il logo
Selex accanto al simbolo della repubblica, ma pochi giornalisti diedero peso alla vicenda e quelli
che lo fecero celebrarono la nascita di una nuova era in cui, fatta piazza pulita di pregiudizi
anacronistici, stato e mercato avrebbero finalmente potuto lavorare in sinergia per il progresso del
paese.
Anche sui grembiuli delle scuole elementari fece comparsa il famigerato logo, e l‟obbligo di
indossare divise “marchiate” fu esteso alle scuole superiori e alle università (queste ultime in
particolare erano delle divise tipo “marinaretto” disegnate da uno stilista invertito).
Dopo l‟acquisizione da parte di Selex del gruppo Barilla (e di tutte le aziende affiliate al gruppo),
squadre paramilitari dotate di armi da guerra cominciarono a presidiare le strade, minacciando i
venditori ambulanti di cibo – un “porchettaro” che si era rifiutato di sloggiare fu freddato con un
colpo di M16 - e facendo puntuali incursioni nei mercati rionali, nel corso delle quali venivano
sfasciate tutte le bancarelle.
Capirono che la situazione non era più sostenibile e decisero di passare alla seconda fase del loro
piano, anche perché i siti internet che usavano per fare controinformazione erano ormai stati chiusi,
o per fantomatiche violazioni dei TOS o perché sequestrati dalla polizia postale a causa del loro
“carattere diffamatorio”.
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Raccolsero così un amico che aveva competenze di chimica e che appoggiava la loro causa e si
recarono da Giovanni.
Arrivati sul luogo però Giovanni non c‟era: il suo negozio era stato raso al suolo e al suo posto in
tempi più che rapidi era stato posizionato un container con il marchio Emi, un‟altra catena di
supermercati controllata da Selex.
Tuttavia avevano le chiavi del magazzino del commerciante, e vi si recarono per fare incetta di
fertilizzanti, sementi e cibo (erano rimasti soprattutto grissini e barattoli di cime di rapa sott‟aceto).
Raccolte le provviste si avviarono verso i boschi dietro a O., dove possedevano un terreno ricevuto
in eredità da un nonno, su cui sorgeva una baracca con una rimessa per attrezzi agricoli.
Insieme a sé avevano anche vitamine (contro lo scorbuto) e medicinali, reperiti dall‟amico, e un
paio di scatoloni zeppi di fotocopie di libri di storia risorgimentale e di documenti legali –
principalmente atti di transazione di proprietà terriere - relativi al periodo della colonizzazione
sabauda.
5.
Dopo tre giorni di permanenza nella loro “nuova Eden” un contadino che abitava lì vicino gli sparò
addosso un colpo di fucile (credeva che fossero un gruppo di omosessuali che si recava sempre lì a
fornicare con la scusa della passione per la caccia), azzoppando l‟amico con competenze di
chimica, che dovette essere portato in ospedale.
Al suo ritorno si dedicarono al confezionamento di mine antiuomo artigianali (impiegando il
fertilizzante per realizzare l‟esplosivo) e all‟esame dei documenti legali, dai quali speravano di
ricavare dei cavilli a cui appellarsi per il loro scopo, che era quello di dichiarare la secessione dalla
repubblica italiana.
Sapevano che era un atto suicida, ma ritenevano che immolandosi per la causa avrebbero aperto gli
occhi ai pochi uomini liberi rimasti, e li avrebbero indirizzati verso la resistenza nei confronti di
SOG.
Mentre quello di loro che aveva maggiori capacità letterarie stendeva un lungo documento tramite
cui giustificare le proprie rivendicazioni, gli altri si dedicarono alla coltivazione degli ortaggi che
avevano piantato (patate e cavolfiori) e al posizionamento delle mine antiuomo lungo i confini della
proprietà.
In particolare quest‟ultimo compito fu assegnato al tale con competenze di chimica, che
nell‟assolverlo mise per sbaglio il piede buono su una mina: dopo averlo portato all‟ospedale per le
medicazioni data la sua impossibilità a deambulare lo misero su una sedia a rotelle che si trovava
nella rimessa degli attrezzi e che era appartenuta a loro nonno.
Decisero di spedire due copie del documento, una al comune in cui si trovava la proprietà, e l‟altra
alla presidenza della repubblica.
La sera prima del giorno stabilito per la dichiarazione d‟indipendenza cenarono con gli ortaggi che
avevano coltivato (i cavolfiori erano pieni di vermi grassocci e le patate erano quasi tutte marce) e
bevendo acqua piovana che avevano raccolto per mezzo di due teli cerati che avevano trovato nella
capanna.
Il giorno dopo al risveglio li attendeva una sorpresa.
43
6.
Tutto intorno ai confini della proprietà erano schierati i soldati delle squadre paramilitari della
Selex, armati di fucili d‟assalto; uno di loro aveva un arma che sembrava un lanciafiamme al
napalm, ma non potevano dirlo con certezza, lo avevano visto soltanto nei videogame.
Il loro amico infermo era sparito e non gli fu difficile capire perché: era stato lui in un atto di
pusillanimità a venderli a SOG impedendogli di attuare il loro piano.
Tra le fila di soldati si fece avanti un SUV, da cui scese un uomo vestito con un elegante abito color
crema, in cui non ebbero difficoltà a riconoscere il cavaliere Giovanni Pomarico, presidente di
Selex.
Pomarico avanzò verso i confini della proprietà; sul volto aveva dipinto un sorriso affabile, che
aveva un che di magnetico: si capiva che era un uomo dal carisma eccezionale.
Si rivolse agli insorti: “Noi alla Selex abbiamo una filosofia d‟azienda che mette al centro di tutto il
cliente. Siamo molto rattristati quando il cliente non è soddisfatto del servizio erogatogli, ma
confidiamo sul fatto che vorrà concederci una seconda opportunità, sapendo che siamo molto attenti
alle sue esigenze e che ogni nostro errore rappresenta per noi soltanto uno stimolo per sforzarci di
servirlo al meglio e regalargli la felicità”.
Detto questo tirò fuori dal taschino una cipolla dorata della linea “I prodotti della natura Selex” e la
lucidò con la manica della giacca, offrendola ai ribelli: nel sole forte del mattino primaverile
luccicava come il pomo di Eris.
Uno dei ribelli fece quasi per andare là ma l‟altro lo afferrò per le spalle e lo scosse forte, facendolo
tornare in sé.
Apostrofò in malo modo il cavaliere, dicendogli che non avevano nulla da spartire con SOG e che
avrebbero preferito rimanere lì a morire di fame con loro che li stavano a guardare piuttosto che
rinunciare alla propria libertà.
Uno scoppio risuonò nell‟aria e un colpo di M16 cadde a un paio di centimetri dal piede destro
dell‟insorto che aveva appena parlato.
Era stato esploso da quello che doveva essere il capo dei paramilitari, un tale che dalla fisionomia e
dal colore della pelle sembrava sudamericano e sulla divisa, accanto al logo della Selex, aveva un
pesce stilizzato.
Cominciò a parlare con forte accento spagnolo: “Culones! No entiende che ti viene offerta la
possibilità di scegliere tra vita e muerte? Questo perché el cavaliere è un uomo buono! Mai en
Michoacàn ho permesso questa scelta a un nemico: es justicia divina!”
Mentre gestivano i loro siti di controinformazione si erano imbattuti in un articolo a proposito di un
potente cartello del narcotraffico messicano i cui boss erano estremisti cristiani.
Quindi ora non gli fu difficile fare due più due e ricostruire quello che si celava dietro ai recenti
sviluppi del territorio in cui risiedevano: le voci sull‟insistente consumo di cocaina da parte del
sindaco, il fiorire di centri evangelici e di centri commerciali (del gruppo Selex), in cui
probabilmente venivano riciclati i proventi del narcotraffico…
Capirono che oramai la loro si era ridotta a una lotta contro i mulini a vento e decisero pertanto di
attuare quella che nelle loro cospirazioni avevano indicato come variante B del piano.
44
7.
Avanzarono verso Pomarico, che aveva sempre dipinto sul volto il suo sorriso affabile e teneva
davanti a sé l‟ortaggio con cui intendeva sancire la riconciliazione con gli insorti.
Quando però tutti oramai credevano che si stessero per consegnare li sorpresero tuffandosi su una
mina che sapevano contenere una grande quantità di esplosivo.
La deflagrazione dilaniò i loro corpi e una scheggia dell‟ordigno colpì Pomarico alla testa,
ferendolo mortalmente.
Ovviamente questo non causò alcun danno alla Selex, poiché Pomarico aveva numerosi
doppelgänger che lo sostituirono nelle occasioni ufficiali fino a quando non fu annunciato un
cambio al vertice del gruppo con l‟elezione di un nuovo presidente.
Tuttavia il loro sacrificio non fu vano, e questo a causa delle implacabili leggi del cuore umano.
Prima di impiccarsi per il rimorso l‟amico che li aveva traditi si adoperò infatti a diffondere la loro
storia, riuscendo dove loro avevano fallito: la loro vicenda divenne una delle prime leggende della
Resistenza organizzata contro SOG.
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L’architetto
Prologo
Articolo apparso su umbriajournal.it il 03/07/2011:
San Martino in Colle, vandali devastano il cimitero: indaga la mobile
Nella notte vasi a terra, tombe profanate e tracce di sangue
Nel mezzo della devastazione che regnava sabato mattina nel cimitero di San Martino in Colle,
c’erano anche tracce di sangue ben visibili. Tracce invisibili invece si evincono dalla ferocia con
cui sono state profanate tombe, gettati vasi di fiori a terra e rotto il maggior numero di oggetti
possibile.
Una devastazione che solleva più di qualche dubbio sulle modalità della stessa. Segni che agli
inquirenti non fanno tralasciare alcuna pista. Nonostante la presenza di tracce di sangue non si
tratterebbe di un qualche rito satanico. Ma di un forte sentimento antireligioso forse sì. Sul posto è
intervenuta la squadra mobile della questura di Perugia e la polizia scientifica che ha proceduto
con i rilievi del caso.
Tra le prime cose da stabilire quella relativa al sangue. Umano, magari di qualcuno che si è fatto
male mentre distruggeva un posto in cui la gente piange i propri cari, o animale? E poi, gli esperti
procederanno all’attribuzione delle impronte, sperando che i proprietari risultino in qualche modo
schedati. L’assessore Ferranti ha espresso sdegno per l’accaduto. Il cimitero comunque riaprirà
già domenica, mentre nei prossimi giorni entrerà in servizio un custode fisso.
1.
Era uno degli architetti più affermati della nuova generazione di progettisti italiani. Sebbene fosse
giovane aveva all‟attivo numerose realizzazioni portate a termine in Italia e all‟estero per conto di
istituzioni pubbliche e private, e pubblicate nelle più importanti riviste di architettura. Aveva
esposto in importanti collettive e collaborato con brand di grande fama che ne avevano riconosciuto
le indubbie doti di designer.
Non si limitava alla riproduzione di luoghi comuni del consumismo architettonico e aborriva la
pornografia architettonica capace di offrire solo temporanei e consolatori piaceri: con le sue
architetture mirava a intervenire sulle lacerazioni del proprio tempo riannodando spazi e tempi
apparentemente privi di relazione. In questo seguiva gli insegnamenti del suo Maestro, specialista
nella progettazione di architetture sacre, che insegnava alla Facoltà Teologica dell‟Italia centrale.
Tra i suoi progetti recenti c‟era l‟ampliamento di un cimitero di una nota cittadina umbra, in cui
aveva riportato ordine nella babele di manufatti architettonici privi di qualsiasi qualità attraverso
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l‟utilizzo di tracciati ordinatori, strategia che gli era stata suggerita dall‟analisi del paesaggio agrario
e della struttura urbana della cittadina.
2.
Era appena tornato nel capoluogo umbro, che gli aveva dato i natali quaranta anni prima, dopo un
seminario tenuto allo IUAV, dove aveva dissertato per oltre un‟ora sul senso e sulla dignità della
composizione architettonica in tempi in cui la disciplina era sottomessa alla comunicazione
mediatica, tra gli sguardi rapiti di molti allievi architetti, su cui esercitava un fortissimo carisma.
Il taxi lo scaricò davanti all‟abitazione alle ventitré e trenta. Salito nell‟appartamento si preparò un
thermos da un litro di caffè Java e senza preoccuparsi di mangiare o lavarsi si infilò nella sua Audi
A8 da ottantamila euri per inoltrarsi nella campagna umbra.
Arrivato davanti al camposanto parcheggiò. Nel portabagagli aveva un set di costose mazze da golf,
regalo di un riccone americano che si era innamorato di lui e aveva preso a corteggiarlo, una vanga,
una mazzetta da muratore e una cassetta in cui aveva riposto vari utensili dei reparti falegnameria e
ferramenta che aveva acquistato al Bricocenter.
Trovò aperto il cancello (il dipendente della cooperativa che gestiva il cimitero era alcolizzato, e
quando le giornate finivano e finalmente si faceva concreta la possibilità di chiudersi in un bar a
rintontirsi di Campari con gin e a fissare per ore lo schermo di una macchinetta da videopoker i
cancelli dei cimiteri di campagna erano l‟ultima delle sue preoccupazioni) e dopo essersi scolato
l‟intero thermos di caffè rovesciandosene addosso una buona metà, entrò.
3.
Per prima cosa usò le mazze da golf, usando il driver per rompere le vetrate delle cappelline
funerarie e il putter e la sand wedge per sfasciare gli arredi funebri che decoravano i loculi e i
piccoli oggetti che le mani pietose dei vivi avevano deposto a ricordo dei loro cari. Nella violenza
si strappò un muscolo della schiena e si ferì a una mano, ma era in uno stato simile all‟allucinazione
e non se ne accorse neanche.
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Finito con le opere di devastazione si recò verso i campi di inumazione e cominciò a scavare sotto
una lapide di una sepoltura degli anni ottanta, che ritraeva un anziano sorridente e su cui,
nell‟anniversario della morte, passato da una settimana, era stata deposta una corona di fiori con
scritto “sarò sempre la tua bambina”.
Dopo un metro e mezzo, in un bagno di sudore (era vestito in giacca, cravatta e jeans griffati),
incontrò la bara. Messala a nudo ne sfondò il coperchio con i pesanti colpi della mazzetta da
muratore, rivelando un cadavere in buono stato di conservazione, nonostante gli anni trascorsi dal
decesso . Tra le mani scheletrite, deposte sul grembo, stringeva un rosario. Il famoso architetto si
calò i calzoni, si accucciò con il culo rivolto al volto del cadavere e rilassò le viscere sul petto della
salma mummificata.
Dopo essersi pulito con la giacca del morto si dedicò alla sepoltura vicina, che ospitava i resti di
un‟anziana deceduta all‟età di novanta anni nel 1963.
Non ci volle molto a compiere le operazioni di scavo. L‟apertura della bara rivelò un cadavere
completamente scheletrito: l‟unica parte conservata erano i capelli, una matassa di fili bianchi della
consistenza della tela di un ragno. La donna aveva al collo una collana di perle: l‟architetto la staccò
e se la infilò in tasca, con l‟intenzione di farne dono al suo amante. Si cavò dal taschino il poster
autografato di Daniele Bossari che vi teneva sempre, lo spiegò e lo fissò al cranio della vecchia con
un chiodo di 4 mm di diametro che gli piantò proprio nel mezzo di quella che un tempo era stata la
fronte, su cui i suoi corteggiatori avevano deposto baci nella speranza che fossero propedeutici allo
sfogo di quella misteriosa pulsione che garantisce la perpetuazione dell‟ancora più misteriosa vita.
48
Portate a termine le profanazioni l‟architetto tornò alla macchina.
4.
Sul sedile posteriore c‟era una sacca sportiva, contenente (oltre a una tuta e a un paio di scarpe da
ginnastica, che non aveva mai lavato nel corso di cinque anni nonostante le usasse settimanalmente)
due potenti ordigni artigianali che si era fatto confezionare per uno spettacolo pirotecnico che aveva
avuto l‟incarico di allestire.
Tornato nel cimitero cercò il sepolcro di un neonato: trovatolo scardinò la pietra che sigillava il
loculo e depose un ordigno accanto alla piccola bara bianca. Poi si recò nella chiesa del cimitero e
depose l‟altro ordigno sul coperchio dell‟ossario. Collegate le bombe a un detonatore a tempo, lo
innescò e scappò verso la macchina. Partì sgommando.
Due forti boati scossero il silenzio della campagna umbra: l‟esplosione del primo ordigno sfondò la
bara del neonato e dilaniò il cadavere del piccolino, mentre l‟esplosione del secondo scoperchiò
l‟ossario e fece esplodere tutti i vetri della Chiesa.
5.
Mentre la folla, attirata dal rumore delle esplosioni, cominciava a radunarsi attorno al cimitero e a
prendere atto incredula delle orribili devastazioni compiute l‟architetto, con la sua Audi, sfrecciava
per le strade della campagna umbra, assorto nei suoi pensieri in uno stato simile all‟allucinazione:
nella sua mente si stavano delineando le forme di un nuovo, eccezionale progetto.
49
La lotteria
“[…] :può esistere un atto più insensato e
criminale dello sprecare
le ultime risorse
naturali rimaste per costruire lussuose navi da
crociera in modo che le carcasse putrefatte
dell’umanità possano navigare intorno ai Caraibi
in preda all’ebbrezza alcolica?”
Kaarlo Pentti Linkola
1.
Ormai la sua ossessione per i gadget tecnologici era degenerata in una vera e propria mania.
Per impossessarsi dell‟ultimo tablet aveva trascorso una settimana fuori dal negozio di articoli
elettronici senza praticamente lavarsi o cambiarsi i vestiti, consumando scatolette ed energy drink
che mandava a prendere a qualche diseredato in un discount là vicino per non allontanarsi mai dalla
bottega - la lasciava solamente per defecare o orinare, girando l‟angolo nelle ore notturne e
consumando l‟atto dentro un barattolo. Quando finalmente il furgone era arrivato lo aveva preso
d‟assalto insieme a un centinaio di giovinastri che sbavavano e non capivano nulla, menando pugni
a destra e a manca e sfiorando più volte il rischio di denuncia per aggressione.
Nella peculiare settimana di campeggio controllava costantemente il web con il suo smartphone di
ultima generazione alla ricerca di nuovi modelli di cellulari, lettori di musica digitale e palmari e
organizzando aste on-line per piazzare la sua merce obsoleta – benché acquistata soltanto qualche
settimana prima – ed accaparrarsi l‟ultima versione degli agognati prodotti. Del resto la sua vita era
impegnata in larga parte dal portare avanti questa attività, e per avere le informazioni più aggiornate
si era costruito una rete di contatti con dipendenti di multinazionali del settore dell‟elettronica - e
direttori di fabbriche dei paesi in via di sviluppo in cui questi articoli venivano prodotti -che
compivano attività di spionaggio industriale.
Il suo obiettivo infatti, seppure la cosa non gli si palesasse davanti in forma esplicita, era essere
l’uomo più aggiornato del mondo, perlomeno sotto il profilo tecnologico.
Un tempo aveva avuto una vita “normale”, con un lavoro regolare, una ragazza, degli affetti. Non
rimpiangeva la sua vecchia esistenza, ma sentiva che nella nuova gli mancava qualcosa. Fu per
questo che quando si imbatté nel particolare annuncio sul web di cui parleremo più avanti gli si
riempì di serenità l‟animo, e capì che la sua fatica di Sisifo avrebbe potuto avere termine.
Di solito si prendeva una settimana di pausa dal lavoro per rinchiudersi in un seminterrato e
applicarsi sui capelli un impacco di formaggio di capra (fatto arrivare direttamente dalla Francia),
melanzane coltivate in Sicilia e pesce del mare del Nord: dopo due giorni il tanfo nello scantinato
era insopportabile, dopo cinque un nero liquido di putrefazione colava ormai dall‟involucro, che nel
frattempo era diventato la magione di grasse larve bianche e artropodi di diversa specie. Il
contenuto dell‟impacco le era stato suggerito da un‟estetista di grido di New York che le faceva da
consulente, anche se la durata di applicazione dello stesso era una sua libera interpretazione, con cui
immaginava di amplificarne gli effetti benefici.
Il lavoro che svolgeva, insieme alla ricca eredità di cui era stata messa a parte, le consentiva di
vivere in maniera agiata e appagare al contempo le sue numerose manie. Collezionava abiti e
gioielli di grido, e costringeva gli stilisti più famosi a confezionargliene su misura minacciando di
rivelare alla stampa le loro deviazioni sessuali (di cui spesso conservava testimonianze video, grazie
a dei marchettari che finanziava con il compito di sedurre gli artisti e riprenderli di nascosto).
Aveva un parco di consulenti che settimanalmente le preparavano dei digest delle più famose riviste
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di interior design e locali alla moda, per leggere i quali non dormiva la notte consumando ingenti
quantitativi di caffè indonesiano e stimolanti.
La sua aspirazione, sebbene a livello non propriamente conscio, era quella di essere la donna più
alla moda del mondo.
Prima che suo padre morisse lasciandole in eredità il proprio impero la sua vita scorreva in maniera
fondamentalmente tranquilla, stato di cui ancora conservava qualche blando ricordo, se non altro
nella misura in cui era assolutamente altro da quello in cui si trovava ora. Fu per questo che quando
una sua confidente le parlò del particolare annuncio che girava sul web - e del cui contenuto
parleremo più avanti - intravide finalmente la possibilità di raccogliere le fila della particolare tela
di Penelope di cui aveva intrapreso la tessitura e un senso di pace le pervase l‟animo.
Era abbonato a una quindicina di riviste di body building e fitness per soli uomini: le teneva
impilate al cesso, dove formavano ormai quattro colonne dell‟altezza di due metri l‟una circa. Le
conservava in questo locale perché data la dieta iperproteica che sosteneva vi si doveva recare
almeno una volta ogni tre ore (e colmava sempre la tazza).
Su uno di questi periodici si era imbattuto nella pubblicità di uno stimolatore prostatico progettato
da una multinazionale farmaceutica con la consulenza di un sedicente andrologo, lo aveva
acquistato e lo teneva nell‟ano almeno due ore al giorno per mantenere un continuo stato di tensione
sessuale. La sua vita amorosa era del resto strettamente controllata: intratteneva rapporti due volte
alla settimana con prostitute sottoposte a controlli medici, pagate abbondantemente per reggere
l‟eccezionale foga dell‟uomo (alimentata dagli anabolizzanti assunti e dalla costante eccitazione).
Aveva trasformato l‟appartamento in cui viveva in una palestra, riempiendo ogni stanza di attrezzi dormiva su una panca riadattata a branda – e si allenava in continuazione, assumendo beveroni con
stimolanti, ormoni e integratori, tanto che spesso la notte non riusciva a prendere sonno e passava il
tempo correndo per ore sul tapis roulant. Si era iscritto a numerosi forum di bodybuilders e maniaci
del fitness che riempiva di post contenenti aggiornamenti sui propri parametri corporei e
testimonianze fotografiche e video degli impressionanti cicli di esercizi cui si sottoponeva.
Il suo scopo nella vita, anche se l‟avrebbe ammesso dinanzi a se stesso con qualche difficoltà, era
quello di essere l’uomo più in forma del mondo. Fu ricordando i bei tempi in cui era un semplice
insegnante di ginnastica di una scuola media di provincia che accolse con gioia l‟invito contenuto
nel particolare annuncio sul web in cui si imbatté, e che apriva uno spiraglio di luce nella sua vita
ormai trasformata in un‟emulazione del supplizio di Tantalo.
2.
Realizza il tuo obiettivo nella vita! Ti daremo a disposizione cento e otto giorni e finanze illimitate,
dopo di ché una giuria valuterà il tuo risultato e quello degli altri concorrenti e decreterà vincitore
chi si sarà più avvicinato alla meta prefissata! Il tutto in diretta audio e video con copertura
mondiale! Fai domanda, giudicheremo la tua serietà e se sarai determinato riuscirai a
concretizzare il tuo sogno!
I protagonisti della nostra storia fecero domanda per l‟iscrizione al concorso, e tutti e tre vennero
accettati. Gli fu fornita una carta di credito con budget illimitato e tutti si ingegnarono per riuscire a
vincere.
L‟uomo ossessionato dalla tecnologia utilizzò il denaro a disposizione per riunire un team di
ingegneri elettronici e designer e per corrompere i negrieri delle fabbriche asiatiche in cui venivano
prodotti i suoi oggetti del desiderio: due enormi capannoni industriali in Cina in cui veniva
impiegata forza lavoro minorile furono fatti lavorare a pieno ritmo per realizzare gadget destinati
esclusivamente alla sua persona, progettati dai tecnici sulla base delle più recenti indagini di
mercato – che sfruttavano dati forniti dai social network più in voga -per essere i più aggiornati del
globo.
51
La signora appassionata di moda invece sfruttò il budget per avvalersi delle prestazioni di ex agenti
di servizi segreti di paesi del Sud America, cui affidò il compito di sequestrare personalità del
mondo della moda e del design: nel giro di un mese aveva avuto modo di assistere a lezioni di stile
da Miuccia Prada, dall‟amministratore delegato di Chanel e da un affermato team di giovani
architetti danesi (gli artisti venivano drogati in continuazione perché non gli rimanesse memoria
della vicenda).
Quanto al cultore dello sport, questi fece fruttare i soldi acquistando anabolizzanti sperimentali
prodotti in Medio Oriente e rivendendoli ai preparatori atletici dei club dei più importanti
campionati sportivi a livello mondiale, che in cambio si impegnarono a seguirlo fornendogli il
know-how (oltre che le attrezzature e i farmaci) necessario a concretizzare la sua impresa.
Il giorno centosette i tre vennero contattati e gli fu comunicato che erano stati selezionati per la fase
finale della lotteria, che si sarebbe svolta il giorno seguente.
Epilogo
Non descriveremo in dettaglio quello che accadde il giorno della premiazione, vi basti sapere che
non appena i tre vennero dichiarati vincitori a pari merito del concorso con i rispettivi titoli di uomo
più aggiornato del mondo, donna più alla moda del mondo e uomo più in forma del mondo la
stanza che li ospitava fu riempita di combustibile e si trasformò in un gigantesco camino, in cui
furono arsi vivi insieme ai feticci che avevano portato con sé per certificare il proprio stato. Tutto
ciò in diretta mondiale. Ci fu un‟indagine da parte della polizia che scoprì che i server che
ospitavano l‟homepage del concorso erano localizzati in Corea: gli organizzatori si rivelarono
essere dei monaci buddisti impazziti che avevano preso un po‟ troppo alla lettera quello a cui nel
sermone del fuoco si allude in chiave metaforica.
Ma la cosa straordinaria della vicenda - e da cui si può forse trarre un insegnamento morale – è che
in realtà i protagonisti della nostra storia erano consenzienti alla propria immolazione, e per questo
erano stati selezionati e ammessi alla finale. Il fuoco, che in una cultura era visto come simbolo del
dolore causato dalla frenesia di una vita che ha smarrito le proprie coordinate - e quindi da
esorcizzare per contrappasso con un gigantesco agnihotra - nell‟altra era visto come prometeico
strumento di elevazione al di sopra di questa medesima frenesia: il tutto, in ultima analisi, per
fuggire l‟infelicità.
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Neve
[…] La sua anima si abbandonò lentamente mentre
udiva la neve cadere lieve nell'universo […], su tutti i
vivi e i morti.
James Joyce
Si volevano rincontrare perché ultimamente la vita aveva allontanato i binari su cui scorrevano le
rispettive esistenze. Da sempre vivevano in uno stato di comunione spirituale, tanto che spesso
mentre era affaccendato nelle mille cose che aveva per mano ogni giorno gli capitava di
immaginarsi l‟amico chiuso nella sua camera, in solitudine, seduto sul letto intento a fissare il muro
con il volto privo di espressione (e la cosa non si allontanava molto dal vero).
Decisero pertanto di uscire a cena, nonostante sulle pacifiche e depresse terre in cui si trovavano a
vivere si stesse scatenando una tormenta di neve senza precedenti, che aveva costretto nelle proprie
abitazioni molte famiglie. Optarono per un pub che era il punto di ritrovo della gioventù della zona,
un covo di persone in fuga da ogni responsabilità impegnate a spendere i soldi accumulati dai
genitori in anni di sacrifici per ubriacarsi e drogarsi, o rimorchiare ragazzine.
Bisogna ora dire che al giovane, nonostante fosse un bravo ragazzo sotto diversi aspetti, piaceva
straviziare per placare l‟ansia che accompagna questa età della vita, derivante dalle incertezze sul
futuro e sui propri desideri. E aveva sempre trovato nell‟amico, che aveva una naturale inclinazione
all‟abbrutimento, un fedele compagno di sbronze.
Fu così che dopo numerosi aperitivi dalla gradazione alcolica che avrebbe fatto invidia al conte
Negroni si dedicarono alla cena, consistente in schifezze surgelate fritte, pizze straunte e dolci
ipercalorici, il tutto innaffiato da diversi litri di birra speciale. Fu poi il momento del caffè, seguito
da diversi giri di shot di distillati e amari in veste di “digestivo”. Al termine del tour de force gli
eroi si reggevano in piedi a malapena, e uno dei due si recò di corsa al gabinetto in preda ai crampi,
lasciandolo in condizioni tali da causare l‟ansia a ogni futuro utente e l‟angoscia al barista cui
sarebbe aspettato l‟ingrato incarico di pulirlo.
Dopodiché i due, ancora ebbri, si congedarono per fare ritorno alle rispettive abitazioni, nonostante
la tempesta con cui il creatore sembrava aver voluto punire la loro comunità stesse raggiungendo il
proprio apice. Gli amici non si accorsero neanche della loro partenza, impegnati come erano a
offrire “botte” di cocaina a una ragazzina di origini maghrebine che aveva fama di essere piuttosto
disinibita per tutto ciò che riguardava il sesso orale, con il poco nascosto intento di assicurarsi i suoi
servigi.
Il ragazzo che lavorava abitava in collina, e una quindicina di chilometri di macchina lo separavano
dal letto in cui avrebbe potuto affogare gli stravizi della serata. Sfortunatamente, mentre ascoltava
musica proto-punk degli anni settanta a tutto volume e si esaltava immaginandosi di vivere una vita
più interessante e poetica di quella grigia, inquadrata e provinciale che conduceva , uscì di strada e
il motore della macchina si spense.
La prima cosa che provò quando uscì dall‟abitacolo della vettura fu un senso di libertà per
l‟imprevisto che gli era capitato e si mise a danzare sotto la improbabile quantità di neve che il cielo
ostile stava riversando su quelle terre senza colpa, intonando i versi delle canzoni che stava
ascoltando fino a qualche secondo prima e immaginandosi di essere un eroe di un romanzo di Knut
53
Hamsun o di Jack London. Poi la sbornia gli passò, e il suo pragmatismo lo spinse a cercare il
cellulare per chiamare a casa, o comunque per rimediare assistenza. Ma la tecnologia, che tante
illusioni di sicurezza fornisce all‟uomo di questi tempi, non si rivelò d‟aiuto: il telefono infatti non
riceveva segnale.
Fu così che, piano piano, si lasciò prendere dall‟angoscia: in particolare lo tormentava l‟immagine
delle salme che, nella solitudine dei loro loculi, si stavano congelando nei tanti cimiteri di
campagna che sapeva essere lì intorno. Spaventato si allontanò dalla macchina e si incamminò
verso una luce che scorgeva nell‟oscurità, resa intermittente dal diluvio di fiocchi di neve, e che
sperava essere quella di un‟abitazione presso cui avrebbe potuto chiedere soccorso.
Stranamente, se ne accorse mentre si avvicinava, la luce proveniva da una chiesetta diroccata del
tredicesimo secolo intitolata, ironia della sorte, a San Fortunato. Dacché ne aveva memoria la chiesa
era transennata per i danni riportati in occasione del sisma del 1997, e diversi decenni dovevano
essere trascorsi dall‟ultima volta che vi era stato ufficiato il rituale della Santa Messa.
Si avvicinò alla finestra, premurandosi di rimanere nascosto e guardando al suo interno scorse
Giobbe e Giona di Ninive (era sicuro che fossero loro, nonostante la sua frequenza alle lezioni di
catechismo fosse stata tutt‟altro che costante) intenti a disquisire. A un certo punto i due personaggi
biblici rivolsero lo sguardo verso di lui - stranamente, poiché era sicuro di non poter essere visto - e
gli fecero cenno di entrare. Si incamminò verso l‟altare e lo invitarono ad attendere assieme a loro il
Salvatore, che avrebbe dovuto raggiungerli di lì a poco. I due non si esprimevano verbalmente, e la
comunicazione avveniva attraverso una sequenza di forme geometriche e colori, che – la cosa non
lo stupiva affatto - si rendeva conto di capire senza difficoltà.
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EPILOGO
La mattina seguente gli uomini del Corpo Forestale dello Stato, allertati dai genitori del ragazzo
preoccupati perché il giovane non aveva fatto ritorno a casa, lo ritrovarono morto congelato nella
chiesetta, raccolto in posizione di preghiera. Aveva bruciato gli abiti sull‟altare, probabilmente in un
estremo e suicida tentativo di salvarsi.
La cosa che i militari non riuscirono a spiegarsi fu come il giovane fosse riuscito ad entrare
nell‟edificio, poiché la porta era chiusa con un pesante catenaccio e le finestre da grate, e non erano
visibili segni di effrazione.
55
Lo sfigato
Carlo Porta, sfigato. Vive con la moglie in solitudine, da solo. Ha parcheggiato allo stesso posto
per trenta anni, un giorno un giovanotto comincia a parcheggiare al posto suo. È un bravo
ragazzo, lui non glielo dice perché è timido, una mattina gli spacca la testa con il cric.[…]
Così esordiva un editoriale pubblicato su un giornale online di un associazione giovanile a
commento di un fatto di cronaca. L‟articolo proseguiva poi con una riflessione sulla violenza latente
nella nostra società e sulla follia che si cela dietro gli atteggiamenti cordiali degli ipocriti e dei
benpensanti.
Lunedì
Come ogni mattina si recò al lavoro e come gli succedeva da un mese a quella parte trovò il posto in
cui parcheggiava di solito occupato dall‟automobile di quel giovanotto un poco distratto e dall‟aria
bonaria, dai vestiti di qualche taglia più larga e dai capelli che probabilmente non vedevano le mani
di un parrucchiere da un paio di mesi abbondanti. Aveva posteggiato l‟automobile in quel posto per
trenta anni di seguito, dal lunedì al venerdì – e anche qualche sabato quando faceva gli straordinari
– dalle otto e trenta della mattina alle sei e trenta della sera, e adesso era arrivato il giovane
tirocinante, ignaro di quella regola non scritta. Non ce l‟aveva con lui, anzi guardava alla cosa con
sentimento paterno: sapeva infatti come sono i giovani, anche lui aveva due figli maschi. Adesso
erano andati a studiare lontano e tornavano a casa soltanto per festeggiare il Natale. Pertanto viveva
solo, in compagnia della moglie.
Martedì
Quella mattina aveva provato a fermare il ragazzo per fargli presente la cosa, ma si era bloccato con
il sorriso sulle labbra e aveva farfugliato un “buongiorno”. Il giovane lo aveva guardato un
po‟perplesso, poi dopo aver sorriso e ricambiato il saluto si era avviato al lavoro col suo passo
sgraziato. La cosa in realtà non gli pesava neanche più di tanto, solo che era un abitudinario. Il suo
piatto preferito era il brodo di dado, che consumava ogni sera insieme a una pastina e a una
caciottina.
Mercoledì
Ormai si era quasi abituato al suo nuovo posto auto, sotto quel bel leccio dalle foglie ingiallite.
Stava arrivando l‟autunno e il vento umido portava rumori e odori di paesi lontani, simbolo di quel
cambiamento sulla cui antitesi aveva costruito la propria vita. Non capiva più la società in cui
viveva, in particolare non capiva perché la città – e il mondo, gli sembrava – si stesse riempendo di
cinesi, nonostante anche lui fosse emigrato dal suo paese depresso ai tempi in cui bastava studiare o
imparare una professione per assicurarsi delle solide prospettive.
Venerdì
Quel leccio gli piaceva proprio, lo aveva anche sognato, con il vento d‟autunno che ne suonava le
fronde come una lira. Il giorno prima sui suoi rami aveva visto correre uno scoiattolo. Aspettò che il
giovane arrivasse e parcheggiasse, poi gli andò dietro e gli indirizzò un timido “scusi”. Non appena
il ragazzo si girò un poco perplesso lo tramortì con un violento colpo di cric alla tempia. Cascò per
terra, e si dedicò con meticolosità a fracassargli il cranio, riversando sull‟asfalto umido per una
leggera pioggia una poltiglia che soltanto pochi secondi prima era stata attraversata da timori,
inquietudini e belle speranze. Su quello che rimaneva del volto del giovane era dipinta una
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espressione stupita, forse per il fatto che la lunga vita che si immaginava davanti era stata interrotta
ad opera di una persona che non significava niente a lui come a molti altri. Carlo Porta si avviò alla
sua postazione di lavoro, come aveva fatto tutte le mattine per trenta anni, tranne quando portava la
famiglia in villeggiatura o andava a trovare i suoceri.
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Centro commerciale
Era un pomeriggio di un grigio e inutile sabato invernale, si era alzato tardi ed era rimasto tutto il
giorno dentro casa, sul divano, leggiucchiando o guardando svogliatamente spezzoni dei numerosi
film che scaricava, riposandosi insomma. Verso le quattro si era fatto una doccia e si era avviato al
cinema, un multisala con annessi servizi commerciali.
Di solito il sabato pomeriggio quel posto si riempiva di ragazzini, che vi si riversavano a orde per
guardare i film di animazione o avventura della nuova stagione cinematografica. Acquistò un
biglietto per un film a caso (il primo della lista), attese in coda tra i fanciulli sporchi, chiassosi ed
eccitati per ordinare un “menu maxi” (secchio gigante di popcorn e bibita da un litro) e dopo essersi
fatto validare il biglietto da un adolescente con il parrucchino entrò nell‟area dedicata alle
proiezioni.
Aspettò che tutti gli spettatori entrassero nelle sale, gettò il cibo e la bevanda in un capiente
contenitore per l‟immondizia e avendo premura di non essere visto da nessuno e accertandosi
preventivamente che fosse vuoto entrò nel bagno delle donne e dopo essersi fiondato in uno dei
gabbiotti dei cessi si serrò la porta alle spalle.
Per prima cosa tirò fuori lo smartphone e si mise a vedere i video che ci aveva caricato, film JAV in
cui bellissime ventenni giapponesi leccavano da uno specchio la foga dei giovanotti (arrivando a
mangiare anche venti porzioni filate di formaggio per fare i bambini) o si facevano riempire il buco
dell‟amore da decine di uomini di diversa età e stazza che ci scaricavano in serie. Quando si ritenne
eccitato a sufficienza tirò fuori dalle capienti tasche del parka un flacone di lubrificante a base
d‟acqua, uno stimolatore della linea Aneros e un cock ring.
Si calò le brache e dopo essersi infilato gli attrezzi attese l‟intervallo delle proiezioni. Nel frattempo
continuava a vedere il materiale pornografico - era passato al porno patinato firmato Amateur
Allure, in cui giovanissime starlet belle come ninfe silvane celebravano il rituale
dell‟abbeveramento alla fonte della vita - e si eccitava contraendo e rilassando i muscoli dello
sfintere, lasciando che il massaggiatore svolgesse il suo lavoro.
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Quando i film furono interrotti per il rinfresco flotte di ragazzine dalla fichetta glabra o coperta di
rada peluria bionda (l‟età era più o meno quella delle medie inferiori) invasero il gabinetto e
svuotarono le vesciche gonfiate dai soft drinks mentre parlavano dei maschi loro coetanei di cui
erano infatuate. Chiuso nel suo loculo l‟uomo ascoltava in silenzio, sforzandosi di tenere le mani
lontane dal pene che era ormai lucido di secrezione pre-eiaculatoria.
Aveva settato la sveglia del cellulare a un quarto d‟ora dal termine delle proiezioni, perché aveva
letto su un articolo trovato su internet che lo sperma mediamente si mantiene denso per una ventina
di minuti dopo l‟emissione, e lui ci teneva a far sì che la sorpresa di sporcizia che stava per lasciare
fosse trovata fresca.
La suoneria partì e cominciò a massaggiarsi con forza il cazzo e le palle. La dolcezza della
pressione dello stimolatore sulla prostata e il solletico dell‟anello sul retro dei testicoli si fecero
insopportabili e lo portarono a scatarrare dal cazzo sull‟anta della porta la tensione accumulata in
una settimana di inevitabili relazioni interpersonali. Quando ritorno in sé si trovò davanti cinque
comete dirette verso il soffitto, con il nucleo fatto di bianchi e densi grumi di spermatozoi e la coda
di viscido liquido prostatico.
Si pulì il cazzo con la carta igienica e uscì con circospezione lasciando la sborrata sulla porta,
chiedendosi con cinico divertimento se la donna – ragazzina o mamma - che di lì a poco la avrebbe
trovata ci avrebbe indovinato il disgustoso fluido da cui era nata.
59
Andò al ristorante vicino alle sale e dopo aver mostrato il biglietto per lo sconto ordinò un doppio
hamburger con patatine e mezzo litro di birra Miller. Il pub era pieno di famiglie, i genitori che
erano venuti a riprendere i figli probabilmente avevano deciso di fermarsi a cena sfruttando il
pacchetto pieno dell‟intrattenimento offerto dal luogo, il tutto in un‟orgia di schiamazzi e risa.
Mentre addentava il panino gustandosi il villano pot-pourri di sapori forti si rese conto di non odiare
i bambini, gli restavano indifferenti (come le persone), anche se provava una viscerale avversione
verso l‟idea della riproduzione del genere umano.
60
Primarie
1.
Aveva vissuto gli anni di piombo, un periodo in cui l‟impegno politico coincideva con quello
esistenziale, e qualche volta si finiva anche con il lasciarci la pelle. Si ricordava bene la crisi
petrolifera del 1973, quando le difficoltà politiche ed economiche avevano inciso pesantemente
sulle abitudini di vita della popolazione, costringendola a rinunciare ai comfort più basilari. Per
questo l‟attuale e terribile congiuntura economica non lo spaventava, sapeva che anche se le cose
vanno veramente male ci si può sempre risollevare grazie all‟impegno e alla collaborazione tra le
persone, in cui riponeva una grande fiducia.
Ora era in pensione, nella sua vita di professionista aveva sempre lavorato con onestà, pagando ogni
gabello e versando regolarmente i contributi. A dire il vero non è che l‟ente preposto al pagamento
delle mensilità lo ricompensasse granché per la sua passata diligenza, ma sapeva che c‟era gente che
se la passava peggio di lui, e accettava i suoi sacrifici con dignità e spirito di abnegazione, il tutto
nell‟ottica del benessere della collettività.
In particolare nutriva grande speranza in un evento di partecipazione democratica promosso dal
partito di cui era tesserato (che da quando da giovane vi militava aveva cambiato nome quindici
volte e accolto tra i suoi ranghi le persone più improbabili) sulla falsariga del suo presunto omologo
della più grande democrazia d‟oltreoceano, che nonostante fosse ormai a tutti gli effetti un
protettorato cinese ancora esercitava un ruolo di egemonia culturale in un paese tanto arretrato da
questo punto di vista come il nostro.
Nel suo genuino entusiasmo una nuova stagione di democrazia e progresso si schiudeva
all‟orizzonte, alimentata dall‟unico bene immateriale da cui l‟umanità avrebbe ancora potuto
sperare di trarre profitto: i giovani.
2.
Ormai erano le cinque e mezza del pomeriggio e l‟affluenza ai seggi era stata piuttosto bassa:
d‟altra parte si era sotto le feste, e la gente preferiva starsene in casa o a passeggio nei centri
61
commerciali e poi la sezione che presidiava non era sicuramente tra le più importanti, nascosta
come era al piano terra di un palazzone di un quartiere popolare degli anni sessanta.
La porta del fatiscente infisso vetrato si aprì e fecero il proprio ingresso due ragazzi, entrambi molto
alti. Uno aveva i capelli fino alle orecchie e un naso più che importante su una faccia inespressiva:
era vestito con una cuffia blu scuro e un giaccone della Napapijri con una capiente tasca davanti.
L‟altro era un vero e proprio energumeno: aveva i capelli rasati e un tatuaggio che dal collo taurino
risaliva sulla guancia destra. Portava un berretto con la visiera calata sul volto, jeans con il cavallo
all‟altezza delle ginocchia e una giacca di tessuto sintetico.
L‟anziano signore li salutò con gentilezza e gli chiese le generalità, per nulla intimorito (era
consapevole del fatto che i giovani sono un po‟ stravaganti, del resto anche lui era scappato di casa
per assistere a un concerto de I corvi) e anzi contento che qualche spiffero della ventata di gioventù
che si immaginava avrebbe travolto la società fosse entrato dalla porta.
Il giovane con la faccia da volatile si inventò un nome falso, e il vecchio dopo aver scorso a vuoto
la lista elettorale gli si rivolse con un sorriso e gli disse: “Mi spiace ma non riesco a trovarlo. Siete
sicuri di non aver sbagliato sezione? Ce n‟è un‟altra proprio nella via…”.
Il ragazzo estrasse un manganello telescopico dalla tasca che aveva sulla pancia e colpì con
violenza l‟anziano al volto, spaccandogli il naso e macchiando di schizzi di sangue il grande poster
con la faccia di Pierluigi Bersani che dominava la squallida stanza. Con felina velocità Il suo
compagno calò la serranda, trasformando il locale nel peggiore incubo del navigato militante.
L‟energumeno si avventò sul disorientato signore tempestandolo di calci al ventre, sulle costole e
sulla schiena con i pesanti scarponi da snowboarder. Gli frugò nelle tasche fino a trovargli il
portafogli e un vecchio cellulare: gettò con violenza il cellulare per terra, spaccandolo e si intascò il
portafogli. L‟uomo gli rivolse le braccia e cominciò a mugugnare: voleva dirgli di lasciargli almeno
la foto del figlio che vi conservava, che era morto in un incidente stradale, ma aveva la bocca piena
di sangue e non riusciva ad articolare le parole. Per risposta gli diede un fortissimo calcio sulla
fronte, lasciandolo svenuto. Nel frattempo il ragazzo con la cuffia setacciava la stanza alla ricerca di
denaro, trovando solo i miseri contributi (una sessantina di euri) dei simpatizzanti del partito che
avevano votato.
Delusi raccolsero tutte le bandiere del PD che si trovavano nella stanza, ci cacarono e pisciarono
sopra e le incendiarono dopo essercisi puliti i culi. Poi tornarono dal vecchio che giaceva
semisvenuto sul pavimento, mugugnando nel suo vaneggiamento il nome del figlio morto, a cui
aveva voluto molto bene e per la cui perdita aveva molto sofferto. Calarono due volte su di lui il
micidiale manganello di metallo, spappolandogli la milza e rompendogli tre vertebre.
Alzarono la serranda e fuggirono nella fredda sera invernale, mentre le fiamme avvolgevano il
vecchio mobilio della sede di partito, probabilmente ricavato dallo sgombero di qualche scuola
elementare.
62
3.
Il pensionato fu salvato dalle fiamme, anche se rimase paraplegico e poiché le numerose percosse
ricevute gli avevano fatto perdere la funzionalità dei reni doveva anche recarsi periodicamente
all‟ospedale per fare la dialisi. Ciononostante nelle interviste rilasciate durante i salotti televisivi che
parassitarono la sua disgrazia alimentando la morbosa curiosità degli spettatori – interviste durante
le quali il suo volto veniva oscurato poiché era rimasto orribilmente sfigurato dalle fiamme continuava a trasmettere messaggi di fiducia ed entusiasmo nel futuro e nella gioventù. Poi la sua
vicenda perse di interesse di fronte a un nuovo caso di cronaca nera e al suo funerale – che non
tardò molto, dato lo stato di prostrazione in cui ormai versava il suo organismo - non si presentò
neanche uno dei molti rappresentanti di partito che avevano cavalcato l‟onda del clamore destato
dal fattaccio per assicurarsi visibilità, promettendo sostegno alla famiglia dell‟anziano e
provvedimenti volti ad evitare il ripetersi di vicende tanto spiacevoli.
I giovani aguzzini furono scoperti in seguito a un‟indagine della Polizia Postale su un video virale
diffuso sulla rete che riprendeva gli stessi impegnati nell‟atto di infilare un pugno nel culo a una
minorenne consenziente. Venne fuori che i due avevano caricato il filmato incriminato su internet
con uno smartphone acquistato con i proventi del raid. Uno dei due aveva un parente che rivestiva
un‟importante carica politica (per ironia della sorte proprio con il PD) che provvide a far insabbiare
il tutto, permettendo ai ragazzi di evitare il carcere e di continuare a vivere da parassiti della società.
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Capanno di caccia
Voglio rivelarvi le ragioni che stanno dietro al fallimento del famigerato golpe del 2 giugno 20..,
che come ben sappiamo ha visto la regia del Custode del Sacro Convento di Assisi e il
coinvolgimento, sebbene in ruoli diversi da quelli ricordati dalla storiografia ufficiale, di due stimati
parlamentari.
Dall‟esame delle carte del prelato è risultato che costui si è rivolto ai tesserati Federcaccia per
tentare di realizzare il suo infame obiettivo poiché vedeva in quest‟ultima una sorta di erede degli
ordini monastico-militari del basso medioevo.
Andiamo ad analizzare più approfonditamente le caratteristiche di questo “ordine”, integrando la
nostra indagine con la vicenda di colui che è a tutti gli effetti il principale responsabile della
mancata riuscita della sommossa.
1.
G.M. era una “persona onesta”.
Aveva sposato la ragazza con cui era fidanzato dai tempi delle scuole medie all‟età di diciannove
anni, appena preso il diploma all‟I.P.S.I.A. di Olmo (PG), indirizzo meccanico.
Dopo il matrimonio era stato assunto dal suocero in un‟officina di suo possesso e trascorsi alcuni
anni di gavetta era diventato capo del personale.
Oltre al lavoro la sua vita era dedicata alla famiglia; aveva infatti due bei bambini di sei e nove anni.
Presto avrebbe pensato a far iniziare il più grande dei due alla passione tramite cui dava sfogo alle
tensioni accumulate nell‟ambito della vita familiare e lavorativa, la grande passione della sua vita,
la caccia; all‟uopo aveva già individuato un amico di lunga data.
2.
Anche lui era stato iniziato all‟arte venatoria da un parente, uno zio, quando la sua età aveva
raggiunto la doppia cifra, secondo il codice non scritto in vigore tra i cacciatori.
Lo zio lo aveva portato nel capanno di caccia in una nebbiosa domenica mattina di ottobre.
Gli aveva fatto accarezzare le canne della doppietta, poi lo aveva fatto girare, gli aveva calato le
braghe e dopo avergli unto il culo con il grasso che usava per pulire il fucile lo aveva stuprato.
Non aveva ancora capito quello che gli era successo che lo zio gli disse che ora era un uomo, e gli
gettò davanti – dopo essercisi asciugato il pene sporco di grasso, sperma e cacca – una rivista
pornografica trans.
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3.
Quest‟episodio era stato alla base di una scissione nella sua personalità, scissione che del resto
accomuna tutti i cacciatori; con la moglie e con i figli era affettuoso, ma nell‟ambito della “caccia”
sfogava il suo lato violento e perverso.
Di solito iniziava la giornata di caccia masturbandosi mentre passava in rassegna riviste
pornografiche gay e trans, che erano custodite, a beneficio di tutti i cacciatori, in un capiente
armadio all‟interno del capanno.
Un foglio appeso al muro permetteva di riservare il fabbricato per momenti di intimità di questo
genere; la casa di caccia era comunque anche teatro di espressioni di sessualità “collettive”.
Nell‟armadio c‟era infatti un apparecchio che veniva usato per la proiezione di video pornografici
in occasione delle orge che si tenevano nella casa al termine di ogni battuta al cinghiale, orge in cui
venivano coinvolti transessuali fatti arrivare dal capoluogo e che si svolgevano con la macabra
coreografia dei capi abbattuti.
4.
Ma le “riunioni” più spinte si tenevano nei giorni di apertura e chiusura della stagione venatoria; nel
corso di questi eventi venivano consumate anfetamine reperite nei Balcani da colleghi che avevano
fatto vacanze di caccia in Serbia.
Una volta un cacciatore aveva avuto la funesta idea di far iniziare suo figlio durante una di queste
orge; il bambino dopo aver subito l‟assalto di un autotrasportatore imbottito di droga e dal ventre
gonfiato dalla carne di maiale e dal vino edulcorato era svenuto, e solo grazie all‟intervento di un
chirurgo con la passione per la doppietta era stato evitato lo scandalo.
L‟essere cacciatori comportava infatti l‟inserimento in una rete di “solidarietà” di stampo mafioso.
Quando un cultore della disciplina di Diana per provare il suo ultimo acquisto - una carabina
Benelli modello “duca di Montefeltro” - aveva abbattuto per sbaglio un giovane che chitarra in
spalla si era incamminato per i boschi dietro Assisi tutte le associazioni di caccia del centro Italia si
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erano mobilitate per trovargli una copertura; copertura che alla fine era stata trovata in un alto
prelato interessato al mondo della caccia per fini politici, che aveva provveduto a far insabbiare la
cosa.
5.
Ma torniamo alla storia di G.M., che comincia nello stesso capanno in cui il cacciatore aveva subito
il rito dell‟iniziazione:
Si spalmò gli attributi e il buco del culo con olio Ballistol e cominciò a menarsi il cazzo sfogliando
un giornaletto dalle pagine incrostate in cui tra le altre cose Mukhtar Safarov sturava il culo a un
biondino di vent'anni. Poi passò a una rivista in cui trans muscolosi masticavano stronzi duri e neri
e dopo essersi riempiti i culi con dei clisteri si scaricavano addosso i contenuti delle rispettive
ampolle rettali. La porta si aprì all'improvviso. Riconobbe suo zio, morto sette anni prima,
principalmente dall‟abito da caccia con cui si era fatto seppellire, perché per il resto aveva il corpo
completamente marcio. Non si stupì più di tanto. Il vecchio si diresse all'armadio, prese un paio di
riviste e fece per masturbarsi, ma il cazzo gli rimase tra le mani. Si avvicinò allo zombie, lo girò con
violenza, gli calò i calzoni (che si portarono dietro un paio di strati di tessuto putrefatto) e affondò il
cazzo durissimo e unto nel culo dell‟anziano - o meglio in quel che ne rimaneva - spingendolo
avanti e indietro nella carne ben frollata fin quando l'eccitazione non lo portò a spremersi la vita dai
coglioni.
Poi prese la doppietta e sparò sul capo del parente, facendogli esplodere il cranio e spargendo per la
stanza una pioggia di larve e poltiglia puzzolente. Dato che aveva soddisfatto i propri bisogni
ricaricò il fucile, se lo portò in spalla e si diresse verso la porta, pronto a iniziare la giornata di
caccia. Il cellulare squillò, era un suo collega cacciatore. "Sonno tornati i morti! Stamattina fori de
casa c'evo 'l mi babbo! M'è toccato d'ammazzallo 'na seconda volta! Poi l'ho misso 'ntoll'orto,
almeno me concima i pommidori... Dice che è per via de quill'affare, il di-pitale terrestre... M'ha
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chiamato il presidente della Federcaccia, dice che tocca dà 'na mano alla forestale e ai carabinieri a
rimette a posto i morti 'ntra che qualche „ngegnere sistema „l segnale!"
Traducendo il segnale che avrebbe dovuto portare l'Umbria fuori dal “digital divide” trasportandola
nel rassicurante mondo del digitale terrestre (l‟ultimo in ordine di tempo tra gli innumerevoli giochi
di prestigio di cui la tecnologia si serve per ammaliare i suoi schiavi) aveva avuto lo spiacevole
effetto collaterale di riportare in vita i morti e i cacciatori erano stati chiamati ad aiutare le forze
armate a risolvere il problema prima che la cosa diventasse di dominio pubblico.
Il difetto del segnale fu subito corretto e molte teste rotolarono all'agenzia delle telecomunicazioni.
Ovviamente ci furono segnalazioni di strane visite da parte della popolazione, ma i mass media
contribuirono a far insabbiare la cosa riducendola a allucinazioni o deliri di alcolisti.
Benché il fattaccio non fosse stato reso pubblico la notizia era trapelata ai vertici dei vari poteri, ed
era giunta quindi al Custode del Sacro Convento. D‟altra parte questi aveva avuto un‟esperienza
diretta della vicenda: nella notte erano infatti venute a fargli visita una decina di persone uccise alcune per mano sua - perché avesse potuto ricoprire quella posizione.
La solerzia dell‟ “esercito delle doppiette” nell'assolvere il compito assegnatoli convinse
definitivamente il religioso dell‟opportunità di inquadrare militarmente i cacciatori per il proprio
fine, ovvero quello di rovesciare l'ordinamento vigente nel centro Italia e ripristinare lo Stato
Pontificio.
Bisogna dire che il prelato, che era passato per ambienti religiosi di ogni ordine e grado, sapeva
bene quale “disciplina” e “castità” albergasse negli ordini monastici (al cui rango nella sua visione
delle cose aveva elevato il corpo dei cacciatori) ma come avremo modo di vedere – e come la storia
del resto ci insegna – sottovalutò la cosa.
2 giugno 20..
Una colonna di Land Rover e Jeep Cherokee si presentò alla guardiola di ingresso del grande
parcheggio di Villa Borghese a Roma. Al guardiano - che mezzo assopito stava vedendo un film
pornografico sul suo smartphone – prese un mezzo colpo e si gettò fuori dal gabbiotto indirizzando
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un “Embé?” al barbuto omaccione che munito di occhiali da sole e tuta mimetica faceva da
capofila. Una scarica di pallettoni gli aprì un buco nel torace e lo portò a baciare Gesù bambino.
I mezzi entrarono uno ad uno e furono parcheggiati ammaccando e rovesciando numerose utilitarie.
Dai due furgoni che chiudevano la colonna furono estratti gli armamenti che – oltre alle doppiette,
alle carabine e ai coltelli da caccia – costituivano il corredo del peculiare esercito: trenta AK-47 e
tredici lanciagranate M80 Zolja, regalo dei colleghi di caccia serbi, “irriducibili” fedeli all‟ideologia
dell‟ultranazionalismo.
Da un'altra camionetta furono estratte una sacca da sport piena di anfetamine, sei damigiane di vino
rosso fatto in casa, ottocento salsicce, tre barbecue e dodici sacchi di carbonella. Dopo il rinfresco e
dopo aver consumato la droga l‟armata, doppietta in spalla, si mise in marcia verso Montecitorio.
Un vigile urbano che in un atto di eroismo provò a fermare l‟avanzata della colonna fu abbattuto,
spezzato e conciato da un cacciatore esperto di norcineria, per poi essere arrostito su un barbecue
portatile e finire negli stomaci dei miliziani insieme a diversi litri di vino rosso.
I cacciatori raggiunsero la Piazza di Montecitorio mentre in Via dei Fori Imperiali la parata delle
Forze Armate – e di pari passo lo sperpero di denaro dalle casse dello Stato – raggiungeva il suo
acme. L‟idea era infatti quella di entrare in azione mentre l‟attenzione della gente e delle forze
dell‟ordine era polarizzata dall‟evento e di sfruttare il clamore prodotto dal passaggio dei mezzi
militari per coprire il rumore dei colpi d‟arma da fuoco.
Una terribile esplosione giunse dall‟interno del palazzo. Come d‟accordo questo era il segnale per
entrare in azione: l‟onorevole Luca Barbareschi aveva infatti esploso una granata all‟interno
dell‟Aula della Camera. Nel frattempo l‟altro parlamentare coinvolto nel golpe, l‟onorevole Niccolò
Ghedini, aveva fatto piazza pulita delle guardie servendosi della sua abilità nell‟utilizzo della lama,
maturata durante la sua giovanile militanza negli ambienti del neonazismo veneto.
È a questo punto che nella nostra storia entra in gioco G.M.. Mentre sotto il sole cocente attendeva
insieme ai suoi commilitoni i segnali convenuti il suo organismo – alterato dalle anfetamine e dal
copioso vino consumato – era infatti diventato preda di una fortissima eccitazione sessuale.
Quando non riuscì più a trattenersi puntò la doppietta – caricata con cartucce da cinghiale - sul
capo del compagno che aveva di fronte, premette il grilletto e gli fece esplodere il cranio. Poi si
chinò sul cadavere, infilò il pene nel collo da cui il cuore ancora pompava flotti di rosso sangue
arterioso, cominciò a muoverlo avanti e indietro ed emettendo terribili grugniti di piacere depositò il
suo sperma nell‟esofago maciullato.
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Per spiegare le ragioni di questo assurdo gesto bisogna tornare all‟incontro del cacciatore col
cadavere dello zio. Il piacere provato nello stuprarne la carcassa aveva infatti elevato l‟atto a una
delle più belle esperienze sessuali vissute dal padre di famiglia e le maglie del vizio avevano presto
avvolto l‟esistenza dell‟uomo portandolo a ripetere la performance più e più volte.
In particolare era diventato dipendente dalla sensazione del contatto della pelle lucida e tesa della
cappella con la carne putrefatta, la preferiva alla fica della moglie (in cui pure aveva scaricato
innumerevoli volte, arrivando addirittura alla generazione) o all‟intestino di un bambino. Per
soddisfare il suo vizio di solito si serviva delle carcasse dei capi abbattuti, lasciate a lungo a frollare
per massimizzare il piacere. Quando era particolarmente eccitato estumulava un morto da un
cimitero di campagna con l‟ausilio degli attrezzi da officina, lo portava nella macchia per
scoparselo e poi lo rimetteva a posto.
I suoi compagni, vedendo l‟eccezionale godimento provato da G.M. e in difficoltà ad anteporre il
principio di realtà a quello di piacere (un po‟ per gli eccitanti assunti, un po‟ per il bassissimo tasso
di istruzione medio), cominciarono a replicare in massa il gesto del cacciatore: numerose teste
esplodevano – alcuni tra i militi provarono la strada alternativa dell‟aprire le prominenti pance dei
compagni servendosi dei coltelli di caccia e di scoparne le viscere mentre erano ancora in vita - e
l‟insurrezione si risolse in una tanto grottesca quanto macabra coreografia di copule tra cacciatori e
cadaveri.
Epilogo
Gli onorevoli Niccolò Ghedini e Luca Barbareschi produssero dietro minaccia – fisica Barbareschi,
legale Ghedini – numerose testimonianze false che certificavano il loro coinvolgimento attivo nella
repressione del tentativo di colpo di Stato e furono pertanto insigniti della carica di senatore a vita.
Il Custode del Sacro Convento di Assisi fece invece perdere le proprie tracce ed è tuttora
annoverato tra i dieci latitanti più pericolosi del nostro paese.
In realtà non appena il Santo Padre venne a conoscenza della bischerata tramata dal prelato – poiché
questi aveva agito alle sue spalle, con la speranza di fargli le scarpe una volta impadronitosi del
potere - mandò ad Assisi un commando di guardie svizzere addestrate in Pakistan per sequestrarlo.
Il religioso venne portato nelle grotte vaticane e gettato in una botola che si trova proprio in
corrispondenza della tomba del Principe degli Apostoli, da cui nessuno è mai riemerso (secondo
alcuni coinciderebbe con l‟ingresso dell‟inferno di cui parla Dante Alighieri nella Divina
Commedia) e che può essere aperta soltanto alla presenza del Pontefice.
Il Papa infatti, forte di duemila anni di esperienza nel dominio delle masse, sapeva bene che nel
mondo di oggi esistono mezzi di gran lunga più efficaci delle brute manifestazioni di potere
temporale per tenere al pascolo il gregge di Dio.
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Carnevale
Si era proprio nel colmo del carnevale e nonostante le aziende per cui lavoravano avessero bisogno
di loro per evitare che la scure del fallimento calasse sul futuro di una sessantina di famiglie si erano
presi tre giorni di ferie senza preavviso, per prepararsi e prendere parte alla tradizionale sfilata dei
carri allegorici.
Trascorsero il primo giorno dedicandosi al travestimento: decisero di mascherarsi l‟uno da mummia
e l‟altro da Zorro. Si recarono pertanto in un negozio di articoli da festa (che commerciava anche
fuochi d‟artificio) ed acquistarono due maschere, una calzamaglia, un mantello e un cappello.
Comprarono anche diciotto scatole di raudi, venti bombolette di schiuma spray e quindici di stelle
filanti. Poi si recarono al discount, dove riempirono il carrello con una confezione da dieci di carta
igienica doppio velo (per fare le bende della “mummia”), quindici confezioni da quattro di uova da
allevamento biologico e l‟occorrente per trascorrere la giornata successiva, vigilia dell‟immancabile
appuntamento. Tornati a casa cominciarono a mascherarsi, usando un tappo di sughero annerito sul
fornello per fare i baffi di Zorro. Poi, senza smettere i panni del travestimento, dopo aver visto i
cartoni animati andarono a letto alle nove in punto, come facevano da bambini.
La mattina seguente si alzarono alle otto e fecero colazione con doppia razione di cereali Nesquik e
latte al cioccolato. Poi iniziarono la lunga maratona di film che avevano in programma: avevano
speso ottanta euri per prendere all‟unico videonoleggio rimasto aperto in città – il cui proprietario
era dipendente da videopoker e spacciava cocaina per mantenere il figlio che si era ritrovato tra i
piedi per caso – la serie completa di Venerdì 13 e Rambo. I film erano rigorosamente in VHS e per
vederli dovettero recuperare in cantina un vecchio videoregistratore con annessa presa scart. Mentre
i banali slasher proseguivano i due – travestiti da Zorro e mummia – mangiavano avidamente
marshmallow scaldato sul fornello a gas, che dopo una trentina di minuti cominciò ad emanare un
mortifero e dolciastro fumo nero, essendo completamente incrostato.
Alle sei del pomeriggio si prepararono una terribile piadina con salsiccia, frittata, peperoni e
maionese e la accompagnarono con due tazze fumanti di Ciobar. Poi avviarono la visione di Rambo
I. Quando l‟ultimo film della serie arrivò ai titoli di coda – erano ormai le undici – gli amici si
ritirarono nelle proprie stanze senza lavarsi i denti, eccitati per aver trasgredito l‟orario canonico ed
essere andati a letto tardi.
Il giorno dopo si svegliarono presto, pieni di trepidazione per la giornata che li attendeva.
Mangiarono due confezioni intere di merendine e dopo aver fatto a cuscinate rovesciando tutti i
suppellettili dell‟abitazione si misero ad esplodere i petardi, facendo saltare metà delle cassette per
le lettere del vicinato.
La sfilata dei carri iniziò alle due del pomeriggio, accompagnata da una timida pioggia. I due,
mascherati e grottescamente fuori luogo si misero a inseguire i trattori addobbati per l‟occasione e a
spruzzare la schiuma spray addosso ai bambini, tra le proteste dei genitori e degli astanti. In
particolare presero da parte uno sfortunato bambino di otto anni travestito da uomo ragno e dopo
avergli tolto la maschera e le mutande gliele rimisero completamente colme di stelle filanti e
schiuma, facendo annaspare il poveretto che cominciò a piangere e a correre disordinatamente –
essendo temporaneamente accecato - invocando la mamma.
Terminata la sfilata si recarono all‟Oratorio, da dove nel tardo pomeriggio sarebbe partita la
“processione degli incappucciati” che avrebbe portato in giro per il paese San Simino, un fantoccio
capro espiatorio dei mali della comunità, per poi arderlo dopo la messinscena di un processo.
Mentre attendevano l‟inizio dell‟evento si intrufolarono in una sala in cui era stato allestito un
rinfresco da una comitiva di mamme che avevano preparato ciascuna un dolce, si strafogarono di
cialde con la panna e torta pinguino e pisciarono di nascosto nelle bottiglie di Sprite e Coca Cola.
Finalmente la processione partì.
Si defilarono subito dal corteo indirizzandosi ai giardini pubblici (frequentati principalmente da
anziani con il pannolone accompagnati da badanti dell‟est Europa interessate ai loro risparmi) e
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dopo aver raccolto in una busta tutte le merde di cane trovate ci imbrattarono la vicina sede del PD,
contraltare dell‟Oratorio nel loro paese che ancora rispettava gli stereotipi di Giovannino Guareschi.
Nel frattempo gli incappucciati avevano raggiunto il centro storico e facevano sfilare San Simino
davanti alla Chiesa e al Palazzo dei Conti.
Quando la processione imboccò il viale che portava al teatro corsero verso la macchina per prendere
le scatole di uova e le portarono sulla terrazza dell‟orribile bar con cui negli anni ottanta era stato
ampliato, deturpandolo, l‟edificio di stile eclettico. Una pioggia di uova salutò la folla festante al
suo passaggio davanti al locale, portando molta gente a imprecare e a lanciare maledizioni contro i
due adulti mascherati da Zorro e mummia, la cui presenza cominciava ad essere associata a diversi
eventi spiacevoli accaduti nel corso del giorno di festa. Il corteo tuttavia proseguì in direzione del
posto da cui era partito, l‟Oratorio.
Il pupazzo fu portato sul campo di sabbia adiacente la Chiesa, su cui diverse generazioni di ragazzi
avevano visto nascere e poi in genere morire la propria passione per il calcio giocato. La
messinscena del processo ebbe luogo, accompagnata dai tradizionali cori: “Trecè, quattrocè, „na
gallina e „n gallinaccio!”. Quando il capo degli incappucciati lesse la sentenza per il brigante San
Simino e avvicinò la torcia al pupazzo per incendiarlo ci fu una terribile esplosione. Mentre
attendevano la partenza della processione i due amici avevano infatti farcito il fantoccio con due
taniche di benzina e una bomba carta confezionata con la polvere da sparo dei raudi, il tutto con lo
spirito di fare una burla. Il capo degli incappucciati perse un braccio e tra i presenti un bambino
vestito da Pokemon rimase cieco da un occhio mentre una bambina vestita da Sailor Moon rimase
pesantemente sfigurata in volto.
I due uomini si resero conto di avere esagerato con gli scherzi pesanti, ma erano in pace con se
stessi perché non erano più bambini e pertanto la mamma non li avrebbe redarguiti.
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Postfazione: global + local + culo = glocul!
"Sono sei anni che vivo cosi' di alti e bassi e
come primo psicofarmaco ho usato il vino. Ma
quello che mi dispiace è che per il cinema e per i
mass media sono diventato il malato terminale,
l'inaffidabile per eccellenza. E gli altri,
invece, tutti lindi e puliti''.
Francesco Nuti
A me la pittura dei macchiaioli piace. Lo scorso novembre sono andato a vedere una mostra di loro
opere a Roma, al Chiostro del Bramante.
Quello che mi colpisce di queste opere (prescindendo da considerazioni inerenti la tecnica artistica e
la storia dell‟ arte) è il fatto che vanno a costituire un unicum in consistente misura per le
particolarità paesaggistiche (ad esempio la maremma toscana) e antropologiche (ad esempio i
butteri) che raffigurano.
Questo mi colpisce se penso che al giorno d‟ oggi sarebbe difficile cercare la realizzazione artistica
nell‟ espressione, secondo una raffigurazione improntata al realismo, della genuinità di una terra, di
una porzione di mondo.
In parte perché questa genuinità si è persa, e a causa del livellamento antropologico - che in genere
si accompagna al crescere del grado di civilizzazione – e a causa delle forti impronte dell‟
antropizzazione, e in parte a causa della saturazione delle rappresentazioni suddette attraverso la
fotografia, i documentari, tutte cose a cui si può facilmente accedere attraverso la tv, il web.
…
Sarà la mia sensibilità, saranno le mie letture, ma io percepisco una distinzione piuttosto netta tra
quanto nell‟ immaginario si lega alla terra (intesa come particolarità, e come oggettivazione di
particolarità in una cultura – attraverso le vicissitudini storiche – o in un certo assetto del complesso
territorio/paesaggio – attraverso le vicissitudini geologiche e urbanistiche) e quanto invece si lega
alla Terra (intesa come astrazione delle tante particolarità in un quid che ne raccoglie le
caratteristiche comuni).
In quest‟ottica la letteratura moderna ha fatto della Terra, intesa questa volta come riunione delle
esperienze esistenziali comuni a tutti gli uomini nella vicenda di un individuo assoluto, la fonte
privilegiata dei suoi temi e finanche dei suoi stilemi, esponendola ipso facto al rischio di
desertificazione: se è vero infatti che nella vicenda di questo individuo assoluto si possono
individuare una miriade di sfaccettature, è altresì vero che, a causa della saturazione cui si faceva
cenno sopra (sebbene in un altro contesto), queste sono state tutte analizzate e rappresentate,
componendo un quadro che ha ormai la ricchezza e la pedanteria di un atlante di anatomia
patologica.
Se l‟ arte è essenzialmente una forma di comunicazione, e se la comunicazione su scala globale è la
cifra del mondo di inizio terzo millennio, ci si trova quindi davanti un duplice problema: il primo è
quello di definire un linguaggio con il quale condurre questa comunicazione, e il secondo quello di
definire il recipiente da cui attingere gli oggetti della rappresentazione artistica.
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Ebbene a mio avviso una interessante soluzione a questi problemi si può individuare nella riunione
di terra e Terra: restringendoci al campo della letteratura i mezzi espressivi rimangono per forza di
cose quelli forniti dalla letteratura moderna, intelligibili a tutti, mentre per i contenuti si può
attingere a quel calderone di storie, tradizioni, usi e costumi (ma anche al mondo del
nazionalpopolare: spettacolo, televisione, riviste insulse…) che costituisce l‟ anima del “local” (in
questo modo questi contenuti vengono anche preservati dal naufragare nello sterile oceano- marelago-pozzanghera dell‟ immaginario globalizzato).
…
D‟ altra parte queste considerazioni perdono importanza se si considera la questione della
“produzione artistica”, sia a livello dilettantistico che a livello professionale, dal punto di vista della
passione per chi ne è artefice, e dell‟ intrattenimento per chi ne fruisce.
In questo senso conviene comunque mettere in standby la facoltà del giudizio morale quando ci si
avvicina al mondo dell‟ “arte”, anche ricordando che unicamente in questo mondo l‟ uomo può fare
un esercizio sfrenato della sua libertà: il che lo aiuta, tra le altre cose, a farne un uso ragionevole e
morigerato nella vita di tutti i giorni.
P.S.
Qualcuno potrebbe chiedersi come mai Francesco Nuti venga citato a monte di questo sproloquio.
Ebbene, ciò è il “culo”, l‟ elemento ludico (anche se, con il senno di poi – ho inserito questo post
scriptum prima di finire di scrivere quanto sopra – probabilmente il cinema di Francesco Nuti è
anch‟esso “glocul”).
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