Camilleri Andrea – il naso
Transcript
Camilleri Andrea – il naso
LA STORIA DE IL NASO RACCONTATA DA ANDREA CAMILLERI Scuola Holden LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICAL’ESPRESSO Andrea Camilleri Il Naso Illustrazioni: Maja Celija Progetto grafico e impaginazione: Mucca Design, PSone Š 2010 Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A Viale Cristoforo Colombo 149, 00147 Roma Tutti i diritti sono riservati Scuola Holden Art directors: Marta Trucco, Arianna Giorgia Bonazzi Editor: Arianna Giorgia Bonazzi Producer: Lea Iandiorio Save The Story: una serie ideata e diretta da Alessandro Baricco Stampa e legatura: ILTE S.pA. Moncalieri (TO), 2010 LA STORIA DE Il Naso Devo mettere le mani avanti, come si usa dire. Miei cari lettori, l’impresa di riraccontare con parole mie una novella come “Il naso” di Nikolaj Gogol’ puň apparire un atto d’incosciente immodestia. Č come se chiedessero a uno zoppo di competere con il campione del mondo dei 100 metri piani. Quando frequentavo la prima elementare, nel 1931 (!!!) la maestra per insegnarmi a scrivere mi faceva fare le aste, cioč a dire dei segnetti verticali che dovevano essere assolutamente dritti. Bene, io credo di star facendo ancora le aste mentre Gogol’ ha lasciato in ereditŕ al mondo tre o quattro capolavori. Quando ho scelto questo racconto l’ho fatto anche, lo confesso, per pigrizia. Una cosa č raccontare una novella breve, un’altra, ingenuamente pensavo, č salvare in poche pagine la storia, che so, dei Promessi Sposi o dell’Iliade. Ma avevo sbagliato i calcoli, perché il racconto č talmente concentrato che sembra il gioco dello shanghai, avete presente? Basta muovere male un’asticella per inguaiarsi. E allora, come ho fatto ? Ecco, mi sono mosso dentro il racconto con la stessa tremebonda cautela con la quale gli impiegatucci narrati da Gogol’ si muovevano nelle stanze ministeriali, in punta di piedi, trattenendo addirittura il respiro per non disturbare il capufficio… Va bene, non posso tergiversare oltre. Coraggio. Questa č la storia di un naso che, sparito inspiegabilmente dalla faccia del legittimo proprietario, acquistň una vita propria, assolutamente autonoma. Che stramberia!, direte. Eh, no! Badate che la letteratura č piena di questi fatti. C’e chi ha immaginato la mano mozza di un assassino che continua a uccidere, c’č chi si č sbizzarrito con la testa di un ghigliottinato che seguita a parlare… In genere sono racconti dell’orrore, fanno rabbrividire. La novella di Gogol’ ha invece il pregio di essere assai divertente. Vi pare poco? Tutto ebbe inizio all’alba del 25 marzo 1832, a Pietroburgo, che allora era la capitale della Russia, quando Ivŕn Jakovlčvic, di mestiere barbiere, si svegliň insolitamente presto e la prima cosa che avvertě fu un allettante aroma di pane caldo caldo. Non era una novitŕ, a quell’ora tutte le strade della cittŕ profumavano di panini croccanti. Si sollevň un pochino sul letto e vide che la sua rispettabile e severa consorte, Praskňvija Osěpovna, ne stava in quel momento sfornando un bel po’. Ivŕn prese una rapida decisione. “Stamattina non mi va il caffč,” disse alla moglie. “Gradirei invece dei panini con la cipolla.” A dire la veritŕ, avrebbe voluto prima bersi un buon caffč e poi godersi anche i panini con la cipolla, ma sapeva che sarebbe stato impossibile chiedere le due cose a Praskňvija, perché sua moglie non sopportava simili, smodate pretese. “Ottimo!”, pensň Praskňvija alla quale piaceva molto il caffč. “Questo scemo si mangi pure il suo pane con le cipolle, cosě mi berrň io la sua porzione di caffč.” E posň sul tavolo un panino. Tutto si poteva dire di Ivŕn, meno che fosse un uomo che non tenesse alla decenza. Infatti si alzň e, prima di mettersi a fare colazione, indossň la marsina che, all’epoca, era per i barbieri come una sorta di abito da lavoro. Poi sedette al tavolo, avvicinň la saliera, pulě due teste di cipolla, impugnň il coltello e, assumendo un’espressione beata e ispirata, tagliň il panino a metŕ. E subito, con un certo stupore, notň che in mezzo al panino c’era un corpo estraneo, una cosa biancastra. Ivŕn vi avvicinň la punta del coltello e la smosse. Poi la tastň con l’indice. Era una massa solida. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa potesse essere. Allungň due dita, prese la cosa, la tirň fuori dal panino e la osservň. Era un naso. Non c’era dubbio. Il naso carnoso di un uomo, un naso di buona fattura. Stupito, lo lasciň immediatamente ricadere, non credendo ai suoi occhi. Li chiuse, se li sfregň, li riaprě. Il naso stava sempre lě. Lo toccň. Era un naso, non c’era che dire, proprio un naso! E piů lo guardava, piů si rendeva conto che si trattava di un naso, come dire, conosciuto, un naso col quale in qualche modo aveva avuto a che fare. Lo spavento cominciň a disegnarsi sul suo volto. La moglie se ne accorse, s’avvicinň, vide la cosa biancastra sul tavolo. “Cos’č quello?” “Un naso.” Praskňvija s’indignň. Rossa in faccia, si mise a gridare: “Farabutto! Ubriacone! A chi l’hai tagliato questo naso, eh? Ora vado a denunziarti alla polizia!” Il barbiere fece per protestare, ma la moglie lo zittě. “Silenzio, mascalzone! Molte persone m’hanno detto che quando fai la barba maltratti talmente i nasi dei clienti che non si capisce come fanno a restare appiccicati!” A questo punto Ivŕn si sentě morire. Perché aveva appena riconosciuto il naso. Apparteneva a un uomo importante, il maggiore Kovalčv, al quale faceva la barba il mercoledě e la domenica. “Fermati, Praskňvija!”, supplicň. “Vuoi la mia rovina? Ecco, l’avvolgo in un panno e lo metto in un angolo. Poi me lo porterň via.” “Non se ne parla nemmeno!”, strepitň la moglie. “Non posso permettere a un naso tagliato di restare con me nella mia stanza! Fuori di qui, subito!” Ivŕn non riusciva a muoversi, frastornato dalle domande che gli affollavano il cervello. Com’era potuto accadere ? La sera avanti era rincasato ubriaco o no ? E come si spiegava che il panino era cotto e il naso no? Intanto Praskňvija continuava a urlare imperterrita. “Fannullone! Farabutto! Se non ti muovi, chiamo la polizia!” Ivŕn cominciň a tremare immaginandosi i poliziotti con i loro pesanti stivali, i colletti rossi ricamati d’argento, le sciabole, che lo guardavano con un terrificante cipiglio, accusandolo d’essersi appropriato di un naso… Finalmente trovň la forza d’alzarsi, calzň gli stivali, avvolse il naso in un panno e uscě fuori. Aveva l’intenzione di liberarsi del naso, appena se ne fosse presentata l’occasione, buttandolo dietro un paracarro o in un androne o addirittura lasciandolo cadere a terra per poi svoltare nel primo vicolo. Ma quella mattina, pareva fatto apposta, non incontrava che conoscenti i quali gli chiedevano dove si stesse recando o chi andasse a sbarbare cosě presto. Insomma, non riuscě mai a cogliere il momento propizio. Poi, finalmente, non appena per qualche secondo la strada apparve semideserta, potč liberarsi dell’involto lasciandolo scivolare per terra con aria indifferente. Ma una guardia, comparsa all’improvviso, lo redarguě severamente ordinandogli di raccattare quello che aveva lasciato cadere. Ivŕn obbedě senza fiatare. E intanto sprofondava nella piů cupa disperazione, anche perché la gente per strada aumentava via via che cominciavano ad aprirsi i negozi e le botteghe. All’improvviso gli venne in mente la soluzione del problema che l’angosciava. Era semplicissimo: bastava raggiungere il piů vicino ponte e gettare il naso nel fiume. S’avviň a passo svelto. Mentre lui cammina verso il ponte, io ne approfitto per dirvi che Ivŕn Jakovlčvic, come ogni artigiano russo che si rispetti, era un incorreggibile ubriacone. E non era di bell’aspetto. Sebbene ogni giorno radesse i nasi altrui, i peli del suo naso rosso erano eternamente non rasi. La marsina che indossava era pezzata, nel senso che era sě nera ma tutta piena di macchie giallastre e verdastre, il colletto era liso, e al posto di tre bottoni penzolavano dei fili di cotone. Ogni volta che si sedeva sulla poltrona per farsi radere, il maggiore Kovalčv gli diceva: “Ivŕn, le tue mani puzzano sempre!” “Perché dovrebbero puzzare?”, domandava il barbiere. “Non lo so, so solo che puzzano.” E allora Ivŕn, dopo aver fiutato una presa di tabacco, per ripicca lo insaponava dovunque, anche dove non ce n’era bisogno e, a farlo, ci provava moltissimo gusto. Arrivato sul ponte, il barbiere si guardň piů volte attorno, poi si sporse dalla spalletta come se volesse contare i pesci che stavano in quel momento a passare sotto le arcate e, infine, rassicurato, scagliň in acqua l’involto con il naso. Subito dopo, si sentě molto sollevato. Arrivň persino a sogghignare. Era cosě felice che invece di andare a radere i suoi clienti, si volle concedere uno svago. Vista poco lontana l’insegna di un locale che offriva cibi e tč, gli venne voglia di un buon punch bollente e fece per avviarsi. Ma notň, spaventandosi a morte, che all’estremitŕ del ponte c’era una guardia civica, col tricorno e i basettoni, che gli faceva cenno con un dito d’avvicinarsi. Immediatamente Ivŕn si tolse il berretto e corse verso la guardia. “Buona salute a vossignoria!”, augurň umilmente inchinandosi. “Lascia perdere la signoria e spiegami cosa facevi sul ponte!” “Sono un barbiere e stavo per andare ad aprire la mia bottega. Mi sono fermato perché volevo vedere scorrere l’acqua sotto il ponte.” “Non raccontarmi storie! Cosa stavi facendo?” Ivŕn, pallido per la paura, tentň d’ingraziarsi la guardia. E dichiarň che era disposto a fargli la barba tre volte la settimana completamente gratis. L’altro lo guardň con un’espressione sdegnosa: “Per tua norma, sappi che giŕ tre barbieri, dico tre, mi fanno la barba gratis e lo considerano un grande onore! Avanti, dimmi che facevi.” Ivŕn impallidě ancora di piů. Ma qui mi devo fermare. Perché non posso rivelarvi nulla del dialogo che si svolse tra il barbiere e la guardia. Se lo facessi ora, commetterei un errore, come dire, narrativo. Ne riparlerň a tempo debito. Ivŕn Jakovlčvic comunque non č un personaggio importante, č una figura di secondo piano, ha solo il merito d’avere trovato un naso dentro un panino. Non č meglio, a questo punto, che vi illustri la personalitŕ del proprietario del naso, ossia del maggiore Kovalčv? Per prima cosa, bisogna sapere che il maggiore Kovalčv non era un maggiore, ma un funzionario dell’amministrazione civile, aveva il grado di ispettore di collegio. Siccome perň il suo grado era equivalente, nell’esercito, a quello di maggiore, egli si faceva chiamare cosě per darsi piů lustro e piů prestigio. E quindi non gli faremo il torto di chiamarlo diversamente. Il maggiore vestiva di solito in modo inappuntabile. Il colletto della sua camicia era sempre immacolato e inamidato. I suoi folti basettoni attraversavano buona metŕ delle guance e arrivavano fin sotto il naso. Inoltre usava portare addosso una gran quantitŕ di ciondoli con sopra incisi stemmi nobiliari o parole come mercoledě, giovedě, lunedě e cosě via. Il maggiore era scapolo, ma non sarebbe stato alieno dallo sposarsi, a condizione perň che la sposa avesse avuto una dote non inferiore a duecentomila rubli. Amava andare a pavoneggiarsi ogni giorno sulla Prospettiva Nevskij. E qui non posso trattenermi dallo spendere qualche parola su questa meravigliosa strada. La Prospettiva Nevskij, a Pietroburgo, č tutto. So con certezza che non uno dei suoi pallidi e impiegatizi abitanti cambierebbe la Prospettiva Nevskij con tutti i tesori della terra. Non solo chi ha venticinque anni d’etŕ, magnifici baffi e un soprabito dal taglio perfetto, ma anche chi si vede giŕ spuntare sul mento i peli bianchi ed č calvo come un piatto d’argento, va in estasi davanti alla Prospettiva Nevskij. E le signore ? Oh, per le signore la Prospettiva Nevskij č qualcosa di ancora piů piacevole. E per chi del resto non č piacevole ? Non appena imbocchi la Prospettiva Nevskij non senti altro che odore di passeggio… E poi sulla Prospettiva Nevskij quanti personaggi gogoliani hanno sicuramente transitato! Ecco qua il miserabile impiegatuccio Akŕkij Akakičvic che, riuscito a farsi un cappotto nuovo a prezzo d’enormi sacrifici, ne viene derubato, muore per il dolore e, trasformato in fantasma, vaga obbligando i passanti a spogliarsi dei loro cappotti… E un po’ piů in lŕ, ecco correre da un ministero all’altro il piccolo possidente Cicikov. Ha saputo che il governo dŕ grossi contributi per la ripopolazione di zone rurali e cerca di comprare le famose “anime morte”, vale a dire tutti quei contadini che, morti dopo il gran censimento non erano ancora stati registrati come tali all’anagrafe e che risultando vivi potevano servire alla grande truffa che Cicikov aveva in mente. E un po’ oltre, proprio verso il ponte dove il barbiere Ivŕn č stato fermato dalla guardia, potete veder passare il fatuo Chlestakňv. E ancora un po’ rincitrullito dagli onori e dagli omaggi inattesi che ha ricevuto in una cittŕ di provincia vicina. Scambiato per un revisore, cioč una specie di guardia di finanza, č stato per alcuni giorni al centro dell’attenzione dei ricchi della provincia che tentavano di corromperlo e tirarlo dalla loro parte. Basta, se mi metto a parlare della Prospettiva Nevskij non la smetto piů, torniamo in argomento. Quella mattina il maggiore si svegliň prestissimo e fece subito “brrr” con le labbra. Faceva sempre cosě quando si destava, ma non sapeva perché. Si stirň, sbadigliň, chiamň il servitore e gli ordinň di porgergli un piccolo specchio che stava sopra un tavolo. Voleva controllare un foruncoletto che il giorno prima gli era spuntato sul naso. Fu cosě che s’accorse, con enorme stupore, d’avere un vuoto, o meglio, uno spazio perfettamente liscio al posto del naso. Terrorizzato, il maggiore saltň dal letto, andň a bagnarsi gli occhi e si rispecchiň. Niente naso. Cominciň allora a darsi pizzicotti per vedere se stava ancora dormendo. No, non dormiva. Niente naso. Si diede un violento scrollone. Tutto inutile, niente naso! Allora si vestě di fretta, deciso ad andare direttamente dal capo della polizia. Decisione assolutamente logica, infatti č lě che si denunziano i furti e le sparizioni. Per disdetta, in strada non si vedeva nessun vetturino ed egli fu costretto ad andare a piedi, avvolgendosi nel mantello e nascondendo la faccia in un fazzoletto come se perdesse sangue dal naso. E intanto pensava che il suo naso non poteva essere sparito cosě inspiegabilmente e che forse si trattava di una sua impressione. Cosě, vista una pasticceria, vi entrň per guardarsi in uno specchio. Dentro, c’erano soltanto i camerieri che, ancora assonnati, spazzavano per terra. Si avvicinň a un grande specchio e si guardň. No, non era stata una sua impressione, non aveva piů il naso. Il maggiore sputň per terra disgustato nel vedersi in faccia quello spazio vuoto. “Ci fosse almeno un qualcosina al posto suo!”, esclamň adirato. “Macché! Niente!” Uscě dalla pasticceria e, contrariamente alle sue abitudini -era infatti sempre affabile con tutti-non guardň nessuno e non sorrise a nessuno. A un tratto, s’inchiodň accanto al portone di una casa; sotto i suoi occhi esterrefatti si stava verificando un fenomeno inspiegabile. Davanti all’ingresso si era fermata una carrozza, dalla quale, appena che il cocchiere aprě gli sportelli, schizzň fuori un uomo in uniforme che s’infilň di fretta nel portone scomparendo alla vista. Ma Kovalčv aveva avuto il tempo di riconoscerlo e, per lo spavento e lo stupore, era diventato una statua di pietra. Quell’uomo era il suo naso! Davanti a questo spettacolo insolito, la vista di Kovalčv si annebbiň, sentiva che poteva appena reggersi in piedi, ma decise lo stesso di aspettare a qualunque costo il ritorno del naso nella carrozza. Quello che aveva appena visto l’aveva sconvolto, tremava tutto e sudava. Due minuti dopo, il naso uscě. Indossava un’uniforme ricamata in oro, con un grande colletto rigido; aveva stivaloni scamosciati e la spada al fianco. Dal cappello con le piume variopinte si poteva dedurre che si trattava di un consigliere di stato. Guardň da entrambe le parti e gridň al cocchiere: “Andiamo!”. Quindi montň in carrozza e partě. Il povero Kovalčv per poco non diede di matto. Com’era possibile che quel naso che sino al giorno prima era sulla sua faccia, che teoricamente non avrebbe dovuto essere in grado né di camminare né d’andare in carrozza, adesso indossasse persino l’uniforme di consigliere di stato? Si mise a correre dietro alla carrozza che per fortuna non andň lontano e si fermň davanti alla cattedrale di Kazŕn. Scusatemi, apro una piccola parentesi. Quando Gogol’, nel 1835, pensň di pubblicare questo racconto, dovette sottoporlo alla censura zarista, com’era d’obbligo. I censori ritennero che la carrozza non dovesse fermarsi davanti alla cattedrale, luogo troppo austero perché vi si svolgesse l’incontro tra Kovalčv e il suo naso, sia pure travestito da consigliere di stato. Dicevano che sarebbe stata un’offesa alla religione. Allora Gogol’ propose che l’incontro avvenisse in una chiesa cattolica, cosě non sarebbe stata recata nessuna offesa alla religione ortodossa, che era quella dei russi. Sempre luogo sacro č, ribatterono i censori, meglio che l’incontro avvenga in un luogo pubblico. Il povero Gogol’ dovette sottostare e trasferě l’incontro al Gostnyj Dvor, una galleria che si apriva sulla Prospettiva Nevskij e che era piena di negozi. A questo punto, i censori dissero che era piů rispettoso verso le autoritŕ che Kovalčv non si proponesse di andare dal capo della polizia, uomo troppo importante, ma da un semplice funzionario. E Gogol’ obbedě di nuovo. Finalmente potč inviare il racconto a una rivista letteraria. Che glielo rispedě indietro sostenendo che si trattava di una storia “volgare e triviale”. Ora, se trovate assurda la vicenda del naso raccontata da Gogol’, non ritenete ancora piů assurde, ma assai meno divertenti, le osservazioni della censura? Andiamo avanti. Kovalčv si affrettň verso la soglia della cattedrale, facendosi largo tra una folla di mendicanti. Dentro, la gente in preghiera non era molta e quasi tutti stavano in piedi vicino all’ingresso. Il maggiore si sentiva in uno stato d’animo cosě sconvolto che non aveva nemmeno la forza di pregare e guardava in ogni dove per scorgere l’uomo che cercava. Finalmente lo vide che se ne stava in disparte. Il naso nascondeva completamente la propria faccia nel grande colletto rigido e pregava con un’espressione assai devota. “Come faccio ad avvicinarmi?”, pensň angosciato Kovalčv. “Da tutto, dall’uniforme, dal cappello, si vede che č un consigliere di stato. Non si offenderŕ se lo disturbo?” Gli si accostň e cominciň a tossicchiare, ma il naso non abbandonava nemmeno per un momento il suo atteggiamento pio e anzi aveva cominciato a fare profonde genuflessioni. Kovalčv radunň tutte le sue forze, si fece coraggio e gli rivolse la parola. “Egregio signore, illustr…” “Che volete?” l’interruppe brusco il naso, voltandosi verso di lui. “Non vedete che sto pregando?” Il maggiore perse il filo. “Ecco, ehm, volevo dirvi che, ecco, mi sembra strano, illustrissimo… Insomma, voi dovreste sapere qual č il vostro posto! E invece, tutto a un tratto, scomparite e vi ritrovo dove? In una chiesa! Dovete convenire che…” Il naso lo guardň interdetto. “Non riesco a capire di cosa state parlando. Spiegatevi meglio.” Spiegarsi meglio? Una parola! Poi, fattosi ancora coraggio, Kovalčv gli disse che era un maggiore e che quindi era una cosa sconveniente per uno come lui andarsene in giro senza naso. Ribadě che farsi vedere senza naso poteva essere permesso a un appartenente alle classi inferiori, a una fruttivendola, a un contadino, ma a uno che non solo era un maggiore, ma che era anche in procinto di diventare governatore… L’informň inoltre che lui era ricevuto in molte case d’alti personaggi, che era amico di signore come la Cechtŕreva, consiglieressa di stato… E concluse: “Insomma, egregio signore, giudicate voi stesso. Se considerate la faccenda secondo le regole del dovere e dell’onore, capirete che č cortesia di spiegarvi in maniera piů chiara.” Prima di riparlare, il maggiore fece appello a tutta la sua dignitŕ. “Egregio signore” disse. “Non so come intendere le vostre parole… Qua la faccenda č perfettamente evidente. Voi… Voi siete il mio naso!” Il naso guardň il maggiore e aggrottň le sopracciglia. “Vi state sbagliando di grosso, egregio signore! Cosa vi passa per la testa? Io sono per conto mio. Inoltre fra noi due non puň esserci nessuna relazione. A giudicare dai bottoni della vostra uniforme, voi prestate servizio presso un’altra amministrazione.” E ciň detto, si voltň e riprese devotamente a pregare. Non sapendo che fare e che pensare, Kovalčv cadde in preda alla piů profonda confusione. In quel momento si udě il gradevole fruscio di un abito femminile. Kovalčv si voltň a guardare. Vicino a lui ora c’era una signora anziana, tutta adorna di trine, e accanto a lei una giovane signora esile, con un abito bianco drappeggiato molto graziosamente sulla vita snella, e un cappellino di paglia leggero come un pasticcino. Dietro di loro si fermň e aprě la propria tabacchiera un ussaro, un ufficiale di cavalleria, alto, con enormi basette e un’intera dozzina di grandi colletti. Il maggiore s’accostň, si accomodň il collo di batista della camicia si aggiustň i ciondoli appesi a una catenella d’oro e, sorridendo a dritta e a manca, posň infine l’occhio sulla signora esile che si piegava su un fianco come un fiorellino di primavera, e portava alla fronte la bianca manina dalle diafane dita. Sulla faccia di Kovalčv il sorriso si fece ancora piů largo quando sotto il cappellino scorse il mento rotondetto della giovane donna, di spiccato candore, e una parte della gota soffusa della tinta della prima rosa primaverile. Ma, tutto a un tratto, egli fece un salto indietro come se si fosse scottato. Si era ricordato che al posto del naso non aveva assolutamente nulla e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Si voltň per dire seccamente al signore in uniforme che si spacciava per un consigliere di stato che agiva da imbroglione e da mascalzone e altro non era che il suo naso… Ma il naso non si vedeva piů. Era riuscito a svignarsela. Pur precipitando nella disperazione piů nera, Kovalčv uscě e si fermň per un istante sotto i portici, guardando accuratamente da tutte le parti se gli riusciva di vedere il naso. Ricordava molto bene che aveva il cappello con il piumaggio e l’uniforme con il ricamo d’oro, ma il cappotto non l’aveva osservato. E nemmeno il colore della carrozza, e i cavalli, e se c’era qualche servitore in livrea che la seguiva. Le carrozze poi andavano cosě veloci che non solo era difficile distinguerle, ma se anche avesse riconosciuta quella del naso, non avrebbe avuto alcuna possibilitŕ di fermarla. La giornata era splendida e assolata. Sulla Prospettiva Nevskij c’era un’infinitŕ di gente; una vera cascata floreale di signore si sparpagliava su tutto il marciapiede. Ecco lŕ un consigliere di corte di sua conoscenza, che lui chiamava colonnello, soprattutto davanti agli estranei. Ecco anche Jarizkěn, capufficio al senato, grande amico, che perdeva sempre al gioco. Ecco un altro maggiore che aveva ottenuto un assessorato e che gli faceva cenno di andare da lui… No, non poteva farsi vedere da loro senza naso. Sentendosi profondamente infelice, Kovalčv fermň una carrozza libera e ordinň d’essere condotto dal capo della polizia. Salě e per tutto il percorso non fece che incitare il cocchiere: “Forza! Forza!” E poi, appena entrato nel vestibolo, gridň al portiere: “Č in casa il capo della polizia?” “Nossignore, č uscito proprio adesso.” “Ci mancava anche questa!”, esclamň il maggiore. “Se foste arrivato un minuto prima, forse l’avreste trovato in casa,” disse filosoficamente il portiere. Senza mai togliersi il fazzoletto dalla faccia, Kovalčv rimontň in vettura e si mise a urlare con voce disperata: “Vai! Vai!” “Dove ?” domandň il vetturino. “Va’ dritto!” “Come dritto? Qui c’č una svolta: a destra o a sinistra?” “Fermati!”, ordinň allora il maggiore. E si mise a riflettere. Pensň che andare a cercare giustizia presso i capi dell’amministrazione alla quale il suo naso si dichiarava appartenente, sarebbe stato un passo privo di senso. Giŕ dalle stesse risposte del naso, si era potuto vedere che per lui non c’era nulla di sacro al mondo. E perciň era piů che probabile che avrebbe avuto la faccia tosta di mentire anche in questo caso. Data la situazione, sarebbe stato meglio rivolgersi all’Ufficio del buon costume, perché lě usavano agire piů in fretta che negli altri uffici. Stava per ordinare al vetturino di andarci, quando gli venne in mente che quell’imbroglione e mascalzone poteva adesso svignarsela comodamente dalla cittŕ approfittando del vantaggio guadagnato. Allora tutte le ricerche sarebbero state vane o avrebbero potuto protrarsi anche per un mese intero. Finalmente, Kovalčv ebbe un’idea che gli sembrň luminosa. Decise di rivolgersi alla redazione di un giornale per pubblicare un annuncio, in modo che chiunque avesse incontrato il suo naso avrebbe potuto segnalarglielo e dirgli dove si trovava. Presa questa decisione, ordinň al vetturino di andare alla redazione del giornale e per tutta la strada non smise di tempestarlo di pugni sulla schiena gridando: “Piů presto, farabutto! Piů presto, mascalzone!” Finalmente la vettura si fermň e Kovalčv, ansante, entrň nella piccola e scura anticamera del giornale. Qui c’era un anziano impiegato occhialuto, seduto dietro a una scrivania, che, tenendo la penna tra i denti, contava delle monete di rame. “Chi č che riceve gli annunci?”, si mise a gridare Kovalčv. “I miei rispetti,” disse l’impiegato, sollevando per un momento gli occhi e abbassandoli di nuovo sulle pile di monete. “Vorrei pubblicare…” cominciň il maggiore. L’impiegato, stavolta senza guardarlo, lo pregň di pazientare un momento e cominciň a scrivere con la destra delle cifre sopra un registro mentre con due dita della sinistra spostava alcune palline del pallottoliere. Ai lati della scrivania, c’era una gran quantitŕ di vecchie donne, di commessi, di mercanti e di portieri con dei biglietti in mano. Nei quali stavano scritte le piů svariate offerte da pubblicare, che andavano da una carrozza poco usata importata da Parigi nel 1814 a sementi di rape e ravanelli, da un villino di campagna a una fanciulla sedicenne tuttofare, da un cavallo diciassettenne a un calesse senza una molla… Nella piccola stanza in cui stava ammassata tutta questa gente c’era un’ aria pochissimo gradevole, ma Kovalčv non poteva sentire l’odore pesante perché il suo naso si trovava Dio sa dove. Dopo un po’ il maggiore si spazientě. Disse seccato all’impiegato che il suo era un caso particolare e urgente e che non poteva perdere altro tempo. “Subito! Subito!”, rispose l’impiegato. E si mise a buttare delle ricevute in faccia alle vecchie e ai portieri gridando: “Voi, due rubli e quaranta copechi! Voi, un rublo e sessanta!” Quando tutti se ne furono andati, chiese al maggiore cosa desiderasse. “E successa una bricconata o un imbroglio, ancora non ho capito bene,” disse Kovalčv. ” Vorrei pubblicare un annuncio dov’č detto che chi mi farŕ avere notizie di quel farabutto riceverŕ una giusta ricompensa.” “Va bene,” fece l’impiegato. “Volete dirmi il vostro nome ?” “Perché lo volete sapere?”, reagě il maggiore. “Mi dispiace, ma non posso dirvelo. Ho molti conoscenti importanti, io! La Cechtŕreva, consiglieressa di stato, la Podtňcina, ufficialessa di stato maggiore… Se per caso venissero a saperlo, Dio mi scampi! No, no. Scrivete semplicemente: un tale che ha il grado di maggiore.” “Quello che č scappato era un vostro servitore?”, domandň l’impiegato. “Come servitore?”, fece perplesso Kovalčv. Poteva considerare il suo naso alla stregua di un servitore ? Qualunque fuga di un qualsiasi servitore sarebbe stata meno grave di quella di un naso. Decise di dire come stavano le cose. “No, a me č scappato il naso.” “Che strano cognome!” mormorň tra di sé l’impiegato. E poi domandň ancora: “Questo Nasov vi ha derubato di una grossa somma?” A questo punto Kovalčv, esasperato, si mise a strillare. “Non avete capito niente! Parlo del mio naso, naso, non Nasov, mi state a sentire sě o no ? Del mio naso! Che č sparito e se ne andato chissŕ dove!” “Il vostro naso ? Ma in che modo č sparito ? C’č qualcosa che non capisco,” fece poco convinto l’impiegato. Il maggiore strinse i denti e si impose la calma: “Non so in che modo sia sparito, l’importante č che lui adesso se ne va in giro per la cittŕ vestito da consigliere di stato. E perciň vi prego di pubblicare che chi lo cattura me lo riporti immediatamente. Giudicate voi: come posso stare senza naso? Non č come il mignolo del piede che se ne sta dentro la scarpa e nessuno sa se c’č o non c’č. Vedete, ogni giovedě io vado dalla consiglieressa di stato Cechtŕreva; l’ufficialessa di stato maggiore Podtňcina, che ha una figlia molto graziosa, pure lei č un’ottima conoscente… Adesso non potrň piů presentarmi da loro.” L’impiegato, per niente commosso dalle parole di Kovalčv, rifletté un po’, scosse la testa e disse che no, proprio non poteva pubblicare un annuncio simile sul giornale. Il maggiore quella risposta non se l’aspettava. “E perché?”, domandň stranito. “Il giornale potrebbe perdere la reputazione,” spiegň l’impiegato. “Se chiunque si mettesse a scrivere che gli č scappato il naso, voi capite… Giŕ ci sono state lamentele perché si stampano troppe assurditŕ e false voci.” Il maggiore s’irritň. Era un uomo pieno di sé e, come tale, estremamente suscettibile. Come si permetteva quell’impiegatuccio di giudicare assurda la sua storia? “Secondo voi cosa ci sarebbe di tanto assurdo in questo fatto?”, domandň polemico. “Sembra a voi che non ci sia!”, ribatté l’impiegato. E gli raccontň che la settimana precedente era venuto un tale con un annuncio nel quale si diceva che era scappato un barboncino nero. E poi invece era venuto fuori che il barboncino nero era il cassiere di un importante istituto di credito. “Io non metto un annuncio su un barboncino nero, ma sul mio proprio naso! Dunque č come se Lo facessi su me stesso!”, gli fece notare Kovalčv. L’impiegato scosse la testa. “Ma il naso mi č sparito davvero!”, rincarň il maggiore. “Guardate voi stesso,” aggiunse levandosi Il fazzoletto dalla faccia. “Effettivamente č strano, molto strano,” fece l’impiegato. “Il posto č perfettamente liscio, sembra una frittella appena sfornata.” “Vedete che non posso fare a meno di pubblicare l’annuncio?” “Pubblicarlo forse si potrebbe,” disse l’impiegato. “Ma sono sicuro che non ne trarreste alcun vantaggio. Perché non ne parlate a qualche giornale che si occupa dei fenomeni della natura o dell’istruzione della gioventů?” Il maggiore ammutolě, scoraggiato. L’impiegato volle consolarlo. “Mi dispiace davvero molto che vi sia capitata una storia simile, credetemi. Gradireste fiutare una presa di tabacco ? Elimina il mal di testa e fa bene alle emorroidi.” Cosě dicendo, gli porse la tabacchiera dopo averne sollevato con destrezza il coperchio. Il maggiore uscě dai gangheri. “Non capisco come possiate scherzare! Non vedete che mi manca proprio ciň che serve a fiutare il vostro tabacco ? Andate al diavolo!” E uscě, profondamente seccato, dirigendosi verso la casa del commissario di quartiere. Il quale, in quel momento, fattosi togliere dalla cuoca gli stivali, si preparava, dopo una giornata di duro e ingrato lavoro, ad assaporare i piaceri della pace domestica. La visita di Kovalčv arrivň dunque inopportuna. Il commissario ascoltň freddamente il racconto del maggiore e poi gli fece notare che il dopopranzo non era il momento giusto per aprire un’indagine, avendo la natura stabilito che dopo essersi saziati serve un buon sonnellino. Aggiunse poi che, a suo parere, a un uomo veramente perbene non scompare il naso e che comunque c’erano tanti maggiori che giravano senza la biancheria in ordine e frequentavano luoghi indegni. Kovalčv era permalosissimo. Non solo non sopportava quello che si diceva di lui come uomo, ma non tollerava che qualcuno si riferisse al titolo o al grado. Riteneva persino che in teatro si potesse lasciar correre le battute sui sottufficiali, ma che non si dovesse assolutamente attaccare gli ufficiali. Perciň scosse desolato la testa e disse con dignitŕ: “Dopo i vostri offensivi rilievi, non posso aggiungere altro!” E se ne andň a casa. Il suo appartamento gli parve triste e squallido. Sul sudicio divano dell’anticamera, il servitore Ivŕn se ne stava sdraiato supino e sputava contro il soffitto centrando sempre, con abilitŕ, lo stesso punto. Kovalčv andň su tutte le furie e lo colpě alla fronte. Il servo si precipitň a togliergli il mantello. Entrato nella sua camera, il maggiore, stanco e triste, si abbandonň sopra una poltrona e cominciň a sospirare. “Fossi senza un braccio o una gamba,” pensava, “sarebbe meglio; fossi senza orecchie sarebbe piů sopportabile. Ma senza naso un uomo non č un uomo! Almeno me l’avessero mozzato in guerra o in duello, ma č sparito senza motivo, senza un perché… No, č inverosimile che un naso sparisca! Di certo sto sognando oppure ho un’allucinazione. Forse invece dell’acqua mi sono bevuto della vodka e ora sono completamente ubriaco. Sě, dev’essere cosě! Ma č meglio controllare.” E per accertarsene, si diede un pizzicotto dolorosissimo. Il dolore lo persuase che agiva in piena luciditŕ. A questo punto, il maggiore si alzň dalla poltrona e andň a guardarsi allo specchio con la speranza di vedere il naso tornato al suo posto. Non c’era. Ma com’era possibile? Che fosse sparito un bottone, un cucchiaino d’argento, si poteva capire. Ma un naso! E proprio dentro il suo appartamento! Crollň sulla poltrona, affranto. A un tratto fu colto da un sospetto. Vuoi vedere che la colpa di tutto era dell’ufficialessa superiore Podtňcina, la quale desiderava che sposasse sua figlia? Ma lui voleva evitare un impegno definitivo. E quando l’ufficialessa gli aveva apertamente dichiarato che intendeva dargli la figlia in moglie, lui aveva fatto marcia indietro dicendo che era ancora troppo giovane, che voleva prima fare carriera… Allora l’ufficialessa, per vendetta, aveva deciso di rovinarlo e aveva di sicuro assoldato qualche fattucchiera che gli aveva fatto scomparire il naso. Sě, doveva essere andata cosě. E ora che fare ? Citare in giudizio l’ufficialessa o andare da lei e smascherarla? In quel mentre, entrň Ivŕn con una candela in mano. Kovalčv afferrň il fazzoletto e si coprě la faccia. Il servo era appena uscito che si sentě una voce provenire dall’anticamera. “Abita qui il maggiore Kovalčv?” “Entrate. Sono qui,” disse il maggiore alzandosi. Entrň una guardia civica col tricorno, di bell’aspetto. Volete sapere chi era? Be’, non voglio tenervi sulle spine, era la stessa che aveva fermato sul ponte il barbiere Ivŕn Jakovlévic mentre stava andando a bersi un punch caldo, vi ricordate ? “Scusate, voi avete perso un naso ?”, domandň urbanamente la guardia. “Proprio cosě,” confermň tristemente il maggiore. “Ho il piacere di annunziarvi che č stato ritrovato,” disse la guardia. “Che cosa dite?!”, gridň incredulo il maggiore. “Hanno fermato il vostro naso ch’era giŕ in viaggio. Era salito su una diligenza che andava a Riga. Esibiva un passaporto col nome di un impiegato. E lo strano č che anche io, quando l’ho avuto davanti, l’ho preso per un signore! Ma per fortuna avevo con me gli occhiali e ho visto subito che si trattava di un naso. Sapete ?, sono miope e se vi mettete davanti a me vedo solamente che avete una faccia, ma non distinguo nulla, né il naso, né la barba… Anche mia suocera, che sarebbe la madre di mia moglie, non ci vede affatto.” Kovalčv era fuori di sé. “Dov’č? Dov’č? Corro subito!” “Non preoccupatevi. Sapendo che vi era necessario, l’ho portato con me. E lo strano č che il principale responsabile della faccenda č un mascalzone di barbiere che adesso si trova in camera di sicurezza. Da tempo lo sospettavo d’ubriachezza e di furto. Be’, comunque, eccovi il vostro naso esattamente com’era,” concluse la guardia, estraendo il naso da una tasca e posandolo sul tavolo. “E lui! E proprio lui!”, gridň felice il maggiore. E poi, in uno slancio di generositŕ: “Permettetemi d’offrirvi una tazza di tč!” “Grazie, ma non posso. Sapete, c’č un enorme rincaro dei generi alimentari. A casa mia vive anche mia suocera, che sarebbe la madre di mia moglie, e ci sono anche i bambini… Il piů grande č molto intelligente, ma non ci sono i mezzi per farlo studiare…” Capita l’antifona, Kovalčv prese una banconota rossa di dieci rubli e la ficcň in mano al poliziotto che se ne uscě, strisciando un inchino. Solo dopo alcuni minuti Kovalčv riacquistň la facoltŕ di vedere e di sentire. L’improvvisa gioia aveva avuto l’effetto d’annullargli i sensi. Prese con grandissima cautela il naso con entrambe le mani e lo guardň con attenzione. “Ecco il foruncolo che m’era spuntato sulla parte sinistra!”, esclamň trionfante. La gioia di Kovalčv venne infranta da un pensiero improvviso: e se il naso non si riattaccava? Impallidě. Con un senso d’indescrivibile terrore, avvicinň a sé lo specchio per non rischiare d’attaccarselo storto. Le mani gli tremavano. Con somma cautela applicň il naso al suo posto. Premette per un po’, poi lo lasciň. Dovette riprenderlo al volo. Orrore! Non si attaccava! Allora l’avvicinň alla bocca, lo riscaldň col fiato e lo ricollocň nello spazio vuoto. Ma il naso non si reggeva. “Mettiti a posto, scemo!”, gli intimň. Il naso pareva fatto di legno e cadeva sul tavolo con un rumore strano, come se fosse stato un tappo. La faccia del maggiore era contratta in una smorfia convulsa. “Com’č possibile che non faccia piů presa?”, si chiedeva disperato. Non c’era niente da fare, appena lo lasciava, il naso ricadeva sul tavolo. Allora chiamň Ivŕn e lo mandň a chiedere soccorso a un dottore che abitava nello stesso palazzo. Il dottore arrivň quasi subito. Dopo avergli domandato da quanto tempo fosse successo il guaio, afferrň il maggiore per il mento e con il pollice gli diede un buffetto proprio nel posto dove prima c’era il naso, sicché il maggiore dovette buttare indietro la testa con tanta violenza da andare a sbattere con la nuca contro il muro. Il dottore disse che non era nulla e, dopo averlo fatto staccare un poco dalla parete, gli fece voltare la testa a destra, gli tastň il posto, guardň dove prima c’era il naso e fece: “Hmm!” Poi gli ordinň di piegare la testa a sinistra e fece: “Hmm!” Quindi, a concludere, gli diede di nuovo un buffetto col pollice in modo che il maggiore impennň la testa come un cavallo al quale si esaminano i denti. Fatta questa prova, scosse il capo. “E meglio che restiate cosě. Attaccarlo si puň, si capisce, ma vi assicuro che per voi sarebbe peggio.” “E come faccio senza naso?”, fece Kovalčv. “D’altra parte, peggio di cosě come potrebbe essere? Dove mi posso presentare senza naso ? Sapete, io ho buone conoscenze, la consiglieressa di stato Cechtŕreva, l’ufficialessa superiore Podtňcina, benché dopo tutto quello che m’ha fatto credo che non vorrň piů avere a che fare con lei se non attraverso la polizia. Per piacere, attaccatemelo in qualche modo, magari non bene, purché regga! Potrei persino sostenerlo con la mano nei momenti difficili. Del resto io non ballo, cosa che potrebbe essere pericolosa per via di qualche movimento. E per quanto riguarda il vostro disturbo siate certo che io…” “Io non curo mai per interesse,” l’interruppe il dottore con voce non forte ma neppure sommessa. “E contrario alle mie regole. E se mi faccio pagare tutte le visite, č unicamente per non offendere i pazienti con un rifiuto. Il naso potrei attaccarvelo, ma vi assicuro che sarebbe peggio. Lavatevi spesso con acqua fredda e vivrete sano pur senza naso. Il naso vi consiglio di metterlo in un barattolo sotto spirito, meglio se ci versate due cucchiai di vodka forte e di aceto riscaldato. Ne potrete ricavare una bella sommetta, sapete? Se volete, ve lo compro io.” “No! No! Io non lo vendo!”, gridň disperato Kovalčv. “Preferisco piuttosto che vada perduto!” “Scusate,” disse il dottore gelido. “Io volevo solamente esservi utile.” E uscě austeramente dalla stanza. L’indomani mattina, prima di sporgere la querela, Kovalčv si fece scrupolo di scrivere all’ufficialessa superiore Podtňcina per chiederle di far sě, senza discutere, che il suo naso la smettesse d’essere recalcitrante e tornasse al suo posto. Ecco la lettera che il maggiore inviň all’ufficialessa superiore. Egregia signora. Aleksŕndra Grigňrievna! Non riesco a capire il vostro modo d’agire. Comportandovi cosě, non ci guadagnerete niente e non riuscirete a costringermi a sposare vostra figlia. Credetemi se vi dico che io so perfettamente la faccenda del mio naso, cosě come so che voi ne siete la principale e unica responsabile. Ilsuo improvviso, inspiegabile allontanamento dal proprio posto, la fuga e il mascheramento da alto funzionario, altro non sono che la conseguenza delle magie ordite da voi. Da parte mia ritengo doveroso avvertirvi che se il naso in oggetto non s’attaccherŕ oggi stesso al suo posto, sarň costretto a rivolgermi alla Legge. Con assoluta stima, il vostro fedele servitore Platon Kovalčv La Podtňcina rispose immediatamente. Egregio signor Platon Kuzmic, la vostra lettera mi ha incredibilmente stupita. Vi confesso con tutta sinceritŕ che non me la sarei mai aspettata. I rimproveri che mi rivolgete sono ingiusti. Io non ho mai ricevuto in casa mia l’alto funzionario che menzionate, né mascherato né col suo vero aspetto. Voi parlate anche di un naso. Se con questo volete dire che io vi avrei lasciato con un palmo di naso, vale a dire opponendovi un rifiuto, mi stupisco di quanto asserite. Perché io non sono mai stata d’avviso contrario e se voi adesso vorrestefidanzarvi con mia figlia, sarei pronta immediatamente a consentire. Con questa speranza, resto sempre pronta ai vostri servigi Aleksŕndra Podtňcina Leggendo la lettera della Podtňcina, Kovalčv dovette convincersi che l’ufficialessa superiore era completamente estranea alla faccenda. Allora, cominciň a domandarsi in qual modo e in quali circostanze la cosa fosse potuta accadere. Ci pensň, ci ripensň, si scervellň. E naturalmente, non riuscě ad arrivare a nessuna conclusione. Intanto, come accade di solito, le voci su quello strano avvenimento si erano sparse rapidamente per tutta la capitale. Proprio in quel periodo, la gente era stata interessata a cose straordinarie, a fenomeni inspiegabili, come per esempio le sedie che si erano messe improvvisamente a ballare da sole in via Konjusčnnaja. Non ce quindi da farsi nessuna meraviglia se assai presto si cominciň a diffondere la voce che il naso del maggiore Kovalčv avesse preso l’abitudine di farsi ogni giorno, alle tre in punto, una passeggiatina naturalmente sulla Prospettiva Nevskij. Di conseguenza, moltissimi curiosi cominciarono ad affluire sul posto e a stazionarvi. Se qualcuno sosteneva d’aver visto il naso nel negozio di Junker, subito la folla vi si precipitava di corsa e faceva una ressa tale che la polizia doveva intervenire in forze. Un ingegnoso speculatore che vendeva pasticcini raffermi all’ingresso del teatro, si mise a fabbricare solidi sgabelli di legno che affittava ai curiosi per ottanta copechi l’uno. Un austero colonnello a riposo, rinunziato al sonnellino pomeridiano, e riuscito con gran fatica a farsi largo tra la folla, invece del naso vide nella vetrina un quadretto che stava lě da oltre dieci anni. Rappresentava una fanciulla che s’infilava una calza e un tale che la spiava da dietro un albero. Il colonnello se ne andň indispettito gridando che doveva essere assolutamente proibito turbare l’ordine pubblico con storie tanto stupide. Un altro giorno si sparse la voce che il naso non andava a passeggio sulla Prospettiva Nevskij, ma nel Giardino della Tauride. Che anzi si trovava lě da un pezzo. Alcuni studenti dell’Accademia chirurgica, coi professori in testa, vi si precipitarono. Una stimata e nobile signora scrisse al custode del Giardino della Tauride per invitarlo a far vedere anche ai bambini questo rarissimo fenomeno, accompagnandolo con una spiegazione istruttiva ed edificante per la gioventů. Di tutta la faccenda furono contenti i frequentatori dei salotti mondani che molto fecero ridere le signore inventandosi salaci battute di spirito, facilmente immaginabili, sull’argomento. Una piccola parte, assai piccola, di persone, era invece scontenta per motivi diversi. Un signore molto colto, ad esempio, si chiedeva sdegnato come mai in un secolo cosě illuminato dalla luce della ragione si potesse ancora credere a tali assurde fandonie e si stupiva che il governo non si fosse prontamente occupato della cosa. Di certo questo signore apparteneva alla categoria di coloro che vorrebbero immischiare il governo in tutto, persino nei loro giornalieri litigi con la moglie. Ma č tempo di riprendere il nostro racconto. Ormai vi sarete certamente convinti che al mondo possono succedere le cose piů incredibili e strampalate. E che talvolta viene a mancare anche la minima ombra di verosimiglianza. Mi si affollano cosě tanti esempi che mi viene diffěcile sceglierne uno. Insomma, a questo punto, avrete capito che sto preparandovi con molta cautela a farvi sapere che, improvvisamente, senza nessuna spiegazione razionale, quello stesso naso che se n’era andato in giro con la divisa di consigliere di stato e aveva provocato tanto scompiglio in cittŕ, ebbene, come se niente fosse, con aria indifferente, una bella mattina, e precisamente il sette d’aprile, se ne tornň al suo posto, ossia esattamente tra le due guance del maggiore Kovalčv. Qui mi corre l’obbligo d’aprire un’altra brevissima parentesi. Nella prima stesura del racconto, la parte finale recitava cosě: “D’altronde tutto quello che č stato raccontato non fu che un sogno del maggiore. E quando egli si destň, si rallegrň talmente che saltň dal letto, corse allo specchio e, visto che tutto era al suo posto, si mise a danzare…” Dichiarando che la storia era solo un sogno, Gogol’ faceva dunque rientrare tutto nell’ordine e nella normalitŕ. Si sa infatti che si possono normalmente sognare le cose piů pazzesche e inverosimili. Cosě, i lettori ne sarebbero restati rassicurati; se si trattava di un sogno, nessuno avrebbe corso il rischio di vedere dall’oggi al domani, che so, un suo piede prendere la rincorsa e sparire dietro l’angolo. Poi, genialmente, l’autore ci ripensň. Chiudo la parentesi e torno a raccontarvi il finale che Gogol’ fině per adottare. Il mattino del 7 d’aprile, il maggiore si svegliň, lanciň un’occhiata distratta allo specchio e che cosa vide ? Il suo naso! “Ehč!”, fece afferrandoselo con una mano e tenendoselo stretto quasi temesse di vederlo scomparire di nuovo. Stava toccando proprio il suo naso! Voleva mettersi a ballare per la contentezza, ma ne fu impedito dall’arrivo del servitore. Si ricompose, ordinň a Ivŕn di portargli il necessario per lavarsi e mentre si lavava diede una fugace occhiatina allo specchio. Il naso c’era. Poi, ancora, tornň a guardare di sguincio mentre si strofinava con l’asciugamano. Il naso c’era. Volle farne la prova. “Guarda un po’ anche tu, Ivŕn, mi pare d’avere sul naso un foruncoletto,” disse con tono disinvolto. E intanto pensava: “Bel guaio se Ivŕn dicesse: ma no, signore, non solo non c’č nessun foruncoletto, ma non c’č neppure il naso!” Invece Ivŕn disse: “Non c’č niente, nessun foruncoletto, il naso va bene.” In quel preciso momento s’affacciň sulla porta il barbiere Ivŕn Jakovlčvic, ma in un modo cosě timoroso da sembrare un gatto picchiato per aver rubato qualcosa dalla dispensa. “Sono venuto a farvi la barba.” Kovalčv se ne restň in piedi e domandň al barbiere se le sue mani erano pulite. “Pulitissime.” “Bugiardo!” “Perbacco! Sono pulite, vi ho detto!” “Be’, ma stai attento!”, lo minacciň il maggiore finalmente sedendosi. Il barbiere l’avvolse nell’asciugamano e, in un istante, con l’aiuto del pennello, gli trasformň la faccia in una specie di enorme torta di panna montata, di quelle che nelle famiglie si usa portare in tavola il giorno dell’onomastico. Mancavano solo i canditi. “Ma guarda un po’!”, pensň Ivŕn Jakovlčvic gettando un’occhiata al naso e poi piegando la testa dall’altra parte per osservarlo di traverso. “Ma guarda! Sembra proprio il suo naso!” E continuň per un pezzo a contemplarlo. Finalmente, con la massima delicatezza e leggerezza, alzň due dita con l’intenzione di afferrare il naso per la punta. Cosě infatti usava fare. “Attento!”, gridň allarmato il maggiore. Il barbiere si scostň d’un balzo, atterrito, e si confuse come mai si era confuso. Poi, fattosi coraggio, si mise a raschiare col rasoio sotto il mento. E, benché gli venisse molto scomodo e difficile radere senza avere un sostegno nella parte olfattiva del corpo, tuttavia, appoggiandosi in qualche modo con il pollice alla guancia e alla mascella inferiore, superň vittoriosamente tutti gli ostacoli e portň a termine la rasatura. Quando il barbiere ebbe finito, il maggiore si vestě di fretta, prese una vettura e andň dritto filato in una pasticceria. Ancora lontano dal banco si mise a gridare: “Ehi, ragazzo, una tazza di cioccolato!” E nello stesso tempo si guardň allo specchio. Il naso c’era. Allora si voltň indietro e, strizzando un poco gli occhi, guardň con sufficienza uno dei due militari presenti, che aveva un naso di certo non piů grande di un bottone da gilet. Uscito dalla pasticceria, si recň presso la segreteria del ministero per sollecitare una risposta alla sua domanda per ottenere un posto di vicegovernatore. Nell’anticamera, diede un’occhiata allo specchio. Il naso c’era. Mentre tornava, incontrň l’ufficialessa superiore Podtňcina che era accompagnata dalla figlia. Le salutň e fu ricambiato con esclamazioni di gioia. “Dunque”, si disse Kovalčv sempre piů rassicurato, “in me non ce proprio piů nessun difetto”. Chiacchierň a lungo con le due donne e a un certo punto, tirata fuori la tabacchiera, si riempě con voluttŕ entrambe le narici davanti a loro, mentre tra sé andava dicendo: “Guardate qua, donne, razza di galline, che naso che ho! E tua figlia, cara ufficialessa superiore, comunque non me la sposo!” Da quel giorno in poi, il maggiore Kovalčv andň a passeggiare, come se nulla fosse mai accaduto, avanti e indietro sulla Prospettiva Nevskij e frequentň assiduamente teatri, salotti e circoli. Da parte sua il naso si comportň sempre con assoluta correttezza: se ne stava impassibile sulla faccia del maggiore senza dare minimamente l’impressione di essersene mai allontanato. Dopo d’allora, il maggiore fu visto eternamente di buon umore, allegro, sorridente, elegante, che faceva la corte indistintamente a tutte le belle signore che incontrava, non se ne perdeva nemmeno una. Una volta lo notarono dentro un negozio di divise e decorazioni militari mentre acquistava il nastro d’un certo ordine cavalleresco. Se ne ignorň il motivo, dato che il maggiore Kovalčv non era cavaliere di nessun cavalierato. Questa č la storia che accadde a Pietroburgo, la nordica capitale. Potrei chiudere qua il mio racconto, ma, arrivato alla fine, non posso proprio esimermi dal fare alcune considerazioni. Mancherei a un mio preciso dovere. Non perché il prezzo per l’annui sarebbe stato troppo esoso: questa č una sciocchezza, io non appartengo alla categoria di quelli che sono attaccati al centesimo. Nossignore, dico solo che č sconveniente e imbarazzante. Insomma, non Vi rendete conto di quanto ci sia d’inverosimile nell’intera faccenda? Non siete d’accordo che tanto il distacco soprannaturale del naso, quanto la sua apparizione in luoghi diversi sotto le spoglie di un consigliere di stato, sono cose sommamente strane? E come aveva potuto Kovalčv non capire che non si puň mettere un annuncio su di un giornale a proposito della sparizione di un sta bene. Senza considerare che un annuncio siffatto avrebbe potuto turbare profondamente l’ordine pubblico. E poi ancora: come fece il naso a trovarsi nel pane appena sfornato? E come mai non venne cotto? E quel barbiere Ivŕn Jakovlčvic che scompare e riappare senza un minimo di logica! Ma la cosa piů strana, veramente inconcepibile, č che degli scrittori, anche di buon livello, anche stimati dalla critica, possano dedicarsi ad argomenti siffatti. Certo, ognuno č libero di inventarsi quello che vuole, ma ci sono dei limiti! Convenitene, altrimenti si rischia di sprofondare nell’anarchia! Lo riconosco, questo č davvero incomprensibile, č davvero… No, no, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a capire. Perché si scrivono cose simili ? In primo luogo, la Patria decisamente non ne ricava alcun vantaggio, e nemmeno le patrie lettere, se č per questo. In secondo luogo… Ma anche in secondo luogo non ne viene alcun vantaggio. Allora: a cosa puň portare tutto ciň? Quali potrebbero esserne le conseguenze ? Per quale scopo questo racconto č stato scritto ? Cosa vorrebbe dimostrare? No, non riesco proprio a capire che significhi tutto questo. E tuttavia… Non č che stia cambiando idea, perň… A voler essere onesti, ecco, non vorrei che credeste… Insomma, malgrado ciň che ho appena detto, a ripensarci bene, si potrebbe anche… Be’, si potrebbe pure ammettere che talvolta… Ecco, ce almeno una cosa, nel racconto, che poi non č cosě tanto incredibile… E a considerare senza pregiudizi, ce n’č poi una seconda che… E, volendo, anche una terza… E va bene, in coscienza, diciamocelo apertamente: c’č una parte del mondo dove non si verifichino fatti inverosimili ? E quindi, a rifletterci ben bene, bisogna concludere che in tutto questo, in fondo in fondo, davvero qualcosa c’č. Si puň dire quello che si vuole, ma avvenimenti simili nel mondo ne accadono, oh sě che ne accadono! Questo libro č dedicato a tutti i nipoti, i miei e quelli degli altri DA DOVE VIENE QUESTA STORIA e’, forse č meglio vedere prima da dove viene il suo autore. Nikolŕj Gogol’ nacque in Russia, a Sorocintsy, nel governatorato ucraino, il 20 marzo (secondo il vecchio calendario) o il 1° aprile (secondo il nuovo calendario) del 1809. Bellissima occasione, comunque, per festeggiare due compleanni! La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltŕ e possedeva grandi estensioni di terreno e un villaggio con 400 anime. Non vi impressionate, “anime” erano chiamati i contadini poveri che erano proprietŕ assoluta, anima e corpo, dei loro padroni. La madre di Nikolŕj era una donna di severi costumi, il padre un estroso buontempone. Nikolŕj amava moltissimo la madre, ma il padre lo divertiva assai di piů. Giŕ da piccolo, Nikolŕj dimostrň d’avere un carattere difficile che lo portava a isolarsi dai compagni di scuola, ma nello stesso tempo a conquistarseli mettendo in scena brevi monologhi assai divertenti che lui stesso scriveva e interpretava. Recitava bene, tanto che, piů grandicello, per un certo periodo pensň seriamente di mettersi a fare l’attore. Dotato di una fantasia vulcanica, aveva cominciato a scrivere prestissimo. Un giorno, il noto poeta e commediografo Kapnist, amico di famiglia, chiese a Nikolŕj di leggergli alcune sue poesie. Il ragazzo accettň a patto che fossero solo loro due chiusi in una stanza. All’uscita, Kapnist disse: “Da questo bambino puň nascere un grande talento.” Nikolŕj aveva solo 5 anni. Kapnist aveva visto giusto. Gogol’ visse appena 43 anni, lasciandoci almeno tre capolavori immortali: “I racconti di Pietroburgo”, “Le anime morte” e la commedia “Il Revisore”. Adoperava la sua lingua con un’eleganza e una raffinatezza ineguagliabili, gli storici della letteratura lo considerano ancora il miglior “stilista”, e i suoi racconti sono di una perfezione assoluta. Pensate che non c’č stato un grande scrittore russo che non abbia elevato a oggetto di culto un suo racconto. Il sommo poeta PuSkin stravedeva proprio per “Il naso”, Anton Cechov per “La carrozza”. Dostoevskij aveva scelto per sé quello intitolato “Il cappotto”, dichiarando che tutti gli autori russi, lui compreso, erano nati tra le falde di quel cappotto. Ma di certo Gogol’ non stimň mai se stesso quanto lo stimarono gli altri. Non era mai in pace né con sé né col mondo. Per qualche anno fece l’impiegato in un ministero, per un po’ di tempo insegnň all’universitŕ… Troppo irrequieto e scontento per restare fermo in un posto. Viaggiava molto, questo sě. Non amava la societŕ del suo tempo e non smise mai di metterne in luce con impietosa ironia il cieco servilismo, la sorditŕ burocratica, le ingiustizie, l’arrivismo, i vanitosi rituali di una piccola borghesia grassa, ignorante e presuntuosa. Verso i trent’anni, fece il primo viaggio in Italia, venne a Roma e ritrovň un po’ di serenitŕ. “Io sono nato qui,” scrisse a un amico, aggiungendo: “Io mi sono ridestato nella mia patria.” Poi, al ritorno in Russia, la sua salute mentale peggiorň di molto, ebbe delle sconvolgenti crisi mistico-religiose tanto da bruciare alcuni dei suoi manoscritti… Finché sopraggiunse la fine. Prima di lui, la letteratura russa, soprattutto nella poesia, aveva celebrato grandi figure eroiche, personaggi quasi mitici che vivevano sulla terra ma sembravano volare alti nel cielo, irraggiungibili come semidei. Gogol’ fu il primo in assoluto a scrivere della piccola gente, del barbiere, dell’impiegatuccio, della fruttivendola, di quell’umanitŕ che si poteva ogni giorno incontrare al mercato o in un ufficio aperto al pubblico, tratteggiandola con pietosa ironia. Con lui, il popolo minuto irrompe trionfalmente nella letteratura. Il sarcasmo, invece, Gogol’ lo riserverŕ alla piccola borghesia, alla nobiltŕ di basso livello, alle quali non perdonerŕ nulla. Il modo con cui lo scrittore affronta questi personaggi non č mai ottusamente realistico, anzi talvolta la sua ribollente fantasia fa sě che la realtŕ diventi un trampolino di lancio verso un’altra realtŕ, quella fantastica. Cosě č nato “Il naso”. Personalmente, come scrittore, io considero Gogol’ uno dei miei due nonni (l’altro si chiama Lawrence Sterne). Ma non sono per niente sicuro che essi mi considerino un loro nipote. A.C. gli autori di questo libro Andrea Camilleri č nato in Sicilia nel 1925, ed č stato ragazzo durante la seconda guerra mondiale. Ha cominciato la sua multiforme carriera in teatro, e l’ha proseguita in tivů, sempre con ruoli diversi. Ha scritto una valanga di libri di tutti i tipi, ma a sorpresa, č diventato famosissimo per avere inventato Montalbano: un goloso commissario siciliano che risiede nell’immaginaria cittŕ di Vigata, ama leggere, e va anche in tivů. Maja Celija č nata in Slovenia nel 1977. Ha frequentato l’asilo e le elementari nella Jugoslavia di Tito, e il liceo nella Croazia di Tudjman. Si č diplomata all’Istituto Europeo del Design di Milano e in seguito le sue illustrazioni hanno girato il mondo. Adesso vive a Pesaro, ma la sua seconda casa č il bosco: Maja adora gli animali e i funghi. Save the Story č una scialuppa che porta in salvo, nel nostro millennio, qualcosa che sta naufragando nel passato. Gli oggetti che, come questo libro, portano il marchio sono specie in via di estinzione. La scuola Holden nasce a Torino nel 1994 con l’idea di essere diversa dalle altre. Somiglia a una casa dove non mancano spazio, libri e caffč. Vi si studia una cosa chiamata “storytelling”, cioč il segreto per raccontare le storie in ogni linguaggio possibile: libri, cinema, tivů, teatro, fumetto. Il tutto, con risultati esagerati. La Biblioteca di RepubblicaL’Espresso č una vivace mescolanza, ricca e colorata, che ormai da anni si č insinuata settimana dopo settimana nelle case di moltissimi italiani. Centinaia e centinaia di romanzi, racconti, saggi e poesie hanno dato vita ad altrettante collane che hanno felicemente popolato scaffali e librerie di case vecchie e nuove. Questa collana č dedicata a Achille, Aglaia, Arturo, Clara, Kostas, Olivia, Pietro, Samuele, Sandra, Sebastiano e Sofia La Storia di Don Giovanni raccontata da Alessandro Baricco 2 La Storia de I Promessi Sposi raccontata da Umberto Eco 3 La Storia di Cyrano de Bergerac raccontata da Stefano Benni 4 La Storia de il naso raccontata da Andrea Camilleri Prossimamente 5 La Storia di Delitto e Castigo raccontata da Abraham Yehoshua