LA CONDIZIONE DI RECIPROCITA` NEI RAPPORTI ECONOMICI

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LA CONDIZIONE DI RECIPROCITA` NEI RAPPORTI ECONOMICI
LA CONDIZIONE DI RECIPROCITA' NEI RAPPORTI ECONOMICI CON LO
STRANIERO
Sommario
1. Introduzione
2. La condizione di reciprocità
3. Le modalità di applicazione
4. La regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari
5. Conclusioni
1. Introduzione
Nel corso di quest'ultimo decennio, come è noto, il nostro
Paese è stato oggetto di un notevole flusso immigratorio.
Detto fenomeno, benchè dimensionalmente sia rimasto fino ad
oggi più limitato rispetto a quanto è contemporaneamente
avvenuto in Germania ed in Francia, ha comunque avuto
proporzioni tali da incidere in misura apprezzabile sul tessuto
socio-economico italiano, con importanti riflessi anche di
carattere politico.
Secondo le statistiche diffuse dal Mi
nistero dell'Interno
gli immigrati che sono venuti a stabilirsi in Italia provengono
per lo più da nazioni che si affacciano sul bacino del
Mediterraneo (Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, Albania ed ex
Yugoslavia), da alcuni stati africani (Senegal, Ghana e
Camerun), dalla Romania, dal Kurdistan, dall'Ucraina, dalle
Filippine, dal Pakistan, dalla Cina ed infine da talune nazioni
dell'America centro -meridionale (Salvador, Argentina, Brasile,
Perù, Equador, e Venezuela).
In un primo tempo, in assenza di
un'adeguata normativa che
disciplinasse opportunamente il flusso immigratorio, l'Italia è
stata colta impreparata a questa nuova realtà. Le pesanti
ripercussioni sociali che ne sono conseguite (aumento della
criminalità e della prostituzione, carenza di alloggi, forte
impatto sulle strutture sanitarie, attriti di natura culturale
e comportamentale), pur tenendo conto delle imprescindibili
considerazioni di carattere umanitario, hanno inevitabilmente
generato un diffuso malcontento fra i cittadini, soprattutto in
quelle zone che sono risultate maggiormente colpite dal
fenomeno.
Le tensioni progressivamente accumulatesi sono state
ulteriormente amplificate dagli atteggiamenti demagogici,
assunti da taluni in nome del "politically correct", volti al
tentativo di azzeramento di alcuni aspetti peculiari della
nostra identità nazionale
nell'illusione che, facendo
tabula rasa dei valori comuni di riferimento, si sarebbe
facilitato l'inserimento dei nuovi venuti.
In un crescendo di xenofilia da parte di una minoranza tanto
iperattiva quanto miope, si è addirittura giunti al paradosso
di propugnare la risibile tesi secondo cui non dovessero essere
gli immigrati a doversi adeguare alle nostre leggi e strutture
sociali, bensì gli italiani avrebbero dovuto adattarsi al loro
modo di vivere e di pensare, facendo conseguentemente compiere
alla nostra civiltà un passo indietro di centinaia di anni
(basti pensare in proposito al ruolo della donna nella
società).
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Benchè questa tendenza suicida sia stata da subito
circoscritta ed isolata, è innegabile che in diversi casi nel
frattempo sia stata gravemente umiliata la sensibilità comune
di molti italiani: ricordiamo ad esempio il mancato
festeggiamento del Natale in molte scuole per non "turbare" gli
studenti di fede islamica, l'adozione di regimi alimentari
particolari nelle mense per non somministrare cibi considerati
"impuri" dai musulmani, la colpevole tolleranza nei confronti
del commercio abusivo di griffe e di supporti musicali (cd,
cassette) effettuato alla luce del sole in palese violazione di
norme di carattere amministrativo, tributario e persino penale,
le pause per la preghiera (cinque volte al giorno) che sono
state imposte in alcune fabbriche del nord, la devoluzione di
fondi pubblici per la costruzione di moschee in luogo di opere
di utilità generale, le agevolazioni riconosciute agli
immigrati ai fini delle graduatorie per l'assegnazione di
alloggi di edilizia economico-popolare, il sostegno dei servizi
sociali fortemente sbilanciato a favore degli extraco munitari,
a discapito dei cittadini più deboli di nazionalità italiana.
Solo in tempi recenti il legislatore, resosi finalmente
conto che il fenomeno immigratorio doveva essere gestito come
una risorsa da organizzare anzichè come un problema da tenere
in sordina, è intervenuto per disciplinare in modo efficace la
questione, correlando l'ingresso ed il soggiorno degli
stranieri nel nostro Paese allo svolgimento di un'attività
lavorativa.
La logica che sta alla base di questo provvedimento è semplice,
etica e coerente: partendo dal principio costituzionale che
"l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro", se un immigrato
decide di stabilirsi da noi per sfuggire ad una situazione di
povertà esistente nella nazione da cui proviene, deve venire
per lavorare.
Con il suo lavoro avrà la possibilità di creare benessere per
sè, per la sua famiglia e per la comunità che lo ha accolto,
ottenendo così un'effettiva integrazione economico-sociale.
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In questo caso ovviamente ha diritto a tutte le tutele di cui
gode il c ittadino italiano, senza tuttavia favoritismi di
sorta.
Se invece non intende lavorare onestamente e non vuole
integrarsi nella nuova realtà che lui stesso ha scelto, in
quanto non ritiene che i nostri valori di riferimento siano
confacenti alla sua personalità, è preferibile che lasci subito
il nostro Paese, per tentare di realizzare altrove le sue
particolari aspirazioni di vita.
Si tratta, come è evidente, di una disciplina che è basata
sul rispetto della persona, delle sue scelte e delle sue
aspettative e che ha il pregio di favorire la promozione
dell'individuo attraverso il lavoro, tutelando nel contempo la
sicurezza, l'economia ed i sentimenti della nostra comunità
nazionale.
Il concetto di lavoro tuttavia va inteso nella sua accezione
più ampia.
Se è vero infatti che la gran parte degli immigrati si orienta,
almeno inizialmente, verso forme di lavoro subordinato, non si
può disconoscere che vanno vieppiù diffondendosi anche attività
di impresa e di lavoro autonomo.
Secondo i dati rilevati da l CERVED infatti sono in continua
crescita le imprese regolarmente iscritte nelle camere di
commercio aventi come titolari dei cittadini extracomunitari.
Anche l'esperienza quotidiana peraltro conferma tale
significativo fenomeno. Senza voler certamente cadere nei
luoghi comuni è innegabile che capiti sempre più spesso di
imbattersi in ristoranti cinesi, indiani e brasiliani, in
piccole imprese edili di turchi o slavi, in imprese di pulizie
di romeni, albanesi ed ucraini, in commercianti ambulanti e
piccoli esercizi commerciali di marocchini, tunisini ed
egiziani, in negozi etnici di sudamericani e di africani, in
piccole aziende di confezioni tessili e di pelletteria cinesi,
ecc..
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Secondo i dati diffusi alla fine dello scorso mese di Agosto
i titolari di impresa extracomunitari suddivisi per Stato di
nascita erano i seguenti:
Svizzera
Cina
Senegal
Albania
ex Yugoslavia
Tunisia
Argentina
Romania
Egitto
Venezuela
Nigeria
Stati Uniti
Altri
Totale
13.530
11.718
7.728
5.373
4.664
4.605
3.756
3.721
3.712
2.709
2.080
2.050
2.036
-----67.682
======
Tale propensione all'imprenditorialità, che può assumere
connotati e dimensioni molto diverse a seconda delle differenti
nazionalità coinvolte e delle caratteristiche soggettive dei
singoli individui, è certamente da apprezzare.
Il giudizio favorevole non può tuttavia prescindere dalla
condizione essenziale che vengano rispettate da questi soggetti
le normative italiane che disciplinano le varie attività (ad
esempio l'applicazione del contratto di lavoro ai dipendenti,
la corretta conservazione e preparazione degli alimenti,
l'igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro, l'osservanza
delle norme sul commercio, gli adempimenti previdenziali e
tributari) a tutela dell'interesse generale.
Nei paragrafi che seguono esamineremo in dettaglio gli
aspetti giuridici principali che disciplinano le attività degli
stranieri in I
talia, con particolare riferimento alla
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condizione di reciprocità che ne costituisce il presupposto
fondamentale.
2. La condizione di reciprocità
Il nostro legislatore, sin dai tempi in cui il fenomeno
immigratorio nel nostro Paese era assolutamente trascurabile,
aveva previsto con notevole lungimiranza una disciplina basata
sul criterio della reciprocità.
Infatti, secondo il disposto dell'art. 16 delle disposizioni
preliminari al Codice Civile, "lo straniero è ammesso a godere
dei diritti civili attrib uiti al cittadino a condizione di
reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi
speciali".
L'uguaglianza giuridica sancita da questa norma riguarda
espressamente i diritti civili ed in particolare, come vedremo,
la sfera dei diritti soggettivi.
Tale disposizione legislativa, che trova applicazione sia
per le persone fisiche che per le persone giuridiche, ha lo
scopo di attuare un trattamento giuridico equo e paritario tra
cittadini italiani e stranieri.
Nella concreta realtà, in talune fattispecie di diritti civili,
la norma in esame non trova applicazione: basti pensare ad
esempio al diritto alla libertà di culto.
Mentre in Italia è espressamente garantito a tutti il libero
esercizio della propria fede religiosa, come è noto non
sussiste la medesima libertà per il cittadino italiano che si
trovi in taluni stati stranieri (in particolare nelle nazioni
ove vige l'islamismo più radicale ed in Cina).
Detta disparità si verifica in quanto, sul piano del rispetto
dei diritti fondamentali dell'uomo, q uale è appunto la libertà
religiosa, nelle situazioni in cui le norme internazionali
tutelano l'essere umano in quanto tale, la nostra legislazione
equipara lo straniero al cittadino italiano indipendentemente
dalla sussistenza o meno del requisito della reciprocità.
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Passando ad una seconda importante categoria di diritti
civili aventi natura pubblicistica, i diritti politici, si
rileva che, allo stato attuale, tali diritti sono preclusi allo
straniero, indipendentemente dalla condizione di reciprocità.
E' opportuno peraltro segnalare che è già in atto un movimento
di opinione minoritario che vorrebbe portare a riconoscerli.
Le grandi masse di diseredati che soggiornano miseramente nel
nostro Paese, senza aver assunto la cittadinanza italiana,
infatti talora vengono cinicamente considerate da alcuni un
potenziale ed appetibile serbatoio di voti da far pesare in
sede elettorale anzichè degli esseri umani in cerca
dell'opportunità di una vita decorosa.
Da qui la strategia di ideologizzare opportunamente gli
immigrati e farli accedere in tempi brevi all'elettorato
attivo.
Per il momento fortunatamente quest'operazione, che in ogni
caso denota una scarsa lungimiranza, non ha riscosso molto
successo.
I diritti civili per i quali sussiste la citata condizione
di reciprocità sancita dalle preleggi, con la conseguente
tutela da parte dell'ordinamento, sono invece quelli di
carattere privato che concernono la famiglia, la proprietà ed
il lavoro.
Più precisamente tali diritti possono essere intesi nella più
ampia accezione di libertà concernenti la materia matrimoniale,
successoria, contrattuale e commerciale.
In quest'ottica essi sono direttamente correlati alla capacità
di diritto privato che viene riconosciuta allo straniero,
intesa sia come tutela della personalità che come
legittimazione a prendere parte all'attività economica in
qualità di soggetto privato.
Ebbene, quanto al godimento dei diritti civili appartenenti
alla sfera privatistica che non rientrano fra i diritti
fondamentali dell'uomo, la parific
azione tra il cittadino
italiano e lo straniero è subordinata, come si è detto, alla
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condizione di reciprocità, ovvero all'analoga equiparazione
disposta dallo stato di appartenenza dello straniero.
Il criterio di reciprocità si prefigge in tal modo lo scopo di
dare concreta attuazione al principio di uguaglianza nella
sfera del diritto privato internazionale, inducendo il
legislatore straniero a riconoscere i principali istituti
dell'ordinamento italiano in misura non inferiore a quanto il
nostro Stato sia
disponibile a concedere ai cittadini
stranieri.
L'Italia tuttavia, come è giusto, quantomeno in linea di
principio attribuisce un valore prioritario alla protezione dei
propri cittadini e dei loro interessi all'estero rispetto
all'ammissione dello straniero al godimento dei diritti
contemplati dal proprio diritto privato.
Per questa ragione l'efficacia dell'ordinamento straniero viene
riconosciuta solo dopo che il nostro diritto, in genere più
evoluto, abbia ricevuto idoneo riconoscimento dallo stato
estero.
3. Le modalità di applicazione
Passando ora ad esaminare le concrete modalità di
applicazione del criterio di reciprocità illustrato in
precedenza, possiamo rilevare che la giurisprudenza ha
stabilito che la "conditio sine qua non" è quella del
riconoscimento da parte dello Stato straniero al cittadino
italiano di un diritto identico o simile a quello che il suo
cittadino intenda esercitare in Italia, senza che venga posta
alcuna discriminazione in danno del cittadino italiano.
Non è necessaria la sussistenza di un'assoluta identità ma è
sufficiente l'equivalenza del contenuto tra il diritto italiano
e quello straniero. Detta corrispondenza è naturalmente
soggetta a sindacato giurisdizionale ogniqualvolta i cittadini
stranieri invochino la tutela della nostra autorità
giudiziaria. Essa dovrà, in tale ipotesi, operare un confronto
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del trattamento estero ai cittadini italiani con il trattamento
nazionale italiano per verificarne l'equivalenza.
Tale corrispondenza è desumibile da differenti f
onti: in
primis l'esistenza di accordi tra lo Stato italiano e quello
estero al fine di disporre, in una determinata materia, la
parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri in
generale o nei confronti di determinati stranieri, tra cui
quelli titolari della cittadinanza italiana.
La reciprocità inoltre può presentare natura legislativa, vale
a dire può essere fondata su una disciplina normativa dello
Stato estero che realizzi la parificazione giuridica fra i
cittadini e gli stranieri.
Esiste in fine la cosiddetta reciprocità sostanziale che si
manifesta attraverso una giurisprudenza consolidata, la prassi
amministrativa o comportamenti diffusi e reiterati nel tessuto
sociale dello Stato estero idonei a realizzare, in concreto, un
risultato analogo. L'esame della situazione di fatto, come è
evidente, può essere certamente omesso qualora esistano dei
dati normativi specifici di origine legislativa o pattizia. In
tali casi, infatti, appare alquanto agevole l'indagine sulla
sussistenza della condizione di reciprocità.
Dato che la reciprocità in genere opera con riferimento a
norme straniere (o a fatti che si realizzano in ordinamenti
stranieri), grava sull'interessato l'onere di provarne
l'esistenza al fine di determinare i presupposti per la sua
applicazione.
Passiamo ora ad esaminare una breve casistica
esemplificativa di particolare interesse.
Una prima fattispecie riguardante la Repubblica Islamica
dell'Iran, che è stata risolta un decennio fa da una
risoluzione ministeriale (nota Minister o esteri, Ufficio III,
del 4.2.1992), riguarda l'ammissibilità della partecipazione
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alla costituzione di società a responsabilità limitata da parte
di cittadini iraniani.
Preliminarmente è stato verificato che la normativa iraniana
ammette la possibilità per i cittadini italiani di costituire
società miste (joint ventures) con soggetti iraniani, ponendo
il limite della partecipazione di capitale sociale al 49% e con
l'esclusione di particolari settori strategici come quello
della ricerca e dell'estrazione del petrolio.
Pertanto, nei limiti suindicati, è stato riconosciuto che
sussiste la condizione di reciprocità tra Italia ed Iran sulla
materia in oggetto, con conseguente facoltà, per gli stranieri
di nazionalità iraniana, di intervenire alla stipula di un atto
costitutivo di società a responsabilità limitata nel nostro
Paese.
Un caso analogo è stato risolto, sempre in senso positivo, con
riferimento alla Romania.
La legislazione rumena, infatti, consente la partecipazione di
cittadini stranieri a qualsiasi tipo di società commerciale.
I cittadini stranieri, peraltro, possono detenere anche
l'intero capitale sociale, nonchè rivestire qualsiasi carica
sociale.
Un'altra fattispecie interessante riguarda l'acquisto di beni
immobili in Italia da parte di cittadini svizzeri non
residenti.
Dall'esame della legislazione elvetica in materia di acquisto
di immobili da parte di stranieri, pur con le diverse
caratterizzazioni che assume nei diversi cantoni, la
commissione ministeriale incaricata ha desunto che la
condizione di reciprocità sussista limitatamente all'acquisto
di case o appartamenti da adibire a residenza principale o
secondaria (casa di vacanze).
Qualora poi l'acquisto riguardi anche un terreno, si ritiene
sussistente la condizione di reciprocità se non viene
modificata la effettiva destinazione del fondo.
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Per gli acquisti da parte di imprese svizzere, invece la
condizione di reciprocità è limitata agli immobili da adibire a
sede dell'impresa o da destinare a fini produttivi.
La legislazione elvetica, inf
atti, vieta espressamente gli
investimenti immobiliari di imprese straniere, ad eccezione di
quelli imposti dalla legge (ad esempio le riserve obbligatorie
per le società di assicurazione).
Sempre nell'ambito della materia degli acquisti immobiliari,
è degna di nota l'interpretazione ministeriale riguardo alla
sussistenza della condizione di reciprocità con la Repubblica
Popolare Cinese (nota del Ministero degli Esteri del 17 marzo
1992).
In questo caso si tratta di una reciprocità di natura
sostanziale, atteso che il governo cinese consente al cittadino
straniero di detenere immobili in leasing della durata di 99
anni rinnovabili, talchè si è ritenuto che in tal modo fosse
stato aggirato l'ostacolo del formale riconoscimento ideologico
della proprietà privata, pur offrendone le garanzie, venendo
così a crearsi un vero e proprio mercato immobiliare al quale
hanno accesso i cittadini e le imprese italiane.
Detta nota ministeriale si è invece pronunciata in negativo
relativamente alla costituzione, in I
talia, di società a
responsabilità limitata, con capitale interamente sottoscritto
da cittadini cinesi.
La legislazione cinese, si è al riguardo precisato, prevede che
società a capitale interamente estero possano avviare attività
in Cina solo se preventivamente autorizzate dal competente
Ministero per i rapporti economici e commerciali con l'estero.
Per l'ottenimento di tale autorizzazione dette imprese devono
costituire elemento di sviluppo per l'economia nazionale
cinese. La predetta condizione si conc retizza nell'obbligo di
impiegare tecnologie avanzate nel campo industriale e di
commercializzare la gran parte del loro prodotto fuori dalla
Cina.
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Pertanto,
sensibile
italiani,
tra i due
ostacoli di natura normativa rendono notevolmente
il divario di trattamento tra cittadini cinesi ed
escludendosi in tal modo la condizione di reciprocità
Stati relativamente alla materia enunciata.
Per analoghe ragioni è stata anche esclusa la sussistenza
della condizione di reciprocità con il Bangladesh in ordine
alla costituzione di società con capitale interamente
straniero.
Il governo di questo Stato, infatti, può autorizzare la
creazione di qualsiasi impresa industriale con capitale estero
solo alle seguenti condizioni:
a) che non esista già un'impresa analoga in Bangladesh e la cui
istituzione venga giudicata dal governo locale opportuna;
b) il cui funzionamento non è realizzato in Bangladesh a
livello adeguato al fabbisogno economico e sociale del Paese;
c) che sia suscettibile di contribuire allo sviluppo econ omico
del Paese.
E' evidente, pertanto, in presenza di condizioni così
restrittive, come le possibilità di concreta applicazione
dell'istituto siano, in tale ordinamento, oltremodo esigue.
Singolare è, invece, la posizione dell'ordinamento cipriota
che prevede una serie di limiti, di varia natura, in tema di
costituzione o partecipazione a società di persone fisiche o
giuridiche straniere.
Il legislatore cipriota persegue, essenzialmente, il fine di
tutelare le imprese locali dalla concorrenza internaz ionale o
da eventuali partecipazioni finanziarie di soci stranieri, che
possano ostacolare uno sviluppo autonomo del sistema economico
isolano.
L'intervento dello straniero all'atto costitutivo di una
società è, così, subordinato ad una specifica autorizzazione
della Banca centrale, nonchè all'approvazione da parte di un
apposito Comitato interministeriale composto da tutti i
principali dicasteri economici. Come è facile intuire, detti
limiti non consentono di poter ravvisare, in questo
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ordinamento, la cond izione di reciprocità tra Italia e Cipro
riguardo alla possibile incondizionata partecipazione di una
società, o di una persona fisica, di nazionalità italiana alla
costituzione di una società cipriota.
Tale possibilità è tuttavia ammessa solo in presenza delle
condizioni economiche e finanziarie sopra accennate. In
definitiva, i casi di partecipazione da parte di soggetti
giuridici italiani ad atti costitutivi di società cipriota sono
estremamente limitati e devono essere autorizzati volta per
volta, dalle autorità competenti.
Degna di rilievo è, infine, la legislazione della Federazione
Russa che consente agli stranieri tanto il libero acquisto di
beni mobili e immobili, quanto la partecipazione ad imprese
societarie. Tutte le forme di investimento estero, pertanto,
godono di tutela giuridica piena ed incondizionata,
determinando i presupposti per la verificazione della
condizione di reciprocità.
4. La regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari
La nuova disciplina in materia di immigrazione di cui si è
detto nelle premesse ha introdotto nel nostro ordinamento
l'istituto giuridico del "contratto di soggiorno".
Pur non rientrando in senso stretto nell'oggetto del presente
lavoro, data l'estrema attualità della questione si ritiene
comunque di fornire sinteticamente alcune nozioni essenziali in
merito a questa importante tematica.
Si tratta sostanzialmente della facoltà che viene concessa
allo straniero extracomunitario, presente sul territorio
nazionale, di ottenere un regolare permesso di sog
giorno nel
nostro Paese in conseguenza di un contratto di lavoro
dipendente che preveda, per il datore di lavoro, oltre ai
consueti contenuti, due ulteriori importanti obblighi:
a) raccogliere idonea documentazione relativa alle modalità di
sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero;
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b) farsi carico delle spese di viaggio nel caso di rientro del
lavoratore nel Paese d'origine.
Il legislatore ha inteso così intervenire per porre un
riordino alle numerose situazioni di lavoro irregolare da parte
dei cittadini extracomunitari già presenti sul territorio
nazionale.
A tale scopo è stata recentemente varata una articolata
disciplina in sanatoria, le cui norme di attuazione, relative
agli stranieri che svolgono un lavoro dipendente, sono
contenute nel Decreto Legge n. 195 in vigore dal 10 Settembre
2002.
I termini per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri
extracomunitari in base alla predetta sanatoria scadranno l'11
Novembre 2002.
Il citato decreto prevede che chiunque sia titolare d
i
un'impresa, sia individuale che in forma societaria, ed abbia
dato lavoro irregolarmente ad un cittadino extracomunitario è
tenuto a
presentare un'apposita domanda di regolarizzazione.
In base all'interpretazione letterale della disciplina in
esame, il datore di lavoro deve essere un imprenditore.
Sarebbero quindi esclusi dall'obbligo previsto dalla normativa
i liberi professionisti, gli enti non commerciali e gli enti
pubblici, i quali, pur potendo legalmente assumere del
personale dipendente, non po
ssono essere considerati
imprenditori.
E' opportuno precisare che, per la verità, esistono delle
interpretazioni giuridiche alternative di impostazione meno
restrittiva, ma allo stato attuale appaiono decisamente
minoritarie.
La legge non pone alcun limite nè al numero di lavoratori
che possono essere regolarizzati da ciascun datore di lavoro,
nè al tipo di attività svolta dall'impresa.
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E' necessario tuttavia che il contratto di lavoro assuma
necessariamente una delle seguenti forme:
a) contratto a tempo indeterminato;
b) contratto a tempo determinato che duri almeno un anno;
c) contratto part -time che preveda una retribuzione non
inferiore
ad Euro 439,00 mensili.
Ai fini della sanatoria non sono ritenuti validi i contratti di
lavoro subordinato cosiddetti "speciali", quali l'apprendistato
e la formazione, le collaborazioni coordinate e continuative e
le prestazioni di lavoro occasionale.
La nuova disciplina, nel tentativo di esercitare un'efficace
forma di deterrenza per il futuro nei confronti de
l lavoro
irregolare, prevede delle sanzioni piuttosto pesanti a carico
delle imprese inadempienti.
E' infatti stabilito che il datore di lavoro che occupi alle
proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di
soggiorno sia punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con
l'ammenda di Euro 5.000,00 per ogni lavoratore irregolarmente
occupato.
Per quanto concerne l'onere della verifica della situazione
abitativa che la legge pone a carico del datore di lavoro
intenzionato a regolarizzare un lavoratore extracomunitario, il
punto non è ancora stato sufficientemente chiarito a causa
della formulazione generica della norma.
La disciplina citata comunque non impone all'imprenditore
l'obbligo di procurare un alloggio al dipendente, limitandosi a
prescrivere una "raccolta di idonea documentazione relativa
alle modalità di sistemazione alloggiativa" del lavoratore
straniero.
In pratica, allo stato attuale, si ritiene che possa essere
sufficiente un interessamento generico da parte del datore di
lavoro quale l'acquisizione di una copia del contratto di
locazione (o di comodato) dell'immobile ed il verbale di un
sopralluogo nell'abitazione del dipendente, in modo da rendersi
conto in quale situazione concretamente egli viva.
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La modulistica per presentare la domanda di sanatoria viene
distribuita gratuitamente presso gli uffici postali (busta
azzurra). Ciascun modulo va utilizzato per un solo lavoratore.
La legge stabilisce che le spese per la regolarizzazione, che
ammontano in tutto a Euro 800,00 (di
cui Euro 700,00 quale
versamento forfetario dei contributi previdenziali relativi
agli ultimi tre mesi ed Euro 100,00 per spese amministrative)
per ogni lavoratore extracomunitario, siano integralmente a
carico del datore di lavoro.
Peraltro alcune recenti indagini giornalistiche hanno accertato
che si stanno verificando degli abusi di questa disciplina e
che in molti casi, nella pratica, l'onere della
regolarizzazione viene in realtà sostenuto dall'immigrato.
Dopo aver inoltrato la modulistica debitame nte compilata si
dovrà attendere l'esame della pratica da parte dell'autorità
governativa.
Se non saranno stati riscontrati ostacoli al rilascio del
permesso di soggiorno l'imprenditore verrà convocato in
Prefettura ed entro dieci giorni dovrà stipulare il contratto
di soggiorno con il lavoratore extracomunitario, secondo quanto
dichiarato nella sua richiesta.
Appare opportuno precisare che, nel caso in cui la domanda di
regolarizzazione fosse rigettata, il versamento forfetario dei
contributi previdenziali non sarà restituito al datore di
lavoro.
La permanenza dello straniero sul territorio italiano è
direttamente correlata alla sua situazione lavorativa.
Venendo quindi a cessare il rapporto di lavoro per conclusione
del contratto, per dimissioni, per licenziamento o per altre
cause, il lavoratore extracomunitario regolarizzato avrà sei
mesi di tempo per trovare un altro impiego. Decorso tale
periodo non ci saranno ulteriori proroghe al permesso di
soggiorno ed il soggetto verrà espulso.
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A farsi carico delle spese di viaggio dall'Italia alla sua
nazione d'origine sarà l'ultimo datore di lavoro.
5. Conclusioni
Sulla base di quanto esposto nei paragrafi precedenti è
possibile formulare alcune brevi considerazioni conclusive:
a) Il fenomeno immigratorio nel nostro Paese è relativamente
recente e non ha ancora raggiunto i livelli di altre nazioni
europee e degli Stati Uniti. E' tuttavia prevedibile che la
tendenza in atto vada ulteriormente incrementandosi in
futuro ed
occorre quindi essere preparati in tal senso.
b) Dopo alcuni anni di gestione dell'immigrazione come
"emergenza",
nel corso dei quali, in assenza di normative adeguate, si è
verificato un pesante impatto sulle strutture socio-culturali
preesistenti, il legislatore si è reso conto della necessità
di affrontare la questione in termini pragmatici e non
demagogici, al fine di tutelare la dignità degli immigrati e di
valorizzare nel contempo le risorse che ne derivano per la
nostra nazione, sia in termini umani che economici.
c) In ossequio al dettato della nostra carta costituzionale si
è
così stabilito di correlare la permanenza del cittadino
extracomunitario nel territorio italiano allo svolgimento di
un'attività lavorativa.
La maggior parte degli stranieri che sono venuti a
stabilirsi in
Italia si è orientata per il momento verso
forme di lavoro
dipendente, ma una quota significativa di
essi, in rapida
crescita, ha cominciato a dar vita alle più
disparate attività
imprenditoriali.
d) Fatti salvi i diritti inviolabili della persona, che sono
stati universalmente riconosciuti dal nostro ordinamento
indipendentemente dalla sussistenza di qualsivoglia condizione
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soggettiva od oggettiva, nei rapporti economici con lo
straniero, con riferimento all'esercizio dei diritti civili,
vige il principio della reciprocità.
Ne consegue che ciascuna fattispecie va valutata
attentamente,
sia sotto il profilo giuridico che dal punto
di vista
sostanziale, onde verificare se si concr
etizzi o
meno la
condizione di reciprocità fra i diritti riconosciuti
al
cittadino italiano dallo Stato estero e quelli che lo
straniero
vorrebbe che gli fossero riconosciuti nel nostro
Paese.
LB = Dott. Luca Bisceglie
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