Claudio Giardini. Osservazioni, riferimenti e commenti al San
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Claudio Giardini. Osservazioni, riferimenti e commenti al San
Claudio Giardini OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE DIPINTO DAL GUERCINO PER FANO NEL 1661 E “ENLEVÉ LE 3 VENTÔSE, 5ÈME ANNÉE DE LA REPUBLIQUE” [21 FEBBRAIO 1797] Notevole è il corpus di opere che il pittore Giovan Francesco Barbieri da Cento, detto Guercino, eseguì per casati nobiliari e congregazioni conventuali delle Marche1 nel periodo della sua più esaltante maturità artistica e, cioè, all’incirca dal 1631 al 1666, anno della sua morte. Si ipotizzano almeno una trentina di dipinti, anche se le risultanze odierne2 indicano tale consistenza solo in dodici opere di cui undici ancora in loco mentre una, per vicende belliche connesse al periodo napoleonico, è emigrata in terra di Francia3. Questo fatto evidenzia con buona certezza come i rapporti del Guercino con il territorio a sud di Bologna comprendente le Marche non disgiunte dalle contigue Romagne, siano stati stretti, intensi e proficui, soprattutto quando, dopo la morte di Guido Reni (1642), egli decise di spostare la sua bottega “oramai capace di un grande volume di lavoro” da Cento a Bologna ed anche dopo la scomparsa del pesarese Simone Cantarini (1648) che determinò la conseguente “mancanza di artisti locali oramai annegati nel calderone romano”. È interessante seguire la dinamica delle commissioni che dalle Marche salivano a Cento, prima, e a Bologna poi - sulla medesima scia che era stata utilizzata per arrivare in precedenza a Ludovico Carracci, Guido Reni e quindi al Domenichino, a Francesco Albani, ad Alessandro Tiarini - per richiedere opere d’arte a un pittore ormai famoso ed affermato e nel contempo vedere come Guercino acquisisse al raggio d’azione della propria clientela queste zone ritenute “fertili”per il mercato della produzione devozionale, alla luce di assenza pressoché totale di concorrenza.4 Ciò posto, in una maturazione artistica che intorno ai quarant’anni portò l’artista ad elaborare tematiche proprie della sua intimità con una poetica oramai protesa alla realizzazione di figure dai gesti e dai sentimenti ponderati e calmi, resi in una luce diffusa e ferma ed in una esaltazione di colori limpidi quasi smaltati ed in una magica fusione di “monumentalité et legèreté, romantisme et intimité, recherche de l’idéal et naturel humain”,5 Guercino riceve nel 1661 una commissione da parte di padre Ettore Ghislieri dell’Ordine di San Filippo Neri (Oratoriani) direttamente in Bologna per la realizzazione di un San Giovanni nel deserto per conto della nobile famiglia fanese degli Alavolini, titolari di una cappella di juspatronato, la seconda a destra entrando nella Chiesa di San Pietro in Valle di Fano che essi venivano opportunamente risistemando. Il dipinto risulta infatti già pagato nell’ottobre del 1661: “Adì 16. di Ottobre 1661. Dal Molto R.do Pre: Etore Ghiselieri si e ricevuto Ducatoni Cento quaranta, per il Quadro del San. Giovani nel deserto fatto per la Città di Fano. fano in tutto L. 700 che sono Scudi 175-0”. La somma, registrata come d’abitudine nelle diverse valute, risulta un po’ al di sopra del normale mercato delle opere guercinesche che dal 1643 al 1666 si aggirava intorno ai 100-120 scudi per una figura intera6. Il padre Ettore Ghislieri, incaricato di far arrivare il danaro da Fano a Bologna, apparteneva a una delle famiglie senatorie più influenti e importanti della città felsinea ed era anche un collezionista d’arte, nonché amico e mecenate del Guercino; oltre a commissionargli egli stesso diversi dipinti tra cui un San Giovanni Battista nel 1644, un San Giuseppe nel 1649 e una Madonna col Bambino nel 1662 quale integrazione apicale Giovan Francesco Barbieri detto Guercino, San Giovanni Battista alla fonte, 1661, olio su tela, cm 243 x 169, Musée Fabre, Montpellier Agglomération (già Fano, Chiesa di San Pietro in Valle, Cappella Alavolini) ©cliché Frédéric Jaulmes 79 ad una pala raffigurante la Visione (o Estasi) di San Filippo Neri dipinta una quindicina di anni prima (1646-47) per gli Oratoriani nella chiesa bolognese della Madonna di Galliera7, lo aveva chiamato a insegnare presso l’Accademia, detta anche “degli Ottenebrati”, da lui fondata a Bologna nel 1646. Pare che su consiglio e suggerimento del canonico Malvasia avesse creato questa Scuola artistica del nudo, organizzata e sistemata nel proprio palazzo di città, ove si alternarono quali maestri e regolatori anche artisti del calibro di Alessandro Tiarini, di Francesco Albani, di Giovanni Andrea Sirani e di Michele Desubleo. La scuola rimase operativa per circa sei anni, fino verso il 1652, quando il nobile bolognese decise di entrare nell’ordine degli Oratoriani detti anche Filippini, da San Filippo Neri loro fondatore8. L’interessamento del Ghislieri era dovuto al fatto che anche la chiesa fanese era di pertinenza della congregazione oratoriana che si era insediata in città fin dai primi del Seicento - la Bolla papale di approvazione è del 1607 - e che per tutto il secolo si prodigò nella costruzione, decorazione, abbellimento e completamento della chiesa, delle attigue case di ospitalità e, dal 1681, anche dell’annessa biblioteca9. Gli Alavolini stavano proprio in quel tempo sistemando la cappella di famiglia in San Pietro in Valle, appena ottenuta in juspatronato, come attestano due lapidi ancora in loco recanti le date del 1660 e del 1661, citanti l’una Lorenzo Alavolini e la moglie Gentile Bertozzi e l’altra il figlio Papirio e la moglie Giulia Uffreducci intenti, soprattutto i secondi, ad esaudire i voti per la realizzazione di un luogo ove esercitare la pietas familiare.10 La tematica raffigurativa era stata indirizzata, su suggerimento degli stessi Padri filippini, verso le storie di San Giovanni Battista fin dal 1628, quando la cappella, a seguito della morte della proprietaria, la vedova di Giovan Battista Vignattoli che l’aveva acquistata qualche anno prima, intorno al 1624, era rimasta “senza ornamenti, senza decoro, rozza e disdicente”: essi si erano quindi indirizzati verso un tal Nicola stuccatore11 e ne affidavano la gestione in condivisione con le Monache del Convento del Corpus Domini in quanto, essendo la cappella inalienabile per testamento, queste si erano accollate l’organizzazione per l’officiatura di quattro messe. La scelta per rendere appunto la cappella meno “rozza e disdicente” era caduta sul pesarese Gian Giacomo Pandolfi, pittore dai colori assai sfumati ma anche un po’ truci se non violenti e crudi, cui era stato affidato il compito di illustrare il “sacello” con cinque opere: due poste ai lati, di spalla, raffiguranti la Nascita e la De80 collazione, mentre tre venivano collocate sulla volta tra le cornici modanate degli stucchi con Scene della predicazione per la somma “di ottanta scudi oltre agli azzurri fini e le mance”12. Intorno al 1640-44, essendo l’altare centrale passato per cinquanta scudi alla nobildonna Chiara Sperandio, questa si accollava il compito di far dipingere e collocare il quadro dell’altare raffigurante San Giovanni Battista a un pittore monaco camaldolese indicato come padre Venanzo l’eremita13. Le difficoltà economiche incontrate determinarono la necessità di ricorrere addirittura all’aiuto di papa Alessandro VII che con Breve del 15 luglio 1660 mise a disposizione ulteriori trentanove scudi e cinquanta centesimi ed inoltre costrinsero i confratelli, sempre nello stesso anno, ad aggirare il testamento col permettere che la cappella fosse aggiudicata in proprietà al nobile fanese Lorenzo Danieli Alavolini ed a suo figlio Papirio.14 Questi nell’ottemperare ai desideri del padre morto in quello stesso anno all’età di 73 anni e lì sepolto nella cappella di famiglia appena acquisita15, provvide a sostituire con il dipinto del Guercino quello precedente di Venanzio, molto probabilmente ritirato dai Padri filippini, preferendosi avere l’opera di un artista più à la page e già introdotto nel milieu culturale e nobiliare cittadino. Non sarà inutile ricordare come a Fano fossero infatti già presenti tre dipinti del pittore centese: l’Angelo custode del 1641, commissionato e pagato direttamente da Vincenzo Nolfi per la Cappella di famiglia nella Chiesa di Sant’Agostino (già Santa Lucia); lo Sposalizio della Vergine del 1649 commissionato e saldato da Francesco Sperandio, Auditore in Bologna della Sacra Rota, a nome del cognato Alessandro Mariotti per la Cappella di famiglia nella Chiesa di San Paterniano, ed una Santa Maria Maddalena del 1652 per un altare laterale della chiesa di San Daniele, dalla storia artistica piuttosto intricata16. Vale la pena argomentare, anche se brevemente, su questo terzo dipinto scarsamente individuato e mai messo con la dovuta attenzione nel novero delle opere fanesi dell’artista centese ora che forse si ha la fortuna di meglio registrare la primaria segnalazione di Rodolfo Battistini del 1989, il quale ne veniva a conoscenza rinvenendo nei fondi manoscritti della Biblioteca Federiciana di Fano una lettera del pittore del 15 agosto 1665, indirizzata a Vincenzo Nolfi17. In essa Guercino, oramai settantaquattrenne, esponeva con lucidità le problematiche connesse al deterioramento precocissimo di un dipinto (“...sij in così breve tempo rovinato... Il suo male certo che sarà stato l’ardente raggio del Sole che percotendolo quotidianamente l’à ridotto OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE al termine presente”) raffigurante una Maddalena, che gli veniva segnalato da uno dei mediatori che ruotavano intorno alla sua bottega (“...si come gli ne può attestar il Sig. Abb. Certani, quale appunto mi lesse una lettera sopra ciò.”). La lettera che segnalava l’inconveniente era stata portata a Bologna dall’abate Certani18 ed apparteneva ad una monaca, nipote del Nolfi (“La risoluzione della Signora Monaca sua Nobilissima Nipote di farmi dar parte di questo, è stata ottima perché talora il trascurar un male diviene poi incurabile.”). Guercino scarta l’ipotesa ventilata dalla religiosa di rimandargli il quadro a Bologna per il restauro (“Il rimandarmi costà il quadro perché io lo rimedij si faria piuttosto male che bene...”) così come i mali della vecchiaia non gli fanno prendere in considerazione di programmare un viaggio a Fano ma egli, con un po’ di mestiere, propone che della cosa se ne interessino i nipoti che sono versati e competenti (“...perché leverebbero col colore quelle macchie ch’ora vi sono, e vi farebbero quello vi sarà bisognevole con quella premura e diligenza che se fosse io medesimo…”). Questa, come ben argomenta Battistini, è una notizia che consente di meglio registrare la presenza di opere di stampo guercinesco a Fano e riconducibili a pittori della bottega del maestro. Giuseppe Castellani, in suo studio apparso nella Rassegna bibliografica dell’arte italiana del 1900, riporta da un manoscritto in suo possesso intorno a dipinti in chiese fanesi databile all’ultimo quarto del XVIII secolo, di alcune opere guercinesche presso la chiesa di San Paterniano “Sebbene non si possa prestare molta fede alle attribuzioni dell’anonimo autore che incorre in molti e grossolani errori pure sarà bene ricordare che egli assegna due o tre dei quadri posti sopra il cornicione di S. Paterniano al Guercino e gli altri al Gennari suo nipote [Benedetto?]”: nella stessa chiesa il Castellani ricorda Una Fama che piega le mani e guarda il cielo pure del Guercino19. Avvalora e conforta le notizie contenute nella lettera dell’artista l’attenta lettura del Libro dei conti, che in effetti alla data dell’11 marzo del 1652 - e quindi all’incirca tredici anni prima - riporta il pagamento a saldo per un dipinto raffigurante una Santa Maria Maddalena da parte di tal padre Leone, prete barnabita nella chiesa bolognese di San Paolo Maggiore20, su istanza del cardinal Marcello di Santacroce, e che registra tra le voci collaterali di spesa anche quella per il pagamento dell’imballaggio di una cassa, “per Mandar a fano il quadro”: “Adì 11. Marzo, 1652-Dal Mol.o R.do P: D: Leone di S: Paolo si è riceuto, per Saldo et ultimo pagamento per la S: Maria Madalena fatto ad instancia del Eme.mo Santa Croce ducatoni n:o 67 fa:no L.335-Auendo ancora pagate la zuro oltra:no [l’azzurro oltremarino] che ui ne ando in opra due onze, Costo L.20per la Tella, per il Medemo quadro, Costo L. 12-la Casetta, per Mandar a fano il quadro L. 4-fano poi in Tutto ducatoni n:0 7. L.1 fa:no L. 371 che fano in Tutto, Schudi 92 L.3.0-”21. La nipote di Vincenzo Nolfi fattasi monaca a Fano, che Guercino nella lettera indica quattro volte come “Signora Monaca, sua Nobilissima Nipote”, “la Monacha”, “Sig. Monacha” e ancora “Sig. Monacha” - tra l’altro è interessante vedere come in uno dei fogli allegati al Libro dei conti compaia nel resoconto di fine anno 1650 una “Sig.ra Monaca” quale intestataria di un prestito avuto dal Guercino22 - potrebbe essere identificata con una parente del Nolfi ma difficilmente ci si potrà riferire ad una nipote. Giulia Uffreducci, moglie di Papirio Alavolini e sorella di Ippolita, moglie di Vincenzo, non ebbe figli23 né negli alberi genealogici dei Galassi e dei Nolfi si rintracciano parentele nepotali femminili: l’unica via porta ad una Uffreducci, suor Teresa, sorella di Giulia ed Ippolita che si era fatta monaca agostiniana nel convento di San Daniele24. Guercino, La Maddalena penitente (1649), New York, Collezione privata 81 Il cardinale romano Marcello di Santacroce che nel Libro dei conti compare l’unica volta in questa occasione25 fu vice legato di Bologna dal 23 luglio 1649 al 17 settembre 1650, sotto il cardinal legato Fabrizio Savelli, grande estimatore e committente di opere del Guercino26: il porporato compare infatti spesso nel Libro dei conti come destinatario di suoi dipinti. Secondo Denis Mahon, che vedeva Fabrizio Savelli come “amante della pittura, il quale tuttavia non era avverso a rivendere con un profitto le opere d’arte da poco acquistate”, sono almeno cinque/sei i dipinti commissionati dal legato papale al Barbieri tra cui anche una Maddalena penitente che risulta pagata tra il 22 novembre 1649 ed il febbraio 165027. Porrei l’attenzione su questa Maddalena penitente, di cui il Savelli comunque si disamorerà subito tanto da porla in vendita con altri due santi guercineschi già nel 1650, sia per l’identico soggetto28 sia perché potrebbe essere stata “sinopia” al dipinto fanese che come s’è detto fu ordinato nell’agosto del 1651 e Guercino, prostrato ancora per la morte del Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1641), Vienna, Kunsthistoriches Museum 82 fratello Paolo (27 giugno 1649), essere mentalmente ancorato, visto il breve lasso di tempo tra le due esecuzioni, alla stessa poetica artistica. Condivido l’accenno che fa Stone allorchè, presentando una Maddalena nel deserto appartenente alla serie dei quattro dipinti realizzati da Guercino per la propria casa nel periodo 1652-1655, la dice “modellata” sulla falsariga della Maddalena/Savelli29. È risaputo inoltre che Guercino accettò anche la cortesia del duca di Modena Francesco I d’Este che, per lenirgli la profonda depressione in cui era caduto, gli aveva messo a disposizione alcune dimore del ducato30. Da rimarcare inoltre che il vice-legato Marcello di Santacroce non era più a Bologna da circa due anni quando il quadro fu pagato, per cui venne registrato solo un suo sollecito (“ad instancia dell’Em:mo Santa Croce”) attraverso il padre barnabita, forse per soddisfare l’interessamento dello stesso cardinal legato Savelli, anch’egli da pochissimo tempo rientrato nella sua Diocesi di Salerno (1652): non m’è riuscito purtroppo di trovare un legame tra i tre religiosi e la “sig.ra Monacha” e Vincenzo Nolfi che potesse giustificare l’operare per loro conto presso il Guercino. Una connessione la si potrebbe intravedere nel fatto che lo zio di Marcello Santacroce, Antonio, anch’egli cardinale, fu Legato di Bologna dal giugno 1631 al maggio 1634 ma soprattutto fu vescovo di Urbino dal 1636 al 1639 - è il periodo del traumatico dissolvimento del Ducato urbinate - e in quella occasione potrebbe aver stretto legami con Vincenzo Nolfi, rinverditi forse col nipote intorno agli anni cinquanta, durante il periodo bolognese, quando anche il nobile fanese vi si recava per motivi legati alla stampa di sue opere, ad esempio il Bellerofonte ristampato nel 1649 dagli Eredi di Evangelista Dozza, esperti in stampa di libretti musicali e attivi a Bologna dal 1641 al 165531. Va comunque detto, ad onor del vero, che Vincenzo era solito trattare personalmente gli affari e così aveva fatto a suo tempo con Giovan Francesco: l’artista inizia infatti la lettera citata col ricordare la realizzazione, nel lontano 1641 (pagamento del 12 ottobre), del “Santo Angelo Custode”32, individuando Vincenzo molto probabilmente come colui che si sarebbe fatto carico del pagamento del restauro della Santa Maria Maddalena. Dal testo della lettera si arguisce che il quadro è a Fano (“...che io sia per portarmi in queste parti...”33), chiarendo soprattutto così le discordanti indicazioni registrate tra il saldo dell’11 marzo 1652, dove risulta inviato a Fano, il foglio riepilogativo del 1651, dove si trova scritto che il dipinto era stato mandato a Roma e il conto del 9 agosto del 1651, dove è citata solo la caparra e OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE non compare alcunché34. Posto non possa trattarsi di due lavori distinti, la figura del padre barnabita che è presente in entrambe le registrazioni per un identico soggetto tende ad imporre l’esclusione di tale situazione, il legame intorno al dipinto rimane in effetti proprio il religioso (padre Leone di San Paolo); alla lettura dei documenti contabili di Casa Barbieri, sarei inoltre più propenso a credere alla registrazione del momento della consegna piuttosto che al resoconto di fine anno che, scritto sul filo della memoria, potrebbe non essere stato ricordato in maniera esatta, confuso magari dai movimenti di fine mandato dei due rappresentanti papali (Legato e Vice-legato). Aggiungerei infine come Guercino nello scrivere a Vincenzo Nolfi potrebbe aver equivocato nel citare la parentela (nipote in luogo di cognata); il ruolo della “sig.ra monaca” che può mandare lettere da un convento e può disporre di una rete di committenti e mediatori nella commissione di un quadro è certamente prerogativa di una badessa come poteva essere suor Teresa Uffreducci,la sorella della moglie, che nel suo testamento in effetti la indica come “Rev.da Madre”35. È accettabile l’idea che Suor Teresa intorno al 1650, entrando in convento, possa aver portato come omaggio della propria famiglia un quadro importante da collocare in chiesa. Vincenzo Nolfi nel proprio testamento del marzo 1665 non ricorda alcuna nipote monaca e menziona solo le suore Carmelitane scalze del Convento di Santa Teresa (“...item lascio alle Monache di S. Teresa i miei due vasetti d’argento...”), anche se a dire il vero una cugina (“consubrina”) del padre adottivo Guido, suor Maria Nolfi, nel 1627 risulta proprio Abbadessa del convento di San Daniele ma con date anagrafiche che portano ad escluderla da una parte attiva nella commissione del dipinto qui in questione; va annotato,comunque, come questa suora risulti erede-destinataria di un quadro conservato nella casa romana di Guido Nolfi raffigurante una Annunciazione 36. Ippolita, moglie di Vincenzo, nel suo testamento del 19 settembre 1662 mostra di avere in qualche modo più stretti rapporti del marito con le suore Agostiniane di San Daniele, ricordandosi della sorella suor Teresa, ivi monacatasi37: peraltro il latore della lettera intorno al dipinto fanese recapitata al Guercino è l’abate Giacomo Certani, già Canonico Regolare Lateranense in San Giovanni in Monte a Bologna così come l’Ordine monastico femminile del Convento di San Daniele di Fano era di pertinenza delle Monache Agostiniane Canonichesse Regolari Lateranensi dette comunemente Rocchettine ed il Certani in quegli anni si trovava ad esercitare il ministero sacerdotale proprio nei territori dell’Alta Marca (Senigallia)38. Vale infine la pena di evidenziare che il pittore centese attribuisce il guasto del dipinto al battervi quotidiano dei raggi solari; cosa che, escludendo la collocazione in una cella o in un corridoio claustrale, può invece accadere attraverso l’obliqua luce filtrante dalle alte finestre di una chiesa su un quadro di buone dimensioni39, magari una piccola pala d’altare: leggendo infatti il Tomani Amiani (1853) si apprende che nella chiesa del convento di San Daniele “... si volle intitolato a S. Maria Maddalena un minor altare, ove però non è tela che meriti di essere annotata…”40 pur in un giudizio storico artistico non lusinghiero: il quadro potrebbe infatti non essere stato riparato41 e quindi, duecento anni dopo, risultare assai rovinato da non consentirne una facile e buona lettura e, quindi, non essere apprezzato. Tornando al commento del San Giovanni Battista, quarta realizzazione guercinesca per Fano e penultima per le Marche42, una lettura delle due lapidi presenti nella cappella Alavolini fornirà certamente una migliore comprensione degli avvenimenti: D[eo]. T[emporis]. V[ictori]. / LAURENTIUS. FAN[ensis]. PATR[icius]. QUEM. ATTILIUS. MILITIAE. DUX /AB. ANTIQUA. CLARAQUE. ORTUS. ALAVOLINOR[um]. FAMILIA/ ATQUE. CONSTANTIA. DANIELLIA. GENUERE. SACELLUM/ HOC. MAGNIFICENTIUS. INTEGRANDUM. CULTUQUE/ REI. SACRAE. AUGENDUM. SUSCEPIT/ SED. AD. COELUM. EVOCATUS. PIUM. OPUS. PAPYRIO/ EX. GENTILI. BERTOTIA. UXORE. FILIO. CONFICIENDUM/ LEGAVIT. POSTREMO. VIAS. SUAS. OPTIME. DIRECTAS/ CLAUSIT. IN. SEPULCRO. ANNO. MDCLX/ AETATIS. SUAE. LXXIII. (A Dio vincitore del tempo(?). Lorenzo patrizio fanese, nato dal condottiero Attilio della nobile e antica famiglia Alavolini e da Costanza Danieli, fece rimettere splendidamente a nuovo questa cappella abbellendola di ornamenti sacri. Chiamato però in cielo lasciò per testamento che questa pia opera fosse portata a termine da Papyrio, [suo] figlio nato dalla moglie Gentile Bertozzi, cosicché dopo aver ottimamente percorso il proprio cammino [terreno] lo concluse [qui] nel sepolcro nell’anno 1660, settantatreesimo della sua vita). D[eo]. T[emporis]. V[ictori]. / EN. SACELLUM. UBI PAPYRIUS ALAVOLINUS I[uris]. U[triusq ue].I[lle].C[onsultus]./ PATERNAE. PIETATIS. ET. SUA. VOTA. PERSOLVIT/ IAM INSIGNI 83 (A Dio vincitore del tempo(?). Ecco la cappella dove Papyrio Alavolini, esperto di entrambi i diritti, sciolse i voti della devozione paterna ed anche i suoi: ha già ornato l’altare con lo straordinario ritratto del Precursore [di Cristo] e ha cura che una messa sia celebrata tutti i giorni. Inoltre egli e la moglie Giulia Uffreducci prima di dissolversi nelle ceneri implorano il fuoco dell’amore divino dal Santo [Giovanni Battista] che fu lucerna ardente. 166143. è infatti collocato all’aperto e seduto su una pietra, nell’atto di bere da una ciotola45. Ciò detto, i riferimento vanno dal San Giovanni nel deserto eseguito nel 1641 per l’Imperatore d’Austria ed oggi conservato al Kunsthistoriches Museum di Vienna; a quello del 1650 per i Redolfini di Cento, da collocare nella loro cappella nella chiesa del SS. Rosario di Cento ed oggi nella Pinacoteca Civica della medesima città; a quello del 1652 per il Cardinal Fabrizio Savelli poi passato ai Ludovisi Albergati per essere infine donato a Papa Innocenzo X (Pamphili) ed oggi conservato nella Galleria Doria Pamphili a Roma; a quello ancora del 1652 di ispirazione personale realizzato, infatti, quale componente di una serie penitenziale di quattro dipinti per arredare le pareti della casa bolognese e forse oggi, dopo diverse vicissitudini mercantili, individuabile nel La commissione che gli perveniva da Fano attraverso l’amico Ettore Ghislieri per un San Giovanni Battista nel deserto (o alla fonte) dovette suscitare particolare attenzione in Giovan Francesco che si era cimentato non poco in una siffatta raffigurazione da far ritenere che il Battista fosse uno dei suoi Santi prediletti, pur in una dinamica di scelta altrui. Risultano infatti direttamente conosciute o connesse almeno sette realizzazioni a figura intera mentre nove sono quelle a mezza figura ed altrettante in scene più articolate della vita del Battista44. Esse coprono tutto l’arco della poetica matura di Guercino, all’incirca dal 1632 al 1661, terminando proprio con l’anno del dipinto collocato in San Pietro in Valle, a significare come l’espressione artistica del pittore centese, pur esclusivamente tesa ad una tematica religiosa e sacra in tale figura e soggetto, nell’occasione fanese abbia completato una poetica artistica preferenziale; Guercino com’è noto morirà di lì a cinque anni nel 1666. Almeno in sei dipinti dei nove usciti dall’atelier guercinesco con soggetto il profeta Precursore di Cristo credo possa cogliersi la connaturata e profonda dimostrazione di questa sua intimistica devozionalità, in una tangenza figurativa straordinaria nonostante alcune obbligate varianti, a riprova di un archetipo mentale ben fissato nella concezione artistica del pittore. Non è da escludere, inoltre, come Guercino possa aver intrapreso le poetiche esecutive a seguito dell’osservazione di un dipinto di Giuliano Bugiardini del primo quarto del XVI secolo e raffigurante il Battista, posto ai suoi tempi, a seguito della donazione del poeta Giovanni da Casio della nobile famiglia de’ Pandolfi da Casio, nella sagrestia del complesso di Santo Stefano a Bologna: il precursore di Cristo Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1650), Cento, Pinacoteca Civica (Archivio Fotografico Pinacoteca Civica “Il Guercino” di Cento) PRAECURSORIS EFFIGIE/ ARAM EXORNAVIT/ ET. MISSAM. QUOTIDIE. CELEBRANDAM. CURAT/ INTERIM. IPSE. AC. IULIA. UFFREDUCCIA. CONIUX/ A. DIVO. QUI. FUIT. LUCERNA. ARDENS/ PRIUSQUAM. SOLVANTUR. IN. CINERES/ SUPERNI. AMORIS. IGNEM. EXPOSCU[N]T. MDCLXI. 84 OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE dipinto della Richard L. Feigen & Co. Art Gallery di New York; a quello del 1653-55 per la chiesa di San Giovanni Battista in Feliceto dei Frati Francescani Minori Cappuccini di Forlì che, scampato alla “concentrazione” braidense successivamente al dissolvimento del napoleonico Regno Italico, oggi si trova conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì; a quello, oggetto del presente studio, del 1661 per gli Alavolini di Fano da collocare nella loro cappella di juspatronato nella chiesa di San Pietro in Valle di Fano che, enlevé nel 1797 e non fortunato come il confratello forlivese - fu, infatti, usato da Canova, come molti altri, in scambio per ottenere la buona disposizione di Luigi XVIII - oggi si trova al Museo Fabre di Montpellier46. La rappresentazione del Battista con il mantello rosso simbolo del martirio assorbe ed annulla completamente la descrizione evangelica, appena relegata ad un accenno figurativo, che lo voleva vestito di peli di cammello e di una cintura di pelle attorno ai fianchi (Marco: 1,6); comune è anche la allogazione scenografica che pur dovendo evidenziare il deserto mostra invece un cielo azzurro e le nuvole grigie con accenno alla configurazione naturale di una grotta. In due Guercino, San Giovanni Battista alla fonte (1652), Roma, Galleria Doria Pamphilj dipinti, tra cui quello fanese, Guercino aggiunge una pecora, posta obliquamente in quello di Forlì mentre frontale risulta in quello di Fano. A completare queste segnalazioni porrei l’accento anche sul fatto che nelle tre edizioni oggi a Vienna, Cento e Forlì, Giovanni è raffigurato con il braccio destro alzato ed il dito rivolto in alto ad indicare il cielo (il luogo della Trinità) mentre in altre tre, oggi a Roma, New York e Montpellier, il Battista è intento con una ciotola a raccogliere l’acqua sgorgante dalla roccia, venendo quindi identificato con la realtà del suo nome: se è vero che l’acqua lo disseterà durante la sua penitenza nel deserto, è anche vero che il pensiero da trasmettere a chi osserva è che con quell’acqua egli battezzerà Gesù Cristo, il figlio di Dio, azione principale della sua vita. Nell’esame di queste parametrazioni non posso infine esimermi dall’evidenziare come nei dipinti di Cento, Forlì e Montpellier (già a Fano) la postura del Santo, che è ritratto seduto, è alquanto dubbia con un incrocio di gambe poco verosimile e precario da rendergli difficile la staticità. Dei quadri presenti in città il San Giovanni Battista alla fonte del Guercino unitamente alla Consegna delle chiavi di Guido Reni entrerà da subito nella visite odeporiche settecentesche del Gran Tour, usufruendo ovviamente del richiamo del completamento dell’“acconciatura” barocca della chiesa di San Pietro in Valle (1710) che ottenne così la preferenza e la promozione da parte dei viaggiatori-visitatori i quali si potevano avvalere in città anche di una guida fresca di stampa (1740 ca.) seppure anonima di redazione, realizzata, oltre che per una conoscenza generale “...sicchè quando uno voglia osservarli [i Quadri], abbia comodamente sotto gli occhi, e i luoghi dove si trovano, e i Nomi degli Autori, che li colorirono, anche ad uso dei visitatori di passaggio... a quei Forestieri vaghissimi, per altro, di considerare ogni cosa per maggiormente accrescere la loro erudizione”47. Di non molto successiva (1759) sarà ancora una descrizione particolareggiata delle opere pittoriche conservate in San Pietro in Valle in una pubblicazione, anch’essa anonima, per i tipi di Giuseppe Leonardi ove il dipinto viene apprezzato ed illustrato: “Il Quadro della Cappella di S. Gio: Battista è eccellente Pittura del famoso Gian Francesco Barbieri detto il Guercino da Cento”48. Non sarà difficile ipotizzare quindi come le requisizioni napoleoniche che imperverseranno di li ad una quindicina d’anni siano proprio frutto dell’attenta lettura che i commissari fecero di queste Guide, locali e non, con la sottolineatura che i resoconti d’oltralpe per la città di Fano citavano quasi esclusiva85 mente la chiesa dei Padri Filippini e, in essa, la Consegna delle chiavi di Guido Reni ed il San Giovanni Battista alla fonte del Guercino, segnandone il destino perché questi furono i due quadri asportati ed inviati al Louvre. Fu infatti il francese Joseph-Nicolas Cochin nella sua venuta in Italia del 1749 come accompagnatore, con altri, del marchese de Vandières, fratello della potente M.me de Pompadour, il primo straniero, poco meno di novant’anni dopo la sua realizzazione, a segnalare il dipinto nei resoconti di viaggio, pur non apprezzandolo (Second autel à droite, un S. Jean-Baptiste, dit du Guerchin, mou, trop rouge, point beau.)49. Si accodò nelle medesime impressioni critiche circa vent’anni dopo (1765-66) un altro francese, l’astronomo Joseph-Jerôme Lalande di ritorno da Napoli nella sua obliqua risalita lungo la costa adriatica al suo passaggio per Fano (Au second autel de la nef à droite, un S. Jean du Guerchin, figure raide, dure de dessein & de couleur.)50. Toccò invece a Tommaso Massarini nella sua Cronaca fanestre registrare da subito la notizia dell’asportazione della tela guerciniana dalla Chiesa di San Pietro in Valle di Fano raffigurante San Giovanni alla fonte ad opera degli agenti della Commissione Monge51, aggregata alle truppe napoleoniche che seguivano il Generalissimo di ritorno da Tolentino subito dopo la firma del Trattato di Pace con la Santa Sede (19 Febbraio 1797): “21 Febbraio [1797]. Portarono via questa mattina tutti li Argenti rimasti… con due Quadri ch’erano in Chiesa ai Filippini...; l’Altro era il San Giovanni al fonte, opera del Guercino”52. I francesi decisero che le opere da asportare visionate durante il viaggio d’andata - a Fano presumibilmente tra il 6 e l’8 febbraio -, peraltro assai spedito dopo la sconfitta dei papalini a Faenza di alcuni giorni prima (4 febbraio 1797), venissero requisite nel percorso di ritorno, perché l’eventuale malumore provocato nella popolazione non si tramutasse, per le truppe francesi di occupazione, in scaramucce e scontri infiniti nel passaggio a ritro- Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1652), New York, Richard L. Feigen & Co. 86 OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE so53 così da rallentare il passo dell’armata napoleonica che invece doveva risalire velocemente verso il Tirolo a contrastare le velleità austriache non ancora sopite e che furono in effetti prontamente soffocate da minacciare la stessa Vienna, costringendo gli Asburgo a firmare i cosiddetti preliminari di Leoben il 17 aprile 179754. Seppure non ci fosse nessun dubbio sul risultato, bisognava pur aspettare la firma reale del trattato, rispettarne le risultanze e quindi dare seguito alle conseguenze che per i dipinti e le opere d’arte in genere significavano requisizioni: a detta di Monge55 a quelle date il San Giovanni, unitamente ad altre 78 opere provenienti dallo Stato della Chiesa (Marche, Umbria e Roma) e dalla Repubblica di Venezia, già smontato dall’altare, dopo un periodo di concentrazione a Bologna, stava per iniziare il suo interminabile viaggio verso la Francia lungo la direttrice viaria attraverso Genova, Nizza, Antibes, Digne, Gap, Grenoble, Lione, Digione, Parigi56 che durò quasi quattordici mesi per arrivare al Louvre tra il 27 e 28 luglio 1798 in uno spettacolare corteo trionfale57 che ci è stato tramandato sia attraverso la stampa di uno di quei cataloghi (Notice), antesignani delle moderne pubblicazioni58, che principieranno con una cadenza costante, quasi ossessiva, ad elencare le opere del Louvre (Notice des principaux tableaux recueillis en Italie par les commissaires du gouvernement français. - Seconde partie, comprenant ceux de l’Etat de Venise et de Rome, dont l’exposition provisoire aura lieu dans le grand salon du Museum…à compter du 18 brumaire au VII (jeudì 8 novembre 1798). -...in-12, 91 pages, - Tableaux 82.) sia in stampe d’epoca ed anche in un interessante vaso di circa un metro di altezza in porcellana di Sèvres e bronzo dorato realizzato nel 1813 dal pittore Antoine Beranger su disegno dello scultore Achille Joseph Etienne Valois ed entrambi, vaso e disegno, conservati al Museo Internazionale della Ceramica di Sèvres59. Nel 1801, rientrando nel novero di quelli che venivano scelti dall’Amministrazione centrale come “envoi d’ Etat”, opere d’arte cioè giudicate importanti al fine di costituire le collezioni dei musei periferici, il dipinto veniva trasferito all’appositamente costituendo Museo di Strasburgo, tra un Bassano (Bassan. Départ de Jacob/Morte di Giacobbe), un Guido Reni (Vierge, Enfant Jésus et saint Jean/Madonna col Bambino e San Giovannino), un Annibale Carracci (Annibal Carrache. Saint Sébastien/San Sebastiano), un Correggio (Saint Jerôme dans le desert/San Girolamo nel deserto), un Veronese (Alex.[?] Véronèse. Rebecca donnant à l’envoyé d’Abraham/Rebecca ed Eleazar), un Perugino (Perrugino/La Vierge et l’Enfant Jésus/Madonna col Bam- bino), un Dosso (Madeleine aux pieds du Christ/ La Maddalena ai piedi della croce o che asciuga i piedi a Cristo) che venivano indicati come appartenenti alle Antiche Collezioni reali, mentre il nostro dipinto era invece registrato come proveniente dall’Italia (Italie), in compagnia di altri due Perugino, da uno dei quali è stata tratta una incisione da Jean Bein indicata come proveniente “da Raffaello” (Sainte Apolline/Santa Apollonia). L’altro raffigurava La Vierge, l’Enfant Jésus et deux Anges/Madonna col Bambino ed angeli, entrambi correttamente indicanti la provenienza (Perouse/Perugia)60. L’allogazione alsaziana durò non più di una dozzina d’anni ma nel frattempo il pittore, incisore e letterato bolognese, nonché biografo d’artisti locali, Jacopo Alessandro Calvi, detto il Sordino, nel dare alle stampe una esaustiva biografia dell’artista centese (1808) segnalò la tela fanese di San Pietro in Valle dall’Elenco pubblicato in Appendice tratto dal Libro dei conti del Guercino61, non annotando però l’asportazione francese da Fano del febbraio 1797, al contrario di altri dipinti del circondario emiliano-romagnolo a lui certamente più familiare (Cen- Guercino, San Giovanni Battista che predica (1653-1655), Inv. n. 12, Forli, Pinacoteca Civica 87 to, Bologna, Forli) del cui destino in oltralpe egli risulta perfettamente a conoscenza: è il caso della “Gloria di Ognissanti (...una tavola ad olio per la chiesa dello Spirito Santo pure in Cento, ove con buon numero di figure rappresentò il trionfo di tutti i Santi… Ora questa tavola è stata trasportata in Francia)”62 che dal Louvre fu poi destinata al Musée des Augustins di Tolosa; così pure quello di un San Pietro ed un San Bernardino per la Chiesa di San Pietro di Cento ed “...ora trasportate in Francia”: potrebbero essere le due Testine ordinate dal Padre Generale di San Salvatore di Bologna Il dì 31. Gennaro [1646]63 purtroppo non meglio identificate ne individuate; e ancora quello di una Santa Maria Maddalena piangente per l’altare maggiore della Chiesa romana delle Convertite al Corso, realizzata al tempo della chiamata di Guercino a Roma da parte di papa Gregorio XV (Ludovisi) tra il 1623 ed il 1625 e quindi fuori registrazione “contabile” che però Calvi cita “...Roma al presente è priva ancora di questo bel quadro, ch’è uno di quelli trasportati in Francia”64; ancora di una “Circoncisione di Cristo fatta l’anno 1646 per lo altare maggiore della chiesa delle Monache di Gesù e Maria di Bologna… Ora anche questa tavola trovasi in Francia”65, che dal Louvre fu destinata al Musée des Beaux-Arts di Guercino (attr.), San Giovanni Battista nel deserto (1647 ca.), collezione privata 88 Lione; ed ancora di una “Madonna col Bambino che appare a San Bruno (...Questa tavola pure è una di quelle trasportate in Francia)”66; asportata infatti dalla chiesa bolognese della Certosa, dedicata a San Girolamo di Casara, nel 1797 e trasferita al Louvre nel 1798 fa parte di quelle opere recuperate da Canova nel 1815 e restituite nel 1816, che in seguito furono collocate nella Pinacoteca Nazionale di Bologna ove il San Bruno si trova tuttora; ed ancora di un “San Girolamo nel deserto (...posto nella chiesa del Rosario di Cento… Ora è passato in Francia, e in loco d’esso v’è una copia)”67 che dal Louvre è stato poi posto nel 1811 nell’Eglise de la Madeleine di Parigi e in seguito non rivendicato da Canova nel 1815 (Laissé à l’Eglise de la Madeleine)68, nel 1881 spostato nell’Eglise de Saint Thomas d’Aquin sempre di Parigi; e ancora la pala d’altare in San Michele in Bosco col “beato Bernardo Tolomei genuflesso alla presenza della Vergine intanto... porge al detto beato la regola per la sua congregazione Olivetana… Anche il quadro degli Olivetani è stato asportato in Francia”69 ma di esso si sono purtroppo perse le tracce70. La non conoscenza del Calvi dei fatti fanesi, dovuta certamente a una assenza di ricerche in tal senso e circoscritte più che altro, s’accennava poc’anzi, a notizie di ambito bolognese-centese e, come si può intuire anche dalla sua blanda acquiescenza verso quegli atti predatori che egli indica sempre come un “passaggio in Francia” tranne una volta in cui scrive “asportato” - sarà il caso di ricordare che il libro è dedicato alla “Sacra Maestà di Napoleone il Grande, Imperatore dei Francesi, Re d’Italia e Protettore della Confederazione del Reno” -, non impedisce comunque al San Giovanni Battista alla fonte di Fano di rientrare da Strasburgo poco avanti il 1820, se ancora nelle ricognizioni canoviane supportate dagli elenchi (note) portati dal segretario generale dei Musei Vaticani Alessandro D’Este (“...fu perciò di concerto col cardinale Consalvi commesso al mio figlio Alessandro… di attendere a compilarle con sollecitudine e diligenza e poi di raggiungere il Canova a Parigi con esse note, insieme con quelle già conosciute pel trattato di Tolentino.”)71 nell’ottobre del 1815 risulta ancora là (...Pesaro et Fano… Saint Jean, du Guerchin Au Musée de Strasbourg.)72 quando entrerà nella lista di scambio per consentire il ritorno in Italia ad altre opere d’arte entrate a suo tempo nelle“forzose” condizioni del Trattato di Tolentino73. Così a Restaurazione avvenuta, attraverso le registrazioni annuali effettuate dai conservatori del Louvre a partire dal 1816, in cui il dipinto non compare, si dovrà attendere quella del 1820 per ve- OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE derlo ricollocato a rimpinguare la sezione barocca della scuola italiana (Ecole d’Italie) ove viene segnalato, seppure “degradato”: “944. S. Jean dans le désert. Il tient de la main gauche une croix formée d’un roseau, et de la droite une coupe dans la quelle il reçoit l’eau qui jaillit d’un rocher. Tableau de l’école du Guerchin”74. È stato così indicato fino alle ricognizioni catalogali del 184875 con modifica solo del numero inventariale (ad esempio salì al n. 1018 nel 1823 ed al n.1047 nel 1831) fino a che nel 1849 venne riconsiderato da Frédéric Villot, conservateur de la peinture, nell’ambito della riorganizzazione scientifica della pittura italiana presente al Louvre e riattribuito a Guercino con la medesima descrizione del 1820 e con una annotazione aggiuntiva Ancienne collection76, a significare che il dipinto, non meglio indagato nelle sue vicende storiche che comunque nel 1801 nell’invio a Strasburgo lo segnalavano correttamente proveniente dall’Italia77, si faceva risalire alle antiche collezioni reali78; l’annotazione venne ripetuta dal redattore del Catalogo delle pitture anche nella seconda edizione del 1852 benchè fosse riveduta, corretta ed ampliata, con 224 pagine contro le 68 iniziali: a quella italiana venne aggiunta, infatti, la pittura spagnola e difatti si tornò alla corretta paternità del Guercino79. Nonostante tutte le buone intenzioni contenute nell’Avertissement 80, nel 1853 si arrivò addirittura alla settima edizione della Notice e le pagine salirono a 335, al San Giovanni Battista alla fonte di Fano, cui rimane sempre assegnato il n. 59 a p. 31, continuò a venir negata la paternità italiana, preferendosi tenerlo legato alle antiche acquisizioni reali (Collection de François 1er; collection de Louis XIV) o repubblicane fino alla Restaurazione (Collection de l’Empire) e consolandolo solamente con l’esecuzione di due copie proprio in quegli anni (1852 e 1853)81. Dovrà subire dimenticanze e ripensamenti nei lavori di continua catalogazione scientifica delle opere d’arte conservate al Louvre dai successori di Villot come Pierre Paul Both de Tauzia che nel 1878 si corresse, reinserendolo nelle sue Addenda alla Notice di due anni prima (1876) cui era sfuggito82. Nel 1896 venne staccato dal Louvre ed inviato quale prestito di Stato (Dépôt de l’Etat; inv. n. 88) in Linguadoca, ancora una scelta periferica dopo Strasburgo, col compito di corroborare la formazione di una buona consistenza di arte italiana antica all’interno delle collezioni artistiche figurative del Musée “François-Xavier Fabre” di Montpellier (Ecoles d’Italie), andando ad affiancare un altro importante dipinto del Guercino, un’opera giovanile (1618-1620) raffigurante San Francesco in meditazione già presente al Museo fin dal 1828, anno della sua fondazione, quando il pittore François-Xavier Fabre decise di donare gran parte delle sue opere ed anche le collezioni artistiche di sua proprietà alla città natale83. Il museo di Montpellier, scartato inizialmente nell’elenco delle 15 grandi città prese in considerazione dal decreto consolare del 14 fruttidoro84, dopo diverse insistenze e petizioni, era riuscito ad ottenere un apposito decreto l’anno seguente il 16 fruttidoro dell’anno X [3 settembre 1802] e quindi essere considerato deposito abilitato, cioè, con tutte le garanzie tecnico-artistiche per essere destinatario degli Invii statali che gli vennero concessi in numero di trenta tableaux. Recuperato da Ernest Michel, conservatore museale dal 1871 al 190285 che l’aveva accolto nel 1896, il Saint JeanBaptiste è classificato come “attribué à Barbieri” e inserito nel Catalogo più ragionato redatto nel 1904 in prima edizione dall’erudito e letterato allora settantacinquenne Georges d’Albenas che gli era subentrato nel 1902 e che restò alla direzione museale fino alla sua morte avvenuta nel 1914. Nel medesimo periodo gli toccò una citazione anche nella sua città di provenienza ad opera dell’erudito e studioso Giuseppe Castellani che da Savignano sul Rubicone si era deciso a pubblicare un suo lavoro sulla letteratura artistica fanese, segnalando fra i numerosissimi indici, anche un manoscritto di sua proprietà ed oggi conservato nel “Fondo Castellani” della Biblioteca Comunale Federiciana di Fano, Quadri e pitture che vi sono nelle chiese di Fano, in cui Castellani argomenta sulla data del manoscritto portando quale prova di termine ante quem proprio il San Giovanni Battista alla fonte: “Questa compilazione è anteriore agli ultimi anni del secolo scorso [1700] perché ricorda come esistenti il San Pietro di Guido Reni [La consegna delle chiavi] ed il San Giovanni Battista del Guercino in San Pietro [in Valle] che vennero asportati all’epoca dell’invasione francese”86. D’Albenas organizzò l’edizione del 1904 e le successive edizioni (1910, 1911, 1914) del Catalogue anche con riproduzioni fotografiche ovviamente soprattutto per le opere d’arte francesi; comunque gratificò il Saint Jean-Baptiste inserito sempre al n. 620 di una nuova descrizione: Couvert d’une draperie rouge lui couvrant l’épaule et une partie du corps, saint Jean-Baptiste tient à la maine une écuelle de bois, qu’il tend vers un filet d’eau, sortant d’un rocher, à gauche, et dans sa maine gauche, un bâton terminé par une croix; près de lui, à gauche, un mouton. Dépôt de l’ETAT, en 1896 87. È interessante evidenziare come alcuni studiosi d’arte intervenendo poco prima della Grande Guerra nella Rivista scientifica storico-artistica Bulletin de la Société de l’histoire de l’art français 89 intorno alle attribuzioni fatte da Villot e da Both de Tauzia sui dipinti pervenuti al Louvre, abbiano avvertito giustamente la necessità di rivedere le attribuzioni di metà Ottocento - a volte sembra di leggere una vera e propria errata corrige - e di operare inoltre uno studio più approfondito sulle fonti, come la Description raisonnée des peintures du Louvre. Ecoles étrangères: Italie et Espagne 88 di Seymour de Ricci, riconsegnando di conseguenza in toto, all’interno di questa ricognizione, la paternità del dipinto al Guercino: dalla registrazione si apprende inoltre anche la data esatta del suo trasferimento a Montpellier, indicata al 16 maggio 1896 89. Scampato anche ad una erronea segnalazione dell’archivista-bibliotecario della città di Strasburgo che, accomunando le sorti delle Collezioni d’Arte di pittura e scultura conservate da appena un anno all’Aubette, con la distruzione della Biblioteca per via dei tristi accadimenti cittadini nell’agosto-settembre 1870 durante la guerra franco-prussiana, lo riteneva bruciato e quindi andato perduto90, ignorandone il rientro al Louvre da almeno una cinquantina d’anni. Rientra con qualche onore nel Catalogo del 1926, redatto con competenza e sapienza da André Joubin scelto con lungimiranza dall’Amministrazione comunale come successore di d’Albenas all’interno della Facoltà di Lettere dell’Università di Montpellier ove era inserito come chargé des cours de l’histoire de l’art. Egli, approfittando della chiusura del museo a causa della Prima Guerra mondiale, si attivò nel riorganizzare completamente l’inventario delle opere d’arte museali, dotandole ad esempio di una ampia bibliografia di riferimento, sulla scia delle pubblicazioni del Louvre91. L’ottimo lavoro di Joubin non fu comunque sufficiente ad attirare l’attenzione di Marie-Louise Blumer che nella sua esaustiva e straordinaria ricognizione effettuata nel 1936 a completamento dei suoi studi intorno alla ricostruzione delle vicende storiche dei dipinti italiani presenti al Louvre ed ivi entrati in epoca napoleonica, individuati in numero di 509, registra il nostro dipinto in modo pertinente come opera di BARBIERI (Giovanni-Francesco) dit L E GUERCHIN. e come proveniente da Fano, 1797; a seguire indica il passaggio a Paris, 27 juillet 1798., e quindi a Strasbourg, Musée, 1801 anche se poi si perde un attimo distratta dall’incendio delle cannonate prussiane che nel 1870 distrusse il museo strasburghese (Ne figure pas aux catalogues du Musée antérieurs à l’incendie qui l’a détruit en août 1870.)92 e molto probabilmente, anche se appare strano, non le riesce di collegare come il dipinto non possa essere presente all’epoca a Strasburgo e quindi non possa comparire negli 90 inventari per via del suo rientro al Louvre, come si accennava, da almeno cinquant’anni. La studiosa soprattutto non annota il successivo passaggio a Montpellier del 1896, mentre ben registra l’iter di altri tre dipinti requisiti in Italia - uno dalla chiesa di San Pietro di Cremona il 31 luglio 1797 di Jacopo Negretti che la studiosa indica, per un refuso, come Palma il Vecchio (Il massacro degli abitanti di Ippona); uno dalla Galleria Sabauda di Torino nel febbraiomarzo 1799 di Nicolas Poussin (Mosé sale sul monte Sinai) ed uno da Napoli nel 1802 di Andrea Sabatini detto Andrea da Salerno (Visitazione) - che nel tempo presero da Parigi la via dell’Hérault come depositi statali rispettivamente nel 1803 i primi due e nel 1872 il terzo93. È citata inoltre nel regesto approntato la segnalazione, erronea, di un dipinto che la studiosa segnala come proveniente da Fano, requisito anch’esso nel febbraio 1797 raffigurante la Vierge et l’Enfant entourés de la gloire céleste assegnato a Paolo Caliari detto Veronese - è difatti firmato Pauli Caleari - mandato nel 1809 come envoy d’Etat al Museo di Belle Arti di Digione, meglio registrato in seguito come proveniente invece dall’altare maggiore della Chiesa della Confraternita di Sant’ Antonio Abate di Pesaro94. Il Saint Jean-Baptiste à la source nel 1936 si trovava, invece, caparbiamente ancorato alle pareti del Museo Fabre che all’epoca in verità gli prestava poca attenzione, proteso verso una impostazione dello sviluppo dell’arte contemporanea. Un lustro più tardi (1941), durante il periodo della Repubblica di Vichy, seppur temporaneamente, il dipinto venne distaccato, come tutto il resto delle collezioni, per trovar rifugio, in una diaspora di salvezza, nei sotterranei del Castello di Roquedols a Meyrueis nel Dipartimento della Lozère. Torna ad essere segnalato in un dattiloscritto di Jean Claparède, direttore museale a Montpellier dal 1945 al 1965, allorché dopo la Seconda Guerra mondiale il rientro dai rifugi delle opere d’arte aveva imposto una loro risistemazione e riorganizzazione95. Non si riuscì a farlo arrivare dalla Francia per la mostra bolognese del 1968 al Palazzo dell’Archiginnasio (1 settembre - 18 novembre), nell’ambito della VII biennale di Arte Antica, in cui Denis Mahon misurava e consolidava la sua straordinaria competenza intorno alle opere del Guercino - lo studioso nell’occasione si occupava dei dipinti e l’anno dopo dei disegni - e, per quanto ci riguarda, avviava, seppure attraverso altri dipinti, la prima interessante panoramica sulle vicissitudini dei dipinti di Guercino con soggetto San Giovanni Battista, unitamente all’indicazione di quella poetica intimistica e personale che da esso proma- OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE nava96. A seguire le ulteriori citazioni del dipinto sono tutte contenute in forma prettamente inventariale nella lista degli annexes de province (Tableaux déposés par le Louvre) che compare ogni volta che a Parigi viene stampato un nuovo Catalogue di competenza dei vari conservatori e rientrante nella grande operazione editoriale curata da Arnauld Brejon de Lavergnée ed altri, iniziata nel 1979, ove il turno per la nostra opera arriva con una citazione nel 1986 ed una seconda nel 1988 quando si esaminano i dipinti sparsi per le collezioni statali periferiche lasciati “in deposito dal Museo centrale”97. Una ulteriore importante citazione il San Giovanni Battista alla fonte di Fano/Montpellier la ritrova nel 1988 quando Luigi Salerno, con la collaborazione di Denis Mahon, pubblica il suo lavoro su tutta l’opera pittorica del Guercino e per il dipinto fanese ricostruisce, con l’assistenza dello studioso inglese, una stentata quanto imprecisa segnalazione storica98, mentre nello stesso anno (1988) Stephane Loire lo rimarca, in contrapposizione all’imminente apertura della mostra Seicento al Grand Palais di Parigi (11 ottobre 1988-2 gennaio 1989), in uno studio comprendente anche altri dipinti guercineschi che egli indica come peu connus: la préparation d’une exposition consacrée à la peinture italienne du XVIIe siècle d’après les collections des musées de province a fourni l’occasion de revoir systématiquement tous les fonds de ces musées …Cette étude voudrait, en complément des tableaux présentés à l’exposition, apporter quelques précisions concernants certaines des oeuvres des collections françaises 99. Il dipinto trova ancora una veloce citazione nel lavoro sulla catalogazione dei disegni di Guercino e della sua scuola, ben 826 in totale di cui 348 ascrivibili al maestro, già appartenuti a Re Giorgio III e poi conservati nelle Collezioni reali inglesi della Royal Library al Castello di Windsor che vede la luce nel 1989 per opera di Denis Mahon e Nicholas Turner100. Un ulteriore contributo (Le Guerchin en France) è portato nel 1990 con una interessante mostra al Pavillon de Flore (31 maggio-12 ottobre) ancora da Stephane Loire che, in qualità di conservatore al Museo del Louvre per la pittura italiana bolognese di epoca barocca, sviluppa con competenza il discorso avviato nel saggio precedente del 1988 intorno alle poetiche guerciniane del periodo tardo, ove la realizzazione del Saint Jean-Baptiste à la source di Montpellier (già a Fano, aggiungerei), sottoposto per l’occasione ad un intervento di restauro101 e quindi reso maggiormente leggibile102, egli ritiene manifesti il riassunto pittorico dell’esperienza artistica di tutta una vita, celle d’un peintre dont les dons les plus exceptionnels furent toujours mis au service d’une des très haute conception de son art, vecue pourtant avec simplicité et la plus fervente sincérité103 con una propensione vicina a quella evidenziata e profusa dall’artista centese nella tela da appendere alle pareti della propria casa bolognese: ...Cinq années avant sa mort, le Guerchin est, une nouvelle fois, parvenu à conjuguer, comme dans une version de ce même sujet peinte vers 1652-1655 pour orner sa propre maison…104. L’anno seguente (1991) il San Giovanni Battista ebbe ancora una citazione nel catalogo completo dei dipinti guercineschi redatto da David M. Stone105: tutti contributi che per certi versi segnarono in Italia come in Francia, con Stone addirittura in NordAmerica, l’approssimarsi della grande mostra di Bologna curata da Denis Mahon nel 1991 nell’ambito delle celebrazioni per i 400 anni della nascita di Guercino (1591-1991)106 e delle programmazioni espositive volute ed organizzate dalla Soprintendenza bolognese a partire dal 1950 che giunsero fino al 2001, in un crescendo storico artistico che ha connotato in maniera impressionante la vita culturale della città felsinea, portandola nel contempo ad una esaltante ribalta internazionale107. Denis Mahon nello stendere la scheda sul San Giovanni Battista alla fonte che, beneficiando di una “licenza premio” per le importanti celebrazioni durate dal settembre al novembre 1991, poteva così rientrare in Italia e farsi osservare nella sede espositiva bolognese del Museo Civico Archeologico, esplicava in maniera molto pratica le consonanze intraviste nella resa del paesaggio (“Abbiamo già visto l’interesse del Guercino per l’ambientazione paesaggistica nei dipinti eseguiti per la propria casa...”) tra questo dipinto e altri due dipinti presenti in mostra facenti parte dei “famosi” quattro, eseguiti da Guercino pro domo sua cui anche Loire aveva appalesato la vicinanza attraverso un San Giovanni Battista la cui assenza nelle pertinenze contabili del Libro dei conti asseverava ancor di più l’appartenenza al gruppo famigliare108. Ritorna segnalato e citato ancora in una operazione avviata da pubbliche istituzioni marchigiane tese al recupero della memoria storica del proprio patrimonio artistico: la Regione Marche, nell’ambito di una sistematica e capillare inventariazione iniziata negli anni novanta del secolo scorso, dava l’abbrivio ad un progetto (Le Marche disperse) ambizioso e ponderoso, culminato nel 2005 con la pubblicazione dei risultati. Al giro di boa del terzo Millennio la Provincia di Pesaro e Urbino aveva già promosso in maniera autonoma, in seguito coordinata con l’Ente regionale sovraordinato, lo studio delle opere d’arte nel proprio territorio interessate, in epoca napoleonica, dai processi di trafu91 gamento e di trasferimento in Francia, nella Pinacoteca di Brera a Milano e nelle chiese della Lombardia (L’Arte Conquistata) che infatti veniva prodotto a stampa nel 2003: in entrambi i volumi il San Giovanni Battista alla fonte era di nuovo catalogato e studiato109. Oltralpe, dopo le attenzioni di Jean Claparède nel 1968, peraltro ‘semiclandestine’ nella loro veste di testo dattiloscritto, l’ultima segnalazione a catalogo del Museo di Montpellier risulta essere una Guida del 2006, approntata dal direttore Michel Hilaire verosimilmente per l’imminente riapertura del complesso museale, ove il dipinto fanese è presentato in maniera succinta ma esaustiva e con l’indicazione che esso trovasi collocato nella Galerie des Griffons con riconferma del numero di inventariazione D.896.1.1.110. Si è trattato di una operazione editoriale del Museo francese rientrante nel riaggiornamento della situazione delle proprie collezioni consona alla ristrutturazione e rinnovamento di tutto il complesso architettonico espositivo; rimasto chiuso per lavori quattro anni, dal 2002 al 2007, il Museo Fabre è stato, infatti, reinaugurato (réouvert) il 4 febbraio 2007 con l’intenzione di porsi all’avanguardia nelle istituzioni museali nazionali ed europee: Au terme de longues années des travaux, le musée de Montpellier, magnifié dans ses espaces comme dans sa lumière, tout au long d’un percours tantôt intimiste ou au contraire majestueux, s’impose désormais comme une des toutes première collections de beaux-arts en France et en Europe 111. Un ultimo passaggio nella storiografia guercinesca il nostro San Giovanni Battista alla fonte, unitamente ad altri analoghi soggetti a figura intera, lo ha fatto recentissimamente (Cento, Pinacoteca Civica 14 novembre - 13 febbraio 2011), segnalato con altri dipinti di analogo soggetto nella pubblicazione edita a supporto di un corrispondente San Giovanni Battista ritrovato in collezione privata112. Ora invece esso ritorna in Italia a distanza di 20 anni, ed addirittura dopo 214 anni a Fano, città per cui nel 1661 quasi una intera congregazione religiosa - quella dei Reverendi Padri Filippini - ed un prestigioso casato nobiliare quello degli Alavolini-Danieli - si erano mossi tra Fano e Bologna a richiedere ad uno dei maggiori pittori di dipinti d’altare dell’epoca, in ottemperanza al voto di una promessa di pietas filiale, l’ulteriore coronamento al completamento dell’acconciatura barocca di una delle più belle chiese dello Stato pontificio, quantomeno delle odierne Marche. La ‘decontestualizzazione’ per certi versi ha posto questo dipinto ad un interesse e ad una visione più ampia e di maggior respiro riservandogli una ‘tracciabilità’ storiografica impressionante, riconoscendo92 gli di conseguenza un peso di tutto rispetto nel panorama della pittura guercinesca e, più in generale, barocca113. L’accostamento ora con altre due opere realizzate da Guercino nell’arco temporale di un ventennio e poste alla fruizione di una stessa città, consente di comprendere tutta la fondatezza della forza espressiva di un artista protagonista del suo tempo e conscio della sua convinzione intimamente religiosa ed anche di quella della committenza che lo aveva cercato e richiesto. Un sincero ringraziamento a Claudia Cardinali per la collaborazione nella composizione computerizzata del testo; all’amico Emilio Negro per alcune sollecitazioni di problematiche guerciniane; a Vittorio Ciarrocchi per la collaborazione nella lettura dei testi latini; a Grazia Alberini della Biblioteca Oliveriana di Pesaro per le agevolazioni librarie e, sul versante francese, a Brigitte Selignac del Musée Fabre di Montpellier e Dominique Bardin-Bontemps del Musée des Beaux-Arts di Dijon per la cortesia nell’avermi messo a disposizione alcune schede di dipinti italiani pertinenti a questa ricerca e conservati nei loro musei. Analogamente ringrazio Richard L. Feigen presidente della R. L. Feigen & Co. di New York per avermi messo a disposizione l’interessante e competente scheda sul Saint John the Baptist in the Wilderness di proprietà della Galleria d’Arte newyorkese. OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE Note 1 Il territorio regionale che a far tempo dal Decreto del 22 dicembre 1860 del Ministro dell’Interno del Regno di Sardegna, Marco Minghetti, è chiamato Marche, nel XVII secolo risultava scomposto in Legazione di Urbino e Pesaro (dal 1631); Delegazione di Fano; Rettoria del Montefeltro; Delegazione di Jesi; Delegazione di Camerino; Marca di Ancona e Macerata; Marca di Fermo (cfr. Volpi 1983, pp. 301-311). 2 Tracce dei committenti “marchigiani” e indicazione dei soggetti raffigurati si trovano nella contabilità della movimentazione artistica della bottega del Guercino (prima tenuta dal fratello Paolo Antonio e poi, alla morte di questi nel 1649, dallo stesso Giovan Francesco - alcuni propendono per la mano del cognato Ercole Gennari - e dal 1665 dal nipote Benedetto Gennari: v. Il libro dei conti…, 1997, pp. 19-26); essi sono ben segnalati da Polverari 1991 e riscontrabili anche nel completo ed articolato lavoro sul libro dei conti... testé citato, curato da Barbara Ghelfi nel 1997 che oltre a pubblicare il manoscritto (Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Ms. B 331) annota e recupera tutta la precedente letteratura artistica in materia (Malvasia 1678; Calvi 1808; Malvasia/Zanotti 1841; Mahon 1968; Salerno 1988; Mahon 1991; Stone 1991). 3 Vale la pena quindi ricordarli: 1.San Nicola da Tolentino del 1637 conservato a Tolentino in collezione privata; 2. L’Annuncio a Sant’Anna del 1640 conservato a Tolentino nella Basilica di San Nicola; 3. L’Angelo custode del 1641 conservato a Fano nella Pinacoteca Civica; 4. La Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina da Siena del 1642 conservata ad Osimo nella Chiesa di San Marco; 5. Madonna col Bambino e Sant’Anna del 1642-43 conservata a Senigallia nella Chiesa di San Martino; 6. San Michele Arcangelo del 1644 conservata a Fabriano nella Chiesa di San Nicolò; 7. Lo Sposalizio della Vergine del 1649 conservato a Fano nella Pinacoteca San Domenico della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano; 8. L’ Immacolata Concezione del 1656 conservata ad Ancona nella Pinacoteca Civica; 9. Santa Lucia del 1658 conservata a Recanati nella Pinacoteca Diocesana; 10. Santa Palazia del 1658 conservata ad Ancona nella Pinacoteca Comunale; 11. San Giovanni Battista alla fonte del 1661 conservato a Montpellier nel Museo F.-X. Fabre; 12. L’Annunciazione del 1662 conservato ad Ancona nella Chiesa di San Domenico. Cfr. Zampetti 1990-91, III, pp. 359-362 e Polverari 1991, pp. 15-71 che forniscono, completandosi, sia le precedenti citazioni bibliografiche che le originarie destinazioni dei dipinti; vengono inoltre registrati anche altri dipinti guercineschi “marchigiani” ma dispersi e non più rintracciati (Polverari 1991, pp. 10-12). 4 Cfr. Pasini 1987, pp. 16-17 e Zampetti 1990-91, III, pp. 359-360 (sua è la citazione sul “calderone romano”). Per lo studio analitico dei costi praticati da Guercino ai propri committenti e sulla tipologia di costoro, v. Bonfait 1990, pp. 71-94 pubblicato anche in Francia l’anno dopo (Bonfait 1991, pp. 401-427) ed anche Haskell 1980. 5 Parole di sir Denis Mahon riferite al Saint Jean à la source riportate in Loire 1990, p. 83. 6 Vedi Il libro dei conti… 1997, p. 193 (conto n. 570). Il problema dei prezzi e delle monete utilizzate nel Libro dei Conti della bottega del Guercino è particolarmente complicato (scudo romano, scudo di paoli (utilizzato dal Malvasia = 4,5 lire bolognesi), lira centese, lira bolognese, ducatoni…).Tutta questa contabilità consentiva a volte, soprattutto al Malvasia, di far da “mediatore” con il pittore centese per ottenere dei prezzi al ribasso o delle agevolazioni per il cliente. È il caso di due dipinti pagati il 22 dicembre 1659 dalli Sig.ri Fantetti e Cattani per conto di monsignor Antonio Albergati, arciprete bolognese e auditore della Sacre Rota (un Ecce homo, oggi conservato alla Galleria Sabauda di Torino, e una Madonna Addolorata, questa invece, non rintracciata: Malvasia 1648, ed. a cura di G. Zanotti, Bologna 1841, II, p. 271) fatti pagare 50 scudi l’uno (questo era il prezzo per la mezza-figura) cui per cortesia Guercino aggiunse gratis nel primo una testa di aguzzino che avrebbe dovuto essere pagata 25 scudi secondo il “prontuario prezzi” della bottega (cfr. i commenti su questa notizia del canonico Malvasia in Salerno 1988, p. 394 e Il libro dei conti… 1997, p. 35 e p. 186). Non analogamente si mosse invece padre Ghislieri per i confratelli fanesi che a loro volta “mediavano” per conto degli Alavolini: il costo richiesto di 175 scudi per il dipinto fanese all’esame del Libro dei conti risulta il più alto in assoluto richiesto tra sei realizzazioni di San Giovanni Battista a figura intera e pone la domanda, posto che non ci si voglia interrogare troppo sul ruolo di committenza ed intermediazione intorno all’atelier guercinesco (v. Il libro dei Conti…1997, pp. 36-42) quali e quante voci variabili concorressero alla formazione del prezzo (uso del blu oltremarino, tipo di tela e del telaio, diaria, imballaggio,...). L’accennato prontuario che prevedeva 100 scudi per la figura intera, 50 per la mezza figura e 25 per una testa, sempre tradotti dal biografo bolognese in “scudi di paoli”( Il libro dei Conti…1997, pp. 26-36) era stato già indagato da Denis Mahon il quale ha dimostrato come Malvasia dovesse avere avuto accesso ad una lista di ordini piuttosto che al Libro dei Conti di Guercino (Mahon 1968, pp. 2-3: qui il maggior studioso del Guercino riprendeva supposizioni esternate precedentemente, Mahon 1947, pp. 53-54 nota 74). Per gli appassionati di economia monetaria del periodo si segnala per l’imprescindibile utilità il saggio di Salvioni 1925, pp. 207-265 interpretato, commentato e applicato al caso dell’attività del Guercino da Bonfait 1990, p. 71 e p. 72 nota 3, riportato anche nella stesura francese dell’anno dopo Bonfait 1991, p. 401 e p. 402 nota 3. 7 Cfr. Malvasia 1648, p. 138. Sul conte bolognese poi passato alla vita religiosa e sui dipinti citati vedi Landolfi 1996, p. 146 nota 10 e p. 155; inoltre Mahon 1991, p. 217, pp. 264-265, pp. 292-293 e pp. 314-315. 8 Zanotti 1739, pp. 5-6 e Landolfi 1996, p. 146. 9 Le vicende fanesi della congregazione oratoriana e della loro chiesa sono narrate in maniera estremamente particolareggiata da Giacomo Ligi, uno dei confratelli: v. Ligi 1711; il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Federiciana di Fano (Ms. Federici 76). Sulla storia della annessa Biblioteca, invece, v. Biblioteca Federiciana 1995. 10 Le lapidi sono riportate, con qualche inesattezza, in Tomani Amiani 1981 p. 164; correttamente invece in Patrignani, Battistelli 2010 pp. 260-261: vedine la trascrizione e traduzione poco più avanti. 11 Ligi 1711, cc. 212-213 ed anche Istoria della Nobiltà di Fano 1994, pp. 39-40; con tutta probabilità l’altare fu dedicato al battezzatore di Cristo dalla vedova in memoria del marito Giovan Battista. 12 Ligi 1711. Il Pandolfi è in effetti un pittore che a volte..si lascia tentare con la delizia del raccapriccio, specialmente se ha a pretesto scene di martirio (Calegari 1989, p. 159). 13 Ligi 1711, c.212 ed anche Calegari 1989, pp. 158-160. La figura del pittore camaldolese Venanzio da Subiaco è stata esaustivamente indagata, ricomposta e dipanata da una quindicina d’anni e, tra le esaurienti notizie rintracciate nell’Archivio di Camaldoli, Fondo Camaldoli, ms. 159 (v. Conigliello 1993, pp. 2627) compare nella lettura degli atti capitolari generali dal 1635 al 1655 l’indicazione che tra l’aprile del 1641 e il settembre del 1642 il monaco Venanzio è eletto e nominato priore dell’Eremo 93 di San Salvatore di Monte Giove presso Fano; e questa dovette essere l’occasione da parte di famiglie nobili fanesi, conosciutane la versatilità, di commissioni artistiche come il dipinto d’altare con San Giovanni Battista della cappella Alavolini in San Pietro in Valle: questo traspare all’esame della nota di pagamento di circa due anni dopo ( 4 dicembre 1644) comprendente anche il saldo per altri due dipinti raffiguranti S. Filippo Neri eseguiti per la cappella Petrucci della medesima chiesa (Ligi 1711, cc. 66-71). 14 Ligi 1711, c. 213. Lorenzo Alavolini nello sposare Costanza Danieli ne assumerà, per mancanza di discendenza maschile, anche il nome del casato aggiungendolo al proprio (cfr. Istoria della Nobiltà di Fano 1994, pp. 13-14). 15 La successione genealogica per quanto riguarda gli Alavolini, nobile famiglia fanese proveniente dalla Rocca Contrada (oggi Arcevia) a partire da Attilio, Capitano delle milizie del Granduca di Toscana e Sovrintendente Generale dell’Esercito Pontificio in Ungheria, dalla seconda metà del XVI secolo fino a tutto il Seicento, registra un Papirio (...familiare favorito del Vescovo [di Fano dal 1567 al 1587] Francesco Rusticucci...), a seguire un Lorenzo ([entrato] poi di Consiglio a’ 6 luglio 1623) e ancora un Papirio (...lettor jurista...): cfr. Istoria della Nobiltà di Fano 1994, pp. 13-14. 16 Per la storia artistica e le esaustive indicazioni bibliografiche dei primi due, vedi: a) Il libro dei conti…1997, p. 110 (conto n. 260): Il dì 12.Ottobre [1641] Dal Sig.r Vincenzo Nolfi da Fano si è riceuto per il Quadro del Santo Angelo Custode, Schudi di Paoli n.180 quali fano di moneta nostra Schudi 232.1/2 e Polverari 1991, pp. 21-32; inoltre AA.VV. La Pinacoteca Civica di Fano 1993, pp. 59-61 (Scheda n. 41 a cura di D. Mahon). b) Il libro dei conti… 1997, p. 142 (conto n. 404): Il dì 15 Marzo [1649] Dal Sig.r Auditore Fran.co Sperandio si è riceuto Schudi 300 di Paoli per il Quadro di Fano cioue del Sposalizio della Beata Vergine con San Gioseppe che fano L. 1453 e soldi 10. Schudi 363 L 0,10 e Polverari 1991, pp. 45-49; inoltre AA.VV. La Pinacoteca Civica 1993 pp. 279-281 ( Scheda n. 508 a cura di D. Mahon) e F. Battistelli 1999, pp. 22-24. si trova anche tra i committenti del Guercino per la propria chiesa (Il libro dei conti…1997, p. 118 (per capara) e p. 135(per intiero pagamento): si tratta di un S. Gregorio Magno addita Cristo, Dio Padre e la Vergine alle anime del Purgatorio). 21 Cfr. Il libro dei conti… 1997, pp. 156-157 (conto n. 453). La caparra di ungari n.0 34 et L.1 che… fano ducatoni n.0 58 era stata versata otto mesi prima, il 9 agosto del 1651, sempre dallo stesso religioso don Leone di S. Paolo senza citare il Santacroce (Il libro dei conti…1997, p. 154) che invece è indicato da Malvasia ma ancora come Monsignore che fu poi Cardinale (Malvasia 1841, p. 269): infatti Marcello di Santacroce, cessato il suo ufficio a Bologna nel 1650, fu creato cardinale nel 1652 e parimenti inviato quale vescovo-cardinale di Tivoli fino alla sua morte (1674): cfr. Note storiche 1934, pp. 334-336. Jacopo Alessandro Calvi nella biografia dell’artista cita esattamente Fano (Calvi 1808, p. 138). 22 Vedi Foglio 77 verso in Il libro dei conti… 1997, p. 224: è annotato l’incasso della somma di L. 210 da una “sig.ra monaca”; peraltro è l’unica citazione di una religiosa monaca in tutto il libro contabile guerciniano che com’è noto va dal 1629 al 1666. 23 Io posso augurargli [a Giulia Uffreducci] l’evento di quelle donne sterili che partorirono Sansone, Samuele, Scipione, e i Santi Giovanni Battista e Nicolò et a’ tempi moderni la Duchessa di Savoia, madre di Carlo Emanuele, Madama Reale [Maria Cristina di Francia] e la Regina di Francia regnante (Istoria della Nobiltà di Fano 1994, p. 14). 24 Cfr. Testamento di Ippolita Uffreducci Nolfi in Belogi 2001, p. 161 25 In verità vi è una precedente citazione di un cardinale di Santacroce ma si riferisce allo zio Antonio, legato di Bologna negli anni ‘30 (v. nota 30). 26 Weber 1990 ad vocem; vedi anche De Novaes 18223, p. 45. Per una breve biografia dei due porporati v. Cardella 1793, pp. 71-72 (Savelli) e pp. 96-98 (Santacroce). 17 Fano, Biblioteca Comunale Federiciana, ms. XIII, 46, NFA (Nuovo Fondo Antico); la si veda riprodotta per intero in Battistini 1989, p. 175, nota14. 27 Il libro dei conti… 1997, p. 144 (conto n. 414) ed anche Salerno 1988, p. 335, n. 264; Il Guercino…, 1991, pp. 322-325, n. 123; Stone 1991, p. 259, n. 249. I due pagamenti del mese di febbraio 1650 di 100 lire ciascuno sono registrati solamente sul foglio volante 93 recto allegato al Libro dei conti (ivi). 18 Dovrebbe trattarsi di Giacomo Certani, nobile bolognese del XVII secolo diventato religioso nei Canonici Regolari Lateranensi che ebbe contatti prossimi a Fano: dal 1653 al 1655 infatti fu arciprete nella chiesa di Santo Stefano di Senigallia e dal 1656 al 1665 ritornò arciprete in quella di S. Petronio a Bologna (cfr. Fantuzzi 1783, pp. 170-171). 28 Cfr. Campori 1870, pp. 161-166 indicato in Il Guercino…, 1991, p. 322: dell’acquisto di questi dipinti si interessò anche Francesco I, duca di Modena (Il Guercino…, ivi). Pare comunque che il Legato pontificio avesse consistenti problemi finanziari. 29 Stone 1991, p. 290. 19 Cfr. Roio 2004, p. 165 ove la studiosa riprende l’indicazione del Crespi che attribuisce a Benedetto Gennari, nipote del Guercino, alcune mezze figure nella sacrestia della chiesa fanese di San Paterniano (Crespi 1769, p. 173 ed inoltre Castellani 1900, p. 12). Il manoscritto, una Guida che lo studioso cita, è stato pubblicato nel 1983 recuperandolo dal fondo a lui intestato (Cecini 1983, pp. 233-241). Rodolfo Battistini, peraltro, anche recentemente ha ribadito l’attribuzione a Benedetto Gennari di due opere nella chiesa di San Paterniano di Fano (Battistini 2010, p. 195). Sulla consuetudine nella fase tarda della produzione di Guercino di promuovere i nipoti che lavoravano nella bottega, si veda ad esempio anche l’episodio relativo agli anni 1655-57 circa l’esecuzione di una pala d’altare per le suore clarisse di Pieve di Cento, riportato da Mischiati 1991, pp. 135-144. 20 La chiesa dei Chierici Regolari di San Paolo o padri Barnabiti di Bologna venne costruita tra il 1606 ed il 1611 ed il padre Leone 94 30 Malvasia 1841, p. 268: Guercino era accompagnato da Bartolomeo Gennari, pittore nella sua bottega. 31 Il cardinale Antonio di Santacroce, Legato pontificio di Bologna dal giugno 1631 al maggio 1634, morì il 25 novembre 1641: biografia in Cardella 1793, pp. 48-49. Ebbe contatti con Guercino per la commissione di un dipinto (una Primavera), pagato in data 16 dicembre 1632 (Il libro dei conti… 1997, pp. 68-69, conto n. 64). Vincenzo Nolfi già da metà degli anni trenta del Seicento era un letterato affermato: il libretto del Bellerofonte pubblicato la prima volta a Venezia nel 1642 e rappresentato sempre a Venezia (Teatro Nuovissimo) nello stesso anno con scene ideate da Giacomo Torelli, fu stampato 3 volte (Belogi 2001, p. 56), tra cui quella bolognese del 1649: cfr. anche Franchi, Sartori 2001, p. 63. OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE 32 Il libro dei conti… 1997, p. 110 (v. nota 16). 33 Battistini 1989, p. 195. 34 Il libro dei conti… 1997, p. 154 (conto n. 445) e p. 156 (conto n. 453). A mio avviso, comunque, è da porre maggior fiducia nella citazione per Fano che compare nella trascrizione del saldo per il pagamento del quadro che nella citazione per Roma che invece compare nei riepiloghi (i fogli sparsi allegati al libro contabile) per l’anno 1651: vedi foglio 79 recto in Il libro dei conti…1997, pp. 225-226. 35 Cfr. Belogi 2001, p. 161. 36 Cfr. Belogi 2001, p. 149 (Testamento di Guido Nolfi). Consubrina o consobrina è l’equivalente di cugina materna. Marco Belogi ipotizza possa trattarsi di un dipinto che, comunque, nella parte bassa porta anche un San Giovanni Battista ed un San Francesco a mezza figura oggi conservato nei depositi della Pinacoteca civica fanese con attribuzione ad ambito di Federico Zuccari (ivi, p. 99-100) ma difficile da condividere alla lettura del Catalogo che cita la tela come proveniente dalla Collezione Antonelli: v. Battistini 2003, p. 50, n. 24. 37 Cfr. Belogi 2001, pp. 157-163. 38 Si tratta di uno dei due conventi fanesi delle monache agostiniane; l’altro era quello del Corpus Domini la cui fondazione era stata promossa dal vescovo Tommaso Lapi (vescovo di Fano dal 1603 al 1622) e terminato nel 1618. Si veda anche la nota n. 18. 39 Stando al Libro dei conti doveva comunque trattarsi di un dipinto a figura intera e paesaggio visto il costo vivo, come si direbbe oggi, di 125 ducatoni (58 di Cappara e 67 di Saldo, et ultimo pagamento) che equivalgono a 156 scudi; escluse,appunto, le spese connesse per la tela, il telaio, l’imballaggio, la spedizione, ecc. che, aggiunte, determinarono una spesa totale di 164 scudi: vedi citazione a nota 28. 40 Tomani Amiani 1981, p. 195. La “buriana” delle truppe francesi nel 1797 disperse l’archivio conventuale ed inoltre nel 1911 la chiesa ed il convento furono abbattuti per far posto alla “piazza del mercato” (Tomani Amiani 1981, ivi e nota 274 a p. 224), occasione certamente nefasta per la dispersione di oggetti ed opere d’arte. 41 Vincenzo Nolfi e la moglie Ippolita morirono nel medesimo anno (1665) di lì a poco, a cinque giorni di distanza l’una dall’altro. La lettera del Guercino come si ricorderà è del 15 agosto 1665: l’artista centese morirà nel dicembre dell’anno dopo. 42 Giovan Francesco riceverà l’ultima commissione “marchigiana” tra il marzo (caparra) ed il giugno (saldo) 1662 (Il libro dei conti… 1997, pp. 193-195, conti nn. 571 e 573) dall’abate Federico Troili di Ancona attraverso un paio di suoi procuratori bolognesi (Antonio Manolesi ed il mercante Bernardo Pezzi: Il libro dei conti… 1997). 43 La traduzione è mia con la collaborazione di Vittorio Ciarrocchi che ringrazio della disponibilità e cortesia. 44 Esse sono state studiate e coordinate in un recente studio: v. Gozzi 2010, pp. 36-47. 45 Cfr. Pagnotta 1987 p.62 e fig. 45. 46 Più ampie e complete notizie su tutti questi dipinti in Gozzi 2010, ivi. Non mi sento di computare nel novero delle esecuzioni autografe guercinesche dei San Giovanni Battista a figura intera l’inedito ora esposto nella Pinacoteca di Cento (14 novembre 2010-13 febbraio 2011), oggetto del catalogo a cura di Davide Dotti citato alla precedente nota 23, ritenendolo piuttosto opera ragguardevole della bottega. Porrei l’attenzione sull’illanguidimento dello sguardo rivolto verso il cielo che è un atteggiamento troppo teatrale da poterlo ricondurre alla pietas guerciniana oltre a tutta la composizione della figura che appare un po’ troppo molliccia rispetto alla forza ed alla fierezza di un Giovanni ben conscio del ruolo di predicatore e precursore di Cristo che Guercino nelle sue raffigurazioni ha saputo dargli. Punterei quindi ancora sulla paternità artistica indicata dalla riproduzione fotografica della fototeca zeriana e da un disegno piersantiano che indicano e conducono, più verosimilmente, l’opera verso i pennelli di Benedetto Gennari: cfr. Scheda n. 57170 busta 549, fasc.2 Bologna, Fototeca della Fondazione Federico Zeri, segnalato come copia da Guercino (cfr. Dotti 2010, p. 25, fig. 14 e p. 30 fig. 2) ed inoltre Zampetti, Cegna, Rotili 1998, pp. 41-42 ove un disegno a sanguigna, mm. 420x290, preparatorio del dipinto è segnalato come Scuola del Guercino. Addirittura alcune assonanze nella realizzazione del viso, assai tondo e paffuto, rimandano ad un’opera partecipante dello spirito poetico della bottega guerciniana come la pala d’altare con San Sebastiano dipinta da Benedetto Gennari poco oltre il 1652 per la Chiesa parrocchiale di San Sebastiano a Renazzo di Cento, peraltro copia pressoché coeva di un San Sebastiano di Guercino oggi a Pitti (cfr. Roio 2004, p. 136, fig.305). 47 Anonimo Pitture d’ Uomini Eccellenti che si vedono in diverse chiese di Fano, Fano,per la Stamperia di Andrea Donati, s. d. (ma 1740 ca.) pp. 1-2; la si veda riprodotta in Pitture d’Uomini Eccellenti nelle Chiese di Fano 1995. Battistelli pubblica nel Quaderno, in una interessante composizione miscellanea, anche altre due guide: una del 1730 ca., precedente quindi di un decennio quella pubblicata dallo stampatore Donati, era già stata pubblicata dal Mariotti, cui gli era pervenuta manoscritta, nel 1909 (Catalogo delle Pitture esistenti…, 1909); l’altra,invece,posteriore di una quarantina d’anni e quindi verso il 1775-80, conservata nel Fondo Castellani della Biblioteca Federiciana di Fano (ms. 38) è stata anche questa già pubblicata: Cecini 1983, v. nota n. 19. Seguendo lo schema di Franco Battistelli il nostro San Giovanni alla fonte compare nella Guida del 1730 ca. (A) in maniera molto scarna: S. Giovanni del Guercino. In quella del 1740 ca. (B) la “mezzariga” si allunga: Il Guercino da Cento ha dipinto il Quadro nella Cappella di S. Giovanni Battista e torna a contrarsi leggermente nella Guida del 1775-80: Il Quadro della Cappella di S. Gio: Batta è del Guercino (Pitture d’Uomini Eccellenti nelle Chiese di Fano 1995, pp. 33-36). 48 Catalogo delle pitture che si conservano nella Chiesa dei PP. della Congregazione dell’Oratorio di Fano sotto il titolo di S. Pietro in Valle, 1781, p. 9. La Guida stampata da Andrea Donati del 1740 ca. e questo Catalogo stampato da Giuseppe Leonardi nel 1759 vengono equivocate e fuse in una unica citazione nella scheda sul S. Giovanni Battista nel Catalogo della Mostra del 1991 (v. Il Guercino… 1991, p. 384). 49 Cochin 1758, p. 94: è l’unico quadro di San Pietro in Valle che non gli aggrada; per altri dipinti spende infatti parole come..un beau tableau du Guide... la tête du Crist est belle. Celle du S. Jean est admirable,... il y a plusieurs têtes d’apôtres très-belles. Deux autres tableaux dans le même sanctuaire [sono il San Pietro risana lo storpio di Simone Cantarini e il San Pietro resuscita Tabita di Matteo Loves, entrambi oggi nella Pinacoteca Civica], bons. Premier autel à droite [è l’altare della cappella Marcolini di destra], une Vierge & un évêque [si tratta della Madonna col Bambino e San Filippo Neri di Luigi Garzi oggi alla Pinacoteca Civica], assez bien & gracieux. (Cochin 1758). 95 50 Le François De Lalande 1770, p. 254. Lalande è severo anche su altri dipinti che vede nella chiesa « ...Au maître-autel J.C. qui remet les clefs à S. Pierre, tableau du Guide, tres-froid & gris de couleur. Les deux tableaux des cotés du sanctuaire ne sont pas mauvais; ils sont de Cantarini, Venitien [sic]: celui de la droite [San Pietro resuscita Tabita] paroît meilleur que celui de la gauche [San Pietro risana lo storpio] (Lalande 1770, p. 253). Simone Cantarini, il Pesarese, viene indicato come pittore veneziano ed autore di entrambi i dipinti, molto probabilmente su indicazione di qualche padre della Congregazione oratoriana che non era a conoscenza della disgiunzione dell’autore, tra Simone Cantarini ed il guercinesco Matteo Loves, operata già da un po’ di anni (1711) proprio da un confratello, seppure con non corretta indicazione e trascrizione del nome (vedi Ligi 1711, citato a nota 8). 51 Il matematico Gaspard Monge il 27 maggio 1796 [8 prairial, 4ème de la République] entrava a far parte come coordinatore della “Commission pour la recherche des objets des Sciences et de l’Art” voluta dal Direttorio al fine di regolamentare con sistematicità le requisizioni artistiche dopo le asportazioni decisamente velleitarie della campagna di Belgio, Olanda e Germania (1794-1795) conseguenti alla battaglia di Fleurus del 26 giugno/8 pratile 1794. Essa era composta, tra gli altri, dai pittori Jean-Baptiste Wicar, Antoine-Jean Gros, Jean-Simon Berthèlemy, JaquesPierre Tinet: v. Blumer 1934, pp. 62-88; Monge 1993, pp. 23-26 e L’Arte conquistata 2003, pp. 49-50. 52 Massarini 2001 p. 33. I padri filippini provvidero da subito a surrogare l’enlèvement guercinesco con un dipinto di Sebastiano Ceccarini (Natività del Battista) già in loro possesso unitamente ad un altro (San Giovanni predica alle turbe) avendo in mente da qualche tempo di sostituire i lavori del Pandolfi, ritenuti non tropo adatti. Il secondo dipinto verrà comunque collocato in sacrestia (Cleri 1992, pp. 170-173). 60 Gli “Invii di Stato” furono decretati da Napoleone medesimo, Primo Console, su suggerimento del Ministro dell’Interno JeanAntoine Chaptal, il 14 fruttidoro, VII della Repubblica [1 settembre 1801]: Article 1er... quinze collections des tableaux, qui seront mis à la disposition des villes de Lyon, Bordeaux, Strasbourg, Bruxelles, Marseille, Rouen, Nantes, Dijon, Toulouse, Genève, Caen, Lille, Mayence, Rennes, Nancy. Article 2ème. Ces tableaux seront pris dans le Muséum du Louvre et dans celui de Versailles… Article 4ème. Les tableaux ne seront envoyés qu’après qu’il aura été disposé aux frais de la commune une galerie convenable pour les recevoir. (Clément de Ris 1859, p. 4, p. 303 e Note F alle pp. 320322; ancora Clément de Ris 1872, p. 502). 61 E’ la prima pubblicazione del “Libro dei Conti”, potuta avvenire grazie all’amicizia tra l’autore delle Notizie della vita… ed il proprietario, il principe bolognese Filippo Hercolani che l’aveva acquistato dai Gennari, eredi del Guercino, nel 1772: Calvi peraltro manipola il testo regolarizzando la grafia ed eliminando le parole che ritiene superflue. Esattamente cento anni dopo (1872) per impedirne la dispersione il libro dei conti veniva acquistato dalla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna e classificato come Ms. B/331 (Il libro dei conti… 1997, pp. 17-19). 62 Calvi 1808, p. 7 e annotazione 10 a p. 161. 63 Calvi 1808, annotazione 16 a p. 162 e cfr. Il libro dei Conti…1997, p. 128. 64 Calvi 1808, p. 20 e annotazione 27 a p. 163. 65 Calvi 1808, p. 30 e annotazione 33 a p. 163. 66 Calvi 1808, p. 31 e annotazione 35 a p. 163. 67 Calvi 1808, p. 33 e annotazione 36 a p. 163. 53 Monge 1993, p. 113: ...dovremo quindi tornare sui nostri passi per prelevare, nelle città di Ancona, Fano, Pesaro, Rimini, Ravenna Cesena, Faenza e Imola... Scrivendo ancora alla moglie Caterine Huart il 20 germinale, anno V/9 aprile 1797 Monge riferisce che le requisizioni dovessero essere effettuate al ritorno da Tolentino era stato un ordine preciso di Napoleone... ma domani mattina ci separeremo; Thouin [botanico ed agronomo] e Wicar torneranno in Romagna per raccogliere gli oggetti d’arte e di scienza che il generale in capo ci aveva consigliato di non prelevare mentre avanzavamo al suo fianco. (ivi, p. 128; cfr. anche Tittoni 1997). 54 Si trattò della delineazione di spartizioni territoriali a favore della Francia che al momento della successiva ed effettiva definizione a Campoformio il 17 ottobre 1797 inclusero anche i territori della Repubblica di Venezia, caduta nel maggio dello stesso anno, e le cui ostilità francesi erano iniziate da subito a seguito dei cruenti episodi delle “pasque veronesi” del 17-23 aprile 1797. 55 Monge 1993. Monge porta a conoscenza della moglie oltre ai vari movimenti delle opere d’arte per raggiungere la Francia anche delle vittorie di Napoleone sugli austriaci in Carinzia. 56 Cfr. Blumer 1936, pp. 11-23. 57 Cfr. Wescher 1988, pp. 79-80. 58 Andrà anche menzionato il tentativo della pittrice Marie Hadfield Cosway di realizzare un album illustrato ad acqueforti riproducenti i dipinti, soprattutto quelli provenienti dall’Italia, collocati nella rinnovata Grande Galerie di cui fu prodotto un solo volume (1802): cfr. Wescher 1988, pp. 93-94. 59 Cfr., Buranelli, Liverani, Nesserlath 2006, p. 182. 96 68 D’Este 1864, p. 226. Le Memorie furono pubblicate per volere ed opera del figlio Alessandro D’Este. 69 Calvi 1808, pp. 35-36 e annotazione 38 a p. 164. 70 Ce tableau n’est point au Musée. Il aura été probablement envoyé dans un département sous une autre désignation (D’Este 1864, p. 198). 71 D’Este 1864, p. 200. 72 D’Este 1864, p. 230, si legga anche Boyer 1970 pp. 79-91: il San Giovanni Battista à la source, rimasto in scambio, è citato a p. 90. 73 Nota di Porzione degli Oggetti di Belle Arti appartenenti allo Stato Ecclesiastico e trasportati in Francia nell’Epoca della Rivoluzione: dei quali Sua Santità Pio Settimo ne fa spontaneo dono a Sua Maestà Cristianissima in Francia 1960, pp. 69-71. Posto che istruzioni segrete date da papa Pio VII a Canova prevedevano “di lasciare alla Francia alcune opere in segno di reciproca buona intelligenza tra quella corte e la Santa Sede”, si quantifica in cento i dipinti assegnati alla Francia col Trattato di Tolentino “di guisa che, di quelli cento oggetti, ventitré rimasero in Francia, e settantasette ritornarono in Roma (A. D’Este 1864, p. 214 e p. 216): cfr. anche Giardini 2003, pp. 62-63; si ritiene che su un totale di 509 dipinti complessivi requisiti circa la metà (249) furono restituiti mentre 248 rimasero in Francia e 9 andarono dispersi (fonte francese: cfr. Blumer 1936, pp. 244-348; riepilogo generale a p. 348; la studiosa nel pubblicare questo saggio in cui rielabora la sua tesi presentata all’Ecole du Louvre nel 1933 (ivi, p. 245) basa la sua ricerca su uno studio precedente pubblicato dallo storico dell’arte Eugéne Müntz in tre puntate (Les annexions de col- OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE lections d’art ou de bibliothèques et leur rôle dans les rélations internationales, principalement pendant la Révolution française), nella “Revue d’histoire diplomatique”, 8, 1894, pp. 481-497; Idem, 9, 1895, pp. 375-393; idem, 10, 1896, pp. 481-508. 74 Notice des tableaux exposés dans la Galerie du Musée Royal 1820, p. 197, n. 944. 75 Dal suo rientro al Louvre il San Giovanni sarà sempre segnalato nella Notice... del 1823, 1826, 1827, 1830, 1831, 1834, 1835, 1837, 1840 e 1841. Nell’agosto del 1848 uscirà unicamente una Avvertenza (Avertissement) di solo sette pagine, senza titolo ma dalla spiegazione singolare: Le conservateur de la peinture [molto probabilmente Frédéric Villot che dall’anno dopo si firmerà come autore], occupé exclusivement de la réorganisation complète des galeries des tableaux, n’ayant eu le temps de publier une notice pour l’ouverture des salles, rédigea cet avertissement, tiré à 1,000 exemplaires, distribués gratuitement. Il prévient le public que l’ancienne disposition est entièrement changée, et qu’il a cru devoir adopter une classification fondée sur la réunion des œuvres éparses jusque-là d’un même maître, et sur l’ordre cronologique. Paris 1848. 76 Cfr. Villot 1849, p. 19, n. 59. Per assegnazione alle Antiche collezioni Villot intendeva: ...quand la peinture n’est pas enregistrée sur l’inventaire précédent, soit par oubli [dimenticanza!] que pour acquis (ivi, p. X). 77 Si veda la nota 34. 78 Negro 2003, p. 164. 79 Villot 1852, p. 31 n. 59. 80 Così come si legge ad esempio al punto 7. - L’histoire du tableau. - On a réuni dans ce paragraphe tous les renseignements qui peuvent servir à établir sa originalité et sa provenance, c’està-dire sa présence dans les collections anciennes, son passage dans les ventes célèbres, l’époque où il a été donné ou acquis. (ivi, p.X). 81 Segnalazione dagli Archives du Louvre, Registre des copies, LL. 26 in Loire 1988, p. 82. 82 V. P. P. Both De Tauzia 1878, n.50 (così anche nell’edizione del 1883). 83 Cfr. Loire 1988, p. 307 e pp. 316-317 nota 8. La lunga permanenza dell’artista in Italia a partire dal 1787 quando vinse il Prix de Rome con il dipinto Nabucodonosor fait tuer les fils de Sedechia, fino al 1824, anno in cui a Firenze morì la compagna Luisa von Stolberg, contessa di Albany, già “moglie-convivente” di Vittorio Alfieri, gli consentì di formare una propria collezione di opere d’arte che unitamente a quelle della contessa (“...e chiamato suo erede universale Francesco Saverio Pasquale Fabre ‘per dargli un attestato della mia gratitudine, per l’attaccamento che mi ha sempre dimostrato, e che non si è mai smentito in qualunque mia situazione, per lo spazio di ventiquattro anni, e sulla durata del quale sono ben certa di poter contare”, così il testamento di Luisa von Stolberg del marzo 1817: cfr. Von Reumont 1868) lascerà al Museo di Montpellier (1828), da lui appositamente creato, di cui porterà il nome e di cui sarà il primo direttore. L’Italia gli ha dedicato tre anni fa una interessante mostra a Torino curata da M. Hilaire e Laure Pellicher (François-Xavier Fabre. Fortuna e gusto di un pittore neoclassico, Torino, Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, 10 marzo-2 giugno 2008) al cui catalogo (Hilaire, Pellicher 2008) si rimanda per la conoscenza completa della vita sociale ed artistica di questo pittore. Loire (1988, p. 317) comunque è propenso a credere che il dipinto guercinesco con San Francesco in meditazione sia appartenuto ab antiquo a Fabre che ne poteva essere venuto in possesso durante l’iniziale soggiorno fiorentino dal 1793, avanti quindi la sua agiatezza derivata dall’unione con la Stolberg avvenuta nel 1803 alla morte dell’Alfieri - i tre peraltro erano uniti da reciproca stima ed amicizia - e quando in Italia impazzava una delle più grandi movimentazioni di opere d’arte causata dalle spoliazioni napoleoniche che a quelle “istituzionali” avevano affiancato un mercato antiquariale di proporzioni gigantesche (v. Previtali 1989, pp. 177-183 che cita le notizie da J.-A.-F. Artaud [De Montor] 18373, p. 335 e segg., ed ancora Artaud [De Montor] 1847, pp. 20-55, riedizione di Considérations sur l’état de la peinture..., Paris 1808. Artaud de Montor era al tempo (1801) e fino al 1807 segretario dell’Ambasciata (Legazione) di Francia a Roma; incarico che lascerà per un biennio, “scalzato” dallo scrittore Francois René vicomte de Chateaubriand, funzionario aggregato al seguito del cardinal Joseph Fesch, lo zio materno di Napoleone, nuovo Ambasciatore che veniva a sostituire l’Ambasciatore-Ministro Plenipotenziario Francois Cacault; Artaud, che diventerà nell’occasione un collezionista di tavole di primitivi, parla addirittura di ben 20.000 dipinti de tout gendre disponibili sul mercato nella sola Roma ed esitati da tal rigattiere (brocanteur) di nome Carazzetto in una sua bottega-soffitta (grenier) a piazza Navona,cfr. J.-A.-F. Artaud [De Montor] 1837, pp. 439-440). I due ambasciatori si erano procurati, ad esempio, la bellezza di centinaia e centinaia di dipinti (M. Cacault avait acheté ces tableaux au nombre de 140, J.-A.-F. Artaud [De Montor] 1837, p. 335; e, per Fesch, v. Vannini 1987, pp. 301-309), la gran parte dei quali fortunatamente oggi sono visibili, per un certo qual loro spirito liberale e di moderata filopatria da guidarne il destino attraverso gli eredi, nelle collezioni pubbliche francesi, rispettivamente del Museo di Ajaccio (1808) e di quello di Nantes (1810). Esistono in Francia, oltre la circuitazione delle opere d’arte italiane conquistate e destinate al Louvre e ai Musei francesi come Envoi d’Etat, almeno cinque grandi collezioni pubbliche di opere d’arte soprattutto pittorica principiate da una rete di collezionisti francesi in Italia durante il primo periodo napoleonico (1796-1808): le tre appena citate (Fabre/Montpellier, Cacault/Nantes, Fesch/Ajaccio) cui vanno aggiunte quella, soprattutto di disegni italiani antichi, del pittore Jean-Baptiste Wicar che peraltro era il commissario addetto al prelevamento la mattina del 21 febbraio 1797 (v. nota 52) dei due dipinti dalla chiesa di San Pietro in Valle di Fano: la Consegna delle chiavi di Guido Reni e il San Giovanni Battista alla fonte di Guercino. Alla sua morte (1834), per sue precise volontà, la sua collezione andrà a costituire il Musée Wicar ed in seguito attraverso la Societé des Arts di Lilla a fondersi nel Musée des Beaux-Arts della città (1866); e quella del libraio Pierre Mancel che alla sua morte (1872) legò la sua più che consistente collezione di stampe e dipinti, tra cui moltissime opere della raccolta Fesch che, fuori del lascito di Ajaccio, nel 1843 e nel 1844-1845 erano state poste in vendita a Roma, al Musée des Beaux-Arts di Caen sua città natale (cfr. Angerand 1897, pp. 135-136). La tematica storico artistica dei primi quattro musei citati è stata recentemente illustrata e commentata dai rispettivi conservatori/direttori nella prima giornata di un Convegno organizzato a Nantes per l’occasione dei 200 anni (1810-2010) di ingresso al Museo della Collezione Cacault (21-22 settembre 2010). C’è un sottile filo conduttore ed uno spirito condiviso che lega la composizione francese di queste raccolte trasformate, ove si pensi che esisteva una frequentazione, nata dal caso, tra gli attori della loro costituzione: Cacault che travasa il suo indirizzo collezionistico verso la pittura italiana antica a Fesch, già predisposto e nel quale diventa una vera e propria bramosia-mania; e Wicar che in qualità di esperto d’arte e pittore accompagnava Fesch nelle sue ricognizioni artistiche romane e diventa collezionista a sue volta! 84 Vedi nota 56. 85 Vincitore nel 1860 del Grand Prix de Rome per la pittura (So- 97 phocle accusé par ses fils devant l’aréopage), E. Michel fu anche direttore dell’ Ecole des Beaux-Arts di Montpellier. Sue sono le decorazioni (La voie Lactée/La via lattea) nel foyer e nello scalone d’onore del Teatro cittadino cosi come alla Corte d’Assise ed alla Città Universitaria. Promosse nel 1901 la rinascita dell’arte ceramica nella Regione dell’Herault. Ebbe il merito di allargare e riorganizzare il museo che trovò così una sua definitiva sistemazione nel 1878 e che dieci anni dopo nel 1888 potrà usufruire addirittura dell’esposizione di opere di Vincent Van Gogh e Paul Gauguin dalla Collezione Bruyas (Guide. Musée Fabre 2006). 86 Castellani 1900, p. 12 ed anche in Cecini 1983, nota n.19. 87 D’Albenas 1910 (Onzième Edition [11a Edizione]), pp. 174-175 n. 620. Come per i cataloghi del Louvre bisognerà parlare più di ristampe che di nuove edizioni denotanti comunque un grande senso per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico che permeava la Francia tutta ed una conseguente grande frequentazione e divulgazione delle opere museali. 88 Pubblicato a Parigi nel 1913. 89 Demonts 1914, pp. 67-154; il San Giovanni è citato a p. 75 col n. 59. Il redattore cita il conservatore del Louvre, Eugene Communaux, addetto al Cabinet des dessins, che ha accettato di pubblicare per il Bollettino una anticipazione proprio sulla Scuola Italiana e Spagnola del suo lavoro sulla revisione generale del Catalogo dei dipinti del Louvre, consistenti in ben 10.189 opere, dei Musei imperiali (1.450) e della Repubblica francese (2.069) redatto da Villot nel 1849 e di tutte le ristampe a seguire, soprattutto quelle del 1864 (14°) e del 1874 (18° ed ultima) e tenendo come parametro per la concordanza della loro numerazione il Catalogo del visconte Both de Tauzia del 1877: operazione resasi necessaria tra l’altro anche perché beaucoup des peintures décrites dans ce Catalogue ayant été envoyées en province..(Demonts 1914, p. 65). all’epoca l’emballeur [l’imballatore] - vista come un illogico gesto di saccheggio del Louvre! Inoltre su quel la plus part [la maggior parte], c’è da dire che su 509 dipinti trasferiti tra il 1796 ed 1814 dall’Italia ne rientrarono 249, mentre 248 rimasero in Francia; la qualcosa, se ci si deve proprio esprimere, direi vada considerata come un risultato di sostanziale parità (v. nota n. 72). 93 Blumer 1936, p. 345; p. 243, p. 393 e p. 333. I tre dipinti erano così rispettivamente assegnati al Museo di Montpellier nel Catalogo del 1910: 694 (Jacopo) dit Palma il Giovane, Le Massacre des habitants d’Hippone. Signé Jacobus Palma f. 1593. Don de l’Etat, an XI (1803) (D’Albenas 1910, pp. 193-194). 762 Inconnu de l’Ecole d’Italie, XVII siècle: Moïse sur le Sinaï (Ecole lombarde ou genoïse). Attribué a Poussin sur l’inventaire du Louvre. Don de l’Etat, an XI (1803) (D’Albenas 1910, p. 211); 967 Inconnu de l’Ecole Flammande, La Visitation, Don de l’Etat (D’Albenas 1910, p. 273). 94 CALIARI (Paolo), dit PAUL VÉRONÈSE - La Vierge et l’Enfant entourés de la gloire céleste, Fano 1797; Paris, 27 julliet 1798, Dijon, Musée 1801, [ma 1809], (n.14 du catal. de 1883) in Blumer 1936, p. 268. Ci sono in effetti due dipinti del Caliari al Museo di Belle Arti di Digione; si tratta di un Mosè salvato dalle acque che vi è pervenuto però nel 1803 da Versailles come appartenente alle collezioni di Luigi XIV che lo aveva acquistato dalla duchessa di Créquy nel 1683; e quello qui in questione oggetto dell’ invio statale nel 1809 (cfr. Catalogue historique et descriptif du Musée de Dijon: peintures,…, Dijon 1883, p. 6, n.14: indicato come Ecole de Paul Véronèse, Envoi du Gouvernement avant 1814; inoltre Guillaume 1980, p. 88, n.153: indicato come Véronèse et son atelier. Carletto Caliari?. Per tutti si legga l’esaustiva e ben argomentata scheda di Cecilia Franchini in L’Arte Conquistata 2003 pp. 148-149 con titolazione La Madonna in gloria appare ai Santi Antonio, Girolamo, Paolo e Pietro apostoli e come opera assegnata al figlio del Veronese, Carletto. 95 Claparède 1968 p. 103 in S. Loire 1990, p. 82 e Negro p. 164. 90 Cfr. Demonts 1914 pp. 40-43. Nato come edificio militare intorno al 1765-1780 nella piazza centrale di Strasburgo, oggi piazza J. B. Kléber, da cui il nome Aubette=Albetta: tutta la città infatti sentiva bene il suono mattiniero della tromba della sveglia dei soldati; subì un furioso incendio il 24 agosto del 1870 per i cannoneggiamenti tedeschi durante l’assedio della città. Al suo interno vi era stato sistemato da appena un anno (1869) il Museo comunale (pittura e scultura). 96 Mahon, 1968, pp. 203-206 nn. 95 e 96: in mostra erano stati portati il San Giovanni Battista nel deserto dalla Collezione irlandese di Lord Farnham a County Cavan, già di Lord Brownlow Cust a Belton nel Lincolnshire e dal 1980 di D. e E. Goodstein ed infine dal 1986, attraverso Sotheby’s-Londra, passato in quella newyorkese Feigen, peraltro meglio citato come San Giovanni Battista che attinge acqua da una roccia e il San Giovanni Battista che predica (o nel deserto) dalla Pinacoteca Civica di Forlì. 91 Vedi Joubin 1926, p. 15 e Guide. Musée Fabre 2006, p. 10. 92 Blumer 1936, p. 260 n. 71: a mia interpretazione la Blumer non scrive, come la storiografia a volte segnala (Detruit à Strasbourg en 1870), che il dipinto è andato distrutto bensì essa scrive che è il Museo di Strasburgo ad essere andato distrutto e a voler essere pignoli non tutte le opere necessariamente avrebbero potuto essere andate perdute. Per saggiare, poi, l’imponenza e la consistenza del fenomeno delle spoliazioni napoleoniche in Italia viste dalla parte dei fruitori che considerano, ancora nella prima metà del Novecento, la Francia quale dimora universale delle opere d’arte e degli artisti in fuga dai tiranni, la studiosa francese ha prodotto tre interessanti studi già citati: cfr. le note n.47, n.52 e n.69 e si veda anche L’Arte conquistata 2003, p. 52 e nota n. 21, p. 64. Non è senza sorridere, però, che si possono leggere alcune affermazioni dell’introduzione venate da una logica di patriottismo estremo: “… En 1815 les délégués italiens revendiquèrent les œuvres d’art amenées en France, et, malgré l’héroïque résistance de Denon, ils dépouillèrent le Louvre de la plus part des tableaux venus d’Italie...” (Blumer 1936, p. 245): all’eroica resistenza di Dominique Vivant Denon, quindi, corrispose la “truce azione rivendicativa” di Antonio Canova - non a caso, come spesso ricorda Andrea Emiliani, chiamato 98 97 Si veda Foucart-Walter 1986, p. 291: Il dipinto ricompare segnalato due anni dopo in un repertorio curato da Brejon De Lavergnée, Volle 1988, p. 193. 98 Salerno 1988, p. 400 n. 340. 99 Loire 1988, p. 307. 100 Mahon, Turner 1989, p. 96. Peraltro Nicholas Turner in un suo saggio (La storia del gusto per i disegni del Guercino…) steso in occasione di una mostra a Cento nei mesi di maggio-luglio 2005 (cfr. Nel segno di Guercino. Disegni dalle collezioni Mahon, Oxford e Cento 2005, p. 5) evidenzia l’interesse che in quindici anni (1990-2005) hanno suscitato la figura e le poetiche di Giovanni Francesco Barbieri da Cento detto Guercino, tracciando una sintesi della storiografia artistica in materia “esplosa” per la ricorrenza della nascita dell’artista (Turner, Plazzotta 1991; Boccardo 1992). 101 Com’è noto al Pavillon de Flore del Museo del Louvre, facente già parte del Palazzo delle Tuileries, oggi è ubicato il C2RMF (Centre de Recherche et de la Restauration des Musées OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE de France), anche se la sede è interessata da grosse pressioni perché sia spostata in periferia, a Pontoise, per addivenire ai desideri di alcuni sponsor che vorrebbero collocare una propria sede in un luogo così prestigioso (Merlo 2010). 102 “La composition n’étant plus lisibile, la purification de la couche picturale [strato pittorico] a constitué l’essentiel de l’intervention avec l’enlèvement de généreuses retouches masquant des altérations acquises au cours du temps.” in Loire 1988, p. 82: Denis Mahon aggiunge che il dipinto fu pulito e restaurato grazie al sostegno economico della Florence Gould Foundation di New York in Il Guercino…, 1991, p. 384. 103 Loire 1988, pp. 315-316. 104 Loire 1990, p. 83, sul San Giovanni Battista che attinge acqua ad una fonte realizzato da Guercino nel 1652-55 per se stesso ed oggi in collezione privata newyorkese, identificato, sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, da Denis Mahon v. p. 53 ed anche Gozzi in Dotti 2010, p. 43, così come Loire 1990, pp. 82-83. 105 David M. Stone si era misurato in quell’anno, ove compariva come docente universitario di Storia dell’Arte alla Deleware University di Newark, con una doppia fatica: la prima, Guercino, Master Draftsman: Works from American Collections 1991, una interessante mostra che ha girato nel Nord America alla National Gallery of Canada di Ottawa ed al Museum of Art di Cleveland, il cui catalogo fu pubblicato per l’esposizione iniziale con il patrocinio della Harvard University Art Museum; mentre con la seconda faceva uscire a stampa in Italia il catalogo completo dei dipinti (cit., v. nota 29), ove il San Giovanni Battista è segnalato al n. 325 di p. 334. 110 Hilaire 2006, p. 58 cat.72. 111 Il programma dei nuovi destini del Museo Fabre è stato presentato in una conferenza storico-politico-istituzionale a Montpellier l’8 febbraio 2007 tra cui anche l’intervento di Michel Hilaire, in qualità di conservateur en chef et directeur (Histoire du Musée Fabre dans le contexte économique de Montpellier); cfr. anche nota 82. 112 Gozzi in Dotti 2010, pp. 43-44, vedi anche p. 92 e nota n. 43. 113 L’esposizione delle tre opere guercinesche (l’Angelo Custode, lo Sposalizio della Vergine e il San Giovanni Battista alla fonte) avviene a Fano nella Pinacoteca San Domenico ad opera della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano che nella omonima ex-chiesa, ora di sua proprietà, ha allestito da alcuni anni, partendo dai dipinti in essa conservati e rintracciati, una interessante rassegna permanente di dipinti di arte sacra (soprattutto pale d’altare) e che ha promosso l’attuale iniziativa ottenendo tra l’altro attraverso la Soprintendenza urbinate il prestito del San Giovanni Battista alla fonte dal Museo di Montpellier. È singolare che tutti e tre i dipinti sopramenzionati siano così ben riuniti in una chiesa ma nel contempo nessuno abbia potuto essere ricontestualizzato nella propria: l’Angelo Custode in Sant’Agostino; lo Sposalizio della Vergine in San Paterniano e il San Giovanni Battista alla fonte in San Pietro in Valle. 106 Mostra che, peraltro, scorazzerà non poco il nostro San Giovanni portandolo, dopo Bologna, a Francoforte (Schirn Kunsthalle, novembre 1991 - febbraio 1992) e Washington (National Gallery of Art, marzo-maggio 1992). 107 Le vicende, quasi un’epopea, di queste esposizioni bolognesi e di tutte le personalità del campo della storia dell’arte che vi presero parte in quegli anni, da Roberto Longhi ad Andrea Emiliani per citare, sono ben narrate in L’Arte. Un universo di relazioni…, 2002: si era così venuto a saldare intelligentemente il conto alle profonde ferite patite a causa dei bombardamenti dalla città di Bologna che Roberto Longhi nel dicembre del 1945 in una lettera al giovane allievo Giuliano Briganti imputava alla mancanza di “promozione artistica”, tra le due guerre, della Felsina pittrice che non era stata capace di ottenere l’identico “rispetto” di Firenze e Venezia (cfr. Ottani Cavina 1986, pp. 355365: ...da allora quel vento non ha più tradito, restituendo alla fama Bologna ed il suo grande Seicento in pittura. C’è stata, forse, una mutazione: né connaisseurs né pittori, ma storici dell’arte di tradizione italiana e anglosassone guidati da Cesare Gnudi...). 108 Il Guercino…, 1991, p. 384. Gli altri due quadri segnalati erano un San Paolo eremita ed una Santa Maria Maddalena dormiente eseguiti anch’essi tra il 1652 ed il 1655 mentre il quarto, un San Girolamo non è stato ancora rintracciato: cfr. ivi,pp. 364367; notizie ricavate da Malvasia 1841, p. 273 ed esplicate primieramente da Denis Mahon nel catalogo della mostra bolognese del 1968 (Mahon, 1968, pp. 203-204). Per le citazioni bibliografiche riferite a Stephane Loire, v. note nn. 5 e 92. 109 I due lavori sono stati organizzati e gestiti dagli operatori culturali in organico presso gli Assessorati alla Cultura di entrambi gli Enti istituzionali in collaborazione con studiosi esterni: cfr. Le Marche disperse 2005 e, per il San Giovanni Battista, la p. 204 (scheda di Romina Vitali); a seguire L’Arte conquistata 2003 e le pp. 164-165 (scheda di Emilio Negro). 99