un modello di simulazione per la quantificazione dei benefici della

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un modello di simulazione per la quantificazione dei benefici della
ESPERIENZE D’IMPRESA
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UN MODELLO DI SIMULAZIONE PER LA
QUANTIFICAZIONE DEI BENEFICI DELLA
FIDUCIA NELLE SUPPLY CHAIN
DISTRETTUALI*
• ANTONIO CAPALDO
PROFESSORE ASSOCIATO DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ECONOMIA E DELLA GESTIONE AZIENDALE
FACOLTÀ DI ECONOMIA, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
• ILARIA GIANNOCCARO
PROFESSORE ASSOCIATO
DIPARTIMENTO DI MECCANICA, MATEMATICA E MANAGEMENT
POLITECNICO DI BARI
Sommario: 1. Introduzione – 2. Distretti industriali e fiducia – 3. Le supply chain
distrettuali – 4. La fiducia nelle supply chain distrettuali – 5. Metodi – 5.1 Il modello
NK – 5.2 Modellizzazione NK delle supply chain distrettuali – 5.3 Dinamiche del
modello – 5.4 La supply chain del divano in pelle di Natuzzi – 6. Risultati della
simulazione – 7. Discussione dei risultati ed estensione dell’analisi – 8. Considerazioni
conclusive, limiti della ricerca e future traiettorie di indagine.
ABSTRACT
Trust is a major governance mechanism in industrial district supply chains and has been
credited of every sort of advantage in previous literature. However, extant research has
focused on trust as a dyadic construct and has rarely addressed the issue of quantifying
its benefits. To fill this gap, we focus on network-level trust in industrial district supply
chains and advance a computational methodology based on NK simulation to quantify
the impact of the existence of supply chain trust on performance. The methodology
advanced here can be useful to supply chain managers, and network managers more
generally, to make informed decisions whether to invest or not in the development of
trust across their supply chains (networks), as well as about possible changes in the
overall architecture of their supply chains (networks). We apply our proposed
methodology to a real supply chain within the leather sofa industrial district of BariMatera, located in Southern Italy.
KEY WORDS Industrial district | trust | supply chain | NK simulation | Natuzzi.
–––––––––––
*
Gli autori hanno contribuito in ugual misura all’impostazione e allo svolgimento della ricerca. Tuttavia, i paragrafi 1, 2, 4, 5.3 e 8 sono da attribuire ad Antonio Capaldo, mentre
i paragrafi 3, 5.1, 5.2, 5.4, 6 e 7 sono da attribuire a Ilaria Giannoccaro.
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1. Introduzione
L’esistenza di fiducia tra i partner è un presupposto irrinunciabile per
un’efficace gestione della supply chain. Difatti, la fiducia è un importante
antecedente della collaborazione tra imprese, capace di contribuire al raggiungimento di considerevoli livelli di performance nelle supply chain
(Kumar, 1996; Monczka et al., 1998; Johnston et al., 2004). In effetti, laddove la fiducia caratterizza le relazioni tra le imprese della supply chain,
idee, conoscenze, prodotti e servizi fluiscono più agevolmente tra le imprese partner, creando le condizioni per il raggiungimento di vantaggi
competitivi sostenibili, sia per l’intera supply chain sia per le singole imprese partecipanti (Uzzi, 1997; Dyer e Singh, 1998; McCarter e Northcraft,
2007).
La maggior parte degli studi sulla fiducia nella supply chain ha messo a
fuoco singole relazioni diadiche all’interno della stessa. In tal modo, l’attenzione degli studiosi è ricaduta sulla fiducia esistente tra coppie di imprese – o, in altri termini, sulla fiducia intesa a livello di analisi diadico
(Dyer e Chu, 2003; Johnston et al., 2004; Capaldo, 2007). Di converso,
l’analisi della fiducia a livello di analisi network, in particolare a livello dell’intera supply chain, è stata largamente trascurata. Nel tentativo di colmare
tale lacuna, in un recente studio abbiamo messo a fuoco il concetto di fiducia nell’intera supply chain per indagarne le relazioni con la complessiva
struttura delle interdipendenze tra le imprese della supply chain (Capaldo
e Giannoccaro, 2012).
Proseguendo lungo una tale traiettoria, questo lavoro esamina l’esistenza
di fiducia nell’intera supply chain quale fattore capace di accrescere le performance della supply chain e delle singole imprese partner. In particolare,
concentreremo l’attenzione su supply chain rientranti all’interno di specifici
contesti a elevata intensità relazionale, i distretti industriali (‘supply chain
distrettuali’). Il distretto industriale è un modello di organizzazione delle
attività economiche caratterizzato dall’agglomerazione spaziale di un elevato numero di piccole e medie imprese altamente specializzate in una o
poche fasi di uno specifico processo produttivo e dal radicamento dell’azione economica all’interno di strutture socio-culturali che offrono supporto a un complesso intreccio di competizione e cooperazione tra le
imprese coinvolte (Brusco, 1982; Piore e Sabel, 1984). I distretti industriali
possono essere concettualizzati quali insiemi di supply chain (Carbonara,
Giannoccaro e Pontrandolfo, 1992). Le supply chain sono reti di relazioni
interorganizzative tra imprese interdipendenti dedite ad attività e processi
finalizzati alla produzione di beni e/o servizi e alla distribuzione degli stessi
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ai consumatori finali (Chrisopher, 1992).
La fiducia è un meccanismo di governo dell’azione economica di importanza primaria all’interno dei distretti industriali (Powell, 1996). Fondando
sia su quel ricco tessuto di relazioni interpersonali che è alla base del comportamento degli attori economici nelle aree distrettuali (the shadow of
the past), sia sulla prospettiva di benefici economici futuri (the shadow of
the future), la fiducia scoraggia l’adozione di comportamenti opportunistici
e stimola la cooperazione tra le imprese del distretto. Numerosi studi hanno
evidenziato che la fiducia riveste un ruolo cruciale nelle supply chain distrettuali poiché facilita la creazione e lo sviluppo di relazioni interorganizzative di reale collaborazione, stimola il trasferimento di informazione,
la condivisione di conoscenza e la coproduzione di innovazione tra le imprese, e offre supporto a processi di apprendimento collettivo, con importanti ricadute in termini di performance (Best, 1990; Powell, 1990).
Nonostante l’ingente volume di studi che, tanto nella letteratura sui distretti industriali quanto in quella sulla supply chain, ha enfatizzato l’importanza della fiducia, scarsa attenzione è stata dedicata sinora alla
quantificazione dei benefici che la fiducia è in grado di assicurare. Più in
dettaglio, sebbene gli effetti positivi della fiducia sulle performance siano
stati ampiamente analizzati e discussi, l’analisi dell’entità di tali effetti rappresenta una tematica scarsamente indagata, benché non manchino alcune
rilevanti eccezioni (si vedano, in particolare: Krishnan, Martin e Noorderhaven, 2006). Tuttavia, siccome generare un clima di fiducia e sostenerlo
nel tempo richiede l’effettuazione di considerevoli investimenti (Wicks, Berman e Jones, 1999), cui si accompagnano costi e rischi rilevanti, si impone
una valutazione attenta dei benefici che la fiducia stessa è in grado di offrire. A tale scopo, facendo specifico riferimento al caso delle supply chain
rinvenibili all’interno di distretti industriali, in questo lavoro sviluppiamo
un modello di simulazione per la quantificazione dei benefici di performance derivanti dall’esistenza di fiducia all’interno della supply chain.
In vista di tale obiettivo, nel prosieguo attingeremo alla ricerca che ha applicato il modello NK di Kauffman (1993) agli studi di management (Ganco
e Hoetker, 2009). Partiremo dal modello NK del distretto industriale avanzato da Press (2007), per poi modificarlo nella maniera atta a soddisfare
le specifiche esigenze conoscitive di questo studio. La metodologia proposta è volta a simulare l’evoluzione della supply chain alla ricerca di payoff più elevati e i relativi effetti in termini di performance, sia in presenza
sia in assenza di fiducia tra le imprese della supply chain (scenari ‘trust’ e
‘no-trust’, rispettivamente). Ciò permette di quantificare i benefici di performance della fiducia per differenza tra le performance attese nei due
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scenari.
Nella parte finale del lavoro la metodologia proposta sarà applicata a una
supply chain realmente esistente, individuata all’interno del distretto del
divano in pelle di Bari-Matera. I risultati dell’analisi mostrano che l’esistenza di fiducia nella supply chain si accompagna a un incremento della
performance, a livello tanto dell’intera supply chain quanto dell’impresa
che in essa svolge il ruolo di impresa-guida. L’analisi mostra altresì che,
ove l’impresa-guida decidesse di alterare la struttura complessiva della supply chain riducendo il proprio grado di integrazione verticale, i benefici di
performance derivanti dall’esistenza di fiducia nell’intera supply chain risulterebbero maggiori rispetto all’ipotesi di un più elevato grado di integrazione verticale dell’impresa-guida.
2. Distretti industriali e fiducia
I distretti industriali sono sistemi di imprese geograficamente concentrati
caratterizzati dalla presenza di numerose piccole e medie imprese fortemente specializzate in una singola fase, o in un ridotto numero di fasi,
del complessivo processo di produzione di una famiglia omogenea di prodotti e che si interfacciano tra loro mediante complessi network di relazioni
interorganizzative e le sottostanti reti di relazioni sociali (Brusco, 1982;
Bellandi, 1989; Becattini, 1990; Maskell, 2001).
I distretti industriali di differenziano sovente per taluni aspetti, quali il
grado di concentrazione geografica, il numero di settori industriali complementari entro i quali rientrano le attività svolte dalle imprese del distretto, l’esistenza e l’intensità di rapporti di interscambio, a livello locale,
tra le imprese distrettuali e Università, parchi scientifici e tecnologici, o
centri di ricerca pubblici o privati (Porter, 1998; Markusen, 1996).
I distretti industriali sono altresì accomunati da numerose caratteristiche,
tra le quali si annoverano: la dimensione medio-piccola delle imprese coinvolte; il forte grado di specializzazione produttiva delle imprese stesse, che
facilita la rapida accumulazione di conoscenza specializzata; la forte divisione orizzontale e verticale del lavoro tra le imprese; il marcato ricorso di
quest’ultime ad accordi di subfornitura caratterizzati da un forte orientamento alla collaborazione e da lunghi orizzonti temporali; l’esistenza di
un’identità culturale distintiva che accomuna le diverse organizzazioni e,
più ampiamente, tutti gli attori economici coinvolti nella vita del distretto;
lo sviluppo di linguaggi e di routine interorganizzative idiosincratici, che
supportano il trasferimento di conoscenza all’interno del distretto e la generazione di innovazione; l’esistenza e lo sviluppo di un ricco tessuto di
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relazioni interpersonali che attraversano i confini delle imprese; un contesto socio-economico-culturale in cui le logiche dell’embeddedness risultano particolarmente pregnanti e che, pertanto, si caratterizza per la
diffusione di relazioni interpersonali e interorganizzative in cui variabili
sociali ed economiche risultano fortemente interconnesse; la diffusione
agevole e veloce di informazione e di conoscenza tecnologica, favorita da
reti sociali dense e da relazioni interimpresa basate sulla fiducia; la veloce
circolazione di informazioni sui comportamenti delle imprese e dei singoli
attori economici e la parallela diffusione di norme di comportamento volte
a sanzionare comportamenti contrari alle regole condivise; la coesistenza
di cooperazione e competizione tra le imprese; la tendenza di quest’ultime
a effettuare investimenti idiosincratici e a condividere rischi con le altre
imprese del distretto; il ruolo di supporto svolto dalle istituzioni locali nel
regolare e sostenere le attività economiche del distretto, nel promuovere
la collaborazione tra le imprese e nel rendere disponibile un efficiente sistema di infrastrutture; l’esistenza di associazioni imprenditoriali che garantiscono validi servizi di supporto alle imprese (quali, ad esempio,
marketing e formazione), nonché sostegno finanziario agli investimenti
(Brusco, 1982; Piore e Sabel, 1984; Dei Ottati, 1994; Bursi, Marchi e Nardin, 1997; Maskell e Malmberg 1999; Cafferata e Cerruti, 2003; Capaldo,
2004).
Nei distretti industriali, il coordinamento dell’attività economica fonda largamente su “meccanismi sociali” (Capaldo, 2008). Tra questi, la fiducia riveste un ruolo primario (Powell, 1996; Capaldo, 2004). La fiducia, a sua
volta, si accompagna a un marcato orientamento delle imprese distrettuali
alla cooperazione. Studi precedenti hanno esaminato gli antecedenti della
fiducia e della cooperazione tra imprese nelle aree distrettuali (tra gli altri:
Oba e Semercioz, 2005). L’embeddedness dell’azione economica nelle
strutture e nelle relazioni sociali, e in particolare il radicamento dell’azione
economica all’interno di strutture di relazioni sociali a elevata densità, rappresentano condizioni fondamentali per la nascita della fiducia (Granovetter, 1985; Coleman, 1990). Coerentemente, lo sviluppo di fiducia a
livello interorganizzativo nelle aree distrettuali fonda su quel tessuto denso
di relazioni interpersonali che caratterizza le aree distrettuali e sui connessi
meccanismi di regolazione del comportamento di tipo reputazionale (Capaldo, 2008).
Da un lato, infatti, l’esistenza di reti sociali spesse e ad elevata multiplexity
(sovrapposizione di contenuti relazionali), che attraversano i confini organizzativi delle imprese all’interno del distretto e il cui sviluppo è agevolato
dalla prossimità geografica, consente agli attori economici di monitorare i
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comportamenti assunti da ciascuno all’interno di molteplici contesti differenti, offrendo a essi un’informazione ricca e dettagliata, oltre che di
prima mano, circa la correttezza dei partner, attuali e potenziali. Inoltre,
quell’insieme di aspettative e di obbligazioni, con forti implicazioni morali,
che si accompagna solitamente alle relazioni interpersonali nelle aree distrettuali, spinge gli attori economici a evitare comportamenti opportunistici, stimolando invece lo sviluppo di relazioni forti basate sulla fiducia.
Dall’altro lato, la rapida diffusione, all’interno del distretto, dell’informazione, soprattutto di quella concernente eventuali comportamenti contrari
alle norme condivise, e il connesso timore di sanzioni sociali, scoraggiano
l’opportunismo e promuovono la cooperazione e la fiducia reciproca tra le
imprese (Capaldo, 2008).
Al contempo, aspetto questo di primaria importanza nel presente lavoro,
la fiducia e la cooperazione tra imprese nei distretti industriali fondano su
una valutazione dei benefici futuri, da parte degli attori economici, in cui
la razionalità economica gioca un ruolo primario. In effetti, come evidenziato dai sostenitori della teoria dei giochi, l’aspettativa di proficue interazioni future spinge i partner ad adottare comportamenti cooperativi
(Axelrod, 1984; Heide e Miner, 1992). In particolare, quando i benefici attesi dalla cooperazione superano quelli prevedibilmente connessi a comportamenti orientati al soddisfacimento dei soli interessi di parte, la
cooperazione e la fiducia emergono e, nel tempo, si rinforzano mediante
atti di reciprocità (Poppo, Zhou e Ryu, 2008). Le condizioni fondamentali
per lo sviluppo di una tale forma di fiducia fondata sul calcolo economico,
e del connesso intento cooperativo da parte delle imprese, sono rappresentate dall’aspettativa di scambi economici caratterizzati da un orizzonte
temporale non definito e dall’elevata frequenza, nonché dalla natura ripetuta, dell’interazione, tutte caratteristiche distintive dell’azione economica che ha luogo all’interno dei distretti (Capaldo, 2004).
Da ultimo, va sottolineato il ruolo svolto dalle istituzioni locali nello sviluppo di un’atmosfera di fiducia all’interno dei distretti industriali. Difatti,
consorzi e associazioni imprenditoriali rappresentano importanti meccanismi mediante i quali le imprese distrettuali condividono regole informali
di comportamento e pratiche organizzative e sviluppano valori culturali
comuni, che a loro volta agevolano la nascita di relazioni interorganizzative
trust-based e le sostengono nel tempo (Brusco, 1982).
3. Le supply chain distrettuali
All’interno dei distretti industriali è possibile individuare molteplici supply
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chain. Le supply chain sono reti di relazioni interorganizzative tra imprese
interdipendenti dedite alle attività e ai processi necessari per produrre specifici beni e/o servizi e distribuirli ai consumatori finali (Christopher, 1992).
Studi precedenti hanno discusso le peculiari caratteristiche di struttura,
strategia e governance proprie delle supply chain distrettuali (Carbonara
et al., 2002). Gli aspetti connessi alla governance risultano di notevole importanza. In particolare, lo specifico regime di controllo (centralizzato vs.
decentralizzato) caratteristico della singola supply chain consente di marcare una differenza tra supply chain rinvenibili all’interno di distretti industriali di tipo ‘classico’ o ‘marshalliani’ (Piore e Sabel, 1984; Becattini,
1990; Markusen, 1996) e supply chain posizionate all’interno di distretti
industriali nei quali una o più imprese-guida, sovente di rilevanti dimensioni, organizzano le attività produttive svolte da gruppi di subfornitori di
piccole o piccolissime dimensioni (Ferrucci e Varaldo, 1993; Markusen,
1996; Corò e Grandinetti, 1999).
Le supply chain rinvenibili all’interno di distretti marshalliani si compongono di un elevato numero di piccole imprese, di proprietà di attori interni
al distretto, specializzate in una o poche fasi del processo produttivo caratteristico del distretto. All’interno di tali supply chain, ciascuna impresa
gestisce le proprie attività in maniera indipendente e nessuna di esse è in
grado di controllare l’intero sistema (Becattini, 1990; Markusen, 1996); in
altri termini, il controllo ha natura decentralizzata. Di converso, le supply
chain rinvenibili all’interno di distretti industriali caratterizzati dalla presenza di imprese-guida sono governate da una o poche imprese, a loro
volta contraddistinte da un elevato grado di integrazione verticale rispetto
alle altre imprese del distretto (Carbonara et al., 2002). In tali circostanze,
dunque, il controllo ha natura centralizzata.
4. La fiducia nelle supply chain distrettuali
Il principale obiettivo di questo lavoro è sviluppare una metodologia per
la quantificazione dei benefici di performance della fiducia nelle supply
chain distrettuali. Il concetto di fiducia è stato ampiamente discusso negli
studi di management (Ring, 1996; McEvily, Perrone e Zaheer, 2003; Capaldo, 2008) e numerose definizioni hanno tentato di coglierne i molteplici
elementi caratteristici (Mayer, Davis e Schoorman, 1995; Rousseau et al.,
1998; Dirks e Ferrin, 2001). Ai fini del presente lavoro, la fiducia è un meccanismo di governo dell’azione economica, basato tanto sulle reti di relazioni sociali quanto sul calcolo economico, che induce le imprese operanti
all’interno di supply chain distrettuali ad adottare comportamenti coope-
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rativi – o, che è lo stesso, a operare nell’interesse dell’intera supply chain,
anziché nel proprio esclusivo interesse.
Studi precedenti sulla fiducia nella supply chain hanno concentrato l’attenzione su singole coppie di imprese, concettualizzando dunque la fiducia
quale costrutto diadico (Larson, 1992; Capaldo, 2007). Di converso, scarsa
attenzione è stata dedicata ad analizzare la fiducia a livello di analisi network. Nel tentativo di colmare tale lacuna, questo lavoro mette a fuoco
l’esistenza di fiducia nell’intera supply chain. Fondando sull’associazione,
ampiamente documentata in letteratura, tra fiducia e cooperazione (Morgan e Hunt, 1984; Lane e Bachmann, 1997; Poppo et al., 2008), la fiducia
può dirsi esistente nell’intera supply chain quando gli interessi delle singole
imprese partner sono allineati agli interessi dell’intero sistema e, quindi, i
partner sono indotti a cooperare, o in altri termini a non assumere decisioni
capaci di incidere negativamente sui risultati della supply chain nel suo
complesso. Pertanto, in presenza di fiducia all’interno della supply chain,
le imprese partner adottano comportamenti cooperativi (o, che è lo stesso,
agiscono nell’interesse della supply chain), sì da accrescere la complessiva
performance dell’intero sistema, indipendentemente dall’impatto di tali
comportamenti sulle performance ‘locali’ (vale a dire delle singole imprese).
In assenza di fiducia, invece, non esistono meccanismi capaci di stimolare
le imprese facenti parte della supply chain ad adottare comportamenti
cooperativi se questi ultimi rischiano di incidere negativamente sulle performance a livello locale. Di conseguenza, i partner adotteranno comportamenti conformi agli interessi dell’intero sistema soltanto ove ciò non
comporti effetti negativi sulle performance locali.
Numerosi autori hanno esaminato i benefici derivanti dalla presenza di fiducia nella supply chain (Narasimhan e Nair, 2005; Ireland e Webb, 2007;
Laaksonen, Jarimo e Kulmala, 2009). La fiducia stimola la tendenza delle
imprese alla cooperazione (Gambetta, 1988), la condivisione di informazione e il trasferimento di conoscenza tra le organizzazioni (Capaldo, 2001,
2008), nonché l’assunzione di rischi (Mayer et al., 1995). Tutto questo accresce le opportunità di creazione del valore per le imprese facenti parte
della supply chain, con riflessi positivi tanto a livello micro che sul piano
macro (Uzzi, 1997). Inoltre, la fiducia è un’importante determinate della
collaborazione tra imprese ed è associata a una serie di effetti positivi,
conduttori di performance superiori, quali la maggiore prevedibilità del
comportamento dei partner, la riduzione dei costi di transazione e l’incremento della capacità di adattamento e di risposta al cambiamento ambientale (Zucker, 1986; Handfield e Bechtel, 2002; McEvily et al., 2003;
Krishnan et al., 2006).
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Sebbene i benefici derivanti dall’esistenza di fiducia tra le imprese siano
stati ampiamente discussi, scarsa attenzione è stata dedicata alla quantificazione di essi. Tuttavia, onde poter decidere se investire o meno nella
creazione delle condizioni necessarie allo sviluppo di fiducia, le imprese
facenti parte di supply chain dovrebbero poter stimare l’entità dei benefici
di performance che la fiducia è in grado di generare. Nel tentativo di offrire
uno strumento utile a tale scopo e mettendo a fuoco, in particolare, il
caso delle supply chain distrettuali, questo lavoro propone una metodologia di analisi basata sull’utilizzo del modello NK.
5. Metodi
5.1 Il modello NK
Il modello NK, originariamente proposto da Kauffman (1993) per lo studio
dell’evoluzione dei sistemi biologici, consiste di una famiglia “regolabile”
di paesaggi di fitness (fitness landscape). La procedura stocastica sviluppata
da Kauffman (1993) per la progettazione di paesaggi di fitness ha poi trovato numerose applicazioni negli studi di management per la modellizzazione del comportamento delle imprese impegnate nella ricerca di soluzioni
a problemi decisionali complessi (si vedano, tra gli altri: Gavetti e Levinthal,
2000; Ghemawat e Levinthal, 2008).
Negli studi che hanno applicato il modello NK a livello d’impresa, quest’ultima è concettualizzata come un insieme di decisioni interagenti e descritta tramite un vettore d composto da N decisioni di (i = 1,…N),
generalmente considerate binarie. Pertanto, d = (d1, d2, …, dN) con di = 0
oppure 1. Le decisioni di sono in interazione tra loro, poiché le scelte effettuate in merito alle singole decisioni possono influenzare (in maniera
positiva o negativa) i risultati derivanti da altre decisioni interagenti con
le prime. K (<N) rappresenta il numero medio di interazioni per decisione.
L’informazione sulle interazioni tra le decisioni è contenuta in una matrice
di dimensioni NxN. In tale “matrice delle influenze”, l’esistenza di una x
nella posizione (i,j) indica che la decisione posta nella colonna j influenza
quella posizionata sulla riga i.
Il diverso modo in cui le scelte (0-1) effettuate dall’impresa in merito alle
diverse decisioni di si combinano tra loro dà luogo a una serie di possibili
configurazioni delle scelte (nel seguito denominate semplicemente “configurazioni”). A ogni singola configurazione è associato uno specifico valore di fitness del sistema – o, in altri termini, un determinato payoff
(prestazione) per l’impresa – indicato con P(d). Per ciascuna configurazione, ogni decisione di offre un contributo Ci al payoff complessivo.
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Quest’ultimo è pari alla media aritmetica dei contributi delle singole decisioni. Il valore dei singoli Ci si ottiene estraendo numeri casuali da una distribuzione uniforme [0, 1]. Si osservi che ciascun contributo Ci è funzione
non soltanto della specifica decisione di ma anche delle K decisioni che,
secondo quanto indicato dalla matrice delle influenze, interagiscono con
essa. La mappa che riporta, per ciascuna delle possibili configurazioni, i
valori di di, i corrispondenti contributi Ci e il payoff complessivo P(d) costituisce il paesaggio di fitness. Nelle applicazioni del modello NK a problematiche organizzative si suppone che l’obiettivo dell’impresa sia
raggiungere il picco più alto del paesaggio, cioè identificare la configurazione a cui è associato il massimo payoff, detto picco globale. L’impresa è
dunque impegnata in un percorso adattivo, attraverso il paesaggio, alla ricerca del picco globale.
Sebbene negli studi aziendali il modello NK sia stato generalmente applicato al caso della singola impresa, alcuni studi recenti hanno proposto applicazioni del modello a contesti interorganizzativi. In particolare,
Aggarwal, Siggelkow e Singh (2011) hanno sviluppato un modello NK relativo a un’alleanza strategica di tipo diadico allo scopo di analizzare l’impatto delle modalità di governo delle relazioni interorganizzative sulla
performance delle singole imprese partecipanti. Proseguendo lungo la medesima traiettoria, volta a estendere l’ambito di applicazione del modello
NK all’analisi di problematiche strategiche a livello interorganizzativo, ma
mettendo a fuoco un intero sistema di relazioni tra imprese anziché singole
relazioni diadiche, in un recente lavoro abbiamo applicato il modello NK
all’intera supply chain, utilizzandolo per analizzare le relazioni tra struttura
delle interdipendenze della supply chain e fiducia all’interno della stessa
(Capaldo e Giannoccaro, 2012).
Analogamente, in questo studio utilizziamo il modello NK per modellare
le supply chain distrettuali quali insieme di decisioni che interagiscono tra
loro conformemente a una specifica matrice delle influenze che riflette le
relazioni esistenti tra le imprese della singola supply chain in virtù dei flussi
fisici rilevati tra le stesse. Essendo composta da organizzazioni interdipendenti, la supply chain si presta infatti a essere modellata mediante un modello NK caratterizzato da N decisioni, assunte dalle Z imprese facenti parte
di essa, K interazioni tra le decisioni medesime e una matrice delle influenze che riflette la complessiva struttura della supply chain nei termini
delle relazioni esistenti tra i partner.
5.2 Modellizzazione NK delle supply chain distrettuali
Il punto di partenza della metodologia proposta in questo studio è offerto
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da una recente applicazione della simulazione NK all’analisi dei distretti
industriali e delle relative dinamiche (Press, 2007). Nel modello avanzato
da Press (2007), il distretto industriale è inteso quale insieme delle N attività (a1, a2, ..aN) in cui si articola il complessivo processo di produzione
avente luogo nel distretto. Tali attività vanno dalla fornitura di materie
prime alla distribuzione del prodotto finito al cliente finale, comprendendo
altresì le attività di fornitura di componenti e semilavorati. Le attività produttive in oggetto sono raggruppate in segmenti di attività, ciascuno dei
quali comprende un certo numero di attività e le imprese impegnate nell’espletamento di esse. Le singole attività possono assumere unicamente
due valori (0 oppure 1), ciascuno dei quali esprime modalità differenti di
svolgimento delle attività. K è numero delle interdipendenze tra le attività
e, pertanto, cresce al crescere del grado di complessità del prodotto finito.
Il modello proposto da Press (2007) si caratterizza per una serie di assunti,
due dei quali risultano particolarmente costrittivi rispetto alle finalità di
questo lavoro e, pertanto, saranno da noi abbandonati nel prosieguo. In
primo luogo, il modello di Press (2007) prevede che il processo di produzione presenti la medesima struttura in tutti i distretti industriali. Tale
struttura corrisponde a una matrice delle influenze basata su un pattern
di tipo block-diagonal (Rivkin e Siggelkow, 2007), in cui le interazioni si
verificano unicamente tra le attività facenti parte degli stessi blocchi (i
quali corrispondono ai segmenti di attività), senza interazione alcuna tra
le attività appartenenti a blocchi differenti. Ciò significa che, nel modello
in esame, i industriali possono differenziarsi unicamente per il diverso valore dell’indice K; inoltre, il modello non ammette interazioni tra imprese
appartenenti a segmenti di attività diversi. In secondo luogo, il modello di
Press (2007) prevede che tutti i distretti industriali si caratterizzino per un
controllo di natura decentralizzata: ciascuna impresa controlla le attività
rientranti nel segmento a cui appartiene e assume decisioni indipendentemente dalle rimanenti imprese del distretto, con l’unico obiettivo di accrescere il proprio payoff. Mentre un tale assunto può risultare adeguato
a interpretare le dinamiche proprie dei distretti marshalliani e delle relative
supply chain, esso è ben distante dalle caratteristiche dei distretti industriali
caratterizzati dalla presenza di una o più imprese-guida, nei quali il controllo è di natura centralizzata.
In questo lavoro, la metodologia proposta da Press (2007) è adattata alla
modellizzazione delle supply chain distrettuali e, a tale scopo, modificata
sotto due rilevanti profili. In primo luogo, anziché concentrare l’attenzione
sull’intero distretto industriale, ci concentreremo sulla singola supply chain
distrettuale. Quest’ultima si compone delle imprese che svolgono le N at-
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tività in cui si articola il processo produttivo avente luogo nel distretto,
dalla fornitura di materie prime alla distribuzione del prodotto finito al
cliente finale. La supply chain è formata da più stadi, corrispondenti ai
segmenti di attività del modello originario, ciascuno dei quali consiste dunque di una serie di attività. Le imprese facenti parte della supply chain
sono associate ai vari stadi. Il vettore (a1,a2,a3, ..aN) esprime la specifica
configurazione della attività propria della supply chain.
In secondo luogo, anziché essere modellata su un pattern definito in maniera aprioristica e sulla corrispondente matrice delle influenze, la complessiva struttura del processo produttivo che caratterizza la singola supply
chain, nei termini dei legami esistenti tra le attività, è espressa da una matrice delle influenze ottenuta rilevando empiricamente i flussi fisici tra le
attività medesime (e le imprese impegnate nell’espletamento di esse) all’interno della specifica supply chain oggetto di indagine. In tal modo la
metodologia proposta consente di tener conto del fatto che il processo di
produzione caratteristico del distretto presenta solitamente una struttura
diversa nelle diverse supply chain appartenenti a esso.
5.3 Dinamiche del modello
Alla stregua dei distretti industriali nel modello proposto da Press (2007),
le singole supply chain distrettuali sono qui concettualizzate quali sistemi
in evoluzione, alla ricerca di nuove configurazioni capaci di assicurare payoff più elevati. In tale prospettiva, l’obiettivo della supply chain diviene
assumere la configurazione delle attività cui corrisponde il payoff più elevato possibile. Quanto più il payoff effettivamente ottenuto dalla supply
chain si avvicina a quello massimo possibile, tanto maggiore può dirsi la
performance della supply chain. Nel seguito modelliamo il processo evolutivo della supply chain, alla ricerca di payoff più elevati, fondando sull’assunto secondo cui tale evoluzione è influenzata dalle caratteristiche
della governance della supply chain, in particolare dal tipo di controllo
prevalente all’interno della stessa.
A tale scopo, anziché ipotizzare che il controllo sia necessariamente decentralizzato, come nel modello più sopra descritto (Press, 2007), consideriamo entrambe le forme estreme di controllo discusse al paragrafo 3.
Nelle supply chain caratterizzate da un controllo centralizzato, l’impresaguida controlla le attività svolte da tutte le altre imprese – e, dunque, controlla altresì il processo evolutivo dell’intera supply chain. Ciò implica che
l’impresa-guida è l’unica a poter proporre, testare ed eventualmente selezionare una nuova configurazione delle attività della supply chain. Di converso, se il controllo è decentralizzato, le singole imprese facenti parte della
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supply chain gestiscono le attività di propria pertinenza in totale autonomia. Pertanto, esse sono libere di esplorare diverse possibili configurazioni
per le proprie attività, alla ricerca di quelle capaci di assicurare le performance più elevate.
L’evoluzione della supply chain procede nel modo seguente. Inizialmente
viene proposta una nuova configurazione delle attività della supply chain.
In un regime di controllo centralizzato, la nuova configurazione è proposta
dall’impresa-guida, che interviene sulla configurazione preesistente modificando le modalità di espletamento di una singola attività, scelta casualmente. Ad esempio, se N=6 e la configurazione preesistente delle attività
è [0,0,1,0,0,0], una nuova configurazione potrebbe essere la seguente:
[1,0,1,0,0,0]. In un regime di controllo decentralizzato, invece, ciascuna
impresa facente parte della supply chain modifica le modalità di svolgimento di una singola attività scelta casualmente tra quelle di propria pertinenza, sicché la nuova configurazione delle attività della supply chain è
calcolata integrando le scelte effettuate da tutte le imprese partecipanti.
Quale che sia il tipo di controllo prevalente nella supply chain, una volta
che la nuova configurazione sia stata definita, il sistema decide se adottarla, abbandonando quella preesistente, o meno, permanendo in tal caso
in quest’ultima configurazione. Tale decisione è significativamente influenzata dall’esistenza di fiducia all’interno della supply chain. Pertanto, nel
seguito faremo riferimento a due scenari diversi: il primo prevede l’esistenza di fiducia nella supply chain (scenario ‘trust’), mentre il secondo
prevede assenza di fiducia (scenario ‘no-trust’).
Come precedentemente argomentato, in presenza di fiducia tra le imprese
della supply chain, queste tendono a cooperare, adottando comportamenti
in linea con gli interessi dell’intero sistema – o, in altri termini, ad assumere
decisioni volte ad accrescere la complessiva performance della supply chain
– ancorché questo possa incidere negativamente sulla performance della
singola impresa. Viceversa, in assenza di fiducia nella supply chain, le imprese partner non sono disposte a sacrificare il proprio interesse a beneficio
dell’intero sistema e, pertanto, agiscono nell’interesse di quest’ultimo soltanto se ciò non pregiudica le proprie performance.
Nello scenario ‘trust’, la nuova configurazione delle attività della supply
chain viene confrontata con quella preesistente. Il confronto avviene sulla
base dei rispettivi payoff. Se il payoff associato alla nuova configurazione
è superiore a quello associato alla configurazione preesistente, la supply
chain adotta la nuova configurazione; in caso contrario, il sistema permane
nella configurazione preesistente. Difatti, in presenza di fiducia all’interno
della supply chain, ciascuna delle imprese partner è disponibile a modificare
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le proprie decisioni, per accrescere la performance dell’intero sistema, indipendentemente dall’impatto che ciò determina sulla propria performance.
Al contrario, nello scenario ‘no trust’, la supply chain assume la nuova
configurazione solo se le seguenti due condizioni risultano simultaneamente verificate: 1) la nuova configurazione assicura alla supply chain un
payoff più elevato di quello associato alla configurazione preesistente; 2)
nella nuova configurazione, il payoff dell’impresa (o delle imprese) che
deve (devono) modificare le modalità di svolgimento di attività di propria
pertinenza è maggiore di quello associato alla configurazione preesistente.
L’impresa in questione sarà soltanto una se all’interno della supply chain
il controllo ha natura centralizzata; viceversa, se il controllo è decentralizzato, si tratterà di tutte le Z imprese della supply chain. Per ciascuna impresa, i payoff locali sono dati dalla media dei contributi Ci delle attività
da essa svolte. Come più sopra sottolineato, in assenza di fiducia all’interno
della supply chain le singole imprese perseguono unicamente il proprio
interesse. Ciò implica che esse accetteranno di modificare le modalità di
espletamento delle attività di propria pertinenza, nella maniera capace di
accrescere la performance dell’intera supply chain, solo se questo comporterà altresì benefici di performance a livello locale.
Riassumendo, l’evoluzione della supply chain procede attraverso i seguenti
step:
1. inizialmente viene proposta una nuova configurazione delle attività
della supply chain (vnew);
2. sono calcolati i payoff, per la supply chain nel suo complesso [Psc(vnew)]
e per le singole imprese [Pz(vnew)], corrispondenti alla nuova configurazione proposta;
3. la nuova configurazione è confrontata con quella preesistente (status
quo). Il sistema adotta la nuova configurazione se:
3a) scenario ‘trust’: Psc(vnew) > Psc(vstatus quo);
o
3b) scenario ‘no trust’: Psc(vnew) > Psc (vstatus quo) e, contemporaneamente,
Pz(vnew) > Pz(vstatus quo), dove:
z (z = 1, 2, …, Z) è l’impresa chiamata a modificare la propria decisione,
se il controllo è di tipo centralizzato;
z varia tra 1 e Z, se il controllo è di tipo decentralizzato.
In caso contrario, il sistema permane nella configurazione preesistente;
4. gli step precedenti sono ripetuti un numero dato di volte (round di simulazione).
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5.4. La supply chain del divano in pelle di Natuzzi
La metodologia sin qui descritta è applicata a una supply chain realmente
esistente, appartenente al distretto del divano in pelle di Bari-Matera. Per
ricostruire il processo di produzione della supply chain esaminata e ottenere la corrispondente matrice delle influenze, abbiamo utilizzato i dati
tratti da una precedente ricerca che ha ricostruito le supply chain di tre
imprese-guida operanti nel distretto in questione (Albino, Carbonara e
Giannoccaro, 2009). In questo lavoro prendiamo in esame la supply chain
di Natuzzi. L’impresa offre una varietà di prodotti finiti (divani in pelle,
divani in tessuto, poltrone, elementi di arredamento per la casa), a ciascuno
dei quali corrisponde una specifica supply chain. Nel prosieguo ci concentreremo sulla supply chain di Natuzzi relativa alla produzione di divani in
pelle.
La Tavola 1 mostra che la supply chain in esame si compone di tre stadi,
denominati rispettivamente: fornitura di materie prime, primo livello di
fornitura e assemblaggio. Le attività produttive rientranti in ciascuno stadio
sono svolte dalle imprese appartenenti a esso. Natuzzi, che opera nello
stadio finale, svolge le seguenti attività: taglio, cucito, finissaggio, rivestimento in poliuretano e assemblaggio finale. I fornitori di primo livello trasformano le materie prime in componenti o semilavorati. E’ possibile
distinguere quattro tipi di fornitori di primo livello, a seconda dell’attività
produttiva svolta: concia, lavorazione del legno, formatura del poliuretano
e produzione di piedi per divani. I fornitori di materie prime sono raggruppati in tre classi: fornitori di poliuretano, fornitori di legname e fornitori
di pellami. Si osservi che, poiché Natuzzi guida la supply chain e ne controlla l’intero processo produttivo, nella supply chain oggetto d’indagine
il controllo è d tipo centralizzato. La mappa del processo di produzione
Tav. 1 – La supply
chain del divano in
pelle di Natuzzi
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della supply chain considerata è riportata nella Figura 1. La Figura mostra
i flussi fisici e i risultanti legami tra le attività e tra le imprese deputate
allo svolgimento di quest’ultime.
Fig. 1 – Il processo
di produzione della
supply chain del
divano in pelle di
Natuzzi
Fig. 2 – La matrice
delle influenze
relativa alla supply
chain del divano in
pelle di Natuzzi
6. Risultati della simulazione
Allo scopo di quantificare i benefici di performance derivanti dall’esistenza
di fiducia nella supply chain del divano in pelle di Natuzzi, abbiamo utilizzato la procedura descritta nei precedenti paragrafi 5.2 e 5.3. La supply
chain esaminata è modellata mediante un vettore v = (a1,a2,., aN), in cui
N=12. Dalla mappa del processo di produzione, di cui alla Figura 1, abbiamo ricavato la matrice delle influenze riportata nella Figura 2, in cui
ciascun legame tra coppie di attività ai e aj dà luogo a una ‘x’ nelle posizioni (i, j) e (j, i)
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Partendo dalla matrice riportata nella Figura 2, abbiamo generato 1000
landscape. Successivamente, abbiamo misurato le performance dell’intera
supply chain e della sola impresa-guida, non anche quella delle rimanenti
imprese della supply chain. Difatti quest’ultime, in un regime di controllo
centralizzato, quale quello che caratterizza la supply chain in oggetto, non
sono in grado di influenzare la scelta di una nuova configurazione delle
attività. La performance della supply chain è data dal payoff dell’intero sistema al termine della simulazione ed è espressa come percentuale del più
elevato payoff possibile della supply chain sul landscape. La performance
dell’impresa-guida è ottenuta mediando i contributi delle attività da essa
svolte ed espressa come percentuale del più alto possibile payoff dell’impresa medesima sul landscape. I round di simulazione sono stati fissati a
200.
I risultati della simulazione, per entrambi gli scenari (‘trust e ‘no-trust’)
considerati, sono riportati nella Tavola 2. Per ciascuno dei due scenari abbiamo calcolato la media e la deviazione standard delle performance ottenute, tanto dalla supply chain quanto dall’impresa-guida, sui 1000
landscape. Allo scopo di quantificare i benefici della fiducia nella supply
chain esaminata, la Tavola 2 riporta altresì la differenza tra le performance
medie ottenute nei due scenari. I risultati mostrano che l’esistenza di fiducia nella supply chain incide positivamente tanto sulla performance dell’impresa-guida quanto su quella dell’intera supply chain. Si osservi inoltre
che, nel caso considerato, i benefici di performance derivanti dall’esistenza
di fiducia nella supply chain risultano lievemente maggiori per l’impresaguida rispetto alla supply chain nel suo complesso.
Tav. 2 – Risultati
della simulazione
(nell’ipotesi di un
più elevato grado di
integrazione
verticale
dell’impresa-guida)*
* Differenze nei risultati significative per valori di p<10-6 (t-test)
7. Discussione dei risultati ed estensione dell’analisi
I risultati della simulazione effettuata suggeriscono che le supply chain
distrettuali governate da un’impresa-guida e caratterizzate da una struttura
delle relazioni interimpresa quale quella risultante dalla considerazione dei
flussi fisici rilevati nel caso esaminato si avvantaggiano dell’esistenza di
fiducia all’interno delle supply chain. L’analisi svolta mostra altresì che,
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nelle circostanze suddette, anche l’impresa-guida vede crescere la propria
performance in presenza di fiducia all’interno della supply chain di cui costituisce il perno centrale. Mentre tali risultati confermano l’enfasi posta
dalla letteratura precedente sulla capacità della fiducia di incidere positivamente sulle performance nelle supply chain distrettuali, un primo apporto originale di questo studio risiede nel contributo offerto al
superamento di un evidente limite della ricerca in materia di fiducia e supply chain, attraverso la quantificazione degli effetti positivi che la fiducia
è in grado di esercitare sulla performance, tanto a livello di impresa-guida
quanto a beneficio dell’intera supply chain.
Tuttavia, il principale contributo di questo studio risiede nell’aver proposto
una metodologia per la quantificazione dei benefici di performance derivanti dalla presenza di fiducia nelle supply chain distrettuali che, lungi dal
fondare sull’assunto di una struttura della supply chain definita in maniera
aprioristica, risulta applicabile a qualsiasi supply chain, indipendentemente
dalla specifica struttura di essa. Inoltre, consentendo di modellare il processo evolutivo della supply chain teso al raggiungimento di configurazioni
capaci di offrire performance più elevate, la metodologia in oggetto si presta altresì a valutare le variazioni di performance associate a possibili cambiamenti nella struttura della supply chain. Si ipotizzi che l’impresa-guida
precedentemente esaminata stia valutando l’opportunità di ridurre il proprio grado di integrazione verticale, dando in outsourcing le attività a2, a3,
a4 e a5 per concentrarsi esclusivamente sull’attività a1 (assemblaggio finale).
In tali circostanze, l’impresa sarà presumibilmente interessata a valutare le
performance associate alla nuova struttura della supply chain che scaturirebbe da tale cambiamento, tanto in presenza quanto in assenza di fiducia
all’interno della supply chain, onde poterle confrontare con le performance
associate alla configurazione strutturale corrente.
Poiché la supply chain in questione è governata da un’unica impresaguida, in presenza di fiducia (scenario ‘trust’) la riduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida non influenzerà le performance
medie né a livello dell’intera supply chain né a livello dell’impresa guida.
Di converso, in assenza di fiducia (scenario ‘no-trust’), la minore integrazione verticale dell’impresa-guida comporterà una riduzione delle performance medie, su entrambi i livelli considerati. Difatti, in seguito alla
riduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida, la supply
chain risulterà composta da un numero maggiore di imprese che, vista l’assenza di fiducia all’interno della supply chain, preferiranno non adottare
le nuove configurazioni delle attività via via proposte ove queste, pur producendo effetti positivi sulla performance dell’intero sistema, dovessero
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influenzare negativamente le performance ‘locali’. Ne deriva che, a ogni
round di simulazione, la probabilità che la supply chain permanga nella
configurazione preesistente è destinata ad aumentare e le performance finali risulteranno inferiori.
La Tavola 3 riporta i risultati della simulazione con riferimento all’ipotesi
di riduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida. Nello
scenario ‘trust’, i risultati coincidono con quelli, riportati nella Tavola 2,
relativi all’ipotesi di un più elevato grado di integrazione verticale dell’impresa-guida. Inoltre, analogamente a quanto registrato per tale ultima ipotesi, anche in presenza di una riduzione del grado di integrazione verticale
dell’impresa-guida la performance media risulta maggiore nello scenario
‘trust’ rispetto allo scenario ‘no-trust’, sia per la supply chain sia per l’impresa-guida. Tuttavia, nell’ipotesi di una riduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida, le performance medie nello scenario
‘no-trust’ risultano minori di quelle associate all’ipotesi di maggiore integrazione verticale dell’impresa-guida. Ciò implica che, rispetto a tale ultima
ipotesi, in presenza di una riduzione del grado di integrazione verticale
dell’impresa-guida la differenza tra gli scenari ‘trust’ e ‘no-trust’, in termini
di performance media, è maggiore. Tale risultato suggerisce che investire
nello sviluppo di fiducia nella supply chain può offrire benefici maggiori
laddove il grado di integrazione verticale dell’impresa-guida sia inferiore.
Tav. 3 – Risultati
della simulazione
(nell’ipotesi di un
minor grado di
integrazione
verticale
dell’impresa-guida)*
* Differenze nei risultati significative per valori di p<10-6 (t-test)
8. Considerazioni conclusive, limiti della ricerca e future traiettorie di
indagine
La precedente letteratura che ha esaminato il ruolo della fiducia nella supply chain ha generalmente messo a fuoco singole relazioni diadiche all’interno della supply chain, trascurando altresì la quantificazione dei benefici
offerti dalla fiducia. In particolare, sebbene la fiducia rappresenti il principale meccanismo di governo dell’azione economica nei distretti industriali, l’analisi dei benefici di performance derivanti dalla diffusione della
fiducia nelle supply chain interne alle aree distrettuali non ha ricevuto ade-
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guata attenzione. Nel tentativo di colmare tali lacune e fornire risposta ai
conseguenti interrogativi di ricerca, questo studio ha attinto alla teoria dei
sistemi complessi per proporre una metodologia computazionale, fondata
sull’utilizzo della simulazione NK, volta a quantificare l’impatto generato,
in termini di performance, dall’esistenza di fiducia nelle supply chain distrettuali.
Il nostro studio offre ulteriori contributi alla letteratura in materia di supply
chain – e, più ampiamente, alla letteratura sulle reti interorganizzative. In
primo luogo, anziché considerare la fiducia quale costrutto diadico, abbiamo concentrato l’attenzione sulla fiducia a un livello di analisi superiore,
quello corrispondente all’intero network di relazioni interorganizzative di
cui le singole relazioni diadiche sono parte. Ciò ha consentito di affrontare
un tema, quello della fiducia nell’intera supply chain (anziché nelle singole
relazioni interimpresa di cui la stessa si compone) che, sebbene sollevato
da autorevoli voci (Ireland e Webb, 2007), ha sin qui ricevuto scarsa attenzione nella letteratura strategica e organizzativa.
In secondo luogo, questo lavoro ha sviluppato una metodologia di analisi,
rivolta alla quantificazione dei benefici di performance connessi alla presenza di fiducia nelle supply chain (e nelle reti interorganizzative più in
generale), capace di supportare l’assunzione di decisioni finalizzate a stimolare lo sviluppo di fiducia in tali contesti. La metodologia avanzata è
suscettibile di applicazione quale che sia la specifica architettura della supply chain (rete) oggetto di indagine. Infine, la simulazione dei percorsi evolutivi della supply chain alla ricerca di payoff più elevati e delle conseguenti
performance, su diversi livelli di analisi, può offrire elementi utili all’assunzione di decisioni volte ad alterare la complessiva architettura della
supply chain (rete). Per questa via, il nostro studio si riconnette alla letteratura che ha indagato i processi di gestione strategica delle relazioni di
collaborazione tra imprese e le relative capacità (inter)organizzative (Lorenzoni e Baden Fuller, 1995; Capaldo, 2007; Hoffmann, 2007; Capaldo
e Messeni Petruzzelli, 2011). In tal senso, la metodologia qui proposta può
rappresentare un valido strumento analitico per i manager impegnati nel
governo strategico delle supply chain e, più in generale, di reti di relazioni
interorganizzative.
Questo studio presenta alcune limitazioni che lasciano intravedere interessanti opportunità di ricerca per il futuro. In primo luogo, la metodologia
di analisi proposta considera due scenari estremi, caratterizzati rispettivamente dalla presenza e dall’assenza di fiducia nella supply chain. Tuttavia,
l’osservazione della realtà suggerisce che, lungi dall’essere una variabile
dicotomica, la fiducia può permeare le relazioni interorganizzative secondo
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gradazioni differenti. La ricerca futura dovrà quindi confrontarsi con le
sfide analitiche derivanti dall’inquadramento della fiducia quale variabile
continua, in maniera da pervenire alla quantificazione dei benefici di performance connessi alla presenza di differenti gradi di fiducia nella supply
chain.
In secondo luogo, questo studio non ha considerato i processi (inter)organizzativi volti a sviluppare contenuti di fiducia nelle supply chain. Tali
processi, scarsamente indagati in letteratura, presentano tempi lunghi, costi
non trascurabili ed esiti incerti. La ricerca futura dovrà coniugare la valutazione dei benefici di performance derivanti dalla presenza di fiducia nella
supply chain con la considerazione dei costi, nonché dei rischi, connessi
alla creazione di un tale clima di fiducia.
Da ultimo, sebbene i distretti industriali si compongano solitamente di
una pluralità di supply chain, il nostro studio ha messo a fuoco una singola
supply chain all’interno di un’area distrettuale. Un’interessante traiettoria
di ricerca potrebbe essere rivolta a estendere la metodologia qui proposta
alla modellizzazione di molteplici supply chain all’interno di un medesimo
distretto industriale, considerando altresì le interazioni tra esse esistenti.
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