Le facoltà dei cappellani secondo il can. 566 e la normativa speciale
Transcript
Le facoltà dei cappellani secondo il can. 566 e la normativa speciale
In: Quaderni di diritto ecclesiale 20 (2007) 240-255. Le facoltà dei cappellani secondo il can. 566 e la normativa speciale di Davide Salvatori È solo col nuovo Codice che appare una sezione propria dedicata ai cappellani. Si tratta in tutto di nove canoni, uno dei quali, il can. 566, tratta in maniera essenziale delle facoltà dei cappellani. Questa novità è degna di nota, sebbene non sia stata oggetto di particolare studio dalla letteratura canonistica. Il presente contributo vuole introdurre a percepire le problematiche di fondo della summenzionata materia e, nello stesso tempo, aiutare ad apprezzare la qualità della nuova disciplina. Ciò può giovare alla realizzazione dell’intento dell’autorità competente, di provvedere all’ordinata cura pastorale. Le novità del can. 566 Nel corpo del Codice piano-benedettino non si rintraccia una sezione organica e sistematica dedicata ai cappellani; vi si trovano solo alcuni canoni che danno prescrizioni estremamente essenziali, preferendo rimandare alla legislazione extracodiciale, come per esempio nel caso dei cappellani militari (can. 451 § 3, che rimanda alle disposizioni della Santa Sede) e nel caso del can. 479 § 2, che concerne il cappellano delle religiose, delle religioni laicali maschili, delle confraternite e altre associazioni, che rimanda a canoni particolari. Di fatto gli unici casi in cui si trattava segnatamente delle facoltà attribuite ai cappellani erano il can. 698, dedicato ai cappellani delle pie associazioni, e il can. 833, sui cappellani dei marittimi; nel primo caso si concedeva la facoltà di benedire e di predicare, nel secondo quella di ascoltare le confessioni. Non essendoci, pertanto, nel Codice precedente un canone nel quale si raccoglievano le facoltà principali ed essenziali dei cappellani, tale stato di cose ha giustificato la copiosa produzione normativa sia in re particulari sia in re generali, di cui una parte è divenuta fonte dell’attuale can. 5661. Nel Codice attuale la situazione è totalmente differente, presentando esso una normativa sui cappellani a sé stante, essenziale e abbastanza articolata: si tratta in tutto di nove canoni, composti alla fine dei lavori di revisione, dopo la recognitio ad opera delle conferenze episcopali nel 1981 e quando già era stato approntato lo schema del 1980; fu 1 Nelle fonti indicate in PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI AUTHENTICE INTERPRETANDO, Codex Iuris Canonici fontium annotatione et indice analytico-alphabetico auctus, Città del Vaticano 1989, si rinvengono alcune imprecisioni. Per comodità si elencano le fonti precisate anche dal luogo in cui si possono reperire. Per quanto concerne il can. 566 § 1: SACRA CONGREGATIO DE DISCIPLINA SACRAMENTORUM, decreto Spiritus Sancti munera, 14 settembre 1946, I, in AAS 38 (1946) 352; EAD., responsio, 30 dicembre 1946, in X. OCHOA, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici editae, II, Romae 1969, n. 1898 [= LE 2/1898]; SACRA CONGREGATIO CONCISTORIALIS, indulto, 31 agosto 1953, in LE 2/2369; EAD., facultates, 19 marzo 1954, in AAS 46 (1954) 415-418; EAD., responsum, 7 luglio 1956, in LE 2/2590; SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, istruzione Nemo est, 22 agosto 1969, V, in AAS 61 (1969) 632-637; PONTIFICIA COMISSIO DE SPIRITUALI MIGRATORUM ATQUE ITINERANTIUM CURA, decreto Apostolatus maris, 24 settembre 1977, II, in AAS 69 (1977) 744-746. Per quanto riguarda le fonti del can. 566 § 2: EAD, decreto Apostolatus maris, II.I, nn. 9-10, in AAS 69 (1977) 745. stabilito a quel punto che nel capitolo dedicato ai «Rettori di Chiese» fossero aggiunte alcune norme sui cappellani2. Le norme sono apparse per la prima volta nello schema detto novissimum, quello presentato al Papa per l’ultima revisione con alcuni consultori3. Accanto a questa prima novità spicca con evidenza il contenuto del can. 566, che raccoglie in un unico canone le facoltà proprie di tutti i cappellani: «§ 1. È necessario che il cappellano sia fornito di tutte le facoltà che richiede una ordinata cura pastorale. Oltre a quelle che vengono concesse dal diritto particolare o da una delega speciale, il cappellano, in forza dell’ufficio, ha la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle sue cure, di predicare loro la parola di Dio, di amministrare loro il Viatico e l’unzione degli infermi, nonché di conferire il sacramento della confermazione a coloro che versano in pericolo di morte. § 2. Negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare il cappellano ha inoltre la facoltà, esercitabile solo in tali luoghi, di assolvere dalle censure latae sententiae non riservate né dichiarate, fermo restando tuttavia il disposto del can. 976». Le novità del can. 566 § 1 Le novità di questo paragrafo risiedono nel fatto che vengono definite quali sono le cinque facoltà che, a norma del Codice, sono comuni a tutti i cappellani, e quindi necessarie: facoltà di udire le confessioni, di predicare la parola di Dio, di amministrare il viatico e l’unzione degli infermi e infine di conferire il sacramento della confermazione in pericolo di morte. Nella normativa precedente queste stesse facoltà non erano attribuite così immediatamente a tutti i cappellani. Per quanto concerne la facoltà di amministrare il viatico e l’estrema unzione il vecchio Codice concedeva tale facoltà ipso iure al solo cappellano delle religioni laicali, da esercitarsi cumulativamente con quella del parroco (cf can. 514 § 3). Anche alle altre tipologie di cappellani potevano essere riconosciute le medesime prerogative, applicando i canoni generali vigenti per tutti i sacerdoti (cann. 848 § 2 e 938 § 2), che prevedevano l’estensione di tale facoltà in caso di necessità o con la licenza almeno presunta del parroco o dell’Ordinario. Per quanto riguarda la cresima il Codice piano-benedettino non prevedeva un’estensione di facoltà per tutti i sacerdoti né nelle circostanze di cui sopra e neanche in pericolo di morte (can. 782). Il testo legislativo fondamentale è il decreto della Congregazione per la disciplina dei sacramenti Spiritus Sancti munera, che, su mandato del Pontefice, amplia le norme del Codice circa il conferimento della cresima per coloro che per grave malattia versano in pericolo di morte, norme in vigore dal 1° gennaio 19474. Tali facoltà vengono concesse, oltre ai parroci e ai loro vicari, anche «a quei sacerdoti a cui è affidata in maniera stabile, in un certo territorio e con una determinata chiesa, la piena cura delle anime con tutti i diritti e doveri dei parroci»; tali facoltà sono concesse rigorosamente, 2 «Ex officio: Hoc in capite quaedam addenda videntur normae de cappellanis. Hoc praeterea transfertur can. 608 [= can. 567]» («Communicationes» 14 [1982] 230). 3 4 Non vi sono stati cambiamenti tra questo schema e il testo promulgato. Cf SACRA CONGREGATIO DE DISCIPLINA SACRAMENTORUM, decreto Spiritus Sancti munera, in AAS 38 (1946) 349-354. sotto pena di nullità, ai summenzionati sacerdoti per quei «fedeli che per grave malattia si trovano in un vero pericolo di morte, a causa del quale si prevede che moriranno entro breve»5. Nella tipologia di questi sacerdoti vengono compresi anche gli stessi cappellani, per i quali sono ampliate le facoltà. Si deve osservare con pronta evidenza che non tutti i cappellani ricevevano un medesimo trattamento giuridico. Analizzando la copiosa produzione normativa intercodiciale, infatti, ci si accorge che tali facoltà furono riconosciute o concesse solo a quella tipologia di cappellano giuridicamente equiparabile al parroco con gli stessi e pieni diritti-doveri6. Ciò è mutato dopo la celebrazione del concilio Vaticano II con ampliamento della disciplina che ha portato alla formulazione dell’attuale canone, uniformando così la disciplina per tutti i cappellani7. Quanto alla facoltà di predicare si rileva che l’unico canone che ne tratta in maniera specifica nel CIC/1917 è il can. 698 § 2, quello dei cappellani delle pie associazioni, nel quale ci si limita a rilevare che si osservino «i prescritti dei cann. 1337-1342». L’indicazione è pertanto generale, perché quei canoni trattano della predicazione, per la quale si deve sempre avere la concessione diretta di tale facoltà o dall’Ordinario o dal 5 AAS 38 (1946) 352. 6 Ciò emerge chiaramente da una Risoluzione particolare del 30 dicembre 1946 della Congregazione per la disciplina dei sacramenti che nega ad alcuni cappellani di quattro istituti (cioè di un determinato grande ospedale, di uno per anziani, di uno per malati di mente e di un sanatorio) l’estensione per decreto di tale facoltà, perché sebbene abbiano tutti i diritti del parroco, «non sono tenuti a tutti i doveri», come «ad esempio l’applicazione della messa pro populo» (LE 2/1898). Questa interpretazione giustifica la richiesta e l’ottenimento in re particulari di tali facoltà da parte di alcuni cappellani di ospedali (cf, per esempio, LE 2/2016; 2/2101). La stessa logica interpretativa è seguita anche nei documenti successivi. In una dichiarazione della Congregazione concistoriale del 7 ottobre 1953 si afferma che ai cappellani dei migranti tali facoltà competono a norma del summenzionato decreto (cf AAS 45 [1953] 758), mentre nelle Normae del 1954 e nelle Leges del 1957 della summenzionata Congregazione viene asserito che ai cappellani dei migranti tali facoltà sono concesse (cf SACRA CONGREGATIO CONSISTORIALIS, Normae et facultates, 19 marzo 1954, in AAS 46 [1954] 416; EAD., Leges Operis Apostolatus Maris, 21 novembre 1957, in AAS 50 [1958] 351). Il discrimine, infatti, è rappresentato dal quadro normativo della costituzione apostolica Exsul familia del 1° agosto 1952: nel n. 25 (e più in generale nei nn. 24-30) la figura del cappellano dei naviganti non è equiparata stricto sensu al parroco, ma in quanto gli è affidata «la cura delle anime, eccettuata la competenza matrimoniale» (cf AAS 44 [1952] 698), pertanto, a rigore del decreto Spiritus Sancti munera, tali facoltà vanno concesse; mentre del cappellano dei migranti è detto al n. 35 § 1 che «è equiparato al parroco» e al n. 36 § 2 che «la potestà [di governo] a ugual diritto è cumulata con quella del parroco del luogo» (ibid. p. 700), pertanto a norma del summenzionato decreto tali facoltà sono riconosciute. 7 Nei documenti postconciliari si trova una novità e una svolta di impostazione: nel decreto Apostolatus Maris del 24 settembre 1977 e nelle rispettive Normae la figura del cappellano dei marittimi viene tratteggiata in maniera più similare a quella del parroco, attribuendogli «tutti gli atti propri della cura delle anime, eccettuata la materia matrimoniale, a meno che il parroco o il moderatore della Missione vi abbia rinunciato» (cf art. 8 § 4), specificando che tale giurisdizione «è sempre cumulata con [quella] del parroco di quel territorio» (cf art. 8 § 5: in AAS 69 [1977] 742); per quanto attiene la facoltà di amministrare la confermazione questa non è più attribuita, ma riconosciuta; inoltre non è più circoscritta al pericolo di morte (cf. AAS 69 [1977] 745). Ciò non accade nell’istruzione Nemo est, cit., dedicata ai cappellani dei migranti, nella quale si trovano ribaditi gli stessi elementi già visti nella costituzione apostolica Exsul familia con la specificazione della facoltà di amministrare la confermazione ai sudditi in articulo mortis. Si noti che le fonti di tale facoltà sono la concessione diretta del Sommo Pontefice (art. 38) e il decreto Spiritus Sancti munera (art. 39 § 4a). A parte il fatto che desta una certa meraviglia la ripetizione di due norme, rimane singolare che si attribuisca tale facoltà, quando si riconosce al summenzionato cappellano il fatto che non abbia tutti i doveri del parroco – come l’obbligazione della messa pro populo (art. 39 § 4c) –, andando così a confliggere con l’interpretazione precedente; tale incongruenza è stata superata con il decreto Pro materna del 19 marzo 1982 (art. 7, in AAS 74 [1982] 743). superiore religioso, a seconda delle specifiche competenze giurisdizionali. Nei summenzionati canoni non è mai asserito che la concessione si può presumere, ma deve essere sempre chiesta. Ciò rilevato, va da sé che tale facoltà era sempre concessa ad hoc dall’autorità competente a quei cappellani che, a norma dei documenti pontifici, non erano equiparati ai parroci né stricto né lato sensu. Per la facoltà di confessare si osserva che solamente il can. 833 § 1 attribuiva tale facoltà ai cappellani dei marittimi; per le altre tipologie di cappellani vigevano i canoni generali, che prevedevano la richiesta ad hoc di tale facoltà per confessare. Si può, pertanto, asserire che il can. 566 § 1 non apporta novità di rilievo circa le facoltà segnatamente attribuite ad un cappellano, quanto piuttosto in riferimento alla ragione per la quale esse vengono concesse ex iure. La novità sta nella locuzione «in ragione dell’ufficio», che estende tale prerogativa ad ogni tipologia di cappellano. La novità è di rilievo, perché le ragioni del conferimento delle facoltà non sono più lette tout court in riferimento alla categoria di parroco, ma a quella di detentore di un ufficio che comprende la cura animarum. Leggendo il testo del canone in maniera frettolosa, potrebbe sembrare di primo acchito che l’espressione «in ragione dell’ufficio» si riferisca originariamente e solamente alla facoltà di confessare8. Il tenore del costrutto sintattico latino convince, invece, che la locuzione «in ragione dell’ufficio» del can. 566 § 1 non si riferisca primariamente e solamente alla facoltà di confessare. Si è persuasi che la locuzione in questione si riferisca in maniera generale a tutte le facoltà: è la stessa normativa extracodiciale particolare promulgata dopo il vigente Codice a confermare – come si vedrà – questa interpretazione. Le novità del can. 566 § 2 Altra novità di rilievo sono le facoltà conferite a tutti i cappellani di cui al § 2 in ragione del loro ufficio. Queste attribuzioni riprendono la precedente normativa extracodiciale, che le assegnava specificatamente solo alle categorie dei cappellani dei marittimi e dei migranti9. La norma in questione si presenta chiara ed essenziale: la facoltà di assolvere dalle censure non dichiarate e non riservate è concessa solamente ai cappellani di ospedali, di 8 Ciò pare suggerito dal fatto che la facoltà di confessare è concessa o mediante il diritto o da parte dell’autorità competente (can. 966 § 2); si noti che – eccettuato il caso del can. 967 § 1 – la facoltà di confessare data mediante il diritto, in ragione dei cann. 967 § 2 e 968 § 1, è sempre concessa mediante l’ufficio. Applicando questi canoni in maniera rigorosa al disposto del can. 566 § 1, consegue che quest’ultimo risulta una determinazione particolare dei precedenti; in particolare il can. 968 § 1 pare molto eloquente: «In forza del loro ufficio hanno facoltà di ascoltare le confessioni, ciascuno nell’ambito della propria circoscrizione, l’Ordinario del luogo, il canonico penitenziere e parimenti il parroco e gli altri che sono al posto del parroco [«qui loco parochi sunt»]». È fuori dubbio che i cappellani sono posti nella cura pastorale «al posto del parroco»; ciò è asserito dal can. 568, che individua la costituzione del cappellano proprio in ragione di coloro che «non possono usufruire della cura ordinaria dei parroci». Pertanto l’espressione «in ragione dell’ufficio» riferita alla facoltà di confessare, per il disposto del can. 968 § 1, si qualifica anche di questa peculiare accezione giuridica. 9 Cf can. 883 § 2 CIC1917 e PONTIFICIA materna, cit., pp. 742-745. COMMISSIO DE SPIRITUALI MIGRATORUM ATQUE ITINERANTIUM CURA, decreto Pro carceri e dei viaggi in mare; inoltre tale facoltà è esercitabile solamente in tali luoghi. Essendo materia odiosa, in quanto limitativa di diritti (cf can. 18), va soggetta a interpretazione stretta. Pertanto, se tale facoltà venisse esercitata al di fuori di quei luoghi – ad eccezione del caso urgente di cui al can. 1357 – tale remissione sarebbe nulla per mancanza di facoltà, non potendo- si neanche invocare la supplenza di facoltà di cui al can. 144 § 2. Tutto quanto asserito è oggetto di eccezione secondo la fattispecie del can. 976, che in pericolo di morte estende ogni facoltà. Il paragrafo in oggetto, sebbene raccolga la legislazione precedente e ne sia parziale innovazione – come si è visto –, sembra tuttavia rimanere ancora legato ad una certa mentalità superata: ciò pare evidente dalla mens che soggiace al tenore del canone, parsimonioso a concedere facilmente le facoltà. Si è ben consci che non è certamente facile normare una materia come questa, soggetta a costanti mutamenti. Ciò considerato è tuttavia preferibile una norma, che possa il più possibile normare anche nuove tipologie; ciò è stato asserito in maniera peculiare nei principi di revisione del Codice. Salvo migliore giudizio, la preoccupazione che pare celata sotto il § 2 è quella di assicurare al reo pentito la remissione istantanea della pena, proprio come prescrive il can. 1358 § 1. Per questa ragione la sollecitudine materna della Chiesa ha previsto in ogni diocesi anche la figura del canonico penitenziere (cf can. 508 § 1), provvisto delle facoltà necessarie. Sembra, quindi, che il can. 566 § 2 voglia favorire quelle persone che per determinate circostanze non possono usufruire facilmente, senza grave incomodo, di quell’ufficio. Si potrebbe, pertanto, considerare opportuno de iure condendo l’ampliamento della previsione «negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare il cappellano ha inoltre la facoltà, esercitabile solo in tali luoghi, di assolvere […]» con la seguente: «I cappellani di coloro che non possono ricorrere all’autorità di cui al can. 508 § 1, se non con grave incomodo, hanno inoltre la facoltà, esercitabile solo nell’ambito della loro giurisdizione, di assolvere […]». Con tale nuova espressione paiono protette giuridicamente le fattispecie del can. 566 § 2, con la possibilità di coprire anche altre tipologie. Il riferimento al can. 508 § 1 permetterebbe una più immediata comprensione della mens normativa, mentre l’espressione «se non con grave incomodo» coprirebbe tutte le fattispecie nelle quali è impossibile, fisicamente o moralmente, il ricorso all’autorità di cui al can. 508. Tale richiamo, infatti, farebbe risaltare meglio la figura del cappellano, perché rimarcherebbe l’ampliamento delle facoltà del cappellano – e quindi la mens legislatoris – rispetto a quelle del canonico penitenziere: questi può esercitarle solo in foro sacramentale, il cappellano anche in foro non sacramentale10. Infine la locuzione proposta «nell’ambito della loro giurisdizione» permetterebbe di esercitare tale facoltà a norma del can. 136. 10 Favorevole a questa interpretazione B.F.GRIFFIN, Cann. 564-572, in New Commentary on the Code of Canon Law, New York 2000, p. 738. Ciò rilevato, si ritiene che ogni congettura (in merito al verbo absolvere cf L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, Roma 19962, I, p. 705 nota 1) ed elucubrazione (in merito alla comparazione col can. 976, cf E. TEJERO, Cann. 564-572, in Comentario exégetico al Código de Derecho Canónico, II/2, Pamplona 19972, pp. 1366-1367) di chi non è favorevole a questa interpretazione più completa, sia fugata dall’applicazione del plurisecolare e noto principio Ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus. Si ritiene inoltre di essere confortati in questa interpretazione anche dal decreto Pro materna (cit., p. 743), che riforma, poco prima della promulgazione del Codice, le facoltà di alcune tipologie di cappellani; al n. 6 si concede «di assolvere in foro sacramentale i fedeli, loro affidati, dalle censure “latae Concludendo si può affermare che nel § 1 pare che le facoltà siano date per supplire la difficoltà di usufruire della cura ordinaria del parroco, mentre nel § 2 di quella di altre figure diocesane per il foro interno, come il canonico penitenziere. Per tale ragione la figura del cappellano non può essere pensata o appiattita principalmente e unicamente in riferimento della figura del parroco, perché, sebbene a volte ne assuma tutte le funzioni, non sempre le svolge tutte, e inoltre in alcuni casi è chiamato a esercitare funzioni che superano l’ufficio del parroco. Il criterio di individuazione delle facoltà del cappellano La clausola introduttiva del can. 566 § 1 sancisce un principio importante: «È necessario che il cappellano sia fornito di tutte le facoltà che richiede una ordinata cura pastorale». Con l’asserzione perentoria di richiamare la necessità che il cappellano sia provvisto delle facoltà richieste si afferma contemporaneamente sia il dovere dell’autorità competente di provvedere adeguatamente e sia il diritto del cappellano – o, più in generale, della comunità che costituisce la cappellania – di essere provvisto di tali facoltà. Il genere e numero delle facoltà è circoscritto e subordinato al fatto che queste divengono necessarie solo in quanto richieste dall’ordinata cura pastorale: questo è il criterio oggettivo di individuazione ed è solo in questo senso che nel canone si parla propriamente di «tutte le facoltà». Il criterio per la concessione o la richiesta si basa, quindi, sul delicato equilibrio di garantire un’ordinata cura pastorale a quelle persone che «non possono usufruire, per la loro situazione di vita, della cura ordinaria dei parroci» (cf can. 568). Ci si chiede quale debba essere il criterio che individui in maniera più puntuale l’espressione ordinata cura pastorale. La risposta non è semplice né immediata. Nella legislazione extracodiciale piano-benedettina e nella prassi della Curia romana risulta evidente che le facoltà venivano individuate e attribuite ai cappellani principalmente commisurandole e relazionandole alla figura del parroco. Questo criterio pare superato proprio dal tenore del can. 566, quando si asserisce nel § 1 che le facoltà vengono concesse sia in ragione del diritto particolare, sia in ragione della delega speciale dell’autorità e infine sia in ragione dell’ufficio: si deve approfondire la riflessione su questo concetto, lasciata in sospeso in precedenza. È palese, quindi, che le facoltà del cappellano non sono individuate unicamente dal criterio dell’ufficio ecclesiastico del parroco. Il termine ultimo di riferimento, infatti, è la retta cura pastorale, che può trascendere la «cura ordinaria dei parroci» (cf can. 568): ciò è evidente dal can. 566 § 2 che concede ad alcune tipologie di cappellani ampie facoltà del tutto aliene all’ufficio di parroco, che si avvicinano, invece, a quelle del canonico penitenziere (cf can. 508 §1). Sembra pertanto che il criterio assunto dal Codice di retta cura pastorale venga a trascendere quello di cura ordinaria dei parroci, identificandosi in maniera più generale con quello della salus animarum, che «nella Chiesa deve essere sempre la legge suprema» (can. 1752). Questo principio riconosce sententiae” non dichiarate, non riservate alla Sede Apostolica, osservando le dovute prescrizioni canoniche»; il corsivo è nostro, per il testo completo cf infra. Si noti che la distinzione restrittiva («in foro sacramentale») non è stata recepita dal can. 566 § 2. indubbiamente ampio margine all’autorità competente nell’individuare e concedere le facoltà necessarie, sempre nel rispetto costante del principio di legalità. Questo ampio margine viene contestualmente delimitato dalla locuzione in ragione dell’ufficio, che risulta una opportuna novità in riferimento alla figura del cappellano. Non essendo più la figura del parroco il termine principe di paragone, ma l’ufficio stesso del cappellano, questo diviene per l’autorità criterio e misura per conferire tutte le facoltà necessarie. Ciò impone nello stesso tempo all’autorità il dovere di pensare pastoralmente la figura di cappellano (che va sempre commisurata alle esigenze concrete), per garantire ai fedeli interessati di godere dell’ordinata cura pastorale. L’utilizzazione dell’espressione ufficio, pertanto, è più che mai opportuna e corretta, perché nella sua universalità afferma contemporaneamente ampio margine e delimitazione. Ciò è ulteriormente garantito nella normativa speciale, che sottolinea maggiormente il legame tra il cappellano e la comunità locale, consentendo maggiore e migliore inserimento nella compagine della Chiesa particolare: da ciò risalta meglio il concetto di ordinata cura pastorale («recta cura pastoralis»). Le facoltà di tutti i presbiteri secondo il Codice La facoltà è definita come «la comunicazione parziale della propria potestà, o potere di giurisdizione, fatta dal superiore ecclesiastico ad un’altra persona per compiere un atto lecito, valido e certo, che di per sé sarebbe riservato al superiore»11. La facoltà è detta abituale quando il titolare ne può disporre liberamente, senza ulteriori delimitazioni come nel caso della facoltà attuale (ad actum), che deve essere, invece, utilizzata per casi specifici quanto alla materia e alla persona12. Di per sé la facoltà non è connessa all’ufficio, ma è concessa o alla persona in quanto tale (industria personae) oppure alla persona in quanto titolare di un ufficio13. Nel nuovo Codice le facoltà sono trattate alla stregua della potestà delegata (can. 132 § 1), e alcune sono attribuite ipso iure ad ogni presbitero, compreso il cappellano. Si deve considerare che il cappellano, in quanto sacerdote, gode di tutte le facoltà concesse ipso iure a tutti i sacerdoti negli ambiti dei singoli munera sanctificandi, docendi et regendi. Le facoltà, pertanto, menzionate nel can. 566 si devono ritenere ulteriori. Come abbiamo visto il can. 566 § 1 attribuisce a tutti i cappellani, in quanto detentori dell’ufficio, la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle loro cure, di predicare loro la parola di Dio, di amministrare loro il viatico e l’unzione degli infermi e di conferire il sacramento della confermazione a coloro che versano in pericolo di morte. Per quanto concerne la facoltà di confessare il can. 968 § 1 stabilisce che la stessa è concessa mediante l’ufficio a tutti quei presbiteri che «sono al posto del parroco»; tra questi sono da annoverare anche i cappellani, come si è visto. Il can. 566 § 1, pertanto, appare un’applicazione esplicita di un criterio generale. 11 P.M. CONTE A CORONATA, Institutiones iuris canonici, I, Roma 1939, p. 97. 12 Cf R. NAZ, Facultés, in Dictionnaire de droit canonique, V, Paris 1957, col. 800. 13 Cf V. DE PAOLIS, Il libro primo del Codice: Norme generali (cann. 1-203), in AA.VV., Il diritto nel mistero della Chiesa, I, Roma 1988, pp. 391-392; F.J. URRUTIA, Les normes générales, Paris 1994, pp. 223224. Per quanto riguarda la facoltà di predicare non si deve dimenticare che il can. 764 la attribuisce a tutti i presbiteri, da esercitarsi ovunque purché ci sia il consenso «almeno presunto del rettore della chiesa», oppure che la facoltà «non sia stata ristretta o tolta del tutto da parte dell’Ordinario competente», o infine che «per legge particolare si richieda la licenza espressa». Il can. 566 § 1 di per sé non aggiunge nulla alle facoltà concesse dal Codice a tutti i presbiteri, se non che aiuta nel regolare meglio le limitazioni e l’esercizio di tale diritto. Il pregio è che in questo caso, essendo il cappellano titolare di un ufficio, deve rispondere direttamente all’Ordinario, senza che vi sia un’autorità intermedia. In merito all’amministrazione del viatico il can. 911 § 2 concede tale facoltà a qualsiasi sacerdote in relazione ad un fedele in pericolo di morte; lo stesso dicasi per l’unzione (can. 1003 §§ 2-3) e la confermazione (can. 883, 3°). Sebbene le determinazioni del can. 566 § 1 non aggiungano nulla rispetto alle facoltà concesse già a tutti i presbiteri, tali asserzioni del canone rimarcano maggiormente il dovere dei cappellani nei confronti delle persone loro affidate. Le facoltà del can. 566 sono solamente una minima parte di quelle che il diritto concede a tutti i presbiteri in quanto tali. Da ciò si deduce che le disposizioni del can. 566 sono allo stesso tempo indicative e precettive. Dovendo, infatti, il Codice disciplinare una materia così vasta e disomogenea ha delimitato il minimun al di sotto del quale non si può andare, e nello stesso tempo anche gli ambiti di competenza che si debbono necessariamente attribuire ai cappellani stessi. Ciò giova indubbiamente nelle applicazioni concrete di fronte alle quali l’Ordinario si trova a operare: possiamo asserire che la provvisione di facoltà descrive la figura di cappellano e nello stesso tempo la natura di cappellania. Per questa ragione l’Ordinario dovrà tenere particolarmente presente la finalità della missione ecclesiale che vorrà affidare al cappellano, dotandolo di tutte le facoltà necessarie. In questo risiede la discrezione pastorale, che deve contemperare il bene dei singoli e quello della comunità, in vista della salus animarum: in ciò si realizza l’ordinata cura pastorale. Il compito non è certamente semplice, ma è proprio dell’autorità ecclesiastica «regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli» (can. 223 § 2). Salvo miglior giudizio, sarebbe opportuno attribuire a tutti i cappellani alcune delle facoltà di dispensa che il diritto concede ai parroci. Ciò in particolare riguarda la facoltà di dispensare dai voti privati (can. 1196, 1°), dal giuramento (can. 1203) e dal precetto festivo e opere di penitenza (can. 1245). L’importanza pastorale di questa norma si impone da sola e si fonda sul principio che i cappellani debbono essere provvisti di ogni facoltà, quando è moralmente impossibile al fedele il ricorso all’autorità competente. Ciò non esclude d’altro canto che in via di principio i cappellani siano provvisti anche di facoltà tipiche dell’Ordinario del luogo: ciò dovrà essere valutato caso per caso. Le facoltà di alcune tipologie di cappellani secondo la normativa speciale in vigore Può essere utile, a titolo di riprova di quanto sopra descritto, riportare le norme extracodiciali attualmente in vigore per alcune tipologie di cappellani, con l’indicazione delle rispettive facoltà attribuite ai cappellani. Le facoltà dei cappellani dell’Opera dell’apostolato del mare La normativa di riferimento è la lettera apostolica motu proprio di Giovanni Paolo II del 31 gennaio 1997 Stella maris14, con la quale si è riformata tutta la normativa precedente15: «L’Opera dell’Apostolato del mare, pur non costituendo un’entità canonica autonoma con propria personalità giuridica, è l’organizzazione che promuove la cura pastorale specifica rivolta alla gente del mare e mira a sostenere l’impegno dei fedeli chiamati a dare testimonianza in questo ambiente con la loro vita cristiana» (art. 1). Si precisa quali sono le persone che cadono sotto la giurisdizione dei cappellani dell’apostolato del mare: i naviganti, i marittimi e la gente del mare16. È competenza del vescovo diocesano, «d’intesa col direttore nazionale», la nomina del cappellano, determinando «le forme più adatte per la cura pastorale in favore dei marittimi» (art. 12 § 2). Egli gode di tutti i doveri e i diritti del cappellano, nonché delle facoltà che il Codice gli attribuisce. In particolare la lettera apostolica precisa che al cappellano, in forza del suo ufficio, «è lecito [«licet»] compiere tra la gente del mare [cf art. 2 § 1; 7 § 1] tutti gli atti che sono propri della cura d’anime, ad eccezione della materia matrimoniale» (art. 5 § 1), per la quale egli necessita della delega dell’autorità competente secondo le disposizioni dell’art. 7 § 3, ad eccezione dei casi per i quali la delega avviene ipso iure; le facoltà del cappellano «sono cumulative con quelle del parroco dove sono esercitate», col quale va mantenuto «un fraterno collegamento» (art. 5 § 3). Sulla base di queste disposizioni sembra chiaro che il cappellano dell’apostolato del mare gode di tutti i diritti che il Codice e il diritto liturgico attribuiscono al parroco, ma non di tutti i doveri, come per esempio la messa pro populo. Il medesimo gode anche di facoltà speciali che il motu proprio gli attribuisce: «a) celebrare la messa due volte, se c’è giusta causa, nei giorni feriali, e tre volte, qualora sia richiesto da una vera necessità pastorale, nelle domeniche e nei giorni festivi; b) celebrare abitualmente la messa fuori del luogo sacro se c’è giusta causa e osservando quanto stabilito dal can. 932 del Codice di diritto canonico; c) il giorno del giovedì santo – memoria della Cena del Signore – celebrare nelle ore serali, se ciò è richiesto da esigenze pastorali, una seconda messa nelle chiese e negli oratori, e, in caso di vera necessità e soltanto per i fedeli che non possono partecipare alla messa vespertina, anche nelle ore del mattino» (art. 6). 14 Cf AAS 89 (1997) 209-216. 15 Cf PONTIFICIA COMMISSIO DE SPIRITUALI MIGRATORUM ATQUE ITINERANTIUM CURA, decreto Pro materna, cit., pp. 742-745. Sembra utile riportare la normativa precedente: EAD., decreto De pastorali maritimorum et navigantium cura, Normae et Facultates, cit., pp. 737-746; SACRA CONGREGATIO CONSISTORIALIS, Leges Operis Apostolatus Maris, cit., pp. 375-383; EAD., Normae et Facultates, in AAS 46 (1954) 415-418; PIO XII, costituzione apostolica Exsul familia, cit., pp. 697-699. 16 «Nelle presenti norme si intendono con il nome di: a) naviganti, coloro che al momento si trovano su navi mercantili o della pesca, e coloro che hanno intrapreso per qualsiasi motivo un viaggio in mare. b) marittimi: 1. i naviganti; 2. coloro che in ragione del loro mestiere si trovano abitualmente sulle navi; 3. coloro che lavorano sulle piattaforme petrolifere; 4. i pensionati provenienti dai mestieri di cui ai nn. precedenti; 5. gli allievi degli istituti nautici; 6. coloro che lavorano nei porti. c) gente del mare: 1. i naviganti e i marittimi; 2. il coniuge, i figli minorenni e tutte le persone che abitano nella stessa casa di un marittimo anche se attualmente non sia navigante (per esempio in pensione); 3. coloro che collaborano stabilmente con l’Opera del mare» (art. 2 § 1). Ha inoltre la facoltà speciale di amministrare il sacramento della confermazione, fermo restando il disposto del can. 566, «quando non ci sia a bordo nessun vescovo in regolare comunione con la sede apostolica e sempre osservando tutte le prescrizioni canoniche» (art. 7 § 2). Il cappellano dell’apostolato del mare, pertanto, gode di tutte le facoltà di cui al can. 566, di quelle generali che il Codice attribuisce ad ogni presbitero, di quelle del parroco e di quelle speciali di cui al motu proprio, nonché di quelle che l’autorità competente vorrà conferire. Le facoltà dei cappellani degli aeroportuali La normativa tuttora in vigore è ancora il più volte citato decreto Pro materna della Pontificia commissione per la cura spirituale dei migranti e degli itineranti. Il decreto, infatti, secondo il tenore del can. 6 § 1, 2° e 4° pare non essere stato abrogato dal nuovo Codice, e inoltre non è stata prodotta alcuna normativa successiva che abbia abrogato il decreto su questa precisa materia. Nel documento, infatti, del Pontificio consiglio per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, Direttive per la pastorale cattolica dell’aviazione civile del 15 marzo 199517 non si determinano in maniera peculiare le facoltà del cappellano – quindi non si riordina ex integro la materia –, ma al n. 45 si elencano le stesse come già disposto nel can. 566 § 1. È difficile inoltre attribuire al documento una precisa collocazione giuridica: fino alla promulgazione della lettera apostolica Stella maris si discuteva in dottrina se il Pontificio consiglio avesse potestà di emanare un’istruzione ai sensi del can. 34; ciò è stato chiarito con l’art. 13 § 1 del summenzionato documento; inoltre le Direttive in questione non hanno ricevuto né un’approvazione pontificia e né sono state redatte su mandato pontificio (cf art. 18 Pastor bonus); infine la forma stessa di promulgazione fa pensare più ad un’istruzione, sebbene il tenore del testo non si presenti come tale ma in forma più sommessa18. Il decreto Pro materna, invece, non solo è stato pubblicato in Acta Apostolicae Sedis, ma ha ricevuto anche l’approvazione pontificia. Si può, pertanto, asserire che il cappellano degli aeroportuali gode delle facoltà di cui al 566 § 1, di quelle conferite dal Codice a tutti i presbiteri e di quelle speciali conferite dal decreto Pro materna, che sono: «1) Celebrare l’eucaristia due volte nei giorni feriali, se ci sia una giusta ragione e, se lo richieda la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto. 2) Di celebrare il giovedì santo “nella cena del Signore” nelle ore serali, quando lo richieda una ragione pastorale, una seconda messa nelle chiese e negli oratori, e di celebrare anche nelle ore del mattino, nel caso di necessità e soltanto per i fedeli che non possono in alcun modo partecipare alla messa vespertina. 3) Di usare al posto delle 17 Rinvenibile in www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/s_index_civilaviation/rc_pc_migrants_sectioncivilavia tion_it.htm. 18 Ciò è evidente anche dalla prefazione del presidente del Pontificio consiglio, quando si afferma che le Direttive «hanno lo scopo di descrivere il ministero che la Chiesa cattolica intende esercitare nel mondo dell’Aviazione Civile», sebbene non ci si sia occupati di dare «una descrizione dettagliata», mentre ci si è preoccupati di offrire «indicazioni precise» circa la creazione di una cappella e della liturgia, «in conformità alla legislazione in vigore nella Chiesa cattolica». candele le lampade elettriche, quando la messa viene celebrata all’aperto, oppure a bordo delle navi e degli aerei, se non ci siano o non possano essere usate le candele. 4) Di conservare la santa Eucaristia, purché ci sia chi ne abbia cura, nelle navi e nelle roulottes, in luogo tuttavia sicuro e decoroso, usando le dovute cautele ed osservando quanto è prescritto circa la lampada. 5) Di ascoltare in qualsiasi luogo le confessioni dei fedeli, che sono a loro affidati. 6) Di assolvere in foro sacramentale i fedeli, loro affidati, dalle censure latae sententiae non dichiarate, non riservate alla Sede Apostolica, osservando le dovute prescrizioni canoniche. 7) Di amministrare il sacramento della confermazione ai fedeli, loro affidati, purché debitamente preparati e disposti, come pure ai pellegrini che si trovano in pericolo di morte»19. Si deve rilevare che non solo il cappellano gode di tali facoltà speciali, ma anche «il sacerdote che, in caso di assenza o di impedimento del cappellano, sia regolarmente nominato per farne le veci»20. Si noti inoltre che i beneficiari di tali facoltà sono coloro che lavorano negli aeroporti e a bordo degli aeroplani, nonché gli aeronaviganti (piloti e passeggeri)21; va da sé che la facoltà di cui al n. 6 andrà interpretata alla luce del can. 566 § 2. Le facoltà dei cappellani dei nomadi, dei circensi e degli ambulanti La normativa più recente di riferimento è il documento Orientamenti per una pastorale degli Zingari dell’8 dicembre 2005, promulgato dal Pontificio consiglio per la pastorale per i migranti e gli itineranti22. Come si legge nella presentazione, questo documento, «sebbene si riferisca agli Zingari, è ugualmente valido, mutatis mutandis, anche per altri gruppi di nomadi che condividono condizioni simili di vita». Nei nn. 93-95 si parla dei cappellani o missionari e delle loro facoltà e, attraverso un non immediato ragionamento (cf n. 95), si giunge a far intendere che le precedenti facoltà concesse dal decreto Pro materna ora non sono più in vigore. Al di là delle congetture che possono nascere, ciò che inequivocabilmente è chiaro dal tenore del documento è che le facoltà concesse da quel decreto ora possono essere facilmente concesse dall’Ordinario del luogo, come lo stesso Codice attuale prevede23, ad eccezione della facoltà di conservare il 19 AAS 74 (1982) 742-743. 20 Ibid., p. 743. 21 Così le Direttive per la pastorale cattolica dell’aviazione civile, cit., n. 8: «La pastorale dell’Aviazione Civile viene esercitata in favore di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, appartengono al mondo dell’Aviazione Civile, temporaneamente o permanentemente, a prescindere dalla loro nazionalità, cultura o fede religiosa, e mostra un’attenzione speciale verso quanti di loro sono più poveri e piccoli, sofferenti o emarginati». 22 23 In «Ius Ecclesiae» 18 (2006) 811-826. Alla nota 14 del documento si indicano quali sono i canoni: per la facoltà di binare can. 905 § 2; per la possibilità di celebrare una messa nel pomeriggio del Giovedì santo il Messale Romano; per la facoltà di ascoltare ovunque le confessioni cann. 566 § 1 e 967 § 2; per amministrare il sacramento della confermazione can. 884 § 1. Quanto alla facoltà di assolvere in foro sacramentale si indica il combinato disposto dei cann. 1355 e 1357 § 1. Santissimo sacramento in roulottes – sebbene il can. 934 conceda tale facoltà all’Ordinario – per la quale il Pontificio consiglio «può concedere simile indulto a certe condizioni» (cf n. 95). Il pregio di questa impostazione è di sottolineare maggiormente il legame tra Chiesa particolare e il cappellano o missionario24. Ciò rilevato, si dubita che il decreto Pro materna sia stato abrogato dal presente documento perché sono molte le ragioni che fanno pensare che il documento Orientamenti non si possa configurare come un’istruzione. Sebbene sia indubbio che il Pontificio consiglio in questione abbia la facoltà di emanare istruzioni ai sensi del can. 34 – ciò è asserito espressamente dall’art. 13 § 1, n. 1 della lettera apostolica Stella maris e ribadito dall’art. 20 § 2, n. 2 dell’istruzione Erga migrantes caritas Christi del Pontificio consiglio per la cura spirituale dei migranti e degli itineranti del 3 maggio 200425 –tuttavia il documento in questione non si qualifica come istruzione, ma Orientamenti; inoltre rispetto all’istruzione Erga migrantes – e ad altre – il documento manca di una parte prettamente giuridica e dell’approvazione del Sommo Pontefice (cf art. 18 Pastor bonus); infine la trattazione delle facoltà dei cappellani o missionari avviene in maniera non lineare, facendo comunque intendere che è avvenuta una revoca o un’abrogazione: non è infatti chiaro se trattasi di revoca esplicita ai sensi del can. 34 § 3 (il tenore del n. 95 farebbe pensare così), oppure di revoca implicita mediante pubblicazione di nuova istruzione ai sensi del can. 34 § 3, oppure di abrogazione vera e propria da parte del nuovo Codice. Questi cappellani, pertanto, pare siano forniti delle facoltà di cui al can. 566 § 1 e di quelle che il Codice attribuisce a tutti i presbiteri. Per quanto concerne le facoltà di cui al decreto Pro materna si rileva che, pur potendosi invocare la supplenza di facoltà per il dubium iuris di cui al can. 144 § 2, seguendo anche le indicazioni del documento Orientamenti, sarebbe auspicabile che il vescovo diocesano concedesse le medesime facoltà speciali in applicazione del diritto comune. Le facoltà dei cappellani dei turisti e dei pellegrini Il documento più recente è Orientamenti per la pastorale del turismo del Pontificio consiglio per la cura dei migranti e degli itineranti del 29 giugno 200126, che, per le medesime ragioni in parte addotte per il documento Orientamenti per una pastorale degli Zingari, non può configurarsi come istruzione ai sensi del can. 34 e rimane un punto di riferimento per la pastorale diocesana e parrocchiale. Nel documento si danno semplicemente delle indicazioni di base, senza entrare nello specifico. Sulla scorta di queste ragioni e di quelle di cui al paragrafo precedente, si ritengono tuttora in vigore le facoltà speciali del decreto Pro materna. Pertanto si rende quanto mai utile la nomina di questi cappellani che saranno provvisti delle facoltà di cui al can. 566 § 1, delle facoltà che il Codice attribuisce a tutti i presbiteri e delle facoltà del decreto Pro materna. 24 Di particolare interesse E. BAURA, Aspetti giuridici della pastorale per gli zingari, in «Ius Ecclesiae» 18 (2006) 828-832. 25 26 In AAS 96 (2004) 762-822. In «L’Osservatore Romano», 12 luglio 2001, suppl. inserto tabloid. Conclusione Due sono apparsi i punti discriminanti nell’analisi del can. 566 in relazione alle facoltà dei cappellani: il criterio dell’ordinata cura pastorale, che deve guidare l’autorità competente nella concessione di facoltà, e la categoria di ufficio, che permette di pensare pastoralmente – e quindi di strutturare giuridicamente – la figura del cappellano con le sue facoltà. Ciò si inserisce nella scia dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II, che il nuovo Codice ha recepito, attribuendo, come si è visto, ampio spazio agli Ordinari anche nella concessione delle facoltà speciali. La recente esortazione postsinodale ci ricorda questo dinamismo, richiamando la dimensione vera della cattolicità: «L’unità della comunione ecclesiale si rivela concretamente nelle comunità cristiane e si rinnova nell’atto eucaristico che le unisce e le differenzia in Chiese particolari, “in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit”. Proprio la realtà dell’unica Eucaristia che viene celebrata in ogni Diocesi intorno al proprio Vescovo ci fa comprendere come le stesse Chiese particolari sussistano in e ex Ecclesia. […] Per questo motivo nella celebrazione dell’Eucaristia, ogni fedele si trova nella sua Chiesa, cioè nella Chiesa di Cristo. In questa prospettiva eucaristica, adeguatamente compresa, la comunione ecclesiale si rivela realtà per natura sua cattolica»27. DAVIDE SALVATORI Piazzale G. Bacchelli, 4 40136 Bologna 27 n.15. BENEDETTO XVI, esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007,