Note sul rapporto fra voce e lettura nel romanzo epistolare

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Note sul rapporto fra voce e lettura nel romanzo epistolare
BAIG IV, supplemento febbraio 2011
NOTE SUL RAPPORTO FRA VOCE E LETTURA NEL ROMANZO EPISTOLARE:
GOETHE E HÖLDERLIN
Marco CASTELLARI (Milano)
laß das Büchlein deinen Freund seyn (FGA VIII, 11)1
Nel mio breve intervento al workshop di Letteratura tedesca nell’ambito del convegno
dell’Associazione Italiana di Germanistica (21 giugno 2010), di cui propongo qui una più
articolata versione scritta, ho inteso proporre in forma di Impulsreferat una modulazione originale
del tema, vasto e ampiamente studiato, della lettura nel romanzo epistolare: in Die Leiden des
jungen Werthers in primo luogo – di Werther come lettore e delle sue lettere come oggetto di
lettura, all’interno e al di fuori della finzione narrativa – e in Hyperion oder der Eremit in Griechenland
in seconda battuta. Attraverso l’enucleazione degli elementi acustico-vocali della lettura, miro da
un lato a problematizzare alcuni assunti consolidati degli studi sul Werther,2 collegandomi a
specifiche ricerche dell’ultimo giro di anni, e a rintracciare dall’altro alcuni spunti di analisi che mi
paiono promettenti rispetto all’interpretazione del rapporto di filiazione critica che caratterizza
Hyperion rispetto al modello goethiano – anche in questo caso, lo scopo è quello di incalzare una
lunga e complessa tradizione ermeneutica a una revisione parziale di alcune sue dominanti
discorsive.3 Le riflessioni che qui espongo con la necessaria brevità sono da considerarsi
propedeutiche a uno studio di più ampio respiro sul ruolo della dimensione sonora, dalla voce
alla musica al silenzio, nel romanzo epistolare di fine Settecento.
Qui e oltre cito la seconda edizione (1787) de Die Leiden des jungen Werthers e le altri fonti goethiane da
FGA = Frankfurter Goethe Ausgabe – Johann Wolfgang v. Goethe. Sämtliche Werke. Briefe, Tagebücher
und Gespräche. In 2 Abteilungen und 40 Bänden. Hg. von Friedmar Apel et al. Frankfurt/M. 1986-1999.
Per Hyperion oder der Eremit in Griechenland (1797/99) e per le altre fonti hölderliniane cito da FHA =
Frankfurter Hölderlin Ausgabe – Friedrich Hölderlin. Sämtliche Werke. Historisch-Kritische Ausgabe. Hg.
von D.E. Sattler. 20 Bde. Frankfurt/M., Basel 1975-2008.
2
Per una recente discussione della ricezione critica del Werther si veda Duncan (2005), che organizza il suo
resoconto per aree problematiche; rispetto al tema qui affrontato si veda in particolare il quinto capitolo,
«Goethe, Werther, Reading, and Writing», 107-133. Cfr. anche, succinto ma lucido, il paragrafo sulla
Wirkung in Mattenklott (1997), 94-101. Ad alcuni studi sul Werther di specifico interesse per queste mie
riflessioni si accennerà in seguito (2.).
3
Sulla storia della critica a Hyperion mi permetto di rimandare al mio volume, organizzato
cronologicamente: Castellari (2002). Fra le analisi apparse in anni successivi, segnalo in particolare le
monografie di Bay (2003) e Stiening (2005), che sostanzialmente approfondiscono e sistematizzano
approcci ermeneutici degli anni Novanta del Novecento illustrati nell’ultimo capitolo del mio volume (303406). L’invito a battere vie nuove, per il romanzo e in generale per l’autore, è giunto pressante in
particolare da Luigi Reitani, anche dalle pagine di questo stesso Bollettino (2009a e 2009b). Alcuni
riferimenti bibliografici utili alla costellazione tematica toccata in queste mie considerazioni sono riportati
nelle note della sezione su Hyperion (3.).
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1 DUE PREMESSE
Gli storici della lettura ci ricordano che lo scorcio di diciottesimo secolo nel quale si collocano i
testi che andrò a discutere rappresenta un momento cruciale (Sattelzeit) anche nell’evolversi delle
pratiche del leggere nella cultura europea. Sul lungo periodo, quello moderno, segnato
dall’affermarsi della lettura (possibilmente) silenziosa rispetto alla lettura (necessariamente)
oralizzata, la lettura ad alta voce non scompare, certamente, viene però marginalizzata o, meglio,
rifunzionalizzata. La lettura solitaria e silenziosa, esistente come naturale fin dal mondo antico e
rivalorizzata in particolare in ambienti universitari e aristocratici fin dal tardo Medioevo, viene
così a occupare il vertice di una piramide di modalità di lettura diverse. Tale quadro complessivo
di graduale regressione della dimensione sonoro-vocale dalla pratica della lettura (Verlust der
Sinnlichkeit4) va dunque guardato nella sua specificità. Come sono tornati a segnalare alcuni studi
recenti, infatti, l’avvicinamento al testo scritto avviene, per tutto il Settecento almeno, secondo
tipologie differenti: sempre di più attraverso la lettura silenziosa (e spesso solitaria), certo, ma
ancora e ampiamente sotto forma di lettura ad alta voce e/o di ascolto, in contesti individuali,
intimi o sociali. Il Werther e Hyperion nascono e vengono letti in un contesto di siffatta pluralità di
pratiche del leggere, di cui recano altresì traccia tematica nella loro trama fizionale.
La fruizione del testo scritto conosce dunque in età moderna, in particolare nel diciottesimo
secolo, una pluralità di manifestazioni contemporanee, vero coronamento, ça va sans dire, della
trionfale storia della stampa a caratteri mobili che qui non è luogo di ripercorrere. Mi preme
piuttosto ricordare come al macro-fenomeno appena descritto si sovrapponga, nel secondo
Settecento, un mutamento altrettanto epocale, ma più rapido, che i manuali descrivono come
passaggio dalla lettura intensiva a quella estensiva e la cui forma degenerata è in area tedesca
circoscritta con termini quali Lesewut e Lesesucht. Il passaggio non è, naturalmente, solo
quantitativo: il grande consumo di testi a stampa, spesso effimeri, è segnato nella maggior parte
dei casi dall’abbandono di un atteggiamento sacrale e riverente nei confronti dell’oggetto-libro in
senso lato e apre piuttosto a una modalità di lettura aperta, libera e finanche critica. Nell’ambito
di tale libertà, si noti bene, rientra anche l’apparente paradosso della risacralizzazione di una
ristretta cerchia di testi, con tratti che aprono a forme di culto secolarizzato dell’arte e della
letteratura: letture intensive applicate, però, a libri null’affatto devoti, che vengono letti (ad alta
voce), riletti, mandati a memoria, citati, recitati, il tutto nel quadro di un’identificazione in chiave
empfindsam. Nelle parole di Roberto Cavallo e Roger Chartier, che guardano all’Europa tutta,
il lettore è invaso da un testo che lo abita; si identifica con i personaggi e decifra la propria
vita attraverso le finzioni dell’intreccio. In questa lettura intensiva di nuovo tipo è l’intera
sensibilità a trovarsi coinvolta. Il lettore (che spesso è una lettrice) non può trattenere la sua
emozione né le sue lacrime, sconvolto, prende egli stesso la penna per esprimere i suoi
Così recita il titolo della monografia di Schön (1987), una delle voci più autorevoli in Germania per lo
studio delle pratiche di lettura; cfr. anche il suo capitolo in Franzmann (1999), 1-85. Il volume del 1987,
documentatissimo, dimostra proprio per i decenni di fine Settecento, in cui la cavalcata della lettura
silenziosa e solitaria appare inarrestabile, un fiorire di modalità di lettura sociali e performative. Tali
elementi, sebben Schön non sempre li porti a sintesi a fronte di un approccio centrato sulla «perdita della
sensorialità/sensualità», fanno della Leserevolution un evento ancora assolutamente sinnlich. Curran (2005, in
part. 703) ha di recente rimarcato la persistenza dello oral reading nella Germania settecentesca. Per uno
sguardo sozialgeschichtlich al lungo periodo si veda Schneider (2004), in part. 161-285. Per una discussione
della «nostalgia per la voce» che si svilupperebbe proprio a partire dalla crescente invadenza della
dimensione scrittoria si veda Pott (2002), con riferimento anche a Goethe e a Hölderlin.
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sentimenti e, soprattutto, per scrivere all’autore che, con la sua opera, è diventato un vero
direttore di coscienza e di vita.5
Proprio il Werther, lo sappiamo, è traccia della multiforme fenomenologia della lettura nel suo
tempo. Mi riferisco da un lato ai numerosi momenti dell’intreccio, spesso cruciali, che girano
attorno a una pratica di lettura quantomeno sentimentale6 e, dall’altro, alla modalità di
appropriazione soggettiva che Werther applica alle sue letture, da Omero a Ossian ai numerosi
ipotesti celati nelle sue lettere. Mi riferisco infine al Werther come testo, oggetto di una lettura
intensiva che fece epoca, letteratura7 e anche qualche danno – penso alla cosiddetta Wertherfieber,
la cui reale misura è ad ogni modo stata spesso travisata. Tale costellazione, che è da decenni al
centro dell’interesse dei critici, non è a mio parere da interpretarsi in maniera soddisfacente se
affrontata solo con lo sguardo alla dimensione silenziosa, puramente visuale della lettura, se
guidata insomma dal paradigma della Schrift. Al contrario, nelle riflessioni che seguono intendo
presentare alcuni spunti che, mi sembra, spingono a riconsiderare la centralità della lettura ad alta
voce, e con ciò della dimensione del sonoro tutto, nella genesi e nell’intima struttura del Werther
(2.); spunti che, se tenuti a mente rispetto ad alcuni loci poco frequentati di Hyperion, permettono
di meglio situare il romanzo epistolare di Hölderlin nel suo rapporto agonale con il successo
goethiano (3.)
Un seconda premessa, in realtà addentellata alla prima, concerne la questione ben nota della
svolta formale che Goethe impresse alla tradizione del romanzo epistolare europeo, non solo
rinunciando alla pluralità di mittenti e destinatari e concentrando lo scambio di lettere a una sola
coppia di amici, Werther e Wilhelm, ma cassando addirittura metà della comunicazione epistolare
a favore di una struttura cosiddetta monologica, in cui sono presenti solo le lettere di Werther e
non le missive di risposta.8 Senza qui entrare in ulteriori dettagli sul carattere spurio di tale
monologicità – per la presenza delle risposte di Wilhelm a livello pragmatico e per l’intervento
dell’editore, che è all’interno della finzione il detentore del potere discorsivo e opera perciò
censure, tagli, scelte fondamentali per la costruzione della soggettività esasperata di Werther 9 e
Cavallo /Chartier (1995), xxxii. Al contributo specifico su «Una “rivoluzione della lettura” alla fine del
XVIII secolo?» contenuto in questa silloge (di Reinhard Wittmann, 337-369) rimando per alcune ficcanti
considerazioni che confermano la centralità della lettura ad alta voce intesa come performance in quel
contesto – i pedagoghi settecenteschi la consigliavano addirittura come salutare surrogato di una
passeggiata all’aria aperta. Sulla lettura come performance alla luce dei più recenti studi teorici si legga il
contributo di Lorella Bosco in questo stesso numero di «BAIG».
6
Non affronto qui, perché non esplicitamente connesse con la questione della voce, altre letture che
costellano il romanzo di Goethe, da quelle di cui discute Lotte in carrozza (FGA VIII, 43-45), alla
conoscenza della Frühlingsfeier di Klopstock che è da presupporsi per Lotte e per Werther a fronte della
celebre esclamazione a cuori congiunti nell’emozione (FGA VIII, 53), alla lettura di Emilia Galotti che il
ritrovamento del dramma aperto sul leggio fa ipotizzare almeno per la notte del suicidio (FGA VIII, 265).
Si veda al proposito il contributo di Enrico De Angelis in questo stesso numero di «BAIG».
7
Più che al profluvio di Wertheriaden (cfr. Scherpe, 1970), penso in prima istanza al «romanzo psicologico»
Anton Reiser di Karl Philipp Moritz (1785-90), in cui come noto una lettura molto wertheriana e poco
goethiana del Werther diviene oggetto della narrazione.
8
Cfr. Perrone Capano (2003), 81 con il riferimento a Harald Weinrich e alla sua definizione di «dialoghi a
metà», che mi pare più adeguata di quella, pure diffusa, di »monologhi lirici» et similia, ad es. in opere di
riferimento quali Mattenklott (1997), 69, Luserke (1997) 133 e via dicendo.
9
Si veda, su tali aspetti del ruolo narrativo dell’editore e sul suo rapporto con la costruzione della funzioneautore nel romanzo settecentesco, il recente volume di Wirth (2008). La monografia contiene spunti
interessanti anche sul rapporto fra oralità e scrittura nel sistema semiotico del Settecento (si veda in
particolare il capitolo «Konzepte des Schreibens und Lesens in den Leiden des jungen Werthers, 247-270), non
5
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soprattutto, nel cosiddetto Berichtteil, intreccia ai passi scritti da Werther la propria voce narrante,
sorta di collettore di una polifonia di fonti10 – va detto che guardando ai lettori intratestuali delle
lettere di Werther, essi sono certamente plurimi: abbiamo Wilhelm in primo luogo, abbiamo in
parte Lotte e, naturalmente, abbiamo l’editore – anzi, come deriva da quanto accennato questi è
fra tutti i lettori, fittizi e non, di Werther colui che ha accesso al più alto numero di suoi scritti,
non solo epistolari, pur non essendo il destinatario delle sue lettere. Tale stratificazione, che
peraltro si ripresenta mutatis mutandis in Hyperion nel diverso contesto di una scrittura non
immediata ma procrastinata, in cui il personaggio stesso assume per certi versi alcune funzioni
dell’editore goethiano,11 andrà tenuta presente nelle riflessioni che seguono, in cui si cercherà di
mostrare come dietro ai soliloqui in forma scritta di Werther e dietro alla struttura
sostanzialmente a due voci del romanzo tutto (Werther e l’editore) si celi un’originale
composizione ideale di struttura dialogica, così rivela lo stesso Goethe, la cui risoluzione in forma
monologica discende pur sempre dalla polarità fra oralità e scrittura.
2 IL WERTHER, LA LETTURA E LA VOCE12
«Die Wurzel des Übels liegt in Werthers Leseweise»: così Rudolf Vaget in un’interpretazione
ancora molto influente del romanzo epistolare goethiano condotta sulla scorta, come noto, della
categoria del dilettantismo.13 Fraintendendo produttivamente il celebre studioso e applicando tale
considerazione a un punto ormai irreversibile della tragica vicenda esistenziale del giovane, si può
affermare che la «modalità di lettura di Werther» è responsabile non solo di una progressivo
distacco dalla realtà del mondo – Leseweise dunque nel senso utilizzato da Vaget, di approccio
soggettivo e quasi vampiresco a determinati testi letterari –, ma si configura anche, se intesa
performativamente come concreta prassi di lettura, quale movente della scena culminante del
romanzo intero. Il modo, infatti, in cui Werther legge a Lotte la propria traduzione di Ossian la sera
del 21 dicembre, ad alta voce e scosso dall’emozione, è responsabile dell’effetto che tale lettura
ha su entrambi, ben di più dei presagi di morte che sono intessuti in quei brani. Alcune parole ed
sfrutta però tali elementi, dirigendo piuttosto l’interpretazione a dimostrare la tesi d’impianto, cioè che il
Werther possa rappresentare «die Geburt des Erzählers aus dem Geist des Herausgebers (233).
10
Mi preme sottolineare che tali fonti sono a loro volta orali: se Werther lascia notoriamente un lascito
cartaceo, l’editore afferma esplicitamente in apertura della sezione «Der Herausgeber an den Leser», il
cosiddetto Berichtteil, di avere raccolto «Nachrichten aus dem Munde derer […] die von seiner Geschichte
wohl unterrichtet seyn konnten»; nella prima edizione ancora più precisamente: «aus dem Munde Lottens,
Albertens, seines Bedienten, und anderer Zeugen» (FGA VIII, 198s.; corsivo mio, M.C.). Interessante
sarebbe sviluppare il parallelo tra tale elemento della finzione narrativa e la annotazioni goethiane sulla
genesi del Werther da dialoghi immaginari, cfr. infra, in conclusione al paragrafo (2.)
11
Mi riferisco in particolare, oltre alla presenza pragmatica delle risposte del destinatario nelle lettere di
Iperione, allo scambio epistolare con Diotima che Iperione inserisce nella sua posteriore corrispondenza
con Bellarmino e alla citazione di brani tratti da lettere di Diotima stessa e di Notara all’interno di missive
indirizzate all’amico tedesco (cfr. in particolare la terzultima lettera). In ciò il testo hölderliniano recupera
parzialmente il carattere poliprospettico del romanzo epistolare pregoethiano, pure nell’ambito di una
gestione del materiale testuale del tutto in mano, nella finzione, a Iperione medesimo. Lo sdoppiamento,
infatti, fra un Iperione personaggio e un Iperione narratore finisce per attribuire al secondo funzioni che,
nel Werther, sono in mano all’editore postumo.
12
Questo paragrafo porta a ulteriore sviluppo alcune considerazioni di Castellari (2008), lì scaturite dalla
riflessione sulla fruibilità del romanzo di Goethe come audiolibro. Rimando a tale contributo per una
discussione più approfondita di alcune proposte critiche.
13
Vaget (1985), 51. L’analisi del romanzo qui citata sistematizza in sede di alta diffusione scientificodidattica le questioni dibattute nei precedenti studi di Vaget su Goethe e il dilettantismo.
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espressioni del resoconto, sorretto nota bene dalla voce narrante dell’editore, sono evidenti segnali
della dominanza, in questa scena, della dimensione acustica, tanto che pare davvero inadeguato
intravvedere nel celebre episodio una «Inszenierung der Lesung […] unter der Ägide der
Schrift».14 Al contrario, mi pare di poter affermare, l’accento sta tutto sulla voce, in un contesto
peraltro dominato dalla percezione sonora. Rileggiamo alcuni momenti, alcuni notissimi altri
meno spesso citati, della scena (tutto il brano: FGA VIII, 231). Anzitutto, la focalizzazione
iniziale è su Lotte, sola, pensosa e attraversata da sentimenti contrastanti. Prima che Werther le si
presenti alla vista, sono le orecchie di Lotte a sentire e riconoscere «seinen Tritt», poi «seine
Stimme», che rompono il silenzio. Da questa percezione acustica discendono un ulteriore
sommovimento del cuore -- «wie schlug ihr Herz» -- e un’irresolutezza confusa, alla quale Lotte
spera di sfuggire grazie a un metodo consueto per lei, pur sempre localizzato nel mondo dei
suoni: mettendosi al pianoforte. Questa volta, però, la performance musicale non ha l’effetto
sperato: «sie trat an’ s Clavier und fing einen Menuet an, er wollte nicht fließen».15 Ed ecco allora
un altro diversivo, così almeno spera Lotte: l’idea di far leggere a Werther i «Gesänge Ossians». Il
testo qui sottolinea, riportando le parole della stessa Lotte, la preferenza per una fruizione
acustica e non solitaria di quelle prose liriche poco oltre dette «Lieder»: «ich habe sie noch nicht
gelesen denn ich hoffte immer, sie von Ihnen zu hören» – l’accento, insomma, va posto a mio
parere sul verbo, «ascoltare», almeno quanto sul complemento, «da lei». Segue un brano, letto da
Werther seduto accanto a Lotte, di notevole lunghezza: trascorrono dunque alcune pagine, e
parecchi minuti, prima che le lacrime di Lotte interrompano «Werthers Gesang» (FGA VIII,
245). Lotte torna poi a esortarlo a leggere; questa volta, però, «mit der ganzen Stimme des
Himmels», e la voce di Werther, «halbgebrochen», riesce a pronunciare solo poche frasi.
«Die ganze Gewalt dieser Worte fiel über den Unglücklichen» (FGA VIII, 247). Il commento
dell’editore, che chiude la lettura di Werther e riprende in mano la narrazione per descrivere
l’abbraccio, i baci e quanto notoriamente segue, è laconico ma precisissimo. La performance di
Werther, nel doppio senso del genitivo, è una lettura ad alta voce di un testo di cui egli è stesso
autore, è corporeità, è voce-canto e non solo scrittura. 16 E la triplice pronuncia del nome
«Werther!» con la quale Lotte lo allontana dal proprio petto, è il suggello acustico e performativo
dell’episodio tutta, e del suo inevitabile esito. 17
Löffler (2005), 90. Lo studio di Löffler, ad ogni modo, e in particolare le pagine dedicate al Werther, sono
un ottimo, recente punto di riferimento per indagini sul rapporto fra oralità e scrittura, che Löffler declina
sulla base del paradigma del malinconico («Die geschriebene Stimme: Die Leiden des jungen Werther», 38-91).
Anche Luserke (1997), 143, pur notando i segnali acustici che accompagnano la scena madre del romanzo,
conclude rimarcando la «Gewalt der Schrift».
15
Si vedano parole di Lotte già riferite da Werther nelle lettere del primo libro: «Und wenn ich was im
Kopf habe, und mir auf meinem verstimmten Clavier einen Contretanz vortrommle, so ist alles wieder
gut», (16 giugno, FGA VIII, 45), o ancora parallele considerazioni sul canto: «Wenn mich etwas neckt und
mich verdrießlich machen will, spring’ ich auf und sing ein paar Contretänze den Garten auf und ab, gleich
ist’s weg (1 luglio, FGA VIII, 65). Anche rispetto a questo motivo si possono istituire paralleli con
Hyperion, che qui non ho modo di approfondire.
16
Così Lucia Perrone Capano in uno studio utilissimo per queste mie riflessioni: «E scrivendo e leggendo
la propria lettura, il “suo” Ossian, Werther riesce infine a congiungere lettura e scrittura in un unico atto,
recitato ad alta voce» Perrone Capano (2003), 91. Su Werther come lettore si vedano anche i più datati
contributi di Duncan (1982) e di Waniek (1982).
17
«Werther! rief sie, mit erstickter Stimme sich abwendend, Werther! und drückte mit schwacher Hand
seine Brust von der ihrigen; Werther! rief sie mit dem gefaßten Tone des edelsten Gefühles.» (FGA VIII,
247)
14
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La scena appena commentata è certo la più esplicita tematizzazione della lettura quale performance
acustica nel romanzo di Goethe. Le lettere precedenti recano tracce di una modalità del leggere
non silenziosa, limitata però a una situazione di solitudine, e tali tracce possono essere
certamente riferite a una costellazione tematica più ampia, quella del cosiddetto, epocale
«semiotisches Dilemma»:18 quello della scrittura che aspira a un’immediatezza che le è per
definitionem preclusa, della lettera (Buchstabe) morta che anela a rappresentare la voce viva e in ciò
si scontra con una connaturata aporia – «ach könntest du das wieder ausdrücken, könntest dem
Papiere das einhauchen, was so voll, so warm in dir lebt», recita la prima occorrenza del motivo
(10 maggio, FGA VIII, 15). La lettura ad alta voce è un antidoto – parziale e temporaneo – a tale
vicolo cieco della scrittura. In questo senso si può interpretare già la modalità di fruizione di
Omero, notoriamente protagonista del primo libro del Werther e scalzato nel secondo da Ossian.
Nella lettera del tredici maggio, la quarta in assoluto del romanzo, Werther rifiuta i libri che
Wilhelm vorrebbe spedirgli e contrappone a essi, per la verità, un altro libro, che però non è
affatto connotato in termini di carta e lettera: del «mio Omero» si parla in termini acustici,
precisamente canori: come di una «nenia» capace di «cullare» il «sangue» e il «cuore»:
Du fragst, ob du mir meine Bücher schicken sollst? – Lieber, ich bitte dich um Gotteswillen,
laß mir sie vom Halse! Ich will nicht mehr geleitet, ermuntert, angefeuret seyn; braust dieses
Herz doch genug aus sich selbst; ich brauche Wiegengesang, und den habe ich in seiner Fülle
gefunden in meinem Homer. Wie oft lull’ ich mein empörtes Blut zur Ruhe, denn so
ungleich so unstät hast du nichts gesehn als dieses Herz. (FGA VIII, 17)
Che nella lettura a cui qui si fa riferimento sia coinvolta la voce è suggerito da tali elementi
lessicali e reso plausibile sia dalle coordinate storico-culturali a cui ho fatto riferimento in sede di
premessa, sia indirettamente da numerose attestazioni dello stesso Goethe, il quale non si
stancava di ricordare: «Der Mensch ist von Natur kein lesendes sondern ein hörendes Wesen» e
applicava ampiamente tale considerazione generale alla fruizione della poesia. 19 Si può ben
supporre anche per le successive occorrenze in cui Werther fa cenno alla lettura di Omero che
sia implicita l’idea di una lettura ad alta voce. Mi riferisco alla lettera del 26 maggio e a quel
«Plätzchen […] so vertraulich, so heimlich», una sorta di locus amoenus con tigli e caffè in cui l’en
plein air non fa che confortare l’ipotesi di una fruizione acustica dei versi omerici (FGA VIII, 27).
E mi riferisco al regalo che Werther riceve il 28 agosto successivo, «zwey Büchelchen in Duodez
[…] der kleine Wetsteinische Homer, ein Ausgabe nach der ich so oft verlangt, um mich auf dem
Spatziergange mit dem Ernestinischen nicht zu schleppen».(FGA VIII, 111) Con quest’edizione
da passeggio, possiamo certamente immaginare, Werther darà ancora miglior sfogo alla propria
lettura performativa. Immersione nella natura, libertà da vincoli e costrizioni, rivivificazione della
lettera attraverso la voce compongono una costellazione tematica strettissima, che si potrebbe
ampiamente collegare a numerose rappresentazioni iconografiche della lettura del Settecento.20
Così Wirth (2008), 249 sintetizza una questione ampiamente presente alla critica wertheriana e centrale
anche in Hyperion. Cfr. anche fra gli studi recenti Vollmer 2003.
19
Così nel 1828, in «Über Kunst und Altertum», cfr. FGA XXII: 476. Si vedano inoltre i numerosi ulteriori
esempi discussi in Castellari (2008), in part. la seconda sezione, in cui Goethe si esprime a favore della
lettura ad alta voce quale pratica non solo utile in certi contesti pratici, ad esempio nella preparazione degli
attori, ma addirittura indispensabile per apprezzare la qualità letteraria di un testo, sia esso lirico,
drammatico o narrativo. Proprio Omero è assieme a Shakespeare ripetutamente portato a esempio in
questi contesti. Cfr. anche gli studi su Vorlesen e Vorlesbarkeit con specifica attenzione a Goethe di Reinhart
Meyer-Kalkus (2006 e 2007).
20
Si veda l’apparato iconografico in Schön (1987).
18
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Come numerose altri gesti e atteggiamenti wertheriani, anche tale modalità di lettura si è trasferita
poi sui fruitori del romanzo di Goethe, che è così divenuto oggetto di fruizione acustica da parte
di schiere di lettori, coevi e non. Lasciando da parte siffatti, studiatissimi aspetti della ricezione,
vorrei chiudere il discorso sul Werther con una considerazione invece produktionsästhetisch che, mi
pare, permette di interpretare la presenza del motivo della lettura ad alta voce all’interno della
costellazione oralità/scrittura come traccia di una centralità della dimensione performativa della
voce anche al di là della tessitura tematica del romanzo, bensì in questioni di carattere formali.
Una circostanza, quella che vado a descrivere, invero raramente chiamata in causa nella
ricostruzione della genesi e nella descrizione della struttura del testo, forse perché di primo
acchito in contrasto con l’esito fondamentalmente monologico del Briefteil del romanzo. Nelle
pagine che Goethe dedica alla genesi del suo successo giovanile dalla prospettiva matura di
Dichtung und Wahrheit – una retrospettiva autobiografica e autorappresentativa da prendersi, lo
sappiamo, con cautela – vi è infatti un brano che funge da passaggio da una sezione incentrata
sul Götz von Berlichingen alla discussione del Werther. Lo «Übergang zu einer andern
Darstellungsart» (FGA XIV, 627), dal genere drammatico al romanzo epistolare appunto, è qui
descritto in termini molto lontani dall’autoalimentata mitografia di una genesi del Werther quale
concitato e geniale sfogo del cuore in una scrittura terapeutica. Piuttosto, quasi a mo’ di
personale variatio di considerazioni tipiche dei Briefsteller settecenteschi sulla continuità fra
conversazione e scrittura epistolare, Goethe descrive in terza persona la propria procedura
abituale di inscenare, nella solitudine della sua fucina di poeta, «dialoghi ideali» con interlocutori
immaginari. Tale drammatizzazione fittizia di solinghi pensieri in una performance vocale e gestuale
a più parti – una procedura altamente composita, dunque, ben lontana dalla scrittura «di getto» –
è indicata quale momento germinale della stesura del romanzo:
Dieser Übergang geschah hauptsächlich durch eine Eigenheit des Verfassers, die sogar das
Selbstgespräch zum Zwiegespräch umbildete.
Er pflegte nämlich, wenn er sich allein sah, irgend eine Person seiner Bekanntschaft im
Geiste zu sich zu rufen. Er bat sie, nieder zu sitzen, ging an ihr auf und ab, blieb vor ihr
stehen, und verhandelte mit ihr den Gegenstand, der ihm eben im Sinne lag. Hierauf
antwortete sie gelegentlich, oder gab durch die gewöhnliche Mimik ihr Zu- oder Abstimmen
zu erkennen […]. Sodann fuhr der Sprechende fort, dasjenige was dem Gaste zu gefallen
schien, weiter auszuführen oder, was derselbe mißbilligte, zu bedingen, näher zu bestimmen,
und gab auch wohl zuletzt seine These gefällig auf. (FGA XIV, 627)
L’affinità di tali «Gespräch[e] im Geiste» (FGA XIV, 628), definiti poco sopra addirittura
«dialektische Übungen», con la scrittura epistolare è palese, tanto quanto il rapporto diretto di
quest’ultima con la scrittura drammatica su cui si Goethe era profuso nelle pagine precedenti.
Manca, però, un ultimo passo per giungere alle «lettere di Werther»: lo scarto fra la
comunicazione in presenza (con la voce) e lo scambio a distanza (con la lettera) è tale che
proprio il passaggio dal dialogo orale alla corrispondenza scritta si rivela perfettamente adeguato
allo Stoff che l’autore ha in mente, al taedium vitae. Ecco nascere, dalla polarità fra voce e scrittura,
il peculiare fascino del Werther:
Jene […] Wertherischen Briefe haben nun wohl deshalb einen so mannigfaltigen Reiz, weil
ihr verschiedener Inhalt erst in solchen ideellen Dialogen mit mehreren Individuen
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durchgesprochen worden, sie sodann aber in der Komposition selbst, nur an einen Freund
und Teilnehmer gerichtet erscheinen. (FGA XIV, 628)
Dalla viva conversazione, socievole e polifonica, dunque, alla monodia solitaria di una scrittura
diretta a un solo destinatario – e Goethe con palese reticenza non specifica qui gli ulteriori scarti
compiuto nella composizione, ovvero il silenzio decretato sulle risposte dell’«unico amico» e
l’affidamento delle missive del protagonista all’editore e alla sua politica narrativa.
I monologhi di Werther sono dunque, potremmo dire, la punta di un iceberg: estremo anello di
una catena di composizione che parte dalla viva conversazione (già fizionale, naturalmente) e la
trasforma in una scrittura solitaria, monodirezionale e silenziosa che reca ancora numerose tracce
performative.21
2 LETTURE WERTHERIANE IN HYPERION22
Vorrei in questa terza sezione seguire la traccia della presenza della lettura (ad alta voce) come
motivo di matrice wertheriana in Hyperion, a partire dalle sue stesure preliminari per giungere alla
versione mandata alle stampe nel 1797-99. Tale presenza, come accade a gran parte del modello
goethiano nel romanzo, è caratterizzata negativamente, o quanto meno problematicamente, e si
configura, crescentemente col procedere delle stesure, quale revoca. Appare plausibile
congetturare – il carattere di queste riflessioni e lo spazio a loro concesso permettono solo di
avanzare tale ipotesi di lavoro e di presentare brevemente i punti del testo hölderliniano su cui mi
pare si possa approfondire l’indagine in tal senso – che in linea generale il motivo wertheriano
della lettura come performance acustica ceda la sua preminenza a una riorganizzazione, in Hyperion,
della dimensione tematica del sonoro nella Spanne fra silenzio e armonia.
Il primissimo abbozzo del romanzo epistolare, un breve brano intitolato dagli editori An Kallias e
datato agli anni di Tubinga, è quasi interamente centrato sulla lettura di un passo di Omero.
«Erschöpft von glühenden Phantasien», scrive il giovane neogreco precursore di Iperione
evocando fantasticherie wertherianamente infiammate dall’empatia con la natura e dalla
figurazione dell’amata, «grif ich endlich zu meinem Homer». Segue un’esaltata sintesi di episodi
del decimo libro dell’Iliade, quindi, con subitanea dejection, la «Schaam vor den unsern und
Homeros Helden» e poi, al nuovo repentino montare dell’entusiasmo, l’ardore emulativo: «Ich
bin nun entschlossen, es koste was es wolle». (FHA X, 40) Più delle flebili tracce testuali23 sono
Ad esempio credo che si potrebbe intravvedere in un passaggio della lettera del 26 maggio una traccia
dell’originale polifonia nella composizione delle lettere di Werther. Seppure diretta a Wilhelm, infatti, la
missiva passa, nel pieno dell’entusiasmo, a destinatari plurali: «O meine Freunde! […] Lieben Freunde»,
FGA 8: 29. D’altronde, nelle sue lettere a Wilhelm, come noto, Werther si rivolge talvolta anche ad Albert
e a Lotte.
22
Il rapporto fra Werther e Hyperion è, per dirla con Goethe, un segreto palese. L’evidente rapporto di
filiazione è da sempre dato per scontato, affinità e differenze d’impianto riconosciute, poche sono però le
analisi critiche che entrano nel merito della questione, nessuna a quanto ho potuto indagare in merito alla
costellazione tematica qui discussa. Fa parziale eccezione il lucido Vollmer (2003), che discute la questione
della Sprachlosigkeit nei due romanzi epistolari. Si vedano inoltre, su tracce del Werther in Hölderlin, le
osservazioni di Mason (1975), 78-82, e lo studio di Reitani (1999). La recente Dissertation di Feil (2005)
compara non senza forzature i due romanzi in chiave filosofica, in particolare gnoseologica, senza giungere
a mio parere a risultati significativi.
23
Unica traccia da seguire in questo senso il fatto che il testo omerico elevi metaforicamente la sua voce
per accendere nel suo lettore lo spirito di emulazione: «Diß war auch dir bereitet, rief’s mir zu» (FHA X,
40).
21
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l’autore scelto, la situazione (naturale e sentimentale) in cui si colloca la lettura e la sua immediata
ricaduta soggettiva a suggerirci la filiazione goethiana di questo brano – fra l’altro, tale legame
ipertestuale con il Werther andrebbe ad aggiungersi alle altre considerazioni che spingono gli
editori ormai unanimemente ad attribuire questo stralcio epistolare al progetto-Hyperion dopo che
Friedrich Beißner, portandolo per la prima volta alla luce, lo aveva considerato parte dei lavori
preparatori alla rivista «Iduna».
Più composita e più indipendente dal modello è la lettura di Omero, qui in gruppo ed
esplicitamente ad alta voce, che troviamo nel Fragment von Hyperion, stesura preliminare del
romanzo pubblicata da Schiller in un numero di «Neue Thalia» datato 1793 e uscito nel 1794. Nel
corso di una visita alla grotta del poeta 24 da parte del protagonista, di Melite (la futura Diotima) e
di Notara, la lettura ad alta voce di brani omerici, di nuovo dall’Iliade, avviene in un contesto di
aperta venerazione (Homer-Kult) che ha già i tratti di una Kunstreligion:25
So kamen wir an die Grotte Homers.
Stille traurende Akkorde empfiengen uns vom Felsen herab, unter den wir traten; die
Saitenspiele ergossen sich über mein Innres, wie über die todte Erde ein warmer Reegen im
Frühlinge. Innen, im magischen Dämmerlichte der Grotte, das durch die verschiedenen
Öfnungen des Felsen, durch Blätter und Zweige hereinbricht, stand eine Marmorbüste des
göttlichen Sängers, und lächelte gegen die frommen Enkel.
Wir saßen um sie herum, wie die Unmündigen um ihren Vater, und lasen uns einzelne
Rhapsodien der Ilias, wie sie jedes nach seinem Sinne sich auswählte; denn alle waren wir
vertraut mit ihr. (FHA X, 65s.)
È interessante notare come l’intera scena sia fin dall’inizio connotata acusticamente (Akkorde,
Saitenspiele). Nel prosieguo, inoltre, alla lettura segue il canto di una nenia e a questo il silenzio, un
silenzio che è armonia perché «oltre il linguaggio e l’espressione». La Steigerung proposta in questa
scena del Fragment pare già racchiudere in nuce la costellazione voce – canto – silenzio del futuro
romanzo:
Eine Nänie, die mein Innerstes erschütterte, sangen wir drauf dem Schatten des lieben
blinden Mannes, und seinen Zeiten. Alle waren tiefbewegt. Melite sah fast unverwandt auf
seinen Marmor, und ihr Auge glänzte von Thränen der Wehmuth und der Begeisterung.
Alles war nun stille. Wir sprachen kein Wort, wir berührten uns nicht, wir sahen uns nicht
an, so gewiß von ihrem Einklang schienen alle Gemüther in diesem Augenblike, so über
Sprache und Äußerung schien das zu gehen, was jezt in ihnen lebte. (FHA X, 66)
Il destino, però, che tale intenso episiodio ha nella versione a stampa del 1797/99 è indicativo del
progressivo allontanamento che si può osservare su un piano generale dal modello goethiano.
Nella stesura definitiva, infatti, la messa in scena della lettura è sfumata dietro a una sorta di
necromanzia in cui a dominare sono il silenzio e la solitudine. Il «canto» è relegato al passato, non
trovando nuova performatività; dei tre officianti il culto omerico nel Fragment è rimasto solo
Iperione; la fruizione del «divino poema» non è esplicitamente connotata come acustica, anche se
Già qualche pagina prima Iperione scriveva a Bellarmino di una «Felsengrotte, am Ufer des Meles, wo
der Herrliche manche Stunde der Begeisterung gefeiert haben soll« (FHA XI, 53s.), eco di una leggenda
già antica che vuole Omero originario di Smirne.
25
Sulla possibilità di leggere il romanzo di Hölderlin alla luce del concetto, posteriore, di Kunstreligion si
veda Castellari (2011).
24
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la presenza dell’aggettivo lebendig può essere indubbiamente letta quale traccia della voce nella
lettura:
Wie oft gieng ich unter den immer grünen Bäumen am Gestade des Meles, an der
Geburtsstätte meines Homer, und sammelt’ Opferblumen und warf sie in den heiligen
Strom! Zur nahen Grotte trat ich dann in meinen friedlichen Träumen, da hätte der Alte,
sagen sie, seine Iliade gesungen. Ich fand ihn. Jeder Laut in mir verstummte vor seiner
Gegenwart. Ich schlug sein göttlich Gedicht mir auf und es war, als hätt’ ich es nie gekannt,
so ganz anders wurd’ es jezt lebendig in mir. (FHA XI, 599)
A conferma della revoca che Hölderlin mette in atto, al procedere della stesura di Hyperion,
rispetto alla presenza del motivo della lettura in chiave wertheriana, senza potermi soffermare qui
su ulteriori tracce minori,26 cito ancora una scena della versione definitiva. La struttura
anamnestica che Hölderlin impone alla forma epistolare fa sì che a questo punto del romanzo
Iperione, scrivendo all’amico tedesco Bellarmino da Salamina, rammemori il periodo trascorso a
fianco di Diotima a Calauaria, rievocando così l’entusiastico trasporto per una donna ormai
morta e le speranze eroiche per una vita, anche politica, ormai naufragata al momento della
stesura delle lettere. La situazione d’intimità fra amanti che caratterizza la scena non fa che
rendere più esplicito il riferimento wertheriano della domanda accorata che Iperione rivolge a
Diotima: «Soll ich vorlesen?». Rovesciate sono le parti, giacché è qui l’uomo a proporre una
lettura ad alta voce; assente è il riferimento a un testo in particolare, e naturalmente del tutto
differente il contesto relazionale. Diverso è, infine, l’esito, giacché Diotima invita Iperione non a
leggere, ma a compiere una diversa performance vocale: raccontare di sé.
Ja, ja! rief ich, wie du willst, wie du es für gut hältst – soll ich vorlesen? Deine Laute ist wohl
noch gestimmt von gestern – vorzulesen hab’ ich auch gerade nichts –
Du hast schon mehr, als einmal, sagte sie, versprochen, mir zu erzählen, wie du gelebt hast,
ehe wir uns kannten, möchtest du jezt nicht?
Das ist wahr, erwiedert’ ich; mein Herz warf sich gerne auf das, und ich erzählt’ ihr nun, wie
dir, von Adamas und meinen einsamen Tagen in Smyrna, von Alabanda und wie ich getrennt
wurde von ihm, und von der unbegreiflichen Krankheit meines Wesens, eh’ ich nach
Kalaurea herüberkam […].(FHA XI, 661)
Lo scarto dalla tradizione wertheriana è dunque esplicitamente messo in scena e collegato, nota
bene, alla dimensione poetologica. Il rifiuto del Vorlesen a favore dello Erzählen – e in particolare
di una narrazione autobiografico-rammemorativa – porta infatti il narratore Iperione a
sottolineare come quel momento del passato (tempo della storia) fosse in sostanza anticipazione,
pur sempre in forma acustico-performativa, dell’atto di scrittura con il quale, nel presente della
narrazione (tempo del racconto), Iperione scrive a Bellarmino: «raccontai a lei, come a te».
26
Segnalo la presenza, già nel Fragment, della lettura dell’Aiace sofocleo, e di quella di Platone. Penso in
particolare, nella versione finale, alla scena dai forti toni erotici che vede Iperione leggere Platone assieme
ad Alabanda – non è specificato se ciò avvenga ad alta voce, certamente avviene in mezzo alla natura e fa
da prodromo a un’entusiastica e concorde esaltazione patriottica: «Wir waren zusammen auf’s Feld
gegangen, saßen vertraulich umschlungen im Dunkel des immergrünen Lorbeers, und sahn zusammen in
unsern Plato, wo er so wunderbar erhaben vom Altern und Verjüngen spricht, und ruhten hin und wieder
aus auf der stummen entblätterten Landschaft, wo der Himmel schöner, als je, mit Wolken und
Sonnenschein um die herbstlich schlafenden Bäume spielte.» (FHA X, 609)
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La questione, in verità, è ancora più complessa di quanto emerga dall’analisi di questo breve
passo, e merita dunque approfondimenti ben oltre i limiti concessi a queste mie riflessioni. Se
Werther, leggendo ad alta voce la propria traduzione da Ossian a Lotte, mette a nudo la propria
soggettività e in fondo anche quella dell’amata, tanto che per un attimo la passione ha la meglio
sul controllo, e se è vero che tale Inszenierung della lettura è un gesto a un passo dal baratro della
morte, Iperione d’altro canto produce in Diotima, attraverso il resoconto ad alta voce della
propria storia passata, un presagio di morte («deine letzte Zufluchtsstätte wird ein Grab seyn,
esclama la donna poco dopo, FHA XI, 663). E se Werther, fattosi testo nella scrittura delle
proprie lettere, raggiungerà con il suicidio quella dimensione di morte che è connaturata alla
littera rispetto alla vox, Iperione sopravvive, al contrario, a Diotima, e la sua scrittura vivrà della
continua aporia fra la tensione utopica a un ricongiungimento con l’amata in una dimensione
superiore – sarà proprio la voce di Diotima a sussurrarglielo, gli pare, nel bosco tedesco – e la
presenza inestinguibile della separazione, di quella morte dell’amata che la sua scrittura
memoriale non fa che ripetere.27
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Iperione in un’esaltata affermazione di armonia, prima del celebre, discusso «So dacht’ ich. Nächstens
mehr» che chiude il romanzo (FHA XI, 782). Sulle «aporie della scrittura» in Hyperion si veda almeno
Groddeck (1998); questo studio e altri precedenti che aprivano a trattare il rapporto fra voce e silenzio, fra
scrittura e morte e via dicendo sono analizzati in Castellari (2002), capp. V e VI.
27
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