Claudio Giardini. Osservazioni, riferimenti e commenti al San

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Claudio Giardini. Osservazioni, riferimenti e commenti al San
Claudio Giardini
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI
E COMMENTI AL SAN GIOVANNI
BATTISTA ALLA FONTE DIPINTO
DAL GUERCINO PER FANO NEL
1661 E “ENLEVÉ LE 3 VENTÔSE,
5ÈME ANNÉE DE LA REPUBLIQUE”
[21 FEBBRAIO 1797]
Notevole è il corpus di opere che il pittore Giovan
Francesco Barbieri da Cento, detto Guercino, eseguì per casati nobiliari e congregazioni conventuali
delle Marche1 nel periodo della sua più esaltante
maturità artistica e, cioè, all’incirca dal 1631 al
1666, anno della sua morte. Si ipotizzano almeno
una trentina di dipinti, anche se le risultanze odierne2 indicano tale consistenza solo in dodici opere
di cui undici ancora in loco mentre una, per vicende belliche connesse al periodo napoleonico, è emigrata in terra di Francia3. Questo fatto evidenzia
con buona certezza come i rapporti del Guercino
con il territorio a sud di Bologna comprendente
le Marche non disgiunte dalle contigue Romagne,
siano stati stretti, intensi e proficui, soprattutto
quando, dopo la morte di Guido Reni (1642), egli
decise di spostare la sua bottega “oramai capace di
un grande volume di lavoro” da Cento a Bologna
ed anche dopo la scomparsa del pesarese Simone
Cantarini (1648) che determinò la conseguente
“mancanza di artisti locali oramai annegati nel
calderone romano”. È interessante seguire la dinamica delle commissioni che dalle Marche salivano
a Cento, prima, e a Bologna poi - sulla medesima
scia che era stata utilizzata per arrivare in precedenza a Ludovico Carracci, Guido Reni e quindi al
Domenichino, a Francesco Albani, ad Alessandro
Tiarini - per richiedere opere d’arte a un pittore
ormai famoso ed affermato e nel contempo vedere
come Guercino acquisisse al raggio d’azione della
propria clientela queste zone ritenute “fertili”per
il mercato della produzione devozionale, alla luce
di assenza pressoché totale di concorrenza.4 Ciò
posto, in una maturazione artistica che intorno ai
quarant’anni portò l’artista ad elaborare tematiche
proprie della sua intimità con una poetica oramai
protesa alla realizzazione di figure dai gesti e dai
sentimenti ponderati e calmi, resi in una luce diffusa e ferma ed in una esaltazione di colori limpidi
quasi smaltati ed in una magica fusione di “monumentalité et legèreté, romantisme et intimité, recherche de
l’idéal et naturel humain”,5 Guercino riceve nel 1661
una commissione da parte di padre Ettore Ghislieri
dell’Ordine di San Filippo Neri (Oratoriani) direttamente in Bologna per la realizzazione di un San
Giovanni nel deserto per conto della nobile famiglia
fanese degli Alavolini, titolari di una cappella di
juspatronato, la seconda a destra entrando nella
Chiesa di San Pietro in Valle di Fano che essi venivano opportunamente risistemando.
Il dipinto risulta infatti già pagato nell’ottobre del
1661: “Adì 16. di Ottobre 1661. Dal Molto R.do Pre:
Etore Ghiselieri si e ricevuto Ducatoni Cento quaranta, per il Quadro del San. Giovani nel deserto
fatto per la Città di Fano. fano in tutto L. 700 che
sono Scudi 175-0”. La somma, registrata come d’abitudine nelle diverse valute, risulta un po’ al di sopra del normale mercato delle opere guercinesche
che dal 1643 al 1666 si aggirava intorno ai 100-120
scudi per una figura intera6. Il padre Ettore Ghislieri, incaricato di far arrivare il danaro da Fano a Bologna, apparteneva a una delle famiglie senatorie
più influenti e importanti della città felsinea ed era
anche un collezionista d’arte, nonché amico e mecenate del Guercino; oltre a commissionargli egli
stesso diversi dipinti tra cui un San Giovanni Battista
nel 1644, un San Giuseppe nel 1649 e una Madonna col Bambino nel 1662 quale integrazione apicale
Giovan Francesco Barbieri detto Guercino, San Giovanni Battista alla fonte, 1661, olio su tela, cm 243 x
169, Musée Fabre, Montpellier Agglomération (già Fano, Chiesa di San Pietro in Valle, Cappella Alavolini)
©cliché Frédéric Jaulmes
79
ad una pala raffigurante la Visione (o Estasi) di San
Filippo Neri dipinta una quindicina di anni prima
(1646-47) per gli Oratoriani nella chiesa bolognese della Madonna di Galliera7, lo aveva chiamato a
insegnare presso l’Accademia, detta anche “degli
Ottenebrati”, da lui fondata a Bologna nel 1646.
Pare che su consiglio e suggerimento del canonico
Malvasia avesse creato questa Scuola artistica del
nudo, organizzata e sistemata nel proprio palazzo
di città, ove si alternarono quali maestri e regolatori
anche artisti del calibro di Alessandro Tiarini, di
Francesco Albani, di Giovanni Andrea Sirani e di
Michele Desubleo. La scuola rimase operativa per
circa sei anni, fino verso il 1652, quando il nobile
bolognese decise di entrare nell’ordine degli Oratoriani detti anche Filippini, da San Filippo Neri
loro fondatore8. L’interessamento del Ghislieri era
dovuto al fatto che anche la chiesa fanese era di
pertinenza della congregazione oratoriana che si
era insediata in città fin dai primi del Seicento - la
Bolla papale di approvazione è del 1607 - e che per
tutto il secolo si prodigò nella costruzione, decorazione, abbellimento e completamento della chiesa,
delle attigue case di ospitalità e, dal 1681, anche
dell’annessa biblioteca9.
Gli Alavolini stavano proprio in quel tempo sistemando la cappella di famiglia in San Pietro in Valle, appena ottenuta in juspatronato, come attestano
due lapidi ancora in loco recanti le date del 1660 e
del 1661, citanti l’una Lorenzo Alavolini e la moglie
Gentile Bertozzi e l’altra il figlio Papirio e la moglie
Giulia Uffreducci intenti, soprattutto i secondi, ad
esaudire i voti per la realizzazione di un luogo ove
esercitare la pietas familiare.10 La tematica raffigurativa era stata indirizzata, su suggerimento degli
stessi Padri filippini, verso le storie di San Giovanni
Battista fin dal 1628, quando la cappella, a seguito
della morte della proprietaria, la vedova di Giovan
Battista Vignattoli che l’aveva acquistata qualche
anno prima, intorno al 1624, era rimasta “senza
ornamenti, senza decoro, rozza e disdicente”: essi
si erano quindi indirizzati verso un tal Nicola stuccatore11 e ne affidavano la gestione in condivisione
con le Monache del Convento del Corpus Domini
in quanto, essendo la cappella inalienabile per testamento, queste si erano accollate l’organizzazione
per l’officiatura di quattro messe. La scelta per rendere appunto la cappella meno “rozza e disdicente”
era caduta sul pesarese Gian Giacomo Pandolfi, pittore dai colori assai sfumati ma anche un po’ truci
se non violenti e crudi, cui era stato affidato il compito di illustrare il “sacello” con cinque opere: due
poste ai lati, di spalla, raffiguranti la Nascita e la De80
collazione, mentre tre venivano collocate sulla volta
tra le cornici modanate degli stucchi con Scene della
predicazione per la somma “di ottanta scudi oltre agli
azzurri fini e le mance”12. Intorno al 1640-44, essendo l’altare centrale passato per cinquanta scudi alla
nobildonna Chiara Sperandio, questa si accollava
il compito di far dipingere e collocare il quadro
dell’altare raffigurante San Giovanni Battista a un
pittore monaco camaldolese indicato come padre
Venanzo l’eremita13. Le difficoltà economiche incontrate determinarono la necessità di ricorrere
addirittura all’aiuto di papa Alessandro VII che con
Breve del 15 luglio 1660 mise a disposizione ulteriori trentanove scudi e cinquanta centesimi ed inoltre
costrinsero i confratelli, sempre nello stesso anno,
ad aggirare il testamento col permettere che la cappella fosse aggiudicata in proprietà al nobile fanese
Lorenzo Danieli Alavolini ed a suo figlio Papirio.14
Questi nell’ottemperare ai desideri del padre morto
in quello stesso anno all’età di 73 anni e lì sepolto
nella cappella di famiglia appena acquisita15, provvide a sostituire con il dipinto del Guercino quello
precedente di Venanzio, molto probabilmente ritirato dai Padri filippini, preferendosi avere l’opera
di un artista più à la page e già introdotto nel milieu
culturale e nobiliare cittadino. Non sarà inutile ricordare come a Fano fossero infatti già presenti tre
dipinti del pittore centese: l’Angelo custode del 1641,
commissionato e pagato direttamente da Vincenzo Nolfi per la Cappella di famiglia nella Chiesa di
Sant’Agostino (già Santa Lucia); lo Sposalizio della
Vergine del 1649 commissionato e saldato da Francesco Sperandio, Auditore in Bologna della Sacra
Rota, a nome del cognato Alessandro Mariotti per
la Cappella di famiglia nella Chiesa di San Paterniano, ed una Santa Maria Maddalena del 1652 per
un altare laterale della chiesa di San Daniele, dalla
storia artistica piuttosto intricata16.
Vale la pena argomentare, anche se brevemente,
su questo terzo dipinto scarsamente individuato
e mai messo con la dovuta attenzione nel novero
delle opere fanesi dell’artista centese ora che forse
si ha la fortuna di meglio registrare la primaria segnalazione di Rodolfo Battistini del 1989, il quale
ne veniva a conoscenza rinvenendo nei fondi manoscritti della Biblioteca Federiciana di Fano una
lettera del pittore del 15 agosto 1665, indirizzata a
Vincenzo Nolfi17. In essa Guercino, oramai settantaquattrenne, esponeva con lucidità le problematiche connesse al deterioramento precocissimo di
un dipinto (“...sij in così breve tempo rovinato... Il
suo male certo che sarà stato l’ardente raggio del
Sole che percotendolo quotidianamente l’à ridotto
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
al termine presente”) raffigurante una Maddalena,
che gli veniva segnalato da uno dei mediatori che
ruotavano intorno alla sua bottega (“...si come gli
ne può attestar il Sig. Abb. Certani, quale appunto
mi lesse una lettera sopra ciò.”). La lettera che segnalava l’inconveniente era stata portata a Bologna
dall’abate Certani18 ed apparteneva ad una monaca, nipote del Nolfi (“La risoluzione della Signora
Monaca sua Nobilissima Nipote di farmi dar parte
di questo, è stata ottima perché talora il trascurar
un male diviene poi incurabile.”). Guercino scarta
l’ipotesa ventilata dalla religiosa di rimandargli il
quadro a Bologna per il restauro (“Il rimandarmi
costà il quadro perché io lo rimedij si faria piuttosto
male che bene...”) così come i mali della vecchiaia
non gli fanno prendere in considerazione di programmare un viaggio a Fano ma egli, con un po’
di mestiere, propone che della cosa se ne interessino i nipoti che sono versati e competenti (“...perché leverebbero col colore quelle macchie ch’ora vi
sono, e vi farebbero quello vi sarà bisognevole con
quella premura e diligenza che se fosse io medesimo…”). Questa, come ben argomenta Battistini,
è una notizia che consente di meglio registrare la
presenza di opere di stampo guercinesco a Fano
e riconducibili a pittori della bottega del maestro.
Giuseppe Castellani, in suo studio apparso nella
Rassegna bibliografica dell’arte italiana del 1900, riporta da un manoscritto in suo possesso intorno a dipinti in chiese fanesi databile all’ultimo quarto del
XVIII secolo, di alcune opere guercinesche presso
la chiesa di San Paterniano “Sebbene non si possa
prestare molta fede alle attribuzioni dell’anonimo
autore che incorre in molti e grossolani errori pure
sarà bene ricordare che egli assegna due o tre dei
quadri posti sopra il cornicione di S. Paterniano al
Guercino e gli altri al Gennari suo nipote [Benedetto?]”: nella stessa chiesa il Castellani ricorda Una
Fama che piega le mani e guarda il cielo pure del Guercino19. Avvalora e conforta le notizie contenute nella lettera dell’artista l’attenta lettura del Libro dei
conti, che in effetti alla data dell’11 marzo del 1652
- e quindi all’incirca tredici anni prima - riporta il
pagamento a saldo per un dipinto raffigurante una
Santa Maria Maddalena da parte di tal padre Leone,
prete barnabita nella chiesa bolognese di San Paolo
Maggiore20, su istanza del cardinal Marcello di Santacroce, e che registra tra le voci collaterali di spesa
anche quella per il pagamento dell’imballaggio di
una cassa, “per Mandar a fano il quadro”: “Adì 11.
Marzo, 1652-Dal Mol.o R.do P: D: Leone di S: Paolo
si è riceuto, per Saldo et ultimo pagamento per la
S: Maria Madalena fatto ad instancia del Eme.mo
Santa Croce ducatoni n:o 67 fa:no L.335-Auendo
ancora pagate la zuro oltra:no [l’azzurro oltremarino] che ui ne ando in opra due onze, Costo L.20per la Tella, per il Medemo quadro, Costo L. 12-la
Casetta, per Mandar a fano il quadro L. 4-fano poi
in Tutto ducatoni n:0 7. L.1 fa:no L. 371 che fano in
Tutto, Schudi 92 L.3.0-”21.
La nipote di Vincenzo Nolfi fattasi monaca a Fano,
che Guercino nella lettera indica quattro volte
come “Signora Monaca, sua Nobilissima Nipote”,
“la Monacha”, “Sig. Monacha” e ancora “Sig. Monacha” - tra l’altro è interessante vedere come in
uno dei fogli allegati al Libro dei conti compaia nel
resoconto di fine anno 1650 una “Sig.ra Monaca”
quale intestataria di un prestito avuto dal Guercino22 - potrebbe essere identificata con una parente
del Nolfi ma difficilmente ci si potrà riferire ad una
nipote. Giulia Uffreducci, moglie di Papirio Alavolini e sorella di Ippolita, moglie di Vincenzo, non
ebbe figli23 né negli alberi genealogici dei Galassi
e dei Nolfi si rintracciano parentele nepotali femminili: l’unica via porta ad una Uffreducci, suor
Teresa, sorella di Giulia ed Ippolita che si era fatta
monaca agostiniana nel convento di San Daniele24.
Guercino, La Maddalena penitente (1649), New York, Collezione
privata
81
Il cardinale romano Marcello di Santacroce che nel
Libro dei conti compare l’unica volta in questa occasione25 fu vice legato di Bologna dal 23 luglio 1649
al 17 settembre 1650, sotto il cardinal legato Fabrizio Savelli, grande estimatore e committente di
opere del Guercino26: il porporato compare infatti
spesso nel Libro dei conti come destinatario di suoi
dipinti. Secondo Denis Mahon, che vedeva Fabrizio
Savelli come “amante della pittura, il quale tuttavia non era avverso a rivendere con un profitto le
opere d’arte da poco acquistate”, sono almeno cinque/sei i dipinti commissionati dal legato papale al
Barbieri tra cui anche una Maddalena penitente che
risulta pagata tra il 22 novembre 1649 ed il febbraio
165027. Porrei l’attenzione su questa Maddalena penitente, di cui il Savelli comunque si disamorerà subito
tanto da porla in vendita con altri due santi guercineschi già nel 1650, sia per l’identico soggetto28 sia
perché potrebbe essere stata “sinopia” al dipinto fanese che come s’è detto fu ordinato nell’agosto del
1651 e Guercino, prostrato ancora per la morte del
Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1641), Vienna,
Kunsthistoriches Museum
82
fratello Paolo (27 giugno 1649), essere mentalmente ancorato, visto il breve lasso di tempo tra le due
esecuzioni, alla stessa poetica artistica. Condivido
l’accenno che fa Stone allorchè, presentando una
Maddalena nel deserto appartenente alla serie dei
quattro dipinti realizzati da Guercino per la propria casa nel periodo 1652-1655, la dice “modellata”
sulla falsariga della Maddalena/Savelli29. È risaputo
inoltre che Guercino accettò anche la cortesia del
duca di Modena Francesco I d’Este che, per lenirgli
la profonda depressione in cui era caduto, gli aveva
messo a disposizione alcune dimore del ducato30.
Da rimarcare inoltre che il vice-legato Marcello di
Santacroce non era più a Bologna da circa due anni
quando il quadro fu pagato, per cui venne registrato solo un suo sollecito (“ad instancia dell’Em:mo
Santa Croce”) attraverso il padre barnabita, forse
per soddisfare l’interessamento dello stesso cardinal legato Savelli, anch’egli da pochissimo tempo
rientrato nella sua Diocesi di Salerno (1652): non
m’è riuscito purtroppo di trovare un legame tra i
tre religiosi e la “sig.ra Monacha” e Vincenzo Nolfi che potesse giustificare l’operare per loro conto
presso il Guercino. Una connessione la si potrebbe
intravedere nel fatto che lo zio di Marcello Santacroce, Antonio, anch’egli cardinale, fu Legato di
Bologna dal giugno 1631 al maggio 1634 ma soprattutto fu vescovo di Urbino dal 1636 al 1639 - è
il periodo del traumatico dissolvimento del Ducato
urbinate - e in quella occasione potrebbe aver stretto legami con Vincenzo Nolfi, rinverditi forse col
nipote intorno agli anni cinquanta, durante il periodo bolognese, quando anche il nobile fanese vi
si recava per motivi legati alla stampa di sue opere,
ad esempio il Bellerofonte ristampato nel 1649 dagli
Eredi di Evangelista Dozza, esperti in stampa di libretti musicali e attivi a Bologna dal 1641 al 165531.
Va comunque detto, ad onor del vero, che Vincenzo era solito trattare personalmente gli affari e così
aveva fatto a suo tempo con Giovan Francesco: l’artista inizia infatti la lettera citata col ricordare la
realizzazione, nel lontano 1641 (pagamento del 12
ottobre), del “Santo Angelo Custode”32, individuando Vincenzo molto probabilmente come colui che
si sarebbe fatto carico del pagamento del restauro
della Santa Maria Maddalena. Dal testo della lettera
si arguisce che il quadro è a Fano (“...che io sia per
portarmi in queste parti...”33), chiarendo soprattutto così le discordanti indicazioni registrate tra il saldo dell’11 marzo 1652, dove risulta inviato a Fano,
il foglio riepilogativo del 1651, dove si trova scritto
che il dipinto era stato mandato a Roma e il conto
del 9 agosto del 1651, dove è citata solo la caparra e
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
non compare alcunché34.
Posto non possa trattarsi di due lavori distinti, la figura del padre barnabita che è presente in entrambe le registrazioni per un identico soggetto tende
ad imporre l’esclusione di tale situazione, il legame
intorno al dipinto rimane in effetti proprio il religioso (padre Leone di San Paolo); alla lettura dei
documenti contabili di Casa Barbieri, sarei inoltre
più propenso a credere alla registrazione del momento della consegna piuttosto che al resoconto
di fine anno che, scritto sul filo della memoria, potrebbe non essere stato ricordato in maniera esatta,
confuso magari dai movimenti di fine mandato dei
due rappresentanti papali (Legato e Vice-legato).
Aggiungerei infine come Guercino nello scrivere a
Vincenzo Nolfi potrebbe aver equivocato nel citare
la parentela (nipote in luogo di cognata); il ruolo
della “sig.ra monaca” che può mandare lettere da
un convento e può disporre di una rete di committenti e mediatori nella commissione di un quadro è
certamente prerogativa di una badessa come poteva essere suor Teresa Uffreducci,la sorella della moglie, che nel suo testamento in effetti la indica come
“Rev.da Madre”35. È accettabile l’idea che Suor Teresa intorno al 1650, entrando in convento, possa
aver portato come omaggio della propria famiglia
un quadro importante da collocare in chiesa. Vincenzo Nolfi nel proprio testamento del marzo 1665
non ricorda alcuna nipote monaca e menziona solo
le suore Carmelitane scalze del Convento di Santa Teresa (“...item lascio alle Monache di S. Teresa
i miei due vasetti d’argento...”), anche se a dire il
vero una cugina (“consubrina”) del padre adottivo
Guido, suor Maria Nolfi, nel 1627 risulta proprio
Abbadessa del convento di San Daniele ma con date
anagrafiche che portano ad escluderla da una parte
attiva nella commissione del dipinto qui in questione; va annotato,comunque, come questa suora risulti erede-destinataria di un quadro conservato nella
casa romana di Guido Nolfi raffigurante una Annunciazione 36. Ippolita, moglie di Vincenzo, nel suo
testamento del 19 settembre 1662 mostra di avere
in qualche modo più stretti rapporti del marito con
le suore Agostiniane di San Daniele, ricordandosi
della sorella suor Teresa, ivi monacatasi37: peraltro
il latore della lettera intorno al dipinto fanese recapitata al Guercino è l’abate Giacomo Certani, già
Canonico Regolare Lateranense in San Giovanni
in Monte a Bologna così come l’Ordine monastico
femminile del Convento di San Daniele di Fano era
di pertinenza delle Monache Agostiniane Canonichesse Regolari Lateranensi dette comunemente
Rocchettine ed il Certani in quegli anni si trovava
ad esercitare il ministero sacerdotale proprio nei
territori dell’Alta Marca (Senigallia)38. Vale infine
la pena di evidenziare che il pittore centese attribuisce il guasto del dipinto al battervi quotidiano dei
raggi solari; cosa che, escludendo la collocazione
in una cella o in un corridoio claustrale, può invece accadere attraverso l’obliqua luce filtrante dalle
alte finestre di una chiesa su un quadro di buone
dimensioni39, magari una piccola pala d’altare: leggendo infatti il Tomani Amiani (1853) si apprende che nella chiesa del convento di San Daniele “...
si volle intitolato a S. Maria Maddalena un minor
altare, ove però non è tela che meriti di essere annotata…”40 pur in un giudizio storico artistico non
lusinghiero: il quadro potrebbe infatti non essere
stato riparato41 e quindi, duecento anni dopo, risultare assai rovinato da non consentirne una facile e
buona lettura e, quindi, non essere apprezzato.
Tornando al commento del San Giovanni Battista,
quarta realizzazione guercinesca per Fano e penultima per le Marche42, una lettura delle due lapidi
presenti nella cappella Alavolini fornirà certamente una migliore comprensione degli avvenimenti:
D[eo]. T[emporis]. V[ictori]. / LAURENTIUS.
FAN[ensis]. PATR[icius]. QUEM. ATTILIUS.
MILITIAE. DUX /AB. ANTIQUA. CLARAQUE. ORTUS. ALAVOLINOR[um]. FAMILIA/
ATQUE. CONSTANTIA. DANIELLIA. GENUERE. SACELLUM/ HOC. MAGNIFICENTIUS.
INTEGRANDUM. CULTUQUE/ REI. SACRAE.
AUGENDUM. SUSCEPIT/ SED. AD. COELUM.
EVOCATUS. PIUM. OPUS. PAPYRIO/ EX. GENTILI. BERTOTIA. UXORE. FILIO. CONFICIENDUM/ LEGAVIT. POSTREMO. VIAS. SUAS. OPTIME. DIRECTAS/ CLAUSIT. IN. SEPULCRO.
ANNO. MDCLX/ AETATIS. SUAE. LXXIII.
(A Dio vincitore del tempo(?). Lorenzo patrizio fanese, nato dal condottiero Attilio della nobile e antica famiglia Alavolini e da Costanza Danieli, fece
rimettere splendidamente a nuovo questa cappella
abbellendola di ornamenti sacri. Chiamato però in
cielo lasciò per testamento che questa pia opera fosse portata a termine da Papyrio, [suo] figlio nato
dalla moglie Gentile Bertozzi, cosicché dopo aver
ottimamente percorso il proprio cammino [terreno]
lo concluse [qui] nel sepolcro nell’anno 1660, settantatreesimo della sua vita).
D[eo]. T[emporis]. V[ictori]. / EN. SACELLUM.
UBI PAPYRIUS ALAVOLINUS I[uris]. U[triusq
ue].I[lle].C[onsultus]./ PATERNAE. PIETATIS.
ET. SUA. VOTA. PERSOLVIT/ IAM INSIGNI
83
(A Dio vincitore del tempo(?). Ecco la cappella
dove Papyrio Alavolini, esperto di entrambi i diritti, sciolse i voti della devozione paterna ed anche
i suoi: ha già ornato l’altare con lo straordinario
ritratto del Precursore [di Cristo] e ha cura che una
messa sia celebrata tutti i giorni. Inoltre egli e la
moglie Giulia Uffreducci prima di dissolversi nelle ceneri implorano il fuoco dell’amore divino dal
Santo [Giovanni Battista] che fu lucerna ardente.
166143.
è infatti collocato all’aperto e seduto su una pietra,
nell’atto di bere da una ciotola45. Ciò detto, i riferimento vanno dal San Giovanni nel deserto eseguito
nel 1641 per l’Imperatore d’Austria ed oggi conservato al Kunsthistoriches Museum di Vienna; a quello del 1650 per i Redolfini di Cento, da collocare
nella loro cappella nella chiesa del SS. Rosario di
Cento ed oggi nella Pinacoteca Civica della medesima città; a quello del 1652 per il Cardinal Fabrizio
Savelli poi passato ai Ludovisi Albergati per essere infine donato a Papa Innocenzo X (Pamphili)
ed oggi conservato nella Galleria Doria Pamphili a
Roma; a quello ancora del 1652 di ispirazione personale realizzato, infatti, quale componente di una
serie penitenziale di quattro dipinti per arredare
le pareti della casa bolognese e forse oggi, dopo
diverse vicissitudini mercantili, individuabile nel
La commissione che gli perveniva da Fano attraverso l’amico Ettore Ghislieri per un San Giovanni
Battista nel deserto (o alla fonte) dovette suscitare particolare attenzione in Giovan Francesco che si era
cimentato non poco in una siffatta raffigurazione
da far ritenere che il Battista fosse uno dei suoi Santi prediletti, pur in una dinamica di scelta altrui.
Risultano infatti direttamente conosciute o connesse almeno sette realizzazioni a figura intera mentre nove sono quelle a mezza figura ed altrettante
in scene più articolate della vita del Battista44. Esse
coprono tutto l’arco della poetica matura di Guercino, all’incirca dal 1632 al 1661, terminando proprio con l’anno del dipinto collocato in San Pietro
in Valle, a significare come l’espressione artistica
del pittore centese, pur esclusivamente tesa ad una
tematica religiosa e sacra in tale figura e soggetto,
nell’occasione fanese abbia completato una poetica
artistica preferenziale; Guercino com’è noto morirà di lì a cinque anni nel 1666. Almeno in sei dipinti
dei nove usciti dall’atelier guercinesco con soggetto
il profeta Precursore di Cristo credo possa cogliersi
la connaturata e profonda dimostrazione di questa sua intimistica devozionalità, in una tangenza
figurativa straordinaria nonostante alcune obbligate varianti, a riprova di un archetipo mentale ben
fissato nella concezione artistica del pittore. Non è
da escludere, inoltre, come Guercino possa aver intrapreso le poetiche esecutive a seguito dell’osservazione di un dipinto di Giuliano Bugiardini del
primo quarto del XVI secolo e raffigurante il Battista, posto ai suoi tempi, a seguito della donazione
del poeta Giovanni da Casio della nobile famiglia
de’ Pandolfi da Casio, nella sagrestia del complesso
di Santo Stefano a Bologna: il precursore di Cristo
Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1650), Cento, Pinacoteca Civica (Archivio Fotografico Pinacoteca Civica “Il Guercino” di Cento)
PRAECURSORIS EFFIGIE/ ARAM EXORNAVIT/ ET. MISSAM. QUOTIDIE. CELEBRANDAM. CURAT/ INTERIM. IPSE. AC. IULIA. UFFREDUCCIA. CONIUX/ A. DIVO. QUI. FUIT.
LUCERNA. ARDENS/ PRIUSQUAM. SOLVANTUR. IN. CINERES/ SUPERNI. AMORIS.
IGNEM. EXPOSCU[N]T. MDCLXI.
84
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
dipinto della Richard L. Feigen & Co. Art Gallery
di New York; a quello del 1653-55 per la chiesa di
San Giovanni Battista in Feliceto dei Frati Francescani Minori Cappuccini di Forlì che, scampato alla
“concentrazione” braidense successivamente al dissolvimento del napoleonico Regno Italico, oggi si
trova conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì; a
quello, oggetto del presente studio, del 1661 per gli
Alavolini di Fano da collocare nella loro cappella
di juspatronato nella chiesa di San Pietro in Valle
di Fano che, enlevé nel 1797 e non fortunato come
il confratello forlivese - fu, infatti, usato da Canova,
come molti altri, in scambio per ottenere la buona
disposizione di Luigi XVIII - oggi si trova al Museo Fabre di Montpellier46. La rappresentazione del
Battista con il mantello rosso simbolo del martirio
assorbe ed annulla completamente la descrizione
evangelica, appena relegata ad un accenno figurativo, che lo voleva vestito di peli di cammello e
di una cintura di pelle attorno ai fianchi (Marco:
1,6); comune è anche la allogazione scenografica
che pur dovendo evidenziare il deserto mostra invece un cielo azzurro e le nuvole grigie con accenno
alla configurazione naturale di una grotta. In due
Guercino, San Giovanni Battista alla fonte (1652), Roma, Galleria
Doria Pamphilj
dipinti, tra cui quello fanese, Guercino aggiunge
una pecora, posta obliquamente in quello di Forlì
mentre frontale risulta in quello di Fano. A completare queste segnalazioni porrei l’accento anche sul
fatto che nelle tre edizioni oggi a Vienna, Cento e
Forlì, Giovanni è raffigurato con il braccio destro
alzato ed il dito rivolto in alto ad indicare il cielo
(il luogo della Trinità) mentre in altre tre, oggi a
Roma, New York e Montpellier, il Battista è intento
con una ciotola a raccogliere l’acqua sgorgante dalla roccia, venendo quindi identificato con la realtà
del suo nome: se è vero che l’acqua lo disseterà durante la sua penitenza nel deserto, è anche vero che
il pensiero da trasmettere a chi osserva è che con
quell’acqua egli battezzerà Gesù Cristo, il figlio di
Dio, azione principale della sua vita.
Nell’esame di queste parametrazioni non posso infine esimermi dall’evidenziare come nei dipinti di
Cento, Forlì e Montpellier (già a Fano) la postura
del Santo, che è ritratto seduto, è alquanto dubbia
con un incrocio di gambe poco verosimile e precario da rendergli difficile la staticità. Dei quadri presenti in città il San Giovanni Battista alla fonte del
Guercino unitamente alla Consegna delle chiavi di
Guido Reni entrerà da subito nella visite odeporiche settecentesche del Gran Tour, usufruendo ovviamente del richiamo del completamento dell’“acconciatura” barocca della chiesa di San Pietro in
Valle (1710) che ottenne così la preferenza e la promozione da parte dei viaggiatori-visitatori i quali si
potevano avvalere in città anche di una guida fresca di stampa (1740 ca.) seppure anonima di redazione, realizzata, oltre che per una conoscenza generale “...sicchè quando uno voglia osservarli [i
Quadri], abbia comodamente sotto gli occhi, e i
luoghi dove si trovano, e i Nomi degli Autori, che li
colorirono, anche ad uso dei visitatori di passaggio... a quei Forestieri vaghissimi, per altro, di considerare ogni cosa per maggiormente accrescere la
loro erudizione”47. Di non molto successiva (1759)
sarà ancora una descrizione particolareggiata delle
opere pittoriche conservate in San Pietro in Valle
in una pubblicazione, anch’essa anonima, per i tipi
di Giuseppe Leonardi ove il dipinto viene apprezzato ed illustrato: “Il Quadro della Cappella di S. Gio:
Battista è eccellente Pittura del famoso Gian Francesco Barbieri detto il Guercino da Cento”48. Non
sarà difficile ipotizzare quindi come le requisizioni
napoleoniche che imperverseranno di li ad una
quindicina d’anni siano proprio frutto dell’attenta
lettura che i commissari fecero di queste Guide, locali e non, con la sottolineatura che i resoconti d’oltralpe per la città di Fano citavano quasi esclusiva85
mente la chiesa dei Padri Filippini e, in essa, la Consegna delle chiavi di Guido Reni ed il San Giovanni
Battista alla fonte del Guercino, segnandone il destino perché questi furono i due quadri asportati ed
inviati al Louvre. Fu infatti il francese Joseph-Nicolas Cochin nella sua venuta in Italia del 1749 come
accompagnatore, con altri, del marchese de Vandières, fratello della potente M.me de Pompadour,
il primo straniero, poco meno di novant’anni dopo
la sua realizzazione, a segnalare il dipinto nei resoconti di viaggio, pur non apprezzandolo (Second autel à droite, un S. Jean-Baptiste, dit du Guerchin, mou,
trop rouge, point beau.)49. Si accodò nelle medesime
impressioni critiche circa vent’anni dopo (1765-66)
un altro francese, l’astronomo Joseph-Jerôme Lalande di ritorno da Napoli nella sua obliqua risalita
lungo la costa adriatica al suo passaggio per Fano
(Au second autel de la nef à droite, un S. Jean du Guerchin, figure raide, dure de dessein & de couleur.)50. Toccò invece a Tommaso Massarini nella sua Cronaca
fanestre registrare da subito la notizia dell’asportazione della tela guerciniana dalla Chiesa di San Pietro in Valle di Fano raffigurante San Giovanni alla
fonte ad opera degli agenti della Commissione Monge51, aggregata alle truppe napoleoniche che seguivano il Generalissimo di ritorno da Tolentino subito dopo la firma del Trattato di Pace con la Santa
Sede (19 Febbraio 1797): “21 Febbraio [1797]. Portarono via questa mattina tutti li Argenti rimasti…
con due Quadri ch’erano in Chiesa ai Filippini...;
l’Altro era il San Giovanni al fonte, opera del Guercino”52. I francesi decisero che le opere da asportare visionate durante il viaggio d’andata - a Fano presumibilmente tra il 6 e l’8 febbraio -, peraltro assai
spedito dopo la sconfitta dei papalini a Faenza di
alcuni giorni prima (4 febbraio 1797), venissero requisite nel percorso di ritorno, perché l’eventuale
malumore provocato nella popolazione non si tramutasse, per le truppe francesi di occupazione, in
scaramucce e scontri infiniti nel passaggio a ritro-
Guercino, San Giovanni Battista nel deserto (1652), New York, Richard L. Feigen & Co.
86
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
so53 così da rallentare il passo dell’armata napoleonica che invece doveva risalire velocemente verso il
Tirolo a contrastare le velleità austriache non ancora sopite e che furono in effetti prontamente soffocate da minacciare la stessa Vienna, costringendo
gli Asburgo a firmare i cosiddetti preliminari di Leoben il 17 aprile 179754. Seppure non ci fosse nessun dubbio sul risultato, bisognava pur aspettare la
firma reale del trattato, rispettarne le risultanze e
quindi dare seguito alle conseguenze che per i dipinti e le opere d’arte in genere significavano requisizioni: a detta di Monge55 a quelle date il San
Giovanni, unitamente ad altre 78 opere provenienti
dallo Stato della Chiesa (Marche, Umbria e Roma)
e dalla Repubblica di Venezia, già smontato dall’altare, dopo un periodo di concentrazione a Bologna, stava per iniziare il suo interminabile viaggio
verso la Francia lungo la direttrice viaria attraverso
Genova, Nizza, Antibes, Digne, Gap, Grenoble, Lione, Digione, Parigi56 che durò quasi quattordici
mesi per arrivare al Louvre tra il 27 e 28 luglio 1798
in uno spettacolare corteo trionfale57 che ci è stato
tramandato sia attraverso la stampa di uno di quei
cataloghi (Notice), antesignani delle moderne pubblicazioni58, che principieranno con una cadenza
costante, quasi ossessiva, ad elencare le opere del
Louvre (Notice des principaux tableaux recueillis en Italie par les commissaires du gouvernement français. - Seconde partie, comprenant ceux de l’Etat de Venise et de
Rome, dont l’exposition provisoire aura lieu dans le grand
salon du Museum…à compter du 18 brumaire au VII
(jeudì 8 novembre 1798). -...in-12, 91 pages, - Tableaux
82.) sia in stampe d’epoca ed anche in un interessante vaso di circa un metro di altezza in porcellana
di Sèvres e bronzo dorato realizzato nel 1813 dal
pittore Antoine Beranger su disegno dello scultore
Achille Joseph Etienne Valois ed entrambi, vaso e
disegno, conservati al Museo Internazionale della
Ceramica di Sèvres59. Nel 1801, rientrando nel novero di quelli che venivano scelti dall’Amministrazione centrale come “envoi d’ Etat”, opere d’arte cioè
giudicate importanti al fine di costituire le collezioni dei musei periferici, il dipinto veniva trasferito
all’appositamente costituendo Museo di Strasburgo, tra un Bassano (Bassan. Départ de Jacob/Morte di
Giacobbe), un Guido Reni (Vierge, Enfant Jésus et
saint Jean/Madonna col Bambino e San Giovannino), un Annibale Carracci (Annibal Carrache. Saint
Sébastien/San Sebastiano), un Correggio (Saint Jerôme dans le desert/San Girolamo nel deserto), un Veronese (Alex.[?] Véronèse. Rebecca donnant à l’envoyé
d’Abraham/Rebecca ed Eleazar), un Perugino (Perrugino/La Vierge et l’Enfant Jésus/Madonna col Bam-
bino), un Dosso (Madeleine aux pieds du Christ/ La
Maddalena ai piedi della croce o che asciuga i piedi
a Cristo) che venivano indicati come appartenenti
alle Antiche Collezioni reali, mentre il nostro dipinto era invece registrato come proveniente
dall’Italia (Italie), in compagnia di altri due Perugino, da uno dei quali è stata tratta una incisione da
Jean Bein indicata come proveniente “da Raffaello”
(Sainte Apolline/Santa Apollonia). L’altro raffigurava La Vierge, l’Enfant Jésus et deux Anges/Madonna
col Bambino ed angeli, entrambi correttamente indicanti la provenienza (Perouse/Perugia)60. L’allogazione alsaziana durò non più di una dozzina d’anni
ma nel frattempo il pittore, incisore e letterato bolognese, nonché biografo d’artisti locali, Jacopo
Alessandro Calvi, detto il Sordino, nel dare alle
stampe una esaustiva biografia dell’artista centese
(1808) segnalò la tela fanese di San Pietro in Valle
dall’Elenco pubblicato in Appendice tratto dal Libro dei conti del Guercino61, non annotando però
l’asportazione francese da Fano del febbraio 1797,
al contrario di altri dipinti del circondario emiliano-romagnolo a lui certamente più familiare (Cen-
Guercino, San Giovanni Battista che predica (1653-1655), Inv. n.
12, Forli, Pinacoteca Civica
87
to, Bologna, Forli) del cui destino in oltralpe egli
risulta perfettamente a conoscenza: è il caso della
“Gloria di Ognissanti (...una tavola ad olio per la
chiesa dello Spirito Santo pure in Cento, ove con
buon numero di figure rappresentò il trionfo di tutti i Santi… Ora questa tavola è stata trasportata in
Francia)”62 che dal Louvre fu poi destinata al Musée des Augustins di Tolosa; così pure quello di un
San Pietro ed un San Bernardino per la Chiesa di San
Pietro di Cento ed “...ora trasportate in Francia”:
potrebbero essere le due Testine ordinate dal Padre
Generale di San Salvatore di Bologna Il dì 31. Gennaro [1646]63 purtroppo non meglio identificate ne
individuate; e ancora quello di una Santa Maria
Maddalena piangente per l’altare maggiore della
Chiesa romana delle Convertite al Corso, realizzata
al tempo della chiamata di Guercino a Roma da
parte di papa Gregorio XV (Ludovisi) tra il 1623 ed
il 1625 e quindi fuori registrazione “contabile” che
però Calvi cita “...Roma al presente è priva ancora
di questo bel quadro, ch’è uno di quelli trasportati
in Francia”64; ancora di una “Circoncisione di Cristo fatta l’anno 1646 per lo altare maggiore della
chiesa delle Monache di Gesù e Maria di Bologna…
Ora anche questa tavola trovasi in Francia”65, che
dal Louvre fu destinata al Musée des Beaux-Arts di
Guercino (attr.), San Giovanni Battista nel deserto (1647 ca.), collezione privata
88
Lione; ed ancora di una “Madonna col Bambino
che appare a San Bruno (...Questa tavola pure è
una di quelle trasportate in Francia)”66; asportata
infatti dalla chiesa bolognese della Certosa, dedicata a San Girolamo di Casara, nel 1797 e trasferita al
Louvre nel 1798 fa parte di quelle opere recuperate
da Canova nel 1815 e restituite nel 1816, che in seguito furono collocate nella Pinacoteca Nazionale
di Bologna ove il San Bruno si trova tuttora; ed ancora di un “San Girolamo nel deserto (...posto nella
chiesa del Rosario di Cento… Ora è passato in
Francia, e in loco d’esso v’è una copia)”67 che dal
Louvre è stato poi posto nel 1811 nell’Eglise de la
Madeleine di Parigi e in seguito non rivendicato da
Canova nel 1815 (Laissé à l’Eglise de la Madeleine)68,
nel 1881 spostato nell’Eglise de Saint Thomas
d’Aquin sempre di Parigi; e ancora la pala d’altare
in San Michele in Bosco col “beato Bernardo Tolomei genuflesso alla presenza della Vergine intanto... porge al detto beato la regola per la sua congregazione Olivetana… Anche il quadro degli Olivetani è stato asportato in Francia”69 ma di esso si sono
purtroppo perse le tracce70. La non conoscenza del
Calvi dei fatti fanesi, dovuta certamente a una assenza di ricerche in tal senso e circoscritte più che
altro, s’accennava poc’anzi, a notizie di ambito bolognese-centese e, come si può intuire anche dalla
sua blanda acquiescenza verso quegli atti predatori
che egli indica sempre come un “passaggio in Francia” tranne una volta in cui scrive “asportato” - sarà
il caso di ricordare che il libro è dedicato alla “Sacra Maestà di Napoleone il Grande, Imperatore dei
Francesi, Re d’Italia e Protettore della Confederazione del Reno” -, non impedisce comunque al San
Giovanni Battista alla fonte di Fano di rientrare da
Strasburgo poco avanti il 1820, se ancora nelle ricognizioni canoviane supportate dagli elenchi (note)
portati dal segretario generale dei Musei Vaticani
Alessandro D’Este (“...fu perciò di concerto col cardinale Consalvi commesso al mio figlio Alessandro… di attendere a compilarle con sollecitudine e
diligenza e poi di raggiungere il Canova a Parigi
con esse note, insieme con quelle già conosciute pel
trattato di Tolentino.”)71 nell’ottobre del 1815 risulta ancora là (...Pesaro et Fano… Saint Jean, du
Guerchin Au Musée de Strasbourg.)72 quando entrerà
nella lista di scambio per consentire il ritorno in
Italia ad altre opere d’arte entrate a suo tempo
nelle“forzose” condizioni del Trattato di Tolentino73. Così a Restaurazione avvenuta, attraverso le
registrazioni annuali effettuate dai conservatori
del Louvre a partire dal 1816, in cui il dipinto non
compare, si dovrà attendere quella del 1820 per ve-
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
derlo ricollocato a rimpinguare la sezione barocca
della scuola italiana (Ecole d’Italie) ove viene segnalato, seppure “degradato”: “944. S. Jean dans le désert.
Il tient de la main gauche une croix formée d’un roseau, et
de la droite une coupe dans la quelle il reçoit l’eau qui
jaillit d’un rocher. Tableau de l’école du Guerchin”74. È
stato così indicato fino alle ricognizioni catalogali
del 184875 con modifica solo del numero inventariale (ad esempio salì al n. 1018 nel 1823 ed al n.1047
nel 1831) fino a che nel 1849 venne riconsiderato da
Frédéric Villot, conservateur de la peinture, nell’ambito della riorganizzazione scientifica della pittura
italiana presente al Louvre e riattribuito a Guercino con la medesima descrizione del 1820 e con una
annotazione aggiuntiva Ancienne collection76, a significare che il dipinto, non meglio indagato nelle sue
vicende storiche che comunque nel 1801 nell’invio
a Strasburgo lo segnalavano correttamente proveniente dall’Italia77, si faceva risalire alle antiche collezioni reali78; l’annotazione venne ripetuta dal redattore del Catalogo delle pitture anche nella seconda edizione del 1852 benchè fosse riveduta,
corretta ed ampliata, con 224 pagine contro le 68
iniziali: a quella italiana venne aggiunta, infatti, la
pittura spagnola e difatti si tornò alla corretta paternità del Guercino79. Nonostante tutte le buone
intenzioni contenute nell’Avertissement 80, nel 1853 si
arrivò addirittura alla settima edizione della Notice
e le pagine salirono a 335, al San Giovanni Battista
alla fonte di Fano, cui rimane sempre assegnato il n.
59 a p. 31, continuò a venir negata la paternità italiana, preferendosi tenerlo legato alle antiche acquisizioni reali (Collection de François 1er; collection de
Louis XIV) o repubblicane fino alla Restaurazione
(Collection de l’Empire) e consolandolo solamente
con l’esecuzione di due copie proprio in quegli
anni (1852 e 1853)81. Dovrà subire dimenticanze e
ripensamenti nei lavori di continua catalogazione
scientifica delle opere d’arte conservate al Louvre
dai successori di Villot come Pierre Paul Both de
Tauzia che nel 1878 si corresse, reinserendolo nelle
sue Addenda alla Notice di due anni prima (1876) cui
era sfuggito82. Nel 1896 venne staccato dal Louvre
ed inviato quale prestito di Stato (Dépôt de l’Etat; inv.
n. 88) in Linguadoca, ancora una scelta periferica
dopo Strasburgo, col compito di corroborare la formazione di una buona consistenza di arte italiana
antica all’interno delle collezioni artistiche figurative del Musée “François-Xavier Fabre” di Montpellier (Ecoles d’Italie), andando ad affiancare un altro
importante dipinto del Guercino, un’opera giovanile (1618-1620) raffigurante San Francesco in meditazione già presente al Museo fin dal 1828, anno della
sua fondazione, quando il pittore François-Xavier
Fabre decise di donare gran parte delle sue opere
ed anche le collezioni artistiche di sua proprietà
alla città natale83. Il museo di Montpellier, scartato
inizialmente nell’elenco delle 15 grandi città prese
in considerazione dal decreto consolare del 14 fruttidoro84, dopo diverse insistenze e petizioni, era riuscito ad ottenere un apposito decreto l’anno seguente il 16 fruttidoro dell’anno X [3 settembre
1802] e quindi essere considerato deposito abilitato, cioè, con tutte le garanzie tecnico-artistiche per
essere destinatario degli Invii statali che gli vennero concessi in numero di trenta tableaux. Recuperato da Ernest Michel, conservatore museale dal 1871
al 190285 che l’aveva accolto nel 1896, il Saint JeanBaptiste è classificato come “attribué à Barbieri” e inserito nel Catalogo più ragionato redatto nel 1904
in prima edizione dall’erudito e letterato allora settantacinquenne Georges d’Albenas che gli era subentrato nel 1902 e che restò alla direzione museale fino alla sua morte avvenuta nel 1914. Nel medesimo periodo gli toccò una citazione anche nella
sua città di provenienza ad opera dell’erudito e studioso Giuseppe Castellani che da Savignano sul Rubicone si era deciso a pubblicare un suo lavoro sulla
letteratura artistica fanese, segnalando fra i numerosissimi indici, anche un manoscritto di sua proprietà ed oggi conservato nel “Fondo Castellani”
della Biblioteca Comunale Federiciana di Fano,
Quadri e pitture che vi sono nelle chiese di Fano, in cui
Castellani argomenta sulla data del manoscritto
portando quale prova di termine ante quem proprio
il San Giovanni Battista alla fonte: “Questa compilazione è anteriore agli ultimi anni del secolo scorso
[1700] perché ricorda come esistenti il San Pietro di
Guido Reni [La consegna delle chiavi] ed il San Giovanni Battista del Guercino in San Pietro [in Valle]
che vennero asportati all’epoca dell’invasione francese”86. D’Albenas organizzò l’edizione del 1904 e
le successive edizioni (1910, 1911, 1914) del Catalogue anche con riproduzioni fotografiche ovviamente soprattutto per le opere d’arte francesi; comunque gratificò il Saint Jean-Baptiste inserito sempre al
n. 620 di una nuova descrizione: Couvert d’une draperie rouge lui couvrant l’épaule et une partie du corps,
saint Jean-Baptiste tient à la maine une écuelle de bois,
qu’il tend vers un filet d’eau, sortant d’un rocher, à gauche, et dans sa maine gauche, un bâton terminé par une
croix; près de lui, à gauche, un mouton. Dépôt de l’ETAT,
en 1896 87. È interessante evidenziare come alcuni
studiosi d’arte intervenendo poco prima della
Grande Guerra nella Rivista scientifica storico-artistica Bulletin de la Société de l’histoire de l’art français
89
intorno alle attribuzioni fatte da Villot e da Both de
Tauzia sui dipinti pervenuti al Louvre, abbiano avvertito giustamente la necessità di rivedere le attribuzioni di metà Ottocento - a volte sembra di leggere una vera e propria errata corrige - e di operare
inoltre uno studio più approfondito sulle fonti,
come la Description raisonnée des peintures du Louvre.
Ecoles étrangères: Italie et Espagne 88 di Seymour de Ricci, riconsegnando di conseguenza in toto, all’interno di questa ricognizione, la paternità del dipinto
al Guercino: dalla registrazione si apprende inoltre
anche la data esatta del suo trasferimento a Montpellier, indicata al 16 maggio 1896 89. Scampato anche ad una erronea segnalazione dell’archivista-bibliotecario della città di Strasburgo che, accomunando le sorti delle Collezioni d’Arte di pittura e
scultura conservate da appena un anno all’Aubette,
con la distruzione della Biblioteca per via dei tristi
accadimenti cittadini nell’agosto-settembre 1870
durante la guerra franco-prussiana, lo riteneva bruciato e quindi andato perduto90, ignorandone il rientro al Louvre da almeno una cinquantina d’anni.
Rientra con qualche onore nel Catalogo del 1926,
redatto con competenza e sapienza da André Joubin scelto con lungimiranza dall’Amministrazione
comunale come successore di d’Albenas all’interno
della Facoltà di Lettere dell’Università di Montpellier ove era inserito come chargé des cours de l’histoire
de l’art. Egli, approfittando della chiusura del museo a causa della Prima Guerra mondiale, si attivò
nel riorganizzare completamente l’inventario delle
opere d’arte museali, dotandole ad esempio di una
ampia bibliografia di riferimento, sulla scia delle
pubblicazioni del Louvre91. L’ottimo lavoro di Joubin non fu comunque sufficiente ad attirare l’attenzione di Marie-Louise Blumer che nella sua esaustiva e straordinaria ricognizione effettuata nel 1936 a
completamento dei suoi studi intorno alla ricostruzione delle vicende storiche dei dipinti italiani presenti al Louvre ed ivi entrati in epoca napoleonica,
individuati in numero di 509, registra il nostro dipinto in modo pertinente come opera di BARBIERI
(Giovanni-Francesco) dit L E GUERCHIN. e come proveniente da Fano, 1797; a seguire indica il passaggio a
Paris, 27 juillet 1798., e quindi a Strasbourg, Musée,
1801 anche se poi si perde un attimo distratta
dall’incendio delle cannonate prussiane che nel
1870 distrusse il museo strasburghese (Ne figure pas
aux catalogues du Musée antérieurs à l’incendie qui l’a
détruit en août 1870.)92 e molto probabilmente, anche se appare strano, non le riesce di collegare
come il dipinto non possa essere presente all’epoca
a Strasburgo e quindi non possa comparire negli
90
inventari per via del suo rientro al Louvre, come si
accennava, da almeno cinquant’anni. La studiosa
soprattutto non annota il successivo passaggio a
Montpellier del 1896, mentre ben registra l’iter di
altri tre dipinti requisiti in Italia - uno dalla chiesa
di San Pietro di Cremona il 31 luglio 1797 di Jacopo
Negretti che la studiosa indica, per un refuso, come
Palma il Vecchio (Il massacro degli abitanti di Ippona);
uno dalla Galleria Sabauda di Torino nel febbraiomarzo 1799 di Nicolas Poussin (Mosé sale sul monte
Sinai) ed uno da Napoli nel 1802 di Andrea Sabatini detto Andrea da Salerno (Visitazione) - che nel
tempo presero da Parigi la via dell’Hérault come
depositi statali rispettivamente nel 1803 i primi due
e nel 1872 il terzo93. È citata inoltre nel regesto approntato la segnalazione, erronea, di un dipinto
che la studiosa segnala come proveniente da Fano,
requisito anch’esso nel febbraio 1797 raffigurante
la Vierge et l’Enfant entourés de la gloire céleste assegnato a Paolo Caliari detto Veronese - è difatti firmato
Pauli Caleari - mandato nel 1809 come envoy
d’Etat al Museo di Belle Arti di Digione, meglio registrato in seguito come proveniente invece dall’altare maggiore della Chiesa della Confraternita di
Sant’ Antonio Abate di Pesaro94. Il Saint Jean-Baptiste à la source nel 1936 si trovava, invece, caparbiamente ancorato alle pareti del Museo Fabre che
all’epoca in verità gli prestava poca attenzione, proteso verso una impostazione dello sviluppo dell’arte contemporanea. Un lustro più tardi (1941), durante il periodo della Repubblica di Vichy, seppur
temporaneamente, il dipinto venne distaccato,
come tutto il resto delle collezioni, per trovar rifugio, in una diaspora di salvezza, nei sotterranei del
Castello di Roquedols a Meyrueis nel Dipartimento
della Lozère. Torna ad essere segnalato in un dattiloscritto di Jean Claparède, direttore museale a
Montpellier dal 1945 al 1965, allorché dopo la Seconda Guerra mondiale il rientro dai rifugi delle
opere d’arte aveva imposto una loro risistemazione
e riorganizzazione95. Non si riuscì a farlo arrivare
dalla Francia per la mostra bolognese del 1968 al
Palazzo dell’Archiginnasio (1 settembre - 18 novembre), nell’ambito della VII biennale di Arte Antica,
in cui Denis Mahon misurava e consolidava la sua
straordinaria competenza intorno alle opere del
Guercino - lo studioso nell’occasione si occupava
dei dipinti e l’anno dopo dei disegni - e, per quanto
ci riguarda, avviava, seppure attraverso altri dipinti, la prima interessante panoramica sulle vicissitudini dei dipinti di Guercino con soggetto San Giovanni Battista, unitamente all’indicazione di quella
poetica intimistica e personale che da esso proma-
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
nava96. A seguire le ulteriori citazioni del dipinto
sono tutte contenute in forma prettamente inventariale nella lista degli annexes de province (Tableaux
déposés par le Louvre) che compare ogni volta che a
Parigi viene stampato un nuovo Catalogue di competenza dei vari conservatori e rientrante nella grande operazione editoriale curata da Arnauld Brejon
de Lavergnée ed altri, iniziata nel 1979, ove il turno
per la nostra opera arriva con una citazione nel
1986 ed una seconda nel 1988 quando si esaminano
i dipinti sparsi per le collezioni statali periferiche
lasciati “in deposito dal Museo centrale”97. Una ulteriore importante citazione il San Giovanni Battista
alla fonte di Fano/Montpellier la ritrova nel 1988
quando Luigi Salerno, con la collaborazione di Denis Mahon, pubblica il suo lavoro su tutta l’opera
pittorica del Guercino e per il dipinto fanese ricostruisce, con l’assistenza dello studioso inglese, una
stentata quanto imprecisa segnalazione storica98,
mentre nello stesso anno (1988) Stephane Loire lo
rimarca, in contrapposizione all’imminente apertura della mostra Seicento al Grand Palais di Parigi
(11 ottobre 1988-2 gennaio 1989), in uno studio
comprendente anche altri dipinti guercineschi che
egli indica come peu connus: la préparation d’une exposition consacrée à la peinture italienne du XVIIe siècle
d’après les collections des musées de province a fourni l’occasion de revoir systématiquement tous les fonds de ces
musées …Cette étude voudrait, en complément des tableaux présentés à l’exposition, apporter quelques précisions
concernants certaines des oeuvres des collections françaises 99. Il dipinto trova ancora una veloce citazione
nel lavoro sulla catalogazione dei disegni di Guercino e della sua scuola, ben 826 in totale di cui 348
ascrivibili al maestro, già appartenuti a Re Giorgio
III e poi conservati nelle Collezioni reali inglesi della Royal Library al Castello di Windsor che vede la
luce nel 1989 per opera di Denis Mahon e Nicholas
Turner100. Un ulteriore contributo (Le Guerchin en
France) è portato nel 1990 con una interessante mostra al Pavillon de Flore (31 maggio-12 ottobre) ancora da Stephane Loire che, in qualità di conservatore al Museo del Louvre per la pittura italiana bolognese di epoca barocca, sviluppa con competenza
il discorso avviato nel saggio precedente del 1988
intorno alle poetiche guerciniane del periodo tardo, ove la realizzazione del Saint Jean-Baptiste à la
source di Montpellier (già a Fano, aggiungerei), sottoposto per l’occasione ad un intervento di restauro101 e quindi reso maggiormente leggibile102, egli
ritiene manifesti il riassunto pittorico dell’esperienza artistica di tutta una vita, celle d’un peintre dont les
dons les plus exceptionnels furent toujours mis au service
d’une des très haute conception de son art, vecue pourtant
avec simplicité et la plus fervente sincérité103 con una
propensione vicina a quella evidenziata e profusa
dall’artista centese nella tela da appendere alle pareti della propria casa bolognese: ...Cinq années
avant sa mort, le Guerchin est, une nouvelle fois, parvenu à conjuguer, comme dans une version de ce même sujet
peinte vers 1652-1655 pour orner sa propre maison…104.
L’anno seguente (1991) il San Giovanni Battista ebbe
ancora una citazione nel catalogo completo dei dipinti guercineschi redatto da David M. Stone105: tutti contributi che per certi versi segnarono in Italia
come in Francia, con Stone addirittura in NordAmerica, l’approssimarsi della grande mostra di
Bologna curata da Denis Mahon nel 1991 nell’ambito delle celebrazioni per i 400 anni della nascita
di Guercino (1591-1991)106 e delle programmazioni
espositive volute ed organizzate dalla Soprintendenza bolognese a partire dal 1950 che giunsero
fino al 2001, in un crescendo storico artistico che
ha connotato in maniera impressionante la vita culturale della città felsinea, portandola nel contempo
ad una esaltante ribalta internazionale107. Denis
Mahon nello stendere la scheda sul San Giovanni
Battista alla fonte che, beneficiando di una “licenza
premio” per le importanti celebrazioni durate dal
settembre al novembre 1991, poteva così rientrare
in Italia e farsi osservare nella sede espositiva bolognese del Museo Civico Archeologico, esplicava in
maniera molto pratica le consonanze intraviste nella resa del paesaggio (“Abbiamo già visto l’interesse
del Guercino per l’ambientazione paesaggistica nei
dipinti eseguiti per la propria casa...”) tra questo
dipinto e altri due dipinti presenti in mostra facenti
parte dei “famosi” quattro, eseguiti da Guercino
pro domo sua cui anche Loire aveva appalesato la vicinanza attraverso un San Giovanni Battista la cui
assenza nelle pertinenze contabili del Libro dei conti
asseverava ancor di più l’appartenenza al gruppo
famigliare108. Ritorna segnalato e citato ancora in
una operazione avviata da pubbliche istituzioni
marchigiane tese al recupero della memoria storica
del proprio patrimonio artistico: la Regione Marche, nell’ambito di una sistematica e capillare inventariazione iniziata negli anni novanta del secolo
scorso, dava l’abbrivio ad un progetto (Le Marche disperse) ambizioso e ponderoso, culminato nel 2005
con la pubblicazione dei risultati. Al giro di boa del
terzo Millennio la Provincia di Pesaro e Urbino aveva già promosso in maniera autonoma, in seguito
coordinata con l’Ente regionale sovraordinato, lo
studio delle opere d’arte nel proprio territorio interessate, in epoca napoleonica, dai processi di trafu91
gamento e di trasferimento in Francia, nella Pinacoteca di Brera a Milano e nelle chiese della Lombardia (L’Arte Conquistata) che infatti veniva prodotto a stampa nel 2003: in entrambi i volumi il San
Giovanni Battista alla fonte era di nuovo catalogato e
studiato109. Oltralpe, dopo le attenzioni di Jean Claparède nel 1968, peraltro ‘semiclandestine’ nella
loro veste di testo dattiloscritto, l’ultima segnalazione a catalogo del Museo di Montpellier risulta essere una Guida del 2006, approntata dal direttore
Michel Hilaire verosimilmente per l’imminente riapertura del complesso museale, ove il dipinto fanese è presentato in maniera succinta ma esaustiva e
con l’indicazione che esso trovasi collocato nella
Galerie des Griffons con riconferma del numero di
inventariazione D.896.1.1.110. Si è trattato di una
operazione editoriale del Museo francese rientrante nel riaggiornamento della situazione delle proprie collezioni consona alla ristrutturazione e rinnovamento di tutto il complesso architettonico
espositivo; rimasto chiuso per lavori quattro anni,
dal 2002 al 2007, il Museo Fabre è stato, infatti, reinaugurato (réouvert) il 4 febbraio 2007 con l’intenzione di porsi all’avanguardia nelle istituzioni museali nazionali ed europee: Au terme de longues années des travaux, le musée de Montpellier, magnifié dans
ses espaces comme dans sa lumière, tout au long d’un percours tantôt intimiste ou au contraire majestueux, s’impose désormais comme une des toutes première collections de
beaux-arts en France et en Europe 111. Un ultimo passaggio nella storiografia guercinesca il nostro San Giovanni Battista alla fonte, unitamente ad altri analoghi soggetti a figura intera, lo ha fatto recentissimamente (Cento, Pinacoteca Civica 14 novembre - 13
febbraio 2011), segnalato con altri dipinti di analogo soggetto nella pubblicazione edita a supporto di
un corrispondente San Giovanni Battista ritrovato in
collezione privata112. Ora invece esso ritorna in Italia a distanza di 20 anni, ed addirittura dopo 214
anni a Fano, città per cui nel 1661 quasi una intera
congregazione religiosa - quella dei Reverendi Padri Filippini - ed un prestigioso casato nobiliare quello degli Alavolini-Danieli - si erano mossi tra
Fano e Bologna a richiedere ad uno dei maggiori
pittori di dipinti d’altare dell’epoca, in ottemperanza al voto di una promessa di pietas filiale, l’ulteriore coronamento al completamento dell’acconciatura barocca di una delle più belle chiese dello Stato
pontificio, quantomeno delle odierne Marche. La
‘decontestualizzazione’ per certi versi ha posto questo dipinto ad un interesse e ad una visione più ampia e di maggior respiro riservandogli una ‘tracciabilità’ storiografica impressionante, riconoscendo92
gli di conseguenza un peso di tutto rispetto nel panorama della pittura guercinesca e, più in generale,
barocca113. L’accostamento ora con altre due opere
realizzate da Guercino nell’arco temporale di un
ventennio e poste alla fruizione di una stessa città,
consente di comprendere tutta la fondatezza della
forza espressiva di un artista protagonista del suo
tempo e conscio della sua convinzione intimamente religiosa ed anche di quella della committenza
che lo aveva cercato e richiesto.
Un sincero ringraziamento a Claudia Cardinali per la
collaborazione nella composizione computerizzata del testo; all’amico Emilio Negro per alcune sollecitazioni di
problematiche guerciniane; a Vittorio Ciarrocchi per la
collaborazione nella lettura dei testi latini; a Grazia Alberini della Biblioteca Oliveriana di Pesaro per le agevolazioni librarie e, sul versante francese, a Brigitte Selignac
del Musée Fabre di Montpellier e Dominique Bardin-Bontemps del Musée des Beaux-Arts di Dijon per la cortesia
nell’avermi messo a disposizione alcune schede di dipinti
italiani pertinenti a questa ricerca e conservati nei loro
musei. Analogamente ringrazio Richard L. Feigen presidente della R. L. Feigen & Co. di New York per avermi
messo a disposizione l’interessante e competente scheda sul
Saint John the Baptist in the Wilderness di proprietà
della Galleria d’Arte newyorkese.
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
Note
1 Il territorio regionale che a far tempo dal Decreto del 22 dicembre 1860 del Ministro dell’Interno del Regno di Sardegna,
Marco Minghetti, è chiamato Marche, nel XVII secolo risultava
scomposto in Legazione di Urbino e Pesaro (dal 1631); Delegazione di Fano; Rettoria del Montefeltro; Delegazione di Jesi; Delegazione di Camerino; Marca di Ancona e Macerata; Marca di
Fermo (cfr. Volpi 1983, pp. 301-311).
2 Tracce dei committenti “marchigiani” e indicazione dei soggetti raffigurati si trovano nella contabilità della movimentazione
artistica della bottega del Guercino (prima tenuta dal fratello
Paolo Antonio e poi, alla morte di questi nel 1649, dallo stesso
Giovan Francesco - alcuni propendono per la mano del cognato
Ercole Gennari - e dal 1665 dal nipote Benedetto Gennari: v. Il
libro dei conti…, 1997, pp. 19-26); essi sono ben segnalati da
Polverari 1991 e riscontrabili anche nel completo ed articolato lavoro sul libro dei conti... testé citato, curato da Barbara Ghelfi nel
1997 che oltre a pubblicare il manoscritto (Bologna, Biblioteca
Comunale dell’Archiginnasio, Ms. B 331) annota e recupera tutta la precedente letteratura artistica in materia (Malvasia 1678;
Calvi 1808; Malvasia/Zanotti 1841; Mahon 1968; Salerno 1988;
Mahon 1991; Stone 1991).
3 Vale la pena quindi ricordarli: 1.San Nicola da Tolentino del
1637 conservato a Tolentino in collezione privata; 2. L’Annuncio
a Sant’Anna del 1640 conservato a Tolentino nella Basilica di San
Nicola; 3. L’Angelo custode del 1641 conservato a Fano nella Pinacoteca Civica; 4. La Madonna del Rosario con i Santi Domenico
e Caterina da Siena del 1642 conservata ad Osimo nella Chiesa
di San Marco; 5. Madonna col Bambino e Sant’Anna del 1642-43
conservata a Senigallia nella Chiesa di San Martino; 6. San Michele Arcangelo del 1644 conservata a Fabriano nella Chiesa di
San Nicolò; 7. Lo Sposalizio della Vergine del 1649 conservato a
Fano nella Pinacoteca San Domenico della Fondazione Cassa di
Risparmio di Fano; 8. L’ Immacolata Concezione del 1656 conservata ad Ancona nella Pinacoteca Civica; 9. Santa Lucia del 1658
conservata a Recanati nella Pinacoteca Diocesana; 10. Santa Palazia del 1658 conservata ad Ancona nella Pinacoteca Comunale;
11. San Giovanni Battista alla fonte del 1661 conservato a Montpellier nel Museo F.-X. Fabre; 12. L’Annunciazione del 1662 conservato ad Ancona nella Chiesa di San Domenico. Cfr. Zampetti
1990-91, III, pp. 359-362 e Polverari 1991, pp. 15-71 che forniscono, completandosi, sia le precedenti citazioni bibliografiche che
le originarie destinazioni dei dipinti; vengono inoltre registrati
anche altri dipinti guercineschi “marchigiani” ma dispersi e non
più rintracciati (Polverari 1991, pp. 10-12).
4 Cfr. Pasini 1987, pp. 16-17 e Zampetti 1990-91, III, pp. 359-360
(sua è la citazione sul “calderone romano”). Per lo studio analitico
dei costi praticati da Guercino ai propri committenti e sulla tipologia di costoro, v. Bonfait 1990, pp. 71-94 pubblicato anche in
Francia l’anno dopo (Bonfait 1991, pp. 401-427) ed anche Haskell
1980.
5 Parole di sir Denis Mahon riferite al Saint Jean à la source
riportate in Loire 1990, p. 83.
6 Vedi Il libro dei conti… 1997, p. 193 (conto n. 570). Il problema dei prezzi e delle monete utilizzate nel Libro dei Conti della
bottega del Guercino è particolarmente complicato (scudo romano, scudo di paoli (utilizzato dal Malvasia = 4,5 lire bolognesi),
lira centese, lira bolognese, ducatoni…).Tutta questa contabilità
consentiva a volte, soprattutto al Malvasia, di far da “mediatore” con il pittore centese per ottenere dei prezzi al ribasso o
delle agevolazioni per il cliente. È il caso di due dipinti pagati
il 22 dicembre 1659 dalli Sig.ri Fantetti e Cattani per conto di
monsignor Antonio Albergati, arciprete bolognese e auditore
della Sacre Rota (un Ecce homo, oggi conservato alla Galleria
Sabauda di Torino, e una Madonna Addolorata, questa invece,
non rintracciata: Malvasia 1648, ed. a cura di G. Zanotti, Bologna
1841, II, p. 271) fatti pagare 50 scudi l’uno (questo era il prezzo
per la mezza-figura) cui per cortesia Guercino aggiunse gratis nel
primo una testa di aguzzino che avrebbe dovuto essere pagata
25 scudi secondo il “prontuario prezzi” della bottega (cfr. i commenti su questa notizia del canonico Malvasia in Salerno 1988, p.
394 e Il libro dei conti… 1997, p. 35 e p. 186). Non analogamente
si mosse invece padre Ghislieri per i confratelli fanesi che a loro
volta “mediavano” per conto degli Alavolini: il costo richiesto di
175 scudi per il dipinto fanese all’esame del Libro dei conti risulta
il più alto in assoluto richiesto tra sei realizzazioni di San Giovanni
Battista a figura intera e pone la domanda, posto che non ci si
voglia interrogare troppo sul ruolo di committenza ed intermediazione intorno all’atelier guercinesco (v. Il libro dei Conti…1997,
pp. 36-42) quali e quante voci variabili concorressero alla formazione del prezzo (uso del blu oltremarino, tipo di tela e del telaio, diaria, imballaggio,...). L’accennato prontuario che prevedeva
100 scudi per la figura intera, 50 per la mezza figura e 25 per
una testa, sempre tradotti dal biografo bolognese in “scudi di
paoli”( Il libro dei Conti…1997, pp. 26-36) era stato già indagato
da Denis Mahon il quale ha dimostrato come Malvasia dovesse
avere avuto accesso ad una lista di ordini piuttosto che al Libro
dei Conti di Guercino (Mahon 1968, pp. 2-3: qui il maggior studioso del Guercino riprendeva supposizioni esternate precedentemente, Mahon 1947, pp. 53-54 nota 74). Per gli appassionati di
economia monetaria del periodo si segnala per l’imprescindibile
utilità il saggio di Salvioni 1925, pp. 207-265 interpretato, commentato e applicato al caso dell’attività del Guercino da Bonfait
1990, p. 71 e p. 72 nota 3, riportato anche nella stesura francese
dell’anno dopo Bonfait 1991, p. 401 e p. 402 nota 3.
7 Cfr. Malvasia 1648, p. 138. Sul conte bolognese poi passato
alla vita religiosa e sui dipinti citati vedi Landolfi 1996, p. 146
nota 10 e p. 155; inoltre Mahon 1991, p. 217, pp. 264-265, pp.
292-293 e pp. 314-315.
8 Zanotti 1739, pp. 5-6 e Landolfi 1996, p. 146.
9 Le vicende fanesi della congregazione oratoriana e della loro
chiesa sono narrate in maniera estremamente particolareggiata
da Giacomo Ligi, uno dei confratelli: v. Ligi 1711; il manoscritto è
conservato presso la Biblioteca Federiciana di Fano (Ms. Federici 76). Sulla storia della annessa Biblioteca, invece, v. Biblioteca
Federiciana 1995.
10 Le lapidi sono riportate, con qualche inesattezza, in Tomani
Amiani 1981 p. 164; correttamente invece in Patrignani, Battistelli 2010 pp. 260-261: vedine la trascrizione e traduzione poco più
avanti.
11 Ligi 1711, cc. 212-213 ed anche Istoria della Nobiltà di Fano
1994, pp. 39-40; con tutta probabilità l’altare fu dedicato al battezzatore di Cristo dalla vedova in memoria del marito Giovan
Battista.
12 Ligi 1711. Il Pandolfi è in effetti un pittore che a volte..si lascia tentare con la delizia del raccapriccio, specialmente se ha a
pretesto scene di martirio (Calegari 1989, p. 159).
13 Ligi 1711, c.212 ed anche Calegari 1989, pp. 158-160. La figura del pittore camaldolese Venanzio da Subiaco è stata esaustivamente indagata, ricomposta e dipanata da una quindicina
d’anni e, tra le esaurienti notizie rintracciate nell’Archivio di Camaldoli, Fondo Camaldoli, ms. 159 (v. Conigliello 1993, pp. 2627) compare nella lettura degli atti capitolari generali dal 1635
al 1655 l’indicazione che tra l’aprile del 1641 e il settembre del
1642 il monaco Venanzio è eletto e nominato priore dell’Eremo
93
di San Salvatore di Monte Giove presso Fano; e questa dovette
essere l’occasione da parte di famiglie nobili fanesi, conosciutane la versatilità, di commissioni artistiche come il dipinto d’altare
con San Giovanni Battista della cappella Alavolini in San Pietro
in Valle: questo traspare all’esame della nota di pagamento di
circa due anni dopo ( 4 dicembre 1644) comprendente anche il
saldo per altri due dipinti raffiguranti S. Filippo Neri eseguiti per
la cappella Petrucci della medesima chiesa (Ligi 1711, cc. 66-71).
14 Ligi 1711, c. 213. Lorenzo Alavolini nello sposare Costanza
Danieli ne assumerà, per mancanza di discendenza maschile, anche il nome del casato aggiungendolo al proprio (cfr. Istoria della
Nobiltà di Fano 1994, pp. 13-14).
15 La successione genealogica per quanto riguarda gli Alavolini, nobile famiglia fanese proveniente dalla Rocca Contrada
(oggi Arcevia) a partire da Attilio, Capitano delle milizie del
Granduca di Toscana e Sovrintendente Generale dell’Esercito
Pontificio in Ungheria, dalla seconda metà del XVI secolo fino a
tutto il Seicento, registra un Papirio (...familiare favorito del Vescovo [di Fano dal 1567 al 1587] Francesco Rusticucci...), a seguire
un Lorenzo ([entrato] poi di Consiglio a’ 6 luglio 1623) e ancora un
Papirio (...lettor jurista...): cfr. Istoria della Nobiltà di Fano 1994,
pp. 13-14.
16 Per la storia artistica e le esaustive indicazioni bibliografiche
dei primi due, vedi:
a) Il libro dei conti…1997, p. 110 (conto n. 260): Il dì 12.Ottobre
[1641] Dal Sig.r Vincenzo Nolfi da Fano si è riceuto per il Quadro
del Santo Angelo Custode, Schudi di Paoli n.180 quali fano di
moneta nostra Schudi 232.1/2 e Polverari 1991, pp. 21-32; inoltre
AA.VV. La Pinacoteca Civica di Fano 1993, pp. 59-61 (Scheda n.
41 a cura di D. Mahon).
b) Il libro dei conti… 1997, p. 142 (conto n. 404): Il dì 15 Marzo
[1649] Dal Sig.r Auditore Fran.co Sperandio si è riceuto Schudi
300 di Paoli per il Quadro di Fano cioue del Sposalizio della Beata Vergine con San Gioseppe che fano L. 1453 e soldi 10. Schudi
363 L 0,10 e Polverari 1991, pp. 45-49; inoltre AA.VV. La Pinacoteca Civica 1993 pp. 279-281 ( Scheda n. 508 a cura di D. Mahon)
e F. Battistelli 1999, pp. 22-24.
si trova anche tra i committenti del Guercino per la propria chiesa (Il libro dei conti…1997, p. 118 (per capara) e p. 135(per intiero
pagamento): si tratta di un S. Gregorio Magno addita Cristo, Dio
Padre e la Vergine alle anime del Purgatorio).
21 Cfr. Il libro dei conti… 1997, pp. 156-157 (conto n. 453). La caparra di ungari n.0 34 et L.1 che… fano ducatoni n.0 58 era stata
versata otto mesi prima, il 9 agosto del 1651, sempre dallo stesso
religioso don Leone di S. Paolo senza citare il Santacroce (Il libro
dei conti…1997, p. 154) che invece è indicato da Malvasia ma
ancora come Monsignore che fu poi Cardinale (Malvasia 1841,
p. 269): infatti Marcello di Santacroce, cessato il suo ufficio a Bologna nel 1650, fu creato cardinale nel 1652 e parimenti inviato
quale vescovo-cardinale di Tivoli fino alla sua morte (1674): cfr.
Note storiche 1934, pp. 334-336. Jacopo Alessandro Calvi nella
biografia dell’artista cita esattamente Fano (Calvi 1808, p. 138).
22 Vedi Foglio 77 verso in Il libro dei conti… 1997, p. 224: è
annotato l’incasso della somma di L. 210 da una “sig.ra monaca”;
peraltro è l’unica citazione di una religiosa monaca in tutto il libro
contabile guerciniano che com’è noto va dal 1629 al 1666.
23 Io posso augurargli [a Giulia Uffreducci] l’evento di quelle
donne sterili che partorirono Sansone, Samuele, Scipione, e i
Santi Giovanni Battista e Nicolò et a’ tempi moderni la Duchessa
di Savoia, madre di Carlo Emanuele, Madama Reale [Maria Cristina di Francia] e la Regina di Francia regnante (Istoria della Nobiltà
di Fano 1994, p. 14).
24 Cfr. Testamento di Ippolita Uffreducci Nolfi in Belogi 2001, p.
161
25 In verità vi è una precedente citazione di un cardinale di Santacroce ma si riferisce allo zio Antonio, legato di Bologna negli
anni ‘30 (v. nota 30).
26 Weber 1990 ad vocem; vedi anche De Novaes 18223, p. 45.
Per una breve biografia dei due porporati v. Cardella 1793, pp.
71-72 (Savelli) e pp. 96-98 (Santacroce).
17 Fano, Biblioteca Comunale Federiciana, ms. XIII, 46, NFA
(Nuovo Fondo Antico); la si veda riprodotta per intero in Battistini 1989, p. 175, nota14.
27 Il libro dei conti… 1997, p. 144 (conto n. 414) ed anche Salerno 1988, p. 335, n. 264; Il Guercino…, 1991, pp. 322-325, n.
123; Stone 1991, p. 259, n. 249. I due pagamenti del mese di
febbraio 1650 di 100 lire ciascuno sono registrati solamente sul
foglio volante 93 recto allegato al Libro dei conti (ivi).
18 Dovrebbe trattarsi di Giacomo Certani, nobile bolognese
del XVII secolo diventato religioso nei Canonici Regolari Lateranensi che ebbe contatti prossimi a Fano: dal 1653 al 1655 infatti
fu arciprete nella chiesa di Santo Stefano di Senigallia e dal 1656
al 1665 ritornò arciprete in quella di S. Petronio a Bologna (cfr.
Fantuzzi 1783, pp. 170-171).
28 Cfr. Campori 1870, pp. 161-166 indicato in Il Guercino…,
1991, p. 322: dell’acquisto di questi dipinti si interessò anche
Francesco I, duca di Modena (Il Guercino…, ivi). Pare comunque
che il Legato pontificio avesse consistenti problemi finanziari.
29 Stone 1991, p. 290.
19 Cfr. Roio 2004, p. 165 ove la studiosa riprende l’indicazione del Crespi che attribuisce a Benedetto Gennari, nipote del
Guercino, alcune mezze figure nella sacrestia della chiesa fanese di San Paterniano (Crespi 1769, p. 173 ed inoltre Castellani
1900, p. 12). Il manoscritto, una Guida che lo studioso cita, è
stato pubblicato nel 1983 recuperandolo dal fondo a lui intestato (Cecini 1983, pp. 233-241). Rodolfo Battistini, peraltro, anche
recentemente ha ribadito l’attribuzione a Benedetto Gennari di
due opere nella chiesa di San Paterniano di Fano (Battistini 2010,
p. 195). Sulla consuetudine nella fase tarda della produzione di
Guercino di promuovere i nipoti che lavoravano nella bottega, si
veda ad esempio anche l’episodio relativo agli anni 1655-57 circa
l’esecuzione di una pala d’altare per le suore clarisse di Pieve di
Cento, riportato da Mischiati 1991, pp. 135-144.
20 La chiesa dei Chierici Regolari di San Paolo o padri Barnabiti
di Bologna venne costruita tra il 1606 ed il 1611 ed il padre Leone
94
30 Malvasia 1841, p. 268: Guercino era accompagnato da Bartolomeo Gennari, pittore nella sua bottega.
31 Il cardinale Antonio di Santacroce, Legato pontificio di Bologna dal giugno 1631 al maggio 1634, morì il 25 novembre 1641:
biografia in Cardella 1793, pp. 48-49. Ebbe contatti con Guercino per la commissione di un dipinto (una Primavera), pagato in
data 16 dicembre 1632 (Il libro dei conti… 1997, pp. 68-69, conto
n. 64). Vincenzo Nolfi già da metà degli anni trenta del Seicento
era un letterato affermato: il libretto del Bellerofonte pubblicato
la prima volta a Venezia nel 1642 e rappresentato sempre a Venezia (Teatro Nuovissimo) nello stesso anno con scene ideate da
Giacomo Torelli, fu stampato 3 volte (Belogi 2001, p. 56), tra cui
quella bolognese del 1649: cfr. anche Franchi, Sartori 2001, p.
63.
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
32 Il libro dei conti… 1997, p. 110 (v. nota 16).
33 Battistini 1989, p. 195.
34 Il libro dei conti… 1997, p. 154 (conto n. 445) e p. 156 (conto n. 453). A mio avviso, comunque, è da porre maggior fiducia
nella citazione per Fano che compare nella trascrizione del saldo per il pagamento del quadro che nella citazione per Roma
che invece compare nei riepiloghi (i fogli sparsi allegati al libro
contabile) per l’anno 1651: vedi foglio 79 recto in Il libro dei conti…1997, pp. 225-226.
35 Cfr. Belogi 2001, p. 161.
36 Cfr. Belogi 2001, p. 149 (Testamento di Guido Nolfi). Consubrina o consobrina è l’equivalente di cugina materna. Marco
Belogi ipotizza possa trattarsi di un dipinto che, comunque, nella parte bassa porta anche un San Giovanni Battista ed un San
Francesco a mezza figura oggi conservato nei depositi della Pinacoteca civica fanese con attribuzione ad ambito di Federico
Zuccari (ivi, p. 99-100) ma difficile da condividere alla lettura del
Catalogo che cita la tela come proveniente dalla Collezione Antonelli: v. Battistini 2003, p. 50, n. 24.
37 Cfr. Belogi 2001, pp. 157-163.
38 Si tratta di uno dei due conventi fanesi delle monache agostiniane; l’altro era quello del Corpus Domini la cui fondazione
era stata promossa dal vescovo Tommaso Lapi (vescovo di Fano
dal 1603 al 1622) e terminato nel 1618. Si veda anche la nota n.
18.
39 Stando al Libro dei conti doveva comunque trattarsi di un
dipinto a figura intera e paesaggio visto il costo vivo, come si
direbbe oggi, di 125 ducatoni (58 di Cappara e 67 di Saldo, et ultimo pagamento) che equivalgono a 156 scudi; escluse,appunto,
le spese connesse per la tela, il telaio, l’imballaggio, la spedizione, ecc. che, aggiunte, determinarono una spesa totale di 164
scudi: vedi citazione a nota 28.
40 Tomani Amiani 1981, p. 195. La “buriana” delle truppe francesi nel 1797 disperse l’archivio conventuale ed inoltre nel 1911
la chiesa ed il convento furono abbattuti per far posto alla “piazza del mercato” (Tomani Amiani 1981, ivi e nota 274 a p. 224),
occasione certamente nefasta per la dispersione di oggetti ed
opere d’arte.
41 Vincenzo Nolfi e la moglie Ippolita morirono nel medesimo
anno (1665) di lì a poco, a cinque giorni di distanza l’una dall’altro. La lettera del Guercino come si ricorderà è del 15 agosto
1665: l’artista centese morirà nel dicembre dell’anno dopo.
42 Giovan Francesco riceverà l’ultima commissione “marchigiana” tra il marzo (caparra) ed il giugno (saldo) 1662 (Il libro dei
conti… 1997, pp. 193-195, conti nn. 571 e 573) dall’abate Federico Troili di Ancona attraverso un paio di suoi procuratori bolognesi (Antonio Manolesi ed il mercante Bernardo Pezzi: Il libro
dei conti… 1997).
43 La traduzione è mia con la collaborazione di Vittorio Ciarrocchi che ringrazio della disponibilità e cortesia.
44 Esse sono state studiate e coordinate in un recente studio: v.
Gozzi 2010, pp. 36-47.
45 Cfr. Pagnotta 1987 p.62 e fig. 45.
46 Più ampie e complete notizie su tutti questi dipinti in Gozzi
2010, ivi. Non mi sento di computare nel novero delle esecuzioni
autografe guercinesche dei San Giovanni Battista a figura intera l’inedito ora esposto nella Pinacoteca di Cento (14 novembre
2010-13 febbraio 2011), oggetto del catalogo a cura di Davide
Dotti citato alla precedente nota 23, ritenendolo piuttosto opera
ragguardevole della bottega. Porrei l’attenzione sull’illanguidimento dello sguardo rivolto verso il cielo che è un atteggiamento troppo teatrale da poterlo ricondurre alla pietas guerciniana
oltre a tutta la composizione della figura che appare un po’ troppo molliccia rispetto alla forza ed alla fierezza di un Giovanni
ben conscio del ruolo di predicatore e precursore di Cristo che
Guercino nelle sue raffigurazioni ha saputo dargli. Punterei quindi ancora sulla paternità artistica indicata dalla riproduzione fotografica della fototeca zeriana e da un disegno piersantiano che
indicano e conducono, più verosimilmente, l’opera verso i pennelli di Benedetto Gennari: cfr. Scheda n. 57170 busta 549, fasc.2
Bologna, Fototeca della Fondazione Federico Zeri, segnalato
come copia da Guercino (cfr. Dotti 2010, p. 25, fig. 14 e p. 30 fig.
2) ed inoltre Zampetti, Cegna, Rotili 1998, pp. 41-42 ove un disegno a sanguigna, mm. 420x290, preparatorio del dipinto è segnalato come Scuola del Guercino. Addirittura alcune assonanze
nella realizzazione del viso, assai tondo e paffuto, rimandano ad
un’opera partecipante dello spirito poetico della bottega guerciniana come la pala d’altare con San Sebastiano dipinta da Benedetto Gennari poco oltre il 1652 per la Chiesa parrocchiale di San
Sebastiano a Renazzo di Cento, peraltro copia pressoché coeva
di un San Sebastiano di Guercino oggi a Pitti (cfr. Roio 2004, p.
136, fig.305).
47 Anonimo Pitture d’ Uomini Eccellenti che si vedono in diverse
chiese di Fano, Fano,per la Stamperia di Andrea Donati, s. d. (ma
1740 ca.) pp. 1-2; la si veda riprodotta in Pitture d’Uomini Eccellenti nelle Chiese di Fano 1995. Battistelli pubblica nel Quaderno, in una interessante composizione miscellanea, anche altre
due guide: una del 1730 ca., precedente quindi di un decennio
quella pubblicata dallo stampatore Donati, era già stata pubblicata dal Mariotti, cui gli era pervenuta manoscritta, nel 1909
(Catalogo delle Pitture esistenti…, 1909); l’altra,invece,posteriore
di una quarantina d’anni e quindi verso il 1775-80, conservata
nel Fondo Castellani della Biblioteca Federiciana di Fano (ms.
38) è stata anche questa già pubblicata: Cecini 1983, v. nota n.
19. Seguendo lo schema di Franco Battistelli il nostro San Giovanni alla fonte compare nella Guida del 1730 ca. (A) in maniera
molto scarna: S. Giovanni del Guercino. In quella del 1740 ca.
(B) la “mezzariga” si allunga: Il Guercino da Cento ha dipinto il
Quadro nella Cappella di S. Giovanni Battista e torna a contrarsi
leggermente nella Guida del 1775-80: Il Quadro della Cappella
di S. Gio: Batta è del Guercino (Pitture d’Uomini Eccellenti nelle
Chiese di Fano 1995, pp. 33-36).
48 Catalogo delle pitture che si conservano nella Chiesa dei
PP. della Congregazione dell’Oratorio di Fano sotto il titolo di S.
Pietro in Valle, 1781, p. 9. La Guida stampata da Andrea Donati
del 1740 ca. e questo Catalogo stampato da Giuseppe Leonardi
nel 1759 vengono equivocate e fuse in una unica citazione nella
scheda sul S. Giovanni Battista nel Catalogo della Mostra del
1991 (v. Il Guercino… 1991, p. 384).
49 Cochin 1758, p. 94: è l’unico quadro di San Pietro in Valle che
non gli aggrada; per altri dipinti spende infatti parole come..un
beau tableau du Guide... la tête du Crist est belle. Celle du S.
Jean est admirable,... il y a plusieurs têtes d’apôtres très-belles.
Deux autres tableaux dans le même sanctuaire [sono il San Pietro risana lo storpio di Simone Cantarini e il San Pietro resuscita
Tabita di Matteo Loves, entrambi oggi nella Pinacoteca Civica],
bons. Premier autel à droite [è l’altare della cappella Marcolini
di destra], une Vierge & un évêque [si tratta della Madonna col
Bambino e San Filippo Neri di Luigi Garzi oggi alla Pinacoteca
Civica], assez bien & gracieux. (Cochin 1758).
95
50 Le François De Lalande 1770, p. 254. Lalande è severo anche su altri dipinti che vede nella chiesa « ...Au maître-autel J.C.
qui remet les clefs à S. Pierre, tableau du Guide, tres-froid & gris
de couleur. Les deux tableaux des cotés du sanctuaire ne sont
pas mauvais; ils sont de Cantarini, Venitien [sic]: celui de la droite
[San Pietro resuscita Tabita] paroît meilleur que celui de la gauche [San Pietro risana lo storpio] (Lalande 1770, p. 253). Simone
Cantarini, il Pesarese, viene indicato come pittore veneziano ed
autore di entrambi i dipinti, molto probabilmente su indicazione
di qualche padre della Congregazione oratoriana che non era a
conoscenza della disgiunzione dell’autore, tra Simone Cantarini
ed il guercinesco Matteo Loves, operata già da un po’ di anni
(1711) proprio da un confratello, seppure con non corretta indicazione e trascrizione del nome (vedi Ligi 1711, citato a nota 8).
51 Il matematico Gaspard Monge il 27 maggio 1796 [8 prairial,
4ème de la République] entrava a far parte come coordinatore
della “Commission pour la recherche des objets des Sciences
et de l’Art” voluta dal Direttorio al fine di regolamentare con sistematicità le requisizioni artistiche dopo le asportazioni decisamente velleitarie della campagna di Belgio, Olanda e Germania
(1794-1795) conseguenti alla battaglia di Fleurus del 26 giugno/8
pratile 1794. Essa era composta, tra gli altri, dai pittori Jean-Baptiste Wicar, Antoine-Jean Gros, Jean-Simon Berthèlemy, JaquesPierre Tinet: v. Blumer 1934, pp. 62-88; Monge 1993, pp. 23-26 e
L’Arte conquistata 2003, pp. 49-50.
52 Massarini 2001 p. 33. I padri filippini provvidero da subito a
surrogare l’enlèvement guercinesco con un dipinto di Sebastiano Ceccarini (Natività del Battista) già in loro possesso unitamente ad un altro (San Giovanni predica alle turbe) avendo in mente
da qualche tempo di sostituire i lavori del Pandolfi, ritenuti non
tropo adatti. Il secondo dipinto verrà comunque collocato in sacrestia (Cleri 1992, pp. 170-173).
60 Gli “Invii di Stato” furono decretati da Napoleone medesimo,
Primo Console, su suggerimento del Ministro dell’Interno JeanAntoine Chaptal, il 14 fruttidoro, VII della Repubblica [1 settembre 1801]: Article 1er... quinze collections des tableaux, qui seront
mis à la disposition des villes de Lyon, Bordeaux, Strasbourg, Bruxelles, Marseille, Rouen, Nantes, Dijon, Toulouse, Genève, Caen,
Lille, Mayence, Rennes, Nancy. Article 2ème. Ces tableaux seront
pris dans le Muséum du Louvre et dans celui de Versailles… Article 4ème. Les tableaux ne seront envoyés qu’après qu’il aura été
disposé aux frais de la commune une galerie convenable pour les
recevoir. (Clément de Ris 1859, p. 4, p. 303 e Note F alle pp. 320322; ancora Clément de Ris 1872, p. 502).
61 E’ la prima pubblicazione del “Libro dei Conti”, potuta avvenire grazie all’amicizia tra l’autore delle Notizie della vita… ed il
proprietario, il principe bolognese Filippo Hercolani che l’aveva
acquistato dai Gennari, eredi del Guercino, nel 1772: Calvi peraltro manipola il testo regolarizzando la grafia ed eliminando le
parole che ritiene superflue. Esattamente cento anni dopo (1872)
per impedirne la dispersione il libro dei conti veniva acquistato
dalla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna e classificato come Ms. B/331 (Il libro dei conti… 1997, pp. 17-19).
62 Calvi 1808, p. 7 e annotazione 10 a p. 161.
63 Calvi 1808, annotazione 16 a p. 162 e cfr. Il libro dei Conti…1997, p. 128.
64 Calvi 1808, p. 20 e annotazione 27 a p. 163.
65 Calvi 1808, p. 30 e annotazione 33 a p. 163.
66 Calvi 1808, p. 31 e annotazione 35 a p. 163.
67 Calvi 1808, p. 33 e annotazione 36 a p. 163.
53 Monge 1993, p. 113: ...dovremo quindi tornare sui nostri
passi per prelevare, nelle città di Ancona, Fano, Pesaro, Rimini,
Ravenna Cesena, Faenza e Imola... Scrivendo ancora alla moglie
Caterine Huart il 20 germinale, anno V/9 aprile 1797 Monge riferisce che le requisizioni dovessero essere effettuate al ritorno
da Tolentino era stato un ordine preciso di Napoleone... ma domani mattina ci separeremo; Thouin [botanico ed agronomo] e
Wicar torneranno in Romagna per raccogliere gli oggetti d’arte
e di scienza che il generale in capo ci aveva consigliato di non
prelevare mentre avanzavamo al suo fianco. (ivi, p. 128; cfr. anche
Tittoni 1997).
54 Si trattò della delineazione di spartizioni territoriali a favore
della Francia che al momento della successiva ed effettiva definizione a Campoformio il 17 ottobre 1797 inclusero anche i territori della Repubblica di Venezia, caduta nel maggio dello stesso
anno, e le cui ostilità francesi erano iniziate da subito a seguito
dei cruenti episodi delle “pasque veronesi” del 17-23 aprile 1797.
55 Monge 1993. Monge porta a conoscenza della moglie oltre
ai vari movimenti delle opere d’arte per raggiungere la Francia
anche delle vittorie di Napoleone sugli austriaci in Carinzia.
56 Cfr. Blumer 1936, pp. 11-23.
57 Cfr. Wescher 1988, pp. 79-80.
58 Andrà anche menzionato il tentativo della pittrice Marie
Hadfield Cosway di realizzare un album illustrato ad acqueforti riproducenti i dipinti, soprattutto quelli provenienti dall’Italia,
collocati nella rinnovata Grande Galerie di cui fu prodotto un
solo volume (1802): cfr. Wescher 1988, pp. 93-94.
59 Cfr., Buranelli, Liverani, Nesserlath 2006, p. 182.
96
68 D’Este 1864, p. 226. Le Memorie furono pubblicate per volere ed opera del figlio Alessandro D’Este.
69 Calvi 1808, pp. 35-36 e annotazione 38 a p. 164.
70 Ce tableau n’est point au Musée. Il aura été probablement
envoyé dans un département sous une autre désignation (D’Este
1864, p. 198).
71 D’Este 1864, p. 200.
72 D’Este 1864, p. 230, si legga anche Boyer 1970 pp. 79-91: il
San Giovanni Battista à la source, rimasto in scambio, è citato a
p. 90.
73 Nota di Porzione degli Oggetti di Belle Arti appartenenti allo
Stato Ecclesiastico e trasportati in Francia nell’Epoca della Rivoluzione: dei quali Sua Santità Pio Settimo ne fa spontaneo dono
a Sua Maestà Cristianissima in Francia 1960, pp. 69-71. Posto che
istruzioni segrete date da papa Pio VII a Canova prevedevano “di
lasciare alla Francia alcune opere in segno di reciproca buona intelligenza tra quella corte e la Santa Sede”, si quantifica in cento
i dipinti assegnati alla Francia col Trattato di Tolentino “di guisa
che, di quelli cento oggetti, ventitré rimasero in Francia, e settantasette ritornarono in Roma (A. D’Este 1864, p. 214 e p. 216):
cfr. anche Giardini 2003, pp. 62-63; si ritiene che su un totale di
509 dipinti complessivi requisiti circa la metà (249) furono restituiti mentre 248 rimasero in Francia e 9 andarono dispersi (fonte
francese: cfr. Blumer 1936, pp. 244-348; riepilogo generale a p.
348; la studiosa nel pubblicare questo saggio in cui rielabora la
sua tesi presentata all’Ecole du Louvre nel 1933 (ivi, p. 245) basa
la sua ricerca su uno studio precedente pubblicato dallo storico dell’arte Eugéne Müntz in tre puntate (Les annexions de col-
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
lections d’art ou de bibliothèques et leur rôle dans les rélations
internationales, principalement pendant la Révolution française),
nella “Revue d’histoire diplomatique”, 8, 1894, pp. 481-497;
Idem, 9, 1895, pp. 375-393; idem, 10, 1896, pp. 481-508.
74 Notice des tableaux exposés dans la Galerie du Musée Royal
1820, p. 197, n. 944.
75 Dal suo rientro al Louvre il San Giovanni sarà sempre segnalato nella Notice... del 1823, 1826, 1827, 1830, 1831, 1834, 1835,
1837, 1840 e 1841. Nell’agosto del 1848 uscirà unicamente una
Avvertenza (Avertissement) di solo sette pagine, senza titolo ma
dalla spiegazione singolare: Le conservateur de la peinture [molto probabilmente Frédéric Villot che dall’anno dopo si firmerà
come autore], occupé exclusivement de la réorganisation complète des galeries des tableaux, n’ayant eu le temps de publier
une notice pour l’ouverture des salles, rédigea cet avertissement,
tiré à 1,000 exemplaires, distribués gratuitement. Il prévient le
public que l’ancienne disposition est entièrement changée, et
qu’il a cru devoir adopter une classification fondée sur la réunion
des œuvres éparses jusque-là d’un même maître, et sur l’ordre
cronologique. Paris 1848.
76 Cfr. Villot 1849, p. 19, n. 59. Per assegnazione alle Antiche collezioni Villot intendeva: ...quand la peinture n’est pas enregistrée
sur l’inventaire précédent, soit par oubli [dimenticanza!] que pour
acquis (ivi, p. X).
77 Si veda la nota 34.
78 Negro 2003, p. 164.
79 Villot 1852, p. 31 n. 59.
80 Così come si legge ad esempio al punto 7. - L’histoire du tableau. - On a réuni dans ce paragraphe tous les renseignements
qui peuvent servir à établir sa originalité et sa provenance, c’està-dire sa présence dans les collections anciennes, son passage
dans les ventes célèbres, l’époque où il a été donné ou acquis.
(ivi, p.X).
81 Segnalazione dagli Archives du Louvre, Registre des copies,
LL. 26 in Loire 1988, p. 82.
82 V. P. P. Both De Tauzia 1878, n.50 (così anche nell’edizione del
1883).
83 Cfr. Loire 1988, p. 307 e pp. 316-317 nota 8. La lunga permanenza dell’artista in Italia a partire dal 1787 quando vinse il Prix de
Rome con il dipinto Nabucodonosor fait tuer les fils de Sedechia,
fino al 1824, anno in cui a Firenze morì la compagna Luisa von
Stolberg, contessa di Albany, già “moglie-convivente” di Vittorio
Alfieri, gli consentì di formare una propria collezione di opere
d’arte che unitamente a quelle della contessa (“...e chiamato suo
erede universale Francesco Saverio Pasquale Fabre ‘per dargli
un attestato della mia gratitudine, per l’attaccamento che mi ha
sempre dimostrato, e che non si è mai smentito in qualunque
mia situazione, per lo spazio di ventiquattro anni, e sulla durata
del quale sono ben certa di poter contare”, così il testamento di
Luisa von Stolberg del marzo 1817: cfr. Von Reumont 1868) lascerà al Museo di Montpellier (1828), da lui appositamente creato,
di cui porterà il nome e di cui sarà il primo direttore. L’Italia gli
ha dedicato tre anni fa una interessante mostra a Torino curata
da M. Hilaire e Laure Pellicher (François-Xavier Fabre. Fortuna e
gusto di un pittore neoclassico, Torino, Galleria di Arte Moderna e Contemporanea, 10 marzo-2 giugno 2008) al cui catalogo
(Hilaire, Pellicher 2008) si rimanda per la conoscenza completa
della vita sociale ed artistica di questo pittore. Loire (1988, p.
317) comunque è propenso a credere che il dipinto guercinesco
con San Francesco in meditazione sia appartenuto ab antiquo
a Fabre che ne poteva essere venuto in possesso durante l’iniziale soggiorno fiorentino dal 1793, avanti quindi la sua agiatezza derivata dall’unione con la Stolberg avvenuta nel 1803 alla
morte dell’Alfieri - i tre peraltro erano uniti da reciproca stima
ed amicizia - e quando in Italia impazzava una delle più grandi
movimentazioni di opere d’arte causata dalle spoliazioni napoleoniche che a quelle “istituzionali” avevano affiancato un mercato antiquariale di proporzioni gigantesche (v. Previtali 1989, pp.
177-183 che cita le notizie da J.-A.-F. Artaud [De Montor] 18373,
p. 335 e segg., ed ancora Artaud [De Montor] 1847, pp. 20-55,
riedizione di Considérations sur l’état de la peinture..., Paris 1808.
Artaud de Montor era al tempo (1801) e fino al 1807 segretario dell’Ambasciata (Legazione) di Francia a Roma; incarico che
lascerà per un biennio, “scalzato” dallo scrittore Francois René
vicomte de Chateaubriand, funzionario aggregato al seguito del
cardinal Joseph Fesch, lo zio materno di Napoleone, nuovo Ambasciatore che veniva a sostituire l’Ambasciatore-Ministro Plenipotenziario Francois Cacault; Artaud, che diventerà nell’occasione un collezionista di tavole di primitivi, parla addirittura di ben
20.000 dipinti de tout gendre disponibili sul mercato nella sola
Roma ed esitati da tal rigattiere (brocanteur) di nome Carazzetto
in una sua bottega-soffitta (grenier) a piazza Navona,cfr. J.-A.-F.
Artaud [De Montor] 1837, pp. 439-440). I due ambasciatori si erano procurati, ad esempio, la bellezza di centinaia e centinaia di
dipinti (M. Cacault avait acheté ces tableaux au nombre de 140,
J.-A.-F. Artaud [De Montor] 1837, p. 335; e, per Fesch, v. Vannini
1987, pp. 301-309), la gran parte dei quali fortunatamente oggi
sono visibili, per un certo qual loro spirito liberale e di moderata
filopatria da guidarne il destino attraverso gli eredi, nelle collezioni pubbliche francesi, rispettivamente del Museo di Ajaccio
(1808) e di quello di Nantes (1810). Esistono in Francia, oltre la
circuitazione delle opere d’arte italiane conquistate e destinate
al Louvre e ai Musei francesi come Envoi d’Etat, almeno cinque
grandi collezioni pubbliche di opere d’arte soprattutto pittorica
principiate da una rete di collezionisti francesi in Italia durante
il primo periodo napoleonico (1796-1808): le tre appena citate
(Fabre/Montpellier, Cacault/Nantes, Fesch/Ajaccio) cui vanno
aggiunte quella, soprattutto di disegni italiani antichi, del pittore
Jean-Baptiste Wicar che peraltro era il commissario addetto al
prelevamento la mattina del 21 febbraio 1797 (v. nota 52) dei due
dipinti dalla chiesa di San Pietro in Valle di Fano: la Consegna
delle chiavi di Guido Reni e il San Giovanni Battista alla fonte
di Guercino. Alla sua morte (1834), per sue precise volontà, la
sua collezione andrà a costituire il Musée Wicar ed in seguito
attraverso la Societé des Arts di Lilla a fondersi nel Musée des
Beaux-Arts della città (1866); e quella del libraio Pierre Mancel
che alla sua morte (1872) legò la sua più che consistente collezione di stampe e dipinti, tra cui moltissime opere della raccolta
Fesch che, fuori del lascito di Ajaccio, nel 1843 e nel 1844-1845
erano state poste in vendita a Roma, al Musée des Beaux-Arts
di Caen sua città natale (cfr. Angerand 1897, pp. 135-136). La
tematica storico artistica dei primi quattro musei citati è stata
recentemente illustrata e commentata dai rispettivi conservatori/direttori nella prima giornata di un Convegno organizzato a
Nantes per l’occasione dei 200 anni (1810-2010) di ingresso al
Museo della Collezione Cacault (21-22 settembre 2010). C’è un
sottile filo conduttore ed uno spirito condiviso che lega la composizione francese di queste raccolte trasformate, ove si pensi
che esisteva una frequentazione, nata dal caso, tra gli attori della
loro costituzione: Cacault che travasa il suo indirizzo collezionistico verso la pittura italiana antica a Fesch, già predisposto e nel
quale diventa una vera e propria bramosia-mania; e Wicar che in
qualità di esperto d’arte e pittore accompagnava Fesch nelle sue
ricognizioni artistiche romane e diventa collezionista a sue volta!
84 Vedi nota 56.
85 Vincitore nel 1860 del Grand Prix de Rome per la pittura (So-
97
phocle accusé par ses fils devant l’aréopage), E. Michel fu anche
direttore dell’ Ecole des Beaux-Arts di Montpellier. Sue sono le
decorazioni (La voie Lactée/La via lattea) nel foyer e nello scalone
d’onore del Teatro cittadino cosi come alla Corte d’Assise ed
alla Città Universitaria. Promosse nel 1901 la rinascita dell’arte
ceramica nella Regione dell’Herault. Ebbe il merito di allargare
e riorganizzare il museo che trovò così una sua definitiva sistemazione nel 1878 e che dieci anni dopo nel 1888 potrà usufruire
addirittura dell’esposizione di opere di Vincent Van Gogh e Paul
Gauguin dalla Collezione Bruyas (Guide. Musée Fabre 2006).
86 Castellani 1900, p. 12 ed anche in Cecini 1983, nota n.19.
87 D’Albenas 1910 (Onzième Edition [11a Edizione]), pp. 174-175
n. 620. Come per i cataloghi del Louvre bisognerà parlare più di
ristampe che di nuove edizioni denotanti comunque un grande
senso per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico che
permeava la Francia tutta ed una conseguente grande frequentazione e divulgazione delle opere museali.
88 Pubblicato a Parigi nel 1913.
89 Demonts 1914, pp. 67-154; il San Giovanni è citato a p. 75 col
n. 59. Il redattore cita il conservatore del Louvre, Eugene Communaux, addetto al Cabinet des dessins, che ha accettato di
pubblicare per il Bollettino una anticipazione proprio sulla Scuola Italiana e Spagnola del suo lavoro sulla revisione generale del
Catalogo dei dipinti del Louvre, consistenti in ben 10.189 opere,
dei Musei imperiali (1.450) e della Repubblica francese (2.069)
redatto da Villot nel 1849 e di tutte le ristampe a seguire, soprattutto quelle del 1864 (14°) e del 1874 (18° ed ultima) e tenendo
come parametro per la concordanza della loro numerazione il
Catalogo del visconte Both de Tauzia del 1877: operazione resasi necessaria tra l’altro anche perché beaucoup des peintures
décrites dans ce Catalogue ayant été envoyées en province..(Demonts 1914, p. 65).
all’epoca l’emballeur [l’imballatore] - vista come un illogico gesto
di saccheggio del Louvre! Inoltre su quel la plus part [la maggior
parte], c’è da dire che su 509 dipinti trasferiti tra il 1796 ed 1814
dall’Italia ne rientrarono 249, mentre 248 rimasero in Francia; la
qualcosa, se ci si deve proprio esprimere, direi vada considerata
come un risultato di sostanziale parità (v. nota n. 72).
93 Blumer 1936, p. 345; p. 243, p. 393 e p. 333. I tre dipinti
erano così rispettivamente assegnati al Museo di Montpellier
nel Catalogo del 1910: 694 (Jacopo) dit Palma il Giovane, Le
Massacre des habitants d’Hippone. Signé Jacobus Palma f.
1593. Don de l’Etat, an XI (1803) (D’Albenas 1910, pp. 193-194).
762 Inconnu de l’Ecole d’Italie, XVII siècle: Moïse sur le Sinaï
(Ecole lombarde ou genoïse). Attribué a Poussin sur l’inventaire
du Louvre. Don de l’Etat, an XI (1803) (D’Albenas 1910, p. 211);
967 Inconnu de l’Ecole Flammande, La Visitation, Don de l’Etat
(D’Albenas 1910, p. 273).
94 CALIARI (Paolo), dit PAUL VÉRONÈSE - La Vierge et l’Enfant entourés de la gloire céleste, Fano 1797; Paris, 27 julliet 1798, Dijon,
Musée 1801, [ma 1809], (n.14 du catal. de 1883) in Blumer 1936,
p. 268. Ci sono in effetti due dipinti del Caliari al Museo di Belle
Arti di Digione; si tratta di un Mosè salvato dalle acque che vi è
pervenuto però nel 1803 da Versailles come appartenente alle
collezioni di Luigi XIV che lo aveva acquistato dalla duchessa di
Créquy nel 1683; e quello qui in questione oggetto dell’ invio
statale nel 1809 (cfr. Catalogue historique et descriptif du Musée de Dijon: peintures,…, Dijon 1883, p. 6, n.14: indicato come
Ecole de Paul Véronèse, Envoi du Gouvernement avant 1814;
inoltre Guillaume 1980, p. 88, n.153: indicato come Véronèse et
son atelier. Carletto Caliari?. Per tutti si legga l’esaustiva e ben
argomentata scheda di Cecilia Franchini in L’Arte Conquistata
2003 pp. 148-149 con titolazione La Madonna in gloria appare
ai Santi Antonio, Girolamo, Paolo e Pietro apostoli e come opera
assegnata al figlio del Veronese, Carletto.
95 Claparède 1968 p. 103 in S. Loire 1990, p. 82 e Negro p. 164.
90 Cfr. Demonts 1914 pp. 40-43. Nato come edificio militare
intorno al 1765-1780 nella piazza centrale di Strasburgo, oggi
piazza J. B. Kléber, da cui il nome Aubette=Albetta: tutta la città
infatti sentiva bene il suono mattiniero della tromba della sveglia
dei soldati; subì un furioso incendio il 24 agosto del 1870 per i
cannoneggiamenti tedeschi durante l’assedio della città. Al suo
interno vi era stato sistemato da appena un anno (1869) il Museo
comunale (pittura e scultura).
96 Mahon, 1968, pp. 203-206 nn. 95 e 96: in mostra erano stati
portati il San Giovanni Battista nel deserto dalla Collezione irlandese di Lord Farnham a County Cavan, già di Lord Brownlow
Cust a Belton nel Lincolnshire e dal 1980 di D. e E. Goodstein ed
infine dal 1986, attraverso Sotheby’s-Londra, passato in quella
newyorkese Feigen, peraltro meglio citato come San Giovanni
Battista che attinge acqua da una roccia e il San Giovanni Battista
che predica (o nel deserto) dalla Pinacoteca Civica di Forlì.
91 Vedi Joubin 1926, p. 15 e Guide. Musée Fabre 2006, p. 10.
92 Blumer 1936, p. 260 n. 71: a mia interpretazione la Blumer
non scrive, come la storiografia a volte segnala (Detruit à Strasbourg en 1870), che il dipinto è andato distrutto bensì essa
scrive che è il Museo di Strasburgo ad essere andato distrutto e a voler essere pignoli non tutte le opere necessariamente
avrebbero potuto essere andate perdute. Per saggiare, poi, l’imponenza e la consistenza del fenomeno delle spoliazioni napoleoniche in Italia viste dalla parte dei fruitori che considerano,
ancora nella prima metà del Novecento, la Francia quale dimora
universale delle opere d’arte e degli artisti in fuga dai tiranni,
la studiosa francese ha prodotto tre interessanti studi già citati:
cfr. le note n.47, n.52 e n.69 e si veda anche L’Arte conquistata
2003, p. 52 e nota n. 21, p. 64. Non è senza sorridere, però, che
si possono leggere alcune affermazioni dell’introduzione venate
da una logica di patriottismo estremo: “… En 1815 les délégués
italiens revendiquèrent les œuvres d’art amenées en France, et,
malgré l’héroïque résistance de Denon, ils dépouillèrent le Louvre de la plus part des tableaux venus d’Italie...” (Blumer 1936,
p. 245): all’eroica resistenza di Dominique Vivant Denon, quindi, corrispose la “truce azione rivendicativa” di Antonio Canova - non a caso, come spesso ricorda Andrea Emiliani, chiamato
98
97 Si veda Foucart-Walter 1986, p. 291: Il dipinto ricompare
segnalato due anni dopo in un repertorio curato da Brejon De
Lavergnée, Volle 1988, p. 193.
98 Salerno 1988, p. 400 n. 340.
99 Loire 1988, p. 307.
100 Mahon, Turner 1989, p. 96. Peraltro Nicholas Turner in un
suo saggio (La storia del gusto per i disegni del Guercino…) steso
in occasione di una mostra a Cento nei mesi di maggio-luglio
2005 (cfr. Nel segno di Guercino. Disegni dalle collezioni Mahon,
Oxford e Cento 2005, p. 5) evidenzia l’interesse che in quindici
anni (1990-2005) hanno suscitato la figura e le poetiche di Giovanni Francesco Barbieri da Cento detto Guercino, tracciando
una sintesi della storiografia artistica in materia “esplosa” per la
ricorrenza della nascita dell’artista (Turner, Plazzotta 1991; Boccardo 1992).
101 Com’è noto al Pavillon de Flore del Museo del Louvre,
facente già parte del Palazzo delle Tuileries, oggi è ubicato il
C2RMF (Centre de Recherche et de la Restauration des Musées
OSSERVAZIONI, RIFERIMENTI E COMMENTI AL SAN GIOVANNI BATTISTA ALLA FONTE
de France), anche se la sede è interessata da grosse pressioni perché sia spostata in periferia, a Pontoise, per addivenire ai
desideri di alcuni sponsor che vorrebbero collocare una propria
sede in un luogo così prestigioso (Merlo 2010).
102 “La composition n’étant plus lisibile, la purification de la
couche picturale [strato pittorico] a constitué l’essentiel de l’intervention avec l’enlèvement de généreuses retouches masquant
des altérations acquises au cours du temps.” in Loire 1988, p. 82:
Denis Mahon aggiunge che il dipinto fu pulito e restaurato grazie
al sostegno economico della Florence Gould Foundation di New
York in Il Guercino…, 1991, p. 384.
103 Loire 1988, pp. 315-316.
104 Loire 1990, p. 83, sul San Giovanni Battista che attinge acqua ad una fonte realizzato da Guercino nel 1652-55 per se stesso
ed oggi in collezione privata newyorkese, identificato, sul finire
degli anni Ottanta del secolo scorso, da Denis Mahon v. p. 53 ed
anche Gozzi in Dotti 2010, p. 43, così come Loire 1990, pp. 82-83.
105 David M. Stone si era misurato in quell’anno, ove compariva come docente universitario di Storia dell’Arte alla Deleware
University di Newark, con una doppia fatica: la prima, Guercino,
Master Draftsman: Works from American Collections 1991, una
interessante mostra che ha girato nel Nord America alla National Gallery of Canada di Ottawa ed al Museum of Art di Cleveland, il cui catalogo fu pubblicato per l’esposizione iniziale con
il patrocinio della Harvard University Art Museum; mentre con la
seconda faceva uscire a stampa in Italia il catalogo completo dei
dipinti (cit., v. nota 29), ove il San Giovanni Battista è segnalato al
n. 325 di p. 334.
110 Hilaire 2006, p. 58 cat.72.
111 Il programma dei nuovi destini del Museo Fabre è stato
presentato in una conferenza storico-politico-istituzionale a
Montpellier l’8 febbraio 2007 tra cui anche l’intervento di Michel
Hilaire, in qualità di conservateur en chef et directeur (Histoire du
Musée Fabre dans le contexte économique de Montpellier); cfr.
anche nota 82.
112 Gozzi in Dotti 2010, pp. 43-44, vedi anche p. 92 e nota n.
43.
113 L’esposizione delle tre opere guercinesche (l’Angelo Custode, lo Sposalizio della Vergine e il San Giovanni Battista alla
fonte) avviene a Fano nella Pinacoteca San Domenico ad opera
della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano che nella omonima ex-chiesa, ora di sua proprietà, ha allestito da alcuni anni,
partendo dai dipinti in essa conservati e rintracciati, una interessante rassegna permanente di dipinti di arte sacra (soprattutto
pale d’altare) e che ha promosso l’attuale iniziativa ottenendo tra
l’altro attraverso la Soprintendenza urbinate il prestito del San
Giovanni Battista alla fonte dal Museo di Montpellier. È singolare
che tutti e tre i dipinti sopramenzionati siano così ben riuniti in
una chiesa ma nel contempo nessuno abbia potuto essere ricontestualizzato nella propria: l’Angelo Custode in Sant’Agostino; lo
Sposalizio della Vergine in San Paterniano e il San Giovanni Battista alla fonte in San Pietro in Valle.
106 Mostra che, peraltro, scorazzerà non poco il nostro San
Giovanni portandolo, dopo Bologna, a Francoforte (Schirn Kunsthalle, novembre 1991 - febbraio 1992) e Washington (National
Gallery of Art, marzo-maggio 1992).
107 Le vicende, quasi un’epopea, di queste esposizioni bolognesi e di tutte le personalità del campo della storia dell’arte
che vi presero parte in quegli anni, da Roberto Longhi ad Andrea Emiliani per citare, sono ben narrate in L’Arte. Un universo di
relazioni…, 2002: si era così venuto a saldare intelligentemente
il conto alle profonde ferite patite a causa dei bombardamenti dalla città di Bologna che Roberto Longhi nel dicembre del
1945 in una lettera al giovane allievo Giuliano Briganti imputava
alla mancanza di “promozione artistica”, tra le due guerre, della
Felsina pittrice che non era stata capace di ottenere l’identico
“rispetto” di Firenze e Venezia (cfr. Ottani Cavina 1986, pp. 355365: ...da allora quel vento non ha più tradito, restituendo alla
fama Bologna ed il suo grande Seicento in pittura. C’è stata, forse, una mutazione: né connaisseurs né pittori, ma storici dell’arte
di tradizione italiana e anglosassone guidati da Cesare Gnudi...).
108 Il Guercino…, 1991, p. 384. Gli altri due quadri segnalati
erano un San Paolo eremita ed una Santa Maria Maddalena dormiente eseguiti anch’essi tra il 1652 ed il 1655 mentre il quarto,
un San Girolamo non è stato ancora rintracciato: cfr. ivi,pp. 364367; notizie ricavate da Malvasia 1841, p. 273 ed esplicate primieramente da Denis Mahon nel catalogo della mostra bolognese
del 1968 (Mahon, 1968, pp. 203-204). Per le citazioni bibliografiche riferite a Stephane Loire, v. note nn. 5 e 92.
109 I due lavori sono stati organizzati e gestiti dagli operatori
culturali in organico presso gli Assessorati alla Cultura di entrambi gli Enti istituzionali in collaborazione con studiosi esterni: cfr.
Le Marche disperse 2005 e, per il San Giovanni Battista, la p. 204
(scheda di Romina Vitali); a seguire L’Arte conquistata 2003 e le
pp. 164-165 (scheda di Emilio Negro).
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