61 Dieci… - Libreria Piave
Transcript
61 Dieci… - Libreria Piave
61 Dieci… di Anna Paola De Michele Cosa ne sapeva quel bambino, “palla di burro”, quale sarebbe stato il suo destino? Era nato in una famiglia felice, circondato di amore. Italia centrale, città di provincia, ceto medio. Tanta vita intorno. Armonia. Il mondo ruotava intorno a lui e a me che sono sua sorella. Genitori, parenti…tutti, una volta, avevano sofferto fame e povertà. Avevano “fatto la guerra”. Oggi, l’obiettivo comune era dare benessere e serenità. Una casa pagata a rate in 5 anni, i primi elettrodomestici, il telefono, la “Cinquecento”. La villeggiatura d’estate: un mese al mare, uno in montagna. Le giornate scorrevano serene tra gite in bicicletta, passeggiate in campagna, giochi nella strada. Le merende avevano sapori semplici: quelli del pane, dello zucchero, della frutta. Era dolce il sapore dei nostri anni verDI E CI domandiamo da dove sia uscito poi tutto questo fiele. E’ vero che il contesto aveva condizionato le nostre scelte: scuola, amici, sport… ma con estremo rispetto verso il nostro essere bambini. Per i grandi, noi piccoli eravamo sacri perché rappresentavamo il riscatto delle loro vite. Uno specchio in cui guardarsi vivere un’altra possibilità. Davanti ai nostri volti che “scoppiavano di salute” e gioia, i loro drammi erano ad un tratto dei sacrifici ripagati. Ma erano anche ricordi ancora calDI E CI scorrevano davanti come storie in bianco e nero di un film neorealista. Storie dalle quali abbiamo imparato a dare un senso a quelle cose che ci sembravano scontate. Mangiare, bere, godere, non sono fatti impliciti del vivere ma conquiste quotidiane. Quelle che fanno la “dignità” dell’uomo. Rispettare tutte le forme di vita. Fu l’insegnamento dei nonni che avevano imbracciato la baionetta a 16 anni e avevano gli incubi tutte le notti. Aiutare gli altri, essere onesti, era il messaggio implicito di un papà che aveva abbandonato una carriera da mariuolo per amore di una donna e la sua famiglia offrendo loro sostegno economico. Studiare, avere gli strumenti per decodificare, costruire, essere padroni del futuro: l’eredità di una mamma che aveva fatto la crocerossina mentre sognava di essere un avvocato, di una nonna che avrebbe voluto girare il mondo ma non aveva neanche la patente. Tutti valori in cui eravamo salDI. E CI sentivamo uniti dalle storie singole come fossero un’esperienza collettiva. Il nostro fermento era una linfa gioiosa che nutriva quelle giornate cariche di aspettative, protese nell’infinito. Vitalità. Ne eravamo ingorDI E CI chiediamo oggi da dove provenga questa grigia apatia. Visto da fuori sembrava un mondo perfetto. Oggi ci chiediamo perchè si incrina un mondo perfetto. Oggi sappiamo che quello scenario non aveva il presupposto della stabilità. Era già imperfetto e noi eravamo inconsapevoli, casualmente felici. Gli ormoni ribollivano dentro di noi quando cominciammo a conoscere quel sottile malessere che stringe l’animo in una morsa. Un poeta trovò le parole: “Spesso il male di vivere ho incontrato.. Era l’incartocciarsi della foglia…”. Ma questa “angustia” era per me la voglia di guardare oltre la montagna, l’impazienza atavica di viaggiare, di sapere, trasmessa da via femminile; per lui era rompere le regole. E’qui che cominciarono a divergere le nostre strade di fratelli. Volevamo andare OLTRE come ha sempre fatto l’uomo di tutte le epoche, in età pensante. Il mio è stato un percorso di conoscenza che, girando in tondo, mi ha riportato nel mio mondo; molti protagonisti non ci sono più ma restano le storie e i valori sottesi. Sono sacri, sono la mia forza. Il suo “mal sottile” era invece la voglia di “fare una vita diversa”, provare “emozioni”. Estreme. Eversive. A tutti i costi. Condivise con nuovi amici che gli riconoscono un ruolo, lo chiamano “Il Sindaco”, gli esprimono consensi. Quelli che non ha più avuto da noi. Noi che vediamo solo i suoi bagorDI E CI stupiamo di uno stile di vita al di fuori delle nostre possibilità. Noi che siamo colpevoli di non capirlo. Tutto quello che fa è una rivolta contro la madre che lo ha generato, contro il padre che lo ha nutrito, la famiglia che lo ha sostenuto. E’ l’aborto della speranza, la vendetta dell’uomo comune, l’anelito di una vita diventata improvvisamente possibile in un nuovo contesto sociale. Una vita brillante, munifica, senza orari né limiti, piena di donne, alcool, con soldi attinti qua e là, tasse non pagate, amici balorDI. E CI sembra innocente, quasi una vittima. Perché nega tutto, anche l’evidenza. Siamo noi i mistificatori della realtà, noi che ci preoccupiamo solo dei suoi solDI E CI chiediamo da dove vengano. Noi che abbiamo perso tutti i nostri averi credendo di aiutarlo mentre lui non può più restituire neanche il suo sangue. Il sangue, la carne, l’unica cosa che ci accomuna. Come può un mondo perfetto generare anime così difformi? Oggi è tarDI E CI rammarichiamo di non averlo capito prima. Lui sta lottando contro se stesso, è lui il nemico che vuole distruggere e se mente dissimula al suo io la sua vera natura. Non si accetta, non si è mai accettato. E la sua prigione la sta chiamando libertà. La libertà di somigliare a tanti che si rovinano il corpo e la mente per uscire dal mucchio, che scelgono una vita da bandito come se fosse la cosa più figa del mondo. E noi che abbiamo visto il mondo che cambiava e siamo stati ciechi. E siamo stati sordi all’urlo di Munch che saliva. SorDI! E CI tocca ora sentirlo per l’eternità. Avevo un fratello. Si è venduto l’anima per DIECI denari: uno per la macchina, uno per il bere, uno per mangiare, uno per la droga, uno per il sesso facile, cinque per pagare gli strozzini. Il diavolo, di questi tempi, fa offerte a saldo.