La storiografia del quarto secolo - FDA Didattica per le materie

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La storiografia del quarto secolo - FDA Didattica per le materie
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
F. D'ALESSI
Letteratura latina
Parte IV,3 :
daMarco Aurelio alla fine dell'impero romano di Occidente
Agosto 2002
F. D’Alessi © 2002
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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La cultura cristiana del IV e V secolo: le eresie e i Padri della Chiesa
Letture critiche: C. Moreschini, Caratteri della cultura cristiana occidentale
del IV -V secolo
A partire dal 350 circa, la cristianità occidentale appare percorsa da forti stimoli intellettuali e culturali.
Se consideriamo la produzione letteraria cristiana esclusivament e dal punto di vista della cronologia,
osserviamo che i secondi cinquant'anni del quarto secolo sono occupati dalle personalità di Ilario, Mario
Vittorino, Ambrogio; Gerolamo entro il 400 ha scritto buona parte delle sue opere e Agostino molte delle
sue, comprese le Confessioni; se oltrepassiamo l'inizio del quinto secolo e consideriamo in una visione
complessiva il periodo che va dalla metà del quarto alla morte di Agostino (430), possiamo far rientrare
in questi ottant'anni - certamente pochi nella storia del cristianesimo antico - forse il meglio della
produzione cristiana in lingua latina, che è riuscita in così breve tempo ad abbracciare sostanzialmente
tutti i generi letterari, anche quelli che fino a quel momento non erano stati tentati, e a rinnovarl i.
È grande, nel quarto secolo, e dura fino alla rottura delle tradizioni letterarie, provocata dalle invasioni
barbariche, la diffusione della cultura: ad essa provvede soprattutto l'omelia, che è un genere, certo,
tipicamente cristiano (derivato dalla spiegazione della Legge nella Sinagoga ebraica), ma per altri
aspetti parallelo a quello rappresentato, in ambito profano, dalle orazioni ufficiali e dai panegirici (e del
resto, omelie di argomento profano e panegirici furono pronunciati anche da Ambrogio; panegirici in
versi furono scritti da Paolino Nolano). Naturalmente, quando parliamo di cultura procurata dall'omelia,
si deve tenere presente che soltanto la forma finale del testo elaborato è presentata nella viva voce; in
realtà, l'omelia è preceduta da una attenta preparazione scritta; successivamente, dopo che l'omelia è
stata pronunciata, i testi, che erano stati trascritti da uno stenografo, sono rielaborati dall'autore e messi
nella forma definitiva con le ultime modifiche (questo avvenne, ad esempi o, per i sermoni di Agostino).
La grande diffusione dell'omelia nella letteratura cristiana fu, dunque, facilitata dal diffondersi della
stenografia, sia per la composizione di opere letterarie sia per i documenti pubblici. A partire dal
secondo secolo la stenografia è attestata in alcuni papiri egiziani. Probabilmente alcuni resoconti degli
Atti dei Martiri furono stenografati, e questo permise la loro conservazione fino al successivo momento
della trascrizione in forma più letteraria; alcuni conservarono, però, l'originaria forma stenografica. A
partire dal quarto secolo l'attività degli stenografi ufficiali al servizio della Chiesa è bene attestata: essi
si trovavano al seguito dei Padri conciliari, registrando le loro discussioni, o erano impiegati nei c asi di
dibattiti pubblici con gli eretici. Ma soprattutto gli stenografi erano impiegati, spesso su richiesta degli
stessi oratori, in occasione delle omelie: il predicatore voleva che essi registrassero le sue parole, per
poi rivedere la registrazione stessa e pubblicarla in forma di trattato, oppure erano alcune persone del
pubblico ad essere particolarmente interessate alle parole dell'oratore. Gregorio di Nazianzo, ad
esempio, ricorda esplicitamente gli stenografi sempre presenti alle sue orazioni.
L'omelia, di solito costituita dal commento ad un passo scritturistico, ebbe amplissima diffusione nel
quarto secolo, rappresentandone uno dei generi letterari più significativi; essa è stata definita come «i
mass-media dell'antichità cristiana» (così Fontaine). L'omelia non ha però soltanto la funzione erudita di
spiegare la Scrittura, e quindi non implica solo un livello culturale medio -alto; essa deve servire anche
all'ammaestramento delle masse, che, impossibilitate a frequentare la scuola, e di conseguenza
analfabete e ignoranti, solo grazie all'omelia possono avere una formazione religiosa, e anche profana
(religioso e profano insieme, ad esempio, è il contenuto delle omelie ambrosiane Sull'Esamerone).
Osserva la Gualandri che l'omileta ha come scopo la memorizzazione di quello che vuole insegnare, in
particolare il testo sacro; utilissimo a tal proposito è il canto: «quello che viene cantato si attacca meglio
ai nostri sentimenti», dice Ambrogio (Omelia sul Salmo 118, 7, 25), il quale fa presente anche che tutti
amano il canto dei Salmi, uomini e donne, vecchi e bambini; atir.o verso di esso si impara senza fatica e
si conserva con diletto nella memoria quello che si è appreso. L'utilità del canto e della musica per
ottenere la diffusione di una qualunque dottrina era stata colta anche da Ario, che scrisse la Thalia (cf.
pp. 47-48), e fu confermata dagli inni di Ambrogio.
Un altro aspetto rilevante della cultura latina del quarto secolo è costitutito dal diffondersi delle
traduzioni dal greco: Rufino, Gerolamo, e altri, minori o anonimi, vi si dedicarono, e siffatta attività
prosegue anche nel quinto secolo. Il motivo ne fu che il greco era sempre meno conosciuto ed era
diventato lingua d'élite; l'esempio di Agostino, che certo non fu un illetterato, ma si tr ovò poco a suo
agio con il greco e lesse, quando poté, gli autori greci in traduzioni latine, è significativo. Questo
significa che fortemente sentita era, in ogni caso, l'esigenza di non perdere il contatto con la cultura
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orientale che, come sempre, appariva ai latini, anche di fede cristiana, fonte e guida del pensiero. Tutto
ciò fu possibile finché le condizioni politiche, sociali ed economiche dell'impero mantennero una certa
omogeneità, pur essendo le due parti di esso governate spesso da due imperator i diversi. Ma Costanzo
II, Giuliano e Teodosio, sia pure con differente fede religiosa, ebbero una visione unitaria dell'impero, e
Valentiniano I e Valente governarono in concordia, sì che la vita culturale dell'impero fu sostanzialmente
omogenea, pur avviandosi ad una divisione sempre più acutamente sentita tra Oriente e Occidente.
Siffatta omogeneità cominciò ad incrinarsi con i due figli e successori di Teodosio, Onorio in Occidente
e Arcadio in Oriente, tra i quali si verificarono anche forti motivi di attrito, puntualmente registrati dalla
poesia cortigiana dell'epoca (ad esempio, da Claudiano); dopo di loro la scissione tra le due parti
dell'impero fu un fatto oramai irreversibile, aggravato dalle invasioni barbariche nell'Occidente, che
sopraggiunsero a frantumare l'unità statale, mentre l'Oriente rimase relativamente tranquillo. Agostino fu
l'ultimo scrittore di quest'epoca - in Occidente - ad avere ancora un'idea globale del cristianesimo, per
cui i suoi rapporti culturali andarono dalla Spagna alla Palestina, e tra i suoi autori vi furono sempre,
nonostante la sua protesta di ignorare la lingua greca, scrittori greci. Dopo di lui il mondo latino (e non
solo quello cristiano) fu spezzato nei regni romano-barbarici e i legami con la cultura greca furono
sporadici e frammentari (ripresero, ad esempio, con il papa Leone Magno, nel quinto secolo, e poi
nell'Italia e nell'Africa del periodo bizantino); venne a mancare, inoltre, la convinzione, che fino ad
Agostino aveva dominato, della unità della cultura cristiana d'Oriente e d'Occidente.
C. Moreschini, in C. Moreschini - E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina,
2/1, Brescia, Morcelliana, 1996, pp. 337-40.
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L'eresia di Ario
Ario era un prete di Alessandria vissuto fra il 256 e il 336. Si era formato alla scuola teologica di
Antiochia ed era discepolo di Luciano di Samosata . I suoi scritti furono veramente pochi e meno
ancora quelli che ci restano oggi (due lettere, una ad Eusebio di Nicomedia, l’altra a Alessandro di
Alessandria e frammenti della Thalia, probabilmente un prosimetro).
Egli sosteneva che Cristo non poteva essere considerato eguale a Dio padre senza introdurre
nella religione cristiana elementi di politeismo. In particolare, secondo A. la divinità doveva essere
non soltanto increata ma anche ingenerata. Il figlio di Dio, il Logos, non poteva essere veramente
Dio; prima delle sue creature, come le altre fu creato dal nulla, non dalla sostanza divina; insomma
essenzialmente diverso dal Padre.
La Chiesa ufficiale, al contrario, credeva nella identità sostanziale tra Dio padre e Cristo (omousìa).
Ario venne sconfessato dal suo vescovo ed esiliato; il Concilio di Nicea, nel 325, condannò
definitivamente come eretiche le sue tesi.
La disputa, che si connotava per i suoi contenuti specificamente teologici più di altre eresie, ebbe
delle conseguenze notevoli nella storia della Chiesa perché le teorie di Ario contarono diverse
adesioni sia nella Chiesa Orientale, sia nelle popolazioni germaniche evangelizzate da vescovi
ariani, sia in alcuni imperatori d'Occidente, dando luogo a pericolose situazioni di contrasto tra
Chiesa e Stato, instabilità e disunione tra le comunità cristiane stesse.
Ario stesso fu richiamato dall'esilio da Costantino e fino al 359 l'arianesimo fu religione ufficiale
dell'impero. Alcuni scrittori cristiani si batterono con particolare forza in questo periodo contro
l'arianesimo, sia in Oriente, sia in Occidente; tra essi san Atanasio, vescovo di Alessandria,
Lucifero, vescovo di Cagliari, Eusebio, vescovo di Vercelli (vedi), Zeno(ne), vescovo di Verona
(vedi), e Mario Vittorino .
Altri autori che si impegnarono su tale fronte in Occidente furono Ossio di Cordova, Fortunaziano
(l'autore africano dei Tituli in Evangelia, ricordato da Gennadio in de vir.ill. 97), Febadio di
Agennum, attuale Agen (vedi), Gregorio di Elvira (vedi), Potamio di Lisbona.
Solo con Teodosio e il concilio di Costantinopoli del 381 si ristabilì l'ortodossia nicena.
Mentre la prima fase di diffusione dell'eresia fu soprattutto di carattere politico visto il
coinvolgimento diretto di imperatori, dopo il 380 il moltiplicarsi delle invasioni di barbari
evangelizzati da ariani diede luogo a una più intensa diffusione e a una relativa produzione di scritti
teologici.
Personaggio di spicco fu sicuramente Wulfila, il vescovo che tradusse la Bibbia in gotico e che
convertì appunto all'arianesimo i Goti.
Testi e testimonianze
August, de haeres., 49 e 51
XLIX. ARIANI ab Ario, in eo sunt notissimi errore, quo Patrem et Filium et Spiritum sanctum nolunt esse
unius ejusdemque naturae atque substantiae, aut, ut expressius dicatur, essentiae, quae oujsiva graece
appellatur: sed esse Filium creaturam; Spiritum vero sanctum creaturam creaturae, hoc est, ab ipso Filio
creatum volunt. In eo autem quod Christum sine anima solam carnem suscepisse arbitrantur, minus noti
sunt: nec adversus eos ab aliquo inveni de hac re aliquando fuisse certatum. Sed hoc verum esse, et
Epiphanius non tacuit, et ego ex eorum quibusdam scriptis et collocutionibus certissime comperi. Rebaptizari
quoque ab his Catholicos novimus; utrum et non catholicos, nescio.
LI. SEMIARIANOS Epiphanius dicit, qui similis essentiae (ojmoiouvsion) dicunt Filium [4 [0039] Lov., dicunt
Patrem et Filium.] , tanquam non plenos Arianos: quasi Ariani nec similem velint; cum hoc Eunomiani dicere
celebrentur.
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49. Gli ARIANI, i quali hanno avuto origine da Ario, sono assai conosciuti perché irretiti in quel particolare
errore, in base al quale non vogliono ammettere che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e
identica natura e sostanza o, per esprimersi piú precisamente, essenza, termine che in greco si dice ousía;
ma [dicono che] il Figlio è una creatura, e lo Spirito Santo è creatura di una creatura, cioè pretendono che
Egli sia stato creato personalmente dal Figlio. Codesti eretici, però, sono meno conosciuti per l'altro loro
errore, secondo il quale affermano che Cristo ha assunto soltanto la carne senza l'anima (53). E su questo
punto non ho trovato che mai da alcuno si sia combattuto contro di loro (54). Tuttavia, anche Epifanio non ha
passato sotto silenzio la verità di questa mia affermazione, e pure io, con assoluta certezza, ne sono venuto
a conoscenza da alcuni loro scritti e dalle mie dispute. Siamo anche a conoscenza che da costoro si
ribattezzano i Cattolici, non so se anche i non Cattolici (55).
51. I SEMIARIANI, come li chiama Epifanio, sono coloro che asseriscono sul Figlio di essere di un'essenza
simile [a quella del Padre], poiché questo autore non li ritiene del tutto Ariani: dal momento che gli Ariani non
vorrebbero neppure dirlo simile, cosa che, invece, continuamente ripetono gli Eunominiani (57).
(53) Questa dottrina non è contenuta nei frammenti delle opere di Ario pervenutici. Altre fonti la riportano: Atanasio
(Contra Apollin. 2, 3: PG 26,1136) e Teodoreto (Haeret. fabul. 5, 11: PG 83, 448-453).
(54) Lo avevano fatto invece Atanasio (Contra Apollin. l, 15, 2. 3: PG 26, 1120s., 1136 s.) e Teodoreto (Haeret. fabul. 4,
1: PG 83, 414).
(55) All'eresia ariana Agostino non dedica molto spazio in questa sua opera. Il movimento divenne preoccupante per la
Chiesa africana soltanto negli anni successivi alla morte di Agostino. Ario nacque nella seconda metà del III secolo in
Libia. Frequentò le scuole di Antiochia. Nel 306 si schierò con Meleto contro Pietro, vescovo di Alessandria. Si riconciliò
poi con questi che, nel 308 circa, lo ordinò diacono. Nel 313 venne ordinato sacerdote. Nel 318 iniziarono le dispute tra
Ario e Alessandro, nuovo vescovo di Alessandria, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio. Poiché i tentativi di
correggere Ario andarono a vuoto, Alessandro e un sinodo di vescovi egiziani lo scomunicarono. Tuttavia molti vescovi
dell'Asia Minore e di Antiochia presero le sue parti. A Nicea, nel 325, le sue dottrine vennero ufficialmente condannate.
Ottenne però poi il favore di Costanzo II e Valente. Mori nel 336, quando, su richiesta imperiale, stava per essere
riaccolto nella Chiesa. Questi i capisaldi della dottrina ariana: il Padre è la causa increata di tutto, il Figlio non è coeterno
al Padre. Da quando il Figlio prese ad esistere nel tempo, la sua sostanza cessò di essere simile a quella del Padre e
venne creata da questi dal nulla: è dunque una creatura e non Dio. Il Figlio, Logos, è stato creato affinché fosse possibile
creare il mondo: il Padre, infatti, non può creare senza intermediari; al momento della sua creazione il Logos è stato
creato come Dio immutabile, ma solo per volontà del Padre che lo ha concesso. Il Padre ha creato soltanto il Figlio, che
ha creato a sua volta tutto il resto, anche lo Spirito, terza persona della Trinità. Cf. ATANASIO, Ep. ad Serap. 1, 2: PG
26, 532 s.); EPIF., Panar. 69 (GCS 37, 152-299); Anaceph. (PG 42, 869B).
(57) Dopo il Concilio di Nicea si creò un movimento, non unitario, contrario alle decisioni del Concilio e che raccoglieva i
nemici di Atanasio. Tre i gruppi principali. Gli Ariani in senso stretto, guidati da Aezio, Eunomius e Eudoxius (Cf. 54). Vi
era poi un'ala, guidata da Acacius di Cesarea, che mirava a tenere insieme gli Antiniceni e a precisarne le dottrine. Vi
erano infine i Semiariani. Esprimevano la relazione tra Padre e Figlio in termini di «somiglianza» e non di
«consustanzialità». A partire dal 360 è attestata anche una corrente interna che nega la divinità dello Spirito Santo: il
nome di semiariani divenne corrente per designare quanti hanno dottrine prevalentemente corrette sul Figlio, ma si
distaccano dalla Chiesa per quanto riguarda lo Spirito Santo. Cf. EPIF., Panar. 73 (GCS 37, 267-313); Anaceph. (PG 42,
871A).
Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003.
Letture critiche - S. Pricoco, Il Concilio di Nicea e l'arianesimo.
Il primo concilio ecumenico nella storia della chiesa si svolse tra il maggio e il luglio del 325. Vi presero parte
circa 300 vescovi, venuti in maggioranza dalle chiese d'Asia e d'Egitto; pochi furono i vescovi dell'Occidente
latino, capeggiati dall'autorevole Ossío di Cordova, consulente religioso dell'imperatore; papa Silvestro si
limitò a inviare due chierici romani con poteri plenipotenziari; i seguaci di Ario vi costituirono una minoranza
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intimidita. C'era anche un giovane diacono della chiesa di Alessandria, Atanasio, venuto a coadiuvare il suo
vescovo e presto distintosi tra le grandi personalità del concilio. Di questo Costantino assunse la presidenza
e aprì i lavori con un discorso in latino. Il suo comportamento - oggetto di infinite discussioni tra gli storici obbediva a uno scopo politico, quello di realizzare una base di accordo la più ampia possibile, in modo da
por fine alla contesa e ristabilire la pace religiosa; perciò egli accolse, non sappiamo quanto profondamente
consapevole dei suoi contenuti teologici, il principio di una professione di fede che obbligasse tutti i cristiani.
Questa venne adottata dal concilio il 19 giugno e - modificata in taluni punti dal concilio di Costantinopoli del
381 - divenne il fondamento dogmatico dell'ortodossia cristiana, il Credo recitato dai cattolici da ormai sedici
secoli". Non subito, tuttavia. Per lungo tempo il Niceno non fu considerato, come appare oggi a chi si volga a
guardare i secoli della storia cristiana, il cardine di un'epocale svolta politico-ecclesiastica, e soltanto i concili
successivi, di Costantinopoli, di Efeso e di Calcedonia, ne confermarono l'autorità e ne indicarono il ruolo
fondante.
La confessione nicena provvedeva in primo luogo a definire il Verbo, Gesù Cristo, figlio di Dio e Dio come il
Padre, da Lui generato ma non fatto, consustanziale con Lui (homooìíszós to patrì), e nominava fuggevolmente - lo Spirito Santo; in secondo luogo rifiutava le dottrine di Ario, anatematizzate esplicitamente
come le teorie che ritengono il Figlio di sostanza diversa, creato e mutevole, e dicono di Lui: «c'era un tempo
nel quale Egli non era». La condanna di Ario fu riconfermata, e furono scomunicati i vescovi che non
accettarono il credo niceno; da parte sua l'imperatore esiliò Ario e gli ariani intransigenti. L'incendio
sembrava domato.
Sembrava, ma non era. In effetti, né la formula della consustanzialità era stata concepita e redatta con la
flessibilità necessaria per lasciare spazi di conciliazione con le opposte dottrine, né
le divisioni e i contrasti tra le chiese e i loro capi erano stati realmente appianati e conclusi. I teologi orientali
avvertivano nel termine ousìa (al pari che nel corrispettivo latino substantaà) echi di concezioni
materialistiche e residui stoici; ariani autorevoli come Eusebio di Nicomedia avevano accettato ufficialmente
le decisioni conciliari, ma ben presto presero a manifestare dissensi; lo stesso Costantino venne
avvicinandosi progressivamente alle idee ariane e sconfessando i difensori della confessione nicena, che
egli lasciò deporre uno dopo l'altro (tra gli altri, nel 330 Eustazio di Antiochia, nel 335 Marcello di Ancira e
Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria nel 328), mentre gli ariani e lo stesso Ario venivano richiamati
dall'esilio e riabilitati.
Dopo la morte di Costantino, la situazione si complicò e aggravò. I rapporti difficili e talvolta apertamente
ostili dei tre giovani successori - Costantino II, per pochi anni, sino al 340, Costante, che sarà ucciso nel 350,
e Costanzo - si rifletterono anche nelle divisioni religiose. Accadde regolarmente che le decisioni prese
dall'episcopato di una delle due parti restassero inoperanti nell'altra. L'Occidente, con l'Egitto, rimase
pressoché compattamente niceno sotto Costante, fautore della confessione nicena; l'Oriente, sotto
Costanzo, filoariano, rifiutò la formula dell'homooùsaós, sentita come una soluzione sabelliana, ma si divise,
sempre più problematico e lacerato dal pullulare delle sette. In opposizione alla definizione di Nícea furono
proposte formule diverse, moderatamente ariane alcune, radicalmente altre; si susseguirono con frequenza,
in Oriente come in Occidente, sinodi grandi e piccoli, in Egitto, a Roma, ad Antiochia, a Milano, a Sirmio.
Effetti importanti ebbero le decisioni prese nel 357 nel piccolo concilio di Sirmio, nel quale tre vescovi illirici,
Valente, Ursacio e Germinio, consiglieri e fidati rappresentanti di Costanzo, imposero orientamenti graditi
all'imperatore. Vi furono proscritti il termine ousìa e i suoi composti, homooùsios e homoioùsios, non
legittimati dall'uso scritturistico e perciò causa di errori; fu rimarcata, pur senza affermarla chiaramente,
l'inferiorità del Figlio rispetto al Padre accentuando in senso subordinazionista ogni elemento di distinzione.
È questa la prima volta che si trova attestato il vocabolo homoioùsios («di natura simile»), che venne
assunto come termine distintivo di un gruppo di vescovi dell'Asia Minore e diede il nome alla corrente degli
omeousiani, diversi e contrapposti ai niceni, omousiani, sostenitori dell'homooùsios (tanto conflitto - sarebbe
stato detto - per uno iota! ). La formula sirmiese (blasphemià Sirmiensis, come fu poi definita) suscitò
reazioni ostili in Occidente, ma gli oppositori furono piegati. Cedettero, per stanchezza e sfiducia, anche
antichi e strenui fautori dello schieramento niceno, come il papa Liberio, che, fiaccato dall'esilio in Tracia,
sottoscrisse la condanna di Atanasio, da lui altre volte coraggiosamente difeso, e il quasi centenario Ossio di
Cordova (tra i protagonisti di Nicea e antico consigliere religioso di Costantino), anch'egli portato a Sirmio in
esilio e piegato ad accettare le decisioni del concilio. Due anni dopo, nel maggio 359, un nuovo concilio di
Sirmio (il quarto!) si risolveva con una formula di compromesso, che sbiadiva sia la formula sirmíese del 357
sia quella recisamente antiariana definita in un concilio ancirano del 358. Il compromesso venne raggiunto
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«piuttosto omettendo che non enunciando» (Simonetti): fu riconfermato il divieto del termine ousìa, ma non
quello dei suoi composti, il Figlio fu riaffermato «simile» al Padre, «in tutto, secondo le Scritture», ma con
l'impiego di un nuovo termine, hòmoios, che escludeva ogni riferimento alla «sostanza», ousìa. Da questo
termine, hòmoios, distintivo rispetto all'altro in uso, homoioùsios, trasse il nome il partito degli omei o
omeísti, capeggiato da Acacio, il successore di Eusebio sul seggio di Cesarea. Nei concili che si
susseguirono a breve distanza, a Seleucia e a Rimini, nel 359, a Costantinopoli nel 360, le discussioni
continuarono aspre e le contrapposizioni non furono sanate. Alla fine Costanzo si schierò per la soluzione
acaciana (il Figlio hòmoios rispetto al Padre) e ne impose la solenne proclamazione al concilio di
Costantinopoli del 360, procedendo a numerose deposizioni e proscrizioni dei vescovi riluttanti o ostili. Le
sedi ecclesiastiche più importanti, come Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Cesarea di Palestina, Sirmio
nei Balcani, e nell'Italia Milano, ebbero vescovi filoariani. La confessione nicena restava largamente
perdente. Ma la crisi continuò ancora, dopo la morte di Costanzo, nel 361, sotto Giuliano, Valentiniano e
Valente. I suoi intricati sviluppi possono forse essere rappresentati dall'agitata carriera di Atanasio, cinque
volte esiliato e cinque volte restituito al seggio episcopale, da Costantino a Valente. Le chiese occidentali si
scontrarono più volte, prima sotto Costanzo, poi sotto Valente, con la politica filoariana degli imperatori e
videro i loro vescovi o piegati dalla volontà imperiale o esiliati. Emerse allora l'opposizione di alcuni vescovi e
intellettuali di grande personalità come Ilario di Poitiers, Lucifero di Cagliari, Dionigi di Milano, del papa
Liberio e, da ultimo, del grande Ambrogio di Milano: si deve alla loro opera se l'Occidente si mantenne in
gran parte fedele al credo niceno.
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Note Generali: Estr. da: Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo. 7, Le chiese nei
regni dell'Europa occidentale e i loro rapporti con Roma sino all'800: Spoleto, 7-13
Brennecke, Hanns Christof, Studien zur Geschichte der Homoer: der Osten bis zum Ende der homoischen
Reichskirche / von Hanns Christof Brennecke, Tubingen: Mohr, c1988, Beitrage zur historischen Theologie
Ferrua, Antonio, La polemica antiariana nei monumenti paleocristiani / Antonio Ferrua, Citta del Vaticano:
Pontificio istituto di archeologia cristiana, 1991, Studi di antichita cristiana
Allegris, Caterina, L' arianesimo e il Concilio di Nicea: tesi per il diploma in scienze religiose / dissertazione
storico-religiosa di Allegris Caterina ; relatore: Bernardino Ferrari, Milano: [a cura dell'A.], 1974
Note Generali: Dattiloscritto.
In testa al front.: Istituto superiore di Scienze religiose
Tilloy, Pierre, Sant'Ilario: Un vescovo per il nostro tempo / Traduzione di Orsola Nemi, Roma: G. Volpe,
1971, Domini canes
Potamio di Lisbona ICCU
Yarza Urkiola, Valeriano, Potamio de Lisboa : estudio, edicion critica y traduccion de sus obras / Valeriano
Yarza Urkiola , Vitoria : Servicio editorial Universidad del Pais Vasco, 1999
Fa parte di: Veleia : revista de prehistoria, historia antigua, arqueologia y filologia clasicas. Anejos. Serie
Minor
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9
Conti, Marco, The life and works of Potamius of Lisbon : a biographical and literary study with English
translation and a complete commentary on the extant works of Potamius ... / Marco Conti , Steenbrugis : in
Abatia S. Petri, 1998, Instrumenta Patristica
===============
Arianesimo - Encarta
Arianesimo Eresia cristiana del IV secolo che prende il nome da Ario, il sacerdote alessandrino che negò la
natura divina di Gesù Cristo entrando in conflitto con il suo vescovo nel 319 e subendo la condanna all'esilio
nel 325. Ario insegnava che, essendo Dio ingenerato e senza principio, il Figlio, seconda persona della
Trinità, in quanto generato non può essere considerato Dio come il Padre e non esiste dall'eternità, ma è
stato creato, come tutti gli altri esseri, per volontà del Padre, cosicché fra Padre e Figlio non sussisterebbe
un legame di natura ma di adozione.
Queste dottrine furono condannate nel 325 dal concilio ecumenico di Nicea: i 318 vescovi che vi
parteciparono elaborarono un simbolo di fede, tuttora utilizzato dai cristiani, per proclamare il Cristo come
Figlio di Dio "generato e non creato, della stessa sostanza del Padre". La condanna solenne non riuscì
comunque a fermare la diffusione dell'arianesimo e la sua strumentalizzazione in chiave politica: fu
l'imperatore Costantino a richiamare Ario dall'esilio nel 334 e, per influenza di personaggi di spicco quali il
patriarca di Costantinopoli Eusebio di Nicomedia e lo stesso imperatore Costanzo II, la fede ariana acquisì
per alcuni anni, fino al 359, la dignità di religione ufficiale dell'impero. Nacquero poi all'interno del movimento
alcune divisioni fra i cosiddetti "semiariani" che, pur accettando i principi del simbolo niceno, avanzavano
perplessità circa l'identità di sostanza fra il Padre e il Figlio, e la corrente più intransigente che non esitava a
proclamare la natura totalmente diversa del Figlio rispetto al Padre, mentre un terzo gruppo considerava
anche lo Spirito Santo come realtà creata al pari del Figlio. Con l'ascesa al trono di Valente dopo la morte di
Costanzo II nel 361, si ebbero i primi segnali di un ritorno all'ortodossia nicena, dichiarata fede unica e
ufficiale dall'imperatore Teodosio nel 379, e ribadita come tale dal concilio di Costantinopoli del 381.
L'arianesimo sopravvisse comunque per altri due secoli fra i popoli germanici che erano stati convertiti al
cristianesimo da missionari ariani.
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Arianesimo. (inizio)
Eresia condannata nel Concilio di Nicea I (325). Il suo fautore fu un prete di Alessandria, Ario
(circa 250 - 336), il quale sosteneva che il Figlio di Dio non era sempre esistito e perciò non era di
natura divina, ma soltanto la prima creatura (cf DS 125-126, 130; FCC 0.503-0.504). Dopo aver
turbato seriamente la pace della Chiesa fino al 381, l'Arianesimo sopravvisse in forma mitigata per
parecchi secoli fra le tribù germaniche. Cf Anomèi; Concilio di Nicea I; Filioque; Omèi; Omooùsios;
Semi-Arianesimo; Subordinazionismo.
Semi‑ arianesimo. (inizio)
Si chiama così la teoria di Basilio di Ancira (= Ankara) e di altri dopo il Concilio di Nicea I (325). I
semi‑ ariani non seguirono la visuale ariana secondo cui Cristo sarebbe solo la prima tra le
creature, ma non accettarono nemmeno la dottrina ortodossa del Figlio omooùsios (= della stessa
sostanza) del Padre. Essi chiamarono il Figlio omoioùsios (Gr. « di una sostanza simile ») al
Padre. Sebbene il loro termine fosse eretico, la differenza di una sola « i » creò una piattaforma di
dialogo che portò molti semi‑ ariani alla piena ortodossia. Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I;
Omooùsios.
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Wulfila
Cenni biografici
Di famiglia cristiana cappadoce, fu rapito dai Goti nel corso di una razzia. Eletto vescovo a
trent’anni nel 341, iniziò la cristianizzazione dei Goti, sostenuto soprattutto dai soldati goti stanziati
in Illiria. Intervenne al concilio di Costantinopoli del 360, dove aderì alla formula ariana imposta da
Costanzo. Morì nel 383.
Rappresenta, assieme a figure come quelle di Palladio di Ratiaria, Aussenzio di Dorostorium o
Durostorum (autore dell’Epistola c.sotto) e Massimino, una rinascita ariana alla fine del IV secolo
anche dopo le condanne dei concili di Costantinopoli (data) e di Aquileia (data).
Su di lui Aussenzio di Durostorum. (vedi)
Opere
Traduzione della Bibbia (dal greco?) in gotico, con caratteri greci.
Nulla in latino, lingua conosciuta da U., ci è giunto.
Una professione di fede che avrebbe pronunciato in punto di morte ci è stata trasmessa dalla così
detta Epistola de fide, vita et obitu Ulfilae attribuita a Aussenzio di D., suo discepolo.
Bibliografia
Edizioni
PL Migne, 1848.
Ripresa da CCh, Turnholt, Brepols, 1966 e 1982
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 88-90
(M. Simonetti).
Niente per Ulfila soggetto
ICCU per titolo Ulfilas(?)
D.N. Jesu Christi Ss. Evangelia ab Ulfila Gothorum in Moesia episcopo circa annum a nato Christo 360. Ex
Graeco Gothice translata, nunc cum parallelis versionibus, Sveo-Gothica, Norraena, seu Islandica, & vulgata
Latina edita, Stockholmiae : typis Nicolai Wankif regij typogr., 1671
Thompson, Edward Arthur, The Visighots in the time of Ulfila, Oxford : Clarendon Press, 1966
ICCU per Autore Ulfilas
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Bibbia.
Ulfilas: Veteris et Novi Testamenti versionis Gothicae fragmenta quae supersunt ad fidem codd. castigata
latinitate donata adnotatione critica instructa cum glossario et grammatica linguae Gothicae / coniunctis curis
ediderunt H.C. de Gabelentz et J. Loebe , Lipsiae: F.A. Brockhaus
Comprende: 2.1: Glossarium der gothischen Sprache / vonH.C. v. d.Gabelentz et J. Loebe
2.2: Grammatik der gothischen Sprache / vonH. C. v.d. Gabelentz et J. Loebe
1 / von H. C. v.d. Gabelentz et J. Loebe
Nomi: Ulfilas
Gabelentz, Hans Conon: von der<1807-1874>
Loebe, Julius<1805-1900>
Ulfilas
18: Ulfilae, Gothorum episcopi, opera omnia, sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta
quae supersunt...: accesserunt grammatica et glossarium linguae gothicae ... interprete F. Tempestini:
praecedunt Martini Turon, Tichonii, Hilari diaconi, Novati catholici, anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi
grammatici, Mamertini, Publii Victoris scripta universa et ad s. Ambrosii opera supplementum ...: tomus
unicus / accurante J.-P. Migne , Parisiis: venit apud editorem, 1848
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Ulfilas
18: Ulfilae gothorum episcopi opera omnia sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta
quae supersunt ... accesserunt Grammatica et Glossarium linguae Gothicae ... praecedunt S. Martini
Turonensis, Tichonii, Novati Catholici, Anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi Grammatici, Mamertini, Publii
Victoris, Scripta Universa...
Turnholti: Brepols, \1966!
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis: Migne, 1848
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Ulfilas
18: Ulfilae, Gothorum episcopi, opera omnia, sive Veteris et Novi Testamenti versionis gothicae fragmenta
quae supersunt...: accesserunt grammatica etglossarium linguae gothicae ... interprete F. Tempestini:
praecedunt S. MartiniTuronensis, Tichonii, Novati catholici, anonymi, Aurelii Symmachi,Maximi grammatici,
Mamertini, Publii Victoris scripta universa ...: tomus unicus
Parisiis: venit apud editorem, 1848
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Bibbia. Nuovo Testamento
D.N. Jesu Christi Ss. Evangelia ab Ulfila Gothorum in Moesia episcopo circa annum a nato Christo 360. Ex
Graeco Gothice translata, nunc cum parallelis versionibus, Sveo-Gothica, Norraena, seu Islandica, & vulgata
Latina edita , Stockholmiae: typis Nicolai Wankif regij typogr., 1671
Bibbia.
Friedrich Ludwig Stamms Ulfilas, oder Die uns erhaltenen Denkmaler der gothischen Sprache: Text,
Grammatik und Worterbuch / neu herausgegeben von Moritz Heyne
Edizione: 7. Aufl
Paderborn: Ferdinand Schoningh, 1878, Bibliothek der altesten deutschenLitteratur-Denkmaler; 1
Ulfilas
18: Ulfilae gothorum episcopi opera omnia sive Veteris et Novi Testamentiversionis gothicae fragmenta quae
supersunt ... accesserunt Grammatica etGlossarium linguae Gothicae ... praecedunt S. Martini Turonensis,
Tichonii,Novati Catholici, Anonymi, Aurelii Symmachi, Maximi Grammatici, Mamertini,Publii Victoris, Scripta
Universa...
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig
Turnholti: Brepols, 1982, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum,
doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 18
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis: Migne, 1848
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Bettini, 3, 890
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Filoramo-Menozzi, Storia del Cristianesimo, pp. 394-95
All'arianesimo si erano convertiti i Goti per l'azione di Ulfila, un cappadoce di famiglia cristiana, che era
stato rapito, ancora bambino, in una razzia e portato insieme con i genitori oltre il Danubio. Mantenutosi
cristiano, Ulfila fu ordinato vescovo a Costantinopoli nel 341, poi, intervenuto al concilio di Costantinopoli
del 360, aderì alla formula ariana imposta dall'imperatore Costanzo e detta degli omei. Egli trascrisse la
Bibbia nella lingua dei Goti, con caratteri greci e senza la minima traccia dei segni sacri runici, né il suo
arianesimo greco sembra avere fatto concessione alcuna al paganesimo gotico. Ma l'indipen denza e la
cultura di Ulfila e dei suoi discepoli, capaci di rivaleggiare con il clero ortodosso romano e di costruire
l'immagine di una chiesa nazionale, riuscirono ad attrarre i Goti e i loro capi al cristianesimo. La scelta
ariana ebbe portata storica e al ruolo di Ulfila nella «arianizzazione» dei Goti si viene oggi riconoscendo
importanza sempre maggiore, fino a ritenere che proprio per l'opera di Ulfila l'arianesimo riuscì a
sopravvivere alle condanne sanzionate nei concili di Costantinopoli e di Aquileia. Le analisi più rigorose
hanno anche precisato che la dottrina di Ulfila (sulla quale siamo informati dalla cosiddetta Epistula de
vita, fide et obitu Ulfilae, comunemente attribuita al suo discepolo Aussenzio di Durostorum) solo per una
sua voluta prudenza è potuta apparire espressione di un arianesimo moderato, con apporti personali di
reale originalità. Ulfila, invece, non era «né ariano moderato, né un ariano sui generis, bensì ariano
radicale, fedelmente aderente alla dottrina di Eunomio» (Simonetti). Anche per questo radicalismo
dell'arianesimo germanico sembrano da rigettare le tesi di coloro che hanno minimizzato i contrasti tra gli
invasori e le popolazioni invase e l'incidenza su quei contrasti della diversità religiosa.
Massimino
Cenni biografici
Nato a Roma tra il 360 e il 365. Vescovo ariano dell'Illiria.
Operò tra Dalmazia e Africa, qui al seguito di truppe che dovevano domare l'insurrezione di
Bonifacio.
Nel 428 Massimino dibattè con Agostino; possediamo il resoconto. nella cosiddetta Collatio
Augustini cum Maximino.(=PL Migne 42, 709) e altri scritti di Agostino.
Opere
Dissertatio Maximini contra Ambrosium, databile al 383, ma pubblicata nel 395. Commento
polemico agli atti del Concilio di Aquileia del 381.
Alcune omelie.
Bibliografia
Edizioni
PL 42
PL Migne Supplementum 1,693.
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13
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 90-93
(M. Simonetti).
ICCU
per Autore e soggetto Maximinus niente
Niente per Massimino
Niente per Dissertatio Maximini
Bettini, 3, 890. Moreschini-Norelli, 2/1, p. 405.
Aussenzio di Silistria
Cenni biografici
E' l'avversario di Ambrogio a Milano.
Contro di lui si pronuncia, intorno al 365, anche Ilario di Poitiers.
Opere
Epistula de fide, vita et obitu Wulfilae. Controllare per attribuzione a Aussenzio di D.
Testi e testimonianze
Bibliografia
ICCU per Autore niente per Assenzio
ICCU per Soggetto niente
ICCU per Titolo Epistola de fide etc. niente
Ilario di Poitiers, CONTRO AUSSENZIO
introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo
IL VOLUME - Composto tra il 364 e il 365 d.C. negli anni infuocati della controversia ariana, nel Contro
Aussenzio Ilario di Poitiers si rivolge ai vescovi cattolici e ai loro fedeli per informarli sull’esito del suo
tentativo di allontanare da Milano il vescovo ariano Aussenzio e denunciare la sua dottrina.
Di fronte alla situazione attuale di una Chiesa divisa e subordinata all’Impero, l’Autore guarda alla comunità
delle origini, indipendente dal potere temporale, punto di riferimento e modello per la Chiesa di ogni tempo.
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Quindi, accusa Aussenzio di essersi fatto seguace di Ario: ne è prova una sua dichiarazione secondo la
quale "il Figlio è simile al Padre". Con logica rigorosa Ilario smaschera l’eresia del vescovo milanese.
Un documento significativo per una piena comprensione storica e dottrinale della controversia ariana.
Bettini 3, 890
Fortunaziano di Aquileia
Cenni biografici
Fu vescovo di Aquileia sotto l'imperatore Costanzo e fu tra gli Ariani fino al Concilio di Sardica
(342-43).
Opere
Compose un commento ai Vangeli. Ne restano frammenti
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill., 97
[0697B] Fortunatianus, natione Afer, Aquileiensis episcopus, [j [0698D] Fabricius, imperante Constantino,
pro quo ipse rescribi Constantio vellet. Sic vero habent codices nostri omnes, et Martianaeus ipse.]
imperante Constantio, in Evangelia, [k [0698D] Id est capitulis sive sectionibus.] titulis ordinatis, [l [0698D]
Praeferenda videatur codicum nostrorum lectio, breves rustico sermone, idque fortasse sibi voluit Lipsius, qui
interpretatur breves sermone. Rusticum sermonem intellige vernaculum, sive quem militarem, vulgaremque
sub initium libri II, contra Rufinum vocat. Vid. Praefat. in Matthaeum.] brevi et rustico sermone scripsit
commentarios: et in hoc habetur detestabilis, quod Liberium, Romanae urbis episcopum, pro fide ad exsilium
[0697C] pergentem, primus sollicitavit ac fregit, et [m [0698D] Gemblacens. ms. male, et ad suae scriptionem
haereseos, etc. Haeresim vocat Sirmiensem formulam [0699C] fidei, cui Liberius subscripsit, et quam notat
Hilarius in Fragmentis, Perfidiam apud Sirmium conscriptam, quam dicit Liberius Catholicam, a Demophilo
sibi expositam. Nihilosecius catholicum sensum revera pati potuisse, ex ipso Hilario manifestum est.] ad
subscriptionem haereseos compulit.
Fortunaziano, di origine africana, vescovo di Aquileia, sotto l’imperatore Costanzo, scrisse dei Commenti ai
Vangeli, seguendo l’ordine dei vari episodi, con uno stile rude e conciso. Gli si rimprovera il fatto che lui, per
primo, sollecitò e riuscì a piegare Liberio, vescovo di Roma, esule per la fede, così da indurlo a sottoscrivere
l’eresia.
Trad. E. Camisani.
Bibliografia
Edizioni
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Commenti ai Vangeli, a cura di Giulio Trettel, trad. G. Cuscito, Roma, Citta Nuova; Gorizia: Societa
per la conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1 Testo
originale a fronte
Bettini, 3,884
Fortunatianus<vescovo Di Aquileia>, Commenti ai Vangeli / Fortunaziano, vescovo di Aquileia; a cura di
Giulio Trettel . Sermoni / Cromazio, vescovo di Aquileia; introduzione a cura di Joseph Lemarie e Giulio
Trettel; traduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta Nuova; Gorizia: Societa per la
conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1
Testo originale a fronte
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
RICONTROLLO ICCU ! Solo questo
Zeno(ne) di Verona
Cenni biografici
Di origine africana, fu vescovo di Verona tra il 362 e 370 o 371 e 380.
Opere
Sermones, noti anche come Tractatus, in due libri. Osservazioni e polemiche in senso antiariano,
antigiudaico e antipagano. Stretta osservanza nicena.
I sermones, omelie, erano definiti anche tractatus. I due libri ne trasmettono 93 di verosimilmente
autentici. Il primo libro raccoglie le omelie su questioni morali, il secondo omelie di argomento
scritturistico e liturgico.
Da Tertulliano e Cipriano Zenone assume la struttura diatribico-morale di un'omelia retoricamente
costruita. Lo stile tradisce peraltro la conoscenza e l'imitazione di Apuleio.
Testi e testimonianze
Coronato scrive una biografia di Zenone nell'VIII secolo.
Bibliografia
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ed. B. Lofstedt, Turnholt, Brepols, CchrLat 22, 1971
tr.it. I discorsi, tr. e note G. Banterle, Roma, Citta' Nuova, 1987.
Strumenti
Lofstedt, B., A Concordance to the sermons of Bishop Zeno of Verona, David W. Packard, New
York: published by the American Philological Association, 1975, Philological monographs of the
American philological Association
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 117-20
(M. Simonetti).
ICCU per Autore
Zeno <santo>, I discorsi / san Zenone di Verona; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle,
Milano: Biblioteca ambrosiana, 1987, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le
opere disant'Ambrogio
Zeno<santo>, Zenonis Veronensis tractatus / edidit B. Lofstedt, Turnholti: Brepols, 1971, Corpus
Christianorum. Series Latina; 22
Nascita e divinita del Signore / S. Zeno vescovo . Ritmo abecedario natalizio / Anonimo veronese di eta
carolingia, [S.l.: s.n.], 1978 (Verona: Fiorini), Parole per Natale
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Parole per Natale / Nascita e divinita del Signore, [di] s. Zeno vescovo; Ritmo abecedario natalizio, [di]
Anonimo veronese di eta carolingia, [Verona]: Cassa di risparmio di Verona Vicenza e Belluno, 1978
Note Generali: Trad. italiana a fronte
Ed. f. c. .
Zeno <santo>, Alteri sermones / San Zeno; a cura di Guglielmo Ederle. [testo latino con traduzione italiana a
fronte!, Verona: Ed. di Vita Veronese, 1956 (Tip. Ghidini e Fiorini), Lo scrigno; 12
Zeno<santo>, La vita di coronato (scrino coronati notarii) e il ritmo dei miracoli (rhytmus de S. Zenone):
[testo latino, traduzione italiana e note a cura di Mario Carrara], Verona: F. Riva, 1956, Bibliotheca
veronensis
Zeno <santo>, Sermones: De fide; De spe, fide et caritate; De pudicitia; De continentia / Introduzione,
versione [dal latino] e note a cura di Guglielmo Ederle, Verona: Ed. Di vita Veronese, 1955, Tip. Ghidini e
Fiorini, Lo scrigno
Lofstedt, Bengt, A Concordance to the sermons of Bishop Zeno of Verona / Bengt M. Lofsted, David W.
Packard, [New York]: published by the American Philological Association, 1975, Philological monographs of
the Americanphilological Association
Zeno <santo>, S. Zenonis Sermonum liber 4. / introduzione e note a cura di Guglielmo Ederle, Verona: Ediz.
"Vita veronese", 1960, Lo scrigno
Zeno <santo>, I Discorsi / San Zenone di Verona; introduzione, traduzione,note e indici di Gabriele Banterle;
<recensuit Bengt Lofstedt>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1987
Zeno <santo>, Sermonum liber 3. / Sancti Zenonis, Verona: Ediz. "Vita Veronese", 1958, Lo scrigno
Note Generali: Premesse di G. Ederle .
Zeno<santo>, Tractatus / Edidit B. Lofstedt, Turnholti: Brepols, 1971, Corpus Christianorum. Series Latina
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17
Zeno <santo>, S. Zenonis episcopi veronensis sermones / post Sparaverium et Ballerinios Maffeji Vallarsii a
Prato Perazzinii ... textum recensuit commentario notisque illustravit Jo. Bapt. Carolus Co. Giuliari
Edizione: 2 ed, Veronae: sumptibus Felicis Cinquetti, 1900
Zeno <santo>, S. Zenonis episcopi veronensis Sermones: post Sparaverium et Ballerinos Maffeji Vallarsii a
Prato Perazzinii Dionysii aliorumque praesertim veronensium in S. Zenonem studia collegit auxilio codd. et
qui Ballerinos latuerant in primis pistoriensis quotquot modo extant vetustioris / textum recensuit
commentario notisque illustravit Jo. Bapt. Carolus Co. Giuliari, Veronae: e stereo-typ. episc. F. Colombari in
seminario, 1883
Bettini, 3, 884; Conte 539 (cenno). Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 368-69
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L'eresia manichea
Mani fu crocefisso in Persia ca. il 276.
I suoi seguaci credevano che male e bene fossero da sempre in lotta tra loro e che, dal momento
che Dio non poteva volere il male, essi avessero un'origine autonoma e indipendente: in tal modo
si andava prefigurando una doppia divinità e quindi si negava il principio dell'unità divina.
Integrare
Testi e testimonianze
August., de haeres., 46. I Manichei. [Migne]
XLVI. MANICHAEI a quodam Persa exstiterunt, qui vocabantur Manes: quamvis et ipsum, cum ejus insana
doctrina coepisset in Graecia praedicari, Manichaeum discipuli ejus appellare maluerunt, devitantes nomen
insaniae. Unde quidam eorum quasi doctiores, et eo ipso mendaciores, geminata N littera, Mannichaeum
vocant, quasi manna fundentem [3 [0034] Sic omnino ferunt Mss. At editi, coepisset nomen praedicari: nam
antehac Urbicus (imo, Cubricus, ex Epiphanio, haer. 66) vocabatur. Sed in Graecia discipuli ejus vitantes
nomen insaniae, quasi doctiores, et eo ipso mendaciores, geminata n littera, Mannichaeum, quasi manna
fundentem, pro Manichaeo, id est insano, appellaverunt. Iste duo principia, etc.] . Iste duo principia inter se
diversa et adversa, eademque aeterna et coaeterna, hoc est semper fuisse, composuit: duasque naturas
atque substantias, boni scilicet et mali, sequens alios antiquos haereticos, opinatus est. Quarum inter se
pugnam et commixtionem, et boni a malo purgationem, et boni quod purgari non poterit, cum malo in
aeternum damnationem, secundum sua dogmata asseverantes, multa fabulantur, quae cuncta intexere huic
[0035] operi nimis longum est. Ex his autem suis fabulis vanis atque impiis coguntur dicere, animas bonas,
quas censent ab animarum malarum naturae scilicet contrariae commixtione liberandas, ejus cujus Deus est
esse naturae. Proinde mundum a natura boni, hoc est, a natura Dei factum, confitentur quidem, sed de
commixtione boni et mali, quae facta est, quando inter se utraque natura pugnavit. Ipsam vero boni a malo
purgationem ac liberationem, non solum per totum mundum et de omnibus ejus elementis virtutes Dei [1
[0035] Editi, virtutem Dei. Melius Mss., virtutes Dei: quas nimirum infra Manichaei dicunt esse in sole et luna
tanquam in duabus navibus sanctas virtutes. Concerdat in Augiensi exemplari vetus ille de Haeresibus liber,
quem indito nomine Praedestinati publicavit Jacobus Sirmondus; qui tamen hoc loco virtutem Dei edidit.]
facere dicunt, verum etiam Electos suos per alimenta quae sumunt. Et eis quippe alimentis, sicut universo
mundo, Dei substantiam perhibent esse commixtam: quam purgari putant in Electis suis eo genere vitae,
quo vivunt Electi Manichaeorum, velut sanctius et excellentius Auditoribus suis. Nam his duabus
professionibus, hoc est Electorum et Auditorum, Ecclesiam suam constare voluerunt. In caeteris autem
hominibus, etiam in ipsis Auditoribus suis, hanc partem bonae divinaeque substantiae quae mixta et colligata
in escis et potibus detinetur, maximeque in eis qui generant filios, arctius et inquinatius colligari putant.
Quidquid vero undique purgatur luminis, per quasdam naves, quas esse lunam et solem volunt, regno Dei,
tanquam propriis sedibus reddi. Quas itidem naves de substantia Dei pura perhibent fabricatas. Lucemque
istam corpoream animantium mortalium oculis adjacentem, non solum in his navibus, ubi eam purissimam
credunt, verum etiam in aliis quibusque lucidis rebus, ubi secundum ipsos tenetur admixta, crediturque
purganda, Dei dicunt esse naturam. Quinque enim elementa quae genuerunt principes proprios, genti
tribuunt tenebrarum: eaque elementa his nominibus nuncupant, fumum, tenebras, ignem, aquam, ventum. In
fumo nata animalia bipedia, unde homines ducere originem censent; in tenebris, serpentia; in igne,
quadrupedia; in aquis, natatilia; in vento, volatilia. His quinque elementis malis debellandis alia quinque
elementa de regno et substantia Dei missa esse, et in illa pugna fuisse permixta; fumo aera, tenebris lucem,
igni malo ignem bonum, aquae malae aquam bonam, vento malo ventum bonum. Naves autem illas, id est,
duo coeli luminaria, ita distinguunt, ut lunam dicant factam ex bona aqua, solem vero ex igne bono. Esse
autem in eis navibus sanctas virtutes, quae se in masculos transfigurant, ut illiciant feminas gentis adversae,
et rursus in feminas, ut illiciant masculos ejusdem gentis adversae [2 [0035] Haec pars sententiae, et rursus
. . . . . . gentis adversae, restituitur ex Mss. Vide librum de Natura Boni, cap. 44.] ; et per hanc illecebram
commota eorum concupiscentia fugiat de illis lumen, quod membris suis permixtum tenebant, et purgandum
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suscipiatur ab angelis lucis, purgatumque illis navibus imponatur ad regna propria reportandum. [0036] Qua
occasione, vel potius exsecrabilis superstitionis quadam necessitate, coguntur Electi eorum velut
eucharistiam conspersam cum semine humano sumere, ut etiam inde, sicut de aliis cibis quos accipiunt,
substantia illa divina purgetur. Sed hoc se facere negant, et alios nescio quos sub nomine Manichaeorum
facere affirmant. Detecti sunt tamen in ecclesia, sicut scis, apud Carthaginem, jam te ibi diacono constituto,
quando instante Urso tribuno, qui tunc domui regiae praefuit, aliqui adducti sunt [(a) [0036] Vid. Possid. in
Vita Augustini, cap. 16.] ; ubi puella nomine Margarita istam nefariam turpitudinem prodidit, quae cum esset
annorum nondum duodecim, propter hoc scelestum mysterium se dicebat esse vitiatam [1 [0036] Sic Mss.
Editi autem habent, violatam.] . Tunc Eusebiam quamdam manichaeam quasi sanctimonialem, idipsum
propter hoc ipsum passam, vix compulit confiteri, cum primo illa se asseruisset integram, atque ab obstetrice
inspici postulasset: quae inspecta, et quid esset inventa, totum illud turpissimum scelus, ubi ad excipiendum
et commiscendum concumbentium semen farina substernitur (quod Margarita indicante absens non
audierat), similiter indicavit. Et recenti tempore nonnulli eorum reperti, et ad ecclesiam ducti, sicut Gesta
episcopalia quae nobis misistis ostendunt, hoc non sacramentum, sed exsecramentum, sub diligenti
interrogatione confessi sunt: quorum unus nomine Viator, eos qui ista faciunt proprie Catharistas [2 [0036]
Hic editi addunt, id est mundatores vel purgatores.] vocari dicens, cum alias ejusdem manichaeae sectae
partes in Mattarios [3 [0036] Editi, Macarios: quod erratum secutus est Sirmondus in suo Praedestinato;
quanquam Augiense ejusdem Praedestinati exemplar praefert, Mattarios. Sic vero habent hic etiam
Augustini Mss. omnes. Nempe quia in mattis dormiunt, Mattarii appellantur, ex libro 5 contra Faustum, cap.
5.] , et specialiter Manichaeos, distribui perhiberet, omnes tamen has tres formas ab uno auctore
propagatas, et omnes generaliter manichaeos esse, negare non potuit. Et certe illi libri manichaei sunt
omnibus sine dubitatione communes, in quibus libris illa portenta ad illiciendos et per concupiscentiam
dissolvendos utriusque sexus principes tenebrarum, ut liberata fugiat ab eis, quae captivata tenebatur in eis
divina substantia, de masculorum in feminas et feminarum in masculos transfiguratione conscripta sunt,
unde ista, quam quilibet eorum negant [4 [0036] Ita Vaticani duo Mss. At editi, unde ista eorum, quamlibet
negant, etc.] ad se pertinere, turpitudo defluxit. Divinas enim virtutes, quantum possunt, imitari se putant, ut
purgent Dei sui partem: quam profecto, sicut in omnibus corporibus coelestibus et terrestribus, atque in
omnium rerum seminibus, ita et in hominis semine teneri existimant inquinatam. Ac per hoc sequitur eos, ut
sic eam etiam de semine humano, quemadmodum de aliis seminibus quae in alimentis sumunt, debeant
manducando purgare. Unde etiam Catharistae appellantur, quasi purgatores, tanta eam purgantes diligentia,
ut se nec ab hac tam horrenda cibi turpitudine abstineant. Nec vescuntur tamen carnibus, [0037] tanquam
de mortuis vel occisis fugerit divina substantia, tantumque ac tale inde remanserit, quod jam dignum non sit
in Electorum ventre purgari. Nec ova saltem sumunt, quasi et ipsa cum franguntur exspirent, nec oporteat
ullis mortuis [1 [0037] Aliquot Mss., illis mortuis.] corporibus vesci, et hoc solum vivat ex carne, quod farina,
ne moriatur, excipitur. Sed nec alimonia lactis utuntur, quamvis de corpore animantis vivente mulgeatur sive
sugatur: non quia putant divinae substantiae nihil ibi esse permixtum, sed quia sibi error ipse non constat.
Nam et vinum non bibunt, dicentes fel esse principum tenebrarum; cum vescantur uvis: nec musti aliquid, vel
recentissimi, sorbent. Animas Auditorum suorum in Electos revolvi arbitrantur, aut feliciore compendio in
escas Electorum suorum, ut jam inde purgatae in nulla corpora revertantur. Caeteras autem animas et in
pecora redire putant, et in omnia [2 [0037] Sola editio Lov., et omnia; omisso, in.] quae radicibus fixa sunt
atque aluntur in terra. Herbas enim atque arbores sic putant vivere, ut vitam quae illis inest, et sentire
credant, et dolere, cum laeduntur [3 [0037] In Mss., cum laeditur.] : nec aliquid inde sine cruciatu eorum
quemquam posse vellere aut carpere. Propter quod, agrum etiam spinis purgare, nefas habent. Unde
agriculturam, quae omnium artium est innocentissima, tanquam plurium homicidiorum ream dementer
accusant: suisque Auditoribus ideo haec arbitrantur ignosci, quia praebent inde alimenta Electis suis; ut
divina illa substantia in eorum ventre purgata, impetret eis veniam, quorum traditur oblatione purganda.
Itaque ipsi Electi, nihil in agris operantes, nec poma carpentes, nec saltem folia ulla vellentes, exspectant
haec afferri usibus suis ab Auditoribus suis, viventes de tot ac tantis secundum suam vanitatem homicidiis
alienis. Monent etiam eosdem Auditores suos, ut si vescuntur carnibus, animalia non occidant, ne offendant
principes tenebrarum in coelestibus colligatos, a quibus omnem carnem dicunt originem ducere: et si utuntur
conjugibus, conceptum tamen generationemque devitent, ne divina substantia quae in eos per alimenta
ingreditur, vinculis carneis ligetur in prole. Sic quippe in omnem carnem, id est, per escas et potus venire
animas credunt. Unde nuptias sine dubitatione condemnant, et quantum in ipsis est, prohibent; quando
generare prohibent, propter quod conjugia copulanda sunt, Adam et Evam ex parentibus principibus fumi
asserunt natos: cum pater eorum nomine Saclas sociorum suorum fetus omnium devorasset, et quidquid
inde commixtum divinae substantiae ceperat, cum uxore concumbens in carne prolis tanquam tenacissimo
vinculo colligasset. Christum autem fuisse affirmant, quem dicit nostra Scriptura serpentem, a quo
illuminatos asserunt, ut cognitionis oculos aperirent, et bonum malumque dignoscerent: eumque Christum
novissimis temporibus venisse ad animas, non ad corpora liberanda. Nec fuisse in carne vera, sed
simulatam speciem carnis [0038] ludificandis humanis sensibus praebuisse, ubi non solum mortem, verum
etiam resurrectionem similiter mentiretur. Deum qui Legem per Moysen dedit, et in Hebraeis Prophetis
locutus est, non esse verum Deum, sed unum ex principibus tenebrarum. Ipsiusque Testamenti Novi
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scripturas tanquam infalsatas ita legunt, ut quod volunt inde accipiant, quod nolunt rejiciant, eisque tanquam
totum verum habentes [1 [0038] Sic veteres Mss. At editi, eisque tanquam non totum verum habentibus
nonnullas, etc.] nonnullas apocryphas anteponant. Promissionem Domini Jesu Christi de paracleto Spiritu
sancto (Joan. XVI, 7) in suo haeresiarcha Manichaeo dicunt esse completam. Unde se in suis litteris Jesu
Christi apostolum dicit, eo quod Jesus Christus se missurum esse promiserit atque in illo miserit Spiritum
sanctum. Propter quod etiam ipse Manichaeus duodecim discipulos habuit, ad instar apostolici numeri, quem
numerum Manichaei hodieque custodiunt. Nam ex Electis suis habent duodecim, quos appellant magistros,
et tertium decimum principem ipsorum: episcopos autem septuaginta duos, qui ordinantur a magistris; et
presbyteros, qui ordinantur ab episcopis. Habent etiam episcopi diaconos. Jam caeteri tantummodo Electi
vocantur: sed mittuntur etiam ipsi qui videntur idonei, ad hunc errorem, vel ubi est, sustentandum et
augendum; vel, ubi non est, etiam seminandum. Baptismum in aqua nihil cuiquam perhibent salutis afferre:
nec quemquam eorum quos decipiunt, baptizandum putant. Orationes faciunt ad solem per diem, quaqua
versum circuit: ad lunam per noctem, si apparet; si autem non apparet, ad aquiloniam partem, qua sol cum
occiderit, ad orientem revertitur, stant orantes. Peccatorum originem non libero arbitrio voluntatis, sed
substantiae tribuunt gentis adversae: quam dogmatizantes esse hominibus mixtam, omnem carnem non Dei,
sed malae mentis perhibent esse opificium, quae a contrario principio Deo coaeterna est. Carnalem
concupiscentiam, qua caro concupiscit adversus spiritum, non ex vitiata in primo homine natura nobis inesse
infirmitatem; sed substantiam volunt esse contrariam, sic nobis adhaerentem, ut quando liberamur atque
purgamur, separetur a nobis, et in sua natura etiam ipsa immortaliter vivat: easque duas animas, vel duas
mentes, unam bonam, alteram malam, in uno homine inter se habere conflictum, quando caro concupiscit
adversus spiritum, et spiritus adversus carnem (Galat. V, 17) . Nec in nobis sanatum hoc vitium, sicuti nos
dicimus, nunquam futurum: sed a nobis sejunctam atque seclusam substantiam istam mali, et finito isto
saeculo post conflagrationem mundi in globo quodam, tanquam in carcere sempiterno, esse victuram. Cui
globo affirmant accessurum semper et adhaesurum quasi coopertorium atque tectorium ex animabus, natura
quidem bonis, sed tamen quae non potuerint a naturae malae contagione mundari.
46. 1. I MANICHEI (46) trassero origine da un certo persiano di nome Mani. I suoi discepoli tuttavia, quando
cominciarono a predicare in Grecia la sua folle dottrina, preferirono chiamarlo Manicheo (47), per evitare
l'omonimia con il termine greco che indica la pazzia. Per la stessa ragione alcuni tra loro, quelli che erano un
po' piú dotti e proprio per questo piú mendaci, raddoppiarono la «N» e lo chiamarono Mannicheo, come se
egli fosse il largitore della manna (48).
46. 2. Codesto eretico ha congiunto due principi diversi e contrari e, in pari tempo, eterni e coeterni, cioè che
sarebbero esistiti da sempre; ed ancora sentenziò che ci sarebbero due nature e, piú precisamente,
sostanze, cioè quella del bene e quella del male, seguendo gli altri eretici antichi. La lotta e la mescolanza
vicendevole di queste due sostanze, la separazione del bene dal male, e la dannazione eterna del bene che
non si sarà potuto separare dal male sono le dottrine che costoro professano e sulle quali cianciano
diffusamente; tuttavia, elencare in questa mia opera tutte le loro affermazioni sarebbe un lavoro oltremodo
lungo.
46. 3. In conseguenza, poi, di codesti loro stolti ed empi favoleggiamenti sono costretti a dire che le anime
buone sono di quella natura che è propria di Dio: infatti ritengono che esse devono venir liberate dalla
mescolanza che hanno con le anime cattive, cioè di natura contraria.
46. 4. Essi sostengono dunque che il mondo fu creato dalla natura buona, ovvero dalla natura di Dio, ma che
fu costituito di una mistura di bene e male che si originò quando queste due nature presero a combattersi.
46. 5. Dicono pure che non solo le potenze di Dio eseguono la purgazione e la liberazione dal bene da male
in tutto il mondo e da tutti i suoi elementi, ma che la compiono anche i loro Eletti per mezzo degli alimenti
che mangiano. Infatti ritengono che in questi alimenti, come lo è nell'intero mondo, si trova mescolata la
sostanza di Dio, e, quindi, credono, che essa venga liberata dentro i loro Eletti in virtú di quel genere di vita,
che fa gli Eletti dei Manichei piú santi e piú pregiati dei loro Uditori. Infatti questi eretici hanno voluto che la
loro chiesa fosse formata da queste due categorie: cioè da quella degli Eletti e da quella degli Uditori.
46. 6. Invero ritengono che in tutti gli altri uomini, e perfino nei loro stessi Uditori, la parte della sostanza
buona e divina, sopra menzionata, la quale è trattenuta nei cibi e nelle bevande, mescolata e legata ad essi,
si trovi imprigionata piú strettamente e con maggior inquinamento; ciò vale soprattutto per le persone che
generano figli. Tutte le porzioni di luce, liberate in qualsiasi parte del mondo, sono, quindi, restituite al regno
di Dio, come alla loro propria sede, per mezzo di certe navi, che, come essi pretendono, sono la luna e il
sole. Ed infatti affermano che pure queste navi sono formate da pura sostanza di Dio.
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46. 7. Dicono che è sostanza di Dio anche codesta luce fisica che viene a contatto con gli occhi degli esseri
animati mortali, e non solo quella delle sopraddette navi, dove, a loro dire, essa è purissima, ma lo è anche
quella di tutti gli altri corpi luminosi, dove, secondo essi, è trattenuta dalla mescolanza [con il male] e, quindi,
come credono, deve essere liberata. Attribuiscono, infatti, i cinque elementi, ognuno dei quali generò un suo
proprio principe, alla stirpe delle tenebre, e danno a questi elementi i seguenti nomi: fumo, tenebre, fuoco,
acqua, vento (49). Nel fumo sono nati gli animali bipedi, dai quali, come essi credono, traggono origine gli
uomini; nelle tenebre sono nati i serpenti, nel fuoco i quadrupedi, nell'acqua gli animali natanti, nel vento i
volatili. Per debellare questi cinque elementi cattivi sarebbero stati mandati dal regno e dalla sostanza di Dio
altri cinque elementi, e, nella guerra che ne segui, si sarebbero mescolati l'aria al fumo, la luce alle tenebre,
il fuoco buono al fuoco cattivo, il vento buono al vento cattivo. Riguardo, poi, alle sopraddette navi, cioè i due
astri luminari del cielo, fanno questa differenza, cosí che dicono che la luna è fatta di acqua buona, e il sole
di fuoco buono.
46. 8. E su quelle navi, poi, ci sarebbero sante potenze che prendono forme maschili per sedurre le femmine
della stirpe avversaria, e, di nuovo, forme femminili per sedurre i maschi, sempre della stirpe avversaria. E
dopo che la concupiscenza di queste entità nemiche è stata eccitata in seguito al detto adescamento,
fuggirebbe la luce che tenevano mescolata alle loro membra, e questa verrebbe accolta dagli angeli della
luce per essere purificata, e, una volta, purificata, sarebbe caricata su quelle navi per essere riportata al
regno loro proprio.
46. 9. In forza di tale situazione o, piuttosto, per un non so quale necessità imposta dalla loro detestabile
falsa religione, i loro Eletti sono costretti a prendere, se si può cosí chiamare, un'eucarestia cosparsa di
seme umano, affinché anche da questo, come dagli altri cibi che costoro prendono, sia purificata la anzidetta
sostanza divina che è in essi. Ma questi eretici affermano di non fare un tale rito, e dicono che lo fanno non
so quali altri, spacciandosi per Manichei. Però come sai, essi furono smascherati nella chiesa di Cartagine,
rnentre tu vi eri già in qualità di diacono, allorché alcuni ve ne vennero condotti per ordine del tribuno Orso,
che a quel tempo soprintendeva alla prefettura imperiale (50). Qui, quella ben nota adolescente di nome
Margherita rivelò codesta nefanda sconcezza, e disse di essere stata violentata, sebbene non avesse
ancora dodici anni, a causa di questo scellerato rito. In quella stessa circostanza [il tribuno] riuscí a stento a
far confessare a una certa Eusebia, manichea di professione esteriormente ascetica, di aver subíto la stessa
violenza per la stessa motivazione: costei, invero, in un primo tempo aveva dichiarato di essere illibata e
aveva chiesto di essere visitata da un'ostetrica. La donna fu, dunque, visitata e si scopri che cosa ella fosse,
e ugualmente anche lei rivelò tutta quella turpissima nefandezza, nella quale, per raccogliere e impastare il
seme umano di coloro che si accoppiano, viene stesa della farina sotto di loro; questa nefandezza Eusebia
non l'aveva ascoltata, perché non era presente, quando la rivelò Margherita. Ed ancora ultimamente furono
trovati alcuni di loro e, condotti in chiesa, confessarono, sottoposti ad accurato interrogatorio, codesto non
sacramento, ma dissacramento, come dimostrano i regesti episcopali che ci hai mandato.
46. 10. Uno di codesti eretici, di nome Viatore, disse che coloro che compiono tali azioni sono chiamati con
termine specifico Cataristi, mentre, secondo il suo dire, le altre sezioni della medesima setta manichea si
dividerebbero in Mattari e in Manichei in senso stretto; però costui non poté negare che queste tre forme
erano state impiantate da un unico fondatore, e che tutti sono, fondamentalmente, Manichei. E certamente
tutti i Manichei hanno in comune, senza alcun dubbio, quei libri nei quali sono scritte quelle mostruosità sulle
metamorfosi dei maschi in femmine e delle femmine in maschi, al fine di adescare e di disgregare per mezzo
della concupiscenza i príncipi delle tenebre, sia quelli maschi, sia quelli femmine, affinché la divina sostanza,
trattenuta in essi prigioniera, venga liberata e fugga via da loro; da ciò infatti deriva la sopraddetta
sconcezza, riguardo alla quale ognuno di loro dice che non lo riguarda. Credono, appunto, di imitare, per
quanto è loro possibile, le potenze divine mettendosi a purgare una porzione del loro dio, poiché sono
fermamente persuasi che essa sia trattenuta inquinata allo stesso modo che lo è nei corpi celesti, terrestri e
nei semi di ogni specie, anche nel seme umano. E, pertanto, segue che essi debbano, mangiando, liberarla
anche dal seme umano cosí come lo fanno dagli altri semi, che prendono nell'alimentarsi. Per questa
ragione vengono anche chiamati Cataristi, cioè purgatòri, appunto perché purgano la sostanza divina con
tanta diligenza da non astenersi da una cosí schifosa turpitudine di cibo.
46. 11. Costoro, tuttavia, non mangiano alcuna sorta di carne, ritenendo che la divina sostanza sia fuggita da
tutto ciò che è morto o ucciso, e vi siano rimaste quelle quantità e qualità, che non meritano piú di essere
purgate nella pancia degli Eletti. Neppure prendono mai uova, come se anche queste cessassero di vivere al
momento della rottura, né si debbano assolutamente mangiare corpi morti, e della carne rimanga in vita
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soltanto quella parte che viene assorbita dalla farina, cosí che non possa morire. Ma nel loro alimentarsi non
fanno uso nemmeno del latte, nonostante che questo sia munto o succhiato dal corpo di un animale vivente:
e ciò non perché ritengano che in esso non vi sia mescolato nulla della sostanza divina, ma perché la loro
errata dottrina non è coerente con se stessa. Infatti non bevono neanche vino, dicendolo essere il fiele dei
príncipi delle tenebre, benché mangino le uve. Neppure assaggiano alcun mosto, nemmeno quello appena
spremuto.
46. 12. [I Manichei] credono che le anime dei loro Uditori passino negli Eletti o, attraverso una via corta e,
perciò, piú felice, nei cibi mangiati dai loro Eletti, cosí che ormai purgate, di poi non passino piú in alcun altro
corpo. Invece riguardo alle altre anime credono che esse passino nel bestiame e in ogni specie di esseri che
per mezzo delle radici è fisso e alimentato nella terra. Infatti ritengono che le erbe e gli alberi siano viventi in
tal grado da far loro credere che la vita insita in essi, percepisca e soffra, quando viene danneggiata, e che
nessuno possa, quindi, svellere o strappare alcuna loro parte, senza procurar loro sofferenza. Per tal motivo
ritengono un sacrilegio purgare un campo anche dai rovi. Di conseguenza costoro, nella loro demenza,
accusano l'agricoltura, che fra tutte le attività lavorative è la piú innocente, come colpevole di numerosi
omicidi. Credono, poi, che tali colpe vengano perdonate ai loro Uditori, solo perché costoro procurano da
questa il sostentamento per il loro Eletti, cosí che la già menzionata sostanza divina, purificatasi nella loro
pancia, impetra a quelli il perdono, essendo offerta da quelli per essere purgata. Pertanto i loro Eletti, poiché
personalmente non fanno alcun lavoro nei campi, né raccolgono frutti e neppure strappano mai una foglia,
aspettano che tutti questi generi alimentari siano forniti al loro bisogno dai loro Uditori, e, pertanto, cotali
individui vivono, secondo la stolta credenza di questi eretici, degli innumerevoli e gravi omicidi altrui.
Esortano, inoltre, i loro stessi Uditori a non uccidere gli animali, quando vogliono mangiar carne, affine di non
offendere i principi delle tenebre, tenuti prigionieri nelle regioni celesti, poiché, dicono, da costoro ha origine
ogni specie di carne.
46. 13. Li esortano, pure, ad evitare nelle loro relazioni coniugali, il concepimento e la generazione, affinché
la divina sostanza, che entra in loro attraverso gli alimenti, non sia imprigionata dai vincoli della carne nella
prole. Cosí infatti credono che le anime arrivino in ogni specie di carne, cioè attraverso i cibi e le bevande. Di
qui costoro condannano, senza alcuna esitazione, il matrimonio e, per quanto possono, lo proibiscono, per il
fatto stesso che vietano di concepire, fine cui tende l'unione matrimoniale.
46. 14. Asseriscono che Adamo ed Eva nacquero da genitori che erano i príncipi del fumo, dopoché il loro
padre, di nome Saclas, aveva divorato i feti di tutti i suoi colleghi; e pertanto egli, quando si uní con sua
moglie, incatenò nella carne della sua prole, come in un catena saldissima, tutta la divina sostanza che si
trovava ad essere mescolata in quelli.
46. 15. Riguardo a Cristo, poi, affermano che egli è stato il serpente menzionato nella nostra sacra Scrittura;
e da questo, dicono costoro, sono stati illuminati, cosí che hanno potuto aprire i loro occhi alla conoscenza e
a distinguere il bene e il male; quello, poi, venne quale Cristo alla fine dei tempi, per liberare le anime, non i
corpi; e non esistette in una vera carne, ma ostentò una parvenza di carne, per trarre in inganno i sensi
umani, e in tal modo poter simulare non solo la morte, ma anche la resurrezione; il Dio, che, per mezzo di
Mosè, dette la Legge e parlò nei Profeti, non è il vero Dio, ma uno dei principi delle tenebre. Poiché
ritengono falsificati gli scritti dello stesso Nuovo Testamento, li leggono in modo da accettare solo quello che
vogliono, e da rifiutare quanto non vogliono; ed essi, poi, antepongono alcuni scritti apocrifi, come se questi
contenessero l'intera verità.
46. 16. La promessa fatta da nostro Signore Gesú Cristo riguardo allo Spirito Santo, dicono essersi compiuta
nel loro eresiarca Manicheo. Perciò costui nelle sue lettere si qualifica apostolo di Gesù Cristo, appunto
perché Gesú Cristo avrebbe promesso di inviare lui, e sopra di lui avrebbe inviato lo Spirito Santo. Per
questo motivo anche Manicheo ebbe dodici discepoli in corrispondenza al numero degli Apostoli, ed ancor
oggi i Manichei mantengono questo numero. Infatti tra i loro Eletti hanno i dodici, che essi chiamano maestri,
e come tredicesimo il preside di costoro; quindi hanno settantadue vescovi, che vengono ordinati dai
maestri, e, senza alcuna limitazione di numero, i presbiteri, i quali sono ordinati dai vescovi. I vescovi hanno
anche i diaconi. Tutti gli altri sono chiamati soltanto Eletti. Ma anche tra costoro sono mandati [in missione]
quanti sono giudicati idonei o a sostenere o a incrementare codesta eresia, dove c'è, o anche, dove non c'è,
a seminarla.
46. 17. Il battesimo fatto nell'acqua non conferisce, secondo costoro, nessuna salvezza ad alcuno, né
credono che si debba battezzare alcuno di quelli che essi riescono ad accalappiare.
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46. 18. Fanno le loro preghiere, durante il giorno, rivolti al sole, verso qualunque punto esso stia girando;
durante la notte, rivolti alla luna, se è visibile, ma se questa non si mostra, guardano verso la parte
settentrionale, attraverso la quale il sole, dopo che è tramontato, ritorna ad oriente. Pregano in piedi.
46. 19. Ascrivono l'origine dei peccati non al libero arbitrio della volontà, ma alla sostanza della stirpe
avversaria, che, secondo la loro credenza, si trova mescolata nell'uomo. Affermano che la carne, in ogni sua
specie, non è fattura di Dio, ma di una mente cattiva, la quale, essendo da un principio contrario, è coeterna
a Dio. Dicono che la concupiscenza carnale, a causa della quale la carne ha desideri contrari a quelli dello
spirito, non è un'infermità esistente in noi da quando la nostra natura si corruppe nel primo uomo, ma la
vogliono una sostanza contraria, aderente a noi tanto che essa si distacca da noi, quando ne veniamo
liberati e purgati, e, tuttavia, anche essa rimane immortalmente viva nella sua propria natura; queste due
anime, o due menti, l'una buona l'altra cattiva, sono in conflitto tra loro in ogni singolo uomo, allorché la
carne si erge con i suoi appetiti contro lo spirito, e lo spirito contro la carne; né in noi questa corruzione si
sana, perché, come noi diciamo, un giorno non ci sarà piú, ma [secondo codesti eretici] questa sostanza
viene staccata e separata da noi, e alla fine del tempo presente, dopo che ci sarà stata la conflagrazione del
mondo, continuerà a vivere entro una specie di sfera, come in un carcere eterno. E a questa sfera dicono
che sempre starà applicata e aderirà una specie di copertura e di tetto, fatto di anime, buone per quanto
riguarda la loro natura, che, però, non riuscirono a purificarsi dall'inquinamento causato in loro dal contatto
con la natura cattiva.
(46) Particolarmente pericolosa per la Chiesa del III e IV secolo, questa è l'eresia a cui Agostino dedica lo spazio
maggiore. Egli stesso, dai 19 ai 28 anni, aderí al manicheismo. Le fonti eresiologiche sono comuni al resto del trattato:
EPIF., Panar. 66 (GCS 37, 130-132); Anaceph. (PG 42, 868D). Per le fonti agostiniane ci sono tutte le opere
antimanichee, che la NBA ha riunito e pubblicato insieme nella raccolta Polemica con i Manichei.
(47) Mani, discendente di un ramo della famiglia reale persiana, nacque il 14 aprile del 216 a Mardinu, o a Afrunya, in
Babilonia. Due rivelazioni, a 12 e a 24 anni, sono alla base della sua predicazione che iniziò con un viaggio in India. Il re
Shapur I, che incontrò personalmente in occasione delle cerimonie di incoronazione, lo protesse. Cosí anche suo figlio
Hormizda. Nel 274 però, sotto il regno di Bahram I, cadde in disgrazia e su pressione dei sacerdoti dello zoroastrismo, il
31 gennaio del 277 venne imprigionato. Cominciò per lui un periodo di atroci sofferenze, chiamato dai suoi fedeli la sua
passione o crocifissione, durato 26 giorni. Morí il 26 febbraio del 277. Sulla dottrina manichea vedere le varie
introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nella raccolta Polemica con i Manichei.
(48) Cf. Contra Faust. 19-22.
(49) Cf. De natura boni, 46. 18.
(50) Possidio, Vita S. Aug., 16; AGOSTINO, De mor. manich., 16 ss
Trad. e nota M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV.
Bibliografia
Studi
C. Riggi, s.v. Mani-Manicheismo, in DPAC, 2, col. 2076-79.
MANI-MANICHEISMO
I. Mani e manicheismo - II. Letteratura manichea.
I. Mani e manicheismo. Manes o Manichaeus nacque verso il 14 aprile del 216 da Pàtrik, un principe partico
di origine arsacide, e da Maryam, probabilmente giudeocristiana della medesima discendenza reale
arsacide. Le fonti discordano nel determinare il luogo di nascita. Al-Bîrúnî lo dice di un distretto della
Babilonia settentrionale, Nahr Kutà. A 4 anni il padre lo avrebbe condotto al sud, in Mesenia, a vivere con lui
tra i Battisti. A 12 anni avrebbe ricevuto dallo Spirito, suo alter ego celeste (al-Tawn = Gemello), il primo
invito a separarsi dagli Elcesaiti, e la rivelazione della guerra tra la luce e le tenebre. A 24 anni avrebbe
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ricevuto l'ordine di proclamarsi apostolo della Luce e della Salvezza. Il suo primo viaggio si svolse in India,
per mare, e là entrò in contatto col Buddismo. All'inizio del regno di Shapur I ritornò in Persia e, ricevuto dal
re il permesso di predicare la nuova religione, percorse in tutte le direzioni l'impero, l'Egitto, la Margiana e la
Battriana.
Durante i 30 anni del regno di Shapur I, il manicheismo convisse con lo zoroastrismo all'ombra della corte
imperiale. II filosofo neoplatonico Alessandro di Licopoli (III-IV sec.) afferma che Mani fece parte del seguito
di Shapur nelle sue campagne in Occidente (Contra Manichaei opiniones IV,20). Tradizioni tardive lo fanno
soggiornare in India, nel Tibet, in Cina; ricordano le missioni da lui affidate ai discepoli Adda, Tommaso ed
Hermas. Venuto a morire Shapur (273), e morto dopo un anno di regno l'erede al trono Hormizd I (274),
Bahràm I gli ordinò di presentarsi a lui. L'interrogatorio tempestoso si concluse col suo arresto; fu incatenato
ai polsi, ai piedi e al collo. Il suo fisico non resse. Dopo avere indirizzato alla sua chiesa un ultimo
messaggio, raccolto da qualche discepolo presente alla sua agonia, spirò all'età di circa sessant'anni, di
lunedì, all'ora undecima. Del suo corpo decapitato e disperso i fedeli non poterono raccogliere che poche
reliquie; la sua testa fu esposta ad una delle porte della città (di Belapat?); la pelle strappatagli con punte di
canna sarebbe stata rigonfiata e agitata al vento per lungo tempo. La sua ”passione” detta anche
«crocifissione» era durata 26 giorni, dal 14 febbraio al 2 marzo del 274 (Henning), o dal 31 gennaio al 26
febbraio del 277 (Taqizadeh).
Il manicheismo è un sincretismo di dottrine giudeocristiane ed indoiraniche. La salvezza si esprime in forma
apparentemente molto complicata; ma il susseguirsi di sempre nuovi personaggi disposti in schemi
simmetrici si riduce alla storia del medesimo eroe precipitato nelle tenebre e richiamato alla luce, «Salvatore
e Salvato». Lo svolgimento avviene in tre momenti: precedente alla mescolanza dello Spirito con la Materia;
mediano della mescolanza delle due Radici; finale della ricostituzione del Bene e del Male nella loro
sussistenza in due Zone separate, quella del Bene a nord, quella del Male a sud. Le due Zone hanno alla
testa un re: il Padre delle Luci e il Principe delle Tenebre. Ciascuno dei due regni è costituito di 5 elementi o
alberi: di luce divina sono l'Intelligenza, il Pensiero, la Riflessione, la Volontà, il Ragionamento; invece di
tenebra demoniaca il Fumo annebbiante, il Fuoco devastatore, il Vento distruttore, l'Acqua torbida, le
Tenebre dei baratri. Il Padre quadriforme (maestà-splendore-forza-saggezza) è attorniato da 16 sue
emanazioni (poste, a gruppi, ai quattro punti cardinali del mondo luminoso) e da tante altre in numero
infinito. Il Principe delle Tenebre si incunea nella Luce che lo stringe dai tre lati. Le ipostasi demoniache, in
forme di bipedi o di quadrupedi, di rettili o pesci o uccelli, si dilaniano, in cinque antri rispettivamente
differenziati. La Luce, a sua volta, emana sempre nuovi Eoni divini per salvarsi: 1) la Madre della Vita, il
Grande Spirito, l'Uomo Primordiale, i cinque suoi Figli che ne costituiscono la panoplia (esca inghiottita dalla
Materia perché ne fosse il veleno di morte); 2) l'Amico delle Luci, il Grande Architetto e lo Spirito Vivente o
Demiurgo creatore del mondo con le parti degli Arconti demoniaci debellati dai cinque suoi Figli (AtlanteOmoforo regge sulle spalle otto terre); 3) il Terzo Inviato di salvezza attraverso le Ruote del Vento dell'Acqua
del Fuoco, le Vergini della Luce; 4) l'Appello e la Risposta, il Desiderio di Vita; 5) il Gesù Luminoso,
Salvatore disceso sulla terra in forma umana per risvegliare Adamo. Procreato dal demonio Ashaqlun e dalla
diavolessa Namràel dopo aver divorato la Luce contenuta negli aborti, Adamo aveva gridato: «Maledizione a
chi ha creato il mio corpo, a colui che vi ha chiusa la mia anima e ai ribelli che mi hanno reso schiavo»
(Teodoro Bar Koni). Per salvare l'uomo, Gesù trascendente patisce imprigionato ancora nel mondo della
“Croce di Luce”, in attesa che la gigantesca ruota a dodici secchie o tazze (noria) finisca di attingere le
anime e di riversarle nei vascelli della Luna e del Sole attraverso la Colonna della Luce. Per liberare
definitivamente l'uomo, Mani venne a rivelare la salvezza.
L'illuminazione si trasmette nell'Appello alla Giustizia da parte degli Eletti manichei alla massa degli Uditori,
integrati ad essi per via delle “elemosine”. Gli Eletti si distinguono in Maestri, Vescovi, Sacerdoti, Veridici:
sotto un Archegós, rappresentante in terra di Mani nella sede di Babilonia. Le elemosine, la preghiera e il
digiuno contraddistinguono l'etica religiosa manichea: 1.- L'offerta ai Santi assicura il riposo nella Chiesa,
liberando gli alimenti nella loro parte luminosa ed ottenendo agli offerenti il perdono del peccati; 2.- la
preghiera è come una luce che risale ai cielo, anticipo del viaggio finale nella Colonna della Gloria, sul
vascello della Luna, su quello del Sole, e dì là verso il Regno; 3.- il digiuno è espiazione penitenziale che
«Schiaccia il leone>., liberando dall'angoscia il peccatore. I peccati (della bocca, delle mani e del petto) sono
assolti nella confessione. Altri riti o misteri sono I’augurio di pace, la stretta di mano, il bacio fraterno, la
prosternazione di omaggio, l'imposizione della mano; momenti salvifici: 1 - l'Appello dello spirito Vivente alla
pace, 2.- la sua offerta della mano destra; 3 - il bacio dato ai suoi; 4.- la venerazione del Dio di verità; 5. - la
consacrazione tra i fratelli del nuovo Eone. Principale solennità era il Bema (ultimi giorni di febbraio o a
marzo) a ricordo della passione di Mani, la cui immagine e i cui scritti erano esposti su un alto palco
drappeggiato e ornato di veli, fornito di cinque gradini , simboleggianti i cinque gradi della gerarchia
manichea. Vi si leggeva il Vangelo Vivente, la Lettera del Suggello ; si pregava e si cantava, si implorava la
rugiada della gioia di Mani.
C. Riggi
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Pubblicazioni dell'Istituto universitario dimagistero di Catania. Serie filosofica. Saggie monografie
Conte 523
Manicheismo Encarta
1 INTRODUZIONE
Manicheismo Antica religione fondata nel III secolo dal persiano Mani (216 ca. - 276 ca. d.C.). Per alcuni
secoli ebbe una vasta diffusione e fu tenacemente avversata dai principali teologi cristiani.
2 DOTTRINE
Mani si proclamava l'ultimo profeta di una serie che comprendeva Zoroastro, Buddha e Gesù, le cui
rivelazioni parziali si completavano nella sua dottrina. Oltre all'influenza dello zoroastrismo e del
cristianesimo, il manicheismo rivela una chiara matrice gnostica.
L'universo manicheo si suddivide in due regni rivali, quello della Luce (Spirito), governato da Dio, e quello
delle Tenebre (Materia), governato da Satana: in origine separati, i due regni si trovarono coinvolti in
perpetua lotta dopo che, per una catastrofe primordiale, il regno delle Tenebre invase quello della Luce. La
stirpe umana è il risultato di questa lotta, espressa dalla contrapposizione dualistica tra un corpo materiale e
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un'anima spirituale; l'umanità dovrà redimersi mediante la conoscenza del regno della Luce rivelato dal
succedersi dei messaggeri divini, da Buddha a Cristo fino a Mani: con tale conoscenza l'anima può dominare
i desideri carnali e ascendere al regno divino.
I manichei si dividevano in due gruppi secondo il grado di perfezione spirituale: gli "eletti", vegetariani, astemi
e tenuti al celibato, si dedicavano esclusivamente alla predicazione, e potevano sperare nell'ascesa al regno
della Luce dopo la morte, mentre agli "uditori" era consentito il matrimonio, era prescritto di celebrare una
festa settimanale e di servire gli eletti in cambio della possibilità di rinascere come membri della classe
superiore. Alla fine dei tempi tutti i frammenti di Luce divina sarebbero stati redenti, il mondo distrutto, e i due
regni separati per l'eternità.
3 ESPANSIONE E INFLUENZA
Per circa un secolo dopo la morte di Mani il manicheismo si diffuse dall'impero romano fino in Africa
settentrionale e in Cina: tra i suoi adepti, prima della conversione al cristianesimo, figurò sant'Agostino.
Benché in Occidente fosse già scomparso come religione autonoma nei primi secoli del Medioevo, l'influsso
di elementi del manicheismo si può notare nelle eresie dualistiche di albigesi e bogomili; molte convinzioni
della fede gnostico-manichea sopravvivono anche in alcuni movimenti moderni, come la teosofia e
l'antroposofia.
4 TESTI
A Mani sono attribuiti numerosi testi sacri in lingua iraniana, dei quali furono ritrovati alcuni frammenti nel
Turkestan cinese e in Egitto all'inizio del XX secolo, assieme a inni, catechismi e altri testi scritti dai suoi
seguaci; utili per ricostruire le dottrine manichee sono anche le opere di sant'Agostino e di altri scrittori
cristiani oppositori del manicheismo.
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L'eresia donatista
Per tutto il IV secolo fu una delle eresie più pervicaci da combattere, soprattutto nella sua terra
d'origine, l'Africa dove si sviluppò come naturale conseguenza delle persecuzioni di Diocleziano.
A Cartagine, in particolare, si riteneva che il comportamento di alcuni cristiani e dello stesso
vescovo Mensurio di fronte a queste fosse stato proditorio e privo di coraggio. Alla morte di
Mensurio venne eletto in gran fretta come vescovo il diacono Ceciliano, ritenuto tuttavia un
elemento troppo moderato, soprattutto dalla chiesa di Numidia. A Ceciliano fu quindi contrapposto
nel 312 un antivescovo, Maggiorino, alla cui morte, nel corso dello stesso anno, venne eletto da 70
vescovi della Numidia un altro antivescovo, Donato appunto, che però venne sconfessato da due
concili (Roma e Arles). Nonostante questo i Donatisti non si piegarono, anche quando Costantino
impiegò contro di loro la forza e condannò all’esilio i capi. Questi poterono tornare in patria solo
con un editto di tolleranza nel 321 e Donato approfittò del fatto per riorganizzare le fila, anche
contando sulla debolezza della chiesa cattolica locale. Dopo un periodo di relativa tolleranza, i
Romani arrivarono a una decisa persecuzione nel 347 con l'imperatore Costante. Donato e gli altri
capi furono nuovamente esiliati, fino a quando un nuovo editto imperiale di Giuliano, nel 362, li
autorizzò a ritornare. Sotto la guida di Parmeniano, successore di Donato, essi si riorganizzarono
rapidamente a danno della chiesa cattolica, nonostante proprio a quel periodo risalgano le
maggiori discordie interne e le più significative scissioni tra le fila stesse dei donatisti.
Dal 393 Agostino intervenne con decisione nella questione; a fronte di una notevolissima diffusione
dell'eresia in Africa, si ebbe da parte imperiale, soprattutto con Onorio, una dura reazione che si
manifestò prima relative leggi sanzionatorie (405) poi con numerose esecuzioni capitali.
Con il 411, a seguito di un confronto tra chiesa ortodossa e donatista indetto da Onorio sotto il
giudizio di un pubblico funzionario, l'eresia fu ufficialmente condannata e vennero stabilite pene
severissime per i suoi adepti (412), molti dei quali piuttosto di abiurare si tolsero la vita.
Gli ultimi gruppi donatisti sopravvissero fino all'arrivo dei Vandali (degli Arabi, secondo altri).
Donato richiedeva ai Cristiani una rigorosa disciplina e una perfezione spirituale, riservando di fatto
la religione cristiana a una serie di puri e di eletti e negandone quindi la vocazione universale
cattolica. Ma il donatismo si connotò chiaramente fin da subito anche di caratteri di rivolta
nazionale sociale e antiromana con episodi di violenza contro i ricchi e contro il clero, perpetrati in
molti casi da una setta nota come circoncellioni.
Benchè i donatisti abbiano composto diverse opere di diffusione delle loro tesi, le fonti scritte di
parte donatista giunte fino a noi sono relativamente poche e molte informazioni vanno cercate
nelle opere di polemica o comunque di ispirazione antidonatista, in particolare quelle di S. Agostino
e di Ottato di Milevi.
Tra gli autori donatisti vanno ricordati Parmeniano, Petiliano e Ticonio.
Testi e testimonianze
August., de haeres., 69 [Migne]
[0043] LXIX. DONATIANI vel Donatistae sunt, qui primum propter ordinatum contra suam voluntatem
Caecilianum Ecclesiae Carthaginensis episcopum schisma fecerunt: objicientes ei crimina non probata, et
maxime quod a traditoribus divinarum Scripturarum fuerit ordinatus. Sed post causam cum eo dictam atque
finitam falsitatis rei deprehensi, pertinaci dissensione firmata, in haeresim schisma verterunt: tanquam
Ecclesia Christi propter crimina Caeciliani, seu vera, seu quod magis judicibus apparuit, falsa, de toto
terrarum orbe perierit, ubi futura promissa est, atque in Africana Donati parte remanserit, in aliis terrarum
partibus quasi contagione communionis exstincta. Audent etiam rebaptizare Catholicos: ubi se amplius
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30
haereticos esse firmarunt, cum Ecclesiae catholicae universae placuerit, nec in ipsis haereticis Baptisma
commune rescindere. Hujus haeresis principem accipimus fuisse Donatum, qui de Numidia veniens, et
contra Caecilianum christianam dividens plebem, adjunctis sibi ejusdem factionis episcopis, Majorinum apud
Carthaginem ordinavit episcopum. Cui Majorino Donatus alius in eadem divisione successit, qui eloquentia
sua sic confirmavit hanc haeresim, ut multi existiment propter ipsum potius eos Donatistas vocari. Exstant
scripta ejus, ubi apparet eum etiam non catholicam de Trinitate habuisse sententiam, sed quamvis ejusdem
substantiae, minorem tamen Patre Filium, et minorem Filio putasse Spiritum sanctum. Verum in hunc, quem
de Trinitate habuit, ejus errorem Donatistarum multitudo intenta non fuit; nec facile in eis quisquam, qui hoc
illum sensisse noverit, invenitur. Isti haeretici in urbe Roma Montenses vocantur, quibus hinc ex Africa solent
episcopum mittere: aut hinc illuc Afri episcopi eorum pergere, si forte ibi eum ordinare placuisset. Ad hanc
haeresim in Africa et illi pertinent, qui appellantur Circumcelliones, genus hominum agreste et famosissimae
audaciae, non solum in alios immania facinora perpetrando, sed nec sibi eadem insana feritate parcendo.
Nam per mortes varias maximeque praecipitiorum et aquarum et ignium se ipsos necare consuerunt; et in
istum furorem alios quos potuerint sexus utriusque seducere, aliquando ut occidantur ab aliis, mortem, nisi
fecerint, comminantes. Verumtamen plerisque Donatistarum displicent tales, nec eorum communione
contaminari se putant, qui christiano orbi terrarum dementer objiciunt ignotorum crimen Afrorum. Multa et
inter ipsos facta sunt schismata, et ab iis se diversis coetibus alii atque alii separarunt; quorum separationem
caetera grandis multitudo non sensit. Sed apud Carthaginem Maximianus contra Primianum ab ejusdem
erroris centum ferme episcopis ordinatus, et a reliquis trecentis decem, cum eis duodecim qui ordinationi
ejus etiam praesentia corporali interfuerunt, atrocissima criminatione damnatus, compulit eos nosse etiam
extra Ecclesiam dari posse Baptismum Christi. Nam quosdam ex eis cum [0044] eis quos extra eorum
Ecclesiam baptizaverant, in suis honoribus sine ulla in quoquam repetitione Baptismatis receperunt, nec eos
ut corrigerent per publicas potestates agere destiterunt, nec eorum criminibus per sui Concilii sententiam
vehementer exaggeratis communionem suam contaminare timuerunt.
69. 1. I Donaziani o, meglio, Donatisti sono coloro, che hanno fatto, in un primo tempo, scisma a causa di
Ceciliano, il quale venne ordinato vescovo della Chiesa di Cartagine contro la loro volontà (77), accusandolo
di crimini non dimostrati e, soprattutto, di essere stato ordinato da traditores delle sacre Scritture. Ma dopo
che la causa, a lui fatta, fu discussa e conclusa, e fu palese che essi erano colpevoli di falso (78), si rafforzò
il loro caparbio dissenso, ed essi mutarono il loro scisma in eresia, ritenendo che la Chiesa di Cristo, in
conseguenza dei crimini di Ceciliano, siano essi veri, o siano falsi, cosa, quest'ultima, che apparve piú
evidente ai giudici, era andata distrutta in tutta la terra, dove, invece, secondo la promessa divina, la Chiesa
è destinata a rimanere; e pertanto essa sarebbe rimasta nella fazione di Donato, che è in Africa, essendosi
estinta nelle altre parti della terra, per essere stata contagiata dalla comunione [con Ceciliano]. Hanno,
inoltre, l'ardire, di ribattezzare i Cattolici (79), e con ciò hanno dato una maggiore conferma di essere eretici,
dal momento che l'intera Chiesa cattolica ha definito di non annullare la comunione di battesimo, neppure
nel caso degli eretici.
69. 2. Dai documenti pervenutici sappiamo che l'iniziatore di questa eresia è stato Donato. Costui, venuto
dalla Numidia, creò una divisione tra i fedeli di Cristo nei riguardi di Ceciliano, e, aggregati a sé alcuni
vescovi del suo stesso partito, ordinò vescovo di Cartagine Maiorino. Successore di questo Maiorino fu un
altro Donato (80), sempre della stessa fazione. Codesto con la sua eloquenza rafforzò tanto questa eresia,
che molti credono che codesti eretici si chiamino Donatisti a causa di lui. Ci restano i suoi scritti, nei quali
risulta che egli anche sulla Trinità non ha avuto una concezione cattolica, ma ha ritenuto il Figlio minore
rispetto al Padre, e lo Spirito Santo minore rispetto al Figlio, benché della medesima sostanza. Tuttavia, la
folla dei Donatisti non ha posto attenzione a questo suo errore riguardante la Trinità, né tra di loro si trova
facilmente alcuno che sappia di questa sua professione [di fede] (81).
69. 3. Nella città di Roma codesti eretici sono chiamati Montenses: ad essi dalla nostra Africa [i Donatisti]
sono soliti mandare il vescovo; oppure i vescovi donatisti africani partono da qui alla volta di Roma, nel caso
che abbiano deciso di ordinarne uno là (82).
69. 4. In Africa fanno parte di questa eresia anche coloro che vengono chiamati Circoncellioni (83), una
razza di uomini rozza e di una violenza assai malfamata, poiché non solo perpetrano immani delitti sugli
estranei, ma non hanno riguardo neppure di se stessi in questa loro pazza ferinità. Infatti sono soliti
suicidarsi con vari generi di morte, e soprattutto gettandosi in un precipizio, nell'acqua e nel fuoco; parimenti
a commettere tale folle gesto cercano di indurre quante persone possono dell'uno e dell'altro sesso, e per
farsi uccidere dagli altri, minacciano a questi, talvolta, perfino la morte, se non vogliono farlo. Ma tali persone
sono sgradite alla maggioranza dei Donatisti, i quali però non si sentono contaminati dalla loro comunione,
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anzi, nella loro demenza, rinfacciano all'intero mondo cristiano un crimine, commesso da Africani
sconosciuti.
69. 5. Anche tra costoro si sono avuti molti scismi (84); da loro si sono separati altri e poi altri, cosí da
formare gruppi diversi, tuttavia del loro distacco non si sono accorti i Donatisti rimasti. Però l'ordinazione,
avvenuta a Cartagine, di Massimiano in contrapposizione a Primiano, fatta da circa cento vescovi, seguaci
del suo stesso errore, e la sua condanna, in base a terribili incriminazioni, pronunziata dai rimanenti
trecentodieci [vescovi], ed estesa ai dodici che avevano partecipato all'ordinazione di lui anche con la loro
presenza fisica, li costrinse a sapere che anche al di fuori della Chiesa c'è la nossibilità di dare il battesimo di
Cristo. Infatti hanno accolto [nella loro comunione] alcuni di questi scismatici e con quelli anche le persone
che essi avevano battezzato, mentre erano fuori della chiesa donatista, conservando a ciascuno i grandi
senza affatto ripetere il battesimo su alcuno. Neppure hanno desistito dall'intentare contro di loro cause,
affine di farli ravvedere, ricorrendo alle pubbliche autorità; né, inoltre, hanno temuto di contaminare la loro
comunione per effetto dei crimini di quelli, crimini oltremodo gonfiati dalla sentenza pronunciata dal loro
concilio.
(77) Ceciliano venne eletto vescovo di Cartagine (311) dopo la morte di Mensurio. Questi era stato vescovo al tempo
della persecuzione di Diocleziano del 303 e all'invito da parte imperiale a consegnare gli scritti sa cri, aveva risposto
fornendo, al posto di quelli, altri scritti: eretici. Assieme a Ceciliano aveva inoltre combattuto la tendenza ad onorare
senza accertamento alcuno i molti presunti martiri. Molti erano scontenti del suo operato, ma fino all'elevazione di
Ceciliano a vescovo non si giunse ad uno scontro aperto tra le due fazioni. I nemici di Ceciliano, con l'aiuto dei vescovi
della Numidia, al Concilio di Cartagine (312), lo deposero e fecero vescovo Maggiorino. Per le fonti agostiniane ci sono
tutte le opere antidonatiste, che la NBA ha riunite e pubblicate insieme nella raccolta Polemica con i Donatisti. Sulla
stessa eresia cf. FIL., Div. her. (CSEL 38, 45, 46), Optatus, Libri VII ovvero De schismate Donatistarum adversus
Parmeniamm (CSEL 51, 3-15).
(78) Nel 312 uscí l'editto di tolleranza che, in Africa, venne applicato alla Chiesa guidata da Ceciliano. I Donatisti si
appellarono all'Imperatore: il caso venne affrontato a Roma: nel 313 Ceciliano venne ritenuto non colpevole di traditio
(ovvero di aver consegnato le sacre Scritture). La stessa sentenza venne pronunciata di nuovo a Milano nel 316.
(79) Sulla dottrina manichea vedere le varie introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nella raccolta
Polemica con i Manichei (cf. sopra, 38).
(80) Si tratterebbe di Donato di Casae Nigrae contrapposto a Donato I Grande. Recentemente è stato posto in dubbio
che si tratti di due persone distinte, soprattutto perché quando compare sulla scena il secondo il primo scompare del
tutto. Inoltre non vi sono documenti in merito anteriori al Concilio di Cartagine del 411. Agostino accetta la distinzione,
seppure con riserva (Retract. 1, 213), e da quel momento essa diventa tradizionale.
(81) Che però professassero questa dottrina è confermato da Girolamo, Vir. ill. 93 (PL 23, 696). Forse, sostiene Mueller,
Donato perseguiva soltanto lo scopo di allearsi agli Ariani del Nordafrica.
(82) Donato fece fare vescovo di Roma (nel 320 circa) Vittore di Garba. II gruppuscolo dei Donatisti veniva chiamato dei
Montesi, dal luogo in cui si riunivano, in una grotta fuori città. Mantennero un vescovo a Roma fino al concilio del 411:
una procedura particolare valida solo per Roma.
(83) Si tratta di gruppi ribelli che vivevano in Africa depredando i contadini: il loro nome deriva dalla circostanza che
usavano vagabondare attorno alle case dei contadini (circurn cellas). A guidarli, spesso, c'erano vescovi donatisti. Chi
moriva combattendo veniva onorato come martire. Optato (3, 4: CSEL 26, 81-85) sostiene che simulassero anche il
martirio uccidendosi. Cf. anche FiLASTRIO, Haer. 85 (CSEL 38, 46) e TEODORETO, Haer. fab. 4, 6 (PL 83, 424).
(84) Verso la fine del quarto secolo i Donatisti cominciarono a dividersi in varie fazioni. Ticonio pubblicò tra il 370 e il 375
due scritti (De bello intestino e Expositiones diversarum causarum) in cui presentava una accesa critica del donastismo e
delle tesi donatiste. Rifiutò però di rientrare in seno alla Chiesa di Roma e fondò a sua volta una setta. Rogato, vescovo
di Cartennae, in Mauritania, ruppe con i Donatisti nel 370 perché disapprovava la loro tolleranza della violenza. Attorno
al 380 vi furono altri numerosi scismi interni: gli Urbanesi in Numidia, gli Arzugi in Tripolitania, i Claudianisti a Cartagine.
Questi ultimi erano i seguaci di Claudio, capo della comunità donatista di Roma che, esiliato dall'Italia, prese a tramare
contro i Parmeniani a Cartagine. Quando nel 392 Parmeniano morí, prese il suo posto Primiano che, arbitrariamente,
scomunicò quato diaconi. Si formò una vasta opposizione: si chiese il giudizio di un vescovo donatista, ma Primiano non
accettò la sua autorità. Oltre 100 vescovi donastisti si riunirono nel 393 e lo scomunicarono. Nuovo vescovo venne eletto
Massimiano: da quel momento a Cartagine si trovano due aggruppamenti di Donatisti.
Trad. e nota M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV.
Bibliografia
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Actes de la conférence de Carthage en 411, ed. S.Lancel, Paris, 1972, SCh 104-105
I, Introduction générale par Serge Lancel, 1972
collaboration(s) : Adeotdatus de Milev
Alypius de Thagaste
Augustin d'Hippone
Aurèle
de Carthage
Emeritus de Caesarea
Fortunantianus de Sicca
Gaudentius de Thamugadi
Serge Lancel Flavius Marcellinus
Montanus de Zama
Novatus de Sitifis
Petilianus de
Constantine
Primianus de Carthage
En mai 411, près de six cents évêques, pour motié catholiques, pour motié donatistes, s’affrontèrent
physiquement à la Conférence de Carthage sous la présidence d’un représentant impérial. Les actes de 411
sont une mosaïque de pièces d’origines diverses qui furent jointes aux procès-verbaux sténographiés.
Actes de la Conférence de Carthage en 411, IV
Addimentum criticum, notices sur les sièges et les toponymes, notes complémentaires et index par
S. Lancel , 1991, SCh 373.
Il testo latino del precedente corrisponde a CCL 149A, Turnhout 1974.
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P. Monceaux, Histoire littéraire de L'afrique Chretienne, 4-6, Paris 191.
Maier, J. L., Le dossier du donatisme, Berlin: Akademie-Verlag, 1987-1989, Texte und
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Agostino di Ippona, Polemica con i donatisti. In Opere polemiche di S. AgostinoVoll. 15 e 16
Vol. 15/1 Comprende: Salmo abecedario, Contro la lettera di Parmeniano, Sul battesimo: testo
latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum; intr.
R. A. Markus; trad. e note A. Lombardi , Roma, Citta Nuova, 1998.
Vol. 15.2: Contro le lettere di Petiliano; Lettera ai cattolici sulla setta dei Donatisti, intr., trad. e note
A. Lombardi; indici di Franco Monteverde
Vol. 16.1: Contro Cresconio grammatico donatista; Unicità del battesimo; Contro Petiliano, intr.,
trad. e note E. Cavallari; indici di Franco Monteverde
Vol. 16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti; Ai
Donatisti dopo la conferenza; Discorso ai fedeli della chiesa di Cesarea; Atti del confronto con
Emerito; Contro Gaudenzio; intr., trad. e notedi E. Cavallari; indici di FrancoMonteverde
W.H.C. Frend e E. Romero Pose, s.v. Donatismo, in Dizionario Patristico e delle antichità cristiane,
1, col. 1014-26.
DONATISMO
I. Origini e storia - II. Dottrina - III. Un movimento di protesta - IV. Nelle regioni extra africane.
Scisma che colpì la chiesa nell'Africa del nord nel IV sec. e all'inizio del V sec., che perdurò tuttavia almeno
fino al volgere del VII sec. e fu il riflesso di divisioni tanto sociali ed economiche che religiose tra i cristiani
nordafricani. Confutando i donatisti, Agostino elaborò la sua teologia della chiesa e dei suoi sacramenti e
anche le sue idee sulla coercizione dei dissenzienti religiosi da parte dello stato.
I. Origini e storia. La causa immediata dello scisma si collega agli eventi dell'Africa del nord durante la
«grande» persecuzione del 303-305. Molti membri del clero, vescovi inclusi, obbedirono alle autorità e
consegnarono i libri delle Scritture. Agli occhi di quanti avevano resistito, essi furono considerati traditores,
«traditori» e apostati, indegni della condizione clericale. La persecuzione in Africa del nord fu breve ma
violenta (Euseb., HE VIII, 6,10), costò la vita a «molti martiri» e quando essa si concluse agli inizi della
primavera del 305, la gente ricordò l'ammirevole condotta dei confessori, particolarmente di quelli di Abitina
(presso Membressa, nella Tunisia occidentale). Questi cristiani avevano continuato a radunarsi dopo la
caduta del loro vescovo, erano stati arrestati e imprigionati a Cartagine. Sebbene in prigione, essi avevano
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condannato solennemente i traditores e quanti ricevevano i sacramenti dai traditores. Questi, dichiaravano,
non avrebbero avuto parte con loro al regno dei cieli (Acta Saturnini 18: PL 8,701). Di più, l'arcidiacono di
Cartagine, Ceciliano, fu accusato di avere brutalmente impedito ai cristiani di portare cibo ai confessori
prigionieri (ibidem, c. 17). Nel 311-12 morì Mensurio, vescovo di Cartagine, e Ceciliano fu eletto al suo posto
(Ott., De schismate donatistarum I, 18: CSEL 26,20). L'opposizione fu immediata: anche se in essa vi era
della faziosità (Ott., ibidem, 18); Ceciliano era stato evidentemente consacrato in gran fretta, in particolare
senza la presenza dei vescovi di Numidia, il cui primate aveva ottenuto il privilegio di consacrare ogni nuovo
vescovo di Cartagine (cfr. Agost., Psalmus contra partem Donati 11,44-46: PL 43,26); per di più, uno dei
vescovi consacranti di Ceciliano, Felice di Apthungi, era sospettato di essere un traditor. Nel 312, dopo
l'assassinio dell'interventor (amministratore temporaneo) che aveva nominato per la sede di Cartagine
(Agost., Ep. 44,4,8), il primate di Numidia, Secondo di Tigisis, riunì un concilio di 70 vescovi e dichiarò
deposto Ceciliano (Ott., I,19; Agost., Ad catholicos Epist. 18,46: CSEL 52,291; Anon., Contra Fulgentium
donatistam 26: PL 43,774 e CSEL 53,309). Un lettore, di nome Maiorino, cappellano di Lucilla, ricca matrona
spagnola che Ceciliano aveva una volta offeso (Ott., I, 19), venne eletto al suo posto.
«Un altare fu eretto contro l'altro» (Ott., I, 15 e 19) e Costantino dovette affrontare questa situazione nel
tardo autunno del 312 quando l'Africa del nord gli si consegnò senza colpo ferire. Forse per suggerimento
del suo consigliere, il vescovo Ossio di Cordova (Agost., Contra Ep. Parmeniani I, 4,6 e 5,10), Costantino
sostenne fin dal principio Ceciliano e minacciò di punizione i suoi oppositori (Euseb., HE. X, 6; von Soden,
Urkunden, 8). Quando tuttavia l'imperatore mostrò l'intenzione di liberare il clero in comunione con Ceciliano
dai gravami finanziari municipali (munera; Euseb., HE. X, 7; von Soden, Urkunden, 9), i suoi avversari si
appellarono a lui (15 aprile 313) perché lasciasse ai vescovi di Gallia, che non erano stati colpiti dalla
persecuzione, di giudicare la questione (Ott., I, 22: Agost., Ep. 88,2: CSEL 24,2, p. 408, e von Soden,
Urkunden, 11). Non molto dopo Maiorino morì e gli successe il molto più formidabile Donato di Casa Nigrae
(Gesta apud Zenophilum 1; Ott., De schismate, app. 1: CSEL 26,185). Costantino delegò il caso al vescovo
Milziade di Roma, anch'egli africano, il cui concilio del 2-5 ottobre 313 si pronunciò a favore di Ceciliano
(Ott., I, 23-24). Il 1 agosto 314 un più ampio concilio riunito per ordine dell'imperatore ad Arles assolse
ugualmente Ceciliano e manifestò orrore per gli atteggiamenti violenti degli avversari (Ott., app. 4; von
Soden, Urkunden, 1G). II 15 febbraio 315 anche Felice di Apthungi fu assolto formalmente dall'accusa di
traditio, nel corso di un'udienza a Cartagine davanti al proconsole Eliano (Acta Purgationis Felicis: Ott., app.
2; von Soden, Urkunden, 19; cfr. Agost., Ep. 88,4 e Contra Cresconium III, 70,81). Dopo un altro appello di
Costantino e un riesame dell'intero caso, lo stesso imperatore diede un giudizio definitivo in favore di
Ceciliano il 10 novembre 316 (C. Cresconium III, 56,67 e 71,82. Per la sequenza degli avvenimenti, cfr.
Frend, The Donatist Church, pp. 141-159). Dopo questo, Costantino promulgò «una legge severissima»
contro i donatisti (Agost., Ep. 105,2,9; cfr. von Soden, Urkunden, 26). Ci furono attacchi contro le assemblee
donatiste a Cartagine (cfr. Passio Donati: PL 8,753 ss.). Nel dicembre 320 la causa donatista si trovò in una
posizione potenzialmente ancora più difficile quando Nundinario, uno dei diaconi della chiesa di Costanti
nopoli-Cirta, capitale della Numidia, accusò il proprio vescovo Silvano e altri capi donatisti della Numidia di
essere essi stessi traditores e colpevoli di altri gravi delitti (Gesta apud Zenophilum: Ott., app. 1; cfr. von
Soden, Urkunden, 28). II caso, sottoposto a Zenofilo, consularis di Numidia, fu provato, ma apparentemente
i donatisti non ne furono svantaggiati e nel maggio 321 Costantino desistette dai suoi tentativi di coercizione
(Euseb., Vita Constarztirzi I, 45; Agost., Ad Donat. post Collat. 31,54 e 33,56; von Soden, Urkunden, 30).
Nel resto del regno di Costantino, i donatisti guadagnarono terreno. Nel febbraio 330 rilevarono la principale
chiesa di Costantina (Ott., app. 10: CT XVI, 2,7) e nel 336 Donato radunò a Cartagine un concilio di 270
vescovi (Agost., Ep. 93,43). Nello stesso tempo, Girolamo ammette (De vir. ill. 93: PL 23,734) che Donato
aveva fatto sua la religione di «quasi tutta l'Africa».
La situazione si mantenne così per i successivi sessanta anni. Nonostante l'esilio di Donato nel 347, la
severa repressione dei donatisti ad opera dei commissari imperiali Paolo e Macario e la conseguente
influenza cattolica dal 347 al 361 (Ott., III, 3 e 12; VII, 6; cfr. Frend, op. cit., pp. 176-187), l'appoggio per i
donatisti difficilmente vacillò. I capi donatisti tornarono trionfalmente sotto Giuliano (Ott., II, 1G-18).
Parmeniano, successore di Donato, provvide a un governo fermo e assicurò la stabilità della chiesa
donatista. Alla sua morte nel 391-2, però, scoppiò uno scisma maggiore. II suo successore, Primiano, era un
uomo rozzo e ignorante, che rappresentava i numidi e gli elementi più estremisti della chiesa, mentre il suo
avversario, Massimiano, era un parente di Donato e rifletteva le opinioni più moderate dei donatisti dell'Africa
proconsolare e della Bizacena. Il vantaggio fu inizialmente dei massimianisti e 100 vescovi, principalmente
della Bizacena, condannarono Primiano per varie infrazioni disciplinari, nel concilio di Cebarsussa (24
giugno 393; Agost., Ep. 43,9,26 e Enarr. 2 in Ps. 36 19-20; cfr. Frend, op. cit., pp. 213-220). Ma fu al concilio
di Bagai, nella Numidia del sud (24 aprile 394), cui presero parte 310 vescovi primianisti, che lo scisma fu
consumato (Agost., C. Cresconium III, 56,62 e IV, 4,5; 7,9). Nei successivi tre anni, i sostenitori di Primiano
vinsero una serie di processi contro i massimianisti e furono allo stesso tempo in grado di ridurre a nulla la
legislazione antieretica da parte di Teodosio (C. Cresconiuna III, 56,62; IV, 47,57; 48,58) che avrebbe potuto
essere applicata contro di loro. Nonostante lo scisma massimianista, il 390 vide la chiesa donatista al
culmine della sua potenza e prosperità.
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Il sostegno di alcuni donatisti, quali il vescovo Ottato di Thamugadi (Timgad), alla rivolta di Gildone, nel 393,
offrì ai cattolici un'occasione unica per rovesciare le posizioni nei confronti degli avversari. In Aurelio,
vescovo di Cartagine, ebbero un abile organizzatore e un capo che rafforzò la disciplina della chiesa e ne
aumentò la sicurezza mediante i concili annualmente radunati a Cartagine. In s. Agostino, vescovo di
Ippona, trovarono un pastore e teologo capace di avere la meglio nel dibattito con i donatisti. Dall'estate del
403, i cattolici si sentirono sufficientemente forti per costringere gli avversari a prendere parte a una
conferenza intesa a decidere quali dei due partiti avesse la pretesa più valida di essere la chiesa «cattolica»
nell'Africa del nord (per il testo, cfr. PL 11, 1200-1201 e , per la discussione, cfr. P. Monceaux, Histoire
littéraire de I'Afrique chrétienne, IV, pp. 263-264 e S. Lancel, Actes de la Conférence de Car-thage, I, pp. 1416). Primiano rifiutò, ma l'anno successivo i cattolici riuscirono a richiamarsi alla legislazione antieretica
contro i donatisti e, tra i1 12 febbraio e il 5 marzo 405, l'imperatore Onorio inviò in Africa editti e decreta
supplementari intesi a mettere al bando la chiesa donatista e a confiscarne le proprietà (CT XVI, 5,37 e 38;
6,3-4 e 5). Nei sei anni successivi í donatistí persero terreno, specialmente tra i ceti più abbienti, che
trovarono prudente uniformarsi ai voleri dell'imperatore (cfr. P. Brown, Augustinus of Hippo, pp. 240-241,
l'esempio di Celere). Quando, nel maggio 411, la conferenza di Cartagine ebbe luogo sotto la presidenza del
rappresentante imperiale, il tribuno e notaio Marcellino, i donatisti potevano ancora radunare 285 vescovi,
uno solo in meno rispetto agli avversari (cfr. S. Lancel, op. cit., I, pp. 117-118). I cattolici uscirono tuttavia
vittoriosi e il donatismo fu di nuovo bandito con un editto (CT XVI, 5,52: 30 genn. 412), questa volta con
efficacia maggiore. Per quanto una trentina di vescovi numidi riuscissero a riunirsi in concilio a Círta, verso il
414 (Agost., C, Gaudentiaem I, 37,47) e il vescovo Gaudenzio di Thamugadi rifiutasse di consegnare la
propria cattedrale alle autorità nel 420/21 (Agost., C. Gaudentium), i cattolici erano evidentemente in ascesa.
Parecchie comunità donatiste si riunirono ad essi (Ibidem I, 12,13). L'ultima iscrizione donatista datata
conosciuta viene dalla città di presidio di Ala Milaria (Benian) in Mauretania, ma commemora la costruzione
di una chiesa tra il 434 e il 439 in onore di una martire donatista, la sanctimonialis Robba, e che conteneva i
corpi di membri del clero donatista (CIL VIII, 21570-4; cfr. S. Gsell, Les fouilles de Benian, Alger 1901).
A prescindere dalle edizioni finali del Liber Genealogus, datate tra il 455 e 463 (MGH AA, IX, 196; cfr. P.
Monceaux, Histoire littéraire, IV, 102 e VI, 247-248), l'occupazione dei Vandali e la restaurazione bizantina
forniscono solo poche notizie solide sui donatisti In Numidia (p. es. ad Ain Fakroun: CIL VIII 18742) sono
state trovate comunque iscrizioni di tipo donatista di epoca bizantina, e vi sono chiese rurali nella provincia
che mostrano tracce di occupazione ininterrotta tra IV e VI sec. Il donatismo rinnovò inaspettatamente il suo
vigore nella Numidia del sud durante il pontificato di Gregorio I (Greg., Epp. I, 33; III, 32; IV, 35; VI, 34): ciò
non era in complesso sorprendente, ma le cause restano oscure (sulla questione se vi fu una rinascita
donatista in questo tempo, cfr. R.A. Markus, Donatism, the last phase: Studies in Churcb History, I, 1964, pp.
118-127). Nel VII sec. e all'epoca della invasione araba scende di nuovo l'oscurità.
II. Dottrina. La discussione tra donatisti e cattolici verteva sulla natura della chiesa in quanto società e sulle
relazioni col mondo e le sue istituzioni.
I donatisti si consideravano gli autentici eredi della chiesa dell'Africa del nord quale era stata prima della
grande persecuzione e, in particolare, quale era stata al tempo di Cipriano. Erano dunque conservatori nella
loro liturgia, e celebravano l'agape, così come l'eucaristia, ignorando le nuove festività accettate dai cattolici,
come l'Epifania (Agost., Sermo 202,2), opponendosi al monachesimo (Agost., C. litt. Petiliani III, 40,48 ed
Enarr. in Ps. 132,3) e mantenendo la Bibbia africana mentre i cattolici usavano la Volgata. Essi rimanevano
una fraternitas dedita a combattere il demonio e aspiravano al martirio come í loro progenitori prima della
conversione di Costantino.
Fin dall'inizio della sua storia, verso il 180, la chiesa dell'Africa del nord si era rallegrata dei martiri e del
martirio e si vantava della sua compatta costituzione e del suo carattere esclusivista (cfr. Tertull., De spect. 1
e Apol. 50, 13, «comunità» = secta). «Noi siamo una società (corpus) con un comune sentimento religioso,
una disciplina unitaria e un comune legame di speranze», proclamava Tertulliano (Apol. 39,1). Questa
concezione della chiesa implicava il rifiuto completo della cultura greco-romana e della filosofia (De praesc.
7), l'accettazione della chiesa come dimora vivente dello Spirito santo e del martirio come la morte più
gradita allo Spirito (De Fug. 5), in grado di cancellare l'impronta di ogni peccato post- battesimale (Apol.
50,16; De An. 55,5). Tertulliano sottolinea sempre la natura spirituale della chiesa (De Pud. 21) e l'esigenza
di santità per i suoi membri, come anticipazione della fine imminente. I sacramenti, specie il battesimo,
devono essere amministrati da «un ministro esente dal biasimo del peccato» (De Exhort. Cast. 10 e De
Bapt. 15) e il contrassegno distintivo della chiesa stessa era la purezza e l'integrità (De Pud. 18, «nec
habentem maculam aut rugam»).
Con Cipriano, tra il 248 e i1258, queste stesse idee ricevettero un carattere istituzionale. Confessori e martiri
meritavano la commemorazione da parte della chiesa, ma Cipriano considerava la maggior gloria (del
martirio) appartenente al vescovo (Ep. 13, 1, ed. W. Hartel, CSEL 3,2, pp. 504-505). Solo la chiesa,
rappresentata dai suoi vescovi, può rimettere i peccati. I confessori, per quanto illustri, non hanno tale diritto
(Ep. 27,3) e il martirio volontario (cioè non regolato dalla chiesa) era disapprovato (Ep. 81). D'altro lato,
Cipriano insisteva sull'integrità e purezza della chiesa. «Giardino chiuso» e «fontana sigillata» (Ep. 69,2;
74,11), arca di Noè: queste le principali immagini che aveva a disposizione nel1'AT per descrivere la natura
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esclusivista della chiesa. Di più, nella sua disputa col papa Stefano nel 254-5G, Cipriano trovò i vescovi
africani pronti a convenire in primo luogo che nessun prete in peccato mortale avrebbe potuto amministrare
validamente un sacramento e che era dovere di una comunità separarsi da un prete peccatore, pena il
rischio di una contaminazione nel peccato (Ep. G7,4); secondariamente, non ci poteva essere un battesimo
valido amministrato fuori dalla chiesa e quanti ricevevano il battesimo da eretici o scismatici lo dovevano
ricevere di nuovo al momento in cui entravano nella chiesa cattolica (Cipr., Epp. G9-74 e Sententiae
episcoporum, passim).
La dottrina donatista sulla chiesa combina aspetti tanto di Tertulliano che di Cipriano.
I donatisti condividevano le opinioni di Cipriano sull'importanza assoluta dell'integrità della chiesa e si
appellavano alla sua autorità a sostegno della loro teologia battesimale (Agost., De Baptismo I, 1, «de
beatissimi martyris Cypriani auctoritate»: PL 43, 109). Alla conferenza di Cartagine del 411 il loro Mandatum
(Coll. Carth. III, 258: SCh 224,1196) affermava: «... mostriamo piuttosto che nelle sacre Scritture la chiesa di
Dio è proclamata dappertutto santa e immacolata» («...magis ostendimus Ecclesiam Domini in scripturis
divinis sanctam et immaculatam fore ubique nuntiatam»). In primo luogo viene tuttavia l'integrità. Solo la
chiesa pura dovrebbe essere proclamata all'esterno. Le chiese al di fuori dell'Africa, essendo in comunione
con Cecilíano, avevano apostatato. Il cristianesimo rimaneva soltanto in Africa (Agost., Ad Cathol. Epist.
9,23). Seguendo Cipriano, Parmeniano affermava che la chiesa donatista era veramente il «giardino chiuso
e la fontana sigillata» (hortum conclusum et fontem signatum: Ott., I, 10) e possedeva le doti (dotes)
richieste (ibidem). Da ciò seguiva che solo i sacramenti amministrati da un «ministro santo» cioè un
donatista, erano validi (Petiliano, citato da Agost., C. litt. Petiliani II, 2,4; 7,14: CSEL 52,24,25). Il battesimo
ricevuto da qualcuno al di fuori della chiesa era come se fosse stato ricevuto «da un morto» (ibidem II, 7,14
e cfr. Cipr., Ep. 71,1). Di conseguenza, il battesimo e gli altri sacramenti dispensati dal clero traditor (cioè dai
cattolici) erano invalidi e í cattolici che entravano nella chiesa donatista dovevano essere ribattezzati, una
richiesta che suonava particolarmente scandalosa per Agostino.
Similmente i donatisti accettavano da Cipriano una solida tradizione episcopale, dando grande autorità a
quanto era insegnato dai loro vescovi («Quod volumus sanetum est», cit. da Agost., C. Ep. Parmeniani II,
13,30 e confermato da Crispino di Calama, che parla con «patriarchali sermone», Agost., C. Cresconium III,
4G,50). Parmeniano insegnava, come Cipriano, che il vescovo è intermediario tra il popolo cristiano e Dio
(Agost., C. Ep. Parmen. II, 8,15: PL 43,59-GO). Nella concezione donatista, il vescovo era un uomo biblico,
«che aveva sempre il vangelo sulle labbra e il martirio nel cuore» (Passio Marculi: PL 8, 7G2). Seguendo
ancora Cipriano, la comunione con Roma era mantenuta attraverso una successione di «veri vescovi» (Ott.,
li, 4) che durò fino alla conferenza di Cartagine. Il vescovo donatísta di Roma, però, veniva per importanza
dopo i primati di Cartagine e di Numidia. Finalmente, i donatisti rigettavano le eresie condannate in passato
dalla chiesa.
Da un altro importante punto di vista, tuttavia, la tradizione dottrinale donatista era radicata, a prima di
Cipriano, nelle concezioni originali dei cristiani nordafricani. Come aveva fatto Tertulliano, consideravano la
propria separazione dai cristiani lapsi e la persecuzione da parte dello stato come segni distintivi della
rettitudine. Per citare di nuovo il Mandatum donatista del 411, essi affermavano anzitutto che si trattava di
«vescovi della verità cattolica, che soffre persecuzione, non che perseguita» (Januarianus et caeteri,
episcopi veritatis catbolicae quae persecutionem patitur, non quae facit: SCh 224,1194 = PL 11,1408 B).
Essi non riconoscevano i «tempi cristiani» dovuti alla conversione degli imperatori al cristianesimo. Petiliano
di Costantina, come Donato (Quid est imperatori cum ecclesia?»: Ott., III, p. 73), considera i magistrati
secolari come irrevocabilmente ostili alla chiesa, e la chiesa donatista come quella che continua la tradizione
del giusto sofferente che si può rintracciare fino all'epoca di Caino e Abele (Petiliano di Costantína, cit. da
Agost., C. litt. Petiliani II, 92,202).
II ruolo del popolo di Dio sofferente implicava l'ideale del martirio, compreso il martirio volontario, deprecato
da Cipriano (Ep. 81). La cosa è chiara, come altre volte, in Petiliano: «Perciò io dico che egli (Cristo) ha
ordinato che noi dobbiamo subire la morte per la fede che ciascuno deve mantenere per essere in
comunione con la chiesa. II cristianesimo infatti progredisce grazie alla morte dei suoi seguaci» (Agost., C.
litt. Petiliani II, 89,196; cfr. Tertull., ApoZ. 50,13, «II sangue dei cristiani è seme»). Nella Numidia rurale, le
cappelle donatiste non mancavano di avere il corpo di un martire (vero o presunto) sotto l'altare e,
vicinissimo, un vaso sigillato o un'urna contenente reliquie (cfr. per molti esempi, A. Berthier e al., Les
Vestiges du Christianisme). Era la «successione dei martiri» che importava (Acta Saturnini 20: PL 8,703) e,
come al tempo di Tertulliano, il martirio era accettato volentieri quale indicazione del continuo lavoro dello
Spirito santo nella chiesa. «Nella nostra chiesa» affermava l'autore degli Acta Saturnini (c. 20) «le virtù del
popolo sono moltiplicate dalla presenza dello Spirito. La gioia dello Spirito è vincere nei martiri e trionfare nei
confessori» (cfr. Tertull., De Spect. 29, «ad tubam angeli erigere, ad martyrum palmas gloriare»). La liturgia
donatista, pertanto, sembra aver lasciato spazio a canti estatici o entusiastici di lode così come alla
celebrazione dell'eucaristia.
«Lodate il Signore ed esaltatelo, o giusti, gloriamoci nel Signore e rallegriamoci»; questa iscrizione di una
chiesa di Thamallula, in Mauretania, riassume la convinzione di molti donatisti ordinari nel IV sec. (S. Gsell,
Bull. arch. du Comité des travaux historiques et archéologiques, 1908, p. CCXVI); «lode a Dio», Deo laudes,
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era la parola d'ordine e il grido di guerra dei donatisti, immediatamente riconoscibile come tale (Agost., Ep.
108,5,14; C. litt. Petiliani II, 65,146; 84,188; Enarr. in Ps. 132,61cfr. Monceaux, Histoire littéraire, IV, pp. 439443 e A. Berthier e al., op. cit., p. 77). Nel medesimo tempo i donatisti formarono laici intellettuali e ben
preparati (cfr. Agost., Epp. 43 e 44), come Cresconio, al cui trattato in difesa di Petilíano Agostino dedicò
quattro libri di risposta, e abili teologi come Vitellío Afer (Gennad., De Script. Eccles. 4: PL 59,1059) e
Ticonio. Quest'ultimo sviluppò 1a dottrina secondo cui il popolo di Dio era stato diviso da tempo
immemorabile in veri e falsi fratelli, e che Donato aveva giustamente insistito su questa separazione, in una
maestosa teoria sulla stessa società umana. Le due chiese rappresentavano due tipi di umanità, definiti
meno dalle obbedienze esteriori che dalle volontà degli individui riguardo alla giustizia o riguardo al male.
Queste idee, per quanto ripudiate dai donatisti, influenzarono la concezione agostiniana delle «due città»
(cfr. A. Pincherle, Da Ticonio a Sant'Agostino: Ricerche Religiose 1 [19251443-466). L'esegesi biblica di
Ticonio, riassunta nelle sue Regulae, ebbe pure grande influsso sulla più tarda esegesi medievale, specie
quella di Beato di Liébana e di Beda.
III. Un movimento di protesta. Per quanto originariamente e principalmente movimento religioso, che
considerava Donato un riformatore e purificatore della chiesa (Agost., C. Cresconium III, 56,62) e traeva i
suoi aderenti da ogni classe all'interno della chiesa nordafricana, il d. aveva un forte richiamo sociale e
culturale. Il recupero della psicologia del martire e della tradizione apocalittica del cristianesimo nordafricano
richiamava in modo particolare i cristiani delle comunità rurali, per i quali la riforma amministrativa e fiscale di
Diocleziano e Costantino significava tasse più forti e un maggior carico di debiti.
« Non sono stati gli storici moderni a inventare la Numidia donatista» (Lancel, op. cit., I, p. 155). Le
testimonianze contemporanee concordemente ammettono che il d. ha avuto origine dalla Numidia e dalla
Mauretania Sitifense, specialmente nelle aree rurali (così Agost., Epp. 58,1 e 129,6; Enarr. in Ps. 36,11,19:
«Adtende nunc Caecilianum: tu servasti Numidiam, ille orbem terrarum», ed l:p. ad Catbol. 19,5 1, «Numidia
ubi vos praepolletis»; cfr. Petiliano, Coll. Carth. I, 165, e Alipio, ibidem, I, 181 [diocesi rurali donatiste];
Praedestinatus, De Haeres. 69, riguardo ai circoncellioni, «in partibus Numidiae superioris et Mauretaniae»).
L'identità ecclesiastica della Numidia, risalente alla fine del III sec., rifletteva le differenze economiche e
geografiche rispetto all'Africa proconsolare. Il versante sud dell'Atlante costiero e le vallate fluviali si
dispongono in un elevato altopiano che i Romani, nel II sec., erano riusciti a trasformare in una zona di
colture secche, in particolare di olivo e orzo. Dal sec. IV questa regione si era fittamente popolata di villaggi
(cfr. S. Gsell, Atlas archéologique de l'Algérie, Paris 1911, spec. feuille, Constantine, e A. Berthier e al., op.
cit., pp. 23-31). Gli edifici rimasti e i saggi di scavo nella Numidia centrale, particolarmente ad opera di André
Berthier e colleghi dal 1930 in poi hanno rivelato una popolazione cristiana uniforme. Le chiese e cappelle
dedicate ai martiri costituivano, insieme con i frantoi privati per le olive, le costruzioni più significative dei
villaggi (A. Berthier e al., op. cit., pp. 166-171). Nonostante l'insufficienza dei criteri di datazione,
sembrerebbe che molte di queste cappelle fossero in uso contemporaneamente, tra il 380 e il 450 (Berthier,
op. cit., p. 170).
Prima della «grande persecuzione», il cristianesimo in Numidia tendeva a essere senza compromessi nei
suoi atteggiamenti (cfr. Acta Maximiliani, ed. II. Musurillo, Oxford 1972, p. 244). L'appoggio per il d.
rappresentato dallo stesso Donato di Casae Nigrae era da aspettarsi. Agostino riteneva che lo scisma
avesse avuto origine in Numidia (Serm. 46,15,39: PL 38,293). Quando verso il 340 Fecero la prima
comparsa i circoncellioni (Ott., III, 4), essi mostrarono che i gravami economici e sociali (debiti e senso di
ingiustizia sociale) avevano trovato il loro sbocco attraverso il d. Tuttavia, l'antagonismo nei confronti dei
proprietari terrieri si espresse in termini religiosi. I capi dei círconcellioní si designavano come duces
sanctorum mentre gli altri erano gli agonistici (Ott., III, 4, p. 81). Gli imperatori che avrebbero voluto
reprimere i donatisti erano detti «precursori dell'Anticristo», rappresentanti del saecultsna (Passio Maximiani
et Isaaci: PL8, 768 A; Passio Marculi, ibidem, 761 D) al quale í cristiani avevano il dovere di opporsi
eternamente. Nel V sec. la stessa ostilità nei confronti delle autorità secolari si manifestò contro Genserico e
i dominatori vandali (Liber Genealogus, 627: ed. MGH, AA, IX, 19G).
Alcuni capi donatisti appoggiarono il capo ribelle dei Cabili, Firmo, nel 372-375 (Agost., Ep. 87,10 e C. Ep.
Parnem. I, 10,16 e 11,17) e si è stabilito che una delle cause della rivolta furono le tasse esorbitanti (Zos.,
Hist. nova IV, 16). Anche la rivolta di Gildone ricevette sostegno in Numidia (Agost., C. Ep. Parmera. II, 2,4 e
C. litt. Petiliani II, 23,53; 83,184; e 92,209) ma sarebbe anacronistico considerare il d. una rivolta politica
contro l'impero o anche frutto del particolarismo nordafricano. In termini di vita culturale dell'Africa del nord, il
d. numida segnò una vigorosa rinascenza dell'arte tradizionale indigena nordafricana, specie di quella della
scultura in legno (cfr. Frend, The Revival of Berber Art: Antiquity 16 [1942J 342- 352); la lingua della liturgia
e della predicazione della chiesa donatista era il latino. I capi donatisti, quali Petiliano o Emerito,
provenivano dalla stessa classe che parlava latino e si era formata sui classici, come gli stessi avversari
cattolici. Nondimeno, il movimento stesso dei circoncellioni non sarebbe apparso credibile senza una reale
per quanto non pienamente articolata connessione tra la tradizione rigorista del cristianesimo in Africa del
nord, riflessa dai donatisti, e il malcontento politico ed economico. I vescovi donatisti, come Macrobio, rivale
di Agostino a Ippona, erano pronti a identificarsi col movimento dei circoncellioni, nonostante le differenze di
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cultura o anche di lingua (cfr. Agost., F.p. 108, 5,14 ed Fp. 111,1). Agostino, d'altronde, si trovava più a suo
agio con le classi più ricche o di governo della sua diocesi (cfr. Frend, The Donatist Church, c. 20).
Conclusione: Il d. cominciò come una rivolta contro ciò che molti cristiani in Africa del nord consideravano un
tradimento della fede da parte dei propri capi, e continuò come protesta contro gli effetti dei chszstiana
tempora iniziati con Costantino; trasse la sua forza dalle tradizioni puritane e apocalittiche della teologia
nordafricana. Tanto il laicato e il clero colto che i circoncellioni della campagna poterono trovare la propria
identità all'interno della chiesa donatista. Di più, il d. fu sostenuto da forti memorie popolari, quella del dies
traditionis/tburificationis (cfr. CIL VIII, 6700) e della «persecuzione di Paolo e Macario» (i tempora
macariana). Il fatto che il d. non sia divenuto la religione della popolazione nordafricana - così come il
monofisismo divenne la religione dei copti - dipese da un'avversa combinazione di circostanze. Al momento
cruciale del fallimento della rivolta di Gildone nel 398, i donatisti si trovarono a confronto con una chiesa
cattolica ravvivata e riorganizzata, abilmente guidata da Agostino e dai suoi amici e sostenuta dal potere
coercitivo dell'autorità imperiale. Dopo il 429, la prevalenza di nuovi fattori religiosi, politici e militari sotto i
Vandali e i Bizantini impedì l'efficace rinascita del d., finché lo stesso cristianesimo in Africa del nord volse
irrimediabilmente al declino. L'eredità donatista di puritano non conformismo che associava la
preoccupazione per l'integrità cristiana con la giustizia sociale è però sopravvissuta e ha continuato a
influenzare il pensiero e l'azione cristiana in Occidente fino ai nostri giorni.
W.H.C. Frend
IV. Nelle regioni extra africane. Si hanno notizie di gruppi donatisti in Italia, Spagna e Gallia, sparuti quanto a
numero e pochissimo attivi. In Roma riorganizzarono la comunità dei montenses, donde le dominazioni di
montenses, campitae e campenses. Secondo Ottato (Il, 4), il gruppo romano fu fondato nel 320; in un primo
momento guidato da un amministratore temporaneo (interventor), poi da un vescovo. Agostino (Contra litt.
Petiliani II, 108,246; Ep. ad, cath. secta donat. 3,6) attesta che i donatisti inviarono un vescovo a Roma e
nella Spagna. La Coll. Car'hag, ci ha riportati i nomi di questi vescovi: Víttorino, Bonifacio, Eucolpio,
Macrobio, Luciano, Claudiano e Felice. Claudiano si costituì papa dei donatisti, sostenuto dai partigiani
dell'antipapa Ursino, e si oppose a llamaso, papa della Cattolica, il quale, con l'aiuto del braccio secolare,
cercò di esiliarlo; ma Claudiano riuscì a rimanere a Roma fino al 378 quando, in occasione del concilio
romano, venne espulso. Nel concilio di Roma del 386, si riconciliarono donatisti e cattolici, e i pochi donatisti
esistenti si unirono ai cattolici. In Spagna, non sappiamo dove si stabilirono. Probabilmente qui, o nelle
Gallie, morì Donato il Grande e fu ordinato Parmeniano (Ott., II, 7). È tradizionale (così i Maurini e
Monceaux) l'affermazione che Lucilla, fautrice dello scisma, fosse spagnola, nonostante divergano le notizie
che ci vengono in merito da Ottato, Agostino e dal processo contro Silvano. I rapporti dei donatistí con la
Spagna lasciarono tracce tra i priscillianisti. In Gallia, cominciarono a vivere in gruppi durante la dominazione
e la persecuzione dei Vandali e durante la emigrazione degli scismatici. Nel concilio di Arles (314), si chiarì
la contesa tra Ceciliano e Donato. Il vescovo cui si riferisce Agostino (Cotatra Cresc. III, 63,70) doveva
vivere certamente in Gallia. Leone Magno e Avito ci informano che nel 458 e nel 502 esistevano ancora dei
donatisti a Narbona e a Lione, che finirono, forse, con l'essere assorbiti dai cattolici.
E. Romero Pose
ICCU per Soggetto Donatismo
Maier, Jean Louis, Le dossier du donatisme / Jean-Louis Maier, Berlin: Akademie-Verlag, 1987-1989, Texte
und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur
Note Generali: V. 1: Des origines a la mort de Costance 2. (303-361); v. 2: De Julien l'Apostat a saint Jean
Damascene (361-750).
Caputo, Tommaso, Il processo a Ceciliano di Cartagine: indagine storico-giuridica sulla prima fase della
contoversia donatista, 312-316 / Tommaso Caputo
Edizione: Roma: Pontificia universita lateranense, 1981, , 52 p.; 24 cm (( Estr. dalla tesi di dottorato)
Descrizione fisica: In testa al front.: Pontificia universitas Lateranensis, Intitutum utriusque juris .
Pincherle, Alberto <1894-1979>, Il donatismo, Roma: Ediz. Ricerche, Corsi universitari
Brisson, Jean-Paul, Autonomisme et christianisme dans l'Afrique romaine de Septime Severe a l'invasion
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Boyer, Charles<1884-1980>, Sant'Agostino e i problemi dell'ecumenismo / Carlo Boyer, Roma: Studium,
1969!, Universale Studium; 109-110
Frend, William Hugh Clifford, The Donatist Church: a movement of protest in Roman North Africa / by W. H.
C. Frend, Oxford: at The Clarendon press, 1952, Oxford scholarly classics
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Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici
Tilley, Maureen A., The bible in christian north Africa: the donatist world / Maureen A. Tilley, Minneapolis:
Fortress press, c1997
Augustinus, Aurelius <santo> : 15.1: Polemica con i donatisti : Salmo abecedario, Contro la lettera di
Parmeniano, Sul battesimo: testo latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum
ecclesiasticorum Latinorum; introduzione generale di Robert A. Markus; introduzioni particolari, traduzioni e
note di Antonio Lombardi , Roma : Citta Nuova, [1998!
Parte 1., Opere polemiche, volume 15/1 - Fa parte di: Opere di sant'Agostino
15.2: Contro le lettere di Petiliano; Lettera ai cattolici sulla setta dei Donatisti / sant'Agostino;
introduzioniparticolari, traduzione e note di AntonioLombardi; indici di Franco Monteverde
16.1: Contro Cresconio grammatico donatista; Unicita del battesimo; Contro Petiliano /sant'Agostino;
introduzioni particolari, traduzione e note di Eugenio Cavallari; indici di Franco Monteverde
16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti; Ai Donatisti dopo la
conferenza; Discorso ai fedeli della chiesa di Cesarea; Atti delconfronto con Emerito; Contro Gaudenzio
/sant'Agostino; introduzione generale,introduzioni particolari, traduzione e notedi Eugenio Cavallari; indici di
FrancoMonteverde
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Conte 523; Bettini 920-21.
Donatismo Encarta
Donatismo Movimento ereticale cristiano sorto in Africa settentrionale nel 311 per iniziativa di 70 vescovi che
consideravano non valida la consacrazione del nuovo vescovo di Cartagine Ceciliano. Quest'ultimo, durante
la persecuzione di Diocleziano, si era sottomesso alle autorità romane, consegnando i libri sacri invece di
resistere fino al martirio. Proclamando il dovere della Chiesa di escludere dal numero dei suoi membri i fedeli
che si erano macchiati di gravi peccati e l'invalidità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni, i
seguaci del movimento riuscirono nel 315 a fare eleggere vescovo di Cartagine Donato, da cui il nome di
donatisti. Tuttavia, l'imperatore Costantino ratificò l'elezione di Ceciliano e tentò di piegare i donatisti con la
forza. Dopo le persecuzioni di Costante I, si cercò invano nel 411 di ricomporre lo scisma con un'assemblea:
nel 414 i donatisti furono privati dei diritti civili e ogni loro attività fu proibita con la minaccia della pena di
morte; il movimento incominciò allora a declinare, sopravvivendo comunque fino alla conquista islamica
dell'Africa settentrionale.
Donato (il Grande)
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Cenni biografici
Avrebbe avuto un'ottima educazione letteraria e sarebbe stato fornito di una straordinaria
eloquenza.
Controllo e adeguamento con quanto specificato sopra.
Fin dal 313 aveva sostituito Maggiorino a capo dei dissidenti.
Mandato in esilio morì nel 335 ???.o 368?
Opere
Scrisse intorno al 336??? una Epistula de baptismo in cui sosteneva che i cattolici non potevano
essere considerati cristiani perché privi della grazia divina. Una delle conseguenze era che il
battesimo da loro amministrato non aveva valore e quindi i cattolici che passavano ai donatisti
dovevano essere nuovamente battezzati.
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill., 93
[0695B] 929 Donatus, a quo Donatiani per Africam sub Constantio [i [0696D] Ita legunt codices nostri
omnes, et quos passim alii inspexere. Martianaeus post Victorium, sub Constante Constantinoque,
perperam, ut etiam aliae editiones, quae sub Constante et Constantio legunt. Schismatis Donatistarum
originem a Constantini aevo repetendam, quis nescit?] Constantinoque principibus pullulaverunt, [0695C]
asserens, a nostris Scripturas in persecutione Ethnicis traditas, totam pene Africam et maxime Numidiam,
sua persuasione decepit. Exstant ejus multa ad suam haeresim pertinentia opuscula, et de Spiritu sancto
liber, Ariano dogmati [j [0696D] Donati scripta omnia jamdiu interciderunt. Recolendus porro est insignis
Augustini locus haeresi 69, quem et Fabricius describit: Exstant scripta ejus (Donati) ubi apparet, cum etiam
non Catholicam de Trinitate habuisse sententiam, sed quamvis ejusdem substantiae, minorem tamen Patre
Filium, et minorem Filio putasse Spiritum sanctum. Verum in hunc quem de Trinitate habuit, errorem,
Donatistarum multitudo intenta non fuit, nec facile in eis quisquam qui hoc illum sensisse noverit, invenitur.
congruens.
Donato, dal quale i donatisti si diffusero nell’Africa sotto gli imperatori Costantino e Costanzo, sosteneva
che, durante la persecuzione, da parte dei Cristiani erano state consegnate ai pagani le Sace Scritture.
Riuscì ad ingannare, con le sue arti seduttrici, quasi tutta l’Africa, e particolarmente la Numidia. Di lui restano
molti scritti riguardanti la sua eresia e un libro Sullo Spirito Santo, conforme all’eresia ariana.
Trad. E. Camisani, Roma, Città Nova, 2000.
Bibliografia
Controllo Migne
ICCU per Soggetto mirata a Donatisti, -ismo
Niente per Donato il Grande, troppo per Donato
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Parmeniano
Cenni biografici
Di origine galliche o spagnole.
Successe a Donato come vescovo di Cartagine nel 368 (secondo altri capo dei donatisti dal 362).
Tra i massimi rappresentanti del Donatismo, visse fino al 391-92. Le sue tesi furono confutate da
Ottato di Milevi e da Agostino.
Opere
Adversus ecclesiam traditorum. Opera perduta, in 5 libri, composto intorno al 362. Una
ricostruzione di materie e temi è possibile attraverso la confutazione di Ottato di Milevi. La vera
chiesa è quella dei Donatisti; quella cattolica è già stata condannata dai profeti. Caratteri del
battesimo. Storia degli avvvenimenti dello scisma donatista.
Epistula ad Tyconium. Perduta, era rivolta a Ticonio, donatista dissidente. Composta nel 378 fu
confutata da Agostino, attraverso il cui Contra epistolam Parmeniani riusciamo a ricostruire temi e
contenuti.
Salmi di sostegno alle dottrine.
Testi e testimonianze
Bibliografia
Edizioni
Controllo ed. C. Ziwsa, CSEL 26, 1893
PLS, 1, 184-87.
ICCU per Soggetto Parmeniano
Niente anche per autore ita/lat/
Iccu per Titolo
Autore: Augustinus, Aurelius <santo>
Titolo: 15.1: Polemica con i donatisti : Salmo abecedario, Contro la lettera di Parmeniano, Sul battesimo :
testo latino dell'edizione maurina confrontato con il Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum /
Sant'Agostino ; introduzione generale di Robert A. Markus ; introduzioni particolari, traduzioni e note di
Antonio Lombardi , Roma : Citta Nuova, [1998!
Parte 1., Opere polemiche, volume 15/1
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Fa parte di: Opere di sant'Agostino
Comprende: 15.1: Salmo abecedario ; Contro la lettera diParmeniano ; Sul battesimo / sant'Agostino
;introduzione generale di Robert A. Markus ;introduzioni particolari, traduzione e notedi Antonio Lombardi
16.2: Interventi alla conferenza di Cartagine; Sommario della conferenza con i Donatisti ;Ai Donatisti dopo la
conferenza ; Discorso aifedeli della chiesa di Cesarea ; Atti delconfronto con Emerito ; Contro Gaudenzio
/sant'Agostino ; introduzione generale,introduzioni particolari, traduzione e notedi Eugenio Cavallari ; indici di
FrancoMonteverde
15.2: Contro le lettere di Petiliano ;Lettera ai cattolici sulla setta deiDonatisti / sant'Agostino ;
introduzioniparticolari, traduzione e note di AntonioLombardi ; indici di Franco Monteverde
16.1: Contro Cresconio grammatico donatista ;Unicita del battesimo ; Contro Petiliano /sant'Agostino ;
introduzioni particolari,traduzione e note di Eugenio Cavallari ;indici di Franco Monteverde
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Bettini, 3, 669 e 888 (cenni breviss.). Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 345-346.
Petiliano di Costantina
Cenni biografici
Fu l’elemento di punta del donatismo tra IV e V secolo ed ebbe un ruolo di primo piano nel concilio
di Cartagine del 410.
Opere
Epistula ad presbyteros. Composta nel 401, contiene una rassegna delle questioni dibattute tra
cristiani e donatisti. Fu confutata a più riprese da Agostino nel Contra litteras Petiliani, anche
quando nella controversia tra i due si inserì Cresconio, cui pure Agostino rispose con il Contra
Cresconium.
De unico baptismo (410 ca.)
Bibliografia
Controllo ed. C. Ziwsa, CSEL 26, 1893
PLS, 1, 184-87.
Ticonio
Cenni biografici
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Pressochè nulla si sa di questo che forse fu tra i più significativi autori donatisti per cultura, specie
scritturistica. Fu attivo tra il 370 e il 390: per le sue posizioni di conciliazione, entrò in polemica con
Parmeniano e fu scomunicato in un sinodo donatista intorno al 380, ma rimase fedele alla causa
del donatismo.
Opere
Gennadio cita due opere, verosimilmente da collocare nel 370 e 375, De bello intestino e
Expositiones diversarum causarum, per noi perdute e al centro delle polemiche con gli altri
donatisti.
Altre opere:
Liber regularum (Liber de septem regulis). Scritto intorno al 380, secondo altri intorno al 392. Si
può considerare il primo trattato di ermeneutica biblica di una certa sistematicità apparso
nell'Occidente latino: ebbe un forte influsso su Agostino (che ne dà dettagliata notizia del De
doctrina christiana) e viene citato con rispetto da Cassiodoro.
Le regole dovevano aiutare a interpretare in modo allegorico testi sacri di problematica
interpretazione.
Così si legge nella praefatio: "Necessarium duxi ante omnia quae mihi videntur, libellum
Regularum scribere et secretorum leges, veluti claves et luminaria fabricare. Sunt enim quaedam
regulae mysticae, quae universae legis recessus obtinent, et veritatis thesauros aliquibus
invisibiles faciunt. Quarum si ratio regularum sine invidia, ut communicamus, accepta fuerit, clausa
quaeque patefient, et obscura dilucidabuntur, ut quis prophetiae universam silvam perambulans,
his regulis quodammodo lucis tramitibus deductus, ab errore defendatur. Sunt autem regulae istae.
I. De Domino et corpore ejus.II. De Domini corpore bipartito.III. De promissis et lege.IV. De specie
et genere.V. De temporibus.VI. De recapitulatione.VII. De diabolo et ejus corpore."
Commento all'Apocalisse. In tre libri. Di esso ci restano solo alcune citazioni e alcuni excerpta. Il
commento ebbe in ogni caso una notevole fortuna fra il V e il VII secolo. Era di tipo
prevalentemente allegorico.
Testi e testimonianze
August.. contr. Epist. Parmen. lib. I, cap. 1, [Migne]
«Hominem ait [(b) [0013C] Aug. contr. Epist. Parmen. lib. I, cap. 1, opp. tom. IX, pag. 11.] fuisse et acri
ingenio praeditum et uberi eloquio, sed tamen Donatistam. Qui aliquando sanctarum paginarum vocibus
circumfusus, evigilavit; ut propterea adversus ipsos suos calamum strinxerit. Hoc ergo suscepto, subdit
sanctus Doctor, Tichonius cum vehementer copioseque dissereret, et ora contradicentium multis et magnis
ac manifestis sanctarum scripturarum testimoniis oppilaret, non vidit quod consequenter videndum [0013B]
fuit. Nimirum, inquit [(c) [0013C] Id. de Doctr. Christ. lib. III, cap. 30, num. 42, tom. III, pag. 57.] , contra
Donatistas invictissime scripsit, cum fuerit Donatista; et illic invenitur absurdissimi cordis, ubi eos non omni
ex parte relinquere voluit.»
Traduzione Agostino
Gennad., de vir.ill. 18 [Migne]
TICHONIUS natione Afer, in divinis litteris eruditus, juxta historiam sufficienter, et in saecularibus non
ignarus fuit; in ecclesiasticis quoque negotiis studiosus. Scripsit de Bello intestino libros tres et Expositiones
diversarum causarum, in quibus ob suorum defensionem, antiquarum meminit synodorum. E quibus
omnibus agnoscitur [d [1071C] Ms. Corb., Donatistarum partis.] Donatianae partis fuisse. Composuit et
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Regulas ad investigandam [e [1071C] Verba et inveniendam desunt in Corbei] et inveniendam
intelligentiam Scripturarum, septem, quas in uno volumine conclusit. Exposuit et Apocalypsin Joannis [f
[1071C] Id., ad integrum, . . . . sed tantum intelligens spiritalem. In qua exponens dixit.] ex integro, nihil in ea
carnale, [1071B] sed totum intelligens spiritale. In qua expositione dixit, angelicam stationem corpus esse.
Mille quoque annorum regni in terra justorum post resurrectionem futuri suspicionem dulit; neque tuas in
carne [g [1071C] Ms. Corbei., Suspicionem tulit. Neque duas in carne resurrectiones futuras inter justos et
inter injustos, sed unam et in semel omnium. In qua resurrectione abortivi deformati resurgant (infra c. 38) .
Distinctionem sane duabus resurrectionibus, etc.] mortuorum resurrectiones futuras, unam justorum, et
aliam injustorum, sed unam et semel omnium, in qua resurgent etiam abortivi [h [1071C] Al. reformati, et
mox, ne quid humani generis deformatum et animatum substantia intereat, vel animatae [1071D]
substantiae intereat.]
deformati, ne quid humani generis animatae substantiae intereat, ostendit.
Distinctionem sane duarum resurrectionum ita facit: Primam, quam justorum, Apocalypsis dicit, [1072A]
credimus modo in Ecclesiae incremento agi, ubi justificati per fidem a morticinis peccatorum suorum per
baptismum ad vitae aeternae stipendium [i [1071D] Ms. Corb., homines suscitantur. Duo vero genera
omnium hominum, justorum et peccatorum. Floruit, etc.] suscitantur, secundam vero generaliter omnis
hominum carnis. Floruit hic vir aetate qua jam memoratus Ruffinus, Theodosio [j [1071D] Theodosio cum
filiis suis.] et filio ejus regnantibus.
Cassiod., Comm. in Psal., praef. 13
Caeterum delicta a Christo probantur funditus aliena: unde Tichonius in libris Regularum latius diligenterque
[0018B] disseruit (Vide D. August. lib. III de Doctr. Chr., cap. 30) .
Isid., Sententiae, 19 (de septem regulis) in realtà non lo cita?
[ Nota MigneCAP. XIX.—N. 1. Has septem regulas veluti claves aperiendi sensus divinae Scripturae reconditos
excogitavit Ticonius. August., lib. III de Doctrina Christiana, c. 30: Ticonius, inquit, quidam, qui contra
Donatistas invictissime scripsit, cum fuerit Donatista; et lib. II Contra epistol. Parmeniani, cap. 28, vocat eum
magistrum, ejusque interpretandi divinam Scripturam, leges et formulas, tanti fecit, ut Cypriani expositionibus
praetulerit, ut constat lib. II Retractat., et lib. III de Doctrina Christiana, cap. 30, ubi de harum regularum
utilitate sic inquit: Necessarium duxi ante omnia quae mihi videntur, libellum Regularum scribere, et
secretorum leges, veluti claves et lumina, fabricare; sunt enim quaedam regulae mistae, quae universae
legis recessus obtinent, et veritatis thesauros aliquibus visibiles faciunt. Quarum si ratio regularum, sine
invidia, ut communicamus, accepta fuerit, clausa quaeque patefient, et obscura dilucidabuntur, ut quisque
prophetiarum immensam silvam perambulans, his regulis quodammodo quasi lucis tramitibus deductus ab
[0581D] errore defendatur. Et subdit: Caute sane legendus est, non solum propter quaedam, in quibus, ut
homo, erravit, sed maxime propter illa quae sicut Donatista haereticus loquitur. Meminit et Cassiodorus
harum regularum in Praefat. comment. in Psalm. Scripsit idem Ticonius expositiones in Apocalyp. Joannis, ut
auctor est Gennadius et Beda in Apoc.]
Beda, Apoc. ?
Osservazioni
"colui che fu forse il più significativo degli scrittori donatisti, la cui importanza sta acquistando
sempre maggior rilievo con il progredire degli studi sull'antica esegesi cristiana".
Moreschini, 2/1, pp. 348-49
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Predilige esegesi allegorica, applicata al Commento all'Apocalisse (Bettini)
Bibliografia
Edizioni
Liber de septem regulis.
PL Migne vol 18, 15-66.
PLS 1, 621-52. (Comm.Apoc.?)
Ed. e trad. F. C. Burkitt, Cambridge: at the University press, 1894, Texts and studies; 3.1
Ed. trad. e comm. W. S. Babcock, Atlanta, Scholars Press, 1989, Texts and translations. Early
Christian literature series
Trad. e comm. J-M. Vercruysse, Paris, Les editions du Cerf, 2004, Sources chretiennes; 488
Trad. L. e D. Leoni, Bologna: EDB, 1997, Epifania della Parola. N. S
Studi
M. Simonetti, Lettera e/o allegoria, Augustinianum, Roma 1985.
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 109-112
(M. Simonetti).
ICCU per Soggetto Ticonio?
ICCU per Autore: Tyconius
Ticonius, The Turin fragments of Tyconius commentary on revelation / ed. by the late Francesco Lo Bue;
and prepared for the press by G. G. Willis, Cambridge: Cambridge University Press, 1963
Fa parte di: Text and studies: contributions to Biblical and Patristic literature. #New series .
Ticonius, Text and studies: contributions to Biblical and Patristic literature. #New series
Comprende: The Turin fragments of Tyconius commentary onrevelation / ed. by the late Francesco Lo Bue;
and prepared for the press by G. G. Willis
Ticonius, The book of rules of Tyconius: newly edited from the mss with an introduction and examination into
the text of the biblical quotations / by F. C. Burkitt, Cambridge: at the University press, 1894, Texts and
studies; 3.1
Ticonius, Le livre des Regles / Tyconius; introduction, traduction et notes par Jean-Marc Vercruysse, Paris:
Les editions du Cerf, 2004, Sources chretiennes; 488
Titolo uniforme: Liber regularum
Tyconii Afri Donatistae liber regularum, Cambridge: Burkitt, 1894, Texts and studies
Titolo uniforme: Liber regularum
Tyconius: the book of rules / translated, with an introduction and notes by William S. Babcock, Atlanta:
Scholars Press, 1989, Texts and translations. Early Christianliterature series
Texts and translations
Note Generali: Testo latino e traduzione inglese del: Liber regularum
Ticonius, Sette regole per la Scrittura / Ticonio; a cura di Luisa e Daniela Leoni, Bologna: EDB, [1997],
Epifania della Parola. N. S
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ICCU per Titolo: Tyconius
Hahn, Traugott, Tyconius-studien: ein Beitrag zur Kirchen und Dogmengeschichte des 4. Jahrhunderts /
Traugott Hahn
Edizione: Neudruck der Ausgabe Leipzig 1900, AAlen: Scientia, 1971, Studien zur Geschichte der Theologie
und derKirche
Note Generali: Rist anast. dell'ed.: Leipzig, 1900.
Rauh, Horst Dieter, Das Bild des Antichrist im Mittelalter: von Tyconius zum deutschen Symbolismus,
Munster: Aschendorff, 1973, Beitrage zur Geschichte der Philosophie undTheologie des Mittelalters. N. F; 9
Rauh, Horst Dieter, Das Bild des Antichrist im Mittelalter: Von Tyconius zum Deutschen Symbolismus / Horst
Dieter Rauh
Edizione: 2. verb. und erw. Aufl, Munster: Aschendorff, 1979, Beitrage zur Geschichte der Philosophie
undTheologie des Mittelalters. N. F; 9
Cazier, Pierre, Cassien auteur presume de l'epitome des Regles de Tyconius / Pierre Cazier, Paris: [s.n.,
1976?!
Note Generali: Estr. da: Revue des etudes augustiniennes, v. 22(1976)
Steinhauser, Kenneth B., The Apocalypse commentary of Tyconius: a history of its reception and influence /
Kenneth B. Steinhauser, Frankfurt am Main <etc.>: Peter Lang, c1987, Europaische Hochschulschriften.
Reihe 23.,Theologie
Bright, Pamela, The Book of rules of Tyconius: its purpose and inner logic / Pamela Bright, Notre Dame, IN,
Christianity and judaism in antiquity
Bettini 3, 891. Moreschini, 2/1, pp. 348-50
Ottato di Milevi
Cenni biografici
Originario di Milevi, in Numidia. L'unica ?notizia ci arriva da Agostino (Contra Parmen., 1,3,5).
Secondo Girolamo (de vir.ill. 110) il Contra Parmenionem Donatistam è scritta sotto Valentiniano e
Valente (date).
Già morto intorno al 400.
Opere
La sua confutazione del donatismo è raccolta nei sei libri (frammentario è un settimo) del Contra
Parmenianum Donatistam, pubblicato nel 366.
Nell'opera compresi:
Storia dello scisma donatista
Esiste una sola chiesa, quella cattolica.
I cattolici non sono responsabili dei provvedimenti presi dal governo contro i ribelli.
Confutazione dell'interpretazione scritturale di Parmeniano
Validitò del battesimo e in genere dei sacramenti.
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Odio e fanatismo dei donatisti verso i cattolici.
Esiste una seconda redazione dell'opera, che presenta un settimo libro ai precedenti, ma può
ritenersi allo stadio preliminare.
Testi e testimonianze
Hier., de vir.ill., 110
Testo latino
Ottato, africano, vescovo di Milevi, di parte cattolica, sotto gli imperatori Valentiniano e Valente, compose sei
libri Contro la calunnia della setta donatista. Ivi, sostiene che l’accusa dei donatisti si scaglia falsamente
contro i cattolici.
Trad. E. Camisani.
August., dottrina cristiana 2,40,61 (per lode stile)
August., contra Parmen.
Bibliografia
Edizioni
Contra Parmenianum Donatistam, Appendix decem monumentorum veterum – ed. C. Ziwsa 1893,
CSEL Vol. 26
controllo ed. L. Dattrino, Roma, Città Nuova, 1988
Traité contre les donatistes, I, Livres I et II
Introduction, texte critique, traduction et notes par Mireille Labrousse, 95, SCh 412.
Traité contre les donatistes, II, Livres III à VII
Texte critique, traduction, notes et index par Mireille Labrousse, 96, SCh 413.
Studi
Mazzucco C., Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive, Bologna, Patron, 1993.
Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive , "Pubblicazioni del Dipartimento di
Filologia, linguistica e tradizione classica" 3, Bologna, Pàtron, 1993, 205 pp.;
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 113-116
(M. Simonetti).
ICCU per Soggetto Ottato
ICCU per Nome
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S. Optati afri milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem / [edidit et commentariis auxit H.
Hurter], Londini: David Nutt, 1870, Sanctorum Patrum opuscula selecta
Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ... quibus accessere Historia
donatistarum ... opera & studio M. Lud. Ell. Dupin ...
Edizione: Cum ejusdem notis, ut & Gab. Albaspinaei, & aliorum singulis paginis in hac nova editione
subjectis, Antuerpiae: apud G. Gallet, praefectum typographiae Huguetanorum, 1702
Delibatio Africanae historiae ecclesiasticae siue Optati Mileuitani libri 7. ad Parmenianum de schismate
Donatistarum. Victoris Vticensis libri 3. De Persecutione vandalica in Africa, cum annotationibus Ex Fr.
Balduini I.C. Commentariis rerum ecclesiasticarum, Parisiis: apud Michaelem Sonnium, sub scuto Basiliensi
via Iacobaea, 1569
S. Optati Milevitani libri 7. / recensuit et commentario critico indicibusque instruit Carolus Ziwsa; accedunt
decem Monumenta vetera ad Donatistarum historia pertinentia
Edizione: Rist. anast, New York: Johnson Reprint corporation, 1972, Corpus scriptorum ecclesiasticorum
latinorum; 26
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: F. Tempsky, 1893
1: Livres 1. et 2. / Optat de Mileve; introduction, texte critique, traduction et notes par Mireille Labrousse,
Paris: Les editions du cerf, 1995, Sources chretiennes
Fa parte di: Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve
Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve, Paris: Les editions du cerf
Titolo uniforme: De schismate Donatistarum libri septem
Comprende: 1: Livres 1. et 2. / Optat de Mileve ;introduction, texte critique, traduction etnotes par Mireille
Labrousse
2: Livres 3. a 7. / Optat de Mileve; textecritique, traduction, notes et index parMireille Labrousse
Nomi: Optatus: Milevitanus<santo>
Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ad manuscriptos codices et
veteres editiones collati; et innumeris locis emendati. Quibus accessere historia donatistarum ... Opera &
studio M. Ludovici Ellies Dupin .., Lutetiae Parisiorum apud Andream Pralard, bibliopolam, via SanJacobaea, ad insigne occasionis, 1700
\Expliciunt Optati Episcopi libri numero septem, & Gesta purgationis Caeciliani episcopi et Felicis ordinatoris
eiusdem: necnon Epistolae Constantiniimperatoris!, (1564)
Sancti Optati Milevitani ... Opera cum observationibus et notis integris G. Albaspinaei Aurelianens. ...
Accedunt Facundi Hermianensis ... pro tribus capituli Concilii Calched. libri 12. cum annotationibus Jacobi
Sirmondi S.J. Et alia ejusdem Facundi opuscula. Huic quoque editioni adjectae sunt Gab.
AlbaspinaeiObservationes ecclesiasticae, cum aliis ejusdem operibus, quorum elenchum post praefationem
pagina sequens exhibebit, Lutetiae Parisiorum: apud viduam Joannis du Puis, via Jacobaea, sub signo
Coronae aureae, 1676
2: Livres 3. a 7. / Optat de Mileve; texte critique, traduction, notes et index par Mireille Labrousse, Paris: Les
edition du cerf, 1996, Sources chretiennes
Fa parte di: Traite contre les Donatistes / Optat de Mileve
Sancti Optati Afri Milevitani episcopi De schismate donatistarum libri septem: ad manuscriptos codices et
veteres editiones collati; et innumeris locis emendati. Quibus Accessere Historia donatistarum ... Opera &
studio M. Lud. Ell. Dupin .., Lutetiae Parisiorum: apud Andream Pralard, bibliopolam, via San-Jacobaea,
1702
Optatus: against the Donatists / translated and edited by Mark Edwards, Liverpool: Liverpool university
press, 1997, Translated texts for historians
La vera chiesa; introduzione traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino / Ottato di Milevi, Roma: Citta
Nuova editrice, 1988, Collana di testi patristici
Autore: Brunus, Conradus<1491?-1563>
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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D. Conradi Bruni iureconsulti Libri sex, de haereticis in genere. D. Optati Afri episcopi quondam Mileuitani,
Libri sex de Donatistis in specie, nominatim in Parmentanum . Ex bibliotheca Cusana. Adiuncto utrobique
indice, & breui correctorio ..., Apud S. Victorem prope Moguntiam: ex officina Francisci Behem typographi,
1549 (Franciscus Behem typographus aedidit haec apud S. Victorem prope Moguntiam, 1549)
La vera Chiesa / Ottato di Milevi; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta
nuova, [1988], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
S. Optati Milevitani Libri 7. / recensuit et commentario critico indicibusque instruxit Carolus Ziwsa; accedunt
decem monumenta vetera ad donatistarum historiam pertinentia, Pragae; Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae:
G. Freytag, 1893, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 26
Autore: Saxer, Victor
Un sermon medieval sur la Madeleine: reprise d'une homelie antique pour Paques attribuable a Optat de
Mileve (+ 392) / V, Saxer, Maredsous!: Abbaye de Maredsous, 1970
Note Generali: Con il testo dell'omelia
Estr. da: Reue benedictine, 80 (1970), n. 1-2
Autore: Optatus: Milevitanus <santo>
La vera Chiesa / Ottato di Milevi; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta
nuova, [1988], Collana di testi patristici
Autore: Zeno<santo>
11: Sanctorum Zenonis et Optati, prioris Veronae, alterius Milevi episcoporum, opera omnia: nunc primum
cura qua par era redacta, Parisiis: Vrayet, 1845
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Autore: Zeno<santo>
11: Sanctorum Zenonis et Optati, prioris Verona, alterius Milevi episcoporum, opera omnia, nunc primum
cura qua par erat redacta ...
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Brepols, 1993
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Paris, 1845
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Bettini, 3, 888; Moreschini-Norelli 2/1, p. 347.
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L'eresia di Priscilliano
La setta di Priscilliano si diffuse in Spagna e parzialmente in Gallia per tutto il IV secolo.
La fonte principale, ma tutto sommato non sufficientemente chiara, sui contenuti di questa eresia
resta Sulpicio Severo nei suoi Chronicorum libri.
Il "caso" dei priscillianisti scoppia intorno al 380 con il concilio di Saragoza, riunito da Febadio di
Agen, nel corso del quale vennero stabiliti otto canoni tesi a condannare le pratiche ascetiche
sostenute dal laico Priscilliano.
Le tesi dei priscillianisti, che crearono parecchie divisioni all'interno del clero spagnolo,
contenevano molti elementi manichei e mistici. Forte la componente ascetica, al punto da
suggerire elementi di contiguità con le teorie manichee di contrapposizione tra vita spirituale e vita
secondo il corpo. I suoi seguaci si ritenevano particolarmente ispirati dallo Spirito Santo
nell'interpretazione delle Sacre Scritture.
Dopo varie vicende, che videro il coinvolgimento, tra gli altri, anche di Damaso, di Ambrogio e di
Sulpicio Severo, Priscilliano fu condannato a morte nel 385 per intervento imperiale con l'accusa di
stregoneria, manicheismo e dissolutezza. I Priscillianisti continuarono ad avere adepti, soprattutto
in Spagna, fino alla seconda metà del VI secolo. I Visigoti ne determinarono la scomparsa,
ravvisando elemento di pericolo nell'accusa di manicheismo mossa ai Priscillianisti.
Opere
Un manoscritto di Wurzburg, databile al V- VI secolo ha di recente riproposto all'attenzione degli
studiosi una decina di scritti attribuiti a Prisciliano o relativi alla sua condanna.
Tra essi una professione di fede, forse presentatata al Concilio di Saragoza del 380, in cui
Priscilliano (?) rifiuta le accuse di sabellianismo, docetismo, manichesimo e lettura di testi apocrifi.
Il secondo testo è una dichiarazione di ubbidienza a Papa Damaso e raccoglie una ricostruzione
dei fatti del Concilio di Saragoza.
Il terzo scritto, dedicato a una tale Amanzia, difende la necessità di studiare scritti canonici, ma
anche apocrifi.
I numeri 4-10 sono tractatus, cioè omelie per la quaresima.
Vengono attribuiti a Priscilliano anche i Canoni sulle epistole di Paolo; i cosiddetti prologhi
monarchiani ai Vangeli; un De Trinitate fidei Christianae, in cui si sostengono tesi fortemente
monarchiane.
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill., 121
[0711A] 947 [c [0711C] Hunc Priscillianum Abulensem in Hispania ulteriori episcopum etiam in prologo ad
libros contra [0711D] Pelagianos memorat ac suggillat. Vide Severum Sulpitium sub finem secundi libri.]
Priscillianus, Abilae episcopus, qui factione [d [0711D] Erasm., Hythacii et Hithatii; sed et Hydiati et Idatii
invenitur.] Hidacii et Ithacii Treveris a Maximo tyranno caesus est, edidit [e [0711D] Ad nos usque nulla
pervenerunt.] multa opuscula, de quibus ad nos aliqua pervenerunt. Hic usque hodie a nonnullis Gnosticae,
id est Basilidis et [f [0711D] Hactenus editi falso legerant Marcionis cum Graeco interprete. Sed Marci
rescribendum, ut emendamus nostrorum omnium codicum auctoritate, probat etiam Irenaei locus lib. I, cap.
8, de Haeresibus ab ipso Hieronymo locis infra notandis, laudatus atque exscriptus. Ita habere etiam codices
regios testatur doctiss. Cotelerius. Vide epist. 65, ad Theodoram, et in Isaiae cap. LXIV. Severius Sulpicius
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lib. supra laudato, Primus, inquit, eum intra Hispanias Marcus intulit Aegypto profectus, etc.] Marci, de
quibus Irenaeus scripsit, haereseos accusatur, defendentibus aliis, non ita eum sensisse, ut arguitur.
Priscilliano, vescovo di Avila, fu messo a morte, a Treviri, dal tiranno Massimo, dietro la spinta della fazione
di Idazio e Itacio. Pubblicò numerosi scritti, alcuni dei quali ci sono pervenuti. A tutt’oggi, lo si accusa di
essere stato seguace dell’eresia gnostica, cioè di Basilide o Marco dei quali trattò nei suoi scritti Ireneo. Altri,
invece, sostengono che egli non ha mai condiviso l’errore, di cui viene accusato.
Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 200.
August. de haeres., 70. [Migne]
LXX. PRISCIELIANISTAE, quos in Hispania Priscillianus instituit, maxime Gnosticorum et Manichaeorum
dogmata permixta sectantur. Quamvis et ex aliis haeresibus in eos [1 [0044] Sola editio Lov., in eas.]
sordes, tanquam in sentinam quamdam horribili confusione confluxerint. Propter occultandas autem
contaminationes et turpitudines suas habent in suis dogmatibus et haec verba:
Jura, perjura, secretum prodere noli. Hi animas dicunt ejusdem naturae atque substantiae cujus est Deus,
ad agonem quemdam spontaneum in terris exercendum, per septem coelos et per quosdam gradatim
descendere principatus, et in malignum principem incurrere, a quo istum mundum factum volunt, atque ab
hoc principe per diversa carnis corpora seminari. Astruunt etiam fatalibus stellis homines colligatos,
ipsumque corpus nostrum secundum duodecim signa coeli esse compositum, sicut hi qui mathematici vulgo
appellantur; constituentes in capite Arietem, Taurum in cervice, Geminos in humeris, Cancrum in pectore, et
caetera nominatim signa percurrentes, ad plantas usque perveniunt, quas Piscibus tribuunt, quod ultimum
signum ab astrologis nuncupatur. Haec et alia fabulosa, vana, sacrilega, quae persequi longum est,
haeresis, ista contexit. Carnes tanquam immundas escas etiam ipsa devitat: conjuges, quibus hoc malum
potuerit persuadere, disjungens, et viros a nolentibus feminis, et feminas a nolentibus viris. Opificium quippe
omnis carnis non Deo bono et vero, sed malignis angelis tribuunt: hoc versutiores etiam Manichaeis, quod
nihil Scripturarum canonicarum repudiant, simul cum apocryphis legentes omnia et in auctoritatem
sumentes, sed in suos sensus allegorizando vertentes quidquid in sanctis Libris est quod eorum evertat
errorem. De Christo Sabellianam sectam tenent eumdem ipsum esse dicentes, non solum Filium, sed etiam
Patrem, et Spiritum sanctum.
70. 1. I Priscillianisti, fondati da Priscilliano nella Spagna (85), seguono soprattutto le dottrine degli Gnostici e
dei Manichei, mescolandole fra loro, benché altro sudiciume da altre eresie sia confluito in loro, come in una
fogna, orrida nella sua mistura (86). A fine, però, di occultare le contaminazioni e le turpitudini, hanno tra i
loro placiti anche queste parole:
« Giura e spergiura, ma non tradire il segreto » (87).
Codesti eretici dicono che le anime sono della medesima natura e sostanza, che ha Dio; esse discendono
[dall'empireo] passando attraverso sette cieli e vari principati, disposti a gradini, per dedicarsi sulla terra
come ad una gara volontaria; ed incappano nel principe del male, dal quale, come essi pretendono, è stato
fatto questo mondo, e da questo principe sono seminate nei vari corpi di carne. Sostengono, inoltre, che gli
uomini sono vincolati alle stelle, le quali ne decretano il destino, e che lo stesso nostro corpo è disposto in
modo corrispondente ai dodici segni zodiacali, come affermano coloro che comunemente sono chiamati
Matematici, e, cosí, collocano l'Ariete nella testa, il Toro nel collo, i Gemelli nelle spalle, il Cancro nel petto,
e, elencando per nome gli altri segni zodiacali, arrivano alle piante dei piedi, che essi assegnano ai Pasci,
perché questo segno è nominato per ultimo dagli astrologi. Questa eresia ha voluto tener coperte dal
segreto queste e le altre sue dottrine fantastiche, insulse, sacrileghe, la cui enumerazione sarebbe troppo
lunga.
70. 2. Anche questa eresia rifugge dal mangiar carne, ritenendola immonda; e cosí provoca dissenso tra i
coniugi, ai quali essa è riuscita a far credere questa malsana dottrina, cioè fa dissentire i mariti dalle mogli
che non vogliono accettarla, e le mogli dai mariti che non vogliono accettarla. Ed infatti attribuiscono la
formazione di ogni specie di carne non al Dio buono e vero, ma agli angeli del male; in ciò sono piú subdoli
perfino dei Manichei, perché [i Priscillianisti] non ripudiano alcun testo delle Sacre Scritture Canoniche,
leggendole tutte unitamente agli apocrifi e prendendole come testi probativi, ma, mediante l'interpretazione
allegorica, piegano nel senso che loro aggrada, ogni affermazione dei Libri Sacri atta a demolire il loro
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errore. Riguardo a Cristo professano l'eresia di Sabellio, dicendo che Egli è nella sua stessa identità non
solo Figlio, ma anche Padre e Spirito Santo.
(85) Priscilliano cominciò a diffondere le sue idee attorno al 370-375 nei pressi di Cordova, in Spagna. Attorno a lui si
raccolsero numerosi adepti, tra cui molte donne, e alcuni vescovi. Nel 380 il Concilio di Saragoza condannò gli errori che
gli erano attribuiti e, sebbene il suo nome non figuri negli atti del concilio, vennero prese delle misure contro la sua setta.
Ciò nonostante Priscilliano divenne vescovo di Avila. Un decreto di espulsione emanato contro i Manichei forní il destro
per regolare i conti anche con i Priscillianisti. Nel 381 Priscilliano venne esiliato insieme a Instanzio e a Salvanio. Diretti
verso l'Italia, fecero dei proseliti anche in Aquitania. Papa Damaso non li ricevette e Ambrogio non prestò loro ascolto.
Riuscirono però ad ottenere che l'editto di Graziano contro di loro fosse revocato. L'usurpatore Magno Massimo diede
ordine che tutti gli etici comparissero al concilio di Bordeaux (385). Priscilliano si appellò a Magno Massimo, ma questi
diede ascolto agli intransigenti: Priscilliano confessò, sotto tortura, di essere dedito allo studio di discipline eretiche e
pratiche immorali. Venne condannato a morte e, insieme a lui, vennero giustiziati anche un diacono, vari laici e una
donna. Instanzio ed altri Priscillianisti vennero condannati all'esilio. Priscilliano deve parte della sua fama proprio alla
circostanza di esser tradizionalmente considerato il primo eretico della cristianità messo a morte per via delle sue
convinzioni religiose non ortodosse. Nel 415 Agostino scrive la Ep. 237 e il Contra mendacium volti a confutare gli errori
dei Priscillianisti. L'eresia si estinse neI 563, quando, al concilio di Braga, vennero emanati 17 anatemi contro
Priscillianisti. Un altro scritto di Agostino contro i Priscillianisti: Ad Orosium contra Priscillianistas et Origenistas (PL 42,
669-678). Cf. anche FIL., a. her. 84 (CSEL 38, 45).
(86) Girolamo (Ep. 133, 3: CSEL 56, 244-247) e Sulpicio Severo (Chron. 2, 50: CSEL 1, 103) accusano le dottrine di
Priscilliano di immoralità.
(87) Parte degli scritti di Priscilliano vennero editi nel 1889 da G. SCHEPSS: Priscilliani quae supersunt (CSEL 18). I suoi
testi sono talvolta contraddittori (cf. MUELLER, p. 200) e confermano solo in minima parte le accuse rivoltegli in
occasione del concilio di Braga. Quanto però ci è giunto non rappresenta la totalità della sua opera e la prassi della
dissimulazione sembra comunque fosse ricorrente nei suoi scritti e in quelli dei suoi adepti. Un'attenta ricostruzione del
pensiero e della biografia di Priscilliano è contenuta nell'ampio e dettagliato articolo: B. VOLLMANN, Priscillianus, in
Realenzyklopaedie der klassischen Altertumswissenschaften, Suppl. XIV (1974), cc. 485-559.
Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV.
Sulp.Sev. , chron., 46-51. L'eresia di Priscilliano
XLVI. Sequuntur tempora aetatis nostrae gravia et periculosa, quibus non usitato malo pollutae Ecclesiae
[0155C] et perturbata omnia. Namque tum primum infamis illa Gnosticorum haeresis intra Hispanias
deprehensa, superstitio exitiabilis, arcanis occultata secretis. Origo istius mali Oriens ac Aegyptus. Sed
quibus ibi initiis coaluerit, haud facile est disserere. Primus eam intra Hispanias Marcus intulit, Aegypto
profectus, Memphi ortus. Hujus auditores fuere Agape quaedam non ignobilis mulier et rhetor Elpidius. Ab
his Priscillianus est institutus, familia nobilis, praedives opibus, acer, inquies, facundus, multa lectione
eruditus, disserendi ac disputandi promptissimus: felix profecto, si non pravo studio corrupisset optimum
ingenium. Prorsus multa in eo animi et corporis bona cerneres: vigilare multum, famem ac sitim ferre poterat:
habendi minime cupidus, utendi [0155D] parcissimus. Sed idem vanissimus, et plus justo inflatior
profanarum rerum scientia: quin et magicas artes ab adolescentia eum exercuisse creditum est. Is ubi
doctrinam exitiabilem aggressus est, multos nobilium pluresque populares auctoritate persuadendi et arte
blandiendi allicuit in societatem. Ad hoc mulieres novarum rerum cupidae, fluxa fide, et ad omnia curioso
ingenio, catervatim ad eum confluebant: quippe humilitatis speciem ore et habitu praetendens, honorem sui
et reverentiam cunctis injecerat. Jamque paulatim perfidiae istius tabes pleraque Hispaniae pervaserat: quin
et nonnulli episcoporum depravati; inter quos Instantius et Salvianus Priscillianum non solum consensione,
sed sub quadam [0156A] etiam conjuratione susceperant: quoad Hyginus, episcopus Cordubensis, ex
vicino agens, comperta ad Idacium Emeritae sacerdotem referret. Is vero sine modo, et ultra quam oportuit,
Instantium sociosque ejus lacessens, facem quamdam nascenti incendio subdidit: ut exasperaverit malos
potius quam compresserit.
XLVII. Igitur post multa inter eos et digna memoratu certamina, apud Caesaraugustam synodus congregatur:
cui tum etiam Aquitani episcopi interfuere. Verum haeretici committere se judicio non ausi: in absentes tum
lata sententia, damnatique Instantius et Salvianus episcopi, Elpidius et Priscillianus laici. Additum etiam, ut si
quis damnatos in communionem recepisset, sciret in se eamdem sententiam [0156B] promendam. Atque id
Ithacio Sossubensi episcopo negotium datum, ut decretum episcoporum in omnium notitiam deferret,
maximeque Hyginum extra communionem faceret: qui cum primus omnium insectari palam haereticos
coepisset, postea turpiter depravatus in communionem eos recepisset. Interim Instantius et Salvianus
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damnati judicio sacerdotum, Priscillianum, etiam laicum, sed principem malorum omnium, una secum
Caesaraugustana synodo notatum, ad confirmandas vires suas episcopum in Abilensi oppido constituunt:
rati nimirum, si hominem acrem et callidum sacerdotali auctoritate armassent, tutiores fore sese. Tum vero
Idacius atque Ithacius acrius instare, arbitrantes posse inter initia malum comprimi; sed parum sanis consiliis
[0156C] saeculares judices adeunt, ut eorum decretis atque exsecutionibus haeretici urbibus pellerentur.
Igitur post multa et foeda certamina, Idacio supplicante elicitur a Gratiano tum imperatore rescriptum, quo
universi haeretici excedere non ecclesiis tantum aut urbibus, sed extra omnes terras propelli jubebantur.
Quo comperto, Gnostici diffisi rebus suis, non ausi judicio certare, sponte cessere qui episcopi videbantur:
caeteros metus dispersit.
XLVIII. At tum Instantius, Salvianus et Priscillianus Romam profecti, ut apud Damasum Urbis ea tempestate
episcopum objecta purgarent; sed iter eis praeter interiorem Aquitaniam fuit, ubi tum ab imperitis magnifice
suscepti, sparsere perfidiae semina, maximeque Elusanam plebem, sane tum bonam et [0156D] religioni
studentem, pravis praedicationibus pervertere. A Burdigala per Delphinum repulsi, tamen in agro Euchrotiae
aliquantis per morati, infecere nonnullos suis erroribus. Inde iter coeptum ingressi, turpi sane pudibundoque
comitatu, cum uxoribus atque alienis etiam feminis, in queis erat Euchrotia, ac filia ejus Procula: de qua fuit
in sermone hominum, Priscilliani stupro gravidam partum sibi graminibus abegisse. Hi ubi Romam pervenere
Damaso se purgare cupientes, ne in conspectum quidem ejus admissi sunt. Regressi Mediolanum, aeque
adversantem sibi Ambrosium repererunt. Tum vertere consilia, ut (quia duobus episcopis, quorum ea
tempestate summa auctoritas erat, non illuserunt) largiendo et [0157A] ambiendo ab imperatore cupita
extorquerent. Ita corrupto Macedonio tum magistro officiorum, rescriptum eliciunt, quo calcatis quae prius
decreta erant, restitui Ecclesiis jubebantur. Hoc freti Instantius et Priscillianus repetivere Hispanias (nam
Salvianus in urbe obierat), ac tum sine ullo certamine Ecclesias quibus praefuerant, recepere.
XLIX. Verum Ithacio ad resistendum non animus, sed facultas defuit: quia haeretici corrupto Volventio
proconsule vires suas confirmaverant. Quin etiam Ithacius ab his quasi perturbator Ecclesiarum, reus
postulatus, jussusque per atrocem exsecutionem deduci, trepidus profugit ad Gallias. Ibi Gregorium
praefectum ad iit; qui compertis quae gesta erant, rapi ad se turbarum auctores jubet, ac de omnibus ad
imperatorem refert, [0157B] ut haereticis viam ambiendi praecluderet. Sed id frustra fuit, quia per libidinem
et potentiam paucorum cuncta ibi venalia erant. Igitur haeretici suis artibus, grandi pecunia Macedonio data,
obtinent ut imperiali auctoritate praefecto erepta cognitio Hispaniarum vicario (nam jam proconsulem habere
desierant) . . . . . missique a magistro officiales, qui Ithacium tum Treveris agentem ad Hispanias retraherent;
quos ille callide frustratur: ac postea per Pritannium episcopum defensus illusit. Jam tum rumor incesserat,
Clementem Maximum intra Britannias sumpsisse imperium, ac brevi in Gallias erupturum. Ita tum Ithacius
statuit, licet rebus dubiis, novi imperatoris adventum exspectare: interim sibi nihil agitandum. Igitur ubi
Maximus oppidum Treverorum [0157C] victor ingressus est, ingerit preces plenas in Priscillianum ac socios
ejus invidiae atque criminum. Quibus permotus imperator, datis ad praefectum Galliarum atque ad vicarium
Hispaniarum litteris, omnes omnino quos labes illa involverat, deduci ad synodum Burdegalensem jubet. Ita
deducti Instantius et Priscillianus: quorum Instantius prior jussus causam dicere, postquam se parum
expurgabat, indignus esse episcopatu pronuntiatus est. Priscillianus vero, ne ab episcopis audiretur, ad
principem provocavit; permissumque id nostrorum inconstantia, qui aut sententiam in refragantem ferre
debuerant, aut si ipsi suspecti habebantur, aliis episcopis audientiam reservare, non causam imperatori de
tam manifestis criminibus permittere. Ita omnes quos causa involverat, [0157D] ad regem deducti.
L. Secuti etiam accusatores Idacius et Ithacius episcopi: quorum studium in expugnandis haereticis non
reprehenderem, si non studio vincendi plus quam oportuit certassent. Ac mea quidem sententia est, mihi tam
reos quam accusatores displicere. Certe Ithacium nihil pensi, nihil sancti habuisse definio: fuit enim audax,
loquax, impudens, sumptuosus, ventri et gulae plurimum impertiens. Hic stultitiae eo usque processerat, ut
omnes etiam sanctos viros, quibus aut studium inerat lectionis, aut propositum erat certare jejuniis, tamquam
Priscilliani socios aut discipulos, in crimen arcesseret. Ausus etiam miser est ea tempestate Martino
episcopo, [0158A] viro plane Apostolis conferendo, palam objectare haeresis infamiam: namque tum
Martinus apud Treveros constitutus, non desinebat increpare Ithacium, ut ab accusatione desisteret;
Maximum orare, ut sanguine infelicium abstineret; satis superque sufficere, ut episcopali sententia haeretici
judicati Ecclesiis pellerentur; novum esse et inauditum nefas, causam Ecclesiae judex saeculi judicaret.
Denique quoad usque Martinus Treveris fuit, dilata cognitio est; et mox discessurus egregia auctoritate a
Maximo elicuit sponsionem, nihil cruentum in reos constituendum. Sed postea imperator per Magnum et
Rufum episcopos depravatus, et a mitioribus consiliis deflexus, causam praefecto Evodio permisit, viro acri
et severo, qui Priscillianum [0158B] gemino judicio auditum, convictumque maleficii, nec diffitentem
obscoenis se studuisse doctrinis, nocturnos etiam turpium feminarum egisse conventus, nudumque orare
solitum, nocentem pronuntiavit, redegitque in custodiam, donec ad principem referret. Gestis ad palatium
delatis, censuit imperator Priscillianum sociosque ejus capitis damnari oportere.
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LI. Caeterum Ithacius videns quam invidiosum sibi apud episcopos foret, si accusator etiam postremis rerum
capitalium judiciis astitisset (etenim iterari judicium necesse erat), subtrahit se cognitioni: frustra, callido jam
scelere perfecto. At tum per Maximum accusator apponitur Patricius quidam, fisci patronus: ita eo insistente
Priscillianus capitis [0158C] damnatus est, unaque cum eo Felicissimus et Armenius, qui nuper a catholicis,
cum essent clerici, Priscillianum secuti desciverant. Latronianus quoque et Euchrotia gladio perempti.
Instantius quem superius ab episcopis damnatum diximus, in Sylinam insulam, quae ultra Britannias sita est,
deportatus. Itum deinde in reliquos sequentibus judiciis, damnatique Asarinus et Aurelius diaconus gladio.
Tiberianus, ademptis bonis, in Sylinam insulam datus. Tertullus, Potamius et Joannes, tamquam viliores
personae et digni misericordia, quia ante quaestionem se ac socios prodidissent, temporario exsilio intra
Gallias relegati. Hoc fere modo homines luce indignissimi, pessimo exemplo, necati aut exsiliis mulctati:
quod initio jure judiciorum et [0158D] egregio publico defensum, postea Ithacius in jurgiis solitus, ad
postremum convictus, in eos retorquebat, quorum id mandato et consiliis effecerat, solus tamen omnium
episcopatu detrusus: nam Idacius, licet minus nocens, sponte se episcopatu abdicaverat: sapienter id et
verecunde, nisi postea amissum locum repetere tentasset. Caeterum Priscilliano occiso non solum non
repressa est haeresis, quae illo auctore proruperat, sed confirmata, latius propagata est: namque sectatores
ejus, qui eum prius ut sanctum honoraverant, postea ut martyrem colere coeperunt. Peremptorum corpora
ad Hispanias relata, magnisque obsequiis celebrata eorum funera. Quin et jurare per Priscillianum summa
religio putabatur. [0159A] Ac inter nostros perpetuum discordiarum bellum exarserat, quod jam per
quindecim annos foedis dissensionibus agitatum, nullo modo sopiri poterat. Et nunc, cum maxime discordiis
episcoporum turbari aut misceri omnia cernerentur, cunctaque per eos odio aut gratia, metu, inconstantia,
[0160A] invidia, factione, libidine, avaritia, arrogantia, somno, desidia essent depravata: postremo plures
adversum paucos bene consulentes, insanis consiliis et pertinacibus studiis certabant: inter haec plebs Dei
et optimus quisque probro atque ludibrio habebatur.
Traduzione Sulpicio Severo
P. Oros., comm., 2. Orosio. ad Agostino su Priscilliano
[Migne]
2. Priscillianus, primum in eo Manichaeis miserior, quod ex veteri quoque Testamento haeresim confirmavit,
docens animam quae a Deo nata sit, de [1213B] quodam promptuario procedere, profiteri ante Deum se
pugnaturam, instrui [b [1213D] Ita Vaticani mss. At editi, adoratu.] adhortatu angelorum: dehinc
descendentem per quosdam circulos a principatibus malignis capi, et secundum voluntatem victoris principis
in corpora diversa contrudi, eisque ascribi chirographum. Unde et Mathesim praevalere firmabat, asserens
quod hoc chirographum solverit Christus, et affixerit cruci per passionem suam: sicut ipse Priscillianus in
quadam epistola sua dicit: «Haec prima sapientia est, in animarum typis divinarum virtutum intelligere
naturas, et corporis dispositionem. In qua obligatum coelum videtur et terra, omnesque principatus saeculi
videntur astricti sanctorum dispositiones superare. Nam primum Dei circulum et mittendarum [1213C] in
carne animarum divinum chirographum, angelorum et Dei et omnium animarum consensibus fabricatum
patriarchae tenent, [c [1213D] Sola editio Lov., quae.] qui contra formalis militiae opus possident:» et
reliqua. Tradidit autem nomina patriarcharum membra esse animae, eo quod esset Ruben in capite, Juda in
pectore, Levi in corde, Benjamin in femoribus: et similia. Contra autem in membris corporis, coeli signa esse
disposita, id est, arietem in capite, taurum in cervice, geminos in brachiis, cancrum in pectore, etc. Volens
subintelligi tenebras aeternas, et ex his principem mundi processisse. Et hoc ipsum confirmans ex libro
quodam, qui inscribitur Memoria apostolorum, ubi Salvator interrogari a discipulis videtur secreto, et
ostendere, quia de parabola evangelica [1213D] quae habet: Exiit seminans seminare semen suum (Matth.
XIII, 46) , non fuerit seminator bonus: asserens, quia si bonus fuisset, non fuisset negligens; [1214A] non vel
secus viam, vel in petrosis, vel in incultis jaceret semen: volens intelligi hunc esse seminantem, qui animas
captas spargeret in corpora diversa quae vellet. Quo etiam in libro de principe humidorum et de principe
ignis plurima dicta sunt, volens intelligi, arte, non potentia Dei, omnia bona agi in hoc mundo. Dicit enim esse
virginem quamdam lucem, quam Deus, volens dare pluviam hominibus, principi humidorum ostendat: qui
dum eam apprehendere cupit, commotus consudet, et pluviam faciat, et destitutus ab ea, mugitu suo tonitrua
concitet. Trinitatem autem solo verbo loquebatur: nam unionem absque ulla existentia aut proprietate
asserens, sublato [d [1213D] In Vaticanis mss., sublato et Patre, Filium, etc.] et, Patrem, Filium, et Spiritum
sanctum, hunc esse unum Christum dicebat.
Traduzione Orosio
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Cf. anche Sulp. , Dialogi III, 11-12; [Migne]
Vere, iste Christi discipulus, gestarum a Salvatore virtutum, quas in exemplum sanctis suis edidit, aemulator,
Christum in se monstrabat operantem, qui sanctum suum usquequaque glorificans, diversarum munera
gratiarum in unum hominem conferebat. Testatur Arborius ex praefecto, vidisse se Martini manum
sacrificium offerentis, vestitam quodammodo nobilissimis gemmis, luce micare purpurea, et ad motum
dextrae collisarum inter se fragorem audisse gemmarum.
XI. Veniam ad illud quod propter notam temporum semper occultavit; sed nos celare non potuit: in quo illud
est miraculi, quod facie ad faciem cum eo est angelus collocutus. Maximus imperator, [0217D] alias sane
bonus, depravatus consiliis sacerdotum, post Priscilliani necem Ithacium episcopum Priscilliani accusatorem
caeterosque illius socios, quos nominari non est necesse, vi regia tuebatur, ne quis ei crimini daret, opera
illius cujuscumquemodi hominem fuisse damnatum. Interea Martinus multis gravibusque laborantium causis
ad comitatum ire compulsus, procellam ipsam totius tempestatis incurrit. Congregati apud Treveros episcopi
tenebantur, qui quotidie communicantes Ithacio communem sibi causam fecerant. His ubi nuntiatum est
inopinantibus adesse Martinum, totis animis labefacti mussitare et trepidare coeperunt. Et jam pridie
imperator ex eorum sententia decreverat, [0218A] tribunos summa potestate armatos ad Hispanias mittere,
qui haereticos inquirerent: deprehensis vitam et bona adimerent. Nec dubium erat, quin sanctorum etiam
maximam turbam tempestas ista depopulata esset, parvo discrimine inter hominum genera; etenim tum solis
oculis judicabatur, cum quis pallore potius aut veste, quam fide haereticus aestimaretur. Haec nequaquam
placitura Martino episcopi sentiebant: sed male consciis illa vel molestissima erat cura, ne se ab eorum
communione adveniens abstineret, non defuturis qui tanti viri constantiam praemissa auctoritate
sequerentur. Ineunt cum imperatore consilium, ut missis obviam Magistri officialibus urbem illam propius
vetaretur accedere, nisi se cum pace episcoporum ibi consistentium [0218B] adfore fateretur. Quos ille
callide frustratus profitetur, se cum pace Christi esse venturum. Postremo ingressus nocturno tempore, adiit
ecclesiam tantum orationis gratia: postridie palatium petit. Praeter multas, quas evolvere longum est, has
principales petitiones habebat: pro Narsete comite, et Leucadio praeside, quorum ambo Gratiani partium
fuerant, pertinacioribus studiis, quae non est hujus temporis explicare, iram victoris emeriti. Illa praecipua
cura, ne tribuni cum jure gladiorum ad Hispanias mitterentur: pia enim erat sollicitudo Martino, ut non solum
Christianos qui sub illa erant occasione vexandi, sed ipsos etiam haereticos liberaret. Verum primo die atque
altero suspendit hominem callidus imperator, sive ut rei pondus imponeret, [0218C] sive quia nimis sibi
implacabilis erat, seu quia, ut plerique tum arbitrabantur, avaritia repugnabat: siquidem in bona eorum
inhiaverat. Fertur enim ille vir multis bonisque actibus praeditus, adversus avaritiam parum consuluisse: nisi
fortasse regni necessitate, quippe exhausto superioribus principibus reipublicae aerario, pene semper in
expeditione atque procinctu bellorum civilium constitutus, facile excusabitur, quibuslibet occasionibus
subsidia imperio paravisse.
XII. Interea episcopi quorum communionem Martinus non inibat, trepidi ad regem concurrunt, praedamnatos
se conquerentes: actum esse de suo omnium statu, si Theognisti pertinaciam, qui eos solus palam lata
sententia condemnaverat, Martini armaret [0218D] auctoritas: non oportuisse hominem recipi moenibus,
illum jam non defensorem haereticorum esse, sed vindicem: nihil actum morte Priscilliani, si Martinus
exerceat illius ultionem. Postremo prostrati cum fletu et lamentatione potestatem regiam implorant, ut utatur
adversus unum hominem vi sua. Nec multum aberat, quin cogeretur imperator Martinum cum haereticorum
sorte miscere. Sed ille, licet episcopis nimio favore esset obnoxius, non erat nescius, Martinum fide,
sanctitate et virtute cunctis praestare mortalibus: alia longe via sanctum vincere parat: ac primo secreto
accersitum blande appellat: haereticos jure damnatos more judiciorum publicorum potius quam
insectationibus sacerdotum; non
[0219A] esse causam, qua Ithacii caeterorumque partis ejus
communionem putaret esse damnandam; Theognistum odio potius quam causa fecisse discidium;
eumdemque tamen solum esse qui se a communione interim separarit, a reliquis nihil novatum; quin etiam
ante paucos dies habita synodus Ithacium pronuntiaverat culpa non teneri. Quibus cum Martinus parum
moveretur, rex ira accenditur, ac se de conspectu ejus abripuit: et mox percussores his pro quibus Martinus
rogaverat, diriguntur.
Traduzione Sulpicio
Sulpic., Vita Martini 16 e 20.
[Migne]
XVI. Curationum vero tam potens in eo gratia erat, ut nullus fere ad eum aegrotus accesserit, qui non
continuo receperit sanitatem: quod vel ex consequenti liquebit exemplo. Treveris puella quaedam dira
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paralysis aegritudine tenebatur, ita ut jam per multum tempus nullo ad humanos usus corporis officio
fungeretur: omni ex parte praemortua, vix tenui spiritu palpitabat. Tristes ad solam funeris exspectationem
assistebant propinqui, cum subito nuntiatur ad civitatem illam venisse Martinum. Quod ubi pater puellae
comperit, cucurrit exanimis, pro filia rogaturus. Et forte Martinus jam Ecclesiam fuerat ingressus. Ibi
inspectante populo multisque aliis episcopis praesentibus, ejulans senex genua ejus amplectitur, dicens:
Filia mea moritur misero [0169C] genere languoris, et quod ipsa est morte crudelius, solo spiritu vivit, jam
carne praemortua; rogo ut eam adeas, atque benedicas, confido enim quod per te reddenda sit sanitati. Qua
ille voce confusus obstupuit, et refugit dicens: Hoc suae non esse virtutis; senem errare judicio; non esse se
dignum, per quem Dominus signum virtutis ostenderet. Perstare vehementius flens pater, et orare ut
exanimem visitaret. Postremo a circumstantibus episcopis ire compulsus descendit ad domum puellae.
Ingens turba pro foribus exspectabat quidnam Dei servus esset facturus. Ac primum, quae erant illius
familiaria in istiusmodi rebus arma, solo prostratus oravit; deinde aegram intuens dari sibi oleum postulat;
quod cum benedixisset, in os puellae vim sancti liquoris infudit, [0169D] statimque vox reddita est. Tunc
paulatim singula contactu ejus coeperunt membra viviscere, donec firmatis gressibus, populo teste, surrexit.
XX. Atque ut minora tantis inseram (quamvis, ut est nostrorum aetas temporum, quibus jam depravata omnia
atque corrupta sunt, pene praecipuum sit, adulationi regiae sacerdotalem non cessisse constantiam):
[0171B] cum ad imperatorem Maximum, ferocis ingenii virum et bellorum civilium victoria elatum, plures ex
diversis partibus episcopi convenissent, et foeda circa principem omnium adulatio notaretur, seque degeneri
inconstantia regiae clientelae sacerdotalis dignitas subdidisset, in solo Martino apostolica auctoritas
permanebat: nam et si pro aliquibus supplicandum regi fuit, imperavit potius quam rogavit: et a convivio ejus
frequenter rogatus abstinuit, dicens, se mensae ejus participem esse non posse, qui duos imperatores,
unum regno, alterum vita expulisset. Postremo, cum Maximus se non sponte sumpsisse imperium affirmaret,
sed impositam sibi a militibus divino nutu regni necessitatem armis defendisse; et non alienam ab eo Dei
voluntatem videri, [0171C] penes quem tam incredibili eventu victoria fuisset, nullumque ex adversariis nisi
in acic occubuisse; tandem victus vel ratione vel precibus, ad convivium venit; mirum in modum gaudente
rege, quod id impetrasset. Convivae autem aderant, veluti ad diem festum evocati, summi atque illustres viri,
praefectus idemque consul Evodius, vir quo nihil umquam justius fuit; Comites duo summa potestate
praediti, frater regis et patruus: medius inter hos Martini presbyter accubuerat: ipse autem sellula juxta
regem posita consederat. Ad medium fere convivium, ut moris est, pateram regi minister obtulit. Ille sancto
admodum episcopo potius dari jubet, exspectans atque ambiens, ut ab illius dextera poculum sumeret; sed
Martinus ubi ebibit, pateram presbytero suo tradidit, [0171D] nullum scilicet existimans digniorem qui post se
prior biberet, nec integrum sibi fore, si aut regem ipsum aut eos qui a rege erant proximi, presbytero
praetulisset. Quod factum imperator omnesque qui tunc aderant, ita admirati sunt, ut hoc ipsum eis, in quo
contempti fuerant, placeret: celeberrimumque per omne palatium fuit; fecisse Martinum in regis prandio quod
in infirmorum judicum conviviis episcoporum nemo fecisset; eidemque Maximo longe ante praedixit futurum,
ut si ad Italiam pergeret, quo ire cupiebat, bellum Valentiniano imperatori inferens, sciret se primo quidem
impetu futurum esse victorem, sed parvo post tempore esse periturum. Quod quidem ita vidimus: nam primo
adventu ejus Valentinianus [0172A] in fugam versus est: deinde post annum fere resumptis viribus, captum
intra Aquileiae muros Maximum interfecit.
Traduzione Sulpicio
Letture critiche - S. Pricoco, Il priscillianismo
Intorno al 370-375 un aristocratico spagnolo, Priscilliano, cominciò a predicare nella Spagna meridionale una
dottrina ascetica di grande rigore. Sulpicio Severo, che ne è la fonte più ricca e visse da vicino, se non
direttamente, il dramma priscillanista, lo descrive come un uomo ricchissimo, molto colto ed eloquente, ma
assai fatuo e troppo gonfio della sua cultura profana (vanissimus et plus iusto inflatior profanarum rerum
scientia), e aggiunge che la sua predicazione ottenne successo sia tra i nobili che tra il popolo, in particolare
tra le donne, che accorrevano in massa, catervatim, attratte, oltre che dalla novità, dalla sua ostentata umiltà
e dalla naturale riverenza che egli ispirava. Quando Priscilliano, fatti proseliti, oltre che nella Spagna, anche
nella Gallia meridionale, attrasse anche dei vescovi, il suo successo preoccupò le gerarchie ecclesiastiche e
nell'ottobre 380 un sinodo ispano-aquitano riunito a Saragozza sconfessò il movimento e condannò
Priscilliano e i due vescovi che lo avevano seguito, Istanzio e Salviano. I suoi avversari, i più agguerriti dei
quali erano i vescovi Idazio di Merida e Itacio di Ossonuba, si rivolsero all'imperatore Graziano e ottennero
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che in un decreto contro i manichei venissero coinvolti anche i priscillianisti. Priscilliano si fece ordinare dai
vescovi suoi fautori vescovo di Avila, nella Lusitania, e continuò la sua battaglia. Venne in Italia a chiedere
appoggio sia a papa Damaso che ad Ambrogio, senza riuscirci, ma ottenne che venisse annullato il decreto
di Graziano e che fosse arrestato il suo più accanito oppositore, Itacio. Ma poco dopo, morto Graziano, Itacio
accusò Priscilliano presso l'usurpatore Massimo, a Treviri, e lo convinse a convocare un nuovo sinodo a
Bordeaux, nel 384. Nuovamente condannato come manicheo, Priscilliano si appellò a Massimo e accettò di
presentarsi al processo a Treviri. Qui le accuse di eresia diventarono accuse di magia e Priscilliano,
attaccato implacabilmente dai suoi avversari di sempre, Itacio e Idazio, fu trovato colpevole di maleficium.
Massimo, cattolico devoto e interessato a dar prova di fedeltà all'ortodossia, consigliato da vescovi spagnoli
e gallici, lo condannò a morte assieme ai suoi seguaci più in vista. Per alcuni la pena capitale fu commutata,
Istanzio e altri furono esiliati, ma Priscilliano ed Eucrozia, una ricca proprietaria dell'Aquitania che lo aveva
seguito dall'inizio, furono giustiziati. Fu vana l'intercessione presso Massimo di Martino di Tours, accorso due
volte a Treviri, prima e dopo la conclusione del processo, nei primi mesi e nell'autunno del 385. Era la prima
volta che un eretico veniva messo a morte per le sue dottrine e che la decisione veniva presa ed eseguita
dal braccio secolare; era - come hanno giudicato molti storici moderni - il precorrimento di uno stile
medievale, che sanzionava l'ingresso nelle questioni ecclesiastiche e religiose di una politica di violenza e di
sanIgue. I; esito sanguinoso suscitò sconcerto e reazioni negli ambienti cristiani; gli accusatori furono
disapprovati anche da Ambrogio e dal nuovo papa, Siricio; molti vescovi della Gallía ruppero i rapporti con
loro e alla fine Itacio fu deposto e Idazio si dimise spontaneamente.
Il priscillianismo sopravvisse a lungo al suo fondatore; nel 400 il concilio di Toledo condannò esplicitamente
come eresia la sectra Prascilliani e ancora nel 563 il movimento era vitale se un concilio tenuto a Braga in
quell'anno emise una nuova condanna. Probabilmente la fine per mano del carnefice, facendo di Priscilliano
un martire, contribuì alla fortuna della setta, alla quale invece è difficile attribuire una precisa e solida base
dottrinale. Questa non emerge con chiarezza dalle testimonianze dei contemporanei né dalle confutazioni
che ne fecero Orosio e Agostino. Gli otto rapidi canoni o sententaàe del concilio di Saragozza del 380, che
vietano (senza nominare esplicitamente Priscilliano, ma riferendosi senza dubbio a lui) la promiscuità delle
riunioni, talune pratiche di digiuno, il ritiro in luoghi solitari, di camminare a piedi scalzi, di attribuirsi i l titolo
di maestro e cose simili, fanno pensare a un ascetismo eccentrico e fanatico, spoglio di contenuti di
pensiero innovatori. Gli anatemi del sinodo di Toledo accrescono i connotati eterodossi del movimento e lo
accusano di tendenze sabelliane, docetiste, encratite, di sopravvalutare gli apocrifi, di praticare
l'astrologia. Sulpicio Severo definisce il priscillianismo un'eresia gnostica, infamis Gnosticorum haeresis, e
ne attribuisce le prime origini a un egiziano di Memfi, Marco, del quale Priscillia no sarebbe stato
originariamente discepolo; Girolamo conferma che l'accusa mossa era quella di gnosticismo, ma appare
nutrire dubbi sulla reale natura eretica della dottrina di Priscilliano. Una compiuta e sicura ricostruzione di
questa non è stata resa possibile neanche dai ritrovamenti moderni di scritti attribuiti al circolo
priscillianista (i più importanti dei quali sono gli undici trattati ritrovati nel 1885 in un manoscritto di
Wurzburg, anonimi, ma attribuibili con certezza all'ambiente, e probabilm ente a un unico autore), sia
perché pongono problemi di attribuzione, sia perché si tratta di testi o apologetici (come i primi e più lunghi
dei trattati di Wúrzburg), che mirano a presentare il movimento come perfettamente ortodosso, o liturgici
o, ancora, di esegesi scritturistica piuttosto anodina e complessivamente corretta.
In definitiva, l'opposizione al priscillianismo, assai più che uno scontro tra ortodossia ed eresia, fu uno
degli episodi della lotta ingaggiata in Occidente dalle gerarchie ecclesiastiche contro la versione spirituale
del monachesimo e il fascino dei modelli orientali. La chiesa accusò il priscillianismo di errori gnostici,
sabelliani, manichei e, più tardi, pelagiani, in realtà ne temette gli aspetti individualistici, carismatici, elitari
e lo combatté secondo il suo generale disegno di dare al moto monastico ordinamenti rigidi e farne una
società al suo servizio.
S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, L'antichità, a cura di
Filoramo e Menozzi, Laterza 1997, pp. 318-320.
' Girolamo, De virz's zllustribus 121.
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Bibliografia
Edizioni
Trinità della fede cattolica, PL Migne Supplementum, 2.
Cambridge 2, 769 dà indicazione per
G. Schepps, Priscilliani quae supersunt, Wien 1889 (CSEL), pp. 151-57, in merito a un
Commonitorium de errore Priscillianorum et Origenistarum di Paolo Orosio.
Tractatus, Canones – ed. G. Schepss 1889, CSEL Vol. 18
Studi
H. Chadwick, Priscillian of Avila, Oxford, Clarendon, 1976.
ICCU per Soggetto
Burrus, Virginia, The making of a heretic: gender, authority, and the priscillianist controversy / Virginia
Burrus, Berkeley [etc.]: University of California Press, c1995, The transformation of the classical heritage
Chadwick, Henry, Priscillian of Avila: the occult and the charismatic in the early church / Henry Chadwick,
Oxford: Clarendon press, 1976
Priscilliani Quae supersunt / maximam partem nuper detexit adiectisque commentariis criticis et indicibus
primus edidit Georgius Schepss; accedit Orosii Commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum ,
Pragae; Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1889, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum;
18
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Orosii Commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum.
Priscilliani quae supersunt / maximam partem nuper detexit adiectisquecommentariis criticis et indicibus
primus edidit Georgius Schepss; acceditOrosii commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum,
Mediolani [etc.]: Ulricus Hoeplius, 1889 , Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum.Nova Series; 3
Paret, Friedrich, Priscillianus: ein Reformator des vierten Jahrhunderts: eine kirchengeschichtliche Studie
zugleich ein Kommentar zu den erhaltenen Schriften Priscillians / von Friedrich Paret
Wurzburg: Stuber, 1891
Edling, Ernst Gustaf, Priscillianus och den aldre Priscillianismen: Akademisk Afhandling ..
Upsala: [s.n.], 1902
Conte 523, niente Treccani. Moreschini_Norelli, pp. 407-10.
Priscillianismo. (inizio)
Un'eresia del IV secolo capeggiata dallo spagnolo Priscilliano, predicatore e già vescovo di Avila.
Questa eresia dualistica mutuava elementi dallo Gnosticismo e dal Manicheismo e seguiva le
tendenze sabelliane nell'interpretare « Padre », « Figlio » e « Spirito Santo » come tre puri modi o
aspetti, cioè, tre maniere di considerare lo stesso Dio. La reazione a questa eresia accelerò gli
sviluppi della dottrina trinitaria e la Spagna fu la prima nazione cattolica a fare uso del « Filioque »
nella sua professione di fede. Nel 386, nonostante le proteste di san Martino di Tours (morto nel
397), Priscilliano fu messo a morte dalle autorità civili di Treviri (cf DS 188‑ 208, 283‑ 286, e
451‑ 464; FCC 3.001, 3.003, 3008, 5.006, 6.019‑ 6.023). Cf Dualismo; Gnosticismo; Manicheismo;
Modalismo; Patripassianismo.
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L'eresia di Pelagio
L'eresia di Pelagio si sviluppò notevolmente nella prima parte del V secolo.
Pelagio era un monaco di origini britanniche, attivo però a Roma nei primi anni del secolo, dove fu
in rapporti stretti con molti scrittori cristiiani del tempo tra cui Paolino da Nola.
Ciò che rese sostanzialmente inevitabile lo scontro con la Chiesa ortodossa, in particolare con
S.Agostino, fu la teoria che le opere buone da sole possono far meritare il paradiso: in questo
modo nel conseguimento della gioia eterna veniva a perdere valore non solo il ruolo della grazia,
divina ma anche quello di mediazione della Chiesa.
Il pelagiaesimo nasce sulla base delle questioni origeniste che si dibattevano a Roma nei primi
decenni del secolo, specie tra Gioviniano e Girolamo: Pelagio diede una relativa unità a tesi come
la negazione del peccato originale, quella del traducianesimo del peccato di Adamo, a posizioni
particolari circa il battesimo dei bambini e, come già rilevato, nell’intendere la grazia di Dio.
Tali questioni suscitarono, soprattutto quando esportate in ambiente africano, a contatto con la
forte personalità di Agostino e con le soluzioni ecclesiologiche e sacramentarie in fase di
definizione contro donatisti e traducianesimo, una vasta eco e una decisa reazione antieretica
concretizzatasi con una prima condannna sinodale nel 411, seguita da altre, nel 417, nel 418, nel
431, fino a dopo la morte di Donato stesso ??, nel 529 ??.
Le maggiori adesioni al pelagianesimo si ebbero tra le fila dell'aristocrazia e nel monachesimo,
naturalmente interessate a forme di ascesi indipendenti dalla Chiesa ufficiale. Geograficamente il
pelagianesimo si diffuse in Italia, a Roma, in Sicilia (Siracusa), in Campania (Nola ed Eclano), in
Veneto (Aquileia), ma anche in Gallia, in Britannia e in Africa. In Oriente, specie a Gerusalemme,
riscosse le maggiori adesioni.
Da Pelagio ha tratto nome una serie di autori dalle posizioni dottrinali e dalle opere assai diverse; i
più rappresentativi possono considerarsi Celestio (vedi) e Giuliano di Eclano (vedi).
Alcuni propongono una periodizzazione del pensiero pelagiano in tre fasi: a) prima del 411, cioè
anteriore alla prima condanna, b) dal 411 al 418, cioè dalla condanna di Celestio alla lettera
Tractoria di papa Zosimo, c) dopo il 418: questa fase viene indicata da qualcuno come
semipelagianesimo.
Letture critiche - S. Pricoco, Il pelagianesimo e il semipelagianesimo
Ancor più di quella su Origene, la controversia che nell'Occidente (assai meno in Oriente) mobilitò i cristiani
fu quella sul libero arbitrio e la grazia e sulle questioni di antropologia e soteriologia che si legavano a questo
tema. Ne furono protagonisti da una parte Pelagio, un monaco di origine britannica e di buona cultura,
dall'altra Agostino, il grande vescovo di Ippona. Nato inrorno alla metà del IV secolo, verso il 385 Pelagio
venne a Roma, vi ricevette il battesimo e vi si stabilì per qualche tempo con un suo discepolo irlandese,
Celestio, conquistandosi un grande ascendente per il rigore ascetico della sua vita e l'opera sapiente di
direttore spirituale. Si legò alle grandi famiglie romane e trovò i suoi patroni nella potente gens Anicia, nel
presbitero Sisto, che poi sarebbe stato papa, in Paolino di Nola e nella cerchia di aristocratici che gli erano
vicini. Forse fu nella biblioteca di Paolino che ebbe modo di leggere gli scritti antimanichei di Agostino. A
Roma compose il commento alle lettere di san Paolo (Expositiones tredecim epístularum Pauli); richiestone,
scrisse per una fanciulla della casa Anicia che aveva deciso di votarsi alla verginità consacrata quella
Epistula ad Demetriadem che costituisce «il suo manifesto più pensato» (P Brown): sono due dei pochi scritti
che si possono assegnare con sicurezza a Pelagio tra i molti attribuiti confusamente a lui e ai suoi discepoli.
Nel 410 Pelagio lasciò Roma minacciata da Alarico e si rifugiò in Africa. Qui le sue tesi trovarono
l'opposizione crescente di Agostino e suscitarono la prima condanna ufficiale in un sinodo del 411, nel quale
venne interrogato e condannato Celestio. Spostatosi in Palestina, Pelagio fu attaccato da Girolamo, ma
trovò appoggio in Giovanni di Gerusalemme, e nel 415 un sinodo di Diospoli, riunito sotto la presidenza del
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metropolita di Cesarea, lo riabilitò. Ma la sua dottrina venne nuovamente condannata in due sinodi africani e
poi, nel 417, da papa Innocenzo (402-417), il quale, sollecitato da Agostino, definì inaccettabili le tesi di
Pelagio e Celestio e decretò che essi sarebbero stati scomunicati se avessero persistito nei loro errori.
Tuttavia, l'anno successivo questo orientamento fu ribaltato dal nuovo papa, il greco Zosimo (417-418), il
quale, prestando fede a nuove dichiarazioni di Pelagio e Celestio, giustificò le loro tesi e sconfessò le
decisioni africane. A questo punto, traendo occasione dai disordini scoppiati a Roma all'arrivo di Celestio,
intervenne l'imperatore Onorio. Un editto dell'aprile 418 bandì da Roma Pelagio e Celestio e ne condannò la
dottrina come superstitio; nel contempo un sinodo tenuto a Cartagine riconfermò le precedenti condanne
degli africani. Il mese dopo anche Zosimo si allineò e in una lunga enciclica detta Epistula tractoria formulò
la definitiva condanna del pelagianesimo. Accolta quasi da tutti, l'enciclica non fu sottoscritta da diciotto
vescovi italiani, i quali furono prontamente esiliati da Onorio. Tra loro era Giuliano di Eclano, che si rivelò il
più appassionato e sistematico tra i fautori di Pelagio e scrisse, attaccando duramente Agostino,
specialmente sul peccato originale e la concupiscenza. I pelagiani esiliati si rifugiarono in Oriente. Nel 430
un decreto di Teodosio II li cacciò da Costantinopoli. Pelagio, espulso dalla Palestina, andò a morire forse in
un monastero egiziano. Il dibattito continuò ancora, specialmente in Occidente, e le teorie pelagiane o che
tali sembrarono furono condannate in diversi sinodi: nel 431 a Efeso; all'inizio del V secolo in una epistola
sinodica dei vescovi africani esiliati in Sardegna dal re vandalo Trasamondo; nel 529 dal secondo concilio di
Orange, presieduto da Cesario di Arles.
L'incerta attribuzione degli scritti rende difficile la ricostruzione puntuale del pensiero di Pelagio e il suo
svolgersi nel tempo. Nelle grandi linee, il pelagianesimo invitava l'uomo a impegnarsi nella ricerca continua
della perfezione, nella lotta incessante contro il peccato, credendo nella libertà che il Creatore gli ha
concesso e fidando ottimisticamente nella propria capacità di conseguire gli ideali morali del Vangelo e di
raggiungere uno stato di impeccantaà. L'esaltazione del «perfezionismo» e la rivalutazione della
responsabilità dell'uomo e del libero arbitrio si scontravano con i temi del peccato originale, che si negava
fosse stato trasmesso da Adamo a tutti i suoi discendenti, dell'elezione e della predestinazione, della grazia
soprannaturale e sembravano richiamare pericolosamente le dottrine pagane e stoiche della morale
naturale. Ammettere che il peccato di Adamo abbia nuociuto a lui solo, non a tutto il genere umano,
conduceva a rifiutare il battesimo degli infanti e a ritenere che la morte di un bambino non battezzato non
comporti la perdita della vita eterna, a sostenere che anche prima della venuta di Cristo ci fossero stati
uomini senza peccati e che anche la legge mosaica potesse condurre al paradiso come il Vangelo:
significava, dunque, sminuire l'alta importanza che il cristianesimo attribuisce all'opera redentrice del
Salvatore.
Contro queste dottrine insorse Agostino, che alla polemica contro Pelagio dedicò i suoi ultimi decenni di vita
e alcuni dei suoi scritti maggiori. Profondamente convinto della indegnità dell'uomo in seguito al peccato
originale e della sua incapacità di operare il bene e salvarsi senza l'aiuto divino, Agostino concesse all'uomo
come unica libertà quella di sottomettersi a Dio, irrigidì il concetto della grazia - dalla quale unicamente
deriva la salvezza - e della predestinazione e sostenne che gli uomini sono destinati a perdersi, massa
damnationis, e che solo pochi eletti si salveranno, predestinati secondo l'imperscrutabile giudizio divino. In
un primo scritto sul peccato e il battesimo dei bambini (De peccatorum merit??s et remissione et de
baptismo parvulorum), redatto nel 412, egli indicò quanto la dottrina morale dei pelagiani minacciasse verità
fondamentali della fede in Cristo e delineò la sua dottrina sulla redenzione, il peccato originale, la grazia; in
scritti successivi, talvolta nati come epistole in risposta a quesiti che gli erano stati posti, affrontò punti
specifici o controbatté scritti pelagiani (come il De natura et gratia, redatto in risposta a un De natura
pelagiano). Con grande impegno rispose a Giuliano di Eclano e all'accusa di negare il matrimonio. I sei libri
del Contra Iulianum sono tra le elaborazioni più alte di tutta la controversia pelagiana.
Altri scritti Agostino dedicò agli ambienti monastici, nei quali creavano disagio e resistenze talune sue
radicali posizioni, mentre suscitavano approvazione la considerazione ottimistica di Pelagio della natura
umana e il suo appello alla volontà d'azione dell'uomo. Si riluttava a credere nella predestinazione e nella
limitazione dell'universalità della vocazione divina; riusciva penoso a monaci impegnati nella pratica
quotidiana dell'ascesi negare la partecipazione della volontà all'opera della salvezza e il merito delle virtù
pragmatiche. Negli ultimi anni della sua vita il vescovo di Ippona indirizzò ai monaci di Adrumeto i
fondamentali trattati De gratia et libero arbitrio e De correptione et gratia; ai monaci della Provenza
destinò il De praedestinatione sanctorum e il De dono perseverantiae. Queste correnti sono state
giudicate spesso eterodosse e definite, per distinguerle dagli errori più radicali dei pelagiani,
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«semipelagiane»: espressione, cioè, di una dottrina compromissoria, fatta di proposizioni pelagiane
attenuate o camuffate. Di questa eresia dissimulata sono stati trovati infetti in particolare í monaci
provenzali di Marsiglia e di Lérins, e dunque i massimi rappresentanti della cultura ecclesiastica
occidentale nel V secolo, come Cassiano, Ilario d'Arles, Vincenzo di Lérins, Fausto di Riez, Salviano di
Marsiglia. In realtà, «semipelagianesimo» è un termine che non ricorre nei testi antichi, ma fu coniato negli
ultimi anni del XVI secolo e divenne comune nel successivo. Né l'antiagostinismo degli scrittori provenzali
fu una ripresa dell'eresia pelagiana, da questa diversa solo per la moderazione di alcune tesi e la
prudenza dei sostenitori. Di fatto, nei loro scritti non solo non si scorge nessuna reale collusione con il
pensiero pelagiano, ma questo viene sempre criticato e rifiutato (come nel De gratia di Fausto di Riez, che
si apre con una convinta ripulsa della dottrina di Pelagio) e accade anche di trovare Pelagio e Celestio
bollati come eretici e posti (per esempio, nel Commonitorium di Vincenzo di Lérins) nel catalogo degli
eresiarchi più infausti, come Ario, Nestorio, Sabellío, Novaziano e Priscilliano. L'estraneità di questi
ambienti al pelagianesimo esce confermata anche dall'atteggiamento delle gerarchie eccl esiastiche. Papa
Celestino I (422-432), che fu zelante persecutore dell'eresia, pur sollecitato da troppo appassionati e
interessati fautori delle tesi agostiniane (come Prospero di Aquitania), non credette di intervenire e in una
lettera inviata ai vescovi della Gallia si limitò a generiche esortazioni alla prudenza, senza un solo cenno a
temute deviazioni pelagiane. In definitiva, il cosiddetto «semipelagianesimo» non fu che una forma di
resistenza contro le tesi più radicali del grande «dottore della gra zia». Cassiano e Fausto non attaccano
mai Agostino, ma ne considerano le tesi con costante cautela e rispetto. A discuterle li spinge la convinzione
di essere loro i custodi della genuina tradizione cristiana. Era questa - essi affermavano - a concedere che
l'uomo potesse per sua natura tendere con la volontà alla fede e all'insieme di sentimenti e di atti che essa
provoca - la preghiera, la contrizione, il desiderio e la speranza della vita eterna - e potesse, messo in
presenza del Vangelo, dare inizio all'opera della salvezza e con l'aiuto divino perfezionarla mediante la
pratica della virtù.
S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo, L'antichità, a cura di g:
Filoramo e D. Menozzi, Laterza 1997, pp. 335-339.
Bibliografia
ICCU per Soggetto?
Pelagio
Cenni biografici
Nacque intorno al 360, altri dice verso il 354, in Britannia, secondo alcuni Irlanda, verosimilmente
da funzionari romani immigrati.
Dal 390 circa (altri sostiene tra il 380 e il 384, altri ancora tra il 375 e il 380) è a Roma, ereditando
in qualche modo, presso le grandi famiglie, la posizione di prestigio culturale e spirituale che era
stata poco prima di Girolamo, suscitandone il risentimento.
Ci appare nell'ambiente romano un fervido sostenitore della continenza e della povertà, più che
un'intelligenza in materia teologica e dottrinale. Gli furono discepoli Celestio (vedi) e Rufino di
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Siria, con i quali si confrontò su materie quali la predestinazione e il libero arbitrio ben prima di
scontrarsi pubblicamente con Agostino nel 402.
Nel 410, dopo la caduta di Roma, si rifugiò in Africa, a Cartagine, dove nel 411 si ebbe una prima
condanna.
Pelagio quindi partì per Gerusalemme. Qui, nel 415, il vescovo Giovanni lo difese dalle accuse
mossegli da Orosio e da altri esuli latini; sempre qui si ripropose lo scontro tra fautori di Origene, di
cui Pelagio era capofila, e antiorigenisti, capeggiati da Girolamo.
Innocenzo I condannò Pelagio e Celestio; morì nel 417 e gli successe Zosimo, che scagionò i due,
ma a Ravenna si ebbe un rescritto di condanna nel 418, un secondo nello stesso anno, con cui il
pelagianesimo è considerata superstitio; tale fermezza imperiale convinse anche il papa. Del 418 è
la Tractoria (lettera circolare) di Papa Zosimo, con cui si chiede a tutti i vescovi occidentali e
orientali di rispettare la decisione del predecessore Innocenzo I. Giuliano di Eclano non la
sottoscrive e viene condannato.
In Africa, a Cartagine, nel 418 nuovo concilio ribadisce la condanna del 411
Segue nel 419 un rescritto imperiale di Onorio.
Dopo questa data Giuliano si spostò in Oriente, Pelagio in Egitto.
Nel 425 un nuovo rescritto di Valentiniano III contro il pelagianesimo.
La morte di Pelagio va collocata intorno al 427, forse ad Alessandria.
rivedere
Opere
Non pochi i problemi di attribuzione a Pelagio per opere di discepoli.
Grossi (Patrologia) propone una distinzione in a) opere certe, b) scritti vicini a Pelagio, c) scritti
“pelagiani” ma di altri autori.
A)
Expositiones XIII epistularum Pauli: ed. A. Souter, Pelagius's Expositions of Thirteen Epistles of St.
Paul: TSt IX, 2, Cambridge 1926 (PLS I, 1110-1374).
Liber de induratione cordis Pharaonis: ed. G. Morin, in G. De Plinval, Essai sur le style et la langue
de Pélage, Fribourg 1947, 137-203 (PLS I, 1506-1539).
Expositio interlinearis libri Iob, in PL 23, 1475-1538 da distinguere da quello attribuito al presbitero
Filippo (PL 26, 619-802) e dall'altro di Giuliano di Eclano, studiato dal Vaccari (Un commento a
Giobbe di Giuliano di Eclano, Roma 1915).
De vita christiana: PL 50,383-402.
Epistula ad Demetriadem: PL 30, 15-45.
De divina lege: PL 30, 105-116.
Epistula de virginitate: CSEL I, 224-250.
Epistula ad Marcellarm: CSEL 29, 429-436.
Epistula ad Celantiam: CSEL 29,436-459.
Libellus fidei, ed J. Garnier: PL 48, 488-491 e PI. 45, 1716-1718.
Di altri scritti di Pelagio conserviamo frammenti trasmessici soprattutto da Agostino:
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De fide trinitatis o Libri tres de Trinitate, frag. VI, ed. C. Martini, Arnbrosiaster, de auctore,
operibus, theologica, Roma 1944, pp. 189-210 (PLS I, 1544-1560).
Liber Testimoniorum o Eglogarum liber, in Hieronimus, Dial. adv. Pel. I, 25-32: PL 23, 542-550.
De gestis Pel. III, 6-7, in Augustinus, ed J. Garnier: PL 48,594-596; CSEL 42, 57-59.
De libero arbitrio, in Augustinus, De gratia Christi et de peccato originali: CSEL 42, 125-206, ed. J.
Garnier, in PL 48, 611-613; Fram. III, ms. parisiensis 633, ed. A. Souter, in Proceeding of the
British Acad. 11 (1905) 437-438 e in JThSt 12 (1910-1911) 32-35 (PLS I, 1539-1543).
De natura, in Augustinus, De natura et gratia: CSEL 60, 233-299, ed. J. Garnier, in PL 48,599-606
incompleto.
De amore; De bono constantiae, in: Beda, In Cantica Canticorum: PL 91, 1065-1077; in A.
Briickner, Julian von Aeclanurn (TU XV, 3, 74-75).
Epistula ad Livianam, in Aug. De gestis 6, 16, è interpolato (CSEL 42, 68); in Mercator,
Commonitorium II (ACO I, V, 1 p. 69).
Epistula ad Innocentium, in Aug. De gratia Christi I, 31, 33, ed. J. Garnier, in PL 48, 610-611).
Epistula ad amicum, in Aug De gestis Pel. 30, 54: CSEL 42, 107.
Epistula ad discipulos, in Aug De peccato originali 15, 16: CSEL 42, 177-178.
Fragmenta Vindobonensia, frag. brevia duo: PLS I, 1561-1570.
B)
Epistula ad adolescentem
Tractatus de divitiis
Epistula de malis doctoribus
Epistula de possibilitate non peccandi
Epistula de castitate
Consolatio ad virginem
Epistula ad Claudiam
Epistula ad Oceanum
C)
Epistula ad virginem devotam
Epistula de contemnenda haereditate (pseudo-Girolamo)
Epistula de vera circumcisione (pseudo-Girolamo)
Epistula ad Pammachium et Oceanum de renuntiatione saeculi
Epistula de vera paenitentia
Epistula “Honorificentiae tuae”.
In base al contenuto le opere pelagiane possono essere divise in tre gruppi:
Scritti esegetici
Scritti teologici
Scritti ascetico-morali.
Contestò duramente il manicheismo; sensibile alla sapienza e all'ascesi pagana (Sententiae di
Sisto [v. Rufino])
Importanti per la figura di "direttore spirituale" presso nobiltà romana:
Epistula ad Demetriadem (413): rinuncia al matrimonio.
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Epistula ad Celantiam.
Epistula ad Claudiam de virginitate (già attribuita a Ilario, Sulpicio Severo, Girolamo, Atanasio)
Commentarii in epistulas s: Pauli, datato 411.
De natura, datato 414 (frammenti)
De libero arbitrio, in quattro libri, datato 417 (frammenti)
De vita Christiana
Oltre ai già citati Migne vol. 21, con rinvio a vol. 48
LIBELLUS FIDEI AD INNOCENTIUM 1.
EPISTOLA AD DEMETRIADEM.
LIBER DE VIDUAM.
EPISTOLA AD AMICUM.
EPISTOLA, SEU CHARTULA PURGATIONIS, AD SANCTUM AUGUSTINUM.
Vedi inoltre testimonianza di Gennadio.
Testi e testimonianze
Gennad., script.eccl., 42
PELAGIUS haeresiarcha, antequam proderetur haereticus, scripsit studiosis viris [c [1083C] Al., necessaria.]
, necessarios tres de Fide Trinitatis libros: et pro actuali conversatione [d [1083C] Eulogiae sive Eclogae,
electa, selectae sententiae. Vide W., Wallii Historiam paedobaptismi Anglice editam, p. 201, ubi de hoc
Pelagii libro, sed qui pridem cum libris de Fide Trinitatis est amissus, disserit.] Eulogiarum ex Divinis
Scripturis librum unum, capitulorum indiciis, [e [1083C] Respicit tres libros Testimoniorum S. Cypriani
[1083D] ad Quirinum.] in modum S. Cypriani martyris praesignatum. Post haereticus publicatus scripsit
haeresi suae faventia.
Hieron., ep. 50.
Controllare da traduzione e ediz. recente se effettivamente si parla di Pelagio, cui Girolamo si
rivolgerebbe astiosamente.
Hieron., ep. 130 e 133.
August., ep. 177 e 186
August., de haeres., 88. [Migne] I Pelagiani.
LXXXVIII. PELAGIANORUM est haeresis, hoc tempore omnium recentissima a Pelagio monacho exorta.
Quem magistrum Coelestius sic secutus est, ut sectatores eorum Coelestiani etiam nuncupentur. Hi Dei
gratiae, qua praedestinati sumus in adoptionem filiorum per Jesum Christum in ipsum (Ephes. I, 5) , et qua
eruimur de potestate tenebrarum, ut in eum credamus atque in regnum ipsius transferamur (Coloss. I, 13) ,
propter quod ait, Nemo venit ad me, nisi fuerit ei datum a Patre meo (Joan. VI, 66) , et qua diffunditur
charitas in cordibus nostris (Rom. V, 5) , ut fides per dilectionem operetur (Galat. V, 6) , in tantum inimici
sunt, ut sine hac posse hominem credant facere omnia divina mandata: cum si hoc verum esset, frustra
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Dominus dixisse videretur, Sine me nihil potestis facere [3 [0047] In plerisque Mss. deest, cum si hoc verum
esset, frustra Dominus dixisse videretur, Sine me nihil potestis facere.] (Joan. XV, 5) . Denique [0048]
Pelagius a fratribus increpatus, quod nihil tribueret adjutorio gratiae Dei ad ejus mandata facienda,
correptioni eorum hactenus cessit, ut non eam libero arbitrio praeponeret, sed infideli calliditate supponeret,
dicens, ad hoc eam dari hominibus, ut quae facere per liberum jubentur arbitrium, facilius possint implere per
gratiam. Dicendo utique, Ut facilius possint, voluit credi, etiam si difficilius, tamen posse homines sine gratia
divina facere jussa divina. Illam vero gratiam Dei, sine qua nihil boni possumus facere, non esse dicunt nisi
in libero arbitrio, quod nullis suis praecedentibus meritis ab illo accepit nostra natura, ad hoc tantum ipso
adjuvante per suam legem atque doctrinam, ut discamus quae facere, et quae sperare debeamus, non
autem ad hoc ut per donum Spiritus sui [1 [0048] Sic Mss. Editi vero, Spiritus sancti.] , quae didicerimus esse
facienda [2 [0048] Sic ex Mss. [non autem ad hoc per donum Spiritus sui, ut quae didicerimus esse facienda,
etc.]] , faciamus. Ac per hoc divinitus nobis dari scientiam confitentur, qua ignorantia pellitur, charitatem
autem dari negant, qua pie vivitur: ut scilicet cum sit Dei donum scientia quae sine charitate inflat, non sit Dei
donum ipsa charitas, quae ut scientia non inflet, aedificas (I Cor. VIII, 1) . Destruunt etiam orationes, quas
facit Ecclesia, sive pro infidelibus et doctrinae Dei resistentibus, ut convertantur ad Deum; sive pro fidelibus,
ut augeatur in eis fides, et perserverent in ea. Haec quippe non ab ipso accipere, sed a se ipsis homines
habere contendunt, gratiam Dei qua liberamur ab impietate, dicentes secundum merita nostra dari. Quod
quidem Pelagius in episcopali judicio Palaestino damnari metuens, damnare compulsus est; sed in
posterioribus suis scriptis hoc invenitur docere. In id etiam progrediuntur, ut dicant vitam justorum in hoc
saeculo nullum omnino habere peccatum, et ex his Ecclesiam Christi in hac mortalitate perfici, ut sit omnino
sine macula et ruga (Ephes. V, 27) ; quasi non sit Christi Ecclesia, quae toto terrarum orbe clamat ad Deum,
Dimitte nobis debita nostra (Matth. VI, 12) . Parvulos etiam negant, secundum Adam carnaliter natos,
contagium mortis antiquae prima nativitate contrahere. Sic enim eos sine ullo peccati originalis vinculo
asserunt nasci, ut prorsus non sit quod eis oporteat secunda nativitate dimitti: sed eos propterea baptizari, ut
regeneratione adoptati admittantur ad regnum Dei, de bono in melius translati, non ista renovatione ab
aliquo malo obligationis veteris absoluti. Nam etiamsi non baptizentur, promittunt eis extra regnum quidem
Dei, sed tamen aeternam et beatam quamdam vitam suam. Ipsum quoque Adam dicunt, etiamsi non
peccasset, fuisse corpore moriturum, neque ita mortuum merito culpae [3 [0048] Lov., neque mortuum
merito culpae; omisso, ita.] , sed conditione naturae. Objiciuntur eis et alia nonnulla, sed ista sunt maxime,
ex quibus intelliguntur etiam illa vel cuncta, vel pene cuncta pendere.
88. 1. In questo nostro tempo c'è l'eresia dei PELAGIANI, l'ultima fra tutte, proveniente dal monaco Pelagio
(108). Celestio ha seguito tanto codesto suo maestro, che i loro seguaci sono designati anche come
Celestiani (109).
88. 2. Costoro sono ostili alla grazia di Dio: per mezzo di essa noi, infatti, siamo stati predestinati
all'adozione di figli di Lui per mezzo di Gesú Cristo; e per mezzo di essa veniamo strappati dal potere delle
tenebre, affinché crediamo in Lui e siamo trasferiti nel suo regno, e riguardo a ciò Gesú ha detto: Nessuno
viene a me, se non gli viene dato dal Padre mio; e per mezzo di essa la carità viene riversata dentro i nostri
cuori, cosí che la fede agisce sotto l'impulso .dell'amore. Costoro sono tanto ostili alla grazia, che credono
che l’uomo può mettere in pratica tutti i precetti di Dio senza il suo aiuto (110). Se una tale affermazione
fosse vera, il Signore avrebbe detto evidentemente invano: Senza di me non potete far nulla. Infine Pelagio,
rimbrottato dai suoi confratelli di non assegnare parte alcuna all'aiuto dato dalla grazia di Dio per
l'adempimento dei suoi precetti (111), cedette alle loro rimostranze, ma solo fino a questo punto, che non
antepose la grazia al libero arbitrio, ma, con l'astuzia da miscredente la subordinò ad esso: disse, infatti che
essa è data agli uomini unicamente al fine che essi, mediante la grazia, possano piú facilmente adempiere i
precetti; precetti che essi sono tenuti ad osservare, mediante il libero arbitrio: dono che la nostra natura ha
ricevuto da Dio, senza alcun merito precedente da parte di essa; ed, invero, costoro sono d'avviso che essa
lo ha ricevuto soltanto a questo fine, cioè che noi, con l'aiuto di Dio datoci attraverso la sua Legge e il suo
insegnamento, apprendiamo quel che dobbiamo fare e quel che dobbiamo sperare, ma non perché noi, in
virtú del dono dello Spirito Santo, siamo messi in grado di fare quanto abbiamo appreso essere nostro
dovere fare.
88. 3. E con ciò costoro vengono ad ammettere che da Dio ci è data la scienza, per opera della quale viene
cacciata l'ignoranza; ma rifiutano di ammettere che ci sia data la carità, in virtú della quale si vive piamente:
e, pertanto evidentemente si ha, che mentre la scienza, la quale senza la carità fa insuperbire, sarebbe dono
di Dio, non sarebbe dono di Dio proprio la carità, la quale edifica, facendo in modo che la scienza non porti
alla superbia.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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88. 4. Costoro giungono, di fatto, a distruggere anche le preghiere che fa la Chiesa, sia quelle per gli infedeli
e per quanti sono renitenti alla dottrina di Dio, fatte per la loro conversione, sia quelle per fedeli, fatte
affinché si accresca la loro fede e rimangono perseveranti in Lui (112). Codesti eretici, invero, sostengono
che gli uomini non ricevano queste mozioni da Dio direttamente, ma le abbiano da se stessi, in quanto che,
secondo le loro affermazioni, la grazia di Dio, ad opera della quale siamo liberati dall'empietà, ci viene data
proporzionalmente ai nostri meriti. Pelagio, però, nel processo fattogli dai vescovi della Palestina, per timore
di esservi condannato, fu costretto a condannare codesta sua proposizione. Tuttavia, egli nei suoi scritti
posteriori la professa apertamente (113).
88. 5. Giungono perfino alla bestemmia di dire che la vita dei giusti su questo mondo non ha assolutamente
alcun peccato, e che !a Chiesa di Cristo, in questa sua condizione mortale, risulta formata da costoro, cosí
da essere completamente senza macchia e ruga, come se non fosse la Chiesa di Cristo colei che in tutto il
mondo grida a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti.
88. 6. Affermano ancora che i bambini, discendenti per via di generazione da Adamo, non contraggono, in
conseguenza di questo loro primo modo di nascere, l'infezione prodotta dall'antica colpa mortifera (114).
Asseriscono, infatti, con tanta risolutezza che i bambini nascono senza un qualsiasi legame con il peccato
commesso all'origine, che non c'è assolutamente nulla che debba venir loro rimesso, mediante una loro
seconda nascita; ma dicono che sono battezzati solo al fine di essere adottati mediante la rigenerazione e,
così, venire ammessi al regno di Dio, cioè essi sono trasferiti da una buona condizione ad un'altra migliore,
senza però che vengano, mediante il sopraddetto rinnovamento, liberati da un qualche male dovuto ad un
debito antico (115). Ed infatti promettono anche a quei bambini, che non sono battezzati, una propria sorta di
vita, la quale sebbene vissuta fuori del regno di Dio è, pur tuttavia, eterna e beata.
88. 7. Costoro dicono che lo stesso Adamo, anche se non avesse peccato, sarebbe morto fisicamente, e,
pertanto, non è morto per effetto della colpa, ma a causa della qualità della sua natura (116). Ci sono ancora
altre affermazioni di costoro contro la dottrina della Chiesa, che però sono comprese, tutte o quasi tutte, in
queste che abbiamo esposte.
(108) Pelagio nacque tra il 350 e il 354 e giunse a Roma tra il 382 e il 385. Cominciò la sua opera di proselitismo soltanto
nel 394. Mori tra il 423 e il 429. Tutto ciò che si sa sulla prima parte della sua vita è che era un bretone (AGOSTINO, Ep.
186, 1; OROSIO, Apol. 12: CSEL 5, 620). Fu monaco, ma quanto pare, non fece parte di nessun ordine preciso. Il
successo del pelagianesimo in Africa, in Sicilia e a Rodi fu frutto, probabilmente, .dell'attività di Celestio, da cui anche il
nome di eresia dei Celestiani.
(109) Per le fonti agostiniane ci sono tutte le opere antipelagiane, che a NBA ha riunite e pubblicate insieme nelle
raccolte Natura e grazia; Grazia e libertà; Polemica con i Pelagiani.
(110) Sulla dottrina pelagiana vedere le varie introduzioni, generale e particolari, pubblicate in NBA, nelle raccolte Natura
e grazia; Grazia e lipertà; Polemica con i Pelagiani.
(111) Si tratta forse di un riferimento a Girolamo che, sui Pelagiani, scrisse una lettera a Ctesifonte (Ep. 133) nel 415 e,
poco dopo, il Dialogus contra Pelagianos. In risposta Pelagio scrisse i suoi quattro libri del De libero arbitrio. Pelagio era
giunto in Palestina dopo esser stato a Cartagine con Celestio, nel 411, per partecipare all'incontro tra Donatisti e
Cattolici. I due erano fuggiti da Roma poco prima dell'arrivo di Alarico e nel 409 .erano a Siracusa. A questi anni
risalgono il De natura di Pelagio e le Defitiniones di Celestio.
(112) La preghiera secondo Pelagio è solo un modo per mostrare all'uomo cosa desiderare e cosa amare (cf.
AGOSTINO, De gratia Christi 30, 32; 41, 45). Poiché a suo avviso tutto dipendeva dalla volontà, la preghiera non faceva
neppure parte dei doveri del fedele (cf. AGOSTINO, De natura et gratia 58, 68).
(113) Delle opere tarde abbiamo il Libellus fidei ad Innocentium pavam (PL 45, 1716-1718), scritto nel 417; quanto
venne in seguito, tranne pochi frammenti, è andato perduto (l'Epistula ad Augustinum e l'Epistula ad amicum quemdam
presbyterum sono in AGOSTINO, De gestis Pel. 32, 57 e 30, 54). L'Epistula ad Innocentium (cf. AGOSTINO, De gratia
Christi 30, 32) a il De libero arbitrio vennero scritti nel 417. In tutti questi testi Pelagio torna a spiegare le sue dottrine.
(114) Poiché, secondo Pelagio, il peccato è sempre il risultato di un atto di libera volontà, non vi è alcun peccato
originale. Nel suo De gr. Chr. et de p. o. 2, 14, Agostino spiega che, anche dopo il sinodo di Palestina, Pelagio ha
continuato a sostenere le sue tesi sul peccato originale come testimoniato nel primo libro del suo De libero arbitrio.
(115) Cf. De pecc. mer. et rem. 1, 30, 58. (116) Cf. De gest. Pel. 17, 23.
Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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PL 30 Migne tra le lettere di Girolamo
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PL Migne 50 e 40.
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Conte 523, Bettini 3, 892 segg.. Moreschini-Norelli, 2/1, 452-55 557 segg..
niente Treccani
Pelagio Encarta
Pelagio (Britannia 354 ca. - Alessandria ? 427 ca.), monaco asceta e teologo inglese; giunto a Roma verso il
390, godette di grande considerazione nei circoli dell'aristocrazia romana divenuta cristiana. Scrisse
numerose opere tra le quali un Commento alle lettere di san Paolo, facendosi promotore di un ideale di vita
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cristiana rigorosa e di forte impegno morale. Secondo le teorie da lui sostenute, la natura umana, in quanto
dotata di libero arbitrio, può adempiere ai comandamenti di Dio perché il peccato originale fu in realtà un
peccato personale (cioè del solo Adamo) che esercita la sua influenza sull'umanità solo come cattivo
esempio. Quindi l'uomo, se volesse, potrebbe evitare il peccato anche senza il sostegno della grazia. Ne
consegue che il battesimo, che toglie solo le colpe personali, non è necessario per gli infanti inconsapevoli.
Le tesi di Pelagio vennero duramente combattute da sant'Agostino, ma si diffusero in Italia, in Africa e
dell'Oriente cristiano. Il pelagianesimo fu condannato dal concilio di Cartagine del 418.
-----------------Pelagianesimo. (
Eresia riguardante la grazia, iniziata con Pelagio (vissuto verso il 400), monaco bretone o irlandese
il quale, prima a Roma e poi nel Nord Africa, insegnò che gli esseri umani possono raggiungere la
salvezza coi loro soli sforzi. Il peccato originale non sarebbe altro che un cattivo esempio dato da
Adamo ma che non recò nessun danno spirituale ai suoi discendenti e, in particolare, lasciò intatto
l'uso naturale della libera volontà. Riducendo la grazia al buon esempio dato da Cristo, Pelagio
esortava ad una vita ascetica intensa e patrocinava una Chiesa elitaria. Sant'Agostino di Ippona
(354‑ 430) gli si oppose strenuamente. Il Pelagianesimo fu condannato in vari concili del Nord
Africa (DS 222‑ 230; FCC 3.049‑ 3.050, 8.001‑ 8.007), da due papi e dal Concilio di Efeso nel 431
(DS 267‑ 268). Cf Agostinianismo; Messaliani; Peccato originale; Semi‑ pelagianesimo.
Semi‑ pelagianesimo. (inizio)
Teoria proveniente da san Giovanni Cassiano di Marsiglia (circa 360‑ 435), san Vincenzo di Lérins
(morto prima del 450) e da altri monaci del Sud della Francia. Secondo essi, gli esseri umani
possono fare da sé il primo passo verso Dio senza l'aiuto della grazia divina. Mentre ammettevano
che la grazia è indispensabile alla salvezza e rigettavano così il Pelagianesimo, coloro che
svilupparono il semi‑ pelagianesimo (come fu chiamata questa visuale alla fine del XVI secolo), si
comportarono così almeno in parte per la loro opposizione alla versione estremista della
predestinazione sostenuta da sant'Agostino di Ippona (354‑ 430). Il semi‑ pelagianesimo finì per
essere condannato nel secondo Concilio di Orange (529). L'insegnamento ufficiale della Chiesa,
mentre seguì l'insegnamento di Agostino sulla grazia (cf DS 370‑ 397; 2004‑ 2005; 2618; 2620;
FCC 3.052‑ 3.053; 8.031‑ 8.040, 8.139‑ 8140), non ha mai approvato la sua interpretazione della
predestinazione. Cf Antropologia; Grazia; Pelagianesimo; Predestinazione.
Dall’introd. di L. Dattrino alle Conlationes di Cassiano, Roma, Città Nuova, 2000Egli [Fausto di Riez] appartenne a quell'indirizzo del monachesimo della Gallia meridionale che rifiutò di
accettare la dottrina di Agostino pur non aderendo, ovviamente, alle teorie di Pelagio, donde, uttavia, ebbe
origine il nome, attribuito a quella categoria, di semipelagiani.
Tre sono le tesi fondamentali di Fausto: 1) con la creazione, l'uomo ha ricevuto da Dio il libero arbitrio, ed è
quindi capace di operare anche nel piano della salvezza; 2) l'uomo può scegliere il male; per operare il bene
non ha una semplice facoltà negativa o pura possibilità, bensì una dotazione positiva che lo rende incline per
natura al bene; 3) infine, dopo il peccato originale, tali doni rnrtrrrali risultano non distrutti, ma solo indeboliti
e attenuati. Persiste nell'uomo una certa capacità di bene. Essendo essa douta alla creazione, interessa tutti
gli uomini, senza distinzione: a mali è offerta la possibilità di salvarsi.
Anche solo da questa sintetica premessa appare chiaro che a Fausto di Riez potrebbe, .semmai, essere
applicato con più ragione il giudizio negativo che il Pichery, impropriamente, aveva rivolto a Cassiano:
«L'errore fondamentale del Presente capitolo (il 12 della Conferenza XIII ) è di non distinguere, tra i due
ordini, quello naturale e quello soprannaturale. Dio ha creato l'uomo libero, l'ha costituito in grazia e l'ha
arricchito di doni premrnaturali. Ma l'uomo, peccando, ha perduto tutto quello che non era dovuto alla natura
umana, vale a dire, la grazia e i doni preternaturali. Da quel momento egli si rendeva incapace delle opere di
salvezza. Egli ha conservato indubbiamente, con la libertà, il potere di produrre atti moralmente buoni, ma
questi non conducono alla vita. Soltanto la grazia restituisce la possibilità di compiere il bene nell'ordine della
salvezza».
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Quello che Cassiano ammetteva, che cioè l'uomo aveva conservato qualche tendenza iniziale a decidersi
per il bene, Fausto di Riez lo estende ad una possibilità ben maggiore al punto da toccare i limiti del
pelagianesimo. «Per lui, anche dopo il peccato d'origine, l'uomo ha conservato qualcosa della bontà
originaria. I doni del Creatore risultano attenuati e indeboliti, ma non annientati. L'uomo conserva una
qualche capacità di dirigersi al bene salvifico; Agostino, invece, lo attribuisce solo alla grazia, la quale crea la
buona volontà e ne asseconda gli sforzi. Il ragionamento di Fausto si fonda sulla convinzione che ciò che è
naturale ed essenziale e costitutivo della natura potrà subire attenuazioni, ma non venir meno del tutto,
altrimenti vien meno la natura stessa».
E ancora: «Fausto, non accettando la predestinazione (quale appariva nella dottrina di Agostino), considera
tutti gli uomini chiamati alla salvezza e dotati di una possibilità innata di dirigersi al bene o al male. In tutti i
tempi, chi .ha cercato Dio, lo ha trovato, e chi sembrò non trovarlo, in realtà non l'aveva cercato. L'esempio
di Nabucodonosor e dei Niniviti; ai quali Giona predicò, mostra che il principio della salvezza è nell'uomo in
forza della struttura umana stessa voluta da Dio».
Appare chiaro come ormai fosse divenuta grave la complessità dei problemi relativi alla caduta dell'uomo, al
libero arbitrio e alla predestinazione. Già apparivano varie le possibili soluzioni di quei problemi, sicché, di
fronte ai pronunciamenti di Agostino, immediate si manifestarono le reazioni, a cominciare dalle obiezioni
sorte in Africa nel monastero di Adrumeto. Fu allora che Agostino rispose a quei monaci con due opere, nel
426 e 427: il De gratia et libero arbitrio e il De correptione et gratia.
L'accoglienza di quest'ultima opera, ad Adruzneto, contribuì a rimettere gli animi in quiete. Non così a
Marsiglia e nella Provenza in generale. Già da tempo in quella regione la dottrina di Agostino sulla grazia
aveva suscitato alcune reazioni, manifestate però con una certa riserva. «Ma quando essi ebbero tra le mani
il testo del De correptione et gratia, videro chiaramente che una radicale antinomia separava il loro pensiero
dal pensiero di Agostino, e dichiararono il loro rifiuto di fronte a una teologia così eccessi va e pericolosa».
«Dalle lettere di Prospero e di Ilario risulta che Marsiglia era il centro di questo movimento. Prospero
aggiunge che gli oppositori si trovavano fra "i religiosi di Cristo", e che abitavano ira quella città. Con questo
egli designa senza alcun dubbio i monaci del convento di San Vittore, del quale Cassiano era fondatore e
abate. Cassiano, in verità, non è nominalo in quelle Lettere, ma la reazione (ad Agostino) veniva
sicuramente da lui».
Da Marsiglia il movimento antiagostiniano s'era propagato nella Provenza, come pure nel' monasteri' della
costa mediterranea, nelle isole d'Hyères e a Lérins. Relazioni molto strette legavano ormai Cassiano con gli
abati di quei monasteri, e lo dimostrano chiaramente le dediche delle Conferenze, indirizzate appunto da
Casszàno a quegli abati.
Nell'Immediato perdurare di quelle controversie, ecco insorgere la figura di Cesario d'Arles il quale attese
con impegno a ricolvere tali persistenze. Egli, nato verso il 470, entrò nelle file del clero, poi si fece monaco
a Lérins, ma lasciò il monastero dopo pochi anni. Ad Arles fu diacono, prete e abate di un monastero; infine
divenne vescovo della città (500 ca). Della sua attività letteraria e pastorale ci interessa soprattutto l'opera
De gratia, intesa a sostenere la tesi dell'agostinismo radicale, secondo cui la grazia, necessaria per la
salvezza dell'uomo, è concessa solo ad alcuni predestinati indipendentemente dai meriti e secondo un
imperscrutabile giudizio divino, che l'uomo non può sindacare. Fu per opera soprattutto di lui che avvenne
l'indizione del concilio d'Orange (529), che segnò, secondo il giudizio del Simonetti; la fine del
semipelagianesimo 96. Il Concilio, tenuto sotto la presidenza di Cesario con la partecipazione di 14 vescovi,
emise otto canoni, seguiti da 17 proposizioni dogmatiche, intese a condannare le dottrine semipelagiane.
Dopo tutto, però, «il concilio d'Orange, non accettando l'intera dottrina agostiniana sulla grazia, non prese
decisioni sul punto principale controverso e sulla differenza essenziale tra agostinismo e
semzpelagzànesimo... Quindi Fausto di Riez e i semipelagiani del sec. V non possono essere detti
formalmente eretici».
Comunque, la divergenza di queste concezioni, sviluppatesi soprattutto nella Gallia meridionale sotto
l'influenza di Cassiano e di Fausto di Riez contro l'estremismo della posizione agostiniana in rapporto alla
predestinazione e all'assoluta gratuità della salvezza, fu per lungo tempo giudicata con severità, e prese il
nome di semipelagianesimo. Il termine, in ogni caso, ebbe origine assai tarda ed entrò nell'uso sola all'inizio
del secolo XVII.
Finalmente oggi si è cercato di far giustizia a Cassiano, sia riconoscendo la sua convergenza col pensiero
dei Padri greci, sia confinando nel punto giusto la sua ammissione all'inizio del concorso umano come
semplice attitudine dell'uomo verso il bene della propria anima.
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Celestio
Cenni biografici
Celestio , giurista romano, prima di conoscere Pelagio viveva in un monasterium.
Si rifugia in Africa con Pelagio dopo il sacco di Roma (410). Si stabilisce a Cartagine, ma lì si trova
in forte opposizione con Agostino e vi viene condannato da un concilio nel 411-12. Sei i punti sui
cui si fonda la condanna, tra cui i più rilevanti sono natura della morte corporale, traducianesimo
del peccato di Adamo sui posteri, motivi del battesimo dei bambini.
Viene esaminato tra gli altri da Paolo Orosio. Con l'intervento compromissorio di Pelagio si arriva a
una condanna di Celestio. Dopo la condanna Celestio si stacca da Pelagio e compone quasi tutte
le sue opere dopo questa data. Nel Concilio di Diospoli del 415 Celestio viene condannato con
Pelagio da Innocenzo I.
Nel 416, data in cui C. si trova ad Efeso, esso è condannato nuovamente con Pelagio nei due
concili di Cartagine e Milevi.
I due furono poi inviati a Roma dove ricevettero un trattamento più benevolo da parte del nuovo
papa Zosimo.
Nel 418 un editto imperiale condannò i due eretici e papa Zosimo li scomunicò con l'Epistula
tractatoria.
Celestio cercò invano una riabilitazione dal nuovo papa Celestino I (422-32), intorno al 423-24. La
data ante quem per la morte è collocabile al 429.
Il concilio di Efeso del 431 condannò definitivamente le dottrine pelagiane.
Opere
Il ruolo di Celestio è pari a quello di P. nella diffusione delle ide pelagiane, anche se il suo pensiero
non è ancora stato definito nei particolari. Su alcuni punti egli doveva presentarsi più radicale e
anche la dissociazione di Pelagio nel 411 e nel 415 lo conferma.
Dei testi di Pelagio abbiamo frammenti in alcune opere di Agostino e in Girolamo.
De monasterio???
Definitiones. Ne abbiamo frammenti in Agostino (de perfect.iustit. hominis)
Libellus fidei. Ne abbiamo frammenti in Agostino (de peccat.orig.)
Migne
LIBELLUS FIDEI ZOSIMO OBLATUS.
BREVIARIUM EPISTOLAE AD CLERICOS ROMANOS.
LIBER ADVERSUS PECCATUM ORIGINALE.
SENTENTIAE COELESTII.
DEFINITIONES DE IMPECCANTIA.
Testi e testimonianze
Gennad., script.eccl., 44
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COELESTIUS antequam [j [1083D] Corbei., Coelestius antequam Pelagio concurreret.] Pelagianum dogma
incurreret imo adhuc adolescens, scripsit ad parentes suos [1084A] de Monasterio epistolas, in modum [k
[1084B] Id., in modum libri.] libellorum, tres, in omnibus Deum desiderantibus necessarias. [l [1084B] Quae
sequuntur desunt in Corbei., et loco eorum leguntur haec verba: postea vero haereticus publicatus a papa
Zosimo condemnatus est.] Moralis siquidem in eis dictio nil vitii postmodum proditi, sed totum ad virtutis
incitamentum tenuit.
M. Mercat., commonit., I e II.
Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 21; cf. 48.
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 458-59
(V. Grossi).
ICCU per Soggetto Celestio
Niente Titolo Autore Soggetto Celestio/Coelestius
Bettini 3,892. Moreschini-Norelli, 2/1, p. 455.
Giuliano di Eclàno
Cenni biografici
Nacque tra il 380 e il 390 (alcuni restringono al 380-85) da una nobile famiglia dell'Italia
meridionale, nella regione della Apulia. Il padre era Memore, vescovo, la madre Giuliana,
Notevole la sua formazione culturale in entrambe le lingue.
Si sposa con Tizia, figlia del vescovo di Benevento nel 403 (nozze celebrate da un epitalamio di
Paolino di Nola [c.25]).
Diventò prima diacono nel 408, quindi nel 416 vescovo di Eclano (BN). La sua notorietà è in stretto
rapporto con la Tractoria (lettera circolare) con cui papa Zosimo I condannò i pelagiani. Quando
Giuliano chiese al pontefice delle chiarificazioni per sottoscrivere il documento e Zosimo rifiutò di
fornirle scattò per Giuliano ed altri 18 vescovi italiani la condanna come pelagiani. Giuliano fu per
questo bandito e lasciò l'Italia nel 419, alla volta prima della Cilicia, poi di Costantinopoli.
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Rientrato in Italia visse, insegnando, i suoi ultimi anni in Sicilia. Fallito, intorno al 439, un tentativo
di rientrare nella comunità ecclesiale, pare per intervento del diacono Leone, futuro papa Leone
Magno.
Opere
Opere tutte legate alla contesa pelagiana e quindi in polemica con Agostino.
EPISTOLA AD ZOSIMUM.
Composta 418
EPISTOLA AD RUFUM.
Composta nel 419, assieme a un aepistula ad Romanos. La prima ripete l’accusa di manicheismo
alla concezione africana della natura umana. Agostino risponde con il Contra duas epistolas
pelagianorum.
AD TURBANTIUM EPISCOPUM, ADVERSUS LIBRUM PRIMUM SANCTI AUGUSTINI DE
CONCUPISCENTIA, LIBRI QUATUOR.
Composto nel 419.
AD FLORUM ADVERSUS LIBRUM II SANCTI AUGUSTINI DE NUPTIIS LIBRI OCTO.
Accusa Agostino di manicheismo e di voler risolvere con la forza la questione pelagiana.
LIBER DE AMORE. (framm.?)
LIBER DE CONSTANTIAE BONO, CONTRA PERFIDIAM MANICHAEI.
Opera esegetica (Commento ai profeti minori e a Giobbe).
Furono attribuite a Giuliano:
Praedestinatus (anonimo del V secolo); attribuito anche a Arnobio il Giovane
Libellus fidei (composto da vescovi del Nord Italia al metropolita di Aquileia contro la Tractoria.
Testi e testimonianze
Genn., script.eccl., 45
JULIANUS, episcopus [n [1084C] Sigeberg., Campanus. Cui lectioni suffragatur Beda praef. libr. in Cantica
Canticor. ubi meminit Juliani Celanensis a Campania. In ms. Corbei. nulla episcopatus mentio, sed tantum
legitur: Julianus vir acer ingenio. Pro Celanensi apud Bedam alii ex Mario Mercatore legunt Eclanensem.
Vide quae notata sunt a Benedictinis in praef. ad partem II tomi X S. Augustini.] Capuanus, vir acris ingenii,
in divinis Scripturis doctus, Graeca et Latina lingua scholasticus, priusquam impietatem Pelagii in se aperiret,
clarus in doctoribus Ecclesiae fuit. Postea vero [o [1084C] Corbei., cum haeresim Pelagii defenderet
adversus beatum Augustinum impugnatorem illius.] haeresim Pelagii defendere nisus, scripsit adversus
Augustinum impugnatorem illius libros quatuor et iterum libros septem. Est etiam liber [p [1084C] Id.,
altercationum. Non videtur hoc opus diversum fuisse a superiore. Vide Garnerium ad Mercatorem tom. I, p.
387.] altercationis amborum partes suas defendentium. Hic Julianus eleemosynis tempore famis et
angustiae indigentibus omnibus suis erogatis, multos miserationis specie, [1084B] nobilium praecipue et
religiosorum, illiciens haeresi suae sociavit. Moritur Valentiniano et Constantino, filio ejus, imperante.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 21, cf. 48
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 458-64
(V. Grossi).
V. Grossi, s.v. Giuliano d’Eclano, in DPAC, 2, col. 1609-11.
Marandino, R., Giuliano da Aeclanum, S. Angelo dei Lombardi: De Sanctisiana, 1987
Lossl, J., Julian von Aeclanum: Studien zu seinem Leben, seinem Werk, seiner Lehre und ihrer
Uberlieferung, Leiden, Brill, 2001, Supplements to Vigiliae Christianae
ICCU
Marandino, Romualdo, Giuliano da Aeclanum / Romualdo Marandino, S. Angelo dei Lombardi: De
Sanctisiana, 1987
Vaccari, Alberto, Nuova opera di Giuliano Eclanese: commento ai Salmi / A. Vaccari, Roma: Civilta Cattolica,
1916
Note Generali: Estr. da: Civilta Cattolica .
D'Amato, Antonio, S. Agostino e il vescovo Pelagiano Giuliano / prof. Antonio D'Amato, Avellino: Pergola,
1930
D'Amato, Antonio, S. Agostino e il vescovo Pelagiano Giuliano / Antonio D'Amato, Monza: Scuola tip.
Artigianelli, 1917
Note Generali: Estr. da: La scuola cattolica, Milano febbraio 1917.
Lossl, Josef, Julian von Aeclanum: Studien zu seinem Leben, seinem Werk, seiner Lehre und ihrer
Uberlieferung / von Josef Lossl, Leiden [etc.]: Brill, 2001, Supplements to Vigiliae Christianae
Bouwman, Gisbert, Des Julian von Aeclanum Kommentar zu den Propheten Osee, Joel und Amos: ein
Beitrag zur Geschichte der Exegese / Gisbert Bouwman, Roma: Pontificio istituto biblico, 1958, Analecta
Biblica
Soggetti: Giuliano: di Eclano . Commentarius in prophetas minores
Bettini, 3, 894 ricc., Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 562-566 (per controversia con Agostino, in cap. Agostino)
Fastidio
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Cenni biografici
Viaggio in Sicilia tra il 413 e il 418, poi ritorna in Britannia come vescovo.
Opere
FASTIDII BRITANNORUM EPISCOPI DE VITA CHRISTIANA LIBER UNUS.
Gennadio parla di un De viduitate
Testi e testimonianze
Genn., script.eccl., 66
[a [1091A] Fastidius a Joanne Pitseo, doctore theologo, Liverduni in Lotharingia decano, in libro de Illustribus
Britanniae Scriptoribus, vocatur episcopus Londinensis. Praeter Gennadium, Honorius quoque
Augustodunensis et Trithemius in Catalogo Fastidii meminerunt, et ipsum anno quadringentesimo vicesimo
[1091B] floruisse tradunt. Ex Fastidii operibus nil hactenus est editum. Idem Pitseus libro citato de Bachario
seu Bachiario, quem supra cap. 24. Gennadius memoravit, haec refert: Bacharius Maccaeus, natione
Britannus, S. Patricii discipulus, videns patriam suam continuis calamitatibus afflictam, divinam opem
imploraturus, longissimis itineribus sacras peregrinationes suscepit. Sed non defuerunt obtrectatores, qui
levitatis et inconstantiae hominem accusaverunt. Unde se scripto purgavit; scripsitque ad Leonem I
pontificem Romanum (ut ex Gennadio, Honorio, Joanne Capgravio, et aliis colligo) apologiam suae
peregrinationis; de Reparatione Lapsisve, de Fructu poenitentiae, ad Januarium; et de Fide perseverante, et
alia: claruitque senex anno quadringentesimo sexagesimo. Sic fere Pitseus. Si divinare licet, videtur
Bacharius subduxisse se ex Britannia, ob variarum nationum incursiones, tunc afflictissima. Nam sub annum
quadringentesimum quadragesimum primum, Angli, Saxones, Jutae et Frisii, Germaniae populi (a Procopio,
Beda, aliisque [1091C] vetustis scriptoribus commemorati) in Britanniam transierunt. Tiro Prosper a Pithoeo
et Canisio tom. I, editus ad annum 18 Theodosii, sic scribit: Britanniae, usque ad hoc tempus variis cladibus
eventibusque laceratae, in ditionem Saxonum rediguntur. Nec multo ante fortasse ex Hibernia sua venerant
Scoti: quorum nomen, aeque ac Pictorum, aevo Julii Caesaris ignotum fuit. Primus sane cujus scripta nunc
exstant, Scotos Pictosque nominat panegyrista Constantii Caesaris; videnturque Picti communi olim
Britannorum epitheto, ut proprio tandem a Romanis nuncupati Borealium insulae partium populi, qui antiqua
Britonum (ut Tertullianus vocat) stigmata, picturamque corporis ferro expressam retinebant: cujus picturae et
Herodianus l. III meminit. Scio Gildam et alios rerum Britannicarum scriptores aliter de Pictis sentire. Sed
conjecturam hanc non aspernabitur qui Pictorum nomen sub Diocletiani tempora natum, et Caledonios ac
Vecturiones, antiquos illius [1091D] orae incolas, inter Pictos ab eodem panegyrista et ab Ammanio
Marcellino censeri meminerit; adeoque Pictorum gentem vetustam, appellationem novam et indititiam videri.
Denique Pictos ab ea pictura dici, aperte nobiscum sentit Claudianus de bello Getico: Venit et extremis legio
praetenta Britannis, Quae Scotto dat trena truci terroque notatas Perlegit exsangues, Picto moriente,
figuras. Sic fere Sirmondus in notis ad Sidonianum Aviti panegyricum. De Scottis et Pictis Idem Ammianus
lib. XXVII legi poterit. MIRAEUS. FASTIDIUS, [b [1091D] Ms. Corbei., Fastidius Britto scripsit.] Britannorum
episcopus, scripsit ad Fatalem [c [1091D] Quemdam non legitur in Corbei. et mulier est ac vidua ad quam
scribit Fastidius.] quemdam [d [1092A] Vitiose editum in editt. quibusdam contra mss codicum fidem de
Fide.] de Vita Christiana librum unum, et [e [1092A] Videtur Gennadius ex uno Fastidii libro duos fecisse:
nam liber cujus capite ultimo sive 15 de viduitate servanda praecipit, de Vita Christiana inscribitur. Fastidio
assertus ab Holstenio Rom. 1663. [1092B] Exstat et in appendice ad tom. VI Augustini edit. Benedictin.]
alium de Viduitate servanda, sana et Deo [f [1092B] Ms. Corbei., sana et digna doctrina. Pelagio tamen
favere notant Benedictini in praef.] digna doctrina.
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Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 50.
ICCU
Fastidii episcopi De vita christiana liber, denuo editus ... studio Lucae Holstenii, Romae : typis J. Dragondelli,
1663
Bettini 3, 895, niente Conte
An(n)iano di Celeda
Cenni biografici
Sostenitore del pelagianesimo. Si pensa che in lui debba essere identificato il personaggio citato
da Girolamo e da Paolo Orosio come protettore e discepolo di Pelagio. Sarebbe con questi al
Concilio di Diospoli.
Alcuni propone l’identificazione di Aniano con un cronografo greco Anniano di cui si conservano
alcuni frammenti.
Opere
Autore di alcuni scritti di G.Crisostomo (? Bettini in cui vedeva un sostenitore di P.) tra il 415 e il
420.
E’ lui verosimilmente a tradurre in latino sette Omelie su Matteo di Giovanni Crisostomo.
Testi e testimonianze
Hier., ep. 133 (=Pelagio?)
Oros., lib. Apol. 2
Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 21 cf. 48
Studi
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Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 464-65
(V. Grossi) [non partic. chiaro].
S.J. Voicu, s.v. Anniano di Celeda, in DPAC, 1, col. 210
ANNIANO di Celeda, Aniano nei mss. Diacono di una località non identificata, noto soprattutto per aver
tradotto in latino due opere di Giovanni Crisostomo, le Homiliae in Matthaeum 1-25 (CPG 4424; Anniano
sembra affermare di aver tradotto l'intero commento, ma le om. 26-90 sono probabilmente andate perse) e le
7 omelie De laudibus s. Pauli apostoli (CPG 4344). Queste traduzioni sarebbero state fatte poco dopo il 418
(Primmer, p. 285). Nelle epistole dedicatorie premesse alle due traduzioni, l'una a Oronzio vescovo
(Primmer, pp. 279-282; cfr. PG 58,975-978), l'altra ad Evangelio presbitero (PG 50, 471-472), A. manifesta
esplicitamente la sua opposizione alle dottrine traducianiste di Agostino. Cronologia e posizioni teologiche
coincidono con quel che afferma Girolamo, che nel 419 (Epist. 143: CSEL 56, p. 293; cfr. PL 22,1181)
accusa il nostro di pelagianesimo. L'esame però del lavoro di traduzione di A. sembra indicare che il suo
pelagianesimo non era molto marcato. Ad A. viene talvolta attribuita la versione latina di altre opere
crisostomiane. È certo che alcune delle traduzioni in questione presentano degli spunti che avrebbero potuto
attirare l'attenzione dei pelagiani e che almeno una di esse (l'omelia Ad neophytos: CPG 4467) è stata da
essi effettivamente utilizzata in tal senso, ma la loro attribuzione ad A. rimane tuttora da dimostrare.
CPL 771-772; DTC 1,1303-5; Patrologia III, pp. 464-65; et al.
S.J.Voicu
ICCU per Soggetto
Niente Anianus/Aniano/ A. di Celeda
Prova con Anniano
Bettini 3, 895; Moreschini- Norelli solo cenni.
Mario Mercatore
Cenni biografici
Molto scarsi e legati essenzialmente alla controversia pelagiana, in cui M. fu vicino ad Agostino. Fu
di origini italiane, forse di Eclano e in stretta relazione con Giuliano.
Nel 418 è a Roma e conosce Celestio che si sta difendendo davanti a Papa Zosimo.
Nel 429 è in Tracia dove compone i suoi Commonitoria ( o pro memoria) su Celestio, Pelagio e
Giuliano di Eclano.
Dopo il 431 (concilio di Efeso) non si ha più notizia di lui.
Opere
Compose due opere antipelagiane, per noi perdute, di cui ci dà notizia Agostino (Epist. 193).
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Commonitorium super nomine Coelestii
Apparsa in greco nel 429, fu tradotta in latino nel 431 dallo stesso Mercatore. E’ un memorandum
delle condanne subite dai Pelagiani.
Commonitorium adversus haeresim Pelagii et Coelestii vel etiam scripta Iuliani.
Scritta verosimilmente nel 431, visto che accenna alla recente morte di Agostino.
Si ricordano le condanne inflitte ai pelagiani, la rivolta di Giuliano e le confutazioni di Agostino,
utilizzate dallo stesso Mercatore, che pure non manca di avanzarne di proprie
Testi e testimonianze
Bibliografia
Edizioni
Migne 48 (ed. Garnier)
E. Schwartz
S. Prete, M.Mercatore, Commonitoria, Bologna 1959 (ed. Schwartz).
Tr.it. S. Prete, I memoriali antipelagiani, Siena 1960.
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 471-73
(V. Grossi).
V. Grossi, DPAC, 2, col. 2121-22.
MARIO MERCATORE. Le notizie della sua vita sono legate alla polemica pelagiana. Nel 418 è a Roma e
conosce Celestio che difende le sue posizioni presso papa Iosimo; nel 429 è in Tracia presso un monastero
latino dove scrive i suoi Commonitoria ( = pro memoria) su Celestio, Pelagio e Giuliano d'Eclano, nei quali
difende le posizioni della chiesa contro i pelagíani e i nesteriani. Dopo la condanna del concilio di Efeso del
431 contro quest'ultimi, non si hanno più notizie di lui. Dato il suo antipelagianesimo convinto è
comunemente ritenuto di origine africana ma, date le strette relazioni che egli ci riferisce con la famiglia di
Giuliano, molto più probabilmente era compaesano di Giuliano. I suoi scritti, trasmessici nella compilazione
fattane prima del 550, nota come la Collectio Palatina (ms. Cod. Pal. lat. 234 della Biblioteca Vaticana),
sono: Commonitorium super nomine Coelestii (tratta di Celestio, ma più che una compilazione biografica
degli eventi relativi a Celestio ci viene riferito un pro memoria di ciò che andava in giro come pelagiano);
Commonitorium adversum haeresim Pelagii et Coelestii vel etiam scripta Juliani (una confutazione di
affermazioni di Giuliano sulla falsariga di quella di Agostino). Due scritti contro Teodoro di Mopsuestia,
riferitici da Agostino (Ep. 193,1), sono andati perduti. Dall'insieme dell'attività letteraria di M. M. risulta che
egli scrisse per gli ambienti ecclesiastici ed imperiali di Costantinopoli, preoccupati allora della questione
pelagiana e nestoriana, lasciandoci una preziosa testimonianza latina soprattutto per il pensiero di Nestorio
oltre che per il movimento pelagiano.
PI. 48, 63-172; ACO I 5,1 pp- 3-70; S. Prete, M Mercatore. Commonitoria, Bologna 1959; S. Prete, M.
Mercator. I memoriali antipelagiani, Siena 1960; S. Prete M- Mercatore polemista antipelagìano, Torino
1958; O. Wermelinger, Marius Mercator, DSp 10,610-615; V. Grossi, Patrologia III, 471-473
V. Grossi, DPAC, 2, col. 2121-22.
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ICCU
Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris s. Augustino aequalis opera omnia sive monumenta ad pelagianam
nestorianamque haeresim pertinentia... / accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne
Edizione: Editio novissima , Lutetiae Parisiorum : Migne, 1862
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris S. Augustino aequalis opera omnia : sive monumenta ad
Pelagianam Nestorianamque haeresim pertinentia , Paris : Migne, 1846
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Mercator, Marius , 48.: Marii Mercatoris opera omnia sive Monumenta ad Pelagianam Nestorianamque
haeresim pertinentia: editio novissima, juxta eruditissimam Garnerii recensionem adornata, cujus
amplissimis praesertim commentariis dissertationibusque commendatur ... / accurante et denuo
recognoscente J.-P. Migne
Edizione: Rist. anast , Turnhout : Brepols, 1976
Ripr. facs. dell'ed.: Paris : J. P. Migne, 1846
Marius : Mercator , Commonitoria : dall'edizione E. Schwarz / con note di Serafino Prete , Bologna : R,
Patron, 1959
Note Generali: In testa al front.: Storia del Cristianesimo
Marius : Mercator , I memoriali antipelagiani / Mario Mercatore ; a cura di Serafino Prete , Siena : E.
Cantagalli, stampa 1960 , I classici cristiani. Sez. 1, Padri e scrittoridella Chiesa
Altri titoli collegati: [Titolo originale] Commonitorium adversum haeresim Pelagii et Caelestii vel etiam scripta
Juliani, Commonitorium super nomine Caelestii .
Marius : Mercator , 48: Marii Mercatoris S. Augustino aequalis opera omnia, sive monumenta ad pelagianam
nestoriamque haeresim pertinentia ...
Edizione: Editio novissima , Turnhout : Brepols, 1981 , Patrologiae cursus completus sive
bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum ; 48
Ripr. facs
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
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Ilario di Poitiers
Cenni biografici
Nato a Poitiers tra il 310 e il 320 da una famiglia benestante pagana, seguì un corso di studi
regolari, si sposò ed ebbe una figlia. La conversione al cristianesimo si maturò in età adulta e già
nel 350 Ilario divenne vescovo della sua città natale.
Fu da subito fortemente antiariano e in contrasto particolare con Saturnino, vescovo di Arles, tanto
da subire nel 356 un esilio in Frigia, da cui fu rimpatriato prima del 359. Proprio durante questo
esilio ebbe l'opportunità di confrontarsi, meglio di altri in Occidente, con l'autentico pensiero di
Origene e di studiare con attenzione le posizioni della chiesa orientale sulla questione ariana.
Continuò tuttavia la sua lotta antiariana, in particolare contro Saturnino di Arles e il vescovo ariano
di Milano Aussenzio, nonostante la politica imperiale filoariana.
Secondo Girolamo morì intorno al 367.
Opere
L’attività letteraria di Ilario spazia dalla dottrina all’esegesi alla poesia.
Opere teologiche
De trinitate (altro titolo, più antico, era De fide contra Arianos), in dodici libri, scritto verosimilmente
tra il 356 e il 359, quindi durante il periodo dell’esilio. E' l'opera dottrinale più importante di Ilario,
quella che maggiormente trae frutto dalle riflessioni sui padri orientali e su Origene.
Vi si sostiene con energia l'unità della natura di Padre e figlio e la distinzione tra le due persone.
L’opera può essere letta come un tentativo di rendere meno ampio il divario tra occidentali niceni e
omeusiani. Ilario comprende che è necessaria da parte della Chiesa una decisa presa di posizione
non solo contro l’Arianesimo, ma anche contro il monarchianismo sabelliano. E’ ben consapevole,
in effetti, che la teologia nicena dell’homoousion viene avvertita in oriente con sospetto proprio per
la sua vicinanza alle teorie sabelliane.
L’opera, preceduta nel primo libro da un prologo con il sommario, può dividersi, non senza
incertezze e scompensi che ne tradiscono una storia compositiva in più tempi, in tre parti, la prima
delle quali (libri II-III) presenta la problematica sul rapporto tra Padre e Figlio e sulla condizione
divina del figlio; la seconda (libri IV-VII) confuta la professione di fede di Ario e illustra
testimonianze veterotestamentarie sulla presenza del Figlio, come vero Dio, accanto al Padre, e
testimonianze neotestamentarie secondo cui Cristo è vero Figlio di Dio, che è vero Dio come il
Padre e che costituisce un solo Dio assieme a lui.
La terza parte (libri VIII-XII) è dedicata ai principali argomenti proposti dagli Ariani.
Tra le fonti di Ilario vi sono Novaziano, Tertulliano (Adversus Praxeam).
"Opera teologica latina più imponente fino ad Agostino, che la conobbe e se ne servì." (Mariotti)
De synodis:
Illustra questioni sulla polemica antiariana, in particolare le varie posizioni orientali tra il 341 e il
358; risale in effetti al 359, mentre si stanno preparando i sinodi di Rimini e Seleucia. L’intento di I.
è quello di riunificare le posizioni occidentali e orientali contro l'eresia, in non pochi casi
enfatizzando gli elementi di accordo e minimizzando i punti di dissenso, sostenendo la sostanziale
identità dei termini homoiousion e homoousion. Ciò attirò su I. il disaccordo dei più intransigenti, in
particolare di Lucifero di Cagliari (vedi).
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Liber ad Constantium imperatorem. Composto nel 359, consta in realtà di due scritti distinti; il
primo è una lettera inviata a Costanzo dai vescovi occidentali riuniti nel concilio di Serdica (343)
per far cessare le persecuzioni contro i fautori del credo niceno; il secondo, di Ilario, narra di un
episodio relativo al Concilio di Milano del 355.
Contra Constantium. Composto nel 361 è un aperto e reciso invito all'imperatore Costanzo II ad
aderire all'ortodossia. L'opera provocò l'allontanamento di Ilario dal suo esilio.
Contra Arianos vel Auxentium Mediolanensem. Risale al 364 e rammenta, in forma di lettera
circolare ai vescovi cattolici i fatti relativi ai rapporti tra Aussenzio e Valentiniano.
Collectanea antiariana Parisina (al. Fragmenta historica).
Sono una serie di scritti concernenti la controversia ariana in Occidente, sicuramente la fonte
documentale più importante per al questione relativamente al periodo 343-366. Ancora in
discussione l’origine della raccolta, tratta forse da un’opera ilariana o rappresentante forse dei
materiali parzialmente raccolti e commentati da Ilario.
Opere esegetiche
Commento In Matthaeum. Compiuto tra il 353 e il 356, è il primo commento continuo a un libro
della scrittura redatto in Occidente.
Commento In Psalmos (=Tractatus super Psalmos?). Collocabile tra il 364 e il 367, quindi
posteriore all'esilio è fortemente influenzato da Origene.
Tractatus mysteriorum, più o meno coevo al precedente.
Tutta la scrittura espone l’incarnazione di Cristo e l’interpretazione dell’A.T. va guidata in tal senso.
Anche quest’opera è fortemente influenzata da Origene.
Liber hymnorum:
Scoperti solo nell'Ottocento, nello stesso codice del De misteriis, sono i primi, a nostra
conoscenza, di un autore di lingua latina e nascono anch’essi a margine della questione ariana, in
emulazione di inni che eretici e ortodossi orientali utilizzavano per diffondere le loro teorie.
Il tono decisamente dottrinale e complicato fino all’oscurità è decisamente diverso da quello,
volutamente semplice, degli inni ambrosiani.
Si conservano 3 inni, lacunosi, due dei quali abecedari.
Ante saecula qui manes,
Ci sono rimaste le prime quattro strofe tetrastiche, composte da due gliconei e due asclepiadei
minori alternati. Molte le libertà metriche e prosodiche.
Sviluppa temi trinitari.
Fefellit saevam
Sono le parole iniziali della sesta strofa, quella da cui comincia quanto ci resta del secondo inno,
dove l’anima esalta la vittoria di Cristo sulla morte ed esprime la speranza di poter risorgere alla
vita eterna.
Adae carnis.
Composto in strofe tristiche di settenari trocaici. Ci sono rimaste le prime dieci strofe, l’ultima delle
quali mutila.
Opere perdute
Tractatus in Iob (framm.). Opera eegetica derivata dal commento di Origene a Giobbe. Ricordata
da Girolamo. Ne restano frammenti di trad. indiretta.
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Liber ad praefectum Sallustium sive contra Dioscorum. Ricordata da Girolamo.
Expostio epistulae ad Timotheum (framm.).
Sono spuri due inni tramandati sotto il suo nome e una epistola ad Abram filiam.
Migne
Qualis Hilarii ad Salustium liber, cujusve conditionis Dioscorus fuerit, Hieronymus epist. 84, ad Magnum,
explicat his verbis: Brevi libello, quem scripsit contra Dioscorum medicum, quid in litteris posset ostendit.
Illius autem Hymni qua de re tractaverint, breviter perstringit Concilium Toletanum IV, can. 13, ubi ait:
Nonnulli hymni humano studio in laudem Dei, atque Apostolorum et Martyrum triumphos compositi [0020B]
esse noscuntur, sicut hi quos beatissimi doctores Hilarius atque Ambrosius ediderunt. De iisdem Hieronymus
praefat. in lib. II, Comm. ad Gal. hoc unum indicat, quod Hilarius latinae eloquentiae Rhodanus, Gallus ipse,
et Pictavis genitus, in hymnorum carmine Gallos indociles vocet. Sed cum Isidorus Hispal. lib. I Off. eccl. c.
6, hoc ei laudis tribuit, quod hymnorum carmine claruit primus, in unos Latinos respexisse intelligendus est.
Scripta Hilarii quae supersunt, secundum temporis seriem: Ad Constantium liber primus [0209C] an. 355;
Commentarius in Evangelium Matthaei circa an. 356; De Synodis sive de fide Orientalium, in editionibus
vetustis: de synodis Graeciae an. 358; De Trinitate l. XII, an. 359, sive 360 absoluti. Ad Constantium liber
secundus an. 360; Adversus Constantium an. 361: Adversus Auxentium Mediolani Ep. an. 365; Expositiones
in Psalmos, extrema senectute compositae, auctiores post edit. Veronensem per Edmundum Martene
redditae; Fragmenta Hilarii ex libro historiam Concilii Ariminensis et Seleuciensis complex et adversus
Valentem et Ursacium inscripto.
Falso tribuuntur Hilario: Epistola ad Apram filiam et Hymnus matutinus ad eamdem, quamquam a Benedd.
pro genuinis accepta; Carmen in Genesim, liber de Patris et Filii unitate, liber de essentia Patris et Filii,
[0209D] uterque e libris de Trinitate consarcinatus, confessio de Trinitate, Alcuini potius, cujus libris de
Trinitate adhaesit: denique Epistola sive libellus et sermo de dedicatione Ecclesiae a Trombello vulgati.
Deperditorum non exiguus est numerus, in quibus tituli aliquot valde speciosi. Nimirum Liber ad Sallustium,
contra Dioscorum medicum Hymnorumque liber, liber Mysteriorum, Epistolae in volumen collectae, Tractatus
in Job ex Graeco Origenis translati, et, de quibus tamen dubitare licet, in Epistolas Pauli. Aiunt quidam,
Hieronymus inquit [(1) [0209D] De Vir. ill. cap. C.] , scripsisse eum et in Cantica Canticorum; sed a nobis hoc
opus ignoratur. [0210A] De singulis post Constantium prolixe et docte egit Oudinus, tom. I, cap. 5, pag. 452,
sqq.
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill. 100
[0699B] Hilarius, urbis [e [0700C] Veronens., Pictaviorum Aquitaniae: tum pro Biterensi, alii Byterensi, et
Biturensi. Synodus isthaec haec habita est anno 356.] Pictavorum Aquitaniae episcopus, factione Saturnini
Arelatensis episcopi, de synodo Biterrensi in Phrygiam relegatus, duodecim adversus Arianos confecit libros
et alium librum de Synodis, quem ad Galliarum episcopos scripsit, et in psalmos commentarios, primum
videlicet, et secundum, et [f [0700C] Vatican. a quinquagesimo dumtaxat. Sed et alii sunt tractatus Hilarii in
Psalmos, puta 9, 13 et 14, etc., qui Hieronymo non innotuerunt.] a quinquagesimo primo usque ad
sexagesimum secundum, et a centesimo decimo octavo usque ad extremum, in quo opere imitatus
Origenem, nonnulla etiam de suo addidit. Est ejus et ad Constantium libellus, quem [g [0700D] Veronensis
viventi eo (leg. ei) Constantinopoli, etc. Sed etiam, qui subsequitur, alius in Constantium liber eo vivente,
contra ac Hieron. sentit, scriptus videatur, si reputes auctoris ipsius verba num. 2, ubi se notat scribere
quinquennio post exsilia Eusebii, Luciferi, et Dionysii, anno scilicet 360, cum insequente 361 contigerit
Constantii obitus. Fortassis autem ille quinquennii terminum paulo latius accepit.] viventi Constantinopoli
porrexerat, et alius in Constantium, quem post mortem ejus scripsit, et [h [0700D] Item Veron., et alius liber
adversum Valentem, etc. Graec. bivbloi, plurium numero.] liber adversum Valentem et Ursacium, historiam
Ariminensis [i [0700D] A Vatic. absunt, et Seleuciensis, tum legit adversum Praefectum, male, et caeteris
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contradicentibus mss. si quaedam editiones consentiunt. Hic autem liber, ut et duo sequentes, jam non
exstant, et superioris contra Valentem, etc., fragmenta tantum hodie [0701C] superant, quemadmodum et
libri in Job. Porro satis supine Graecus interpres legit libertinorum, libertiðnwn, pro liber hymnorum.] et
Seleuciensis [0701A] synodi continens: et ad praefectum Salustium, sive contra Dioscorum, et liber
Hymnorum et Mysteriorum alius, et commentarii in Matthaeum, et tractatus in Job, quos de Graeco Origenis
ad sensum transtulit, [a [0701C] Vatic. perperam, et alios electos libellos. Ex Epistolis ad diversos pleraeque
interciderunt. Subsequens opus in Cantic. cantic. plane ignoratur.] et alius elegans libellus contra
Auxentium, et nonnullae ad diversos epistolae. Aiunt quidam, scripsisse eum et in Cantica canticorum; sed a
nobis hoc opus ignoratur. Mortuus est Pictavis, [b [0701C] Puta an. 367. Eximium hunc Patrem passim in
epistolis aliisque libris Hieronymus laudat.] Valentiniato et Valente regnantibus.
Ilario, vescovo di Poitiers, in Aquitania, relegato in Frigia dal sinodo di Béziers, ad opera della setta di
Saturnino, vescovo, di Arles, compose dodici libri Contro gli Ariani ; un altra Sui Sinodi, rivolto ai vescovi
delle Gallie, inoltre, Commenti ai Salmi, e precisamente ai seguenti: 1, 2, dal 51 al 62, dal 118 al 150, dove
imitò Origene, pur integrandolo con aggiunte personali. Anche a lui appartiene un opuscolo indirizzato a
Costanzo, che egli aveva presentato a Costantinopoli quand'era ancora vivo, e un altro Contro Costanzo,
composto dopo la sua morte; inoltre, un libro Contro Valente e Ursacio, che racchiude la storia dei sinodi di
Rimini e di Seleucia; uno scritto Al prefetto Sallustio contro il medico Dioscoro; un libro di Inni, e un altro di
Misteri, il Commento a Matteo , e il Commento a Giobbe, modellato su quello greco di Origene; e ancora, un
elegante libro Contro Aussenzio, e alcune lettere a diverse persone. Secondo alcuni, egli scrisse altresì dei
commenti al Cantico dei Cantici, ma l'opera ci resta del tutto sconosciuta. Morì a Poitiers, sotto gli imperatori
Valentiniano e Valente.
Trad. E. Camisani
(Sulp. Sev. lib. II Hist. sac.) controllo testo
Et vero reditu ipsius in nihilum cessit, quidquid ante in Italia, Illyrico, Gallia tentaverat: et apud omnes
constitit, unius Hilarii beneficio nostras (nominatim) Gallias a piaculo haeresis liberatas.
Hieron., ep. 6, ad Florentium.
Interpretationem quoque psalmorum Davidicorum et prolixum valde librum de Synodis sancti Hilarii, quem ei
apud Treviros manu mea ipse descripseram, aeque ut mihi transferas peto.
Hieron., ep. 7, ad Laetam.
Athanasii epistolas et Hilarii libros inoffenso decurrat pede: illorum tractatibus, illorum delectetur ingeniis, in
quorum libris pietas fidei non vacillet. [0203B] Caeteros sic legat, ut magis judicet, quam sequatur.
Hieron., ep. 12, ad Paulinum.
Sanctus Hilarius Gallicano cothurno attollitur: et cum Graeciae floribus adornetur, longis interdum periodis
involvitur, et a lectione fratrum simpliciorum procul est.
Hieron., Apologia adversus Rufinum.
Si auctoritatem suo operi praestruebat, volens quos sequeretur ostendere; habuit in promptu Hilarium
confessorem, qui quadraginta ferme millia versuum Origenis in Job et psalmos transtulit.
Hieron., ep. 83, ad Magnum.
Hilarius meorum confessor temporum et episcopus duodecim Quintiliani libros et stylo imitatus [0203C] est,
et numero: brevique libello, quem scripsit contra Dioscorum medicum, quid in litteris posset ostendit.
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Hieron., ep. 89, ad Augustinum.
Apud Latinos autem Hilarius Pictavensis et Eusebius Vercellensis episcopus Origenem et Eusebium
transtulerunt.
Hieron., ep. 141, ad Marcellam.
Miror te in Hilarii commentariis non legisse, excussorum filios, credentium populos interpretari . . . . . Quid
igitur faciam? Tantum virum et temporibus suis disertissimum reprehendere non audeo, qui et confessionis
suae merito, et vitae industria, et eloquentiae claritate, ubicumque Romanum nomen est, praedicatur, etc.
Hieron., ep. 147, ad Amandum. [0203D]
Miror te hoc a me quaerere voluisse, cum sanctus Hilarius Pictavensis episcopus undecimum librum contra
Arianos hac quaestione et solutione compleverit.
Hier., praef.. in lib. VIII, Comment. in Esaiam.
Si flumen eloquentiae et concinnas declamationes desiderant; legant Tullium, Gallionem,
Gabinianum, et, ut ad nostros veniam, Tertullianum, Cyprianum, Minutium, Arnobium, Lactantium,
Hilarium.
Hier., praef. in lib. II. Comment. ad Galatas.
Hilarius latinae eloquentiae Rhodanus, Gallus ipse
Gallos indociles vocat.
[0204A] et Pictavis genitus, in Hymnorum carmine,
Rufini de adulteratione librorum Origenis.
Hilarius Pictavensis episcopus, confessor fidei catholicae fuit. Hic cum ad emendationem eorum, qui
Ariminensi perfidiae subscripserant, librum instructionis plenissimae conscripsisset, etc.
August., de Trinit. 6, 10. [0204B]
Quidam cum vellet brevissime singularum in Trinitate personarum insinuare propria, Aeternitas, inquit, in
Patre, species in imagine, usus in munere. Et quia non mediocris auctoritatis in tractatione Scripturarum et
assertione fidei vir exstitit, Hilarius enim hoc in libris suis posuit, horum verborum, id est patris et imaginis et
muneris et aeternitatis et speciei et usus abditam scrutatus intelligentiam, etc.
Ejusdem lib. I, contra Julianum, c. 3.
Audi adhuc quod te possit amplius commovere atque turbare, et utinam in melius commutare. Ecclesiae catholicae
adversus haereticos acerrimum defensorem venerandum quis ignoret Hilarium episcopum [0204C] Gallum? Qui cum de
Christi carne ageret, attende quid dixerit.
Et lib. II, cap. 8, n. 26, 27 et 28.
Audi et beatissimum Hilarium ubi speret hominis perfectionem . . . In quadam vero homilia de libro sancti Job
attende quid dicat . . . In expositione autem primi psalmi idem doctor non dubitat dicere . . . Catholicus
loquitur, insignis Ecclesiarum doctor loquitur, Hilarius loquitur.
Cassiani lib. VII de Incarn., cap. 24, cujus verba exscripserunt Alcuinus lib. IV, contra Felicem, et
Ratramnus Spicil. tom. I, p. 335.
Hilarius vir virtutum omnium atque ornamentorum; et sicut vita, ita eloquentia insignis: qui et [0204D]
magister Ecclesiarum et sacerdos, non per sua tantum merita, sed etiam per profectus crevit aliorum: et inter
procellas persecutionum ita immobilis perstitit, ut per invictae fidei fortitudinem etiam Confessoris coeperit
dignitatem, in libro fidei primo testatur, etc.
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Vincentii Lirinensis in Commonitorio.
Tertullianus catholici dogmatis, id est, universalis ac vetustae fidei parum tenax, ac disertior multo quam
felicior, mutata deinceps sententia fecit ad extremum, quod de eo beatus confessor Hilarius quodam loco
scribit: Sequenti, inquit, errore detraxit scriptis probabilibus auctoritatem (In Matth. c. V, n. 1) .
Cassiod., de Instit. divin., 17 e 18..
Tunc in illo choro sanctissimo Patrum tibi eum eligere poteris, cum quo suavissime, colloquaris. Difficile
[0205B] dictu est quam frequenti occasione reperta Scripturas sanctas locis aptissimis potentes aperiant; ut
subito transiens discas, quod te negligenter praeteriisse cognoscis. Testes sunt doctissimi viri diversa laude
praecipui, quibus, velut stellis micantibus coelum, fulget Ecclesia: inter quos sanctus Hilarius Pictaviensis
urbis episcopus nimia profunditate subtilis et cautissimus disputator incedit, altasque divinarum Scripturarum
abyssos in medium reverenter adducens facit.
Allora fra questa santissima e facondissima schiera di Padri potrai sceglierti uno col quale colloquiare in
maniera piacevolissima. Sarebbe inoltre difficile a dirsi in quante numerosissime occasioni essi abbiano
illustrato in maniera efficace nei punti più idonei le sacre Scritture, in modo che durante la lettura tu possa
apprendere inaspettatamente ciò che riconosci di aver negligentemente trascurato. Ne sono testimoni
scrittori dottissimi che si distinguono per vari meriti, mediante i quali, come per mezzo di stelle lucenti, il cielo
della Chiesa risplende.
18. Fra questi sant'Ilario, vescovo di Poitiers, pensatore profondo, sottile e prudentissimo, avanza e,
adducendo davanti a noi in maniera riverente i profondi misteri della sacra Scrittura, fa sì che, con l'aiuto di
Dio, siano visti con chiarezza gli argomenti che prima erano velati da oscure parabole.
Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV]
Venant. Fort., de Vita S. Martini, 1. [Migne]
Et quia summus apex fidei, virtutis, honoris,
Hilarius famae radios jaculabat in orbem,
Rite [(a) [0205D] Editi, sacerdotis.] sacerdotii penetralia jura gubernans
Buccina terribilis, tuba legis, praeco tonantis,
[0205C] Pulchrior electro, ter cocto ardentior auro,
Largior Eridano, Rhodano torrentior amplo,
Uberior Nilo, generoso sparsior Histro,
Cordis inundantis docilis ructare fluenta,
Fontibus ingenii [(b) [0205D] Ed. sitientibus.] sitientia pectora rorans,
Mens [(c) [0205D] Ed. Evangelii.] evangelici bis bini plena libelli,
Quattuor ore suo manans nova flumina mundo,
Ornatum Ecclesiae, pollens diadema coruscum
In membris Christi capitis velut infula fulgens,
Pectore belligerans, adamantinus arte topazos,
Ad virtutis opus mens inconcussa palaestris,
Gemmifer eloquiis, radiantior ore lapillis,
Doctor apostolicus vacuans ratione sophistas,
Dogmate, luce, fide, informans virtute sequaces.
Hostibus hic quoniam gravis insuperabilis esset,
[0205D] Ducitur exilio, [(d) [0205D] Ed. quia longa silentia.] qua longa Seleucia tendit.
Regis et auxilio petit [(e) [0205D] Ed. hic.] hinc sua praemia miles,
Cujus in abscessu errori vaga Gallia cedit,
Et regio titubat tanta se turre movente.
Hoc ubi praepropere Martinus comperit, inde
Constituit cellam sub vertice Mediolani, etc.
Traduzione
F. D’Alessi © 2002
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Alcuini Poem. 63.
Hoc altare pater praesul Hilarius ornat,
Notus in orbe procul, doctor ubique pius.
Hac magis victor meritis memoratur in ara,
Cassiod., inst., 1,18
Inter quos sanctus Hilarius Pictaviensis episcopus nimia profunditate subtilis et cautissimus disputator incedit
altasque divinarum Scripturarum abyssus in medium reverenter adducens, facit praestante Deo illuminata
mente conspici, quae prius parabolis velabantur obscuris.
Hilar., de trin., 1,1-4. Alla ricerca di Dio.
1. Circumspicienti mihi proprium humanae vitae ac religiosum officium, quod vel a natura manans, vel a
prudentum studiis profectum, dignum aliquid hoc concesso sibi ad intelligentiam divino munere obtineret,
multa quidem aderant, quae opinione [(b) [0025D] Pervetustus codex Colbertinus cum Germanensi,
communione; forte, communiore.] communi [0026C] efficere utilem atque optandam vitam videbantur,
maximeque ea quae et nunc et semper antea potissima inter mortales habentur, otium simul atque
opulentia, quod aliud sine altero mali potius materies, quam boni esset occasio; quia et quies inops prope
quoddam vitae ipsius intelligatur esse exsilium, et opulens inquietudo 2 tanto plus calamitatis afferat, quanto
majore indignitate his caretur, quae maxime et optata et quaesita sunt ad utendum. Atque haec quidem
quamquam in se summa atque optima vitae blandimenta contineant, tamen non multum videntur a
consuetudine esse beluinae oblectationis aliena: quibus in saltuosa loca ac maxime pabulis laeta [(c)
[0026D] In iisdem mss. vacantibus; quae vox Hilarii menti, bestiarum scilicet otio designando, optime
congruit, sed non ita orationi.] evagantibus, adsit et securitas a labore, et satietas ex pascuis. Nam si hic
optimus et absolutissimus [0026D] vitae humanae usus existimabitur, quiescere et abundare; necesse est
hunc eumdem, secundum sui cujusque generis sensum, nobis atque universis rationis expertibus beluis
esse communem: quibus omnibus, natura ipsa in summa rerum copia et securitate famulante, sine cura
habendi copia redundat utendi.
2. Ad alia natos se senserunt plerique homines.—Ac mihi plerique mortalium non ob 3 aliam quidem
[0027A] causam hanc ineptae ac beluinae vitae consuetudinem et respuisse a se, et coarguisse in aliis
videntur, quam quod, natura ipsa auctore impulsi, indignum homine esse existimaverunt, in officium se
ventris tantum et inertiae natos arbitrari; et in hanc vitam non ob aliqua praeclari facinoris aut bonae artis
studia esse deductos, aut hanc ipsam vitam non ad aliquem profectum esse aeternitatis indultam [(a)
[0027D] Martinus Lipsius post Erasmum ob quam, addita particula ob praeter fidem mss. Mox apud eosdem
refutandum: in editione Badii Ascensii, reputandum vel refutandum, quomodo exstat in uno e Colbertinis
mss. In edit. Parisiensi an. 1605, et pluribus mss. reputandam. At in mss. vetustioribus, reputandum. Quod in
his ad munus, in aliis eodem sensu ad vitam refertur. Deinde [0028D] in mss. Colb. et Germ., languoribus,
non angoribus.] quam profecto non ambigeretur munus Dei non esse reputandum, cum tantis afflictata
angoribus, et tot molestiis impedita, sese ipsa atque intra se a pueritiae ignoratione usque ad senectutis
deliramenta consumeret): et idcirco ad aliquas se patientiae et continentiae et placabilitatis virtutes et
doctrina et opere transtulisse, quod bene agere atque intelligere, id demum [0027B] bene vivere esse
opinabantur: vitam autem non ad mortem tantum ab immortali Deo tribui existimandam; cum boni largitoris
non esse intelligeretur, vivendi jucundissimum sensum ad tristissimum metum tribuisse moriendi.
3. In Dei cognitionem ardet Hilarius.—Et quamquam non ineptam hanc eorum esse sententiam atque
inutilem existimarem, conscientiam ab omni culpa liberam conservare, et omnes humanae vitae molestias
vel providere prudenter, vel vitare consulte, vel ferre patienter: tamen hi ipsi non satis mihi idonei ad bene
beateque vivendum auctores videbantur, communia tantum et convenientia humano sensui doctrinarum
praecepta statuentes: quae cum non intelligere beluinum esset, intellecta tamen [0027C] non agere, ultra
beluinae immanitatis esse rabiem videretur. Festinabat autem animus, non haec tantummodo agere, quae
non egisse, et criminum esset plenum, et dolorum: sed hunc tanti muneris Deum parentemque cognoscere,
cui se totum ipse deberet, cui famulans nobilitandum se existimabat, ad quem omnem spei suae opinionem
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referret, in cujus bonitate inter tantas praesentium negotiorum calamitates, tamquam tutissimo sibi portu
familiarique requiesceret. Ad hunc igitur vel intelligendum, vel cognoscendum, studio flagrantissimo animus
accendebatur.
4. Variae antiquorum de Deo opiniones. Hilario non probantur, pro certo habenti Deum non esse nisi unum.
—Namque plures eorum numerosas incertorum [0027D] deorum familias introducebant: et virilem ac
muliebrem sexum in divinis naturis agere existimantes, ortus ac successiones ex diis deorum asserebant.
Alii majores ac minores et differentes pro potestate deos praedicabant. Nonnulli nullum omnino Deum esse
affirmantes, eam tantum, 4 quae fortuitis motibus atque concursibus in aliquid exsisteret, naturam [0028A]
venerabantur. Plerique vero Deum quidem esse opinione publica loquebantur, sed hunc eumdem
incuriosum rerum humanarum ac negligentem pronuntiabant. Aliqui autem ipsas illas creaturarum corporeas
conspicabilesque formas in elementis terrenis et coelestibus adorabant. Postremo quidam in simulacris
hominum, pecudum, ferarum, volucrum, serpentum, deos suos collocabant, et universitatis Dominum atque
infinitatis parentem intra angustias metallorum et lapidum et stipitum coartabant. Dignumque jam non erat,
auctores eos veritatis [(b) [0028D] Bad., Er., Lips., et mss. non pauci, existimare. At potiores cum Par.
exsistere.] ex sistere, qui ridicula et foeda et irreligiosa sectantes, ipsis illis inanissimarum sententiarum
suarum opinionibus dissiderent. Sed inter haec animus sollicitus, utili ac necessaria ad cognitionem Domini
sui [0028B] via nitens, cum neque incuriam Deo rerum a se conditarum dignam esse arbitraretur, neque
naturae potenti atque incorruptae competere sexus deorum, et successiones satorum atque ortorum
intelligeret: porro autem divinum et aeternum nihil nisi unum esse et indifferens pro certo habebat, quia id
quod sibi ad id quod esset auctor esset, nihil necesse est extra se quod sui esset praestantius reliquisset:
atque ita omnipotentiam aeternitatemque non nisi penes unum esse; quia neque in omnipotentia validius
infirmiusque, neque in aeternitate posterius anteriusve congrueret; in Deo autem nihil nisi aeternum
potensque esse venerandum.
1. [1] Quando mi guardavo attorno alla ricerca di quello che deve essere il fine caratteristico, e nel contempo
sacro, della vita umana, il fine che mi permettesse, o perché scaturisce dalla nostra natura, o perché risulta
dalle meditazioni dei filosofi, di ottenere qualche risultato degno di questo dono divino che ci è stato dato
per conoscere, trovavo che molti erano i beni giudicati capaci, secondo l'opinione comune, di rendere la
vita utile e desiderabile. Soprattutto mi trovavo dinanzi quei beni che ora, e sempre nel passato, sono
considerati i più importanti fra i mortali, cioè l'ozio unito alla ricchezza. L'uno di essi senza l'altro suole
apparire motivo di sofferenza, anziché occasione di felicità. Perché, da un lato, la vita tranqui lla di un
povero viene considerata, direi, come una specie di esilio dalla vita; e dall'altro lato, la vita tormentata di
un ricco è tanto più dolorosa quanto maggiore è il disappunto con cui subisce la privazione di quei beni
che sono stati e desiderati e cercati per poterne godere. Inoltre, i due beni di cui ho fatto cenno, pur
recando in sé le maggiori e migliori gioie della vita, non sembrano molto diversi da ciò che costituisce la
felicità ordinaria degli animali, i quali, vagando per balze coperte di boschi e oltremodo rigogliose di
erbe, vivono affrancati dalla fatica e saziati dai pascoli. Sta di fatto che, se si considererà il vivere
nell'ozio e nell'abbondanza come l'ideale perfetto e assoluto della vita umana, necessariamente questo
medesimo ideale, tenuto conto del diverso grado di sensibilità di ciascuna specie, sarà comune a noi e
a tutti gli animali privi di ragione. Senonché questi, tutti quanti, godono di beni a profusione e non hanno
l'incomodo di procurarseli, perché la natura stessa è al loro servizio e li offre ad essi senza alcun
risparmio e senza fastidio alcuno.
[2] Io credo però che gli uomini, nella maggior parte abbiano rifiutato per sé, e condannato negli altri,
questo modo di vivere stolto e bestiale per nessun'altra ragione se non questa: essi (ed è stata la natura
stessa ad orientarli in tal senso) hanno giudicato cosa indegna dell'umanità il credersi nati al solo scopo
di servire al ventre e all'inerzia; il pensare di non essere venuti a questo mondo per qualche Illustre
impresa o per qualche nobile occupazione; oppure il ritenere che questa vita stessa ci sia stata data
senza alcuna prospettiva d'eternità. Se così fosse, senz'altro, la vita non dovrebbe essere giudicata un
dono di Dio, dal momento che essa, colpita com'è da grand i dolori ed impigliata in tante difficoltà, non
farebbe che consumarsi da sé, ed entro i suoi angusti limiti, dall'incoscienza della puerizia all'imbecillità
della vecchiaia. Per questa ragione gli uomini si sono dedicati alle virtù della pazienza, della
moderazione e della clemenza, perché hanno ritenuto che il ben vivere fosse tutt'uno col bel fare e col
ben pensare. Inoltre, non si doveva credere che Dio, il quale è immortale, avesse concesso la vita al
solo fine della morte, perché è chiaro che non sarebbe cosa degna di un donatore generoso elargire il
dolcissimo sentimento della vita in vista del timore molto avvilente della morte.
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[3] Io non giudicavo insensate e vane queste idee da loro professate, che consistevano nel conservare
la coscienza libera da ogni colpa e nel prevedere con saggezza, o evitare con senno, o sopportare con
pazienza, tutti gli inconvenienti della vita umana. Costoro, però, non mi sembravano abbastanza capaci
di dare consigli per una vita assolutamente buona e felice, perché fissa vano soltanto dei precetti
generici e adatti al limitato ambito del pensiero umano. Se era da bestie il non intenderli, il non metterli
in pratica, una volta capiti, mi appariva come un andare oltre l'irrazionalità degli animali feroci. Inoltre, la
mia anima era ansiosa non solo di fare ciò che sarebbe stato assolutamente delittuoso e doloroso non
fare, ma di conoscere colui che era Dio ed autore di sì gran dono e a cui il mio animo doveva tutto il suo
essere. Riteneva di potersi nobilitare se a lui serviss e, se in lui riponesse tutta intiera la sua speranza,
se, fra così gravi miserie del momento attuale, riposasse nella sua bontà come in un porto
assolutamente sicuro e familiare. Pertanto la mia anima bruciava dal desiderio ardente e di intenderlo e
di conoscerlo.
[4] Infatti, molti fra gli antichi ammettevano un gran numero di dèi piuttosto indefiniti, raggruppati in
famiglie; e poiché ritenevano che nelle nature divine potesse trovarsi il sesso maschile e femminile,
parlavano di nascite e di successioni di dèi da altri dèi. Altri dicevano che c'erano degli dei maggiori e
degli dèi minori e che si diversificavano tra di loro in quanto al potere. Alcuni affermavano che non
esisteva assolutamente alcun dio e veneravano soltanto quella natura che manifestava l a sua esistenza
con movimenti ed incontri casualî. I più, poi, parlavano dell'esistenza di un dio secondo le credenze
comuni, ma dichiaravano che questo stesso dísdegnava e trascurava le vicende umane. Alcuni, a loro
volta, adoravano, negli elementi della terra e del cielo, perfino le forme materiali e visibili del mondo
creato. Infine, alcuni ponevano i loro dèi in statue che raffiguravano uomini, animali, fiere, uccelli,
serpenti e chiudevano negli angusti limiti di un metallo, di una pietra, di un pezzo di legno, il Signore
dell'universo e il Padre dell'infinito. In conseguenza di ciò, non sarebbe stata cosa degna che si
atteggiassero a maestri di verità coloro che seguivano queste idee ridicole, turpi, sacrileghe e che erano
perfino in disaccordo nella formulazione di quelle loro opinioni senza fondamento. Ma tra questi pensieri
la mia anima era angustiata e cercava con pena la via utile e necessaria per giungere a conoscere il
suo Signore: pensava che non fosse degno di Dio il non curarsi delle cose da l ui create e capiva che ad
una natura potente e incorruttibile non si confacevano il sesso degli dèi, le genealogie e le nascite.
D'altra parte, teneva per certo che niente è divino ed eterno se non è unico ed indifferenziato, perché
ciò che è cagione a se stesso del proprio essere, necessariamente non può lasciare fuori di sé niente
che sia superiore a sé. Così, pensava, l'onnípotenza e l'eternità non può esistere se non in un solo
essere, perché non sarebbe logico, trattandosi di onnipotenza, parlare di pi ù forte e di più debole; né,
trattandosi di eternità, parlare di posteriorítà o anteriorità: in Dio, dunque, non si poteva venerare altro
che l'essere eterno ed onnipotente.
Trad. G. Tezzo, La Trinità, Torino, Utet, 1971.
Hilar., de trin., 1,14-19. Contro le eresie.
—In hoc ergo [(d) [0035D] Excusi, conscia: refragantibus mss.] conscio securitatis suae otio mens spebus
suis laeta requieverat: intercessionem mortis hujus usque eo non metuens, 12 ut etiam reputaret [(e)
[0035D] Unus codex Remig. cum Theod., initium aeternitatis.] in vitam aeternitatis. Vitam autem hujus
corporis sui non modo non molestam sibi aut aegram arbitrabatur, ut eam quod pueritiae litteras, quod aegris
medicinam, quod naufragis natatum, quod adolescentibus disciplinam, [(f) [0035D] Particulam quod hic in
vulgatis omissam restituimus [0036C] ex mss. Ita haec intelligere est, quasi legeretur, ut eam, quamvis
tantis angoribus afflictatam, crederet esse, quod pueritiae litteras, etc.] quod militiam esse crederet
imperaturis: rerum scilicet praesentium tolerantiam, ad praemium beatae immortalitatis proficientem. Quin
etiam id, quod sibi credebat, tamen per ministerium impositi sacerdotii etiam caeteris praedicabat, munus
suum ad officium publicae salutis extendens.
15. Haereticorum ingenium.—Sed inter haec emerserunt [0036B] desperata in sese, et saeva in omnes
impiae temeritatis ingenia (supple, hominum), potentem Dei naturam naturae suae infirmitate moderantium:
neque ut ipsi usque ad infinitatem opinandi de infinitis rebus emergerent, sed intra finem sensus sui
indefinita concluderent; essentque sibi arbitri religionis, cum religionis opus [(g) [0036C] Ita Par. cum
antiquioribus mss. At Bad. Er. et Lips. cum aliis, in solo obedientiae esset officio. Hic commendatur
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obedientia fidei, de qua infra n. 37: Ultra naturalem opinionem fidei obedientia nos provehit.
esset officium; sui immemores, divinorum negligentes, praeceptorum emendatores.
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obedientiae
Nam ut de caeteris haereticorum stultissimis studiis sileam, de quibus tamen, sic ubi occasionem sermonis
ratio praebebit, non tacebimus; quidam [(h) [0036C] Haec Noetum, Praxeam, et Hermogenem spectant,
maxime vero Sabellium, qui, ut notat Augustinus de Haeres. ad Quodvultdeum, iis quibus consentiebat,
subinde factus est famosior. Hujus haeresis rursum exponitur lib. de Synod. n. 45: Quidam enim ausi sunt
innascibilem Deum usque ad sanctam Virginem substantiae dilatatione protendere, ut latitudo deducta
quodam naturae suae tractu assumensque hominem filius nuncuparetur, neque Filius ante saecula perfectus
[0036D] Deus natus, idem postea et homo natus sit. Utrumque illum locum illustrat Epiphanius, quo teste
haer. LXII, n. 1, asserebat Sabellius, Filium radii in morem emissum, omnia, quae ad Evangelii et humanae
salutis procurationem attinerent, in hoc mundo praestitisse; atque ita in coelum rediisse, quemadmodum is
qui a sole manavit radius in eumdem postea refunditur. Quomodo autem sol radio in terras protenditur potius
quam descendit, ita Dei in Virginem protensionem tantum, non descensionem admisit. Haud aliter sensit
Marcellus Theodoreto teste, qui de eo prodit lib. II Haeret. fab.: Prorsus existimavit Trinitatem extendi
contrahive pro oeconomiarum et consiliorum diversitate; et paulo ante: Extensionem quamdam divinitatis
Patris in Christum venisse dixit, et hanc Deum Verbum appellavit: peracta autem universa oeconomia rursus
attractam esse reversamque ad Deum ex quo extensa fuit.] ita evangelicae fidei corrumpunt sacramentum,
ut sub unius Dei pia tantum professione nativitatem unigeniti [0036C] Dei abnegent; ut protensio sit potius in
hominem, quam descensio: neque ut qui filius hominis secundum tempora assumptae carnis fuit, idem antea
[0037A] semper fuerit atque sit filius Dei: ne in eo nativitas Dei sit, sed ex eodem idem sit; ut unius Dei, ut
putant, inviolabilem fidem [(a) [0037C] In Pratellensi ms. series ex solido Deo, et mox, Pater spiritu
protensus: voces Deo et Spiritu ex margine in textum haud dubie translatae. Hic rursum locus illustratur
similitudine solis, ut quemadmodum radius est series ex solido solis corpore educta in terras, ita et Filius sit
series educta a Patre: ut enim in [0037D] sole vis triplex, illuminandi, calefaciendi, et orbicularis figura, seu
solidum illud unde est utraque vis: ita et in Trinitate excogitabant Sabelliani triplicem vim, cujus Pater esset
hypostasis ac veluti totius forma, ut loquitur Epiphanius loco laudato: ex quo haeresis hujus notitiam ad
capiendos Hilarii libros necessariam comparamus.] series ex solido in carnem deducta conservet, dum
usque ad virginem Pater protensus, ipse sibi natus 13 sit in filium. Alii vero (quia salus nulla sine Christo sit,
qui in principio apud Deum erat Deus Verbum), nativitatem negantes, creationem solam professi sunt: ne
nativitas veritatem Dei admitteret, [(b) [0037D] Apud Bad., Er., necnon in ms. Vat. bas. et Colb. uno, sed
creatio veluti compositi et simulati Dei falsitatem doceret: quod glossema suspicamur, maxime cum haec
loquendi ratio ab Hilario sit aliena.] sed creatio falsitatem doceret, quae dum ementiretur in genere [(c)
[0037D] In vulgatis et pluribus mss. hic additur vox creationis, quae rectius abest a castigatioribus libris.
Antea excusi habent ementirentur, et post excluderent, nullo fere suffragante ms. Non displiceret tamen, si
[0038C] antea praemitteretur qui dum, non quae dum, etc., id est, quae creatio non nisi mendaciter subjicitur
fidei Dei, qui genere et natura unus est, quamvis non excludatur a fide Dei in sacramento, quatenus plures
per quamdam praerogativam hoc nomen sortiuntur. Videsis lib. contra Auxent. n. 5.] Dei unius fidem, non
excluderet in sacramento: sed nativitatem veram nomini ac fidei creationis [(d) [0038D] Solus codex Vat.
bas. substituentes: minus bene. Hoc enim sibi vult: quem catholici Deum verum, utpote ex Deo vera
nativitate natum credunt, illi haeretici nomini ac fidei creationis subjiciunt.] subjicientes, a veritate unius Dei
separabilem eum facerent, ut creatio substitutionis, perfectionem sibi divinitatis non usurparet, quam veritatis
nativitas non dedisset.
[0037B] 17. Fides vera contra utramque toto hoc opere stabilienda.—Horum igitur furori respondere animus
exarsit: recolens hoc vel praecipue sibi salutare esse, non solum in Deum credidisse, sed etiam in Deum
patrem; neque in Christo tantum sperasse, sed in Christo Dei filio; neque in creatura, sed in Deo creatore ex
Deo nato. Maxime ergo properamus ex propheticis atque evangelicis praeconiis vesaniam eorum
ignorantiamque confundere, qui sub unius Dei, sola sane utili ac religiosa praedicatione, aut Deum natum
Christum negant, aut verum Deum non esse contendunt; ut creatio potentis creaturae intra unum Deum fidei
sacramentum relinquat; quia nativitas Dei extra unius Dei fidem religionem protrahat [(e) [0038D] Editio Par.
antiquos libros, quibus solemne est mutare t in d, secuta, confitendum.] confitentum. Sed nos edocti
divinitus neque [0037C] duos deos praedicare neque solum, hanc evangelici ac prophetici praeconii
rationem in confessione Dei patris et Dei filii [(f) [0038D] Vat. bas. ms., asserimus.] afferemus, ut unum in
fide nostra sint uterque, non unus: neque eumdem utrumque, neque inter verum ac falsum aliud confitentes;
quia Deo ex Deo nato, neque eumdem nativitas permittit esse, neque aliud.
18. Lectori fides necessaria.—Et vos quidem, quos fidei calor et [(g) [0038D] Bad. et Er., ignorante, Lips. et
Par., ignoratum: castigantur ex mss.] ignoratae mundo ac sapientibus mundi veritatis studium ad legendum
vocavit, meminisse [0038A] oportet terrenarum mentium infirmas atque imbecillas opiniones esse
abjiciendas, et omnes imperfectae sententiae angustias religiosa discendi exspectatione laxandas. Novis
enim regenerati ingenii sensibus opus est, ut unumquemque conscientia sua secundum coelestis originis
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munus illuminet. Standum itaque per fidem ante est, ut sanctus Jeremias admonet (XXIII, 22) , [(h) [0038D]
Apud LXX, ejn uJpostavsei. Gregorius Nazianz. Orat. XXXIV, legens ejn uJposthvmati, explicandae hujus
vocis gratia addit, kaiú oujsivaé Kurivou × quod quidem ulli viventium hactenus concessum negat, quia
eorum nemini datum est videre naturam seu essentiam Dei. Ambrosius, l. III de Fide, c. 15: Quis stetit in
substantia Domini, et vidit verbum ejus?] in substantia Dei: ut de substantia Dei auditurus, sensum suum ad
14 ea quae Dei substantiae sint digna moderetur; moderetur autem non aliquo modo intelligendi, sed
infinitate. Quin etiam conscius sibi divinae se naturae participem, ut beatus apostolus Petrus in epistola sua
altera ait (cap. II, 14) , effectum fuisse, Dei naturam non naturae suae legibus metiatur, sed divinas
professiones [0038B] secundum magnificentiam divinae de se protestationis expendat. Optimus enim lector
est, qui dictorum intelligentiam exspectet ex dictis potius quam imponat, et retulerit magis quam attulerit,
neque cogat id videri dictis contineri, quod ante lectionem praesumpserit intelligendum. Cum itaque de rebus
Dei erit sermo, concedamus cognitionem sui Deo, dictisque ejus pia veneratione famulemur. Idoneus enim
sibi testis est, qui nisi per se cognitus non est.
19. Comparatio ad divina nulla est perfecta.—Si qua vero nos de natura Dei et nativitate tractantes,
comparationum exempla afferemus, nemo ea existimet absolutae in se rationis perfectionem continere.
Comparatio enim terrenorum ad Deum nulla est: sed infirmitas nostrae intelligentiae cogit species quasdam
ex inferioribus, tamquam superiorum indices quaerere; [0038C] ut rerum familiarium consuetudine
admonente, ex sensus nostri conscientia ad insoliti sensus opinionem educeremur (Haec memorantur lib.
IV, n. 2) . Omnis igitur comparatio homini potius utilis habeatur, quam Deo apta, quia intelligentiam magis
significet, quam expleat: neque naturis carnis et spiritus, et invisibilium ac tractabilium coaequandis
praesumpta reputetur, protestans et infirmitati se humanae intelligentiae necessariam, et ab invidia esse
liberam non satisfacientis exempli. Pergimus itaque de Deo [0039A] locuturi Dei verbis, sensum tamen
nostrum rerum nostrarum specie imbuentes.
1. [14] Il mio spirito, lieto per le speranze sue, riposava felice in questa tranquillità cosciente della sua
sicurezza e non temeva il sopraggiungere della morte, anzi la considerava con fervore in vista della vita
eterna. Riteneva la vita di questo suo corpo non solo non molesta per sé o inferma, ma la paragonava a ciò
che sono gli studi per i fanciulli, la medicina per gli ammalati, il nuoto per i naufraghi, l'istruzione per i
giovanetti, il servizio militare per gli uomini destinati al comando: giudicava, cioè, che il saper
sopportare le difficoltà di questa vita giovasse a conseguire il premio della beata immortalità. Anzi,
predicava la sua fede anche agli altri in virtù del ministero sacerdotale che gli era stato conferito,
intensificando il suo impegno per conseguire il fine della salvezza di tutti.
[15] Nel frattempo, però, comparvero figure di pensatori di un'audacia sacrilega, perduti in sé come
individui, funesti per tutti perché misuravano la potenza della natura divina secondo la debolezza
della propria natura. Incapaci com'erano di assurgere al pensiero infinito per quanto concerne le cose
infinite, rinchiudevano ciò che non ha confini nei confini del loro pensiero e, mentre la morale religiosa
comanda il dovere dell'obbedienza, essi si credevano giudici della religione, dimentichi di ciò che
erano essi stessi, incuranti dei doveri verso Dio, del quale pretendevano di correggere i precetti.
[16] Se passerò sotto silenzio alcune dottrine ereticali assolutamente insensate, non tacerò di altre
quando il discorso me ne offrirà l'occasione. Alcuni eretici fals ano a tal punto il mistero della fede
evangelica che, accettando soltanto come ortodossa la professione di un unico Dio, negano
assolutamente la nascita di Dio unigenito, intendendola come un protendersi verso l'umanità e non
come una discesa. Secondo costoro, quello che fu il Figlio dell'uomo al tempo dell'Incarnazione non
fu sempre per il passato, e non è ora, il Figlio di Dio: in lui non esiste la nascita di un Dio, ma, in
quanto procede da Dio, è Dio stesso. Essi in tal modo ritengono di conservare invi olata la fede in un
solo Dio, ammetendo un prolungamento della sostanza divina fino alla nostra carne, perché, secondo
loro, il Padre si calò nel seno della Vergine e nacque come tiglio a se stesso. Altri, invece (poiché non
è possibile parlare di salvezza senza Cristo, che in principio era Dio, cioè il Verbo presso Dio),
negavano la generazione [eterna] e riconoscevano soltanto la creazione, temendo che l'ammettere la
generazione portasse ad accettare Cristo come vero Dio. La creazione, invece, tendeva a f ar vedere
che Cristo non era propriamente Dio: essa infatti minava la fede in una sola natura divina, pur non
escludendola in senso mistico. Ma costoro, sostituendo il termine creazione, e la fede in essa, al
concetto genuino della generazione, considerano il Verbo separabile dall'unico vero Dio, affinché
come essenza creata non pretenda per sé la perfezione divina, perché non c'è stata una vera
generazione [divina] ad attribuirgliela.
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[17] L'anima mia fu tutta presa dal desiderio ardente di rintuzzare le i nsensate affermazioni di costoro.
Pensava che le era particolarmente salutare non solo la fede in Dio, ma anche in Dio come padre;
non solo la speranza in Cristo, ma in Cristo figlio di Dio; non in una creatura, ma in Dio creatore, nato
da Dio. Pertanto, in base alle testimonianze offerte dai testi profetici ed evangelici, noi ci volgiamo
con sollecitudine a ridurre in confusione l'insana ignoranza di coloro che, per sostenere l'unità di Dio,
la quale senz'altro è l'unico fine vantaggioso e pio, o negano ch e Cristo nascendo sia Dio, o
sostengono che non è vero Dio. Secondo loro, la creazione di una potente creatura lascia intatta la
fede nell'unità di Dio, perché ammettere che Dio sia stato generato - essi dicono - allontana la pietà
dei fedeli dalla credenza in un solo Dio. Ma noi, ammaestrati dall'insegnamento divino non già ad
ammettere due dei, ma neppure [un Dio] solitarino, nel confessare Dio padre e Dio figlio porteremo
questa prova, tratta dai testi evangelici e profetici, cioè che nella nostra fede l 'uno e l'altro hanno una
sola natura, non una sola persona. Non ammetteremo che l'uno e l'altro siano la medesima persona,
né che [Cristo] sia un essere intermedio fra il vero [Dio] e il non vero, perché la generazione non
concede a chi è Dio, nato da Dio, né di essere lo stesso come persona, né di essere diverso come
natura.
[18] E voi, che il calore della fede e l'amore della verità, ignorata dal mondo e dai sapienti del mondo,
ha indotto a leggere le mie parole, anche voi dovete ricordare che bisogna rig ettare le idee malferme
ed impotenti delle menti terrene ed allargare ogni angusto confine di una conoscenza imperfetta, nella
religiosa attesa di conoscere la verità. Occorre quel modo nuovo di pensare che è proprio della natura
rigenerata, affinché ciascuno sia illuminato dalla propria conoscenza conformemente alla grazia che
promana dalla celeste origine. In primo luogo, mediante la fede bisogna tener ben fermo il concetto
dell'essenza di Dio, come ammonisce il santo Geremia, in modo che chi sentirà parl are dell'essenza
di Dio, adegui le sue idee a ciò che è degno dell'essenza di Dio e le commisuri non alle nostre limitate
capacità di intendere, ma alla sua natura infinita. Anzi [l'uomo], nella sua consapevolezza di essere
stato fatto partecipe della natura divina, come dice il beato apostolo Pietro in un'altra sua lettera,
misuri la natura di Dio non secondo i princìpi della propria natura, ma esamini le forme della
rivelazione di Dio, tenendo conto delle solenni testimonianze che egli ha dato di sé. Il m iglior
interprete è proprio quello che il significato del testo lo chiede al testo, anziché imporlo ad esso, ed ha
l'abitudine di riferire più che di aggiungere; è quello che non ti costringe a ritenere che, in ciò che
dice, siano contenuti concetti fissati prima di leggere il testo. Quando, pertanto, il discorso verterà su
argomenti che si riferiscono a Dio, ammettiamo l'idea che Dio conosca se stesso e accettiamo le sue
parole con religioso rispetto. Infatti è testimone valido a se stesso colui che da nes suno è conosciuto
se non da sé.
[19] Se, durante la trattazione relativa alla natura di Dio e alla sua generazione eterna, porteremo
degli esempi a titolo di confronto, nessuno pensi che essi rechino in sé l'idea assoluta nella sua
perfezione. La realtà terrena non può essere paragonata con quella divina, ma l'infermità della nostra
mente costringe a cercare alcune forme della realtà ínferiore come mezzi per suggerire una realtà
superiore. In tal modo, partendo dalle esperienze del mondo che ci è familiare, ci eleviamo dalle
forme di conoscenza che il nostro pensiero ci offre a conclusioni su argomenti che non ci sono
familiari. Ogni tipo di confronto, perciò, si giudichi utile all'uomo piuttosto che confacente a Dio, in
quanto offre qualche indizio più che una conoscenza completa. E non si giudichi presuntuoso tale
confronto quando mette a fianco la carne e lo spirito, le cose visibili e quelle invisibili; infatti esso si
mostra mezzo necessario per la debolezza della nostra intelligenza ed evita la condanna dovuta ad
un termine di confronto imperfetto. Pertanto, ci avviamo a parlare di Dio ricorrendo alle parole di Dio,
ma colorando il nostro pensiero con le immagini della realtà che ci circonda.
Trad. G. Tezzo, La Trinità, Torino, Utet, 1971.
Inno abecedario (cf. SEMI, III, 222) Manca in Migne
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Difficile, altri elementi
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niente Cetedoc
Letture critiche - C. Moreschini, Gli Inni di Ilario di Poitiers
Costituisce un'altra testimonianza della notevole personalità di Ilario il fatto che il grande teologo ed esegeta
si dedicò anche alla poesia scrivendo, per fini catechetici, degli Inni che hanno lo scopo di celebrare le lodi di
Dio. Questo genere poetico aveva gà da tempo il suo posto nella prassi liturgica, ma non era stato ancora
impiegato in ambito letterario (esisteva, invece, già da vari secoli nelle letterature pagane, pur non essendo
una composizione molto frequentemente usata); e la poesia cristiana dell'età precedente, cioè quella di
Costantino, aveva percorso, come si è visto, altre vie. Ilario, dunque, esegue un'opera di grande novità, cioè
quella di scrivere una poesia di contenuto innico, destinata alla comunità cristiana, anche se, a causa del
suo faticoso modo di esprimersi e del suo stile estremamente manierato, i suoi Inni, dopo un periodo iniziale
di relativa fama (furono ammirati da Isidoro di Siviglia e ricordati come i soli meritevoli di essere cantati,
accanto a quelli di Ambrogio, dal concilio di Toledo del 633), ebbero scarsa diffusione e nessun influsso sulla
innodia successiva, per la quale l'unico e incontrastato modello fu Ambrogio. Oramai anche la poesia
cristiana si sente meno legata alle leggi della prosodia, che non è più seguita né conosciuta in quei tempi,
per cui gli Inni di Ilario mostrano varie irregolarità. Essi sono tre in tutto, scritti probabilmente dopo l'esilio;
usano i metri della lirica di Orazio (il primo), una serie di giambi (il secondo), il tetrametro trocaico, metro
della poesia popolare, il terzo; i primi due sono abecedari (cioè le strofe si susseguono iniziando con
ciascuna lettera successiva dell'alfabeto). Li precede un distico, nel quale Ilario quasi espone il suo
programma poetico, riconducendo la sua produzione a colui che, per primo e meglio degli altri, scrisse degli
inni a Dio, e cioè a Davide. II primo (Tu che sei prima dei secoli, Ante saecula qui manes) ha come
argomento la presenza eterna del Figlio nel Padre, in polemica con gli ariani; il secondo (Ti ingannò, o
crudele - scil., la morte - il Verbo fatto carne, Fefellit saevam Verbum factum te caro) è manchevole di cinque
strofe (sembra essere il grido di sfida alla morte da parte dell'anima, riscattata dalla resurrezione di Cristo; il
terzo (I gloriosi combattimenti della carne e del corpo effimero di Adamo, Adae carnis gloriosa et caduci
corporis), ridotto a poche strofe, esalta l'incarnazione di Cristo e la sua vittoria sul demonio.
Bibliografia. Edizioni: CSEL 65, 1916 (A. Feder). Studi: M. Pellegrino, La poesia di sant'Ilario di
Poitiers, VigChr 1 (1947) 201-226;J. Fontaine, Nnv sance de la poéste chrélienne, Et.
Augustiniennes, Paris 1981; B. I.uiscllv, Forme versificatorie e destinazione popolare in Ilario,
Ambrogio e Agostino. «Helikon» 22-23 (1982-1987) 6-18.
Moreschini- Norelli, 2/1, pp. 457-58.
Scheda. Inno e innologia. J. Fontaine
INNO / INNOLOGIA. Che il loro senso sia proprio o figurato, i due testi delle Epistole paoline (Eph 5,19 [18]
e Col 3,16) sembrano bene attestare, mettendo sullo stesso piano i tre termini concernenti il canto liturgico
paleocristiano composto di «salmi, inni e cantici (il testo greco dice odai) spirituali».
È un chiaro simbolo di continuità e di interferenza, nella più antica innologia cristiana, tra tradizione biblica,
soprattutto dei .Salmi, e tradizione poetica e religiosa, greco-romana, degli hymnoi e dei cantica. Prendendo
spesso la forma di un lirismo corale e di canti di azione di grazia e di preghiera indirizzati ad una divinità,
I'innodia religiosa è già un atto liturgico fondamentale nelle civiltà dell'antichità classica, dagli inni omerici al
Carmen saeculare di Orazio. In rapporto alla doppia tradizione, giudaica e greco-romana, la novità cristiana
consiste nel fatto che una tale celebrazione poetica e musicale, quali che siano le sue forme, si indirizza «a
Cristo come a un Dio» (Plin., Ep. 96 [97], 7: carmen Christo quasi Deo dicere; testo spiegato nel senso di
canto da Tertull., Apol. 2,5: ad canendum Christo ut Deo). Lo si vede nell'antichissimo Phôs hilarion (III
sec.?). Questa celebrazione della «luce gioiosa della santa gloria / del Padre celeste immortale / celeste e
beato / Gesù Cristo» (strofa 1) si ritma in tre strofe di quattro membri, scritti in una prosa greca ametrica,
come altri inni cristiani del III e IV sec. ritrovati nei papiri. Ma vi si incontrano anche delle formazioni
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anapestiche (cellula di base = due brevi + una lunga accentata): vedere OxP 15, 1786 e AmherstP 1,2 (III
sec.?). L'ingresso dell'inno cristiano nelle forme metriche della poesia antica è attestato nel celebre inno
finale del Pedagogo di Clemente d'Alessandria, detto «inno del santo Salvatore». «L'inno si presenta come
un insieme equilibrato di sistemi, o distici ineguali, di versi anapestici, d'un carattere assai libero e in tal
modo forse quasi popolare» (H.I. Marrou e J. Irigoin, note aggiunte all'ed. tradotta e commentata in SCh 158,
Paris 1970, pp. 192-207).
Se bisogna diffidare del termine «innologia popolare» (esso ha senso incontestabile solo se riferito al
«popolo cristiano»), non tutto è da rifiutare nell'ipotesi che accordava una rilevanza, forse eccessiva, agli
eretici, nello sviluppo di una innodia cristiana trasformata in strumento (in «medium») di propaganda
teologica: si conoscono alcuni inni di ispirazione eterodossa, e questo dettaglio richiama i legami antichi tra
innodia e kerigma. Quelli del vescovo Sinesio di Cirene sono contemporaneamente cristiani e neoplatonici.
La innodia latina (ortodossa) sgorga effettivamente come una sorta di «controluce» della questione ariana.
Lo testimoniano alcuni brani autentici dei primi due maestri del genere: Ilario di Poitiers (tre inni scoperti nel
1885 con il distico che serviva probabilmente d'epigrafe alla raccolta in un ms. d'Arezzo) e soprattutto
Ambrogio di Milano. I suoi 14 (?) inni, generalmente riconosciuti oggi come autentici, creano una «forma
fissa» duratura, per un millennio e mezzo, di liturgia in latino: 8 strofe di 4 dimetri giambici (giambo = sillaba
breve + sillaba lunga accentata), generalmente ísosillabici (8 sillabe). L'inno ambrosiano è l'inno latino
cristiano per eccellenza. Ma questa tradizione liturgica non esclude, nell'ambiente degli asceti letterati, una
doppia divergenza di funzione e di forma.
L'inno metrico vi è coltivato con maggiore varietà (uso di strofe e metri catulliani ed oraziani) a scopo di
meditazione devota - sia individuale che collettiva -: tali i 12 inni del Cathemerinon di Prudenzio. Si sfiora
l'esercizio di stile (pio) con l'inno di Paolino di Nola in onore di Giovanni Battista (Carm., 6 in esametri: è una
laus) o, soprattutto, col povero saggio lirico di Sidonio su s. Saturnino di Tolosa (Ep. 9,16). Fortunato dedica
ancora alla Croce alcuni inni rimasti giustamente celebri nella liturgia. La produzione medievale è
considerevole ed ancora poco esplorata. Essa afferma, tuttavia, la sua personalità in alcune liturgie regionali
vivaci: così nelI'innodia spagnola fino ai secoli mozarabici (IX-X sec.).
Edizioni. Vedere, per i brani attribuiti, gli autori citati sup. s.v.; si citeranno qui solo alcune raccolte generali
ed alcune antologie: G.M. Dreves-C. Blume, Analecta hymnica medii aevi, 55 voll., Leipzig 1886-1922; A.J.
Mason-A.S. Walpole, Early Latin Hymns, Cambridge 1922 (rist. Hildesheim 1966); W. Rulst, Hymni latini
antiquissimi LXXV. Psalmi III, Heidelberg 1956; Th. Wolberg, Griechische religioese Gedichte der ersten
christlichen Jahrhunderte. Bd. 1, Psalmen und Hymnen der Gnosis und des fruehen Christentums,
Meisenhein am Glan 1971 (Beitrage zur klassischen Philologie, 40).
Studi. Origini: J. Kroll. Die christliche Hymnodik bis zu Klemens von Alexandria, Programm der Akademie
von Braunsberg 1921-1922 (2a ed. rist. Darmstadt 1962 e 1968) rimane fondamentale. J. Schattenmann,
Studien zum neutestamentlichen Prosahymnus, Miinchen 1965; K. Deichgraeber, Gotteshymnus und
Christushymnus in der fruehen Christenbeit. Untersuchungen zur Form, Sprache und Stil der friihchristlichen
Ilymnen, Gbttingen 1967, K.P. Joerns, Dai hymniscbe Evangelium. lintersuchungen zu Aufbau, Punktion und
IIerkunft der hvmnischen Stiicke in der Johannesoflenbarung, Leiden 1971; M. Brioso Sànchez, Aspectos y
problemas del himno cristiano primitivo, Salamanca 1972. Storia dell'innodia cristiana: M. Simonetti, Studi
sull'innologia dei primi secoli Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Memorie Scienze Morali Ser. III, vol.
IV,6 (1952) 341-484; J. Szbvertfy, Die Annalen der lateinischen Hymnendichtung, Ein Handbuch, 1, Die
Iateinischen Hymnen bis zum Ende des 11 lahrhunderts, Berlin 1964; A. Michel, In hymnis et canticis.
Culture et beauté dans l'hymnique latine chrétienne, Paris 1976; J. Grosdidier de Matons, Romanns le
Mélode et les origìnes de la poesie religieuse à Byzarecc, París 1977; J. Fontaine, Etudes sur la poesie
latine tardive d'Ausone à Prudence, Paris 1980; Id., Naissance de la poesie dans l'Occident cbrétìen.
Esquisse d'une bìstoire de la poesie latine chrétienne du III' au VI' siècle, Paris 1981.
J. Fontaine
J. Fontaine, s.v. Inno/Innologia, in DPAC, 2, col. 1781-82.
Hieronymus (Vir. 2; 100) laudat quoque librum Hymnorum, quod canendos concilium IV Toletanum
decrevit a.633.
Isidorus Hispalensis (Eccl.off. 1,6) primum Hymnorum auctorem Hilarium proclamat: ''Hilarius
hymnorum carmine floruit primus''.
Arii exemplum fortasse sequitur, qui Thaliam oratione soluta et numerosa exul composuerat.
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Tres extant hymni more Graeco qui germani esse videntur (vv. fere 140).
Hymni I et II alphabetici sunt.
Theologicus sermo est complexus et sinuosus propterea fortasse fortuna non fruuntur; quantitas
fere semper servatur.
- Prooemium breve senariis iambicis continuare dicit prophetiam David et in medio ponere
mysterium Christi: Felix propheta David primus | in carne Christum hymnis mundo nuntians.
- a. Ante saecula qui manes: de trinitatis mysterio, resonans Nicaenam fidei professionem, 20
strophae tetrasticae, acrosticae, alphabeticae a littera A ad T.
Metra: glyconaei et asclepiadaei minores in dystichum coniuncti:
1. - x - v v - v -; 2. - - - v v - | - v v - v x
- b. Fefellit saevam: de redemptione deque Christiani regeneratione [resonat prologum
autobiographicum De trin.]; 18 strophae, acrosticae, alphabeticae a littera F ad Z.
Metra: trimetri iambici (senarius iambicus).
- c. Adae cernis gloriam: Christus vncit Diabolum [resonat comm. in Matth.]; manent 9 strophae.
Metra: tetrametri trochaici catalectici, stropha tristicha.
Ceteri hymni (Lucis largitor splendide quoque ad filiam missus) nothi habentur, ut poema In
Genesim, ad Leonem papam (198 hex) et De Evangelio (114 hex, fragmenta): tribuuntur Hilario
Arelatensi coaevo et concivi.
Fortasse Hilarius carmina liturgica Orientis in suam Ecclesiam transferre voluit.
Gallorum autem indocilitas, teste Hieronymo (Comm.Gal. I,2, initium), vetuit.
Tamen pater hymnologiae est dicendus, cum sequatur classicas leges componendi versus, non
sine licentiis plurimis.
=============
Hymni
CONTENUTO
Il primo dei tre frammenti superstiti è l'inno: Tu che sei prima dei secoli - Ante saecula qui manes afferma la coeternità del Figlio col Padre, in polemica con gli ariani.
Il secondo: Ti ingannò, o crudele - il Verbo fatto carne - Fefellit saevam [sc. mortem] Verbum
factum te caro - è manchevole di cinque strofe, canta il trionfo di Cristo; nella parte iniziale descrive
il duello tra la Morte e la Vita (Cristo) con immagini grandiose e accenti epici di grande lirismo,
ispirandosi al temi dell'età ellenistica; Cristo è presentato in chiave mitica, come un eroe vittorioso,
che combatte, scende agli inferi, con tratti simili al c. 6 dell'Eneide di Virgilio, e altre espressioni di
sapore ellenistico.
Il terzo parla delle tentazioni di Gesù: I gloriosi combattimenti della carne - Adae carnis gloriosa et
caduci corporis; in poche strofe esalta la incarnazione di Cristo e la sua vittoria sul demonio.
I tre inni sono oggi unanimemente attribuiti ad Ilario per ragioni stilistiche, in quanto in ognuno si
riscontrano le stesse caratteristiche fondamentali, e l'aspetto oscuro e contorto della forma, con la
tendenza a coollocare capricciosamente gli elementi delle proposizioni, e nella struttura del
periodo, l'accentuato uso della subordinazione.
La concezione poetica dell'autore è conforme all'opera La Trinità e al Commento ai Salmi.
LA FORMA - Dal punto di vista stilistico e metrico i tre inni sono composti in forma variata e
involuta.
Il primo impiega vari metri della lirica orazianai.
Il secondo è in giambi.
Il terzo è in tetrametri trocaici, metro della poesia popolare.
I primi due sono abecedari. Un distico richiama a David, il re cantore delle lodi di Dio.
Il Libro degli inni non fu mai adottato dalla Chiesa delle Gallie (Girolamo, Uomini illustri 100,3).
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L'insuccesso non si spiega, come sembra asserire Girolamo, perchè i suoi canti non avevano
trovato l'ambiente propizio e favorevole ma per la forma estremamente artificiosa e complicata fino
all'oscurità, in ossequio alle tendenze della poesia pagana dell'epoca.
Lo stile è infatti lontano dal gusto popolare e dalla studiata semplicità degli inni ambrosiani.
Gli inni, caratterizzati dallo stile tortuoso e dalla forma oscura e complessa, mostrano tuttavia una
sufficiente padronanza della tecnica versificatoria con abili effetti di contrasto e orchestrazione
metrica e tonica.
Ilario, pur subendo l'influsso della poesia latina contemporanea cIassicheggiante e incline a simili
sottigliezze, si apre a nuove forme di ispirazione, riscontrabili soprattutto nella variazione dei metri
lirici e degli stili, che caratterizzano i suoi versi. Tutto questo permette di considerarlo pioniere della
nuova poesia latina.
Lucis largitor splendide
Cujus sereno lumine,
Post lapsa noctis tempora,
Dies refusus panditur.
Tu verus mundi lucifer,
Non is qui parvi sideris,
Venturae lucis nuntius,
Angusto fulget lumine:
Sed toto sole clarior,
Lux ipse totus et dies,
Interna nostri pectoris
Illuminans praecordia.
Adesto rerum conditor,
Paternae lucis gloria,
Cujus amota gratia
nostra pavescunt corpora:
Tuaque sancta dextera,
Tuere nos per saecula.
Post hujus vitae terminum,
Vitam perennem tribue,
Tuoque plena spiritu,
Nostra patescunt corpora;
Vitae quos usus exigit,
Omni carentes crimine,
Tuis vivamus legibus.
Probrosas mentis castitas
Carnis vincat libidines,
Sanctumque puri corporis
Delubrum servet Spiritus.
Haec spes precantis animae,
Haec sunt votiva munera,
Ut matutina nobis sit
Lux in noctis custodiam.
Gloria tibi Domine,
Gloria Unigenito,
Cum Spiritu paraclito.
Lettura critica. E. Peretto, Gli Abecedari.
ABECEDARI. Composizioni poetiche, i cui versi o strofe iniziano con le lettere dell'alfabeto in ordine
successivo dalla a alla z. Più frequenti nella latinità cristiana, antica e medievale, si prefiggevano, tra l'altro,
di favorire la ritenzione mnemonica della composizione. Differiscono dall'acrostico, la cui caratteristica è di
formare con la prima lettera di ciascun verso o strofa un nome, una parola o un verso. La letteratura sacra
ebraica contiene esempi significativi. Le Lamentazioni di Geremia sono composte sull'abecedario: nella
prima, seconda e quarta Lamentazione la forma abecedaria è seguita all'inizio delle singole strofe; nella
terza in ogni strofa la lettera dell'alfabeto è ripetuta tre volte. Per altre applicazioni cfr. Ps 9-10; 25; 34; 37;
111; 112; 119; 145; Pr 31,10-31. Le traduzioni dei LXX e latine non hanno conservato il procedimento
abecedario. Hanno utilizzato tale procedimento letterario anche Agostino Psalmus contra partem Donati;
Commodiano, Instructiones I, 35; De ligno vitae et mortis II, 15; Sedulio nell'inno A solis ortus cardine; Ilario
di Poitiers negli inni Ante saecula qui mataes e Fefellit saevam; Fulgenzio di Ruspe nell'inno Domine
Redemptor noster; Venanzio Fortunato nell'inno dedicato al vescovo Leonzio Agnoscat omne saeculum;
Beda nell'inno per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo Apostolorum gloriam; Paolino d'Aquileia
nell'inno di penitenza Ad caeli clara non sum dignus sidera. Nel Medioevo i temi trattati si allargano, e
l'abecedario celebra l'elogio di Milano (740 ca.), impreca contro Benevento per la proditoria cattura
dell'imperatore Lodovico II (871 ca.); nell'845 un chierico veneziano inveisce contro le pretese del patriarcato
di Aquileia. Anche l'inno Acatisto appartiene al gruppo dei carmi abecedari.
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E. Peretto, s.v. A., in DPAC, 1, col. 5.
Bibliografia
Edizioni
opera in PL Migne vol. 9
TRACTATUS SUPER PSALMOS.
COMMENTARIUS IN EVANGELIUM MATTHAEI.
vol. 10
De Trinitate libri duodecim.
Liber de Synodis seu Fide Orientalium.
Apologetica ad reprehensores libri de Synodis responsa.
Hilarii epistola ad Abram filiam suam.
Hymnus eidem ab eodem missus.
Censura alterius hymni Hilario perperam tributi.
Libri duo ad Constantium Augustum.Ibid.
Liber contra Constantium.
Liber contra Arianos vel Auxentium.
Quindecim Fragmenta ex Opere Historico.
Fragmenta ex aliis S. Hilarii operibus.
S. Hilarii Epistola seu Libellus cum praefatione et dissertationibus.
Sermo B. Hilarii de dedicatione ecclesiae.
Liber de Filii et Patris Unitate.
Liber de Essentia Patris et Filii.
incomplete in CSEL e in SC
Tractatus super psalmos – ed. A. Zingerle 1891, CSEL Vol. 22
Tractatus mysteriorum, Fragmenta, Ad Constantium Imperatorem, Hymni – ed. A. Feder 1916,
CSEL Vol. 65.
La Trinité, I, Livres I-III
Texte critique par P. Smulders (CCL) Introduction par M. Figura et J. Doignon (†) Traduction par
G. M. de Durand (†), Ch. Morel et G. Pelland, 1999, SCh. 443.
Le Traité sur la Trinité d’Hilaire de Poitiers, avant celui d’Augustin, demeure l’un des exposés les plus
décisifs sur ce dogme central dans la théologie chrétienne. L’auteur s’y révèle "un Rhône d’éloquence",
comme l’écrit Jérôme. Avant tout exégète de la Parole divine, il sait aussi argumenter en parfait héritier de la
culture antique.
La Trinité, II, Livres IV-VIII
Texte critique par P. Smulders, Traduction et notes par G.M. de Durand (†), Ch. Morel et G.
Pelland , 2000, SCh 448
La Trinité, III, Livres IX-XII
Texte latin de P. Smulders (CCL). Traduction, notes et index par Georges-Matthieu de Durand (†),
Gilles Pelland, et Charles Morel, s.j., 2001, SCh 462.
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Traité des mystères, ed.tr.comm. Jean-Paul Brisson, S Ch, 1967.
Un précis d’exégèse spirituelle à l’usage des fidèles du IVe siècle. Exégèse allégorique de l’Ancien
Testament par la «clef» qu’en donne le Nouveau Testament.
Contre Constance
Introduction, texte critique, traduction, notes et index par André Rocher,1987, SCh. 334.
Constance II, le fils de Constantin le Grand est maître absolu de l’Empire romain, Orient et Occident. Depuis
353, il dicte sa loi à tous ses peuples. Chrétien, il a passé à l’arianisme et pense arianiser l’Empire. Hilaire a
accédé à l’épiscopat à peu près à la même époque que Constance à l’Empire. Il ne gouverne qu’un diocèse,
petit territoire comparé à l’Empire, mais il est indéracinablement attaché à la foi de Nicée. Entre les deux
hommes, entre les deux pouvoirs, celui de l’évêque et celui de l’empereur, l’opposition est si forte que
l’empereur contraint l’évêque à l’exil. De la Phrygie où il est relégué, Hilaire récapitule en un petit écrit la
somme des honteuses machinations de l’empereur contre la foi. Invective terrible, comme il y en a peu dans
la littérature patristique.
Commentaire sur le Psaume 118, I
Introduction, texte critique, traduction et notes par Marc Milhau, 1988, SCh 344
Commentaire sur le Psaume 118, II.
Texte critique, traduction, index et notes par Marc Milhau, 1988, SCh 347.
Sur Matthieu, I.
Introduction, texte critique, traduction et notes par Jean Doignon, 1978, SCh 254.
Sur Matthieu, II.
Texte critique, traduction, notes, index et appendice par Jean Doignon,1979, SCh 258.
Trattato sui misteri. Per una lettura cristiana dell'Antico Testamento, Borla,1984
La Trinità, tr.it. G. Tezzo, , Torino, Utet, 1971.
Commentario a Matteo, tr. L. Longobardo, Roma, Città Nuova, 1988 (ed. J. Doignon, SCh 254-58,
Paris 1978-9).
Contro l'imperatore Costanzo, Luigi Longobardo, Roma, Citta' Nuova,1997
Sinodi e fede degli orientali, Luigi Longobardo, Roma, Citta' Nuova,1993
Ilario di Poitiers, CONTRO AUSSENZIO, Roma, Citta' Nuova,
introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo
IL VOLUME - Composto tra il 364 e il 365 d.C. negli anni infuocati della controversia ariana, nel Contro
Aussenzio Ilario di Poitiers si rivolge ai vescovi cattolici e ai loro fedeli per informarli sull’esito del suo
tentativo di allontanare da Milano il vescovo ariano Aussenzio e denunciare la sua dottrina.
Di fronte alla situazione attuale di una Chiesa divisa e subordinata all’Impero, l’Autore guarda alla comunità
delle origini, indipendente dal potere temporale, punto di riferimento e modello per la Chiesa di ogni tempo.
Quindi, accusa Aussenzio di essersi fatto seguace di Ario: ne è prova una sua dichiarazione secondo la
quale "il Figlio è simile al Padre". Con logica rigorosa Ilario smaschera l’eresia del vescovo milanese.
Un documento significativo per una piena comprensione storica e dottrinale della controversia ariana.
IL CURATORE - Luigi Longobardo è docente ordinario di Patrologia presso la Pontificia Facoltà Teologica
dell’Italia Meridionale. In questa stessa collana ha curato la pubblicazione di altre opere di Ilario:
Commentario a Matteo (1988), Sinodi e fede degli Orientali (1993); Contro l’imperatore Costanzo (1997).
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LA COLLANA - La collana Testi patristici, fondata da Antonio Quacquarelli e oggi diretta da Claudio
Moreschini, rappresenta un vero unicum in Italia nel campo della letteratura cristiana antica: una raccolta di
oltre 165 volumi di autori dal II al VII secolo, introdotti e curati dai maggiori specialisti del settore.
POESIS
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 36-58
(M. Simonetti).
M. Simonetti, s.v. Ilario di Poitiers, in DPAC, 2, col. 1748-53.
ICCU
Barbieri, Antonio, Cenni intorno la vita di Sant'Ilario vescovo di Poitiers, confessore e dottore di santa chiesa
... / articoli compilati da Antonio Barbieri e da Gaetano Negri, Parma: Tip. Fiaccadori, 1846
Burns, Paul C., The Christology in Hilary of Poitiers Commentary on Matthew / Paul C. Burns C.S.B, Roma:
Institutum patristicum Augustinianum, 1981, Studia ephemeridis Augustinianum
Brennecke, Hanns Christof, Hilarius von Poitiers und die Bischofsopposition gegen Konstantius 2.:
Untersuchungen zur dritten Phase des Arianischen Streites, 337-361 / von Hanns Christof Brennecke
Berlin [ecc.]: W. de Gruyter, 1984, Patristische Texte und Studien
Smulders, Pieter, La doctrine trinitaire de S. Hilaire de Poitiers: etude precedee d'une esquisse du
mouvement dogmatique depuis le Concile de Nicee jusqu'au regne de Julien, 325-362 / par Pierre Smulders,
Romae: apud aedes Universitatis Gregorianae, 1944, Analecta Gregoriana
Smulders, Pieter, Hilary of Poitiers' preface to his Opus historicum: translation and commentary / by P.
Smulders, Leiden [etc.]: E. J. Brill, 1995, Supplements to Vigiliae Christianae
Ladaria, Luis F., La cristologia de Hilario de Poitiers / Luis F. Ladaria, Roma: Editrice Pontificia universita
Gregoriana, 1989, Analecta Gregoriana
Vaccari, Giuseppe, La teologia della assunzione in Ilario di Poitiers: uno studio sui termini adsumere e
adsumptio / auctore Giuseppe Vaccari
Edizione: Ripr. anast, Roma: [s. n.], 1994 (Roma: Tip. poliglotta della pontificia universita gregoriana)
Tesi di dottorato.
Durst, Michael, Die Eschatologie des Hilarius von Poitiers: ein Beitrag zur Dogmengeschichte des vierten
Jahrhunderts / Michael Durst
Bonn: Borengasser, [1987].- XLIV, 386 p. ; 23 cm., Hereditas: Studien zur AltenKirchengeschichte
Sant'Ilario: Un vescovo per il nostro tempo / Traduzione di Orsola Nemi, Roma: G. Volpe, 1971, Domini
canes
Nomi: Tilloy, Pierre; Nemi, Orsola
Ladaria, Luis F., La cristologia de Hilario de Poitiers / Luis F. Ladaria S.J, Roma: Pontificia universita
gregoriana, 1989, Analecta Gregoriana. Series Facultatistheologiae. Sectio A
Analecta Gregoriana
Commento al Vangelo di Matteo / Ilario di Poitiers ; prefazione di Salvatore Garofalo ; introduzione di Pietro
Viol, Citta del Vaticano: Libreria editrice vaticana, 1984 (Roma: U. Detti), Parole di vita
Note Generali: Trad. di Pietro Viola, Ferruccio Sartori. [[I
4: Tractatus mysteriorum ; Collectanea antiriana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad
Constantium) ; Liber ad Constantium imperatorem (liber 2. ad Constantium) ; Hymni ; Fragmenta minora ;
Spuria / recensuit, commentario critico instruxit, praefatus est indicisque adiecit Alfredus Fede
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
98
Edizione: Rist. anast, New York etc.]: Johnson reprint corporation, 1966
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae etc.]: F. Tempsky, 1916.
Fa parte di: S. Hilarii episcopi pictaviensis opera
Tractatus mysteriorum / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Collectanea antiariana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad
Constantium) / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Liber ad Constantium imperatorem (Liber 2. ad Constantium) / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Hymni / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Fragmenta minora / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Spuria / s. Hilarii.
Paese di pubblicazione: US
Contro l'imperatore Costanzo / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobard,
Roma: Citta Nuova, [1997], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
I salmi delle ascensioni: cantico del pellegrino / Ilario di Poitiers ; introduzione, traduzione e note a cura di
Antonio Orazzo, Roma: Borla, [1996], Cultura cristiana antica
Hilary of Poitiers: conflicts of conscience and law in the fourth-century church: against Valens and Ursacius:
the extant fragments, together with his letter to the emperor Constantius / translated into english with
introduction and notes, from the edition by Alfred Feder in Corpus Scrip, Liverpool: Liverpool university
press, 1997, Translated texts for historians
Wickham, Lionel R.
Adversus Valentem et Ursacium
Ad Constantium imperatorem
Trattato sui misteri: per una lettura cristiana dell'Antico Testamento / Ilario di Poitiers ; a cura di Luigi
Longobardo, Roma: Borla, stampa 1984, Cultura cristiana antica
Tractatus mysteriorum
1.2: Sancti Hilarii Pictaviensis episcopi Tractatus super Psalmos: in psalmum 118. / cura et studio J. Doignon
; iuvamen praestante R. Demeulenaere, Turnhout: Brepols, 2002, Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: Sancti Hilarii Pictaviensis episcopi Opera
The Trinity / saint Hilary of Poitiers ; translated by Stephen McKenna, Reprinted with corrections, 1968, The
Fathers of the Church
Paese di pubblicazione: US
Ms. 405 (gia Codex Arretinus VI, 3)
Edizione: Ripr. anast, Arezzo: Biblioteca della Citta di Arezzo, stampa 1987
Note Generali: Contiene: S. Hilarii Tractatus de mysteriis et hymni, Itinerarium Egeriae
S. Hilarii Tractatus de mysteriis et hymni [|] et S. Silviae Aquitanae Peregrinatio ad loca sancta / quae inedita
ex codice arretino deprompsit Ioh. Franciscus Gamurrini ; accedit Petri Diaconi Liber de Locis Sanctis,
Romae: Ex Tipographia Pacis Philippi Cuggiani, 1887
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Sancti Hilarii tractatus de mysteriis et hymnis et sanctae Silviae
Aquitanae peregrinatio ad loca sancta.
S. Hilarii episcopi pictaviensis tractatus super psalmos / recensuit et commentario critico instruxit Antonius
Zingerle, Vindobonae ... [etc.]: F. Tempsky, 1891, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Zingerle, Anton
La Trinita / di Sant'Ilario di Poitiers ; a cura di Giovanni Tezzo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese,
1971, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
Traite des Myteres / Texte etabli et traduit avec introduction et notes par Jean-Paul Brisson, Paris: Editions
du Cerf, 1947, Sources chretiennes
S. Hilarii tractatus de mysteriis et hymnis ; Itinerarium Egeriae: Ms. 405 (gia Codex Arretinus VI, 3) della
Biblioteca di Arezzo, Arezzo: Biblioteca della Citta di Arezo, 1987
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Note Generali: Ripr. anast. in occasione del Convegno "Peregrinatio Egeriae", Arezzo 23-25 ottobre 1987.
4: Tractatus mysteriorum ; Collectanea Antiariana parisina (fragmenta historica) cum appendice (liber 1. ad
Constantium) ; Liber ad Constantium Imperatorem (Liber 2. ad Constantium) ; Hymni ; Fragmenta minora ;
Spuria / recensuit, commentario critico instruxit, praefatus est indicesque adiecit Alfredus Feder S. I,
Vindobonae <etc.>: F. Tempsky, 1916
Fa parte di: S. Hilarii episcopi pictaviensis opera
[Pubblicato con] Collectanea Antiariana parisina.
[Pubblicato con] Liber ad Constantium Imperatorem
[Pubblicato con] Tractatus mysteriorum / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Hymni / s. Hilarii.
[Pubblicato con] Fragmenta minora / s. Hilarii.
Sinodi e fede degli orientali / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobardo,
Roma: Citta nuova, [1993]
2: Livres 4.-8. / Hilaire de Poitiers ; texte critique par P. Smulders ; traduction et notes par G. M. de Durand,
Ch. Morel et G. Pelland, Paris: Les editions du Cerf, 2000, Sources chretiennes
Contro Aussenzio / Ilario di Poitiers ; introduzione, traduzione e note a cura di Luigi Longobardo, Roma: Citta
nuova, [2003], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Trattato sui misteri / s. Ilario di Poitiers ; traduzione dal latino e note di d. Pietro Viola, [S. l.: s. n.], 1981
(Parma: Poligrafica)
Note Generali: Testo orig. a fronte. [[I
Tractatus mysteriorum
Hilary of Poitiers' preface to his Opus historicum: translation and commentary / by P. Smulders, Leiden [etc.]:
E. J. Brill, 1995, Supplements to Vigiliae Christianae
Sinodi e fede deli orientali / Ilario di Poitiers ; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Longobard,
Roma ; Citta Nuova, c1993, Collana di testi patristici
De trinitate: praefatio, Libri 1-7 / Hilarius Pictaviensis ; cura et studio P. Smulder, Turnhout: Brepols, 1979
Descrizione fisica: IX, 310 p. ; 25 cm., Corpus Christianorum
Bettini 3, 886; Mariotti 3, 398-99
"Ilario di Poitiers - Encarta"
Ilario di Poitiers (Poitiers 315 ca. - 367 ca.), santo, vescovo e dottore della Chiesa. Nato da genitori pagani,
Ilario si convertì al cristianesimo e intorno al 353 fu eletto vescovo di Poitiers, dove intraprese un'energica
lotta contro l'eresia ariana assai diffusa nella sua diocesi. Benché esiliato in Frigia dai suoi oppositori pagani
nel 356, Ilario partecipò al sinodo di Seleucia del 359, in cui tenne un dotto e vigoroso discorso in difesa
dell'ortodossia. Tornato a Poitiers nel 361, continuò a combattere l'arianesimo fino alla morte. Della sua
copiosa produzione teologica in latino l'opera maggiore è il De Trinitate (12 libri).
"Ilario di Poitiers - Treccani"
Ilario di Poitiers, santo. Vescovo di Poitiers, nato da una famiglia pagana tra le più nobili di Poitiers,
Aquitania, verso il 315 e morto nel 367. Fu uno dei massimi padri controversisti nella lotta contro l'eresia
ariana. Iniziò fin dalla prima gioventù lo studio del latino e del greco. Dedicatosi alla filosofia e allo studio
delle Sacre Scritture, finì per convertirsi, divenendo in poco tempo sacerdote e vescovo della sua città
natale. Nella sua opera principale, De Trinitate (La Trinità), egli ha raccontato minuziosamente le peripezie e
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le tappe della sua conversione. Non si conosce con certezza la data della sua elezione a vescovo;
comunque lo era, secondo la sua propria testimonianza, già nel 350.
La lotta contro Saturnino, vescovo eretico ariano di Arles, impegnò gran parte della vita di I. Gli intrighi di
Saturnino alla corte imperiale lo costrinsero in un primo tempo all'esilio in Asia. Egli si stabilì nella Frigia,
dove scrisse le sue opere maggiori e da dove non cessò di predicare e di propagandare il Vangelo. Dopo il
Concilio di Seleucia dovette ancora una volta fuggire a causa degli intrighi di parte ariana nel Sinodo di
Costantinopoli. I. attraversò allora, predicando con crescente successo, l'Italia e la Gallia e riuscì a
recuperare la sua sede vescovile di Poitiers. Finalmente poté far convocare il Concilio di Parigi, dove si
giunse alla condanna di Saturnino. I., divenuto uno dei massimi pilastri della Chiesa cristiana in Francia, morì
a Poitiers. Tra le sue opere più notevoli, oltre a quella già citata, vi sono il Liber adversus Valentem et
Ursacium (Libro contro Valente ed Ursacio); De synodis seu de fide orientalium (Dei sinodi o della fede degli
orientali); tre inni; un trattato sui salmi, uno sul libro di Giobbe e uno sul Liber Mysteriorum (Libro dei Misteri).
I. fu proclamato dottore della Chiesa nel 1851.
Ilario di Poitiers - Riposati
1. Vita. - II. L'opera. - 111. n perasatore e lo scrittore.
I I a r i o (Hilartus) apre la serie dei grandi astri della letteratura cnstlana latma.
I. - Vita. Nacque a Pictava (o Pictavium: Poitiers), in Aquitània, da nobile famiglia pagana circa il 315, ed ivi
ricevette una compiuta educazione, letteraria e retorica. Preoccupato e turbato dal problema dell'umano
destino, che la filosofia non sapeva risolver, gli, si rivolse-come dice egli stesso nel trattato De Trinitate- ai
Libri Sacri, e nel ' prologo ' del Vangelo di S. Giovanni, là dove si afferma che " il Verbo si fece uomo per
renderci figli di Dio>), trovò la grande risposta. Si convertí al Cristianesimo e ricevette il battesimo nel 345:
aveva circa trent'anni, moglie e una figlia di nome Abra. L'ardore della sua fede di neòfito, la probità della
vita, lo zelo per la Dottrina lo misero subito in vista nella sua città, e, circa dieci anni dopo, venuto a mancare
il Pastore di quella chiesa, venne eletto Vescovo ad unanimità dai suci concittadini. Ferveva aspra la
battaglia ariana. Conscio delle responsabilità del gravoso ufficio, si diede innanzi tutto a profondi studi biblici
e teologici, affrontando particolarmente il problema trinitario, mi nacciato alla base dallteresia ariana, che
mirava ad invadere tutto l'Occidente, sostenuta e incoraggiata dall'imperatore Costanzo. La fermezza del
suo carattere e la sicurezza della dottrina lo mi, sero prestissimo in evidenza. Fu presente al Concilio di
Bizerrae (Béziers) dell'anno 356 e prese posizione contro la politica ecclesiastica dell'Imperatore; poi scrisse
un Liber alversus Valentem et Ursacium-giuntoci frammentario-, due vescovi pervicacemente ariani;
Costanzo lo mandò in esilio in Oriente, nella Frigia. Colà egli entrò subito in contatto con le chiese di quelle
regioni e col pensiero cristiano greco, affinando sempre piú la sua già notevole preparazione teologica e
suscitando ben presto l'ammirato stupore dei pensatori e dei vescovi d'Oriente. Durante l'esilio scrisse piú di
un trattato, nonché lettere varie anche all'imperatore Costanzo, supplicandolo di dare libertà piena ai
credenti; avutone rifiuto, compose l'invettiva Contra Corlstantian Imperatorem, giungendo a chiamare costui
precursore delI'Anticristo e più malvagio degli stessi persecutori pagani. Costanzo, temendo in lui un
perturbatore dell'Oriente, come già lo ritenevano gli ariani di colà, lo rimandò in Gllia verso il 360 ed ivi egli
continuò la sua magnanima lotta contro gli eretici, sostenendo persino un contraddittorio a Milano, nel 364,
contro il vescovo ariano Aussenzio. Si spense nel 367.
II. - L'opera. - I frutti della sua attività intellettuale sono varii e di contenuto diverso, taluni di altissima
importanza dottrinale. Appartengono all'esegèsi, alla polemica antierètica e storica all'innografia: le opere
possono dividersi, cronologicamente, in a) anteriori all'esilio, b) dell'esilio, c) posteriori a ll o stes so .
L'epistolario si è perduto.
Nello scritto, in tre libri, Adversus Valentem et Ursacium è contenuta la storia del Concilio di Rimini e di
Selèucia, del 359; in 12 libri è diviso l'Alversus Arianos, cioè il trattato De Trinitate (in, teso a dimostrare
l'uguaglianza fra il Padre e il,Figlio); il De SynoVdis è del 359, diretto ai vescovi della Gllia, della Germania e
della Britannia (ivi ricorrono tutte le professioni di fede a conclusione dei sínodi postnicèni). Dei Tractatus
(cioè ' le Prediche ') in Psalmos, giunsero a noi quelli concernenti 58 Salmi (ivi egli, movendo dal testo dei
Settanta, poiché non conosceva l'ebraico, sostiene che quanto dicono i Salmi va inteso in modo conforme
alla predicazione evangelica, in rapporto all'awento e alla vita e morte salvífica del Cristo) Nell'Al
ConstantiumAu,gustum (nell'a. 359) chiede all'lmperatore, allora a Costantinopoli, la concessione di
un'udienza, che gli permetta di smascherare gli Ariani per un sollecito ristabilimento della libertà della
Chiesa. Seguono: il Contra Constantium Imperatorem (invettiva ed aperta accusa scritta, nello stesso anno,
al medesimo, dopo il rifiuto ricevuto); un libro perduto A1 praefectum Sallustium sive contra DioscoVrum
melicum collegato colle vicende della lotta anticristiana di Giuliano- un Libe; Hymnorum (ne possediamo tre
soli, nemmeno interi, pe; un complesso di 140w.; viaccenneremo sotto); un Tractatus oLiberMy sterior~n
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(giuntoci per metà soltanto; vi sono considerati e studiati, come allegoriche prefigurazioni del Nuovo
Testamento, i personaggi e gli eventi dell'Antico); i Co1runentarfi in Matthaeum (non omelíe, ma veri e propri
studi esegètici sul testo latino, condotti conformemente al metodo dell'allegoria); un Tractatus in lob (di cui
abbiamo due soli frammenti, in grazia di S. Agostino); il Contra Arianos vel Atsrentitma Mediolanensem (il
vescovo milanese ariano, sostenuto da Valentiniano l; ci è giunto frammentario).
II suo lavoro capitale, dal punto di vista dottrinario, è il De Trinitate, scritto, tutto o in parte, negli anni
dell'esilio, cioè fra il 356 e il 359: vero e proprio attacco allteresia ariana, ed affermazione piena della
consustanzialità del Figlio col Padre. Qui egli segnò una tappa formidabile e sicura nel campo del pensiero
trinitario e della terminologia teologica.
Ma Ilario fu anche poeta, come si può costatare dai già~ citati tre Inni, di cui i primi due procedono per ordine
stròfico abe, cedàrio (cioè per ordine alfabetico). Di essi il primo canta il mistero della Trinità (è in distici,
composti di un gliconèo e di un asclepiadèo minore, sull'esempio di Orazio lirico); il secondo la redenzione e
la rigenerazione dell'uomo (è in trimetri giambici); il terzo il trionfo vittorioso del Gisto sul demonio (è in
tetrametri trocaici catalèttici legati in terzine, cioè a strofe tristiche). Sono osservate quasi sempre le leggi
della metrica classica, ma già risultano gli elementi accentuativi.
Questi Inni, in cui si colgono qua e là echi di poesia lucreziana, fanno di S. Ilario il piú antico innògrafo
cristiano. L'idea gli dovette sorgere forse in Oriente, a contatto con la produzione del, I' Innologia greca, già
felicemente invalsa negli usi liturgici e corali. In essi vivo è l'ardore religioso, sempre esatta è la terminologia
teologica, ma piuttosto scarso il valore poetico, oscuro e faticoso il giro del pensiero. Rimane, comunque,
suo indiscutibile merito quello di avere awiata l'Innologia ecclesiastica e di avere arricchito il lessico latino
cristiano di nuovi termini e di nuove espresslom.
III. I1 pensatore e lo scrittore. - S. Ilario, chera attento lettore di Quintiliano e di Sallustio, nonché discreto
conosci, tore degli altri autori classici, porta nelle sue opere, ch'egli vuole degne della ' Parola del Signore ',
una certa pàtina di arcaismo solenne. II suo stile reca l'impronta della sua personalità: diverso. secondo la
diversa natura delle singole opere, appare ora impetuoso ed ardito, ora limpido e conciso, ora contorto e
prolisso. Sono, comunque, sempre vivi in lui il fervore del pensiero, la vigoria del ragionamento, I'elevatezza
dei concetti, I'acume della penetrazione, lo zelo del Pastore. Come S. Atanasio in Oriente, Ilario fu in
Occidente il ' martello delle eresie ', specialmente di quella ariana. Combatté, come già S. Cipriano, per
l'unità della Chiesa; fu un autentico campione del pensiero e dell'azione. Patí I esilio, ma non si piegò: anzi,
trasformò quella dolorosa prova in un fruttuoso periodo di studio, di contatti culturali e di fenido apostolato.
Fu polemista impetuoso, ma suadente, e oratore di straordinarie qualità: S. Girolamo lo chiama il " Ròdano
dellteloquenza latinal>. Dei Libri Sacri fu esegèta penetrante e sicuro, pur attraverso un allegorismo
esagerato; ma soprattutto fu teologo meditativo e profondo. Nel De Trinitate (I, 38) egli aveva infatti chiesto a
Dio che gli concedesse " parole significative, lume d'intelletto, ornamento di eloquio, fede nella verità )>; e
tutti mise a disposizione i suoi doni e i suoi talenti per combattere senza sosta e senza quartiere gli eretici
che, a suo dire, " confessavano Cristo solo per negarlo )>. II Cristo con i suoi attributi' divini, con la sua '
consustanzialità ' col Padre, è il punto centrale della sua dottrina; qui, piú che altrove, si sentí com'egli si
disse, liscipulus Veritatis; e da ciò deriva a quell'amore ardente e appassionato, con cui egli parla in ogni sua
pagina del Verbo fatto uomo; Amores che, provvidenzialmente, lo preparò a difendere la divinità di Gesú e
ad assicurarne il trionfo " (CAYRÉ).
__________________
Internet
S. Ilario di Poitiers
Teologo e dottore della Chiesa
(Poitiers 315 ca.-367 ca.), teologo e dottore della Chiesa, uno dei maggiori esponenti della patristica latina.
Poco dopo il battesimo fu eletto vescovo di Poitiers (ca. 350), esiliato in Frigia (356) da Costanzo II per aver
combattuto l'arianesimo, che continuò ad avversare anche in Italia e in Gallia e dopo il ritorno in diocesi. In
Oriente ebbe modo di familiarizzarsi con le dottrine teologiche dei greci, che cercò di rielaborare, sforzandosi
di creare una terminologia tecnica latina. Avvalendosi della conoscenza di Tertulliano, Novaziano e
soprattutto delle dottrine cristologiche e trinitarie dei padri greci, Ilario prende posizione contro gli ariani e i
sabelliani e presenta un'esposizione organica del dogma trinitario in perfetta sintonia con l'ortodossia
cattolica. Egli afferma l'unità di natura e la distinzione di persone nel Padre e nel Figlio, concepisce tale unità
come compenetrazione totale dell'uno nell'altro, sicché essi si distinguono solo grazie alla relazione
d'origine: il Padre ha realmente generato il Figlio senza perdere nulla della sua natura, e il Figlio ha ricevuto
e contiene in sé tutto del Padre, a lui uguale per operatio, virtus, honor, potestas, gloria, vita.
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Per distanziarsi dagli ariani, che proponevano la passione di Cristo a prova della sua imperfetta divinità, I.
afferma il corpo di Cristo reale ma celeste, capace di sentire la forza della passione ma non il dolore (De
Trin. X, 18, 23).
Minore è l'interesse di Ilario. per lo Spirito Santo, del quale allora si discuteva poco; egli fonda la personalità
dello Spirito sul concetto di dono, che egli considera appellazione propria della Terza persona, ed esclude
che possa essere considerato una creatura, come volevano gli ariani e i pneumatomachi.
Principali Opere
fondamentale per la storia della teologia il De Trinitate (12 libri);
De synodis; Fragmenta historica; Tractatus super Psalmos.
__________________
Lucifero di Cagliari
Cenni biografici
Di origini spagnole o africane. Fu vescovo di Cagliari. Tra i più duri polemisti antiariani.
Come Eusebio di Vercelli, fu esiliato in Oriente dopo il concilio di Milano del 355, fino al 361.
Ad Antiochia partecipò con foga alla lotta tra niceni di stretta osservanza e moderati, quindi tornò in
Sardegna.
Fondò a Vercelli una comunità monastica.
Morì intorno al 371.
Opere
Tre epistole
Quattro trattati?
La figura di Lucifero è emblematica di un rifiuto assoluto dell'arianesimo, privo di dialogo con i più
moderati, ma anche di approfondimento dottrinale; tale atteggiamento animò anche altri autori
minori, detti appunto "luciferani". Tali autori poco conoscono o poco comprendono sia la disputa
orientale tra ariani e antiariani, sia l'evoluzione della teologia greca dopo Origene.
E' questione anche terminologica (ousìa e hypostasis) che dovrà attendere per essere risolta Ilario
di Poitiers.
Tra i Luciferani ricordiamo Faustino (autore di un De Trinitate), Gregorio di Elvira (De fide più altri
scritti esegetici).
Interessante per citazioni versioni bibliche pregeronimiane e lingua volgareggiante.
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Testi e testimonianze
August., de haeres., 81.
LXXXI. LUCIFERIANOS a Lucifero Caralitano episcopo exortos, et celebriter nominatos, nec Epiphanius,
nec Philaster inter haereticos posuit: credo tantummodo schisma, non haeresim eos condidisse, credentes.
Apud quemdam tamen, cujus nomen in eodem ejus opusculo non inveni, in haereticis Luciferianos positos
legi per haec verba: Luciferiani, inquit, cum teneant in omnibus catholicam veritatem, in hunc errorem
stultissimum prolabuntur, ut animam dicant ex transfusione generari; eademque dicunt et de carne et de
carnis esse substantia. Utrum ergo iste propter hoc quod de anima ita sentiunt (si tamen vere ita sentiunt),
eos inter haereticos ponendos esse crediderit, recteque crediderit; an etiam si id non sentirent, sive non
sentiunt, ideo tamen sint haeretici, quia dissensionem suam pertinaci animositate firmarunt, alia quaestio
est, neque hoc loco mihi videtur esse tractanda.
81. I Luciferiani hanno avuto origine da Lucifero, vescovo di Cagliari, e di loro si parla spesso, tuttavia, né
Epifanio, né Filastrio li hanno inclusi tra gli eretici. A mio parere, gli autori citati credettero che codesti
avevano creato solo uno scisma e non un eresia. In un autore, il cui nome non ho trovato scritto nel suo
opuscolo, ho letto inclusi tra gli eretici i Luciferiani, in questi termini: «I Luciferiani, dice questo autore, pur
conservando in tutto la verità cattolica, cadono nel seguente errore, veramente insensato: dicono che
l’anima è generata in conseguenza di un travasamento, e dicono che la stessa è fatta di carne ed è della
stessa sostanza della carne». È, dunque, una questione estranea, e non mi sembra che si debba trattare ora
se il citato autore abbia creduto e sia stato obiettivo nel credere di dover annoverare i Luciferiani tra gli
eretici per il fatto che fanno le affermazioni citate sull'anima - se pur veramente le fanno - oppure, sia che
facciano le affermazioni dette, sia che, di fatto, non le facciano, rimangano tuttavia eretici, proprio perché,
con temerità caparbia, si sono mantenuti saldi nel loro dissenso.
(98) Vescovo di Cagliari, Lucifero fu uno dei piú strenui nemici deII'arianesimo. Quando Atanasio, al concilio di
Alessandria (362), chiese clemenza nel trattamento dei Semiariani, Lucifero considerò questo atto un tradimento della
fede cristiana e abbandonò il concilio per tornarsene in Sardegna. Ambrogio (De excessu Satyri 11, 47: PL 16, 1306B)
dice di lui che «si è separato dalla nostra comunione». Agostino (Ep. 185, 47) che «è caduto nelle tenebre dello scisma
». La dottrina sull'anima dei Luciferiani riportata dallo PSEUDO-GIROLAMO, Indiculus de haeresibus 38 (PL 81, -42).
L'esistenza della setta è attestata in GIROLAMO, Altercatio Luciferiani et Orthodoxi (PL 23, 155-182).
Trad. e note M. Falcioni, Roma, Città Nuova, 2003 [trad. su testo Mauriniano cf. con CCH] BCTV.
Hier., vir.ill., 95
Lucifero, vescovo di Cagliari, fu inviato dal papa Liberio all’imperatore Costanzo, come delegato in difesa
della fede, insieme con i chierici della Chiesa romana Pancrazio e Flavio. Non volendo rinnegare la fede
nicena, sotto il pretesto della condanna di Atanasio, fu relegato in Palestina. Dotato di mirabile fortezza e di
ardente aspirazione al martirio, scrisse un libro Contro l’imperatore Costanzo, e glielo mandò da leggere.
Poco tempo dopo, ritornato a cagliari sotto l’imperatore Giuliano, morì durante il regno di Valentiniano.
Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000.
Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 13
S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE NON CONVENIENDO CUM HAERETICIS, AD
CONSTANTIUM IMPERATOREM LIBER UNUS.
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
104
S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE REGIBUS APOSTATICIS, AD CONSTANTIUM
IMPERATOREM, LIBER UNUS.
S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI PRO SANCTO ATHANASIO AD CONSTANTIUM
IMPERATOREM LIBRI DUO.
LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI AD FLORENTIUM EPISTOLA.
S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI DE NON PARCENDO IN DEUM DELINQUENTIBUS,
AD CONSTANTIUM IMPERATOREM, LIBER UNUS.
S. P. N. LUCIFERI EPISCOPI CALARITANI, MORIENDUM ESSE PRO DEI FILIO, AD
CONSTANTIUM IMPERATOREM, LIBER UNUS.
DE PROFESSIONE FIDEI S. LUCIFERI EP. CALARITANI.
ed. G. Hartel, CSEL 14, 1886
De non conveniendo cum haereticis, De regibus apostaticis, De sancto Athanasio, De non
parcendo in deum delinquentibus, Moriendum esse pro dei filio, Epistulae – ed. W. Hartel 1886,
CSEL Vol. 14
ed. G.F. Dierks, CchLat, 8, 1978.
Lucifero di Cagliari, De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei filio, (tr. e comm. di V.
Ugenti), Lecce, Milella,1980.
Studi
Cerretti G., Lucifero vescovo di Cagliari e il suo 'Moriendum esse pro Dei filio', ?, Nistri-Lischi ,
1940.
ICCU per Autore Lucifero
Convegno internazionale su La figura e l'opera di Lucifero di Cagliari <1. ; 1996>
La figura e l'opera di Lucifero di Cagliari : una rivisitazione : atti del 1. Convegno internazionale : Cagliari, 5-7
dicembre 1996 / a cura di Sonia Laconi , Roma : Institutum Patristicum Augustinianum, 2001 , Studia
ephemeridis Augustinianum ; 75
ICCU per Autore Lucifer <vescovo di Cagliari>
Lucifer <vescovo di Cagliari>, De non conveniendo cum haereticis / Lucifero di Cagliari ; introduzione, testo,
traduzione e commento a cura di Antonio Piras, Roma: Herder, \1992!
Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei filio /
edidit, italice vertit, testimoniis indicibusque auxit Valerius Ugenti, Lecce: in aedibus Milellae Lupiis, 1980,
Studi e testi latini e greci
Titolo uniforme: Moriundum esse pro dei filio.
Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani opera quae supersunt: ad fidem duorum codicum qui adhuc
extant necnon adhibitis editionibus veteribus / edidit G. F. Diercks, Turnholti: Brepols, 1978, Corpus
Christianorum. Series Latina ; 8
Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani Opuscula / recensuit et commentario critico instruxit
Guilelmus Hartel
Edizione: Rist. anast, New York ; London, 1970, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Note Generali: Ripr. facs dell'ed.: Vindobonae, 1886.
Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi calaritani Opera omnia quae exstant curantibus Joanne
Domenico et Jacobo Coletis Sebastiani filiis, Venetiis: excudebant fratres Coleti, 1778
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
105
Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi Calaritani Ad Constantium, Constantini magni f. imp. aug.
opuscula, Parisiis: apud Ioannem Bene-Natum, 1568
Lucifer<vescovo di Cagliari>, Moriundum esse pro dei filio / Luciferi calaritani ; introduzione, testo critico e
commento filologico-letterario a cura di Sonia Laconi, Roma: Herder, 1998
Titolo uniforme: Moriundum esse pro dei filio.
Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaratini De regibus apostaticis et Moriundum esse pro Dei Filio /
edidit, italice vertit, testimoniis indicibusque auxit Valerius Ugenti, Lupiis: in aedibus Millelae, 1980, Studi e
testi latini e greci
Lucifer <vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani opuscula / recensuit et commentario critico instruxit
Guilelmus Hartel, Vindobonae: apud C. Geroldi filium, 1886, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi episcopi Calaritani Ad Constantium, Constantini magni f. imp. aug.
opuscula, Parisiis: apud Michaelem Sonnium, sub scuto Basiliensis, via Iacobaea, 1568
Lucifer<vescovo di Cagliari>, Luciferi Calaritani Opuscula / recensuit et commentario critico instruxit
Guilelmus Hartel
Edizione: Rist. anast, New York: Johnson Reprint Corporation, 1970, Corpus scriptorum ecclesiasticorum
latinorum; 14
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: apud C. Geroldi filium Bibliopolam Academiae, 1886
Damasus <papa ; 1.>, 13: Sanctorum Damasi papae et Paciani necnon Luciferi episcopi Calaritani opera
omnia: juxta memoratissimas Merendae, Gallandi, et fratrum Coleti editione recensita et emendata:
intermiscentur Felicis papae 2., Faustini et Marcellini, Theodosii Magni, Pacati, Variorum, Filocali, Sylvii, s.
Virgilii tridentini, Julii Hilariani, s. Siricii papae, universa quae exstant opuscula ...
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnhout: Brepols, 1987, Patrologiae cursus completus sive
bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum ; 13
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Paris, 1845
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Hilarius: Pictaviensis <santo>, 29: S. Hilarius 4. Lucifer de Gagliari, Parisiis: apud Mequignon-Havard
editorem, via Vulgo dicta des Saints-Peres ; Bruxelles: apud Eumdem ; Parisiis: Ant. Poilleux, bibliopolam,
via Vulgo dicta Cimetiere-S.-Andre-des-Arcs, 1830 (Trecis et typis Cardon, via Vulgo dicta Moyenne, n. 2)
Bettini, 3, 887.88; Conte 539: Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 355-58.
Gregorio di Elvira
Cenni biografici
Elvira, sede episcopale occupata da Gregorio intorno alla metà del IV secolo, è l'attuale Illiberis
(Granada).
Fu un grande difensore del concilio di Nicea, ma diventò poi sostenitore di Lucifero di Cagliari.
Ancora vivo nel 392, secondo la testimonianza di Girolamo, probabilmente visse fino ai primi anni
del V secolo.
Opere
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De fide.
Difesa del consustanziale. Composta intorno al 360-61.
Pubblicata due volte in forma diversa, la prima anonima, la seconda rivista e corretta in senso
dogmatico, con il nome dell'autore.
Girolamo la definisce opera “elegante”, a differenza delle altre composte dall’autore.
Omelie
Conservate cinque sul Cantico delle creature. "La più antica esegesi del Cantico in lingua latina"
(Moreschini-Norelli)
Circa una ventina di esse sono state restituite a Gregorio.
Testi e testimonianze
Hier., vir. ill., 105
Testo latino
Gregorio, originario della Spagna Betica, vescovo di Elvira, compose, con stile “medio”, diversi trattati, fino
alla più tarda vecchiaia; inoltre, un libro elegante Sulla fede. Si dice che sia ancora in vita.
Bibliografia
Edizioni
edd. V. Bulhart, J. Fraipont, CchrLat 69, 1967.
edd. P. Battifol, A. Wilmart, G. Heine, PLSupplementum 1
De fide
ed. M. Simonetti, Torino, SEI, 1975.
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 79-83
(M. Simonetti).
ICCU per Autore Gregorius Illiberitanus - Gregorius <vescovo di Elvira ; santo>
Obras completas / Gregorio de Elvira ; primera version castellana, edicion y notas por Ursicino Dominguez
Del Val , Madrid : Fundacion universitaria espanola, 1989
La fede / Gregorio di Elvira ; introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di
Manlio Simonetti , Torino : Societa Editrice Internazionale, 1975 , Corona Patrum
ICCU per Autore Gregorio di Elvira
Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / Gregorius Iliberritanus ; edidit Vincentius Bulhart. Faustini
opera / edidit M. Simonetti
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Descrizione fisica: Turnhout : Brepols, 1972. , Corpus Christianorum. Series Latina
I Tractatus de libris sacrarum scripturarum : fonti e sopravvivenza medievale / Costantino Vona , Roma :
Libreria editrice del la Pontificia Universita Lateranense, 1970 , Scrinium patristicum lateranense
Tratados sobre los libros de las Santas Escrituras / Gregorio de Elvira ; introduccion, traduccion y notas de
Joaquin Pasqual Torro , Madrid : Ciudad Nueva, 1997 , Fuentes Patristicas ; 9
Note Generali: Testo orig. a fronte
Schulz-Flugel, Eva , Gregorius Eliberritanus, Epithalamium sive explanatio in Canticis Canticorum / Eva
Schulz-Flugel , Freiburg : Herder, 1994 , Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel
Note Generali: Con testo latino.
Faustinus : Presbyter , Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue de fide liber, ante hac
nunquam editus , Coloniae : apud Maternum Cholinum, 1577
Note Generali: A cura di Achilles Estaco, il cui nome appare nella pref
Epithalamium sive Explanatio in Canticis canticorum / Gregorius Eliberritanus ; [a cura di] Eva Schulz-Flugel,
Freiburg : Herder, 1994 , Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel ; 26
Faustinus : Presbyter , Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue De fide liber ante hac
numquam editus , Romae : in aedib. Populi Romani, 1575 (Romae : in aedib. Populi Romani, 1575)
Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / edidit Vincentius Bulhart . [Segue] Faustini opera / edidit M.
Simonetti , Turnholti : Brepols, 1967 , Corpus Christianorum. Series Latina
La fe / Gregorio de Elvira ; introduccion, traduccion y notas de Joaquin Pascual Torro ; texto latino y aparato
critico de Manlio Simonetti , Madrid : Ciudad Nueva, 1998 , Fuentes Patristicas ; 11
Note Generali: Testo orig. a fronte
La fede / [Di] Gregorio di Elvira ; Introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di
Manlio Simonetti , Torino : Societa' editrice internazionale, 1975 , Corona Patrum, 3
Comentario al Cantar de los Cantares y otros tratados exegeticos / Gregorio de Elvira ; introduccion,
traduccion y notas de Joaquin Pascual Torro , Madrid [etc.] : Ciudad Nueva, 2000 , Fuentes Patristicas ; 13
Note Generali: Testo orig. a fronte
I Tractatus de libris sacrarum scripturarum: fonti e sopravvivenza medievale / Costantino Vona, Roma:
Libreria editrice del la Pontificia Universita Lateranense, 1970, Scrinium patristicum lateranense
Faustinus: Presbyter, Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue de fide liber, ante hac
nunquam editus, Coloniae: apud Maternum Cholinum, 1577
Per l'A., Faustinus presbyter, cfr. Corpus Christianorum Series latina. Turnholti, 1954, LXIX, p. 292
Segn.: A-G8H4
Estaco, Aquiles <1524-1581>
[Editore] Cholinus, Maternus
Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / edidit Vincentius Bulhart . [Segue] Faustini opera / edidit M.
Simonetti, Turnholti: Brepols, 1967, Corpus Christianorum. Series Latina
Nomi: Gregorius <vescovo di Elvira ; santo>
Bulhart, Vinzenz
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Faustini opera / edidit M. Simonetti.
Epithalamium sive Explanatio in Canticis canticorum / Gregorius Eliberritanus ; [a cura di] Eva Schulz-Flugel,
Freiburg: Herder, 1994, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel
Gregorii Iliberritani episcopi quae supersunt / Gregorius Iliberritanus ; edidit Vincentius Bulhart. Faustini
opera / edidit M. Simonetti
Descrizione fisica: Turnhout: Brepols, 1972., Corpus Christianorum. Series Latina
Schulz-Flugel, Eva, Gregorius Eliberritanus, Epithalamium sive explanatio in Canticis Canticorum / Eva
Schulz-Flugel, Freiburg: Herder, 1994, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel
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Note Generali: Con testo latino.
Gregorii Baetici Heliberitanae sedis antistitis De trinitate, siue De fide liber ante hac numquam editus,
Romae: in aedib. Populi Romani, 1575 (Romae: in aedib. Populi Romani, 1575)
Descrizione fisica: [8], 79, [1] p. ; 4o.
Estaco, Aquiles <1524-1581>
[Editore] Stamperia del Popolo Romano
Moreschini-Norelli, 2/1, pp. 352-54
Febadio di Agen
Cenni biografici
Visse fino alla fine del IV secolo. Fu tra i principali oppositori della formula ariana di Rimini nel 359.
Opere
Contra Arianos Liber. Composto intorno al 357-58.
Consiste nella quasi totalità in citazioni del Contro Prassea di Tertulliano.
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill., 108
Testo latino
Febadio, vescovo di Agen, in Gallia, pubblicò un libro Contro gli Ariani. Si dice che di lui esistano pure altri
scritti, ma io non li ho letti. Febadio è ancora in vita, giunto ormai al limite estremo della sua vecchiaia.
Bibliografia
Edizioni
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 77-78
(M. Simonetti).
M. Simonetti, s.v. Febadio, in DPAC, 1, col. 1338.
Moreschini-Norelli, 2/1, p. 352 (breve).
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FEBADIO. Vescovo di Agen (Gallia), ebbe parte di rilievo in senso antiariano nel concilio di Rimini del 359,
fu l'ultimo a piegarsi alla sottoscrizione della formula fíloariana e gli fu permesso aggiungervi alcuni
chiarimenti. Girolamo ( Vir, ill. 108) lo dice molto vecchio nel 392. Lo dice altresì autore di alcuni opuscula
ma nomina solo il Contra arianos, l'unico giunto a noi. E un breve scritto a confutazione della formula
sirmíese (filoariana) del 357 e composto subito dopo questa data. F. vi sfrutta, per mancanza di letteratura
adeguata, 1'Adver.sus Praxean di Tertulliano, adattandone gli argomenti antimonarchiani alle esigenze della
polemica antiariana. Pur non nominando mai il termine homoousios, caratteristico della teologia nicena, F.
difende questa impostazione teologica e considera la formula del 357 filoariana ma presentata come formula
di compromesso, quale affermazione pura e semplice di arianesimo.
CPL, 473; PL, 20,11-30; Patrologia III, 77-78; A. Durengues, Le livre de S. Fébade corrtre les Ariens, Agen
1927.
M. Simonetti, DPAC
ICCU
Titolo: 20: Quinti saeculi scriptorum ecclesiasticorum qui ad s. Hieronymum usque floruerunt ... opera omnia,
nunc primum in unum corpus et ordine chronologico digesta ... recognita, expressa et emendata: collectio, si
qua alia, insignis nec mi
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig , Turnholti: Brepols, [19..]
Note Generali: Ripr. facs.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Nomi: Phoebadius <santo; Vescovo Di Agen>
Foebadi Aginnensis Liber contra Arrianos / cura et studio R. Demeulenaere . [seguono con proprio front.]
Victricii Rotomagensis De laude sanctorum / cura et studio I. Mulders et R. Demeulenaere . Leporii Libellus
emendationis / cura et studio R. Demeulenaere . Vincentii Lerinensis Commonitorium excerpta / cura et
studio R. Demeulenaere . Evagrii Altercatio legis inter Simonem Iudaeum et Theophilum christianum / cura
et studio R. Demeulemaere , Turnholti: Brepols, 1985 , Corpus Christianorum. Series Latina
[Pubblicato con] Victricii Rotomagensis De laude sanctorum / cura et studio I. Mulders et R. Demeulenaere
[Pubblicato con] Leporii Libellus emendationis / cura et studio R. Demeulenaere
[Pubblicato con] Vincentii Lerinensis Commonitorium; Excerpta / cura et studio R. Demeulenaere.
[Pubblicato con] Evagrii Altercatio legis inter Simonem Iudaeum et Theophilum Christianum / cura et studio
R. Demeulenaere.
[Pubblicato con] Ruricii Lemovicensis Epistularum libri duo; accedunt: 1. Epistulae ad Ruricium scriptae, 2.
Epistulae Fausti ad Ruricium / cura et studio R. Demeulenaere.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Potamio di Lisbona
Cenni biografici
??
Opere
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
110
Testi e testimonianze
Bibliografia
Edizioni
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 75-77
(M. Simonetti).
Eusebio di Vercelli
Cenni biografici
Originario della Sardegna, fu vescovo di Vercelli dal 345 alla morte, avvenuta 371.
Fu in esilio per le sue posizioni antiariane e in particolare per non aver sottoscritto il simbolo ariano
nel sinodo di Milano del 355. Fu liberato da Giuliano l'Apostata nel 361.
Si impegnò negli anni successivi a ristabilire in Italia la dottrina nicena.
Opere
Traduzione, perduta, del Commentario ai Salmi di Eusebio di Cesarea.
Epistolario
Comprende tre lettere, in particolare una a Costanzo sul sinodo di Milano e una ai fedeli di Vercelli.
Avrebbe tradotto in latino il Commento ai Salmi di Origene e quello di Eusebio di Cesarea.
(entrambe perdute)
Gli si attribuisce il De trinitate pseudoatanasiano.
Testi e testimonianze
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
111
Bibliografia
Edizioni
ed. V. Bulhart, CchLat 9, 1957.
Studi
Dal Covolo E., Uglione R., Vian G., Eusebio di Vercelli e il suo tempo, Roma, LAS, 1997
L. Dattrino, s.v. Eusebio di Vercelli, in DPAC, 1, col. 1300.
EUSEBIO di Vercelli. Nato in Sardegna, venne per tempo a Roma (Ambr., Ep. 63), dove ebbe compagno il
futuro papa Liberio e conobbe con probabilità Atanasio (339-342). Vi rimase fino alla sua elezione a vescovo
di Vercelli (345). Quando Costanzo II cercò di strappare la condanna di Atanasio ai vescovi convenuti a
Milano per il concilio (355), egli si oppose. Esule, raggiunse Scitopoli (Palestina) (355-360), soggetto al
vescovo filoariano Patrofilo. Trasferito in Cappadocia, fu infine condotto nella Tebaide. La morte di Costanzo
gli ottenne la libertà, e così partecipò al concilio di Alessandria (362). Si recò poi ad Antiochia per sedare lo
scisma nato fra gli ortodossi: non sortì alcun effetto per l'intransigenza di Lucifero di Cagliari. Di ritorno in
Italia continuò la sua attività antiariana con Ilario di Poitiers (Y.-M. Duval, Vrais et faux problèmes concernant
le retour d'exil d'Hilaire.... Athenaeum 48 [19701267-275). Morì in una data da collocare fra il 370/71. Della
sua attività letteraria Girolamo cita una traduzione del Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea (Vir. ill. 96).
A Vercelli viene conservato il Codex Vercellensis dei vangeli: tr. lat. pregeronimiana, forse di E. Non accolta
dalla critica recente l'autenticità del De Trinitate ps. atanasiano. Delle Lettere sono ritenute autentiche Ad
Constantium Augustum (PL 12, 947; CCL 9, 103) e Ad presbyteros et plebem Italiae (PL 12, 947954; CCL 9,
104-109).
PL 12, 959-968; 62, 237-286; C:C:L 9, 1-205, 451-479; E. Crovella, S. Eusebio di Vercelli, Vercelli 1960; et
al.
L. Dattrino
ICCU
Bosco, Teresio, Eusebio di Vercelli : nel suo tempo pagano e cristiano / Teresio Bosco, Leumann, [Rivoli]
In appendice: La Vita antica di sant'Eusebio.
Crovella, Ercole, S. Eusebio di Vercelli: saggio di biografia critica / Ercole Crovella, Vercelli: Soc. Ed.
Tipografica Eusebiana, 1961
Eusebio di Vercelli e il suo tempo / a cura di Enrico dal Covolo, Renato Uglione, Giovanni Maria Vian, Roma:
LAS, c1997, Collezione: Biblioteca di scienze religiose
Autore: Scaltriti, Emanuele M.
Titolo: Oropa e S. Eusebio : breve aggiornamento / P. Emanuele M. Scaltriti , Oropa : Delta Grafica, stampa
1998
ICCU per Titolo
Meloni, Pietro, Eusebio di Vercelli Natione sardus vescovo, confessore, monaco / Pietro Meloni, Sassari:
Gallizzi, stampa 1998
Meloni, Pietro, Lucifero di Cagliari ed Eusebio di Vercelli nel giudizio di Sant'Ambrogio / Pietro Meloni,
Cagliari: Edizioni della Torre, 1998
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112
Note Generali: Estr. da: Studi in onore di Ottorino Pietro Alberti / a cura di F. Atzeni, T. Cabizzosu, Cagliari
1998
Zangara, Vincenza, Eusebio di Vercelli e Massimo di Torino: tra storia e agiografia / Vincenza Zangara,
Roma: Las, 1997
Note Generali: Estratto da Eusebio di Vercelli e il suo tempo a cura di Enrico da Covolo, Renato Uglione,
Giovanni Maria Vian
Bosco, Teresio, Eusebio di Vercelli: nel suo tempo pagano e cristiano / Teresio Bosco, Leumann, [Rivoli]
Note Generali: In appendice: La Vita antica di sant'Eusebio.
S. Eusebio di Vercelli: documenti e osservazioni storico-teologiche / a cura di Mario Capellino, Vercelli: [s.n.],
1996 (Vercelli: Litocopyvercelli)
Eusebio di Vercelli e il suo tempo / a cura di Enrico dal Covolo, Renato Uglione, Giovanni Maria Vian, Roma:
LAS, c1997, Biblioteca di scienze religiose
Studi, testi, commenti patristici
Tuninetti, Giuseppe, Santi e beati piemontesi: da s. Eusebio di Vercelli a padre Girotti / Giuseppe Tuninetti,
Torino: Il punto: Piemonte in bancarella, stampa 1998, Biblioteca economica
Trompetto, Mario, San Eusebio di Vercelli fondatore del santuario di Oropa, Biella: Tip. Unione biellese,
1961
Simonetti, Manlio, Qualche osservazione sul De trinitate attribuito a Eusebio di Vercelli / [Manlio Simonetti!,
Roma: Ed. dell'Ateneo, 1963
Estr. da: Rivista di cultura classica e medioevale, anno V, 1963, n. 3
Ravizza, Santino, S. Eusebio di Vercelli: culto e antichi luoghi eusebiana nella diocesi di Brescia / Santino
Ravizza, Vercelli: tip. la Sesia, 1974
Note Generali: Estratti dal "Bollettino storico vercellese", n.1 anno 1972, e n.2 anno 1973
Ricaldone, Giuseppe Aldo: di, L' eta della statua di Santa Maria di Crea in relazione alla vita di Sant'Eusebio
Vescovo di Vercelli / Aldo di Ricaldone, [S.l.: s.n.], 1976
Note Generali: Estratto dal Bollettino storico vercellese, a. 5., n. 1, 1976.
Bolgiani, Franco, 2: Anno accademico 1988-1989: Eusebio di Vercelli e le piu antiche cristianita nell'antico
Piemonte / F. Bolgiani, G. Wataghin Cantino, [S.l.: s.n.], 1989
Note Generali: Pro manuscripto.
Fa parte di: La cristianizzazione dell'Italia nord-occidentale / F. Bolgiani, G. Wataghin Cantino
Mella, Camillo, S. Eusebio il grande, Vescovo di Vercelli e Martire, apostolo del Piemonte: Vita composta nel
XV centenario del santo, riveduta e ridotta per cura del capitolo metropolitano, Vercelli: Unione Tip.
Vercellese, 1923
Francesia, Giovanni Battista, Vita di s. Eusebio vescovo di Vercelli / narrata al popolo dal sac. G.B.
Francesia, S. Benigno canavese: Libreria salesiana, 1898, Vite di santi
Le Nain de Tillemont, Louis Sebastien <1637-1698>, Santo Eusebio di Vercelli: commentario storico / di
Sebastiano De Tillemont; tradotto ed annotato [da] Giovanni Maria China, Vercelli: Stabilimento tipogr. e
litogr. Guidetti e Perotti, 1874
Nay, Carlo Maria, S. Eusebio Vescovo di Vercelli e Martire: Orazione panegirica recitata nella metropolitana
di Vercelli add 15 Dicembre 1888, Mortara: Stab. Tip. A. Cortellezzi, 1889
Conte 539 brev.; Riposati 734-35. Moreschini- Norelli, 2/1, pp. 354-55.
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113
Arnobio il Giovane
Studia eventuale nuova collocazione. Posto qui come semipelagiano.
Cenni biografici
I tratti biografici sono ricostruibili solo dagli scritti rimastici.
Opere
Conflictus cum Serapione.
Expostiununculae
Liber ad Gregoriam
Commentarii in Psalmos
Praedestinatus
Testi e testimonianze
Bibliografia
Edizioni
o.o.
ed. Klaus-D. Daur, Turnholti: Brepols, 1990-92, Corpus Christianorum. Series Latina; 25 e 25A.
Praedestinatus
Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur, ed. F. Gori, Urbino: QuattroVenti, 1999
Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur ed. F. Gori, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus
Christianorum. Series Latina
Disputa tra Arnobio e Serapione; ed. critica, intr., trad. note e indici a cura di Franco Gori , Torino:
Societa editrice internazionale, 1993 , Corona Patrum; 14
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 537-39
(B. Studer).
F. Gori, Il Praedestinatus di Arnobio il Giovane: l'eresiologia contro l'agostinismo, Roma: Institutum
patristicum Augustinianum, 1999 , Studia ephemeridis Augustinianum; 65
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114
B. Studer, s.v. Arnobio il G., in DPAC, 1, col. 379-80
ARNOBIO il Giovane. Su A., detto il Giovane per distinguerlo da Arnobio di Sicca, non ci sono giunte notizie
dall'antichità. Lo si conosce grazie agli elementi che ci sono forniti dalle opere attribuitegli dalla tradizione
manoscritta. Secondo il Conflictus cum Serapione, opera probabilmente autentica che per la maggior parte
rende conto di un dibattito tenutosi verso il 450 fra un monofisita egiziano e lo stesso A., questo fu monaco,
di origine forse africana, che viveva a Roma già da un certo tempo. Oltre il verbale della discussione
sull'accordo delle tradizioni cristologiche romane con quelle alessandrine ed una riflessione dell'autore
stesso, il Conflictus contiene una documentazione patristica in favore delle sue posizioni. Benché Diepen
abbia studiato sia le fonti patristiche, sia il problema base dello scritto, questo meriterebbe una ricerca più
approfondita che però richiederebbe un'edizione critica, poiché quella curata da Feuardent e ristampata nella
Patrologia di Migne è di scarsa utilità. Morin vorrebbe attribuire allo stesso A. altri quattro scritti: le
Expositiunculae in Evangelium, una serie di .Scholia sui vangeli di Mt, Lc e Jo; il Liber ad Gregorianz, una
consolatio ad una nobile dama romana che viveva una difficile situazione matrimoniale; i Commentari in
Psalmos, una interpretazione spirituale dei salmi, di grande interesse per la storia della liturgia romana; il
cosiddetto Praedestinatus, uno scritto, composto certamente dopo la morte di Agostino, in cui si combatte la
dottrina sulla grazia e sulla predestinazione, che però oggi si vorrebbe attribuire piuttosto a Giuliano di
Eclano o a uno dei suoi fautori (cfr. CPL 243). Non è da escludere invece che Arnobio abbia redatto qualche
leggenda agiografica, soprattutto gli Atti di Silvestro.
CPL 239-243; PL 53,239-672, da completare con PLS III. 213-256 et al.
B. Studer
ICCU per Soggetto
Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
Titolo: Arnobius iunior: Opera omnia / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi ,
Turnhout: Brepols, 1992 , Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae
Note Generali: Spoglio lessicale.
Legami a titoli: [Continuazione di] Arnobii iunioris Opera omnia
Soggetti: Arnobio: il Giovane - Opere - Indici
Corpus christianorum - Indici
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Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
Titolo: Arnobius Iunior: Praedestinatus / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii novi ,
Turnhout: Brepols, 2001 , Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 126
Note Generali: Spoglio lessicale
Titolo uniforme: Praedestinatus.
Legami a titoli: [Continuazione di] 3:Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur
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Autore: Gori, Franco<1942- >
Titolo: Il Praedestinatus di Arnobio il Giovane: l'eresiologia contro l'agostinismo / Franco Gori , Roma:
Institutum patristicum Augustinianum, 1999 , Studia ephemeridis Augustinianum; 65
Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione note e
indici a cura di Franco Gori , Torino: Societa editrice internazionale, 1993 , Corona Patrum; 14
Altri titoli collegati: [Titolo originale] Conflictus Arnobii et Serapionis
Soggetti: Arnobio: il Giovane - "Conflictus Arnobii et Serapionis"
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Arnobius Iunior: Praedestinatus / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii novi,
Turnhout: Brepols, 2001, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 126
Note Generali: Spoglio lessicale
Titolo uniforme: Praedestinatus.
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Arnobii Ivnioris Praedestinatus qui dicitur / quem edidit Francus Gori, Urbino: QuattroVenti, 1999
3: Arnobii Iunioris Praedestinatus qui dicitur / cura et studio F. Gori, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus
Christianorum. Series Latina
Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia
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Arnobius: Iunior
Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione, note e
indici a cura di Franco Gori, Torino: Societa editrice internazionale, [1992], Corona Patrum
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Altri titoli collegati: [Titolo parallelo] Arnobii iunioris conflictus Arnobii et Serapionis.
1: Arnobii Iunioris Commentarii in Psalmos / cura et studio Klaus D. Daur, Turnholti: Typographi Brepols
editores pontificii, 1990, Corpus Christianorum. Series Latina; 25
Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia
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2: Arnobii iunioris Opera minora / cura et studio Klaus-D. Daur, Turnholti: Brepols, 1992, Corpus
Christianorum. Series Latina; 25A
Fa parte di: Arnobii iunioris Opera omnia
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Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
Arnobius iunior: Opera omnia / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi, Turnhout:
Brepols, 1992, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae
Note Generali: Spoglio lessicale.
Legami a titoli: [Continuazione di] Arnobii iunioris Opera omnia
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Disputa tra Arnobio e Serapione / Arnobio il Giovane; edizione critica con introduzione, traduzione note e
indici a cura di Franco Gori, Torino: Societa editrice internazionale, 1993, Corona Patrum; 14
Altri titoli collegati: [Titolo originale] Conflictus Arnobii et Serapionis
Soggetti: Arnobio: il Giovane - "Conflictus Arnobii et Serapionis"
Opera omnia / Arnobius iunior; curante Cetedoc, Universitas Catholica Lovaniensis Lovanii novi, Turnhout:
Brepols, 1992, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser. A, Formae
Nomi: Arnobius: Iunior
Universite catholique <Louvain-la-Neuve> :Centre de traitement electronique desdocuments
Salvianus: Massiliensis
53: Salviani Massiliensis Presbyteri, S. Patricii Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani
opera omnia ... intermiscentur auctoris anonymi De Haeresi praedestinatiana libri tres ...
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Brepols, 1980, Patrologiae cursus completus sive
bibliothecauniversalis, ... omnium ss. patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 53
Note Generali: In testa al front.: Traditio catholica saeculum 5. annus 460
Ripr. facs
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
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Salvianus: Massiliensis
53: Salviani Massiliensis Presbyteri, s. Patricii Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani
opera omnia \...! intermiscentur auctoris anonymi De Haeresi praedestinatiana libri tres \...!
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: T. Brepols e.p., \1967!
Note Generali: In testa al front.: Traditio catholica saeculum 5. annus 460
Ripr. facs
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Salvianus: Massiliensis
53: Salviani massiliensis presbyteri, s. Patricii, Hibernorum apostoli, Arnobii Junioris, Mamerti Claudiani
opera omnia (...): intermiscentur auctoris anonymi De haeresi praedestinatiana libri tres, quibus accedit,
appendicis vice, Jacobi Sirmondi Historia praedestinatiana: tomus unicus / accurante et denuo
recognoscente J.-P. Migne, Lutetiae Parisiorum: Migne, 1865
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Bettini, 3, 895, niente Conte, niente Riposati.
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Firmico Materno
Cenni biografici
Di origini siciliane e rango senatorio. Professione retore e avvocato. La conversione è collocabile
tra il 337 e il 346.
I Matheseos libri VIII sono scritti tra il 330 e il 350, ma qualcuno restringe all'epoca precedente la
conversione.
Alcuni (von Albrecht) propongono una datazione 334-37 per i Matheseos libri e 346-49 per il De
errore profanarum religionum.
Opere
Matheseos libri VIII, un manuale di astrologia, "l'unico latino in prosa". (Bettini). Dedicato al
proconsole d’Africa Lolliano Mavorzio.
Tra le fonti Arato (nelle traduzioni di Cicerone e Germanico) e Manilio, ma anche molti greci.
"L'astrologia è presentata quasi come una religione misterica" (Bettini)
De errore profanarum religionum, collocabile intorno al 346. Di attribuzione dubbia e mutilo
all'inizio. Dedicato agli imperatori Costante e Costanzo.
Emblematico di un clima fortemente antipagano con episodi sempre più frequenti di intolleranza e
di eliminazione di ogni resistenza.
Testi e testimonianze
Firm., de errore, 16,3-6 . Basta con il paganesimo (CD LL d'Anna)
Testo latino
Traduzione
Firm., de errore, 28,6-29,4. Gli imperatori si liberino dei culti pagani.
Testo latino
28. [6] Spogliate spogliate tranquillamente, o sacratissimi imperat ori, i templi dei loro ornamenti. Il
fuoco della zecca o la fiamma dei crogiuoli strugga questi dèi; e voi, trasportate tutti i doni votivi
in vostro dominio ed utilità. Dopo la distruzione dei templi Dio ha accresciuto la vostra possanza.
Avete vinto i nemici, allargato l'impero e, perché una gloria maggiore si unisse ai vostri meriti,
avete superato le onde tumultuose e fiere dell'Oceano durante l'inverno, sovvertendo e
disprezzando, cosa che mai si fece né si farà, la necessità stessa delle stagioni.
Sotto i vostri remi tremò l'onda del mare sinora a noi quasi sconosciuto e il Britanno ebbe
spavento dell'improvvisa apparizione dell'imperatore. Che volete di più? Gli elementi cedettero al
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vostro valore. [7] Le massime della sacrosanta legge che troviamo ne ll'Esodo, ci dicono che Dio
proibisce di fabbricare idoli: Non vi farete dèi né d'argento né d'oro. E in un altro passo dello
stesso libro la voce di Dio comanda: Non ti farai alcun idolo né l'immagine di chi che sia.
Lo Spirito santo che desidera salvare, non perdere gli erranti, vuole ispirare agli infelici una
salutare vergogna e dice per mezzo di Isaia: Sarete coperti di confusione voi che confidate in
cose scolpite e dite alle statue fuse: voi siete gli dèi nostri. E dà anche la legge che il suo popolo
deve custodire con devota pertinacia: Adorerai il signore Dio tuo e servirai a lui .solo. E
similmente nel Deuteronomio: Non avrai altri dèi fuori di me, ed aggiunge per dare loro una idea
della sua maestà: Vedete chi sono io e che non c'è altro Dio fuori di me. Io ucciderò e richiamerò in
vita, percuoterò e risanerò e non c'è chi possa sfuggire dalle mie mani.
[8] L'Apocalisse ripete la santa rivelazione: Vidi un altro angelo volare attraverso il cielo portando il
vangelo eterno per annunziarlo al mondo, a tutte le nazioni, tribù, lingue e popoli e dire ad alta voce:
Temete il signore e rendetegli gloria poiché viene l'ora del suo giudizio, e adorate colui che ha fatto il
cielo e la terra, il mare e tutte le cose che vi si trovano. Anche Gesù Crísto nostro signore, seguendo
l'intenzione del padre, promulga la stessa legge santa: Ascolta, o Israele: Il signore Iddio tuo è un Dio
solo; tu l'amerai con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Questo è il primo
comandamento. Il secondo è simile a quello: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due
precetti sta tutta la legge e i profeti.
[9] E per mostrarci più chiaramente la via della salvezza, il Signore conclude i suoi divini e memorandi
comandamenti: Questa è la vita eterna: riconoscere te come solo e vero signore e il Gesù Cristo che hai
mandato. Ed ora sapete le sante leggi; avete imparato dalle venerabili e immortali rivelazioni che cosa
dovete ricercare e che cosa fuggire. Ascoltate adesso quale fine attenda coloro che violano quell e leggi
e quali sciagure abbia loro predetto l'infallibile voce del cielo.
[10] Con queste parole si conclude il precetto del cielo: Chi sacrifica ad altri dèi; fuori che al solo
Signore, sarà ucciso. Se il terribile castigo colpisse soltanto l'uomo che co mpie il sacrilegio, se la severa
legge minacciasse soltanto il peccatore, ben si opporrebbe al sacrilegio con la reazione che appresta
uno zelante furore; ma essa minaccia a tutta la stirpe e ai discendenti affinché non rimanga chi possa
rappresentare l'empia razza né vestigio alcuno della famiglia idolatra. Chi sacrifica agli dèi; egli dice,
sarà sterminato. Guarda a quello che fai, o prevenzione perniciosa e funesta! Il tuo delitto molti ne
condanna, molti ne perde ed attira su tutta l'umanità un grave castigo. E perché infierisca in tal modo
contro i sacrificatori e l'autorità della legge, ce lo dice chiaramente il Deuteronomio, dove troviamo
scritto: Sacrificarono ai demoni, ma non a Dio. Non ricorrere a questi spiriti impuri ed abominevoli,
non sperare soccorso e non supplicare degli esseri che sono a te inferiori, ai quali, per grazia di Dio,
puoi ormai comandare.
[11] Osserva: il dernonio che tu onori trema appena ode il nome del Cristo e Dio suo e sa rispondere
alle nostre domande con parole trepidanti. Egli, invadendo l'uomo, si sente lacerato, bruciato,
bastonato e tosto confessa i delitti commessi. E tu non onorarlo, non supplicarlo, non piegar le
ginocchia dinanzi a lui; te lo comanda la legge santa. Ma se tu scegli piuttosto il giogo della schiavi tù
con quella libertà della quale ti ha dotato il provvido Iddio, incomberà su di te il severo castigo e la
terribile sentenza della divina giustizia. II sommo Iddio non cessa mai di richiamare il male con voce
salutare; anzi, la sua misericordia continuam ente si sforza di rimettere sulla via diritta i peccatori.
Ascolta quello che dice l'ispirato Isaia: Adorarono gli dèi fatti con le loro mani; l'uomo si prostrò
dinanzi ad essi e si umiliò, ed io non li solleverò.
[12] Anche a voi, o idolatri, parla irato Iddio e colpisce con le sue parole le vostre colpe. Così dice per
mezzo dello stesso profeta: A loro avete fatto libazioni e sacrifizi, ed io non mi sdegnerò di queste
empietà? così dice il Signore. Finora il Dio salutare ha sospeso il suo sdegno, mitigata la sua severità
sperando che voi vi pentiate dei vostri peccati ed avviate a più rette azioni la vostra sacrilega volontà.
Nello stesso impeto dell'indignazione egli comprime la sua ira ed ispira a Geremia più miti consigli:
Non camminate dietro gli dèi altrui per servirli, e non adorateli obbligandomi a disperdervi per l'opera
delle vostre mani.
[13] E tu, perché non apri le orecchie; perché avvolto nella colpa, ti affretti con ardore sfrenato alla
perdizione? Dio ti ha fatto libero: sta in te, voler vivere o morire. Perché precipiti negli abissi?
Incamminato per una via sdrucciolevole e sempre sul punto di cadere, sospendi una buona volta il
passo vacillante, poiché la sentenza sta per essere pro nuncíata contro di te e su di te incombe il
castigo. Da molto tempo Iddio perdona con generosità ai tuoi delitti e guarda con indifferenza alle
tue colpe; ma ormai tu sei giunto a un punto tale, da non poter più far voti o concepire una
speranza. Sappi adunque che l'Apocalisse così si esprime sulla punizione immine nte: Se qualcuno
adora la bestia e la sua immagine e ne ha ricevuto il carattere sulla fronte o sulla mano, beve, egli
stesso, del vino dell'ira di Dio versato nel calice dell'ira di Lui e sarà punito con fuoco e zolfo sotto
gli occhi dell'agnello; il fumo dei loro tormenti salirà nei secoli dei secoli, e non avranno riposo né
giorno né notte coloro che adorano la bestia e la sua immagine.
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29. [1] Ma anche voi, o sacratissimi imperatori, dovete di necessità, per comando del sommo Dio,
reprimere e punire l'idolatria e perseguitarne severamente i delitti. Ascoltate con tutta la vostra
attenzione ciò che Iddio comanda a questo proposito. Nel Deuteronomio troviamo la legge
seguente: Se un tuo fratello o un tuo figliolo o la sposa che .stringi fra le tue braccia o un amico che
ami come l'anima tua tenterà di persuaderti e ti dirà in segreto: Andiamo a servire agli dèi stranieri,
non dargli retta, non ascoltarlo, non aver compassione di lui, e non nasconderlo. Lo accuserai
pubblicamente, alzerai tra i primi la mano per ucciderlo, e tutto il popolo seguirà il tuo esempio e lo
lapiderà. E così egli morrà poiché cerco di allontanarti dal tuo Si gnore.
[2] Egli comanda di non perdonare né a figlio né a fratello ed esorta di trapassare con la spada
vendicatrice le membra della cara sposa. Perseguita anche l'amico con sublime severità, eccita il
popolo a straziare i corpi degli empi ed indìce la strage ad intere città qualora le sorprenda nella
superstizione. E perché la Preveggenza vostra non abbia più alcun dubbio su qu esto punto, citerò
la legge precisa di Dio che, nel medesimo libro, commina il castigo ad intere città: Se sentirai dire
da alcuni, in una delle città date a te per abitazione dal Signore, Iddio tuo: Andiamo a servire ad
altri dèi che non conoscete, tu ucciderai tutti coloro che sono in città, ad uno ad uno, incendierai la città, la
quale rimarrà senza abitatori e non sarà più riedificata, affinché il Signore rallenti il suo furioso sdegno. Ma di
te avrà misericordia e compassione, e moltiplicberà la tua discendenza se obbedirai alla sua voce e
osserverai i suoi precetti.
[3] O sacratissimi imperatori, a voi il sommo Iddio promette i premi della sua misericordia e decreta le
maggiori amplificazioni al vostro impero. Perciò fate quello ch'egli comanda, compite ciò ch'egli vi dice.
L'opera vostra cominciata alla luce della fede ha progredito con sempre maggiore incremento sotto il favore
divino. La mano santa di Dio non v'ha giammai abbandonato e non ha mai negato aiuto alle vostre fatiche.
Abbattute furono le schiere degli avversari e le armi dei ribelli caddero sempre dinanzi al vostro cospetto. I
popoli superbi furono sottoposti al giogo, i voti dei Persiani rimasero inascoltati e la crudeltà con tutti i suoi
misfatti non poté resistere a lungo contro di voi. Ambedue avete ricevuto per vie diverse i doni della
protezione di Dio: a voi fu data la celeste corona della vittoria, e noi, in grazia delle vostre fortunate imprese,
ci solleviamo dai nostri dolori.
[4[ O sacratissimi imperatori, il sommo Iddio vi ha concesso questi premi per la vostra fede ed ora, adorni di
queste ricompense, vi invita ad osservare la santa legge. Con mente pura, coscienza devota ed animo
incorrotto la clemenza vostra si rivolga sempre al cielo, aspetti sempre l'aíuto da Dio, implori il venerabile
nome di Cristo e per la salute vostra e del mondo tutto offra spirituali vittime al Dio della salvezza.
Così tutto vi accadrà prosperamente: vittorie, ricchezze, pace, abbondanza, salute e trionfi, e governerete
felicemente il mondo sotto l'onnipossente protezione di Dio.
Trad. G. Faggin, L'errore delle religioni profane, Lanciano, 1932?
~ Oià con Costantino cr:m,minc'iata. in forma hlancia, la reliressione (lei paga ncsimo. che con i suoi figli si cra accentuata. In,rrc di questa
constatazione. 1=irmím Materno invita alla ,cy,pressi unc completa- La vìolcnza r I'ìntc,llcranzn de] w+ atteggiamento non trcmnvann riscontro c confarto
negli scritti del 1' F perciò egli le fonda au affermazioni cic11 :1T (li contenuto annidol.+triw.
Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 12
DE ERRORE PROFANARUM RELIGIONUM.
De errore profanarum religionum
ed. C. Halm 1869, CSEL, Vol. 2
ed. K. Ziegler, Leipzig 1907.
ed. A. Pastorino, Firenze, La Nuova Italia,1956, 19692 (con comm.)
ed. R. Turcan, Parigi 1982
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
120
L’Erreur des religions païennes. ed. R. Turcan. Paris1982.
Matheseos libri
ed. Kroll - Skutsch - Ziegler, Leipzig 1968
ed. E. Skutsch, K. Ziegler, W. Kroll - Vol. I. 1968 (1897).- Vol. II. 1968 (1913).
ed. P. Monat, Paris 1992 segg. T. I : Livres I et II. ed. P. Monat. 1992; T. II : Livres III, IV et V. ed.
P. Monat. 1994; T. III : Livres VI-VIII. ed. P. Monat. 1997.
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 540-42
(B. Studer).
no IntraText, no POESIS
ICCU per Autore
In difesa dell'astrologia: Matheseos libri, 1. / Firmico Materno; a cura di Emanuela Colombi, Milano:
Associazione culturale Mimesis, [1996], Mimesis
M. Minucii Felicis Octavius . Iulii Firmici Materni liber de errore profanarum religionum / recensuit et
commentario critico instruxit Carolus Halm, Vindobonae: apud C. Geroldi filium, 1867, Corpus scriptorum
Ecclesiasticorum Latinorum
[Pubblicato con] M. Minucii Felicis Octavius.
[Pubblicato con] Iulii Firmici Materni liber de errore profanarum religionum.
Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8, Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
Comprende: 1: Libros 4 priores continens / edideruntW.Kroll et F. Skutsch
2: Libros 4 posteriores cum praefatione etindicibus continens / ediderunt W. Kroll etF. Skutsch; in operis
societatem assumpto K.Ziegler
1: Libros 4 priores et quinti proemiumcontinens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch
Nomi: Firmicus Maternus, Iulius
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Matheseos libri 8
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Iuli Firmici Materni De errore profanarum religionum / edidit Konrat Ziegler, Lipsiae: in aedibus B. G.
Teubneri, 1907, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Juli firmici materni de errore profanarum religionum: Introduzione e commento a cura di Agostino Pastorino,
Firenze: Ed. La Nuova Italia, 1956, Tip. L'impronta, Biblioteca di studi superiori. Scrittoricristiani greci e latini
M. Minucii Felicis Octavius; Iulii Firmici Materni Liber de errore profanarum religionum / recensuit et
commentario critico instruxit Carolus Halm, New York; London, 1968, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum
Latinorum
Note Generali: Rist. anast. dell'ed.: Vindobanae, 1867 .
L' errore delle religioni profane / Giulio Firmico Materno; prima versione italiana con introduzione e note di
Giuseppe Faggin, Lanciano: R. Carabba, stampa 1932, Cultura dell'anima
Titolo uniforme: De errore profanarum religionum
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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3: Livres 6.-8. / texte etabli et traduit par P. Monat, Paris: Les belles lettres, 1997, Collection des universites
de France. Ser.latine
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Titolo: The error of the pagan religions / Firmicus Maternus; translated and annotated by Clarence A. Forbes,
New York; Ramsey, c1970, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation
1: Libros 4. priores continens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch
Edizione: Ed. stereo typa editionis anni 1897, Stutgardiae: In aedibus B.G. Teubneri, 1968
Fa parte di: Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8 / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch
2: Libros 4. posteriores cum praefatione et indicibus continens / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch; in operis
societatem assumpto K. Ziegler
Edizione: Ed. stereotypa editionis anni 1913 / addenda addendis subiunxit K. Ziegler, Stutgardiae: In, 1968
Fa parte di: Iulii Firmici Materni Matheseos libri 8 / ediderunt W. Kroll et F. Skutsch
Matheseos Libri 8. / ediderunt W. Kroll e F. Skutsch
Edizione: Rist. anast., Stutgardiae: Teubner, 1968, 2 v.; 16, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
Note Generali: Ed. stereotypa editionis anni 1897.
De errore profanarum religionum / Maternus Firmicius; a cura di Agostino Pastorino
Edizione: 2. ed, Firenze: La Nuova Italia, 1969, Biblioteca di studi superiori
Matheseos Libri 8. / Maternus Julius Firmicus; ediderunt W. Kroll e F. Skutsch, Stoccarda: Teubner, 1968: 2
v.
De errore profanarum religionum / Iuli Firmici Materni; mit Einleitung und kritischem Apparat hrsg. von Konrat
Ziegler, Munchen: Hueber, 1953, Das Wort der Antike
The error of the pagan religions / translated and annotated by Clarence A. Forbes, New York; Paramus,
1970, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation
1: Prieres et conseils de vie / Firmicus Maternus; traduit par A.-J. Festugiere, Paris: La colombe, [1944], Les
textes de La colombe
Fa parte di: Trois devots paiens / traduits par A.-J. Festugiere
ICCU per Soggetto Firmico M. o Firmicus n.d.p
Bettini, 3, 684-86; Conte 539.
"Firmico Materno - Treccani"
Firmico Materno. Retore siciliano e apologeta cristiano del sec. IV. iniziò la sua attività come neoplatonico e
verso il 336 scrisse i Matheseos libri VIII che ci danno notizie sulle conoscenze che in quell'epoca si avevano
dell'astrologia. Convertitosi alla fede cristiana, scrisse fra il 346 e il 348 il De errore profanarum religionum, in
cui dimostrò tutto il suo ardore di neofita reclamando l'estirpazione degli stessi culti pagani, dei quali in un
certo senso era stato banditore. Sotto il profilo dottrinale F. è un superficiale, ma la sua opera presenta
notevole importanza se la si osserva nel suo valore storico e informativo.
nulla Encarta
Von Albrecht
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Prospetto delle opere.
Matheseos libri VIII.
Il primo libro dimostra a mo' d'introduzione la fondatezza dell'astrologia e la sua conciliabilità con la morale,
poiché la natura dell'uomo è divina e può elevarsi al di sopra delle potenze degli astri (1, 6, 1 sg.). I restanti
libri - sette come i pianeti - trattano gli aspetti tecnici dell'astrologia con un'ampiezza senza paralleli nella
letteratura latina.
De errore profanarum religionum.
Il libello esorta gl'imperatori Costanzo e Costante a sradicare con la violenza il paganesimo, a cristianizzare
forzatamente i suoi adepti ed a confiscare le offerte votive (28, 6). La prima parte principale critica
l'adorazione degli elementi ed il culto del sole e della luna, particolarmente la teologia solare, poi la
proiezione sugli dèi di passioni umane, infine 1'artificialità delle divinità pagane. La seconda parte principale
(da 18 in poi; particolarmente istruttiva dal punto di vista della storia religiosa) combatte le formule (symbola)
e le pratiche cultuali delle religioni misteriche come «imitazioni» demoniache dei riti cristiani.
Fonti, modelli, generi.
Il primo libro della Mathesis è rivolto contro i neoaccademici scettici, che avevano avanzato argomenti contro
l'astrologia nel senso di Carneade. In questo contesto viene utilizzato anche Ci cerone (nat. deor. 2, 2-4).
L'idea della divinità della natura umana ricorda Posidonio. Nel quarto libro sono utilizzati allo stesso tempo
Manilio ed una fonte comune perduta. Manilio ed Anubione, poeti il cui sfruttamento da parte di Firmico è
accertato, non vengono mai nominati da lui. Un altro poeta, Doroteo (i sec. d. C.), è fonte principale nel sesto
libro e viene utilizzato anche altrove.
In molti passi Firmico concorda con Manetone, Tolomeo, Vettio Valente. Le sue cognizioni astrologiche sono
ampie, ma la sua penetrazione non è approfondita.
Nel De errore vengono citati Omero e Porfirio; Cicerone (De natura deorum) è nuovamente impiegato, come
anche lo PseudoQuintiliano. Compaiono anche contatti con Clemente Alessan drino. La conoscenza della
Bibbia si fonda su una raccolta di testimonia (Cipriano).
Tecnica letteraria.
Firmico Materno si dimostra in entrambi gli scritti oratore di alto livello. Gli strumenti retorici vengono
impiegati all'eccesso. Caratteristico è il discorso del Sole personificato, che esorta i propri cultori ad adorare
non piú lui, ma solamente il Dio dei cristiani (err. 8, 1-3).
L'appassionato oratore segue invero un piano generale (vd. supra), ma nel dettaglio la sua esposizione è
spesso sconnessa e disordinata. Il continuo tornare dei medesimi strumenti espressivi provoca sazietà. Se si
sommano questi due aspetti, si sarebbe portati a credere ad una composizione affrettata. Ciononostante
l'autore ha accordato pur sempre maggior cura alle parole che al pensiero.
Lingua e stile.
Dal punto di vista linguistico c'è grande corrispondenza fra le due opere. Una parola prediletta in entrambi gli
scritti è per esempio constituere; nell'uno e nell'altro s'impiega la ricercata frase «in mortem stringere
venam» (`indurire le vene provocando la morte').
I sostenitori dell'opinione che già all'epoca della composizione di math. Firmico si trovasse sotto l'ascendente
del cristianesimo richiamano l'attenzione sull'influenza stilistico-linguistica della Bibbia e della liturgia.
Orizzonte concettuale I. Riflessione letteraria.
Il ritegno letterario ostentato da Firmico all'inizio dell'opera astrologica viene sbugiardato dallo svolgimento
successivo: nel quinto libro egli lascia intendere spudoratamente che la sua opera sia la prima su questo
argomento in lingua latina (math. 5 pr. 4). Come autore di err. si sente chiamato a smascherare come opera
del demonio i culti pagani ed a provvedere alla loro eliminazione. La presunzione ha qui il sopravvento sulla
consapevolezza letteraria. È evidente che Firmico non ha riflettuto sul fatto che le parole possono uccidere,
ma - triste gloria - è stato il primo scrittore latino ad elevare a proprio dichiarato scopo letterario la
soppressione violenta di chi ha opinioni diverse.
Orizzonte concettuale II.
L'identità dell'astrologo con l'apologeta fu stabilita solo intorno al passaggio fra i due secoli. La cronologia fa
pensare ad una conversione dopo il completamento dell'opera astrologica. Poiché però già in math. si crede
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di avvertire qua e là risonanze cristiane, parrebbe ovvio che per Firmico cristianesimo ed astrologia non si
escludano a vicenda. Tuttavia lo scritto piú antico non può ancora essere definito cristiano; lascia piuttosto
trasparire una credenza neoplatonica in un unico Dio. Peraltro l'opera apologetica è ancora piú sprovvista di
profondità teologica.
Se si tratta del medesimo autore - e la cronologia e le conclusioni ricavabili dalla lingua non lasciano dubbi in
proposito -, il cristianesimo piú risoluto dell'età piú avanzata non ha portato al nostro autore nessun
accrescimento d'indulgenza e di saggezza.
La caduta rispetto agli alti principi etici e filosofici, quali vengono esposti nel primo libro ed al termine del
secondo della Mathesis, non potrebbe essere piú rovinosa. Un avversario autorevole come Porfirio viene
trattato con riguardo nella prima opera (7, 1, 1), rozzamente ingiuriato nella seconda (err. 13, 4 sg.). Ma c'è
di meglio: l'aperto appello alla soluzione finale violenta della questione pagana è sostenuto con citazioni
dall'Antico Testamento (err. 29, 2 sg.); allo stesso tempo è parola della misericordia di Dio.
Entrambe le opere sono accomunate, oltre che nello stile, nell'adulazione verso i potenti; il primo libro della
Mathesis rende omaggio - nel finale - a Costantino, il De errore ai suoi successo ri. Non è stato Firmico a
provocare i decreti persecutori contro il paganesimo, ma reagisce ad essi con calore, per dimostrare il
proprio allineamento. Da Ammiano conosciamo il caso di un altro astrologo fautore della fuga in avanti.
Il ripugnante libello De errore rende del tutto comprensibile come, poco piú tardi, una nobile indole come
l'imperatore Giuliano, per salvare la civiltà, avrebbe fatto ricorso al provvedimento, disperato e condannato in
partenza a fallire, della restaurazione del paganesimo.
Ciononostante il libro non è privo di valore; Firmico è il solo apologeta latino ad attaccare apertamente i veri
concorrenti del cristianesimo: la teologia solare e le religioni misteriche. Ci per mette in tal modo di gettare
uno sguardo su una piega profonda del contrasto, che per il resto ci rimane perlopiú nascosta. Anche il
quadro da lui tracciato nella Mathesis dei tipi umani del suo tempo e del loro senso della vita non è privo
d'interesse storico-culturale, anche se buona parte di ciò si trovava già nelle sue fonti ellenistiche. Rientra
nello spirito dei tempi anche il fatto che per lui l'astrologia diventa una dottrina segreta, una specie di
religione (2, 30, 2; 4, pr. 3; 5, pr. 4).
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I padri della Chiesa
“Padri della Chiesa” sono scrittori dell’antichità cristiana che si sono distinti per pietà e dottrina e
sono riconosciuti dalla Chiesa come “testimoni” della “tradizione divina”.
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Agostino d'Ippona
Agostino Aurelio (Tagaste 354 - Ippona 430), teologo e filosofo, padre della Chiesa latina, dottore
e santo.
Tertulliano
S. Efrem Siro
(Nisibi 306/307 - Edessa 372), padre, dottore della Chiesa e santo.
È senza dubbio il più importante dei Padri siriaci e il massimo poeta dell'era patristica. A Nisibi fu
battezzato a 18 anni dal vescovo Giacobbe, che alcuni anni dopo gli affidò la direzione della locale
scuola catechetica, e a Nisibi E. visse fino al 363, quando la città cadde in mano ai persiani. Allora
egli si trasferì a Edessa dove diresse la scuola teologica e visse conducendo vita monastica.
Autore di numerosissimi scritti, che conobbero un'enorme fortuna, E. si avvalse di una forma
particolare che gli era specialmente congeniale: la prosa metrica (memre) e la composizione
poetica. La teologia di E., dominata dalla polemica antignostica, è sotto l'influsso della scuola di
Antiochia.
Particolarmente importanti, anche per l'influsso esercitato sulle contemporanee controversie
teologiche, la sua cristologia e la mariologia. E. sostiene la concezione verginale di Maria; quanto
alle due nature in Cristo egli ne afferma la perfetta integrità (misura). Nell'escatologia E. non si
distacca dall'ambiente siriaco, asserendo che l'anima del giusto dopo la morte non entra subito
nella pienezza della beatitudine, ma subisce un periodo di attesa fino alla risurrezione del corpo.
Venerato fin dalla prima metà del secolo V nella Chiesa siriaca e poi in quelle greche, il suo culto
fu riconosciuto anche da Roma ed esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV (enciclica
Principi Apostolorum, 5 ottobre 1920)
Girolamo
S. Girolamo (o Gerolamo) (Stridone [Dalmazia] 347 - Betlemme 420), scrittore ecclesiastico,
padre, dottore della Chiesa, santo.
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S. Ambrogio
Cenni biografici
Ambrogio, padre e dottore della Chiesa, visse tra il 333 (338) circa e il 397.
Era nato a Treviri - il padre era prefetto della Gallia Narbonese - da una famiglia già da tempo
convertita al Cristianesimo appartenente alla gens Aurelia.
Compì i propri studi a Roma, secondo il cursus tipico di un nobile romano, ma ricevendo anche
un'istruzione religiosa.
Diventò funzionario civile di alto rango prima cove avvocato alla prefettura di Sirmio, poi, nel 370
ca., come consularis, cioè governatore, dell'Emilia e della Liguria, con sede a Milano.
Qui, nel 374, veniva a mancare il vescovo Ausenzio e la successione al soglio creava aspre
contese tra ortodossi e ariani; per il suo impegno e le sue qualità dimostrate nel dirimere i contrasti
Ambrogio, pur solo allora catecumeno, venne prima battezzato, quindi eletto per acclamazione
popolare vescovo della cittò.
Si impegnò assiduamente nel suo incarico, da un lato contro l'eresia ariana, dall'altra contro lo
strapotere dello stato, affermando non solo la piena indipendenza della Chiesa, ma anche la sua
supremazia spirituale.
Erano allora imperatori Graziano per l'Occidente e Teodosio per l'Oriente, entrambi ortodossi.
Teodosio, in particolare, aveva sancito con un concilio a Costantinopoli la condanna delle eresie,
ma ciò aveva suscitato non poco malcontento in Occidente; in un concilio tenuto ad Aquileia nel
382 presieduto da Ambrogio le posizioni ortodosse ebbero ulteriore conferma, ma scatenarono
anche l'intolleranza di Graziano contro i pagani: in questo contesto si colloca anche l'opposizione
senatoriale pagana guidata da Q. Aurelio Simmaco dopo che furono eliminati i sussidi statali ai
culti pagani e venne rimossa l'ara della Vittoria nell'aula del Senato.
Alla morte di Graziano la politica imperiale subì in Occidente, con Valentiniano II e Giustiana
un'inversione ariana , contro cui Ambrogio si oppose con fermezza.
Un altro episodio, legato alla sollevazione in Gallia di Massimo, vide Ambrogio sfruttare la
situazione a favore delle posizioni ortodosse. Questo però scatenò la reazione di Teodosio che
sconfisse Massimo e lo fece uccidere nel 388. Nel clima torbido che ne seguì si ebbero molti
episodi di intolleranza dei Cristiani ortodossi contro altre religioni che Teodosio fece punire
duramente.
Celebre l'episodio in cui costrinse Teodosio I a una penitenza pubblica per aver ordinato nel 390
una strage di ribelli a Salonicco.
Un altro sviluppo della situazione si ebbe con una sollevazione filopagana, guidata dall' usurpatore
Egenio, Arbogaste e da Virio Nicomaco Flaviano. Ambrogio fu costretto ad allontanarsi da Milano,
fino a quando Teodosio intervenne e sconfisse gli insorti al fiume Frigido, salvo poi morire egli
stesso, di lì a poco, nel 395.
Fu in stretti rapporti con Monica, madre di Agostino, che da lui venne battezzato.
Opere
Opere esegetiche (e omiletiche)
La maggior parte degli scritti esegetici partono da omelie dello stesso Ambrogio ampliate e
rielaborate, anche se l’accordo tra gli studiosi non è eguale opera per opera. Ad eccezione del
commento al Vangelo di S. Luca, gli argomenti scelti sono tratti dall’A.T.
Prevale la lettura allegorica tipologica e morale.
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Exameron. Sotto questo nome, che fa riferimento ai sei giorni della creazione narrata nella Genesi
(1,1-26), abbiamo nove discorsi omiletici pronunciati realmente nel corso di una settimana santa: i
libri 1,3 e 5 presentano due discorsi e si deve quindi supporre che le omelie siano state due in tre
giorni della settimana. Per la datazione si oscilla tra il 386 e il 390.
Utilizzata l’opera analoga di S. Basilio.
L’opera ebbe una notevole fortuna, come dimostra l’ampia tradizione manoscritta.
De Paradiso. Non c’è accordo nella datazione: qualcuno propone gli inizi del mandato episcopale,
quindi 374-78, altri arriva al 383.
E’ commentato il testo della Genesi relativamente al racconto del paradiso terrestre e del peccato
originale.
De Cain et Abel, in due libri, composto ca. il 375.
Prosegue l’analisi del testo della Genesi (4) fatta nel De Paradiso.
De Noe et Arca. Secondo alcuni composto circa il 378-79, secondo altri nel 383-84. Commento di
Genesi 6.
De Abraham, in due libri, composto ca. 387, ma altri propone gli anni 382-83. Si commentano le
vicende di Abramo, secondo Genesi 12,25 nel primo libro, secondo Genesi 17,21 nel secondo.
De Isaac vel anima, composto per alcuni ca. il 387, per altri il 391 se non oltre. Il doppio titolo
dipende dal contenuto, più attinente a un trattato sull’anima, che non alla reale esegesi del Cantico
dei Cantici 18, interpretato come allegoria dell’unione di Cristo con l’anima.
De bono mortis. Composto ca. 387., ma anche per quest’opera c’è chi propone datazioni più tarde.
L’opera si ricollega al De Isaac: la morte, considerata bene inestimabile, è presentata sotto tre
specie: morte spirituale a seguito del peccato, morte mistica come identificazione cn Cristo, morte
fisica, come separazione di anima e corpo.
De Iacob et vita beata, in due libri. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 388.
L’esposizione della differenza tra felicità vera e felicità illusoria, perché terrena, parte dal racconto
del martirio di Eleazaro e dei sette fratelli in Maccabei, 2. Il riferimento del titolo a Giacobbe non
sembra giustificato dagli scarsi accenni al personaggio.
De Ioseph patriarcha. Le proposte di datazione oscillano tra il 387 e il 390. Il patriarca Giuseppe è
visto come esempio di uomo casto nonché della universalità salvifica di Cristo.
De patriarchis. Prosegue il commento della Genesi raccolto nel De Ioseph, in particolare c. 49.
De fuga saeculi. Composto ca. il 387 per alcuni, dopo il 391 o 394 per altri. Tema principale la
vanità del mondo e la necessità, per il cristiano, di tenersene lontano.
De interpellatione Iob et David. Ha come temi la fragilità della condizione umana e la felicità e il
benessere dei malvagi, sullo spunto del libro di Giobbe e di alcuni salmi davidici. Datazione
oscillante fra 383 e 394.
De apologia prophetae David ad Theodosium Augustum. Le proposte di datazione oscillano tra il
383 e il 387.
Apologia David altera. Considerata da diversi pseudo-ambrosiana.
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De Helia et iunio. Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 390. Forse raccoglie le
osservazioni di tre discorsi omiletici. Temi principali digiuno, ubriachezza e battesimo,
particolarmente forte la polemica contro il tenore di vita dei ricchi.
De Nabuthe. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 395. Si basa sul racconto di Re, 3,21:
Naboth è sopraffatto dal re Achab.
De Tobia, composto 385-390. (secondo Migne 377). Utilizzati solo come spunto i primi capitolo del
libro di Tobia: è in realtà un’invettiva contro la ricchezza, l’avarizia e l’usura.
Enarrationes in XII Psalmos Davidicos. Appartengono agli ultimi anni di Ambrogio.
I salmi commentati sono 1, 35-40, 45, 47, 48 e 61.
Expositio in Psalmum CXVIII. Le proposte di datazione oscillano tra il 386 e il 390.
Costituita da 22 omelie su ciascuna delle strofe del salmo 118, che ha per tema principale l’elogio
della Legge; Ambrogio illustra ai fedeli come raggiungere la perfezione.
Expositio Evangelii secundum Lucam.
Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 389.
Expositio Isaiae prophetae. L’opera è perduta. Frammenti di tradizione indiretta da S.Agostino.
Opere ascetiche e morali
De officiis ministrorum, in 3 libri. Le proposte di datazione oscillano tra il 377 e il 391.
Verosimile l’origine omiletica. Ambrogio si rifà a Cicerone almeno in questi particolari esterni:
contenuto formale dell’opera e sua articolazione in tre libri: 1. l’onesto; 2. L’utile; 3, Opposizione tra
onesto e utile.
La morale stoica è contrapposta a quella cristiana.
De virginibus, in 3 libri, composto nel 377 e indirizzato, sotto forma epistolare, alla sorella Paolina.
E’ considerato il primo trattato organico di spiritualità e teologia sul tema della verginità composto
in latino. Notevole la diffusione, testimoniata da un’ampia tradizione ms.
De virginitate. Composto, a partire da alcuni testi omiletici, intorno 378 per ribadire e difendere le
tesi sostenute nel De virginibus
De institutione virginis. Composto negli anni 391-392. E’ un protettrico alla verginità basatosul
modello di Maria, madre di Gesù.
De viduis. Composto negli anni 377-78. L’esortazione al mantenimento dello stato di vedovanza
non arriva al punto di proibire le seconde nozze.
Exhortatio virginitatis. Le proposte di datazione oscillano tra il 393 e il 395. Rappresenta il testo di
un’omelia tenuta a Firenze in occasione della dedica di una basilica.
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Opere dogmatiche (dottrinali)
De fide ad Gratianum, in 5 libri. Con quest’opera Ambrogio risponde a una specifica richiesta
dell’imperatore Graziano di essere istruito in materia di fede. I primi due libri furono redatti nel 37778, i successivi, composti su nuova richiesta di Graziano, erano già ultimati nel 380. Sei i punti
trattati, senza particolari innovazioni, in senso antiariano: il Figlio non è dissimile dal Padre; non ha
avuto inizio; non è creato; è buono; è vero Dio; non ha una divinità diversa da quella del Padre.
Tra le fonti di A. Ilario, Basilio, Atanasio.
De Spiritu Sancto, in 3 libri. Terminato nel 381, completa l’opera intrapresa con il De fide. In questo
caso viene trattata la divinità dello Spirito Santo e la sua posizione nella Trinità.
Tra le fonti di A. gli stessi autori visti per il De fide.
De incarnatione Dominicae sacramento. Divisa in due sezioni, risalenti entrambe al 382.
Nella prima (1-78), corrispondente a un’omelia pronunciata da A., si esalta la perfezione delle due
nature nella persona del Cristo, confutando in particolare l’eresia apollinarista. Nella seconda (79116), in polemica con le tesi ariane, si risponde alla questione di come genitus ed ingenitus
possano essere di una sola natura e sostanza.
De poenitentia, in due libri. Pensata come opera scritta e composta tra il 380-90 secondo alcuni,
tra il 384 e 394 secondo altri, è un’importante testimonianza per la disciplina penitenziale a Milano
nel IV secolo. Confutate le affermazioni dei novaziani sul potere della Chiesa di rimettere i peccati.
Explanatio Symboli ad initiandos. E’ un’omelia sulla cui autenticità si è a lungo discusso.
De mysteriis. Rielaborazione di omelie precedenti, databile al 390. Viene spiegato ai neofiti il
simbolismo del battesimo e dell’eucarestia.
De sacramentis. Databile al 390, raccoglie sei omelie sull’iniziazione cristiana attraverso battesimo,
confermazione ed eucarestia. Anche per quest’opera, al pari della precedente cui è avvicinabile
per tematiche, si sono avanzate riserve sulla paternità di A..
I dubbi più rilevanti, di ordine strutturale e stilistico, possono essere spiegati pensando a una
redazione stenografica delle omelie.
De sacramento regenerationis sive de philosophia. Ci sono arrivati frammenti solo per tradizione
indiretta da Agostino e Claudiano Mamerto.
Discorsi
??? Controllo per opportunità distinguere in dettaglio, secondo edizioni moderne, trattati da omelie.
De excessu fratris. E’ la redazione scritta particolarmente rielaborata (378) di due orazioni per il
fratello Satiro, pronunciate la prima in occasione del funerale, la seconda dopo una settimana.
Evidente e consapevole il recupero del genere classico della consolatoria.
De obitu Valentiniani. E’ l’orazione funebre di Valentiniano pronunciata nel 392. Si ricordano con
affetto caratteri della persona e del suo governo, nonché alcuni momenti significativi dei rapporti
tra vescovo e imperatore.
De obitu Theodosii. Pronunciata quaranta giorno dopo la morte di Teodosio (395). Viene esaltato
l’imperatore cristiano, ma anche il buon governatore; con ciò un’esaltazione dell’armonia nei
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rapporti tra Stato e Chiesa. Attenzione particolare hanno meritato i capp. 40-50, che rievocano
l’imperatrice Elena e il ritrovamento della Croce.
Sermo contra Auxentium de Basilicis tradendis. Fu pronunciato ai fedeli la Domenica delle Palme
del 386 e vi espongono i motivi del rifiuto di concedere agli Ariani, come richiesto da Valentiniano
II, una basilica per la celebrazione dei riti pasquali.
E’ una importante testimonianza per la nascita
Epistole
L'Epistolario, pur incompleto, raccoglie circa novanta lettere (non autentica viene considerata la n.
23), composte tra il 379 e il 396. Esse risultano fondamentali testimonianze per la vita dell’autore e
per la storia politica e religiosa del suo tempo. Rilevanti, in particolare per i rapporti tra Stato e
Chiesa, la n. 1 a Graziano, la n. 21 a Valentiniano II, la n. 51 a Teodosio sull’eccidio di
Tessalonica, la n. 57 a Eugenio. Per la polemica antipagana famose le nn. 17 e 18 indirizzate a
Valentiniano II sulla questione dell’ara della Vittoria. Per lo scontro con gli ariani, in particolare, le
epistole n. 10,11 e 12 a Graziano, Valentiniano II e Teodosio, le nn. 13 e 14 a Teodosio, la n. 21 a
Valentiniano II.
Inni
Quattro inni possono considerarsi di sicura attribuzione, secondo la testimonianza di Agostino:
Aeterne rerum conditor, Iam surgit hora tertia, Deus creator omnium, Veni redemptor gentium.
Quattordici vengono ritenuti da diversi studiosi di probabile paternità: Illuminans Altissimus, Hic est
dies verus Dei, Agnes beatae virginis, Victor Nabor Felix pii, Grates tibi Iesu novas, Apostolorum
passio, Apostolorum supparem, Amore Christi nobilis, Aeterna Christi munera, Splendor paternae
gloriae, Nunc Sanctae nobis Spiritus, Rector potens veax Deus, Rerum Deus tenax vigor, Iesu
corona virginum.,
Diciotto inni risultano di paternità dubbia.
Opere attribuite
Ambrosiaster (=falso Ambrogio). E' un commento alle lettere di S. Paolo. Fonte di problematiche
complesse, di lungo e controverso sviluppo e per le origini del personaggio (ebreo, cristiano, ebreo
convertito? Latino o greco?) e per la sua cultura e per gli influssi che l’opera ebbe su Agostino e
Pelagio.
Approfondire e fornire indicazioni bibliografiche aggiornate o pensare a singola voce.
Hegesippus sive de bello Iudaico. Vedi sub voce Egesippo.
De lapsu virginis consecratae.
Lex Dee sive Mosaicarum et Romanarum legum collatio.
Osservazioni
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Testi e testimonianze
Hier., vir.ill., 124
[0711C] Ambrosius, Mediolanensis episcopus, usque in praesentem diem [k [0712D] Hanc vulgo putant in
uno Ambrosio praetexi causam, quod superstes sit, ne de ejus operibus judicet, quod minus bene de iis
sentiret. Verum, ut concedamus Rufini calumniae, suggillari abs Hieron. S. episcopi libros de Spiritu sancto,
passim alia ejus scripta valde praedicat, ut librum de Viduis, illos de Virginibus, item de Officiis, etc.] scribit,
de quo, quia superest, meum judicium subtraham, ne in alterutram partem, aut adulatio in me reprehendatur,
aut veritas.
Ambrogio, vescovo di Milano, continua a scrivere. Siccome egli è ancora in vita, mi asterrò dal formulare un
giudizio, per evitare di vedermi rimproverare in un senso o nell’altro l’adulazione o la verità.
Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000.
Hier., ep. 22, ad Eustochium, cap. 10.
Legas Ambrosii nostri quae nuper scripsit ad sororem opuscula, in quibus tanto se effudit eloquio, ut
quidquid ad laudes virginum pertinet, exquisierit, expresserit, ordinarit.
Hier., ex Apologia adversus Jovinianum.
Quod si cui asperum et reprehensione dignum videtur, tantam nos inter virginitatem et nuptias fecisse
distantiam, quanta inter frumentum et hordeum est, legat sancti Ambrosii de Viduis librum, et inveniet illum
inter caetera quae de virginitate et nuptiis disputavit, etiam hoc dixisse
Hier., ex Apologia 1, adversus Rufinum, cap. 1.
Si auctoritatem operi suo praestruebat, volens quos sequeretur, ostendere; habuit in promptu Hilarium . . .
Ambrosium . . . et martyrem Victorinum . . . de his omnibus tacet, et quasi columnis Ecclesiae praetermissis,
me solum pulicem et nihili hominem per angulos consectatur.
Hier., Chron., Grat. III et Equit. coss.
Post Auxentii seram mortem, Mediolani Ambrosio constituto, omnis ad rectam fidem Italia convertitur.
Ruf. Aquil. Invectiva 2 in Hieronymum.
Virum (lacerat) omni admiratione dignum Ambrosium [0114D] episcopum, qui non solum Mediolanensis
Ecclesiae, verum etiam omnium Ecclesiarum columna quaedem et turris inexpugnabilis fuit . . . qui ad
Ecclesiarum Dei gloriam electus a Deo est: qui in conspectu Domini locutus est, in conspectu persecutorum
regum, et non est confusus. Ambrosius sanctus de Spiritu Sancto non solum verbis, sed et sanguine suo
scripsit; obtulit enim persecutoribus sanguinem suum, quem in se fudit: sed a Deo ad alios adhuc
reservabatur labores . . . sanctum virum Ambrosium, cujus adhuc praeclarae vitae memoria in animis
omnium viget.
August., Conf. 5 , 13.
Veni Mediolanum ad Ambrosium episcopum in optimis notum orbi terrae, pium cultorem tuum, cujus tunc
eloquia strenue ministrabant adipem frumenti tui, et laetitiam olei, et sobriam vini ebrietatem [0115A] populo
tuo. Ad eum autem ducebar abs te nesciens, ut per eum ad te sciens ducerer. Suscepit me paterne ille
homo Dei, et peregrinationem meam satis episcopaliter dilexit . . . Et delectabar suavitate sermonis,
quamquam eruditioris, minus tamen hilarescentis atque mulcentis quam Fausti erat, quod attinet ad dicendi
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modum: caeterum rerum ipsarum nulla comparatio; nam ille per Manichaeas fallacias aberrabat, iste autem
saluberrime docebat salutem.
Giunse in quel tempo a Roma, al prefetto della città, la richiesta da Milano di un docente di retorica
per quella città: il viaggio a spese dello Stato. Io mi diedi subito da fare per mezzo propr io dei
Manichei infatuati di vanità - e me ne andavo per allontanarmene definitivamente, ma né essi né io lo
sapevamo - affinché Simmaco, il prefetto di allora, se approvava un mio saggio di declamazione,
desse a me quell'incarico.
Passai così a Milano, ad Ambrogio, vescovo noto in tutto il mondo tra gli ottimi, tuo pio servitore. La
sua robusta eloquenza allora dispensava al tuo popolo il fior di frumento, l'olio della letizia, la sobria
ebrezza del tuo vino. La tua mano mi conduceva a lui senza che io lo sapessi, per essere condotto,
cosciente, da lui a Te. Egli, l'uomo di Dio, mi accolse con bontà paterna: da buon vescovo accolse il
pellegrino. Presi subito ad amarlo, sulle prime, purtroppo, non come un maestro di quella verità che io
non speravo affatto di trovare nella tua Chiesa, ma per la sua bontà verso me. Ero assiduo
ascoltatore delle spiegazioni che teneva al popolo, non con lo scopo con cui avrei dovuto, ma quasi
per giudicarne l'eloquenza, se conforme alla fama, se più o meno fluente di quanto si diceva, e
pendevo dalle sue labbra, attratto dalle parole, ma non interessato, anzi alquanto infastidito
dell'argomento. La dolcezza del suo dire mi dava piacere: più erudito di quello di Fausto, ma meno
brillante e meno seducente quanto alla forma. Quant o alla materia trattata, nessun confronto: quello
si smarriva tra le bubbole manichee, questi dava i più salutari precetti della salvezza. “Lontana dai
peccatori è la salvezza”, ed io ero di quelli. Però andavo avvicinandomi ad essa, a poco a poco senza
saperlo.
Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974)
Aug., conf., 6,1
Studiosius ad Ecclesiam currere, et in Ambrosii ora suspendi ad fontem salientis aquae ad vitam
aeterternam. Diligebat autem illum virum sicut angelum Dei, quod per illum cognoverat me interim ad illam
ancipitem fluctuationem jam esse perductum . . . Itaque cum ad memorias sanctorum, sicut in Africa solebat,
pultes et panem et merum attulisset, atque ab ostiario prohiberetur . . . ubi comperit a praeclaro praedicatore
atque antistite pietatis praeceptum esse ita non fieri . . . abstinuit lubentissime.
Più fervorosa accorreva alla Chiesa, ed ivi pendeva dalle labbra di Ambrogio, come ad una « fonte di acqua
saliente per la vita eterna ». Amava quell'uomo come un Angelo del Signore, ben sapendo che da lui io ero
stato condotto, per ora, a quella fluttuante incertezza, attraverso la quale sarei passato - ella se ne riteneva
certa - dalla malattia alla guarigione, pur attraverso un pericolo più grave, come per un rincrudimento che i
medici chiamavano crisi.
Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974)
Aug., conf., 6,2
Come usava fare in Africa, mia madre un giorno si era recata ai sepolcri dei santi portando focacce, pane e
vino; ma il portiere gliene vietò l'ingresso. Quando seppe che tale proibizione veniva dal vescovo, vi si
assoggettò con obbedienza così pia che io stesso notai con maraviglia con quanta docilità avesse
condannato quella sua costumanza invece di discutere quel divieto. L'animo suo non era certo preso da una
passione per il vino che la spingesse all'odio della verità, come avviene di molti, uomini e donne, che alle lodi
della sobrietà si mostrano disgustati come gli ubriaconi all'offerta di una bibita all'acqua. Ella quando portava
il sue; canestro con le offerte rituali da distribuire dopo una pregustazíone, non prendeva per sé che una
piccola parte di vino, annacquata abbondantemente per il suo sobrio palato, per un atto di cortesia: e, se le
tombe dei defunti da onorare in quel modo erano parecchie, portava in giro e deponeva su esse sempre
quell'unica tazza di vino, non solo molto allungato ma anche molto tiepido, che divideva in piccoli sorsi con i
suoi, perché non cercava un piacere ma compiva m atto di pietà.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Come dunque seppe che quell'illustre annunziatore e maestro di pietà aveva vietato quelle pratiche anche a
coloro che vi portavano sobrietà, perché gli intemperanti non avessero un pretesto per trasmodare e perché
troppo somigliavano alla superstizione dei pagani nei « parentali», se ne astenne senza alcuna difficoltà,
imparando a portare ai sepolcri dei martiri, invece di un canestro colmo di frutti della terra, un cuore colmo di
offerte più pure: così aveva qualche cosa da donare ai poveri e così celebrava la comunione del corpo del
Signore, ad imitazione della cui. passione i martiri avevano trovato il sacrificio e la corona.
Io però credo, o mio Signore e mio Dio - tale è la mia impressione davanti al tuo cospetto - che mia madre
non si sarebbe adattata facilmente a troncare quella sua pratica, se la proibizione fosse stata fatta da uno
che ella non amava quanto amava Ambrogio. Per la mia salvezza ella lo amava tanto; ed egli ne la
ricambiava per la devotissima assiduità e per il fervore di spirito nelle opere buone con cui ella accorreva alla
chiesa. E spesso, quando mi vedeva, non poteva trattenersi dal farmene gli elogi e dal congratularsi meco
che avevo una tal madre: e non sapeva egli quale figlio ella avesse in me, pieno di dubbi su quelle pratiche e
senza alcuna speranza di trovare la via della vita.
Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974)
Ex eodem lib. cap. 3. [0115B]
Ipsum Ambrosium felicem quemdam hominem secundum saeculum opinabar, quem sic tantae potestates
honorarent: coelibatus autem ejus mihi laboriosus videbatur. Quid autem ille spei gereret, et adversus ipsius
excellentiae tentamenta quid luctaminis haberet, quidve solaminis in adversis, et occultum os ejus quod erat
in corde ejus quam sapida gaudia de pane tuo ruminaret, nec conjicere noveram, nec expertus eram. Et
infra hoc eodem capite. Sed certe nulla dabatur copia sciscitandi quae cupiebam de tam sancto oraculo tuo,
pectore illius . . . Et eum quidem in populo verbum veritatis recte tractantem omni die dominico audiebam; et
magis magisque mihi confirmabatur omnes versutarum calumniarum nodos, quos illi deceptores nostri
adversus divinos libros innectebant, posse dissolvi.
Aug., conf., 6,3
RAPPORTI CON SANT'AMBROGIO
Ma io, invece di chiedere piangendo il tuo soccorso, tendevo tutte le forze dello spirito a indagare, a
discutere. Anche Ambrogio era per me un uomo fortunato, secondo il giudizio umano, per la stima che ne
facevano tante persone di grande autorità. Il suo celibato però mi pareva gravoso. Quali speranze portasse
chiuse in sé; se e quanto dovesse lottare contro le tentazioni derivanti dalla sua stessa grandezza; dove e
quali conforti trovasse nelle traversie della vita; quale saporoso gusto del pane tuo egli ruminasse nella
segreta bocca del suo cuore, io non riuscivo a immaginarlo nella mia completa inesperienza.
Ma egli non conosceva i miei turbamenti né il pericolo in cui ero di cadere nel profondo. Non potevo a mio
piacimento interrogarlo su ciò che mi interessava: mi impediva di aprirmi a lui e di ascoltarlo una folla di
gente indaffarata, alle necessità della quale era sempre pronto: il pochissimo tempo in cui ne era libero, gli
serviva o a ristorare le forze del corpo con il cibo indispensabile o quelle dell'animo con la lettura. Quando
leggeva, l'occhio correva lungo le pagine e l'intelletto ne scrutava il significato, voce e lingua stavano in
riposo. E, poiché a nessuno era precluso l'ingresso in casa sua, né si usava annunziare chi sopraggiungeva,
molte volte ce ne stavamo seduti in lungo silenzio - chi avrebbe osato disturbare tale raccoglimento? -, e lo
vedevamo sempre leggere a quel modo silenzioso, mai altrimenti; ma poi ce ne andavamo, pensando che,
in quei pochi momenti dedicati allo studio e liberi dal tumulto degli affari altrui, egli non volesse essere
richiamato ad altro; forse anche voleva evitare (leggendo così) che qualche ascoltatore attento e interessato
davanti a passi alquanto oscuri lo ponesse nella necessità di spiegarglieli o di entrare in discussioni su punti
difficili; il tempo impiegato in questo compito sarebbe andato a scapito dei libri che si era proposto di
leggere: però un motivo ragionevole di questa tacita lettura poteva essere quello di risparmiare la voce che
molto facilmente gli si affiochiva. Del resto, qualunque ne fosse la causa, non poteva che essere buona in tal
uomo. Intanto però io non avevo possibilità di sottoporre le questioni che tanto mi interessavano al santo tuo
oracolo posto nel suo cuore, salvo che si trattasse di brevi domande. Invece quei miei dubbi angosciosi
richiedevano che egli potesse disporre di molto tempo, il che non avveniva mai. Però andavo ad ascoltarlo
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ogni domenica, quando spiegava al popolo con tanta esattezza la parola della verità, e mi convincevo
sempre più che tutti i grovigli di maligne calunnie intrecciati da quei maestri di menzogna contro i libri santi si
potevano sciogliere. Quando poi appresi che quando dicono « l'uomo creato a immagine tua » 6, i tuoi figli
spirituali, rigenerati da Te per mezzo della grazia della Madre cattolica, non intendono punto che si debba
credere o pensare a Te come ad un essere delimitato dalla forma di un corpo umano, anche se non riuscivo
nemmeno lontanamente, nemmeno confusamente a sospettare una natura di sostanza spirituale, tuttavia fui
ben lieto, pur arrossendone, di non aver latrato per tanti anni contro la fede cattolica, ma contro le fantasie e
i concetti materiali. Tanto più temerario ed empio, in quanto mi ero fatto accusatore di quello che avrei
invece dovuto prima cercare e imparare. Ma Tu, così in alto e così vicino, così nascosto e così presente; Tu
che non hai membra maggiori o minori, tutto e dappertutto, e in nessun luogo tutto, non sei davvero questa
nostra forma corporea, eppure hai fatto l'uomo a tua immagine; ed ecco, l'uomo è dalla testa ai piedi in uno
spazio limitato.
Trad. C. Vitali, Milano, 1958 (1974)
Ex lib. IX, cap. 6.
Cum Justina Valentiniani regis pueri mater hominem tuum Ambrosium persequeretur haeresis suae causa,
qua fuerat seducta ab Arianis: excubabat pia plebs in Ecclesia, mori parata cum episcopo suo servo tuo . . . .
Tunc hymni et psalmi ut canerentur secundum morem Orientalium partium, ne populus moeroris taedio
tabesceret, institutum est, et ex illo in hodiernum retentum, multis jam ac pene omnibus gregibus tuis et per
caetera orbis imitantibus.
Traduzione
Ex epistola 147, alias 112, num. 55. [0116A]
Quae si approbas tene mecum sancti Ambrosii sententiam, jam non ejus auctoritate, sed ipsa veritate
firmatam. Neque enim mihi propterea placet, quia per illius os potissimum me Dominus ab errore liberavit, et
per illius ministerium gratiam mihi baptismi indulsit, tamquam plantatori et rigatori meo nimium faveam: sed
quia de hac re et ipse hoc dixit, quod pie cogitanti et recte intelligenti loquitur etiam ille, qui incrementum dat,
Deus.
August., contra Jul.Pelag., 2, 5.
Hic apertissime atque satiatissime ille tam excellenter tui doctoris ore laudatus doctor Ambrosius [0116C]
declaravit et quid esset, et unde esset originale peccatum, et unde contigerit prima illa confusio . . . . . Ecce
fundit eloquentiae lucidum ac perspicuum flumen Ambrosius. Non est hic ubi haereat lector, ubi caliget
auditor. Et cap. 9: Ecquis haec dicit: Homo Dei catholicus et catholicae veritatis adversus haereticos usque
ad periculum sanguinis defensor acerrimus . . . . . Ille strenuus Christi miles, et Ecclesiae fidelis Doctor, etc.
Cassian., de Incarnat. Domini, 6
Ambrosius eximius Dei sacerdos, qui a manu Domini non recedens in Dei semper digito quasi gemma
rutilavit.
Prosperi Aqui. ex Chron. Grat. V et Theod. I coss.
Pro catholica fide multa sublimiter Ambrosius episcopus scripsit.
Idacius, Chron., Grat. III et Equit. coss.
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Ambrosius in Italia Mediolani episcopus, Martinus in Galliis Turonis episcopus, et vitae meritis, et patratis
miraculis virtutum habentur insignes.
Ennod., Carm., 1, hymn. 6.
Coelo ferunt Ambrosium
Nomen, honor, vel actio.
Nil debet hic facundiae,
Dos omnis est a moribus.
Fortis juvantem non cupit,
Umbone munitus suo.
In carne carnis nihil agit
Regina mens in corpore.
Confregit omne lubricum.
Sic vixit ille non sibi,
Sed totus auctori Deo.
Adjectus hinc Apostolis,
Reduxit expulsam fidem;
Dixit triumphos Martyrum
Linguae virentis laureis.
Hic ore praedam sustulit
[0118A] De fauce serpentis feri.
Qui bella Christi militat,
Nudus timetur ensibus.
Vivit sepultus et juvat,
Clavum tenens Ecclesiae.
Justina vires perdidit,
Dat
poena
Vati
praemium
etc.
Cassiod., inst., 1,20. [IntraText]
XX. De sancto Ambrosio.
1. Sanctus quoque Ambrosius, lactei sermonis emanator, cum gravitate acutus, inviolenta persuasione
dulcissimus, cui fuit aequalis doctrina cum vita, quando ei non parvis miraculis gratia divinitatis arrisit...
XX. SU SANT’AMBROGIO
1. Anche sant'Ambrogio, che si esprime con un eloquio dolce come il latte, uomo di mente acuta e rigorosa,
dolcissimo per il modo non violento di persuadere, dotato di una dottrina in perfetta armonia con il modo di
vivere, poiché a lui la grazia divina ha arriso con non piccoli miracoli... .
Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV]
Isidor., de Offic. Eccles. 2, 25.
Ambrosius Mediolanensis episcopus, vir magnae gloriae in Christo, et clarissimus doctor in Ecclesia.
La società umana (cf. SEMI, III, 234)
De off. ministrorum 1,28, 130
Iustitia igitur ad societatem …quod sibi quaerat?
IntraText CT - Text
Hymnus I
Aeterne rerum conditor,
Noctem diemque qui regis,
Et temporum das tempora,
Ut alleves fastidium,
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Praeco diei jam sonat,
Noctis profundae pervigil,
Nocturna lux viantibus,
A nocte noctem segregans.
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
Hoc excitatus Lucifer,
Solvit polum caligine,
Hoc omnis errorum chorus,
Viam nocendi deserit.
Hoc nauta vires colligit,
Pontique mitescunt freta,
Hoc ipsa petra Ecclesiae
Canente, culpam diluit.
Surgamus ergo strenue,
Gallus jacentes excitat,
Et somnolentos increpat,
Gallus negantes arguit.
135
Gallo canente, spes redit,
Aegris salus refunditur,
Mucro latronis conditur,
Lapsis fides revertitur.
Jesu, labantes respice,
Et nos videndo corrige;
Si respicis, lapsus cadunt,
Fletuque culpa solvitur.
Tu lux refulge sensibus,
Mentisque somnum discute:
Te nostra vox primum sonet,
Et vota solvamus tibi.
Disponibili epistola alla sorella Marcellina (20), altre epistole, de mysteriis e hymni (www)
Ambr., de off., 2,1-5
II, 1. [1] Nel libro precedente abbiamo trattato dei doveri che giudicavamo attinenti all'onestà, nella quale
nessuno ha mai dubitato sia posta la vita felice che la Scrittura chiama vita eterna. Lo splendore
dell'onestà è così grande che la tranquillità della coscienza e la certezza d'essere senza colpa, che ne
conseguono, rendono felice la vita. Come il sole, una volta sorto, nasconde il globo lunare e la luce delle
altre stelle, così il fulgore dell'onestà, quando brilla di una bellezza autentica ed incorrotta, oscura tutte le
altre cose che, secondo il piacere dei sensi, sono ritenute buone o, secondo il giudizio del mondo, sono
stimate motivo di onore e di gloria.
[2] Certamente felice è tale vita che non si valuta secondo i giudizi altrui, ma con autonomo giudizio si
intuisce per mezzo del proprio sentimento interiore. Non cercando giudizi popolari come ricompensa né
temendoli come pena, quanto meno segue la gloria, tanto più si eleva sopra di essa. Coloro infatti che
cercano la gloria, ottengono, quale ombra dei beni futuri, una tale ricompensa di beni presenti che è di
ostacolo alla vita eterna, perché nel Vangelo sta scritto: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro
ricompensa. Ciò si dice evidentemente, di coloro che sono smaniosi di divulgare, quasi a suon di tromba,
la loro generosità verso i poveri. Similmente è detto di coloro che digiunano per ostentazione: Hanno
ricevuto la loro ricompensa.
[3] È proprio dell'onestà, dunque, o esercitare la misericordia o digiunare in segreto, perché appaia
che si cerca la ricompensa unicamente da Dio, non anche dagli uomini. Chi la vuole dagli uomini, ha
già la sua ricompensa; chi la chiede a Dio, ha la vita eterna che può esserci data unicamente dal
Creatore dell'eternità, come afferma il ben noto passo: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso.
Con maggior chiarezza, la Scrittura chiamò vita eterna la vita felice, per non lasciarne la valutazione
ai giudizi degli uomini, ma per affidarla invece al giudizio di Dio.
2. [4] I filosofi posero la felicità, alcuni nell'assenza del dolore, come Ieronimo, altri nella scienza ,
come Erillo, il quale, sentendola lodare mirabilmente da Aristotele e da Teofrasto, la considerò
sommo bene, mentre essi la esaltarono come un bene, non come l'unico bene. Altri la dissero
piacere, come Epicuro, altri, come Callifonte e, dopo di lui, Dio doro, la intesero così da aggiungere
l'uno al piacere, l'altro all'assenza di dolore la partecipazione dell'onestà, pensando che senza di
questa non possa esistere vita felice. Zenone Stoico affermò che il solo e sommo bene consiste
nell'onestà; Aristotele, invece, e Teofrasto e gli altri peripatetici sostennero che la felicità consiste
bensì, nella virtù, cioè nell'onestà, ma che la felicità di questa è resa completa anche dai beni del
corpo e da quelli esteriori.
[5] La Scrittura divina invece pose la vita eterna nella conoscenza di Dio e nel premio delle opere
buone. Di entrambe le affermazioni abbiamo la testimonianza evangelica. Così disse il Signore della
conoscenza di Dio: Questa è la vita eterna, che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandalo ,
Gesù Cristo. E a proposito delle opere così rispose: Ognuno che lascerà la casa e i fratelli o le sorelle
o il padre o la madre o i figli o i campi per il mio nome, riceverà il centuplo e possiederà la vita eterna.
[6] Ma perché non si creda che tale dottrina sia recente e sia stata formulata dai filosofi prima che
annunciata dal Vangelo (i filosofi, infatti, sono anteriori al Vangelo, cioè Aristotele e Teofrasto o Zenone e
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Ieronimo, ma posteriori al profeti), sappiamo quanto tempo prima che si sentisse parlare di filosofi l'uno e
l'altro insegnamento sia stato chiaramente espresso dal santo Davide. Sta scritto: Beato colui che tu hai
educato, Signore, ed hai istruito nella tua legge. Altrove abbiamo: Beato l'uomo che teme il Signore,
proverà gioia grande nei suoi comandi. Abbiamo trattato della conoscenza, il cui premio il profeta ricordò
consistere nella felicità eterna, aggiungendo che nella casa di chi teme il Signore ed è istruito nella sua
legge e si compiace degli ordini divini: Gloria e ricchezze abbondano nella sua casa e la sua giustizia dura
per sempre. A proposito delle opere nello stesso salmo aggiunse che all'uomo giusto tocca il premio della
vita eterna. Poi afferma: Beato l'uomo che ha compassione e soccorre, amministrerà i suoi affari con
discernimento, perché non vacillerà in eterno. Il giusto sarà ricordato eternamente. E più sotto: Ha dato
generosamente ai poveri; la sua giustizia rimane in eterno.
[7] La fede ottiene la vita eterna perché saldo ne è il fondamento; la ottengono anche le o pere buone,
perché l'uomo giusto si riconosce dalle parole e dai fatti. Se uno è pronto nelle parole e pigro nelle opere,
con i fatti smentisce la sua prudenza; ed è colpa più grave, conosciuto il da farsi, non compiere ciò che si
è conosciuto come dovere. Al contrario, essere pronto nelle opere ma infido nei sentimenti, è come se si
volesse innalzare su un fondamento traballante una bella corona di pinnacoli: quanto più costruisci, più
crolla, perché senza il sostegno della fede le buone opere non possono sussistere. Un ancoraggio
malsicuro nel porto causa falle nella nave e un terreno sabbioso cede, incapace di sostenere il peso
dell'edificio costruito sopra. La pienezza
del premio si avrà là dove esiste la perfezione delle virtù ed un saggio equilibrio nelle parole e nelle azioni.
3. [8] Respinta la sola scienza perché o ritenuta vana alla luce delle discussioni eccessivamente minute dei
filosofi o giudicata concezione imperfetta, consideriamo con quale facilità la Sacra Scrittura trovi la soluzione
di questo problema sul quale si sono svolte discussioni filosofiche così svariate, involute, confuse. La
Scrittura, affermato che non è bene se non ciò che è onesto, giudica felice la virtù in ogni condizione, perché
i beni del corpo o quelli esterni non le aggiungono nulla e nulla le tolgono le avversità: nulla è così felice
come ciò che è alieno dal peccato, pieno d'innocenza, ricolmo della grazia di Dio. Sta scritto: Beato l'uomo
che non ha seguito il disegno degli empi e non si è seduto nel consesso dei malvagi, ma ha posto la sua
volontà nella legge del Signore. E in un altro punto: Beati coloro che sono senza colpa nella loro via, che
camminano nella legge del Signore.
[9] L'innocenza e la scienza rendono felici. Abbiamo rilevato più sopra che la felicità della vita eterna è la
ricompensa anche del ben operare. Trascurando la difesa del piacere o la paura del dolore - cose estranee
che si respingono, l'una perché indizio di mollezza e di lascivia, l'altra perché priva di virilità e di fortezza resta da dimostrare che persino in mezzo ai dolori la felicità ha il sopravvento. Ciò si può imparare facilmente
dopo aver letto: Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni male contro di
voi per la giustizia. Godete ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nel cielo. Così infatti hanno
perseguitato anche i profeti che erano prima di voi. E in un altro passo: Chi vuole venire dopo di me, prenda
la sua croce e mi segua.
4. [10] La felicità può esistere anche in mezzo ai dolori: la virtù piena di dolcezza, li attenua e modera,
perché abbonda di particolari risorse sia per ciò che riguarda la propria coscienza sia per ciò che riguarda la
grazia. Non fu poca la felicità di Mosè quando, circondato dalle armate egiziane e chiuso dal mare, per i
suoi meriti verso Dio trovò per sé e per il popolo dei padri attraverso i flutti una via su cui camminare.
Mai fu più forte di quando, circondato da pericoli senza scampo, non disperava della salvezza, ma
otteneva il trionfo.
[11] E Aronne in quale momento si credette più felice di quando si collocò tra i vivi e i morti e,
interponendo la propria persona, impedì che la morte dai corpi dei defunti raggiungesse le schiere dei
vivi? Che dire del giovane Daniele, tanto sapiente da non lasciarsi vince re dal terrore per la ferocia
delle belve, pur in mezzo ai leoni irritati dalla fame, così libero dalla paura da poter mangiare senza
preoccuparsi di provocare col suo esempio le fiere a divorarlo?
[12] Esiste anche nel dolore una virtù che offre a se stes sa la dolcezza di una buona coscienza e
dimostra che il dolore non diminuisce la gioia della virtù. Come il dolore non toglie nulla alla felicità,
così nulla vi aggiungono i piaceri sensibili o il godimento offerto dagli agi. A questo proposito disse
bene l'Apostolo: Quelli che per me furono guadagni, ho stimato perdite per amore di Cristo. E
aggiunse: Per amore del quale io ho ritenuto tutte le cose una perdita e le stimo sterco, per
guadagnarmi Cristo.
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[13] Mosè credette che fossero di danno i tesori degl i Egiziani e preferì l'onta della croce del Signore:
non ricco quando abbondava di denaro né povero dopo, quando gli scarseggiava il cibo; a meno che
a qualcuno non sembri ch'egli fosse meno felice quando nel deserto a lui e al suo popolo mancava il
vitto quotidiano. Ma nessuno oserà negare che gli sia stato motivo di sommo bene e di straordinaria
felicità il dono celeste della manna, cioè il pane degli angeli; ed anche la carne, mediante una pioggia
quotidiana, sovrabbondava per il pasto di tutto il popolo .
[14] Anche al santo Elia sarebbe mancato il pane per il suo nutrimento, se egli lo avesse cercato; ma
non sembrava mancare perché non lo cercava. Ogni giorno, per mezzo dei corvi, al mattino gli veniva
portato il pane, e la sera la carne. Forse era meno felice perché, per suo conto, era povero? Niente affatto.
Anzi tanto più felice, perché era ricco per Iddio. È meglio infatti essere ricco per gli altri che per se stesso,
come era colui che in tempo di carestia chiedeva il cibo ad una vedova, concedendo in cambio che l'idria
della farina per tre anni e sei mesi non rimanesse vuota e il vaso dell'olio fornisse a sufficienza alla povera
vedova la quantità giornalmente necessaria. A buon diritto Pietro sarebbe voluto restare là dove vedeva
costoro, giustamente apparsi sul monte della gloria con Cristo, perché anch'egli da ricco si fece povero.
[15] Nessun aiuto offrono le ricchezze alla felicità, come chiaramente affermò il Signore nel Vangelo: Beati
voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati coloro che ora hanno fame e sete, perché saranno saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete. È stato perciò stabilito in modo evidentissi mo che la povertà, la
fame, il dolore, che sono ritenuti mali, non solo non sono d'impedimento ad una vita felice, ma anzi le sono
d'aiuto.
5. [16] Che anche quelli che sembrano beni - le ricchezze, l'abbondanza, la letizia esente da dolore ostacolino il godimento della felicità, appare dichiarato dal giudizio del Signore: Guai a voi ricchi, perché
avete la vostra consolazione! Guai a voi che siete sazi, perché soffrirete la fame; e guai a quelli che ridono,
perché piangeranno! I beni del corpo o quelli esterni non soltanto non sono d'aiuto ad una vita felice, ma anzi
sono di ostacolo.
[17] Era felice Nabot, anche quando veniva lapidato dal ricco, perché, povero e debole contro la potenza
regale, era tanto ricco dei suoi sentimenti e della sua religiosità da non accettare il denaro del re in cambio
della vigna ereditata dai padri, e perciò stesso si dimostrava perfetto: a costo della vita difendeva i
diritti dei suoi maggiori. Quindi, misero Acab, anche a suo giudizio, perché aveva fatto uccidere un
povero per impadronirsi della sua vigna.
[18] E indubbio che il solo e sommo bene è la virtù, la sola che disponga di mezzi sovrabbondanti per
garantirci il godimento d'una vita felice, e che questa è data non dai beni esterni o da quelli del corpo,
ma unicamente dalla virtù, per mezzo della quale si acquista la vita eterna. La vita felice, infatti,
consiste nel godimento dei beni presenti, mentre la vita eterna nella speranza dei beni futuri.
[19] Vi sono tuttavia taluni che ritengono impossibile una vita felice in questo nostro corpo così debole
e fragile, nel quale inevitabilmente ci angustiamo, proviamo dolori, piangiamo, c i ammaliamo, come
se io affermassi che la vita felice consiste nella esuberanza del corpo e non nella profondità della
sapienza, nella serenità della coscienza, nella sublimità della virtù. E felicità non già essere nella
sofferenza, ma esserne vittorioso senza lasciarsi abbattere dal turbamento causato da un dolore di
breve durata.
[20] Supponi che accadano fatti considerati motivo di grave dolore, come la cecità, l'esilio, la fame, lo
stupro d'una figlia, la perdita dei figli. Chi non direbbe felice Isacc o che nella sua vecchiaia, pur cieco,
con le sue benedizioni rendeva felici i suoi? Non era forse felice Giacobbe che, profugo dalla casa
paterna, pastore mercenario, sopportò l'esilio, pianse l'offesa recata all'onore della figlia, soffrì la
fame? Non sono dunque felici quelli che con la loro fede rendono testimonianza a Dio, come risulta
quando si dice: Il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe? Misera è la schiavitù, ma non fu
misero Giuseppe, anzi veramente felice, perché, sebbene schiavo, ri ntuzzò la lussuria della sua
padrona. Che dire del santo Davide che pianse la morte di tre figli e, cosa ancor più dolorosa,
l'incesto della figlia? Come poteva non essere felice colui dalla cui discendenza nacque l'Autore della
felicità, che moltissimi rese felici? Beati, infatti, coloro che non videro e credettero. Anch'essi provarono
l'infermità, ma dall'infermità trassero forza. Quale maggior pena di quella del santo Giobbe o per l'incendio
della sua casa o per la morte improvvisa dei dieci figli o per le sofferenze fisiche? Forse fu meno felice che
se non avesse sopportato quelle disgrazie che lo misero maggiormente alla prova?
[21] Ammettiamo pure che in esse vi sia stato qualche tormento: quale dolore non riesce a nascondere la
forza dell'animo? Non potrei infatti dire che il mare è profondo perché presso la spiaggia l'acqua è bassa; né
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che il cielo non è luminoso perché talvolta è coperto di nubi; né che la terra non è fertile perché in alcuni
luoghi c'è sterile ghiaia o che le messi non sono rigogliose perché solitamente hanno frammista dell'avena
selvatica. Convinciti ugualmente che la messe d'una coscienza felice è disturbata da qualche mucchio di
dolore. Se per caso capita qualche avversità ed amarezza, non è forse come l'avena infeconda, nascosta
dai manipoli d'un'intera vita felice o, come l'aspro sapore della zizzania, soffocata dalla dolcezza del
frumento?
Trad. G. Banterle, I doveri, Milano-Roma, Città Nuova, 1977.
Letture critiche - G. Vianini, Il canto ambrosiano
Già San Paolo citava: " In gratia cantantes in cordibus vestris Deo" - cantando a Dio nei vostri cuori in grazia
- (Efesini, 5,18 - 20 ) perché la parola di Dio è sacra, il canto preghiera.
Il canto con il fascino della sua arte valorizzava la parola di Dio, le voci rappresentavano la comunità in
preghiera.
Dal tempo di Paolo, morto nel 68 d.C. durante la persecuzione neroniana, ad Ambrogio erano passati più di
tre secoli e non è possibile, visto quanto detto prima, che non si fossero sviluppate altre forme di canto; si
svilupparono infatti in oriente (bizantino - siriaco - armeno - copto - etiopico) sia in occidente (romano aquileiese - beneventano - slavo - celtico - gallicano - mozarabico) ognuno di questi usava categorie
estetiche loro proprie.
Perché però il canto ambrosiano si mantenne così a lungo? Perché era un fattore tipico ed inseparabile del
rito stesso, fu quindi il rito ambrosiano a mantenere vivo il canto ambrosiano e queste due realtà furono
sempre parallele e complementari.
Probabilmente quindi Ambrogio non inventò del tutto il canto liturgico, ma gli fece compiere un notevole salto
qualitativo, soprattutto verso tre direzioni: l'introduzione dell'innodia - il canto antifonato - il canto
responsoriale.
Dopo di lui infatti queste novità si diffusero in tutta Europa, ce lo testimoniano Sant'Agostino nel nono libro
delle Confessioni e Paolino, segretario di Ambrogio, nel tredicesimo capitolo sulla vita del santo.
Dei tredici inni attribuiti ad Ambrogio, quattro sono certamente suoi (Aeterne rerum conditor - Deus creator
omnium - Jam surgit hora tertia - Intende qui regis Israel) e nove sono quasi certamente autentici per la loro
identità strutturale e stilistica.
Nei suoi inni Ambrogio dimostra grande abilità lessicale, uno stile attento alla prosodia classica, ma anche
grande sensibilità ritmica. Gli inni hanno forma strofica, con versi isosillabici (uguali numero di sillabe) ed
omotonici (gli accenti tonici sempre nella stessa posizione), i moderni musicologi attribuiscono anche la
musica ad Ambrogio, infatti, anticamente il compositore di un testo poetico componeva anche la musica con
cui era proposto, perché l'essere musico e poeta coincidevano, Ambrogio, inoltre nei suoi scritti parla di
musica con estrema competenza, cita la scala musicale completa e si riferisce all'arte della musica in ogni
sua opera. Potrebbe essere definito il primo "cantautore ", perché con il canto degli inni introdusse nella
controversia religiosa contro Ario, allora in atto, un elemento decisivo di larga presa su vasti strati
dell'opinione pubblica.
Questo fatto fu constatabile proprio nel 386 quando Sant'Ambrogio si rifiutò di consegnare agli ariani le
chiese milanesi, disobbedendo all'imperatrice Giustina, che gliel'aveva imposto, ma non solo, con tutto il
popolò occupò la basilica Porziana e mentre le milizie imperiali cingevano d'assedio la chiesa, Ambrogio
all'interno, insegnava alla folla dei fedeli gli inni da lui composti, facendo nascere così il canto popolare
occidentale. Dopo di lui, due grandi vescovi milanesi, Eusebio e Lorenzo, composero inni e fecero
trascrivere quelli di Ambrogio.
Dal quinto secolo, Milano conobbe incredibili invasioni barbariche, fu distrutta dai Goti, occupata dai
Longobardi, che finalmente alla fine del settimo secolo, si convertirono e favorirono la ripresa religiosa a
Milano, ma la convivenza con i Franchi, a loro subentrati, non fu certo facile ed i milanesi si schierarono non
direttamente in difesa della loro terra, perché non esistevano per motivi storici ideali nazionalistici in cui
identificarsi, ma nella difesa del loro rito e del loro canto, in cui vedevano la propria sopravvivenza spirituale.
Nella testimonianza di un anonimo poeta milanese nel "versum de Mediolano civitate" viene mostrato come
motivo di orgoglio che i salmi erano cantati con opportuni moduli al suono dell'organo.
Pochi sono i codici che sono arrivati a noi, Carlomagno con l'intento di favorire l'unità liturgica fece
distruggere i codici di canto ambrosiano.
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Nel secolo nono, Milano vide ben due officine librarie, una arcivescovile e l'altra presso il Monastero di
Sant'Ambrogio, che producevano cultura finalizzata al rinnovamento liturgico. Fra i codici a noi rimasti
citiamo il Trotti, perché contiene frammenti di notazione ambrosiana, mentre tra il codice di Busto Arsizio e il
codice A28 dell'Ambrosiana, che pure furono redatti a trent'anni di distanza, troviamo nel primo una stesura
retrospettiva e nel secondo una innovativa con ritocchi ed aggiornamenti.
Perché però l'attività musicale di San Gallo e Rouen nello stesso periodo era più famosa?
Perché Milano era sempre legata al suo rito, quindi aveva un raggio d'azione limitato, mentre la liturgia
romana con il suo Canto Gregoriano ebbe maggior estensione ed esecuzione. Anche a Milano dal decimo
secolo troviamo influssi del Canto Gregoriano, che però venne assimilato "more Ambrosiano", cioè secondo i
parametri con cui la città aveva da secoli accompagnato la liturgia. Se abbiamo poche testimonianze, lo
dobbiamo al fatto che si preferiva imprimere il canto nella memoria dei cantori, accennando sui codici solo i
punti difficili o controversi.
Il Vescovo Ariberto da Intimiano, ben noto come difensore della città nell'undicesimo secolo, volle la
creazione di una "Schola puerorum" condotta da musici competenti e da lui personalmente sovvenzionata,
per mantenere il canto liturgico ambrosiano ad un buon livello esecutivo. Dicono i documenti che
presenziasse alle lezioni ed intervenisse con opportuni consigli.
Dal dodicesimo secolo la tradizione del Canto Ambrosiano è testimoniata in parecchi manoscritti e qui
l'elenco dei notatori (il primo fu Magister Cesarinus, nella prima metà del tredicesimo secolo) è molto lungo e
forse conviene trascurarlo, perché interessa soprattutto la paleografia musicale.
Tra i più importanti codici consultati dal Benedettino Don Gregorio Suñol per le pubblicazioni dell'Antifonale
(1935) e del Vesperale (1939) sono due volumi scritti dal Prete Fatius DeCastoldis nel 1387/88 per la Chiesa
di Vendrogno (Lecco).
Relazione di Giovanni Vianini direttore della Schola Gregoriana Mediolanensis sul canto
Ambrosiano.
Internet - Controllo fonti scritte ed estremi
Letture critiche. M. von Albrecht. Fonti, modelli, generi; Tecnica letteraria;
Lingua e stile.
Fonti, modelli, generi.
Ambrogio possiede una solida cultura classica e legge senza difficoltà il greco; è straordinariamente versato
nella filosofia. Come dimostrano paralleli testuali di ampie dimensioni, deve aver letto Plotino, Porfirio, il
Pitagorico Sesto ed in parte anche Platone. Gli studi del periodo giovanile - durante il quale compone
probabilmente il De philosophia - sono da lui continuati dopo il battesimo: in parte sotto la guida di
Simpliciano si forma le basi teologico-esegetiche sulle fonti greche: accanto a Filone ed Origene c'è Basilio
col suo Hexaemeron, un'esegesi del racconto della creazione. Come Rufino, il traduttore di Origene,
Ambrogio ha il dono di liberare le proprie fonti dalle loro peculiarità greche e giudaiche e di renderle
ecclesiasticamente utilizzabili.
Tra gli autori latini privilegia Cicerone e Virgilio. Come oratore, attinge alle orazioni; il De officiis ha per lui
un'importanza determinante (vd. «Tecnica letteraria»); legge il Somnium Scipio nis forse già col commento di
Macrobio. Si aggiunge lo scritto apuleiano De Platone.
Ambrogio pratica i generi di prosa ecclesiastica correnti alla sua epoca. Per la struttura della raccolta
epistolare, non per la lingua, prende a modello Plinio`.
Dà un'impronta decisiva - in parte sulla scia del canto innodico siriaco - al genere dell'inno, un tipo
fondamentale della lirica medievale.
Tecnica letteraria.
Come scrittore Ambrogio è un maestro della «tecnica del collage»: l'inserimento di un'esegesi allegorica
ripresa da Origene in un contesto plotiniano - con l'esclusione di ogni elemento «eretico» o pagano testimonia notevole abilità (vd. «Orizzonte concettuale»). Il cosciente impiego d'interi brani tratti da altri autori
ricorda le basiliche romane, nelle quali «colonne e segmenti di trabeazione di diverso tipo e provenienza si
uniscono nel produrre un forte ed unitario effetto».
Nell'esegesi della Genesi sulla traccia di Basilio, Ambrogio inserisce descrizioni naturali ed immagini del
mondo animale in funzione di exempla morali; in questo contesto gli vengono sotto la penna reminiscenze
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virgiliane65'. All'evidenziazione poetico-letteraria servono anche numerosi rimandi a Terenzio, per esempio
allo stato d'animo di Fedria nell'Eunuchus (paenit. 2, 96,47 ). Gli scritti ascetici vengono vivacizzati da
racconti esemplari.
Nel De officiis ministrorum un'opera ciceroniana in tre libri viene cristianizzata da cima a fondo; è un
programma letterario che merita di essere preso seriamente. Già il numero dei libri è lo stes so; alla dedica
al figlio corrisponde quella «ai figli», vale a dire ai preti. Il patrimonio lessicale resta immutato, ma si fa
veicolo di un contenuto cristiano in luogo di quello stoico: come quando - conservando il termine fides - è la
fede (Ambr. off. 1, 29, 142) a divenire il fondamento della giustizia, in luogo della fedeltà ai patti (Cic. Off. 1,
23). Solo nella praefatio il silentium cristiano prende antiteticamente il posto dell'oratio pagana. Dappertutto
gli exempla romani vengono sostituiti da quelli biblici. A differenza di Cicerone, che - come piú tardi Pelagio presume nell'uomo una forza morale propria, Ambrogio presuppone dappertutto la «grazia preveniente» (in
Luc. 4, 4).
Com'era da attendersi, nei necrologi si ritrova l'intero apparato della laudatio funebris e dell'antica letteratura
consolatoria`. Ma l'autore sa giocare con finezza con le sfumature: in luogo del « secundum naturam vivere
» stoico -ciceroniano subentra « gratiam referre» (exc. Sat. 1, 45-48)- La sapienza stoica come «conoscenza
delle cose divine ed umane » viene sostituita dalla capacità di distinguere divino ed umano (exc. Sat. 1, 48):
uno spostamento d'accento assai caratteristico del vescovo!
Occorre usare cautela nell'ammettere in Ambrogio un metodo di lavoro meccanico ed ampliamenti arbitrari.
Un'analisi dell'orazione funebre per Teodosio ha dimostrato che il nostro autore possiede in tutto e per tutto
«sensibilità formale antica»`.
Questa caratteristica è riconoscibile anche nella raccolta epistolare, la cui struttura si orienta sul modello
dell'epistolario pliniano. Come nel predecessore, si tratta di dieci libri (nove + uno), l'ultimo dei quali
comprende le lettere all'imperatore ed è riservato all'attività pubblica dell'autore`. Anche per la raccolta
epistolare si tratta del resto di una collezione di pezzi in origine indipendenti.
Lingua e stile.
Lo stile d'Ambrogio - come quello di tutti i Padri della Chiesa - è segnato dalla retorica; in confronto con
l'elegantia del pagano Simmaco, egli affetta maggiore semplicità (epist. 18,2), senza però raggiungerla.
Agostino, che ha ascoltato Ambrogio, riceve un'impressione profonda della sua oratoria; Gerolamo, che
probabilmente giudica piuttosto sulla base della parola scritta, non ha grande stima di Ambrogio come
stilista. Meno che dappertutto l'animazione artistica della lingua riesce probabilmente negli scritti dogmatici,
che mirano all'esattezza, sebbene dal loro quasi giuridico rigore formale possa sprigionarsi anche un certo
fascino.
Prima di dare un giudizio sullo stile delle opere esegetiche, spesso decisamente prolisse, occorre
considerare che si tratta forse, in parte, di trascrizioni di prediche effettivamente pronunciate,
nelle quali il modo di porgere e la personalità dell'oratore contribuivano in maniera sostanziale all'efficacia.
Sappiamo d'altro canto (epist. 47, 3) che Ambrogio scriveva anche sovente di proprio pugno. Inoltre la
raffinata arte dell'associazione delle fonti ed i1 doppio livello nell'uso del linguaggio impediscono di parlare
d'improvvisazione: l'esegeta privilegia con avvedutezza, ad esempio, metafore comuni ai platonici ed ai
cristiani (vd. «Orizzonte concettuale»). A differenza delle opere dogmatiche si può qui osservare, talvolta,
uno stile «amabile», che può sfiorare persino il poetico. Anche per altri versi poesia e prosa si
sovrappongono in quest'uomo non comune.
Nel caso delle lettere sappiamo, in ogni caso, che prima dell'edizione Ambrogio le inviò per una revisione
stilistica - e teologica - ad un amico esperto di letteratura, il vescovo Sabino di Piacenza (epist. 48, 1), e che
la raccolta vuole essere in grado di aspirare alla dignità letteraria anche nella struttura. L'analisi di minutiae
linguistiche sembra addirittura permettere di distinguere le lettere conciliari spiritualmente influenzate da
Ambrogio, ma non composte personalmente da lui, da quelle autentiche.
I lettori vengono immediatamente afferrati dagl'inni. Essi sono composti in dimetri giambici acatalettici; prima
di Ambrogio questo metro non è testimoniato in strofe di quattro versi, il che
non significa che siano state inventate da lui. Ogni inno consta di otto strofe. Come rinnovatore della lirica
cristiana, che era iniziata con Ilario di Poitiers, Ambrogio trova una lingua ed una musica allo stesso tempo
semplice e nobile, popolare e dignitosa: un capolavoro quale non riesce sempre ai creatori di canti popolari
religiosi.
M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, 3, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1653-57.
Bibliografia
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141
Edizioni
Poesis
Intratext
De principio individuationis LAT0279
Epistula ad Marcellinam sororem LAT0263
Hymni LAT0064
PL Migne vol. 14
Hexaemeron libri sex, scripti circa annum 389.
De Paradiso liber unus, script. circ. an. 375.
De Cain et Abel libri duo, script. circ. an. 375.
De Noe et Arca liber unus, script. circ. an. 379.
De Abraham libri duo, script. circ. an. 387.
De Isaac et Anima liber unus, script. circ. an. 387.
De Bono Mortis liber unus, script. circ. an. 387.
De Fuga Saeculi liber unus, script. circ. an. 387.
De Jacob et Vita beata libri duo, script. circ. an. 387.
De Joseph patriarcha liber unus, script. circ. an. 387.
De Benedictionibus patriarcharum liber unus, script. an. 387.
De Elia et Jejunio liber unus, script. circ. an. 390.
De Nabuthe Jezraelita liber unus, script. forte circ. an. 395.
De Tobia liber unus, script. circ. an. 377.
De interpretatione Job et David libri quatuor, script. forte circ. an. 383.
Apologia prophetae David script. forte circ. an. 384.
Apologia altera prophetae David.
Enarrationes in psalmos duodecim: quarum prior non ultra annum 390; quinque sequentes, non
nisi post VIII idus Sept. anni 393, scriptae sunt; in psalmum vero XLIII anno 397; quatuor ultimae
circ. annum 390.
PL Migne, vol. 15
Expositio in psalmum CXVIII
Expositio Evangelii secundum Lucam
Commentarius in Cantica Canticorum e Scriptis S. Ambrosii collectus
De Excidio urbis Hierosolymitanae libri quinque
Anacephalaeosis quinque librorum de excidio Hierosolymitano
PL Migne, vol. 16
De Officiis libri tres
De Virginibus libri tres
De Viduis liber unus
De Virginitate liber unus
De Institutione virginis liber unus
De Exhortatione virginitatis liber unus
De Lapsu virginis consecratae liber
De Mysteriis liber
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142
De Sacramentis libri sex
De Poenitentia libri duo
De Fide libri quinque
De Spiritu sancto libri tres
De Incarnationis Dominicae sacramento liber unus
Fragmentum Ambrosianum ex Theodoreto desumptum
Epistolae in duas classes distributae
De excessu fratris sui Satyri libri duo
Hymni nonnulli
PL Migne, vol. 17
De XLII Mansionibus filiorum Israel. (auct.var.)
Commentaria in Epistolas B. Pauli. (auct.var.)
Tractatus de Trinitate. (auct.var.)
Tractatus de Fide orthodoxa. (auct.var.)
De Dignitate sacerdotali libellus. (auct.var.)
Libellus ad Virginem devotam. (auct.var.)
Sermones S. Ambrosio ascripti. (auct.var.)
Epistolae ex Ambrosianarum numero segregatae. (auct.var.)
Precationes duae ante Missam. (auct.var.)
Expositio in septem visiones libri Apocalypsis. (auct.var.)
De Poenitentia liber unus. (auct.var.)
De Spiritu sancto libellus. (auct.var.)
De Concordia Matthaei et Lucae in genealogia Christi. (auct.var.)
De Dignitate conditionis humanae libellus. (auct.var.)
Exorcismus. (auct.var.)
Acta S. Sebastiani. (incert.)
Liber de vitiorum virtutumque conflictu.
De Vocatione gentium libri duo. (incert.)
De Moribus Brachmanorum. (incert.)
Philosophorum breves Epistolae. (incert.)
Epistolae duae de Monacho energumeno. (incert.)
Explanatio Symboli ad initiandos. (incert.)
Epistola de fide. (incert.)
Hymni S. Ambrosio attributi. (incert.)
opera in CSEL 22.62.64.73.78 controllo
Testard (ed.) De officiis (Ambrosius Mediolanensis)
Christianorum S.L. 15
Testard (ed.) De officiis. (Ambrosius Mediolanensis)
Christianorum S.L. 15
HB
03/2001
Turnhout, Corpus
PB
03/2001
Turnhout, Corpus
Hexameron, De paradiso, De Cain, De Noe, De Abraham, De Isaac, De bono mortis – ed. C.
Schenkl 1896, Vol. 32/1
De Iacob, De Ioseph, De patriarchis, De fuga saeculi, De interpellatione Iob et David, De apologia
prophetae David, De Helia, De Nabuthae, De Tobia – ed. C. Schenkl 1897, Vol. 32/2
Expositio evangelii secundum Lucam – ed. C. Schenkl 1902, Vol. 32/4
Expositio de psalmo CXVIII – ed. M. Petschenig 1913, Vol. 62; editio altera supplementis aucta –
cur. M. Zelzer 1999
Explanatio super psalmos XII – ed. M. Petschenig 1919, Vol. 64; editio altera supplementis aucta –
cur. M. Zelzer 1999
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143
Explanatio symboli, De sacramentis, De mysteriis, De paenitentia, De excessu fratris Satyri, De
obitu Valentiniani, De obitu Theodosii – ed. O. Faller 1955, Vol. 73
De fide ad Gratianum Augustum – ed. O. Faller 1962, Vol. 78
De spiritu sancto, De incarnationis dominicae sacramento – ed. O. Faller 1964, Vol. 79
Epistulae et acta – ed. O. Faller (Vol. 82/1: lib. 1-6, 1968); O. Faller, M. Zelzer ( Vol. 82/2: lib. 7-9,
1982); M. Zelzer ( Vol. 82/3: lib. 10, epp. extra collectionem. gesta concilii Aquileiensis, 1990);
Indices et addenda – comp. M. Zelzer, 1996, Vol. 82/4
Les devoirs, ed. M. Testard.
T. I : Livre I. 1984. T. II : Livres II et III. 1992.
SCh
La Pénitence ed. R. Gryson ( ed. O. Faller, 73 du Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum).
1971
Dans la controverse sur la pénitence entre saint Ambroise et les novatiens, c’est le pouvoir sacramental de
remettre les péchés devant Dieu qui est en jeu. L’Église, comme les novatiens, imposait au pécheur une
pénitence publique humiliante et pénible, seulement les novatiens refusaient à mettre un terme à cette
pénitence. Saint Ambroise défend la miséricorde de Dieu, mais aussi l’autorité de son Église.
Son traité nous décrit la pratique de la pénitence publique au IVe siècle dans l’Église occidentale.
Apologie de David
Introduction, texte latin, notes et index par Pierre Hadot, Traduction par Marius Cordier,
Index scripturaire, grec-latin et latin-grec des parallèles avec Didyme et Origène, des parallèles
ambrosiens, des auteurs anciens et analytique, 1977, SCh. 239.
Bien que l’ouvrage se présente dans sa forme extérieure comme une plaidoirie, dans laquelle Ambroise
cherche à excuser le double crime de David, lorsqu’il fut séduit par la beauté de Bersabée, l’« Apologia »
n’est pas un exercice de rhétorique. C’est en fait une homélie en forme d’exégèse du psaume 50, en grande
partie inspirée des commentaires de Didyme et d’Origène sur ce même psaume 50.
Le texte avec appareil critique cherche à améliorer le texte proposé par C. Schenkl en 1897 en vérifiant les
collations et à l’aide d’un nouveau manuscrit important.
I doveri, tr. it G. Banterle, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, 1977, 19912.
edizione della Biblioteca Ambrosiana di Milano in via di completamento (controllo) =SAEMO
Inni
ed. M. Simonetti, Firenze, Nardini, 1988.
ed. M. Simonetti, Bpat,13, 19892.
ed. J. Fontaine (tr.), Paris, Cerf, 1992.
Discorsi e lettere, tr. it G. Banterle, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, 1977.
Simmaco Q. Aurelio, Ambrogio (sant'), L' altare della vittoria, ?, Sellerio di Giorgianni,1991.
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144
De virginibus
Cazzaniga, E. S. Ambrosii Mediolanensis episcopi, De virginitate liber unus. Corpus Scriptorum
Latinorum Paravianum (Torino, 1948, 19542).
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 135-69
(M.G. Mara).
B. Altaner, Patrologia, tr.it. Torino 1968.
H. von Campenhausen, I padri della Chiesa latina, tr. it., Firenze 1969.
F. Canfora, Simmaco e Ambrogio o di un'antica controversia sulla toleranza e sull'intolleranza,
Bari, Adriatica, 1970.
L.F. Pizzolato, La dottrina esegetica di S. Ambrogio, Milano, Vita e Pensiero, 1978.
C.Moreschini, s.v. Innografi, in Dizionario degli scrittori greci e latini, 2, Milano, Marzorati, 1987, pp.
1147-1160 per un quadro di sintesi sul genere nella letteratura greca e latina. BCTV.
ICCU per Soggetto
ICCU per Autore
Ambrosius <santo>, De viduis / Sant'Ambrogio; introduzione di Giacomo Biffi, Siena: Cantagalli, [2002], I
classici cristiani; 6
I classici cristiani. N. S
Note Generali: Trad. di Franco Gori
De isaac vel anima / Ambrosius von Mailand; ubersetzt und eingeleitet von Ernst Dassmann, Turnhout:
Brepols, 2003, Fontes christiani; 48
Il modo di vivere dei Brahmani / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Ilaria Santomanco,
Milano: La vita felice, 2004, Saturnalia; 16
Ambrogio vescovo insegna e canta: inni liturgici in canto bilingue / [a cura di] Gino Molon
Edizione: Editio major aggiornata, Roma: Citta nuova, [2002]
Esamerone / Ambrogio; introduzione, traduzione e note a cura di Gabriele Banterle, Roma: Citta nuova,
2002, Collana di testi patristici; 164
Note Generali: Testo gia pubblicato in altre collane da cui riprende il c1979
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Inni / Ambrogio; testo latino traduzione ritmica a fronte a cura di Antonio Cordeschi, Giulianova: Italia
francescana, \2001!, Nova et vetera; 2
Note Generali: Testo orig. a fronte
Legami a titoli: [Supplemento di] L'Italia francescana
Ambrogio: invito alla lettura / \a cura! di Antonio Bonato, Cinisello Balsamo: San Paolo, \2001!, Scrittori di
Dio; 4
Note Generali: Scelta di scritti
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Debitori e usurai: dal De Tobia e dal De nabuthae di Ambrogio / a cura di Luciana Preti, Roma \etc.!:
Laterza, 2001, Leggere in latino
De officiis / Ambrose: edited with an introduction, translation, and commentary by Ivor J. Davidson, Oxford:
Oxford university, 2001, Oxford early Christian studies
Comprende: 2: Commentary 1: Introduction, text, and translation
5: Sancti Ambrosii Mediolanensis De officiis / cura et studio Mauritii Testard, Turnhout: Brepols, 2000,
Corpus Christianorum. Series Latina; 15
Fa parte di: Ambrosii Mediolanensis opera
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
De officiis / Ambrose: edited with an introduction, translation, and commentary by Ivor J. Davidson, Oxford:
Oxford university press, 2001, Oxford early Christian studies
Comprende: 1: Introduction, text, and translantion 2.: Commentary
Sobre las Virgenes y Sobre las Viudas / Ambrosio de Milan; introduccion, traduccion y notas de Domingo
Ramos-Lisson, Madrid: Ciudad Nueva, 1999, Fuentes Patristicas; 12
Note Generali: Testo orig. a fronte
5: Expositio psalmi 118. / [Ambrosius]; recensuit Michael Petschenig
Edizione: Editio altera supplementis aucta / curante Michaela Zelzer, Vindobonae: Osterreichische
Akademie der Wissenschaften, 1999, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Sancti Ambrosi opera
6: Explanatio psalmorum 12. / [Ambrosius]; recensuit Michael Petschenig
Edizione: Editio altera supplementis aucta / curante Michaela Zelzer, Vindobonae: Osterreichische
Akademie der Wissenschaften, 1999, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Sancti Ambrosi opera
Il bene della morte / sant'Ambrogio di Milano; a cura di Ernesto Mainoldi, Torino: Il leone verde, \1999!,
Biblioteca dell'anima; 11
Note Generali: Testo solo in italiano
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Inni / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Antonio Bonato, Milano: Fabbri, stampa 1999, I
classici dello spirito
Abraham / Ambroise de Milan; introduction par A.-G. Hamman; traduction par Claire Lavant (livre 1.) ... [et
al.], Paris: Migne, c1999, Les Peres dans la foi
Insegnami le tue vie: pensieri e esortazioni / Ambrogio di Milano; a cura di don Stefano Varnava, Bologna:
EDB, [1997]
Hymni / Ambrogio; con la Vita di Ambrogio, di Paolino da Milano; premessa del cardinale Carlo Maria
Martini; traduzioni di Luca Canali, Alpignano: Tallone, 1997
Note Generali: Ed. di 330 esempl., piu 82 esempl. numerati in numeri arabi, 45 esempl. numerati in numeri
romani e 29 esempl. numerati in numeri romani corsivi, stampati su tipi di carta diversi
In custodia
Tre inni per Natale / sant'Ambrogio; prefazione di Gianfranco Ravasi; [a cura di Rienzo Colla]
Edizione: 2. ed, Vicenza: La locusta, 1997
Note Generali: Le pp. 27-44 contengono pubblicita.
Trad. italiana a fronte
Ambrosius <santo>, Parole di Ambrogio di Milano / [testi a cura di O. Cavallo], [Milano]: Paoline, [1997]
Le meraviglie della Parola: dal Commento al salmo 118 / Ambrogio; a cura di Agostino Clerici; presentazione
di Bruno Maggioni, [Milano]: Paoline, [1997], La Parola e le parole
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146
12: Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.2. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione
note e indici di Giovanni Coppa
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1997
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Tre inni per Natale / sant'Ambrogio; prefazione di: Gianfranco Ravasi; [a cura di Rienzo Colla], Vicenza: La
locusta, 1997
Note Generali: Le p. 27-44 riportano il catalogo de La locusta, 1954-1997.
Il bene della morte: (De bono mortis) / Ambrogio di Milano; traduzione e note di Sergio Niceta Ernesto
Mainoldi; introduzione di Nettario, vescovo ortodosso, vicario di Milano, Torino: Il Leone Verde, 1997,
Biblioteca dell'anima
Inni / Ambrogio; con la Vita di Ambrogio di Paolino da Milano; premessa del cardinale Carlo Maria Martini;
traduzioni di Luca Canali e una nota su Ambrogio musico di Luciano Migliavacca, Locarno: A. Dado, \1997!, I
classici; 6
Inni / Ambrogio di Milano; a cura di Giacomo Biffi, Milano: Jaca Book, 1997, Gia e non ancora; 329
Note Generali: Trad. di G. Biffi, Inos Biffi
Meditiamo con sant'Ambrogio maestro di vita cristiana / a cura di Angelo Majo e Emilio Brambilla, Milano:
Massimo: NED, 1997
I misteri del rosario: antologia di testi & spunti di meditazione / sant'Ambrogio; a cura di Giuseppe Rigamonti
Edizione: 2. ed. riv. e aggiornata, Milano: Ares, [1997], Emmaus. N. S
Danieli, Irlando, Aeterne rerum conditor: per coro / Irlando Danieli; [Sant' Ambrogio]
Edizione: [Partitura], Milano: Rugginenti, c1997
Descrizione fisica: 1 partitura (6 p.); 31 cm.
Note Generali: Organico: Coro
Fa parte di: Composizioni scelte / Irlando Danieli
Migliavacca, Luciano, Ambrogio Hymni: Celebrazioni per i 16 secoli dalla morte di S. Ambrogio, Vesvovo di
Milano / Mons. Luciano Migliavacca, Alpignano, TO
Note Generali: Sul front.: Mons. Luciano Migliavacca nella Cattedrale di San Lorenzo in Lugano per la
presentazione di Ambrogio, Hymni.
Come gocce di rugiada: dagli scritti di s. Ambrogio / a cura di Bernardo Citterio, Pessano, MI
11: Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.1. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione
note e indici di Giovanni Coppa
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1996
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Inni natalizi / Ambrogio; prefazione di Carlo Carena; incisioni di Albrecht Durer; traduzione di Claudio
Casaccia, Novara: Interlinea, 1996, Nativitas
Note Generali: Testo orig. a fronte.
17: Spiegazione del credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, stampa 1996
Note Generali: Altro front. in latino: Explanatio symboli; De sacramentis; De mysteriis; De paenitentia /
recensuit Ottto Faller.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, c1996,
Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
Ambrosius <santo>, Preghiere / sant'Ambrogio; raccolte e commentate da Inos Biffi; prefazione di Carlo
Maria Martini
Edizione: 2. ed, Casale Monferrato: Piemme, 1996
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
147
Ambrosius <santo>, 1: I sei giorni della creazione / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Gabriele Banterle
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1996
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Opere esegetiche / sant'Ambrogio
La penitenza / Origene i. e. Ambrogio]; traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta
Edizione: 3. ed, Roma: Citta nuova, 1996, Collana di testi patristici
Zelzer, Michaela, 4: Indices et addenda / adiuvante Ludmilla Krestan, composuit Michaela Zelzer,
Vindobonae: Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum
Latinorum; 82/4
Fa parte di: 10: Epistulae et acta
Exameron: commento ai sei giorni della Creazione / Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Milano: TEA,
1995, TEA
Religioni e miti.
La verginita: le vergini, le vedove, pagine scelte sulla verginita / sant'Ambrogio; traduzione di Maria Luisa
Danieli, [Padova]: Banca Antoniana, [1995], I classici di Dio
Inni, iscrizioni, frammenti: Opere poetiche e frammenti / Sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... <et
al.>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1994, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della
Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
22: Inni, iscrizioni, frammenti: Opere poetiche e frammenti / sant'Ambrosio; a cura di Gabriele Banterle ... [et
al.], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1994
Note Generali: Testo orig. a fronte - Altro front. in latino: Hymni, inscriptiones, fragmenta.
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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22: Inni, iscrizioni, frammenti: opere poetiche e frammenti / sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... \et
al.!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1994
Note Generali: Testi orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Graumann, Thomas, Christus interpres: die Einheit von Auslegung und Verkundigung in der Lukaserklarung
des Ambrosius von Mailand / von Thomas Graumann, Berlin [etc.]: W. de Gruyter, 1994, Patristische Texte
und Studien
Soggetti: Ambrogio <santo>. Expositio Evangelii secundum Lucam
Classificazione: 226.406 - Vangeli e Atti degli Apostoli. Luca.Interpretazione e critica (Esegesi).
Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents, Thesaurus
Sancti Ambrosii / curante CETEDOC, Turnhout: Brepols, 1994
Descrizione fisica: XXXII, 505 p.; 32 cm; 11x15 cm., in raccoglitore a fogli mobili. + 87 microfiches, Corpus
christianorum. Thesaurus patrumlatinorum. Series A. Formae
Universite catholique <Louvain-la-Neuve> :Centre de traitement electronique desdocuments
Soggetti: Ambrogio <santo> - Opere - Spogli lessicali
Ambrosius <santo>, Inni; Iscrizioni; Frammenti / sant'Ambrogio; a cura di Gabriele Banterle ... [et al.], Milano:
Biblioteca Ambrosiana, 1994, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca
Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
Fa parte di: Opere poetiche e frammenti / sant'Ambrogio.
Ambrosius <santo>, Des sacrements; Des Mysteres; Explication du Symbole / Ambroise de Milan;
introduction, texte, traduction, notes et index par Bernard Botte
Edizione: 2. reimpression de la 2. ed, Paris: Les editions du cerf, 1994, Sources chretiennes
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Ambrosius <santo>, 2: Livres 2.-3. / Saint Ambroise; texte etabli, traduit et annote par Maurice Testard,
Paris: Les belles lettres, 1992, Collection des universites de France. Ser.latine
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Les devoirs / Saint Ambroise; texte etabli, traduit et annote par Maurice Testard
Ambrosius <santo>, Inni / s. Ambrogio; introduzione, traduzione e commento di Antonio Bonato, Torino:
Edizioni paoline, \1992!, Letture cristiane del primo millennio; 12
Ambrosius <santo>, Inni / Ambrogio di Treviri; introduzione di Carlo Carena, Milano: Mondadori, 1992, Oscar
poesia
Note Generali: Testo latino a fronte
Hymnes / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote sous la direction de Jacques Fontaine par J. L.
Charlet ... [et al.], Paris: Les editions du cerf, 1992, Patrimoines. Christianisme
Inni / Ambrogio; traduzione di Mario Santagostini; introduzione di Carlo Carena, Milano: A. Mondadori, 1992,
Oscar poesia
Note Generali: Testo orig. a fronte.
13: I doveri: Opere morali 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; [textum
post I. G. Krabinger Gabriele Banterle recognovit]
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1991
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Ambrosius<santo>, 2: Epistularum libri 7.-8. / \Ambrosius!; post Ottonem Faller recensuit Michaela Zelzer,
Vindobonae: Hoelder \ecc.!, 1990, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82
Fa parte di: Epistulae et acta
2: Epistularum libri 7.-9. / post Ottonem Faller recensuit Michaela Zelzer, Vindobonae: Hoelder; Pichler;
Tempsky, 1990, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/2
Fa parte di: 10: Epistulae et acta
De sacramentis; De mysteriis / Ambrosius; ubersetzt und eingeleitet von Josef Schmitz, Freiburg |etc.|:
Herder, 1990, Fontes christiani: zweisprachige Neuausgabechristlicher Quellentexte aus Altertum
undMittelalter
14.1: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca
Ambrosiana, 1989
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
14.2: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca
Ambrosiana, 1989
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori, 1989
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Comprende: 1 2
1, 1989
Fa parte di: Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori
2, 1989
Fa parte di: Verginita e vedovanza / introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori
Ambrosius <santo>, 2: Verginita e vedovanza / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note ed indici di
Franco Gori; [textum post Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano: Biblioteca
Ambrosiana, 1989, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana
;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario
dell'elezione e
Fa parte di: Opere morali / sant'Ambrogio
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Comprende: 2.2: Verginita e vedovanza] / sant'Ambrogio ;introduzione, traduzione, note ed indici diFranco
Gori; textum post Egnatium Cazzanigaet Maurinam editionem F. Gori recognovit]
2.1: Verginita e vedovanza] / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note ed indici diFranco Gori; textum
post Egnatium Cazzanigaet Maurinam editionem F. Gori recognovit]
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14.1: Verginita e vedovanza: Opere morali 2.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Franco Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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Verginita e vedovanza / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori; <textum post
Egnatium Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1989,
Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal
cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Tutte le opere di Sant'Ambrogio. Operemorali
Comprende: 1.: 322 p 2.: 319 p
Inni / Ambrogio; a cura di Manlio Simonetti, Firenze: Nardini, Centro internazionale del libro, [1988],
Biblioteca patristica
Note Generali: Segue: Inni genericamente detti ambrosiani.
Trad. italiana a fronte
Discorsi e lettere 2,2: lettere (36-69) / sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e indici di Gabriele
Banterle, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1988, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura
della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione
del 16.centenario dell'elezione e
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
19: Lettere (1-35): Discorsi e Lettere 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele
Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
2: Lettere / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca
Ambrosiana, 1988
Descrizione fisica: 3 v.; 24 cm.
Titolo uniforme: Epistulae
Fa parte di: Discorsi e lettere / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle
Comprende: 2.1: 1-35 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [recensuit
Otto Faller]
2.2: 36-69 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [volumen secundum
editionem PatrumMaurinorum, (PL 16)]
2.3: 70-77 / sant'Ambrogio; introduzione,traduzione, note e indici di GabrieleBanterle; [recensuit Michaela
Zelzer]
19: Discorsi e lettere 2.1: lettere (1-35) / sant'Ambrogio; introduzione, trraduzione, note e indici di Gabriele
Banterle, Roma: Citta nuova, 1988, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca
Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
20: Lettere (36-69): Discorsi e Lettere 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele
Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
21: Lettere (70-77): Discorsi e Lettere 2.3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele
Banterle; [recensuit Michaela Zelzer], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1988
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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Preghiere / sant'Ambrogio; raccolte e commentate da Inos Biffi; prefazione di Carlo Maria Martini, Milano;
Casale Monferrato, 1987
9: Commento al Salmo 118 (lettere 1-11): Opere esegetiche 8.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione,
note e indici di Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987, Tutte le
opere di sant'Ambrogio; 9
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
9: Commento al Salmo 118. (Lettere 1.-11.): Opere esegetiche 8.1. / sant'Ambrogio; introduzione,
traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato; \recensuit Michael Petschenig!, Milano: Biblioteca
Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Ambrosius <santo>, 10: Commento al Salmo 118. (Lettere 12.-22.): Opere esegetiche 8.2. / sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato; \recensuit Michael Petschenig!, Milano:
Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Ambrosius<santo>, La penitenza / Ambrogio; traduzione introduzione e note a cura di Eugenio Marotta
Edizione: 2. ed. ampliata, Roma: Citta nuova, 1987, Collana di testi patristici; 3
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La penitenza / [Di] Ambrogio; Traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta
Edizione: 2. ed, Roma: Citta' Nuova, 1987, Collana di testi patristici
La storia di Naboth / Ambrogio; introduzione, commento, edizione critica, traduzione a cura di Maria Grazia
Mara
Edizione: 2. ed, L'Aquila [etc.]: L. U., 1985, Collana di testi storici
6: Elia e il digiuno, Naboth, Tobia: Opere esegetiche 6 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e
indici di Franco Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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Discorsi e lettere 1: le orazioni funebri / sant'Ambrogio; introduzione trad ruzione note e indici di Gabriele
Banterle, Roma: Citta nuova, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca
Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
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Ambrosius <santo>, 6: Elia e il digiuno; Naboth; Tobia: Opere esegetiche 6. / sant'Ambrogio; introduzione,
traduzione, note e indici di Franco Gori; [textum post Carolum Schenkl Franciscus Gori recognovit], Milano:
Biblioteca Ambrosiana, 1985
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
18: Le orazioni funebri: Discorsi e Lettere 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
1: Le orazioni funebri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit
Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura
della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione
del 16.centenario dell'elezione e
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Fa parte di: Discorsi e lettere / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle
Elia e il digiuno: Naboth: Tobia: Opere esegetiche 6. / Sant'Ambrogio; introduzione note e indici di Franco
Gori, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1985, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della
Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
15.: La fede: Opere dogmatiche 1. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio
Moreschini; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984
Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche
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2.1: Il paradiso terrestre, Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione,
note e indici di Paolo Siniscalco, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984
Contiene:De Noe
Tit. della cop.:Il paradiso terrestre, Caino e Abele, Noe.
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
[Pubblicato con] Noe / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Angela Pastorino.
[Variante del titolo] Opere esegetiche
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Abramo: Opere esegetiche 2.2 Abramo / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione note e indici di Franco
Gori, Roma: Citta nuova editrice, 1984, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della
Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
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2.1: Il paradiso terrestre; Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione,
note e indici di Paolo Siniscalco; [recensuit Carolus Schenkl], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
15: La fede: Opere dogmatiche 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio
Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984
Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: De fide / recensuit Otto Faller.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
2.2: Abramo: Opere esegetiche 2.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Franco Gori;
[textum post Carolum Schenkl Franciscus Gori recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Il paradiso terrestre; Caino e Abele: Opere esegetiche 2.1. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e
indici di Paolo Siniscalco, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1984, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Noe / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Agostino
Pastorino
1: Introduction; Livre 1. / Saint Ambroise, Paris: Les belles lettres, 1984
Fa parte di: Les devoirs
Inni di s. Ambrogio: testo latino e traduzioni a confronto / [a cura di] Gino Molon, Milano: NED, c1983
Note Generali: In appendice: Il Vangelo di s. Luca secondo la liturgia ambrosiana. [[I
8: Commento al salmo 118. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Luigi Franco Pizzolato;
\recensuit Michael Petschenig!, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1987
Titolo uniforme: In psalmum centesimum octavum decimum sermo. Comprende: 8.1: Lettere 1.-11. Commento al salmo 118.] /sant'Ambrogio; introduzione, traduzione,note e
indici di Luigi Franco Pizzolato ;recensuit Michael Petschenig]
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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8.2: Lettere 12.-22. / sant'Ambrogio ;introduzione, traduzione, note e indici diLuigi Franco Pizzolato;
[recensuit MichaelPetschenig]
17.: Spiegazione del credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / Sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle; [recensuit Otto Faller], Milano: Biblioteca
Ambrosiana, 1982
Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche
3: Epistularum liber decimus; Epistulae extra collectionem; Gesta Concili Aquileiensis / recensuit Michaela
Zelzer, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1982, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/3
Fa parte di: 10: Epistulae et acta
3: Isacco o l'anima, Il bene della morte: Opere esegetiche 3 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note
e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
17: Spiegazione del Credo; I Sacramenti; I misteri; La Penitenza: Opere dogmatiche 3 / Sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
3: Isacco o l'anima; Il bene della morte: Opere esegetiche 3. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note
e indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982
P. 212-409, con proprio front. in italiano e latino: Giacobbe e la vita beata; Giuseppe / introduzione,
traduzione, note e indici di Roberto Palla.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
17: Spiegazione del Credo; I sacramenti; I misteri; La penitenza: Opere dogmatiche 3. / sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982
Note Generali: Altro front. in latino: Explanatio symboli; De sacramentis; De mysteriis; De paenitentia /
recensuit Otto Faller.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Sulle vergini / Ambrogio; introduzione e note di Pierfranco Beatrice, Padova: EMP, [1982], Classici dello
spirito
Classici dello spirito. Patristica
Isacco o l'anima: il bene della morte: Opere esegetiche 3. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e
indici di Claudio Moreschini, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Spiegazione del credo: i sacramenti: i misteri: la penitenza: Opere dogmatiche 3 / sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana Citta Nuova
editrice, 1982, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana
;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario
dell'elezione e
3.: Isacco o l'anima; Il bene della morte: Opere esegetiche 3. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note
e indici di Claudio Moreschini; [recensuit Carolus Schenkl], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1982
Note Generali: Altro front. a pag. 213. Tit. dalla cop.: Isacco o l'anima; Il bene della morte; Giacobbe e la vita
beata; Giuseppe
Fa parte di: Opere esegetiche
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Giuseppe / sant'Ambrogio
[Pubblicato con] Il bene della morte / Sant'Ambrogio.
[Pubblicato con] Isacco o l'anima / Sant'Ambrogio
[Pubblicato con] Giacobbe e la vita beata
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[Variante del titolo] Isacco o l'anima
Hymni / traduzione di Giovanni Battista Pighi; introduzione di Gabriele Banterle; illustrazioni di Eugenio
Tomiolo, Verona: Fiorini, 1982, Strenne Fiorini
Note Generali: Ed. di 259 esempl. composti a mano, dedicati ad personam agli amici dell'editore, contenenti
8 tav. firmate.
5: Apologia del profeta David a Teodosio Augusto; Seconda apologia di David: Opere esegetiche 5. /
sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Filippo Lucidi, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1981
Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: De apologia prophetae David ad Theodosium Augustum;
Apologia David altera / recensuit Carolus Schenkl.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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Apologia del profeta David a Teodosio Augusto: seconda apologia di David: Opere esegetiche 5. /
Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione note e indici di Filippo Lucidi, Milano; Biblioteca Ambrosiana; Roma,
1981, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal
cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Il giardino piantato a Oriente: De paradiso / s. Ambrogio; introduzione di Umberto Mattioli; traduzione e note
di Carlo Mazza, Roma: Edizioni paoline, [1981], Letture cristiane delle origini. Testi
Commento ai dodici salmi / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note e ind ici di Luigi Franco Pizzolato,
Roma: Citta Nuova editrice, 1980, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a cura della Biblioteca
Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in occasione del
16.centenario dell'elezione e
Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.1. / Sant'Ambrogio; intoduzione traduzione note e indici di
Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1980, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
4: I patriarchi, La fuga dal mondo, Le rimostranze di Giobbe e di Davide: Opere esegetiche 4 /
Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana,
1980
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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7: Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1980
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
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8: Commento a dodici salmi: Opere esegetiche 7.2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1980
Note Generali: Testo orig. a fronte
Altro front. in latino con il tit.: Explanatio psalmorum 12
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Autore: Cyprianus, Caecilius Thascius <205 ca.-258; santo>
Sur la mort (De mortalitate) / Cyprien de Carthage . La mort est un bien (De bono mortis) / Ambroise de
Milan / introduction de Philippe Aries; traduction de Marie-Helene Stebe et de Pierre Cras, Paris: Desclee De
Brouwer, (1980), 1980, Les Peres dans la foi
Commento a dodici Salmi: Opere esegetiche 7.2 / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Luigi Franco Pizzolato, Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta Nuova, 1980, Tutte le opere di
sant'Ambrogio; 8
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Des sacrements; Des mysteres; Explication du Symbole / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote
par Bernard Botte
Edizione: Reimpression de la 2. ed, Paris: Les editions du cerf, 1980, Sources chretiennes; 25 bis
16.: Lo spirito santo: Opere dogmatiche 2. / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio
Moreschini; textum post Ottonem Faller; Claus Moreschini recognovit, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979
Note Generali: Altro front. a pag. 357. Tit. della cop.: Lo spirito santo; Il mistero dell'incarnazione del Signore
Fa parte di: 15.-17.: Opere dogmatiche
Opere dogmatiche 2: lo spirito santo / sant'Ambrogio; introduzione traduzione dunote e indici di Claudio
Moreschini, Roma: Citta nuova, 1979
Contiene:De incarnationis dominicae sacramento
Tit. della cop.: Lo spirito santo,Il mistero dell'incarnazione del Signore.
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Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, stampa
1979, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica; 10
16: Lo Spirito Santo: Opere dogmatiche 2. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di Claudio
Moreschini; introduzione, traduzione, note e indici di Enzo Bellini, Milano, 1979
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Il mistero dell'incarnazione del Signore / sant'Ambrogio
[Titolo parallelo] De incarnationis dominicae sacramento
1: I sei giorni della creazione: Opere esegetiche 1 / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979, Tutte le opere di sant'Ambrogio / edizionebilingue a
cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo di Milano, in
occasione del 16.centenario dell'elezione e
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1: Exameron / recensuit Carolus Schenkl; I sei giorni della creazione. Opere esegetiche, 1. / introduzione,
traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
Lo Spirito santo / [Sant'Ambrogio]; intr. trad. e note di Claudio Moreschini, Milano: Ambrosiana, 1979
1: I sei giorni della creazione: Opere esegetiche 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione, note e indici di
Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1979
Note Generali: Testo originale a fronte.
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
1: Epistularum libri 1.-6. / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.]. 1978, Corpus
scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Epistulae et acta
Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.1./ Sant'Ambrogio; introduzione traduzione note
e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1978, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
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Esposizione del vangelo secondo Luca: Opere esegetiche 9.2. / Sant'Ambrogio; introduzione traduzione
note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca ambrosiana, 1978, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
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11: Esposizione del Vangelo secondo Luca: [libri 1.-5.]: Opere esegetiche 9.1. / sant'Ambrogio; introduzione,
traduzione, note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1978
Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: Expositionis Evangelii secundum Lucam libri 1.-5. / textum post
Marcum Adriaen Ioannes Coppa recognovit.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
12: Esposizione del Vangelo secondo Luca: [libri 6.-10.]: Opere esegetiche 9.2. / sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Giovanni Coppa, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1978
Note Generali: Altro front. in latino con il tit.: Expositionis Evangelii secundum Lucam libri 6.-10. / textum post
Marcum Adriaen Ioannes Coppa recognovit.
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
12.: Esposizione del vangelo secondo Luca: [libri 6.-10.]: Opere esegetiche 9.2 / Sant'Ambrogio;
introduzione, traduzione, note e indici di Giovanni Coppa; [textum post Marcum Adriaen; Ioannes Coppa
recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana: Roma: Citta Nuova, 1978
Note Generali: Altro front. in latino
Fa parte di: Opere esegetiche
13: I doveri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle, Milano: Biblioteca
ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1977
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Opere morali
Apologie de David / Ambroise de Milan; introduction, texte latin, notes et index par Pierre Hadot; traduction
par Marius Cordier, Paris: Les editions du cerf, 1977, Sources chretiennes; 239
13: I doveri: Opere morali 1. / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle, Milano:
Biblioteca Ambrosiana, 1977
Testo orig. a fronte
Fa parte di: Tutte le opere di sant'Ambrogio
I Doveri / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; <textum post I.G. Krabinger,
Gabriele Banterle recognovit>, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1977, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Tutte le opere di Sant'Ambrogio. Operemorali
1: I doveri / sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Gabriele Banterle; textum post I. G. Krebinger
Gabriel Banterle recognovit], Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1977, Tutte le opere di sant'Ambrogio /
edizionebilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana ;promossa dal cardinale Giovanni Colombo,arcivescovo
di Milano, in occasione del 16.centenario dell'elezione e
Titolo uniforme: De officiis ministrorum
Fa parte di: Opere morali / sant'Ambrogio
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Autore: Nazzaro, Antonio V.
Esordio e chiusa delle omelie esameronali di Ambrogio / A. V. Nazzaro, Roma: Institutum Patristicum
Augustinianum, 1974
Le verginita; Le vergini; Le vedove: pagine scelte sulla verginita / sant'Ambrogio; traduzione, introduzione e
note a cura di Maria Luisa Danieli, Roma: Citta nuova, [1974]
Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secoloIV: L'esegeta e il maestro di vita spirituale / [Di]
Ambrogio di Milano; Passi scelti a cura di GemmaMarchesi, Milano: Jaca book, 1974
Trad. italiana a fronte
La verginita': Le vergini, Le vedove, Pagine scelte sulla verginita' / [Di] sant'Ambrogio; Traduzione,
introduzione e note a cura di Maria Luisa Danieli, Roma: Citta' nuova, 1974
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De mysteriis / Sancti Ambrosii, [S. l.: s. n.], stampa 1974, Typis Polyglottis Vaticanis
Ambrogio di Milano: il mistero dell'Incarnazione del Signore: un vescovo del secolo 4. presenta la sua
meditazione su Gesu Cristo Dio e uomo / testo latino di O. Faller; introduzione, traduzione e note a cura di
Enzo Bellini, Milano: Jaca book, [1974], Teologia
Ambrogio di Milano: aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita
spirituale / passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca book, (1974), 1974, Teologia
Il mistero dell'incarnazione del Signore: un vescovo del secolo 4. presenta la sua meditazione su Gesu
Cristo Dio e uomo / Ambrogio di Milano; testo latino di O. Faller; introduzione, traduzione e note a cura di
Enzo Bellini, Milano: Jaca book, [1974], Teologia. Fonti
Letture dalle opere di s. Ambrogio: nel 16. centenario della elezione episcopale, Milano: Banca lombarda di
depositi e conti correnti, 1974
La penitenza / Ambrogio; traduzione, introduzione e note a cura di Eugenio Marotta, Roma: Citta nuova,
[1976], Collana di testi patristici
Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita spirituale / Ambrogio
di Milano; passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca Book, [1974], Teologia
Aspetti del ministero pastorale di un vescovo del secolo 4.: l'esegeta e il maestro di vita spirituale / Ambrogio
di Milano; passi scelti a cura di Gemma Marchesi, Milano: Jaca book, [1974], Teologia
La storia di Naboth / Ambrogio; introduzione, commento, edizione critica, traduzione a cura di Maria Grazia
Mara, L'Aquila: L. U. Japadre, [1975], Collana di testi storici
La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; nota giustificativa di don Giueppe De Luca; premessa di don
Angelo Paredi, Brescia: Morcelliana, [1973], Fuochi
Note Generali: Trad. di Luciano Dalle Molle.
Wybor pism: O pokucie, O ucieczce od swiata, O dobrach przynoszonych przez smierc / Tlumaczenie W.
Szoldrski; Wstep. C. A. Guryn; Opracowanie C. A. Guryn i E. Stanula, Warszawa: Akad. Teologii Katolickiej,
1971
Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy
Seven exegetical works / saint Ambrose; translated by Michael P. Mchugh, Washington: The Catholic
University of America Press, c1972, The Fathers of the Church
Note Generali: Cont.: Isaac, or the soul, Death as a Good, Jacob and the happy life, Joseph, The patriarchs,
Flight from the world, The prayer of Job and David.
Autore: Lo Menzo Rapisarda, Grazia
La personalita di Ambrogio nelle epistole 17. e 18. / Grazia Lo Menzo Rapisarda, [Catania]: Centro di studi
sull'antico cristianesimo; Universita di Catania, 1973
Note Generali: Contiene il testo delle epistole
La penitence / Ambroise de Milan; texte latin. introduction, traduction et notes de Roger Gryson, Paris: Les
editions du Cerf, 1971, Sources chretiennes; 179
Hexaemeron / Tlumaczyl W. Szoldrski; Opatrzyl wstepem A. Bogucki; Opracowal W. Myszor, Warszawa:
Akad. Teologii Katolickiej, 1969
Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy
Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, [Torino]: Unione tipografico-editrice torinese, 1969,
Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
1: Epistularum libri 1.-6. / recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1968, Corpus
scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 82/1
Fa parte di: 10: Epistulae et acta
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Opere / Sant'Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Torino: Utet, 1969, Classici UTET. Classici delle religioni
Autore: Symmachus, Quintus Aurelius
Simmaco: La relazione sull'altare della vittoria, S. Ambrogio: Epistole 17. e 18., Prudezio: Contro Simmaco:
traduzioni: anno accademico 1969-1970, Urbino: STEU, 1970
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Urbino, Facolta di Magistero, Materie letterarie
Opere / Sant'Ambrogio; a cura di Giovanni Coppa, Torino: UTET, 1969, Classici delle religioni. Sez. 4, La
religionecattolica
14: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia..
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, (1969), 1969
Note Generali: Ripr. facs. dell. ed. 1845.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Opere di Sant'Ambrogio / a cura di Giovanni Coppa, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1969!,
Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
I Sacramenti / Sant'Ambrogio, Torino: Unione tipografica editrice torinese, c1968
Ambrosii De Tobia / saggio introduttivo, traduzione con testo a fronte di Marta Giacchero, Genova: Ist. di
filologia classica e medioevale dell'Universita, 1965, Pubblicazioni dell'Istituto di filologiaclassica e medievale
dell'UniversitW1A0a diGenova
Note Generali: In testa al front.: Universita di Genova, Facolta di lettere.
1: Tratado sobre el Evangelio de San Lucas / [San Ambrosio]; edicion preparada por Manuel Garrido
Bonano, Madrid: La editorial catolica, 1966, Biblioteca de autores cristianos
Note Generali: Testo in spagnolo e latino.
Fa parte di: Obras de San Ambrosio: edicion bilingue
15: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia..
Edizione: Rimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontificii, [1967]
Note Generali: Ripr. facs.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
16: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia..
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, [1966]
Note Generali: Ripr. facs.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
17: Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi opera omnia..
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig, Turnholti: Typographi Brepols editores pontifici, [1967]
Note Generali: Ripr. facs.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Battesimo e professione di fede / catechesi di Sant'Ambrogio tradotta e presentata da Giulio M. Signori
OSM, Sotto il Monte: Centro di studi ecumenici di S. Egidio, 1966, Letture ecumeniche
Traites sur l'ancien testament / Saint Ambroise; textes choisis, traduits et presentes par le Dr. Denys Gorge,
Namur: Les editions du soleis levant, [1967], Les ecrits des saints; 397
Theological and dogmatic works / saint Ambrose; translated by Roy J. Deferrari, Washington: The Catholic
University of America press, c1963, The Fathers of the Church
9: De Spiritu Sancto libri tres; De incarnationis dominicae sacramento / recensuit Otto Faller, Vindobonae:
Hoelder-Pichler-Tempsky, 1964, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Sancti Ambrosi opera
L' innologia cristiana antica: S. Ambrogio e i suoi imitatori / a cura di! Ettore Bolisani, Padova: Tip. antoniana,
imprim. 1963
Note Generali: Testo latino con trad. italiana a fronte
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Inni di sant'Ambrogio / introduzione e versione con testo a fronte di Lucia Sollazzo, Parma: Guanda, 1964,
Piccola fenice
Eterno sacerdozio / s. Ambrogio; a cura di Rhaudenses, Milano: Ancora, 1963
Note Generali: Antologia da varie opere.
Hexameron; Paradise; and, Cain and Abel / saint Ambrose; translated by John J. Savage, Washington: The
Catholic University of America press, c1961, The Fathers of the Church
Sancti Ambrosii De bono mortis, Torino: G. Giappichelli, 1961
De bono mortis / Sant'Ambrogio; introduzione, traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: G. Giappichelli,
stampa 1961, Pubblicazioni della Facolta di Magistero /Universita di Torino
8: De fide [ad Gratianum Augustum] / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.], 1962,
Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Sancti Ambrosi opera
1: Exameron; De Paradiso; De Cain et Abel; De Noe; De Abraham; de Isaac; de bono mortis . / recensuit
Carolus Schenkl
Edizione: Riat. anast, New York etc.! :Johnson reprint corporation, 1962
Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae etc.!: F. Tempsky, 1897
Fa parte di: Sancti Ambrosii opera
2: De Jacob; De Joseph; De Patriarchis; De fuga saeculi; De interpretatione Job et David; De apologia
David; Apologia David altera; De Helia et Ieiunio; De Nabuthae; De Tobia / recensuit Carolus Schenkl
Edizione: Rist. anast, New York etc.!: Johnson Reprint Corporation, 1962
Note Generali: Ripr facs. dell'ed: Vindobonae etc.!: F. Tempsky, 1897
Fa parte di: Sancti Ambrosii opera
On the sacraments / Saint Ambrose; the latin text edited by Henry Chadwick, London: Mowbray, 1960
De bono mortis / Ambrosius, Torino: Giappichelli, 1961
Des sacrements; Des mysteres / Ambroise de Milan; texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte
Edizione: Nouvelle ed. revue et augmentee de L'explication du symbole, Paris: Les editions du cerf, 1961,
Sources chretiennes; 25 bis
Note Generali: Testo lat. a fronte
4: Expositio Evangelii secundum Lucam; Fragmenta in Esaiam, Turnholti: Brepols, 1957, Corpus
Christianorum. Series Latina
Fa parte di: Ambrosii Mediolanensis opera
De fuga saeculi / Ambrosius; traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: Giappichelli, 1959, Pubblicazioni
della Facolta di Magistero /Universita di Torino
7: Explanatio symboli; De sacramentis; De Mysteriis; De paenitentia; De excessu fratris; De obitu
Valentiniani; De obitu Theodosii / [Ambrosius]; recensuit Otto Faller, Vindobonae: Hoelder [ecc.], 1955,
Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: Sancti Ambrosi opera
The New Testament text of Saint Ambrose / by R. W. Muncey, Cambridge: at the University Press, 1959,
Texts and studies: Contibutions to Biblicaland Patristic literature. New Series
Note Generali: Ricostruzione da citazioni di S. Ambrogio.
De fuga saeculi / Sant'Ambrogio; traduzione e note di Felicita Portalupi, Torino: G.Giappichelli, stampa 1959,
Pubblicazioni della Facolta di Magistero /Universita di Torino
Opera, Vindobonae: Hoelder, 1955- .
Autore: Gregorius: Nazianzenus <santo>
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Funeral orations / by saint Gregory Nazianzen and saint Ambrose; translated by Leo P. McCauley ... [et al.];
with an introduction on the early christian funeral oration by Martin R. P. McGuire, Washington: The Catholic
University of America Press, c1953, The Fathers of the Church
Letters [1-91] / saint Ambrose; translated by Mary Melchior Beyenka, Washington: The Catholic University of
America Press, c1954, The Fathers of the Church
Des Sacrements. Des Mysteres / Texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte, Paris: Editions du Cerf,
1950, Sources chretiennes
Autore: Gambi, Valentino Ambrogio
Il segreto del tuo nome / Gambi Valentino Ambrogio, Vicenza: Ed. Paoline, 1953
De virginitate: liber unus / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum:
In aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1952, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
De Nabuthe: Des hl. Kirchenvaters Ambrosius Warnung vor d. Habsucht u. Mahnung zum Almosengeben.
Ubersetzt und mit Erl. versehen / Bearb. von Joseph Huhn, Freiburg: Caritasverlag, 1950, Quellen zur
Geschichte der Caritas
S. Ambrosii mediolanensis episcopi de virginitate liber unus / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: in
aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, 1954, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; nota giustificativa di Giuseppe De Luca; premessa di Angelo
Paredi; traduzione di Luciano Dalle Molle, Brescia: Morcelliana, 1952, Fuochi. Ser. 3
La storia di Nabot di Jezrael / Sant'Ambrogio; a cura di Giuseppe De Luca e Angelo Paredi; traduzione di
Luciano Dalle Molle, Brescia: Morcelliana, 1952, Fuochi
Scritti sulla verginita / Sant'Ambrogio; a cura di M. Bianco
Edizione: 2. ed, Roma: Paoline, stampa 1954, Il fiore dei santi padri, dottori e scrittoriecclesiastici; 5
S. Ambrosii Mediolanensis episcopi De virginitate liber unus / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum
[etc.!: in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1952, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
De virginitate liber unus / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum:
in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1954, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
Des Sacrements. Des Mysteres / Texte etabli, traduit et annote par Bernard Botte, Paris: Editions du Cerf,
1949, Sources chretiennes
Note Generali: Testo lat. con trad. franc. a fronte.
S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi De virginibus libri tres / edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum
[etc.]: in aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
De virginibus: libri tres / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: In
aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
La fede / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: Cantagalli, stampa 1948, I classici
cristiani
Fa parte di: La cattedra: classici cristiani, enciclopedie dei santi, scritti e discorsi dei papi
La fede / [traduzione dal latino] a cura di Angelo Puccetti, Siena: Ed. Cantagalli, 1948, I classici cristiani. La
cattedra
De virginibus libri tres / S. Ambrosii Mediolanensis Episcopi; edidit Egnatius Cazzaniga, Aug. Taurinorum: in
aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1948, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
Sancti Ambrosii Liber De consolatione Valentiniani: a text with a traslat ion, introduction and commentary / A
dissertation ... by Thomas A. Kelly, Washington: The Catholic university of America press, 1940, The
Catholic University of America. Patristicstudies
Note Generali: Con il testo orig. a fronte.
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Titolo uniforme: De obitu Valentiniani
Scritti sulla verginita / sant'Ambrogio; a cura di M. I. Bianco, Alba [etc.]: Pia Societa San Paolo, stampa 1941,
Il fiore dei santi padri, dottori e scrittoriecclesiastici
De officiis: libri tres / sancti Ambrosii Mediolandnesis episcopi; Edidit Ioannes Tamiettius
Edizione: 4. Ed, Torino, etc.
Tamietti, Giovanni
Sancti Ambrosii mediolanensi episcopi De officiis libri tres / edidit Ioannes Tamiettius
Edizione: 5. ed, Torino: Societa Editrice Internazionale, stampa 1943
De officiis: libri tres / sancti Ambrosii; edidit Ioannes Tamiettius
Edizione: 5. ed, Torino [etc.]: Societa Editrice internazionale, stampa 1943
Liber De Consolatione Valentiniani / A text with a transl., introd. and commentary; A dissertation ... by
Thomas A. Kelly, Washington: Catholic University of America Press, 1940, The Catholic University of
America. Patristicstudies
Della verginita / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: Ezio Cantagalli, [1940], I
classici cristiani
Gli inni di S. Ambrogio / commento del Giuseppe Del Ton, Como: La Scuola Cattolica, 1940
Dei doveri degli ecclesiastici / [Di] sant'Ambrogio; Testo, introduzione, versione e note di Antonio Cavasin,
Torino: Societa' Editrice Internazionale, 1938, Corona patrum salesiana
Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi de officiis: libris tres / edidit Ioannes Tamiettius
Edizione: 5. ed, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1936
L' Esamerone, ossia, Dell'origine e natura delle cose / [Di] sant'Ambrogio; Testo con introduzioni, versione e
commento di Emiliano Pasteris, Torino: Societa' Editrice Internazionale, 1937, Corona patrum salesiana
Dei doveri degli ecclesiastici / sant'Ambrogio; testo, introduzione, versione e note del sac. Antonio Cavasin,
Torino: Societa editrice internazionale, 1938, Corona patrum salesiana. Serie latina; 5
Note Generali: Testo orig. a fronte
Scritta sulla verginita / sant'Ambrogio; testo, introduzione e note di M. Salvati, Torino: Societa editrice
internazionale, 1939, Corona patrum salesiana. Serie latina
Note Generali: Testo orig. a fronte.
L' Esamerone: ossia dell'origine e natura delle cose / sant'Ambrogio; testo con introduzioni, versione e
commento di mons. dr. Emiliano Pasteris, Torino: Societa editrice internazionale, 1937, Corona patrum
salesiana. Serie latina; 4
Note Generali: Testo orig. a front
Della verginita / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Angelo Puccetti, Siena: E. Cantagalli, c1939, I classici
cristiani; 74
De officiis ministrorum / S. Ambrogio di Milano; a cura del P. Domenico Bassi, Siena: Cantagalli, 1936, I
classici cristiani
Della verginita' / [Di] S. Ambrogio di Milano; A cura di Angelo Puccetti, Siena: Cantagalli, 1939, I classici
cristiani
De officiis ministrorum: Liber tertius. A cura di M. Serra Zanetti, Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1938,
Scrittori latini commentati per le scuole
Dei doveri degli ecclesiastici: Testo [in italiano e in latino], introduzione, versione e note di Antonio Cavasin,
Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1938, Corona patrum salesiana. Serie latina
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L' esamerone: Ossia dell'origine e natura delle Cose. Testo con introduzioni, versione e commento di
Emiliano Pasteris, Torino: Soc. Ed. Internazionale, 1937
Scritti sulla verginita / sant'Ambrogio; testo, introduzione e note di M. Salvati, Torino: Societa editrice
internazionale, 1939, Corona patrum salesiana. Serie latina; 6
Note Generali: Trad. italiana a fronte
L' exameron / Sant'Ambrogio; versione di Luigi Asioli, Milano: Hoepli, 1930
S. Ambrosii De Tobia: a commentary with an introduction and translation / by Lois Miles Zucker, Washington:
The Catholic University of America, 1933, The Catholic University of America. Patristicstudies
Della verginita e dei vergini: A cura di Anna Cristofoli, La Santa, Milano
(La) voce dei SS. Padri: brani patristici scelti di dottrina ed eloquenza sacra quali fonti per la predicazione,
cronologicamente ordinati con proemi storici. Vol. IV, tradotto e annotato dal prof. A. Aureli, L'ultima battaglia
pel trionfo della croce. [Contiene: Vita ed opere di L. C. Firmiano Lattanzio, S. Ilario, S. Ambrogio, S.
Zenone, S. Gaudenzio, Sant'Eusebio, S. Girolamo], Milano: F. Vallardi Edit. Tip., 1931
Scripta Selecta Minucii Felicis, Lactanctii, S. Ambrosii, S. Augustini, s. Hieronymi: Pagine interessanti del
cristianesimo / Con introduzione e note di Cesare verlato, Milano: A. Vallardi, 1933, Corpus scriptorum
Romanorum
De virginibus / S. Ambrosii; ad praecipuorum codicum fidem recensuit Otto Faller, Bonnae: P. Hanstein,
1932, Florilegium patristicum tam veteris quam mediiaevi auctores complectens. - Bonnae:
Il pensiero cristiano: Pagine scelte di Minucio Felice, Lattanzio, S. Ambrogio, S. Agostino, s. Gerolamo ad
uso dei licei, per cura di Sisto Colombo
Edizione: Seconda edizione corretta e aumentata. 7 migliaio, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1933 (S.
Benigno Canavese, Scuola Tipografica), Scrittori latini commentati per le scuole ;76
De virginibus ... / recensuit Otto Faller, Bonn: P. Hanstein, 1933, Florilegium patristicum tam veteris quam
mediiaevi auctores complectens. - Bonnae: P.Hanstein, 1906Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi de officiis: libris tres / edidit Ioannes Tamiettius
Edizione: 5. ed, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1932
S. Ambrosii De nabuthae / A commentary, with an introduction and traslation by Martin R. P. Mcguire,
Washington: The Catholic University of America, 1927, The Catholic University of America. Patristicstudies
Oratio De obitu Theodosii / Text, transl., introd. and commentary; A dissertation... by Sister Mary Dolorosa
Mannix, Washington: The Catholic University of America, 1925, The Catholic University of America.
Patristicstudies
Della verginita e dei vergini / S. Ambrogio; a cura di Anna Cristofoli, Milano: ARA-G. Gasparini, 1926,
Biblioteca dei santi
Scripta selecta: pagine interessanti del cristianesimo / Minucii Felicis, Lactantii, S. Ambrosii, S. Augustini;
con introduzioni e note di Cesare Verlato, Milano: A. Vallardi, 1928, Corpus scriptorum Romanorum
Della verginita e dei vergini / S. Ambrogio; a cura di Anna Cristofoli, La Santa (Milano), Biblioteca dei santi; 9
Gli scritti di s. Ambrogio vescovo di Milano sopra la verginita / messi in lingua italiana dal can. Tomaso
Chiuso, Torino; Roma, 1921
Note Generali: 5. rist.
La passione di Sant'Agnese / Sant'Ambrogio, Firenze: G. Giannini, 1921, Fiori di letteratura ascetica e
mistica
Note Generali: Volgarizzamento inedito
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S. Ambrosii mediolanensis episcopi De obitu satyri fratris laudatio funebris / denuo edidit adnotavit praefatis
est Paulus Bruno Albers, Bonnae: P. Hanstein, 1921, Florilegium patristicum tam veteris quam mediiaevi
auctores complectens. - Bonnae:
De officiis: Libris tres. Edidit Joannes Tamiettius. Editio quinta, Torino: Soc. Edit. Internazionale, 1926 (San
Benigno-Canavese, Scuola Tip.)
[ Scritti storici, teologici, esegetici, morali] / [a cura di] Umberto Moricca, Torino: Soc. Edit. Internazionale,
1928, Tip. Salesiana, Pagine cristiane antiche e moderne
Roma cristiana: Letture latine scelte e annotate ad uso delle scuole, Tertulliano, Lattanzio, Arnobio,
Sant'Ambrogio, santo Agostino, inni, epigrafi [a cura del] dott. Sisto Colombo, Torino: G. B. Paravia e C. Tip.
Edit., 1925
Sant'Ambrogio / [a cura di] U. Moricca, Torino: Societa editrice internazionale, stampa 1928, Pagine cristiane
Scripta Selecta (minucii Felicis, Lactantii, S. Ambrosii, S. Augustini. ): Pagine interessanti del cristianesimo /
Con introduzione e note di Cesare verlato, Milano: A. Vallardi Edit. Tip., 1928, Corpus scriptorum
Romanorum
S. Ambrosii De Helia et ieiunio: a commentary, with an introduction and translation: a dissertation ... / by
Mary Joseph Aloysius Buck, Washington D.C.: The Catholic University of America, 1929, The Catholic
University of America. Patristicstudies
Completato 1920-2005
Bettini, 3, 792-809; Conte 567-570.
"Ambrogio - Corso"
Ambrogio, padre e dottore della Chiesa, visse tra il 338 circa e il 397.
Di origini galliche, studiò diritto a Roma e fu funzionario civile di alto rango; per il suo impegno e le sue
qualità dimostrate a Milano nel dirimere le questioni tra ortodossi e ariani venne acclamato vescovo di Milano
nel 374.
Si impegnò assiduamente nel suo incarico, da un lato contro l'eresia ariana, dall'altra contro lo strapotere
dello stato, affermando non solo la piena indipendenza della Chiesa, ma anche la sua supremazia spirituale.
Ambrogio compose opere esegetiche, soprattutto sull'Antico Testamento, morali, retoriche, teologiche, tra
cui si possono ricordare l'Hexameron, il De officiis ministrorum, esemplato sul modello del De officiis
ciceroniano, il De fide, il De paenitentia.
Nelle sue opere teologiche Ambrogio rompe definitivamente con la tradizione classica, salvando della morale
pagana solo alcuni principi dello stoicismo; la sua cultura e il suo stile, tuttavia, sono fortemente influenzate
dalla tradizione classica stessa.
Il corpus di Ambrogio comprende anche varie orazioni e un epistolario (91 lettere) e numerosi inni liturgici
(circa 80) che ebbero un notevolissimo successo e divennero presto un modello anche per gli autori
successivi.
"Ambrogio - Encarta"
Sant'Ambrogio (Treviri 333 ca. - Milano 397 ca.), uno dei padri della Chiesa e uno dei quattro dottori della
Chiesa. Figlio di un prefetto della Gallia, studiò diritto a Roma; divenne funzionario dell'amministrazione civile
e nel 370 ca. venne nominato governatore (consularis) dell'Emilia e della Liguria, con residenza a Milano.
Per la sua dirittura morale e la sua saggezza si guadagnò la stima del popolo, che lo volle vescovo di Milano
nel 374. Come vescovo, combatté per l'ortodossia della Chiesa milanese contro la diffusione dell'eresia
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ariana e costrinse l'imperatore Teodosio I alla penitenza pubblica per aver ordinato il massacro dei ribelli di
Salonicco. In rapporti amichevoli con Monica, madre di Agostino
, fu lui a battezzare il futuro santo. Tra i suoi lavori si ricordano il De officiis ministrorum (389-390), un
Commento al Vangelo di Luca (390), un Commento ai Salmi, un manuale di morale cristiana e numerosi inni,
molti dei quali sono giunti fino a noi. Patrono di Milano (la Biblioteca Ambrosiana della città porta il suo
nome), la sua festa cade il 7 dicembre.
"Ambrogio - Treccani"
Ambrogio santo.
Vescovo di Milano, dottore della Chiesa; uno dei primi sostenitori dei poteri della Chiesa contro lo Stato laico.
Nacque tra Il 337- 40 a Treviri, figlio del prefetto romano della Gallia Narbonense. La sua era una famiglia
senatoriale della gens Aurelia, già a quel tempo convertitasi al cristianesimo, imparentata con nobili famiglie
romane, tra le quali forse quella dei Simmachi. La madre condusse i suoi tre figli Marcellina, Satiro ed A.
ancora ragazzi a Roma, dove possedeva grandi ricchezze, perché vi fossero educati. Nell'antica capitale del
mondo v'era ancora una tradizione della classicità ed A. seguì i corsi di grammatica, ginnasio e retorica, di
educazione fisica e militare come si conveniva ad un nobile romano; ma forse gli fu impartita anche
un'istruzione religiosa cristiana. Avviato poi alla carriera del padre, fu prima a Sirmio come avvocato al
tribunale della prefettura del pretorio, quindi (nel 370) prefetto consularis della Liguria e dell'Emilia con
stanza a Milano.
Nel 374 Aussenzio vescovo di Milano moriva e la successione veniva contesa con accanimento da
cristiani ortodossi ed ariani. Essendo A. intervenuto con fermezza per evitare tumulti popolari, le due parti
con improvvisa decisione lo elessero vescovo. A., che secondo l'uso del tempo era solo catecumeno, venne
battezzato ed installato sul seggio vescovile. Lasciò allora al fratello Satiro tutte le cure della famiglia, donò il
proprio alla Chiesa, e dopo aver studiato le questioni dogmatiche sotto la guida di Simpliciano, si dedicò alla
sua carica religiosa.
Chiesa e Stato. Tutto il significato dell'azione di A. come vescovo, dall'anno della sua consacrazione
(una domenica del 374) alla morte, è nella lotta che egli condusse quasi sempre con successo per la
liberalizzazione della Chiesa dallo Stato da un lato, e per l'affermazione dall'altro, a volte apertamente a volte
più nascostamente, d'una supremazia spirituale ed anche non spirituale della Chiesa sullo Stato. Da
Costantino in poi l'impero aveva assorbito la nuova religione, cercando di servirsene come elemento di
coesione; ora A. guida la riscossa per una Chiesa autonoma al di sopra dello Stato. E' costante inoltre nella
sua azione la lotta sia contro l'arianesimo che contro i residui pagani ancora vivi specie in Italia ed in
parti.colare a Roma. L'unità dogmatica della Chiesa è per A. fondamentale per il successo; pertanto egli
difenderà sempre l'ortodossia e il primato della sede papale romana contro ogni tentarivo centrifugo.
La situazione era in quegli anni la seguente: l'imperatore Graziano, figlio del vecchio Valentiniano,
s'era volto all'ortodossia romana e la stessa linea seguiva il suo collega d'oriente, Teodosio, salito alla
dignità imperiale nel 379. Ambedue combattevano il paganesimo e l'arianesimo (con gravi conseguenze per
il malcontento che veniva così suscitato in molte regioni e nelle stesse file dell'esercito, dove numerosi
contingenti di barbari erano di fede ariana). Teodosio aveva anzi convocato un concilio a Costantinopoli, cui
erano affluiti ben 153 vescovi, che aveva riaffermato il simbolo ortodosso di Nicea e la condanna delle
eresie. I capi ariani s'erano allora rivolti all'imperatore d'occidente perché avesse convocato a sua volta un
concilio dei vescovi dell'impero. In tal modo essi, fidenti del loro numero, pensavano di avere successo. Ma
A. riuscì con il pieno accordo di papa Damaso a convincere l'imperatore ad ordinare un concilio di soli
vescovi occidentali. Nell'anno 381 ad Aquileia ebbe inizio un sinodo di 32 vescovi. A. fu eletto presidente.
Palladio di Ratiaria capo di parte ariana, invitato a parlare, disse che non poteva in quel luogo difendere le
proprie tesi perché il sinodo era parziale ed esprimeva non tutta la Chiesa ma solo quella occidentale. Si
venne allora ai voti e Palladio fu dichiarato eretico. Intanto Graziano passava all'intolleranza religiosa più
aperta; venivano perseguitati i pagani, proibita la costruzione di templi pagani e tolto l'altare della Vittoria
collocato da Augusto nell'aula del Senato, malgrado l'opposizione senatoriale guidata dall'ultimo grande
rappresentante della Roma pagana ed imperiale, Q. Aurelio Simmaco.
L'uomo politico. Nel 383 Graziano moriva assassinato, e gli succedeva il dodicenne Valentiniano II
sotto la tutela della madre Giustina. A. dovette allora combattere una lunga battaglia perche l'opera di
Graziano favorevole ai cattolici non andasse perduta. Il nuovo governo di corte costituito da un pagano, il
magister militum Bautone, sembrava più incline a Simmaco ed ai gruppi ariani. Ma quando Simmaco si recò
due volte al concistoro imperiale e lesse (la seconda volta) una supplica, da noi posseduta, perché fosse
lasciata ai pagani la libertà di culto, A. minacciò di scatenare contro l'imperatore l'opposizione cattolica ed
allora la corte fu costretta a ritirare l'appoggio a Simmaco e lasciare che A. in persona stilasse la risposta.
Anche in un'altra questione riguardante gli ariani di Milano A. ebbe partita vinta sulla corte che non osò
mettersi apertamente contro di lui, esponente d'un altro Stato senz'armi ma che pure poteva contare su forze
non meno valide. A sua volta A. rese importanti servigi politici alla corte. Avendo Massimo usurpato il potere
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in Gallia e correndo voci che si preparava a scendere in Italia, A. si recò da lui e lo persuase a contentarsi
della Gallia, Britannia e Spagna rinunziando all'Italia. Di Massimo A. fece anzi un alleato in quanto d'allora in
poi l'usurpatore andò proclamandosi difensore dell'ortodossia romana. Quando per la terza volta A. e la corte
furono di fronte per la libertà di culto che il governo imperiale intendeva concedere ad un gruppo ariano di
Rimini, Massimo (e questa volta malgrado una nuova ambasceria di A.) invase l'Italia e Valentiniano II, la
bellissima sorella Galla e l'imperatrice Giustina furono costretti a fuggire da Milano.
Reagì però all'invasione dell'Italia l'imperatore d'Oriente Teodosio, che accolti presso di sé gli
imperiali fuggitivi, s'era invaghito di Galla. A capo d'un esercito composto in gran parte di barbari egli
sconfisse Massimo a Sisak (Sciscia) sul fiume Sava ed a Petau (Petovia) in Pannonia. La via dell'Italia era
aperta. Gli stessi soldati di Massimo consegnarono il loro capo a Teodosio che lo fece uccidere (388). Con
Teodosio che intendeva mantenersi del tutto indipendente dalla Chiesa cattolica, A. continuò la sua politica
di intransigenza. per lui Teodosio era sì capo dello Stato, ma anche membro della Chiesa, quindi come tale
tenuto ad obbedienza e a una stretta alleanza. I motivi d'urto tra Teodosio e A. si ebbero ben presto. A
Costantinopoli ed in altre città dell'impero i monaci cattolici avevano iniziato persecuzioni popolari contro le
altre religioni. In alcune città erano state bruciate sinagoghe ebraiche. Teodosio aveva allora ordinato di
punire i monaci responsabili di questi disordini, perché si sostituivano all'autorità dello Stato. A. allora gli
rivolse una lettera durissima (Epist., 40) e lo attacco nelle sue prediche. E ancora avendo Teodosio represso
con una grande strage i tumulti di Tessalonica, A. gli proibì qualsiasi partecipazione ai culti religiosi.
Teodosio dovette piegarsi ed implorare perdono. Fu questa la prima grande sconfitta del potere laico di
fronte alla Chiesa cattolica. Nello stesso anno Teodosio proibiva definitivamente il culto pagano nella città di
Roma.
Lo scrittore ed il teologo. A. scrisse molto. Si tratta di opere esegetiche, morali, ascetiche, retoriche,
teologiche. Quelle esegetiche concernono per lo più il Vecchio Testamento, mentre alcune delle morali ed
ascetiche avevano lo scopo di sistemare lo spirito e l'ordinamento del clero cattolico (tra queste notevole è il
De officiis ministrorum). Altri scritti, come De virginibus e De viduis sull'esaltazione della verginità,
contribuirono alla diffusione del culto mariano in Italia. Appartengono al gruppo delle opere teologiche il De
fide ad Gratianum Augustum, De spiritu sancto, De incarnationis dominicae sacramento, De Mysteriis
A. seguì il pensiero degli scrittori cristiani di Alessandria. Suo autore è Basilio di Cesarea. In
sostanza egli rompe definitivamente con la tradizione classica. Della morale pagana egli salva solo alcuni
principi dello stoicismo. E' da notare anche l'enfasi particolare che A. pone sul tema del peccato e della
grazia, che più drammaticamente sarà ripreso dal suo discepolo s. Agostino.
A. ha inoltre lasciato varie orazioni (tra cui De excessu fratris sui Satyri libri duo, De obitu
Valentiniani consolatio, De obitu Theodosii), 91 lettere e numerosi inni.
Già s. Ilario aveva scritto inni liturgici popolari per combattere l'arianesimo, ma avevano avuto scarso
successo. Quelli di A. invece, composti di 8 strofe a quattro righe in dimetri giambici, furono famosi anche
dopo la sua morte. Il metrum ambrosianum costituì anzi un modello anche per i posteriori autori. Tra gli inni a
noi giunti sotto il nome di A. sono certamente suoi il Deus Creator omnium, Aeterne rerum conditor, Jam
surgit hora tertia e l'inno di Natale Veni redemptor gentium. Non appare invece probabile l'attribuzione del Te
Deum
Ambrogio - Riposati
S. Ambrogio
1. Vita. - II. L'opera. - 111. L'uorno, il pensatore e lo scrittore.
Aurelio Ambrogio (AureltVus Ambrostus) è figura di primo piano, di altissimo prestigio politico, ecclesiastico e
dottrinale nello sfondo della seconda metà del IV secolo.
1. vita. - Della sua vita abbiamo notizie dal suo epistolario e da una devota biografia del diacono Paolino, suo
segretario e ste, nògrafo.
Di nobile famiglia senatoria romana (sua madre discendeva dalla gens Aurelta), nacque tra il 335 e il 340 (1)
a Trèviri, nella Gallia, dove suo padre, AmbrostVus, risiedeva ben noto tra i piú alti funzionari di quella
prefettura pretoria (2>~ Morto presto il padre(3), fu condotto dalla madre a Roma col fratello Sàtiro e la
sorella Marcellina, e lí poté ricevere una completa educazione giuridica e letteraria, per prepararsi la via alla
pubblica magistratura; essa gli fu facilitata anche dalla tradizione avíta e dalle strettissime relazioni di
parentela e di amicizia con le nobili famiglie dei Símmachi e dei Nicòmachi, e con Probo.
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Fu proprio Sesto Petronio Probo, prefetto del pretorio in Italia, a presentare Ambrogio all'imperatore
Valentiniano I, che, nel 370, lo inviò, appena trentenne, a Milano come amministratore consularrs delle
provincie della Liguria e dell'Emilia; " Va '-gli disse il prefetto Probo, congedandolo-va ', e fa ' di essere piú un
Vescovo che un giudice)>. Fu profeta. Nel 374, morto Aussenzio, vescovo ariano di Milano, scoppiò una
lotta furiosa tra cattolici ed ariani per la successione alla cattedra episcopale. Proprio in questa occasione,
mentre Ambrogio parlava alla folla per sedare i tumulti, si udí tra la gente gridare un bambino: "Ambrogio
vescovo ! ". Quel grido fu il segno della concordia e della pace. Inutile ogni suo tentativo di resistenza:
ricevette pnma il Battesimo (era appena catecúmeno !), poi gli altri Ordini sacrs: il 7 dicembre di quello
stesso anno fu consacrato Vescovo.
Nella nuova, inaspettata condizione di vita, attese dapprima a consolidare la sua cultura filosofica, teologica
e ascètica, dandosi tutto alla lettura dei Libri Sacri e delle opere esegètiche greche. Súbito dopo iniziò la sua
fervida opera di Pastore, diffondendo dappertutto ardore di apostolato, luce di sapienza, esemplantà di vita
semplice, sobria, distaccata da ogni bene materiale, alllmata SOIO dal plÚ alti ideali di religione e dagli
interessi della Chiesa. Lottò con fermezza contro pagani ed ariani, valendosi delI'appoggio degli imperatori
Graziano e Valentiniano II; fu per suo mento se l'arianesimo, pur sostenuto dall'imperatrice Giustina,
scomparve completamente non solo da Milano, ma da tutto l'Occidente; e fu anche merito suo se i culti
pagani andarono a mano a mano perdendo la loro e{ficacia in quelle alte sfere cittadine, dove si erano
tenacemente abbarbicati. Memorabile è l'atteggiamento di fermezza ch'egli tenne con l'imperatore Teodosio,
riprendendolo pnma per I irriverente contegno verso il Vescovo di Glliníco sulI Eufràte, minacciandogli poi la
scomunica e imponendogli pubblica penitenza per la strage dei 7.000 cittadini di Tessaloníca (a. 390). Ma,
ristabilitisi i buoni rapporti, ne esaltò la figura di uomo e di credente, nella famosa orazione funebre del 395.
Due anni dopo, consunto dalla fatica e onústo di meriti, anche Ambrogio moriva, a Milano, tra il compianto
generale; era il 4 aprile del 397. Uomo integemmo nella vita privata, vescovo esemplare nell'eserCIZIO della
sua alta missione, apostolo instancabile di carità, energico ed irnpavido nella difesa dei diritti degli umili e
della Chiesa, della Ventà e della Giustizia, fu anche fascinatore di anime, ammirato oratore e scrittore
fecondo: alle sue parole deve Agostino-il grande suo figlio spirituale-la nascita alla Fede: e fu questa la piú
preziosa conquista di Ambrogio.
II. - L'opera. - Scrisse molto e di svariati argomenti.
Possiamo distinguere la sua vasta produzione (che rientra negli anni 375-397) nei gruppi seguenti:
a) Scritti di contenuto esegètico ed omilètico; b) Opere di contenuto ascètico e morale; c) Opere di contenuto
dogmatico; 1) Discorsi; Epistole; Inni.
a) I1 primo gruppo, il piú numeroso, collegato coll'attività di Ambrogio predicatore, è rivolto ad un tipo di '
esegèsi biblica' eminentemente allegorica e ricca di applicazioni morali, quale gli veniva offerta tanto da
Filone alessandrino (I sec. d. C.) quanto dai grandi scrittori dell'Oriente greco, Origene e S. Basilio, di poco a
lui precedenti nel tempo. Questi lavori, non tutti determinabili con sicurezza dal punto di vista cronologico,
vengono qui elencati secondo l'ordine con cui li presenta la Bibbia.
Abbiamo perciò, anzitutto, i 6 libri dell'Exameron, corrispondenti ai ' sei giorni della Creazione ' e comprensivi
delle 9 omelíe appositamente pronunciate in 6 giomi consecutivi (ma nel 1°, 3°, e 5° con due omelíe per
giorno).
Fonte e modello principali sono le pagine dell'analoga opera di S. Basilio, lo Hexaerruron, e forse le opere di
Orfgene e di Ippòlito. Egli parte da un'esegèsi minuta, anche in campo grammaticale e comparativo, per
elevarsi subito ad un tipo di esposizione calda e colorita, persin venata qua e là di poesia. W affermata, con
validi argomenti di ogni genere, la credenza nell'opera creatrice di Dio, perfetta e provvidenziale da ogni
punto di vista- appaiono frequenti e spesso felici le digressioni descrittive (quella dei mare, degli alberi ecc.)
e le applica, zioni di natura dogmatica oppure morale. L'opera risale agpi anni 386-389.
- Seguono le opere esegètiche del Gènesi per i capltoli successivi, relative agli scritti De Paradiso, De Cain
et Abel, De Noe, giuntoci un po' lacunoso; poi il De Abraham, in due libri, in cui l'antico Patriarca è
presentato come il modello di ogni virtú e come l'ideale stesso della pedagogia cristiana; preziosi appaiono
soprattutto i precetti sul matrimonio. Parimenti, nel De Isaac et anima, Isacco è una felice prefigurazione del
Cristo: il matrimonio di lui con Rebecca simboleggia l'unione del Gisto coll'anima del credente e con la
Chiesa stessa.
Su questo tono allegorico-morale si flettono tutte le altre opere esegètiche, che qui basta enumerare; tali: De
lacob et vita beata (in due libri), De loseph patriarcha, De Patriarchis, De Helia et iefunio, De Nabuthe, De
Tobia, De interpellatione Iob ef David, Apologla prophetae David. A queste vanno aggiunte le Enarrationes ('
esplicazioni ') in 12 Psalmos e un'Expositio Evangelfi secundum Lucam, in ben dieci libri.
Come si vede, I'opera esegètica di S. Ambrogio si esercita piú sui libri dell'Antico Testamento, che meglio si
prestava a significazioni allegoriche, che non su quelli del Nuovo o sulle Epistole di S. Paolo. Essa mira
soprattutto a scopi dogmatici e morali, e rappresenta l'elaborazione scritta su appunt e resoconti stenogràfics
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di prediche, messe insieme in ordinate trattazioni. E un ampio panorama del pensiero biblico, chè, filtrato
attraverso l'opera di omilèh ed esegèti greci, è diventato insegnamento e guida alla vita dei Cnsbani d
Occidente.
b) Folto è anche il gruppo delle opere ascètico-moraii, anch'esse in molta parte sviluppi di argomenti di
prediche. Tali il De bono mortis, e il De fuga saeculi.
Un posto a sé occupa il De oDaiciis ministrorum, composto negli anni 389,391, in tre libri, modellato, persino
nel titolo, sul De odictts dx Gcerone. Quest opera, anche da un punto di vista letterario, è una vera gemma
ambrosiana: esperienze doturinali del mondo antico si fondono con quelle teologiche e- pastorali, in una
chiarezza di concetti e in una sensibilità stilistica che ci dànno dawero la misura esatta del ' Cicerone
crishano '.
Nel I libro è trattato l'ofFicium, il " dovere " in generale, e poi si analizza laforte differenza fra precetti e
consigli evangelici miranti alla perfezione della vita cristiana; sono quindi esaminati i vari doveri e le varie
virtú, e viene dimostrata la superiorità della legge mosaica sulla precettistica filosofica pagana, Nel II si
discute sull'u t i I e e Sl giunge alla conclusione che solo l'onestà ci assicura la felicità della vita; supremo
bene è per l'uomo conoscere Iddio e praticare le opere buone; in questo vivere, ispirato alla virtú, I'onestà e
l'utilità si identificano. Nel III libro si confronta l'uti I e coll' onesto e si giunge ad esaltare l'eccellenza
delltètica cristiana, in cui l'utile e l'onesto non tollerano piú contrasti di sorta; con alcuni esempi dell'Antico
Testamento vien confermato il pregio altissimo dell'onestà e vengono chiarib i rapporti fra onestà ed
amicizia.
Segue un gruppo di opere che mirano ad illustrare la virtú della continenza e soprattutto della verginità . Tale
il De virgintbus al MarceUinam- ssrorem del 377, in tre libri, in cui sono raccolte inF sieme varie prediche
sull'argomento. Tessuto il racconto del martirio di S. Agnese, viene esaltata la verginità, ignota nel suo intimo
valore ai pagarii, e dichiarata condizione di vita nettamente superiore a quella dello stato matrimoniale.
Alcune pagine di questo scritto hanno la fragranza e la delicatezza di un'anima che vive integralmente il
grande dono di Dio, che fa l'uomo simile agli Angeli. Le pagine esemplificative sulla Vergine Maria rivelano la
tenerezza ammirata del Sacerdote e insieme la sua devozione per la Madre Celeste. Sviluppo e integrazione
del De virXintbus sono il De viduis (a. 377), il De virgiS nitatc (a. 378 c.) e l'Exhortatio virginitatis (a. 393).
c) Al gruppo degli scritti dogmatici si riportano i cinque libri De fide al Cratianum Augustum, opera stesa negli
anni 378,380 c. per vivo desiderio di Graziano; vi si difende, contro gli ariani, l'uguaglianza del Cristo col
Padre. Seguono due scritti: De Spiritu Sancto, in tre libri, e De Incamationis dominicae savamento, dove
viene completata la trattazione dei problemi cri, stologici e trinitarii.
Un trattato De poenitentia, contro i Novaziani, e un altro De mystetiis, sul battesimo, la cresima e
l'Eucarestia, chiudono la serie delle opere teologiche.
d) Importanti dal punto di vista letterario sono i Discorsi veri e propri. Ricordiamo anzitutto le due orazioni
funebri per la morte del fratello Sàtiro (fra il 375 e il 379), pronunciate a distanza di una settimana e poi
riunite nei due libri De excessu fratris sui Satyri et de resurrectione mortuorum.
Nel primo, Ambrogio dà libero sfogo al suo intimo e sincero dolore ed esprime cristiani motivi di spirituale
conforto; ricorda i particolari della morte del fratello e fa l'elogio delle sue virtú; nel secondo, sviluppa varie
considerazioni sulla morte che tutti attende, per liberarci dai dolori di quaggiú e predisporci alla resurrezione
finale, considerata e confermata anche in virtú della fede. Sono due scritti che rivelano la toccante umanità
del Santo; lo stile è traspa, rente di spiritualità e ricco di classiche movenze.
In occasione della sepoltura, in Milano, di Valentiniano 11 (lu, glio del 392), rimasto ucciso in Gallia,
Ambrogio pronunciò un'altra orazione funebre, la De obttu Valentiniani consolatio. Qui al tono del rimpianto
si unisce quello della celebrazione delle virtú del defunto, secondo lo schema della letteratura consolatoria
antica o il tutto e so so di paterna tenerezza e di profondo senso religioso.
nche per la morte ds Teodosio il Grande (17 gennaio 395) Ambrogio pronunciò, e poi pubblicò, I'orazione De
obttu Theodosfi alla presenza ds Onono, suo figlio e successore al trono. Anche qui nello schema del!a
laudatio firnebris vengono ricordate le numerose imprese e le grandl virtú dello scomparso: Teodosio appare
grande come Costantino, la cui madre, Elena, ebbe la ventura di ritrovare sul Calvario la Croce dx Cristo. Ed
altro ci sarebbe da ricordare discorsi, per lo piu inclusi nell'epistolario e ricchi anch'essi di motivi vari, spesso
pole mici; tali, ad esempio, le sue Epistulae XVII e XVIII, contenenti la vi vace e spigliata risposta alla Relatio
Symmdchi.
Ed ora le Lettere: 91(1) in tutto, fra le molte certamente scritte dal Vescovo a persone entro e fuori l'Italia.
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La prima di queste è la risposta a Craziano che aveva chiesto ad Am rogio lo scntto sullo Spirito Santo;
altrove incontriamo lettere d altn comspondenti e persino documenti di contenuto e natura non epi stolan;
non mancano lettere episcopali collettive; altre sono indi rizzate ad Imperaton (come a Valentiniano II), a
Papi, a Vescovi; altre in ne, a persone diverse, ma trattano anche problemi di esegèsi biblica o i diritto e
persino ds teologia. Pochissime sono quelle di carattere
Anche nell'Epistolario rivivono congiuntamente il Vescovo, il pensatore, loratore, il pastore di anime e lo
stilista garbato e suadente.
L'ultimo aspetto della produzione letteraria di S Am brogio è quello poetico, con gli Inni; anzi egli è il
fondatoré dellinnografia latina cristiana, dopo i tentativi piuttosto letteran di S. Ilano. Il Vescovo s'era accorto
che gli ariani avevano arricchito le forme del loro culto col canto corale di inni saaiegli volle-che i suoi fedeli
non fossero da meno. Di qui l'awío a si£fatte composizioni: inni brevi, in sé conclusi, solitamente di 8 strofe,
composte di dimetri giambici acatalettici e catalettici.
Si enumerano ben circa o0 componimenti, ma sicuramente autentici sono so o quattro, anche per l'esplicita
testimonianza di S. Agostino s creator ornnium, cantico della sera; Aeterne rerum condttor, ispirato canto
mattutino; Iam surgit hora tertia, cioè le 9 a. m.; Veni, Redemptor gentium, cantico natalizio di ispirazione
antiariana), a cui se ne possono aggiungere soltanto altri 5 o 6, mentre il resto è opera di suc, cessivi piú o
meno maldestri imitatori. Sono tutti di classica fattura e di corretta prosodia; nella semplicità della forma sono
espressi fervore di sentimento e nobiltà di dottrina. Non è opera di S. Ambrogio il Te Deurn laudamus,
mentre invece a lui vanno ascritte alcune composizioni epigrafiche.
Anche la traduzione, assai libera, della Guerra Gialaica di Flavio Giuseppe, andrebbe riportata alla sua prima
attività di seguace di Cristo non ancora battezzato.
m. - L'uomo, il pensatore e lo scrittore - S. Ambrogio è uno dei piú robusti ed originali scrittori ecclesiastici di
lingua latina: semplice, netto, vibrante nei concetti, spesso espressi in vigorosa contrapposizione di antítesi,
e modulati secondo la buona consuetudine retorica e la migliore tradizione culturale, tanto che è parso a
molti il ' Cicerone cristiano'. Colorito e co, pioso, ma anche pieno qua e là di abbandono descrittivo e
narrativo, egli inizia veramente uno stile nuovo nell'omilètica e nei trattati esegètici. Vívido nelle immagini,
ma soprattutto sostenuto da idee sempre meditate e sicure, ricco di passione e di sentimento, sa a£frontare
argomenti di grave impegno dottrinale e tèmi di usuale conversazione con netta e perspicua evidenza, con
espresS sioni brevi ed acute, che paiono recare il suggello della formula o della prescrizione giuridica
definitiva, veramente incisa e scolpita per i secoli.
Nutrito di teologia, di filosofia, di pensiero orientale e latino. sia pagano che cristiano, raccoglie spesso nelle
sue pagine, accanto alle piú svariate reminiscenze poetiche e bibliche, il dramma stesso dei suoi tempi
perturbati. Alla sublime poesia dei Libri Sacri sa aggiungere calore e fervore, ampliandone e chia, rendone i
recònditi significati e adeguandone ogni possibile appli, cazione alla vita dello spirito e agli eterni destini
dell'uomo. Con lui l'antico si fa moderno: sul tronco della cultura classica inne, sta i rigogliosi virgulti e le
vergini germinazioni del pensiero cristiano; ai ritmi delle misurate armonie classiche sostituisce i fles, sibili
mòduli dei canti spirituali nelle plastiche evidenze delle forme innològiche: crea l'innologia sacra, che apre la
via alle splendide affermazioni della poesia cristiana di Prudenzio e di Paolino.
Figura poliedrica e complessa è la sua, nella quale si cumulano saggezza romana, rettitudine di magistrato,
inflessibilità di giurista, uinanità di letterato, splendore di oratore, zelo di sacerdote, cantà di apostolo, infine
autorità di Vescovo, che non co, nosce usura ds tempo o sacrificio di persona per darsi tutto a tutti per
proteggere anche con espressioni di dràstica energia gli abbandonati, gli umili, gli oppressi, per difendere o
rivendicare i diritti della Chiesa nei momenti politici piú delicati. Partecipa con alta ed autorevole dignità ai
Concili, si fa persino consigliere degli stessi Imperatori, fonda ospizi e conventi, esalta e consacra le figure
piú insigni dei defunti del tempo, perdona o rimette all'oblío i torti ricevuti; commuove, conquista, incammina
verso la Verità e la Luce colui che diventerà esso stesso ' luce di verità ', un gigante del pensiero cristiano:
Agostino di Tagàste.
VITA DI SANT'AMBROGIO (Internet: da utilizzare con controllo fonti e autore)
Sant'Ambrogio nacque a Treviri , una città dei celti Treviri che nel 16 a. C. era diventata una colonia romana.
La buona posizione strategica sulle rive della Mosella , la ricchezza del suo entroterra, la facilità delle sue vie
commerciali, la mitezza del suo clima, avevano reso Treviri una città di primaria importanza nel mondo
occidentale romano. Dapprima sede di prefettura, con Diocleziano nel 294 era diventata una delle quattro
capitali dell'impero. In questa città dal glorioso passato [1] nacque dunque Ambrogio. L'anno della sua
nascita è incerto: i più lo pongono nell'anno 334 d. C. ma altri autori non escludono un'epoca più tardiva
verso il 339-340 d. C. Gli fu posto nome Aurelius Ambrosius, Aurelius cioè dal nome della gens Aurelia cui
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apparteneva la madre, e Ambrosius, che era anche il nome del padre, un funzionario di alto livello che
svolgeva i suoi uffici presso la prefettura della città. Paolino precisa nella sua Vita Ambrosii, la prima
biografia in assoluto che si conosca di Ambrogio, che il padre “era a capo della prefettura delle Gallie.” [2]
La sua famiglia
Ambrogio era il terzogenito, dopo Marcellina e Satiro , di una famiglia della nobile e ricca borghesia romana,
che poteva vantare tra i suoi ascendenti vari personaggi illustri per le cariche pubbliche ricoperte durante
l'impero. Lo stesso Ambrogio vi fa cenno in una sua opera, la Exorthatio virginitatis, scritta nell'anno 394,
dove ricorda la morte della vergine Sotere , una sorella di sua nonna, martire cristiana durante le
persecuzioni di Diocleziano, che “ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede. ” [ 3]
L'origine greca del suo nome (significa immortale), di quelli del fratello Satiro così come dell'ava Sotere, fa
intuire che gli avi paterni probabilmente provenivano dalle regioni orientali dell'impero. Queste antiche origini
sembrano trovare una conferma proprio in Ambrogio non solo per la sua ottima conoscenza della lingua
greca, ma soprattutto per il suo continuo riferirsi in età matura alla cultura e alle opere teologiche e
filosofiche del mondo ellenico. La nascita di Ambrogio a Treviri piuttosto che a Roma non fu casuale, ma fu
dettata dalla posizione sociale del padre, il cui alto impiego nella burocrazia imperiale lo aveva condotto a
prestare i suoi servigi in quella città, dove nel 334, oltre al prefetto delle Gallie, risiedeva anche l'augusto
Costantino il Giovane , il maggiore dei figli di Costantino Magno, che aveva ricevuto dal padre il governo
dell'occidente romano e cioè la Mauritania , la Spagna , la Gallia e la Britannia .
Oltre agli onori, in quegli anni la famiglia di Ambrogio ebbe modo purtroppo di sperimentare anche gli oneri
connessi all'alta carica pubblica paterna: tutto iniziò con la morte nel 337 di Costantino Magno e il sorgere
dei primi dissapori e delle contese tra i suoi figli. Dopo alcuni accordi mal rispettati, nella primavera del 340
Costantino il Giovane , lasciata la Gallia , valica le Alpi per marciare contro il fratello Costante , che
governava l'Africa , l'Italia e le province danubiane, con lo scopo di imporgli la sua supremazia. Giunto ad
Aquileia il giovane augusto fu invece sorpreso in una imboscata tesagli da ufficiali di Costante e venne
ucciso. E' assai probabile che la stessa sorte sia toccata anche al padre di Ambrogio che accompagnava
l'augusto o forse la morte lo colse nella epurazione degli alti funzionari che seguì la vittoria di Costante. Fatto
sta che la famiglia di Ambrogio dovette ritornarsene a Roma . In questa città Ambrogio trascorse tutto il
periodo della sua giovinezza dal 340 circa fino al 365 [4], frequentando i vari gradi della scuola imperiale. La
posizione altolocata della sua famiglia gli permise certamente di disporre di un pedagogo personale,
evitando così le brutture del ludus letterarius, tale era il nome delle scuole elementari, di cui ci ha lasciato un
pessimo ricordo sant'Agostino [5].
Nel IV secolo era alquanto caduta in disuso la consuetudine romana di studiare particolarmente la lingua e la
cultura greca. Ce lo confermano Agostino per l'Africa [6] e Gerolamo , che pure studiò a Roma dal 359 al
367 e che il greco dovette impararselo più tardi da solo. Negli ambienti aristocratici invece si coltivavano
ancora gli studi greci ed Ambrogio poté attingervi a piene mani, conseguendo una buona conoscenza sia
della lingua che della letteratura greca. Omero e Virgilio erano i testi poetici preferiti durante questi studi.
Non sappiamo quali furono i suoi maestri, perché Ambrogio non ne parlò mai: i più famosi di Roma in quegli
anni erano Donato e Mario Vittorino , un pagano quest'ultimo intimo amico di Simpliciano , che in tarda età si
convertì al cristianesimo suscitando un grande clamore nella città eterna. [7]
Sono molteplici le opere di Ambrogio dove traspare l'eco degli studi giovanili e dove è possibile rintracciare
le sue buone conoscenze di Virgilio, Cicerone , Sallustio , Seneca , Omero, Platone , Senofonte e Filone ,
che potrebbero rivelare l'influenza degli insegnamenti di Mario Vittorino, che tra l'altro tradusse in latino le
opere dei neoplatonici. Accanto a questi studi classici Ambrogio ebbe probabilmente anche l'occasione di
conoscere ed approfondire i principi del cristianesimo, che aveva potuto conoscere in ambito familiare. Già si
è detto dell'ava Sotere , ma anche altri episodi della vita della sorella Marcellina , di una decina d'anni più
anziana, rivelano quanto fosse permeato di cristianesimo l'ambiente religioso in cui visse il giovane
Ambrogio.
Paolino racconta che Ambrogio, quando ebbe conclusi gli studi, lasciò Roma per recarsi a Sirmio dove poter
esercitare l'avvocatura presso la prefettura del pretorio. Ambrogio si trattenne a Sirmio probabilmente per
circa cinque anni dal 365 al 370. Sirmio era allora una grande città di grande importanza politica e militare.
Ubicata sulle rive della Sava poco distante dalla sua confluenza con il Danubio , era la città principale
dell'Illirico, dove confluivano e si incrociavano importanti strade che verso ovest la congiungevano a Milano e
a Roma passando per Aquileia, mentre verso oriente era collegata a Tessalonica e a Costantinopoli . [8]
Ambrogio e Satiro svolsero efficacemente la loro attività forense tanto che nel 367 furono segnalati al nuovo
prefetto Probo , che li promosse da avvocati del tribunale (auditorium) ad assessori del consiglio del prefetto.
Verso il 370 i due fratelli lasciarono Sirmio . Satiro probabilmente per motivi d'affari intraprese lunghi viaggi
non sappiamo dove, mentre Ambrogio se ne andò a Milano , eletto governatore, cioè consularis, della
provincia italiana più importante, la Liguria et Aemilia. [9] Ambrogio doveva amministrare questo vasto
territorio, alle dipendenze del vicario d'Italia e del prefetto che risiedevano entrambi a Milano. Il suo compito
di mantenere l'ordine pubblico non doveva essere facile, sia per la situazione politica generale sia per le
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continue turbolenze religiose soprattutto tra ariani e cattolici. A Milano era ancora vivo il ricordo del concilio
che vi si era riunito nella primavera del 355 su intimazione dell'imperatore Costanzo II che aveva preteso
l'esilio del vescovo cattolico Dionigi sostituendolo con l'ariano Aussenzio . Invano un concilio riunito a Parigi
da Ilario di Poitiers nel 360 aveva condannato Aussenzio come usurpatore, così come pure vane erano state
le condanne pronunciate contro di lui in alcuni concili romani. Aussenzio poteva infatti contare sull'appoggio
della corte e dell'imperatore Valentiniano I .
Quando Ambrogio arrivò a Milano, questa città offriva un superbo spettacolo di forza e di ricchezza: allora
come oggi era il cuore economico e civile della pianura padana. Le recenti costruzioni delle imponenti mura,
del foro, delle terme, del teatro e dei palazzi pubblici rendevano la città architettonicamente e
urbanisticamente imponente. Una miriade di abitazioni e botteghe esprimevano la feconda vitalità dei
milanesi, la cui principale occupazione era rivolta agli scambi commerciali. Un ben articolato sistema
stradale che si irradiava da Milano verso i valichi alpini e le aree lacustri rendeva la città snodo commerciale
e politico di primaria importanza e di fatto nella seconda metà del quarto secolo divenne residenza imperiale.
Ambrogio giungeva a Milano da uomo maturo, preparato alla sua nuova attività pubblica. Racconta Paolino
che Probo , avendo conosciuto a e apprezzato le sue qualità, congedandolo, gli abbia detto: “Va' e fa' di
essere piuttosto un vescovo che un giudice.” Durante i pochi anni in cui poté esercitare il suo incarico di
consolare riuscì a far apprezzare le sue doti singolari di rettitudine e di onestà, poiché ritenne suo compito
difendere i deboli e gli oppressi contro la violenza, mettere cioè la forza al servizio del bene.
La elezione a vescovo
Quando nel mese di ottobre dell'anno 374 Aussenzio morì, la gente di Milano si ricordò con simpatia di quel
suo governatore capace di dare serenità e sicurezza anche nei frangenti difficili. E certamente difficile si
presentava la questione della elezione del nuovo vescovo poiché le rivalità tra ariani e cattolici creava
continue tensioni. Questa conflittualità esasperava gli animi della gente, a cui spettava il diritto di esprimere
un proprio parere. Il partito degli ariani si era subito attivato per assicurare alla sede di Milano uno dei loro,
ma anche i vescovi cattolici si erano raccolti in città, senza riuscire a mettersi d'accordo. Non c'era un
candidato che accontentasse o piacesse alla maggioranza del popolo e la folla, istigata e sobillata,
minacciava di provocare incidenti e disordini. Come era suo obbligo in simili circostante Ambrogio, quale
governatore, decise di intervenire per persuadere i contendenti alla ragione. Ma quando alle porte della
basilica comparve il governatore col suo seguito, narra Paolino che gli schiamazzi e le grida cessarono e vi
fu una pausa di riverente silenzio. Quel governatore quarantenne, di piccola statura, dal viso allungato, con
la barba fine e nera che faceva risaltare i grandi e suggestivi occhi, rivelava una grande forza d'animo. La
sua calma, la sua pacatezza se da una lato rivelavano l'aristocratico romano, dall'altro esprimevano il suo
pragmatismo, l'arte e la capacità di comandare. Nel tumulto di quell'assemblea contrapposta in due fazioni,
Ambrogio parlò a lungo per convincere tutti a un accordo, ma d'improvviso, narra Rufino di Aquileia , tutta
quella gente ritrovò la concordia e si mise a urlare che doveva essere lui, Ambrogio, il loro vescovo.
Secondo Paolino sarebbe stato un bambino a scatenare la folla gridando: “Ambrogio vescovo! ”
La scelta era quantomeno inusuale poiché le norme vietavano l'elezione a vescovo di un laico, per di più non
ancora battezzato. Ma la gravità della situazione deve avere convinto tutti a rinunciare a regole decise nei
concili pur di raggiungere un accordo. Forse l'unico a non essere d'accordo era proprio Ambrogio, che per
parte sua cercò con ogni mezzo di opporsi e di rifiutare quella nomina. Narra Paolino che, in contrasto alla
natura della sua indole, provò a farsi vedere crudele usando in quei giorni per la prima volta la tortura nelle
cause criminali. Cercò di gettare discredito sulla serietà della sua vita ricevendo in casa sua donne di
malaffare ma poiché tutto era vano, tentò anche di fuggire due volte, ma senza esito positivo. Tutti gli episodi
raccontati da Paolino, che li introduce per giustificare la ineluttabilità divina di quella consacrazione, forse in
realtà dicono che Ambrogio, da buon funzionario dell'imperatore Valentiniano I , non intendeva assumere un
nuovo incarico senza autorizzazione. Con la pace costantiniana del 313 in effetti i vescovi erano stati di fatto
integrati nel sistema imperiale e in modo particolare i vescovi furono incaricati di distribuire i sussidi che lo
Stato destinava ai poveri. Ma la concessione maggiore era stata fatta accordando loro una giurisdizione
civile pubblicamente riconosciuta: non solo i cristiani ma anche i pagani potevano ricorrere al tribunale del
vescovo che esercitava un vero e proprio potere giudiziario. Per questo nuovo incarico Ambrogio voleva
certamente il placet dell'imperatore, che rispose positivamente dicendosi ben lieto che i milanesi avessero
scelto come vescovo chi egli aveva prima mandato loro come governatore.
Ambrogio fu preparato al battesimo da Simpliciano, presbitero della Chiesa milanese, che aveva già
conosciuto a Roma. Ricevette il battesimo domenica 30 novembre del 374 e solo una settimana dopo,
domenica 7 dicembre, Ambrogio fu ordinato vescovo. A vent'anni di distanza da quegli episodi memorabili, in
una lettera ai cristiani di Vercelli, Ambrogio ricorderà le preoccupazioni di quei momenti: “Quanto ho resistito
perché non fossi fatto vescovo! ”
L'elezione a vescovo permise ad Ambrogio di ricomporre a Milano la sua famiglia: in questa città convennero
infatti sia la sorella Marcellina che il fratello Satiro, che dal 370 si era separato da Ambrogio, forse per la
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necessità di amministrare i beni di famiglia. Durante uno dei suoi viaggi fece naufragio e riuscì a salvarsi
miracolosamente, come raccontano le cronache, grazie alla sua fede cristiana [10].
Dopo l'elezione episcopale di Ambrogio, sembra che Satiro abbia rinunciato definitivamente alla sua carriera
di amministratore e di finanziere per andare a Milano ad aiutare il fratello a gestire materialmente le risorse
della diocesi. Ambrogio infatti non aveva più risorse proprie poiché, appena eletto vescovo, anticipando un
gesto che sarà fatto proprio anche di san Francesco , aveva donato alla Chiesa milanese e ai poveri tutti i
beni che possedeva. Come osserva il biografo Paolino , Ambrogio rinunciò ai suoi beni, che tra l'altro erano
ingenti, “per seguire nudo e libero Cristo Signore” come avevano fatto gli apostoli.
L'assoluta generosità del vescovo, cui forse non era estraneo Satiro, si manifestò anche nel 378, quando
popolazioni barbare invasero l'impero, portando il terrore e facendo migliaia e migliaia di prigionieri.
Ambrogio cercò di salvare il salvabile e sollecitò una raccolta di denaro per riscattare i prigionieri. Arrivò a
dare l'ordine di rompere i calici d'oro e d'argento delle sue chiese, per farne verghe di metallo prezioso utile
per pagare i barbari. C'è una pagina meravigliosa del De officiis (2, 136 ss) dove il vescovo si difende dalle
assurde accuse ariane che avevano disapprovato le sue decisioni: “Chi è tanto malvagio da non rallegrarsi
se un uomo viene scampato dalla morte? Se la Chiesa ha dell'oro, non è per custodirlo, ma per donarlo a chi
è nel bisogno. Se non l'avessi dato, il Signore mi potrebbe dire: Come hai permesso che tanti poveri
morissero di fame? Come hai permesso che tanti prigionieri fossero uccisi? Meglio conservare i calici vivi
delle anime, che quelli di metallo.”
Chissà se Scindler aveva letto queste parole quando decise anch'egli di dar fondo al suo patrimonio per
salvare la vita a quanti più ebrei poteva in frangenti altrettanto drammatici. Purtroppo Ambrogio non poté
contare a lungo sull'aiuto del fratello. Sempre per motivi amministrativi Satiro fu infatti costretto ad un viaggio
in Africa per tutelare gli interessi di famiglia, ma questo viaggio gli fu fatale [11].
Un commovente discorso che Ambrogio tenne nella chiesa dinanzi alla salma di suo fratello nel febbraio del
378 ricorda con mestizia i particolari di quel viaggio. Le sue lacrime si univano a quelle dei milanesi che
avevano ammirato le virtù cristiane e la carità di Satiro . Nel saluto finale emerge prepotentemente la
grandezza di Ambrogio pastore, che supplica Iddio di accogliere il sacrificio della morte di Satiro come una
primizia del sacrificio della sua vita sacerdotale. Satiro fu sepolto accanto alla tomba del martire san Vittore
nella basilica Porziana e Ambrogio ne dettò un'epigrafe.
Vescovo a tempo pieno
Ambrogio in gioventù probabilmente ricevette un'educazione cristiana, che gli fece conoscere le principali
verità di fede, tuttavia la sua educazione rivolta principalmente a prepararsi alla carriera nell'amministrazione
pubblica non deve avergli permesso un particolare approfondimento delle questioni teologiche. I suoi
molteplici interessi gli avevano comunque assicurato una vasta cultura, specialmente in campo letterario e
filosofico, il che gli fu molto utile nei primi tempi del suo episcopato, quando dovette formarsi una cultura
teologica. La sua conoscenza della lingua greca gli permise di leggere direttamente le opere di Filone ,
Origene , Basilio di Cesarea , Didimo . Simpliciano , un sacerdote della Chiesa milanese fu probabilmente
suo maestro sapiente e discreto nell'apprendimento delle verità cristiane, di cui sentiva l'urgente necessità di
divulgazione fra il popolo. Cercò di trasmettere questa sua preoccupazione anche ai nuovi vescovi: a Vigilio
eletto vescovo di Trento, Ambrogio dirà più tardi come ammonimento: “Prima di ogni altra cosa cerca di
conoscere la Chiesa di Dio che ti è stata affidata.” (Epist. 19, 2) proprio come lui stesso aveva fatto con
l'intenzione di conoscere la sua Chiesa nella tradizione dei suoi vescovi, dei suoi martiri e delle necessità dei
fedeli.
Malfermo di salute e con la voce piuttosto debole (Cfr. De sacramentis 1, 6, 24), non cessava tuttavia di
parlare al suo popolo. All'anno 375 risalgono le sue prime predicazioni al clero (De officiis 1, 1-22), alle
vergini e alle vedove. I primi trattati esegetici vedono la luce nel 377. La sua predicazione si rivolgeva non
solo ai pagani ed agli ariani, ma anche ai cristiani deboli, che egli esortava a correggersi. Non disdegnava
toni severi e senza paura nei confronti di ricchi, ufficiali, signori di grandi famiglie. Alta si levava la sua
condanna per la sfrenata manìa delle corse del circo e degli spettacoli mortali dell'anfiteatro. In quest'opera
di rinnovamento morale sant'Ambrogio fu molto attivo, energico ed anche versatile. In un famoso episodio
raccontato dai suoi biografi si narra che in città un creditore usuraio non permetteva il seppellimento di un
suo debitore, fino a quando non avesse pagato il debito. Ambrogio giudice in quella vertenza, ordinò di
portare il cadavere in casa dell'usuraio, che, confuso, dovette supplicare il Vescovo di risparmiargli quella
vergogna. Ma il Vescovo fu irremovibile e l'usuraio fu costretto a trasportare quel morto alla sepoltura (De
Tobia 10, 36). Questa sua franchezza lo accompagnerà sempre e sarà ancora più esaltante dinanzi ai
potenti del mondo. Ma Ambrogio si sentiva anche padre e se grande era la sua severità contro il male,
infinitamente più grande era la sua generosità per i poveri, per i peccatori, per quanti avevano bisogno di
incoraggiamento, di consiglio, di consolazione.
A questo proposito celebre è l'episodio di un tal Marcello , vescovo, che aveva donato i suoi beni ad una
sorella vedova e sola, a condizione che questa, morendo, li lasciasse alla Chiesa. Ma Leto , un loro fratello,
impugnò la validità della donazione. Siccome il processo civile non riusciva a risolvere il contenzioso, i
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litiganti decisero di appellarsi ad Ambrogio, che grazie alla sua esperienza nei processi riuscì ad
accontentare tutti. Decise infatti di assegnare i beni di Marcello a Leto, con l'obbligo di garantire una rendita
annuale alla sorella vedova. Nell'Epist. 82 Ambrogio, che capiva bene che l'unica parte che rinunciava a
qualcosa era la Chiesa, giustificò la sua decisione con parole celebri: “La Chiesa non perde, se guadagna la
carità. E la carità non è mai una perdita, ma la conquista più vera di Cristo. Volevate darle alla Chiesa i vostri
beni materiali: ma già le avete dato di meglio: la vostra scienza, la vostra vita, le vostre opere buone.”
Quando verso il 376 morì Germinio il vescovo ariano di Sirmio , la capitale dei paesi danubiani, Ambrogio
non esitò a intraprendere un viaggio di oltre 900 Km per difendere l'interesse dei fedeli cattolici e dirigere
l'elezione contro i voleri degli ariani che erano protetti dall'imperatrice Giustina che risiedeva in città. Fu
eletto Anemio , un cattolico, ma gli ariani inscenarono una rivolta contro Ambrogio.
Paolino racconta che mentre il vescovo milanese procedeva alla consacrazione di Anemio, una delle vergini
ariane salì all'altare e afferrò il mantello di Ambrogio per trascinarlo giù. Ambrogio difendendosi la minacciò:
“Io sono indegno di essere pontefice, ma non è decoroso per te, per la tua professione di verginità, osare
mettere la mano su un sacerdote. Guarda che non ti punisca Iddio ! ”
Secondo il racconto questa ammonizione divenne realtà poiché quella vergine morì poco dopo e fu
seppellita da Ambrogio stesso. Probabilmente a settembre 378 Ambrogio riuscì a incontrasi con il giovane
imperatore Graziano e tra i due nasce una reciproca stima. Alla richiesta di Graziano che chiede ad
Ambrogio di scrivergli una esposizione della dottrina cattolica quale era stata definita nel concilio di Nicea ,
Ambrogio risponde inviando a Graziano i primi due libri De fide. Nell'autunno del 378, a causa della disfatta
romana sul Danubio , arrivarono a Milano dai Balcani , invasi dai Goti , molti profughi ariani, e con loro anche
l'imperatrice madre Giustina . Nel gennaio 379 Graziano nomina imperatore per l'Oriente Teodosio , un
valoroso suo generale, nativo della Spagna .
Sempre relativa a questi mesi è la lettera che Graziano scrive ad Ambrogio chiedendogli una esposizione
della dottrina ortodossa sullo Spirito Santo. Nell'estate del 379 l'imperatore Graziano, tornando dai paesi
balcanici in Occidente, passa da Milano, dove si trattiene alcune settimane. A Milano poi il 3 agosto
Graziano pubblica una legge, suggerita forse da Ambrogio, che ordina la cessazione di ogni eresia.
Parallelamente Teodosio con l'editto dato a Tessalonica il 28 febbraio 380 invita i suoi sudditi a professare la
religione data dall'apostolo Pietro ai Romani, rendendo il cristianesimo religione di Stato. Il pugno di ferro
contro l'eresia era dettato a Teodosio da ragioni politiche, cioè impedire le contese religiose che minavano la
coesione dello Stato. Quando nella primavera del 381 Graziano ritorna a Milano, riceve dalle mani di
Ambrogio i tre libri sullo Spirito Santo, che il vescovo ha composto per lui. Poi sant'Ambrogio fa convocare
da Graziano l'importante concilio di Aquileia , dove il 3 settembre 381 sono processati e deposti gli ultimi
vescovi ariani dell'Illiria. La lettera conciliare, stesa probabilmente da Ambrogio, chiede a Graziano che dia
esecuzione alle decisioni del concilio, che prevedevano una Chiesa libera da ogni ingerenza dello Stato, al
quale essa è superiore Resta tuttavia un dovere dello Stato e anche suo interesse, dare alla Chiesa
quell'aiuto materiale che essa gli chiede.
Nell'estate 382 Ambrogio partecipa al concilio di Roma . In questa occasione o forse durante un altro viaggio
romano del 377 Ambrogio compì, secondo quanto racconta Paolino , anche un miracolo a una donna
paralitica che, dopo aver toccato le vesti di Ambrogio, mentre celebrava l'Eucarestia in casa d'una matrona
in Trastevere , fu all'istante guarita (Paolino, Vita Ambrosii, 9). La fama di Ambrogio superò ben presto i
confini della sua diocesi, tanto che in questi anni (380-381) il quarantenne Gerolamo a Costantinopoli
redigendo la continuazione della Cronica di Eusebio , segna per l'anno decimo di Valentiniano , cioè per il
374, l'elezione di Ambrogio e annota che con Ambrogio tutta l'Italia viene convertita alla vera fede.
La lotta al paganesimo
Nell'estate del 382 Ambrogio partecipa a Roma al concilio convocato da papa Damaso e finisce per
convincersi della necessità di chiedere l'abolizione del paganesimo ufficiale, la religione dell'antica Roma che
ancora aveva un suo seguito. Proprio a Roma, nella città più devotamente pagana, qualcosa stava
cambiando, per merito soprattutto dei monaci orientali che cercavano di introdurre una vita di comunità.
Nella casa patrizia di Marcella sull'Aventino ad esempio si raccoglieva un gruppo eletto di vergini e di
matrone per dedicarsi ad una vita di perfezione, tra le quali troviamo Marcellina sorella di Ambrogio. Per quel
concilio del 382 era tornato a Roma anche il monaco Gerolamo che più di altri incarnava il fervore dello
spirito ascetico tra la nobiltà romana.
Tuttavia nel Senato si bruciava regolarmente incenso sull'altare alla statua della dea Vittoria mentre lo Stato
continuava a stipendiare i sacerdoti pagani e di riflesso la mentalità pagana. Forse su suggerimento di
Ambrogio nell'autunno del 382 Graziano, comandò che si togliesse dal Senato l'altare della Vittoria e abolì le
esenzioni fiscali dei collegi dei sacerdoti pagani, confiscandone le rendite. La reazione pagana non si fece
attendere. Nel 384 il conte Bautone, tutore di Valentiniano II, cercò di accordare nuovi favori ai pagani tanto
che i senatori di Roma mandarono una delegazione alla corte di Milano per ottenere l'abolizione dei decreti
di Graziano . Mentre due anni prima Ambrogio era riuscito a convincere Graziano a non accogliere una
simile petizione, questa seconda volta il vescovo non può intervenire. Così nell'autunno del 384, nel
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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concistoro imperiale, Simmaco lesse la sua relazione in difesa della religione pagana, attribuendo alle
abolizioni di Graziano le disgrazie avvenute poi e le carestie. Appena il vescovo viene a sapere qualcosa,
scrive a Valentiniano una lettera ordinandogli di respingere la richiesta. Ambrogio esige che la corte
imperiale lo consulti, vuole una copia della relazione di Simmaco per poterla criticare e confutare, minaccia
l'imperatore che, se non l'ascolta, egli - il vescovo - dovrà resistergli e dovrà impedirgli l'ingresso in chiesa.
Quinto Aurelio Simmaco, paladino dei diritti dei pagani, era stato compagno di studi di Ambrogio a Roma e le
loro famiglie con forti vincoli di parentela, facevano parte entrambe della gente Aurelia. Simmaco ed
Ambrogio simbolicamente sono i due paladini di alto profilo che si fronteggiano per i pagani e per i cristiani.
Nella sua Epistola 18 a Valentiniano, così controbatte il vescovo: “Se furono le divinità pagane a rendere
vittoriosa Roma, perché gli stessi Dei hanno permesso ad Annibale di arrivare vincitore sotto le mura romane
? Certo Graziano ebbe una morte compassionevole. Ma il merito non si misura dal successo. E se ci fu
carestia per castigo degli dei, perché l'anno successivo si ebbero abbondanti raccolti ? Non dovevano
essere ancora malcontenti gli dei ? ... Roma antica non era cristiana, è vero, ed ora noi vogliamo che lo
diventi, cioè ci si accusa di novità. Ma allora rimproverate la luce del giorno che fa cessare la notte. Non è
mai tropo tardi per imparare, per lasciare l'errore, per accogliere la verità.”
I decreti di Graziano non furono aboliti. Il gruppo dei senatori pagani rinnoverà ancora per parecchi anni altre
cinque volte la sua petizione a Valentiniano , Teodosio ed Eugenio . Ma senza esito positivo.
L'arianesim o
La crescente popolarità di Ambrogio e la sua capacità di parlare al popolo era vista con sospetto negli
ambienti del palazzo imperale milanese, poiché si temeva la presenza di un centro forte di potere quale era
allora la Chiesa milanese. Si era riconoscenti certo al vescovo d'aver preso le difese della vedova e
dell'orfano, ma l'imperatrice Giustina non voleva che Ambrogio diventasse un ingombrante tutore di
Valentiniano. Dopo il fallimento della reazione pagana, che si era conclusa sostanzialmente a favore di
Ambrogio, Giustina cercò di mettere nuovamente in crisi l'egemonia ambrosiana con l'aiuto dei cortigiani e
degli ufficiali goti. Il pretesto fu un motivo religioso, che però poteva generare una crisi acuta politica e
sociale nella città di Milano . Giustina colse l'occasione della presenza a corte di un vescovo ariano della
Mesia , Mercurino Aussenzio , che Teodosio nel 383 aveva deposto dalla sua sede vescovile, per risollevare
la questione ariana, di cui lei stessa era seguace e che per anni aveva dilaniato la chiesa milanese.
Adducendo il pretesto della libertà di culto, l'imperatrice madre nei primi mesi dell'anno 385 aveva
esplicitamente richiesto ad Ambrogio la cessione di una basilica per garantire agli ariani un luogo di culto. Al
rifiuto di Ambrogio segue la sua convocazione al palazzo imperiale. I fedeli per dar man forte al vescovo si
affollano alle porte del palazzo, tanto che i soldati di guardia sono incapaci di calmare la folla. Per evitare
un'aperta rivolta, la corte deve cedere e pregare il vescovo di sedare il tumulto. Ma Giustina non si dà per
vinta e dopo qualche mese nel 386 pubblica una legge che permette la libertà di culto a quelli che
professano la fede ariana e minaccia la pena di morte a vorranno opporvisi. La posizione di Giustina provoca
contrasti nella corte stessa, tanto che un funzionario della cancelleria imperiale, Benevolo , rifiutò di
cooperare, respinse ogni promessa di promozione e si dimise.
Nonostante questa prova di forza Ambrogio confermò il suo rifiuto. Anzi, per dare maggiore peso alla sua
iniziativa convoca a Milano i vescovi della sua metropoli per ottenere la loro approvazione. Rifiutando
qualunque discussione con Aussenzio, si dichiara pronto al martirio In una accalorata lettera all'imperatore
(Epistola 21) dichiara che non può ubbidire ai suoi ordini nè si presenterà a palazzo a discutere con uno che
egli non sa neppure se sia vescovo e donde venga. L'occasione lo porta ad affermare che nelle questioni di
fede sono i vescovi che devono giudicare gli imperatori e non viceversa. Con tono più duro infine conclude
che non accetta il suggerimento imperiale di lasciare Milano, per consentire agli altri di decidere, perché
sono gli altri vescovi a imporgli di non lasciare la sua Chiesa, in quanto ciò significherebbe consegnarla agli
eretici. A conferma della sua decisione si barrica nella basilica Porziana coi fedeli. Giustina invia le milizie
imperiali ad assediare la basilica e gli edifici annessi, convinta che dopo qualche giorno i fedeli, stanchi,
lasceranno volontariamente la chiesa.
Invece l'assedio dura più del previsto per varie settimane. Ambrogio sostiene il popolo con la sua celebre
eloquenza, introduce nelle assemblee il canto antifonato dei salmi, compone egli stesso inni cristiani facili da
cantare con lo scopo di rendere vigile la presenza dei fedeli. In uno di questi giorni pronuncia il famoso
discorso Contro Aussenzio: “Non temete! Io non vi abbandonerò, non abbandonerò la Chiesa. Certo alla
violenza io non posso rispondere con la violenza. Potrò lamentarmi, piangere, gemere: perché contro le
armi, contro i soldati, contro i barbari, le mie armi sono le mie lacrime. Queste sono le sole armi degne di un
vescovo ... il sanguinario Aussenzio pretende la mia basilica. Ma io non posso tradire l'eredità di Cristo,
l'eredità dei miei padri, dei miei predecessori nell'episcopato ... Noi diamo a Cesare quello che è di Cesare.
Ma la Chiesa è di Dio, non di Cesare. Con questo nessuno ci accusi di mancare di riverenza all'imperatore.
Infatti nessun onore è più grande di questo: che l'imperatore possa dirsi figlio della Chiesa. Perché
l'imperatore fa parte lui pure della Chiesa, è nella Chiesa, non sopra la Chiesa ...” (Contra Aux. 1-2, 35-36)
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Dopo lunghe ed estenuanti scaramucce verbali durante la settimana santa di Pasqua la situazione sembra
precipitare: proprio mentre la domenica delle Palme 29 marzo 386 Ambrogio si trovava nel battistero della
grande Basilica Nuova a spiegare il simbolo della fede ai catecumeni (fra cui anche sant'Agostino ) che il
sabato seguente avrebbero dovuto ricevere il battesimo, alcuni fedeli lo avvisano che gli agenti imperiali
stavano sequestrando la basilica Porziana. L'assemblea subito si agita e si muove verso la Porziana, mentre
Ambrogio durante la Messa piange e prega Iddio perché non venga sparso sangue. Nei disordini che
seguono Ambrogio si trova costretto a mandare suoi diaconi e presbiteri a liberare dalla violenza del popolo
un certo prete ariano, Castulo , che la gente aveva fermato per strada come capro espiatorio. Giustina cerca
di spezzare la solidarietà attorno ad Ambrogio colpendo duramente i commercianti con tasse e multe,
qualcuno viene anche imprigionato. Ma la città cattolica non si arrende e ostinatamente segue il suo vescovo
contro l'imperatrice. Finalmente la contesa trova uno sbocco onorevole il mercoledì santo: mentre Ambrogio
sta celebrando nella Porziana, si presentano alla porta alcuni soldati a frotte e le donne, temendo il peggio,
si mettono a gridare. Ma poi diventa chiaro che quei soldati erano venuti a pregare, perché non volevano
restare senza la Comunione come aveva minacciato loro il vescovo. La fraternizzazione dei soldati goti con i
fedeli mise in scacco la corte che non fu più in grado di sostenere la contesa. L'assedio fu tolto e ai
commercianti vennero annullate le multe. Era il giovedì santo, 2 aprile, il giorno in cui nella Chiesa
ambrosiana si assolvevano i pubblici penitenti. Ambrogio e con lui la chiesa milanese avevano vinto ancora
contro le forze del potere terreno.
In questo stesso periodo Ambrogio fu al centro di un episodio che vide la scoperta delle spoglie di due santi
martiri. Il culto sulle tombe dei martiri, che pure c'erano stati anche a Milano durante le persecuzioni del II e
III sec. era tanto vivo, che sant'Ambrogio dovette intervenire a regolarlo. Fu forse in seguito al riordino delle
aree cimiteriali che divenne possibile l'individuazione delle spoglie di alcuni martiri. Precisamente il 17
giu-gno 386 il vescovo scoprì nel sottosuolo della piccola basilica dei santi Nabore e Felice i corpi dei due
martiri Protaso e Gervaso . Sant'Agostino , san Gaudenzio di Brescia , san Paolino di Nola e Paolino suo
biografo dicono che Ambrogio prima della scoperta ebbe una specie rivelazione. Da una lettera scritta alla
sorella Marcellina (Epist. 22) sembrerebbe che ci sia stato solo un presentimento. Il giorno seguente le sacre
spoglie furono deposte provvisoriamente nella basilica di Fausta e il venerdì traslate solennemente nella
basilica Ambrosiana . Narra Paolino un celebre episodio, ricordato anche da sant'Agostino, che si verificò
durante il percorso e che interessò un uomo, cieco da molti anni, il quale al contatto delle ossa dei santi
riacquistò la vista.
L'entusiasmo popolare di quei giorni è descritto da Ambrogio stesso in una lettera alla sorella Marcellina,
dove riporta anche i discorsi tenuti ai fedeli per ringraziare il Signore di tali scoperta. Anche a Bologna ,
qualche anno dopo sant'Ambrogio scoprirà reliquie di martiri. La passione del vescovo di Milano per queste
ricerche, come l'interesse del vescovo di Roma Damaso , per le catacombe, avevano una stessa origine ed
era la preoccupazione dei cristiani di recuperare le loro memorie. Era in fondo lo stesso desiderio che aveva
spinto sant'Elena a scavare ostinatamente per riportare alla luce la croce santa su cui era morto Gesù. Finite
le persecuzioni, il cristianesimo rischiava di perdere il vigore dei tempi delle origini e soprattutto troppi erano i
nuovi cristiani che si erano avvicinati a questa religione per motivi di opportunità. Le ossa dei martiri, come la
croce di Cristo, dovevano far loro ricordare che il cristianesimo è un sacrificio quotidiano per realizzare il
bene e non una moda transitoria.
La morte
Alle prime luci dell'alba del 4 aprile 397 Ambrogio ricevette l'Eucarestia da Onorato vescovo di Vercelli .
Iniziò così la sua brevissima agonia. “Quando passò da noi al Signore - racconta Paolino - circa dall'ora
undecima fino al momento in cui rese lo spirito vitale, pregò con le mani aperte a mo' di croce: noi vedevamo
muoversi le sue labbra, ma non ne udivamo la voce. Onorato, vescovo della chiesa di Vercelli, mentre
riposava al piano superiore della casa, per tre volte udì la voce di uno che lo chiamava e gli diceva: «Alzati,
presto, perchè sta per morire.» Disceso, porse al santo il corpo del Signore. Appena lo prese e lo deglutì,
rese lo spirito, portando con sè il buon viatico. Così la sua anima, rinvigorita dalla virtù di quel cibo, gode ora
della compagnia degli angeli, il cui esempio egli visse in terra, e della compagnia di Elia. Infatti, come Elia,
anche Ambrogio non ebbe timore di parlare a re e potenti secondo lo spirito di Dio.”
Il racconto di Paolino si sofferma poi con devota ammirazione a descrivere le pietose esequie tributate al suo
vescovo dal popolo milanese, che sempre lo aveva ammirato ed amato come santo, per la dolcezza della
sua parola, per la forza del suo pensiero, per i prodigi che accompagnarono la scoperta e la sepoltura dei
martiri nella basilica che fece costruire e che da lui ha preso nome. Molti sono i prodigi che coinvolgono la
sua persona anche in questo momento. “Nell'ora del mattino in cui morì - scrive ancora Paolino - la sua
salma fu portata dalla casa alla chiesa maggiore e lì rimase la notte in cui celebrammo la vigilia di Pasqua.
In quella occasione molti bambini che erano stati battezzati, venendo via dalla fonte battesimale, lo videro:
alcuni dissero di averlo visto sedere sulla cattedra, altri col dito lo mostrarono ai loro genitori mentre
passeggiava. Ma gli adulti non lo potevano scorgere, perché non avevano gli occhi purificati. Molti poi
raccontavano di vedere una stella sopra il suo corpo. Quando risplendette il giorno del Signore, mentre il suo
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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corpo, terminate le funzioni, veniva sollevato per essere portato dalla chiesa alla basilica ambrosiana, dove
fu sepolto, una turba di demoni gridava così forte di essere tormentata da lui, che il loro gridare non poteva
essere sopportato. Questa grazia operata dal vescovo dura a tutt'oggi non solo in quel luogo ma anche in
molti altri.” Confidando nella sua intercessione il popolo “gettava fazzoletti e cinture per poter toccare in
qualche modo la salma del santo. C'era infatti al funerale una folla immensa di ogni condizione, sesso ed
età: non solo cristiani, ma anche giudei e pagani: andava innanzi per maggiore dignità la schiera dei
battezzati.”
Una città intera si raccolse dunque attorno ad Ambrogio: non fu un gesto dettato da un'emozione
momentanea ma dalla profonda convinzione che Ambrogio dal cielo avrebbe ancora continuato il suo
impegno di vescovo “pater pauperum et defensor civitatis.”
I devoti pellegrini che non hanno mai smesso di frequentare con la preghiera la sua tomba sono la vivente
testimonianza della commossa partecipazione popolare nei secoli alla condivisione dell'avventura umana di
Ambrogio.
Conclusioni
La storia del nostro tempo è anche la storia dei tempi di Ambrogio: come nel IV secolo, anche il nostro
secolo è un periodo di cambiamenti profondi e di una radicale decadenza morale. Un richiamo e una rilettura
attualissima della sua figura sono proposti ai cristiani di oggi da papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera
Apostolica Operosam diem, inviata alla Chiesa milanese in occasione del XVI centenario della morte di
Ambrogio: “E' proprio dei Santi - afferma il pontefice - restare misteriosamente contemporanei di ogni
generazione: ciò è la conseguenza del loro radicarsi nell'eterno presente di Dio. Sant'Ambrogio ha una
visione unitaria del piano divino della salvezza ... Del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione,
Ambrogio parla con l'ardore di uno che è stato letteralmente afferrato da Cristo, e tutto vede nella sua luce
...”
Ma è soprattutto la sua azione di pastore nella Milano del IV secolo che esprime la prorompente modernità
del suo pensiero e del suo agire: “Nella società romana in disfacimento, non più sorretta dalle antiche
tradizioni, era necessario ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di valori
che si era venuto creando. Ambrogio volle dare una risposta a queste gravi esigenze non operando soltanto
all'interno della comunità ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento
globale della società. Consapevole della forza risanatrice del vangelo, vi attinse concreti e forti ideali di vita e
li propose ai suoi fedeli, perché ne nutrissero la propria esistenza e facessero emergere, a servizio di tutti,
autentici valori umani e sociali ... A chi pensava di salvare la romanità facendo ritorno ai simboli e alle
pratiche ormai desuete e senza vita, Ambrogio obiettò che la tradizione romana con i suoi antichi valori di
coraggio, di dedizione, di onestà, poteva essere assunta e rivitalizzata proprio dalla religione cattolica.”
Un esempio, che è anche una proposta da meditare per noi uomini moderni.
Note
(1)
Treviri è la città tedesca che ha forse la storia delle origini più ricca. Un tempo veniva chiamata
“Roma Secunda” poichè fu sede imperiale. Le sue origini risalgono al VI secolo a. C. quando i Treveri , una
popolazione celtica, eressero una città in muratura, la prima a nord delle Alpi . In omaggio all'imperatore
Augusto nel 16 a. C. la città divenuta colonia romana, fu ribattezzata Augusta Treverorum . Tra il I e il II
secolo d. C. la città acquisì vieppiù importanza divenendo sede di una prefettura. Tra il 260 e il 269 fu scelta
da Postumo come capitale del suo effimero Impero delle Gallie. Nel 294 Diocleziano vi stabilì Costanzo
Cloro in qualità di tetrarca. La città fu sem-pre tollerante verso i cristiani, tanto che fu possibile costruirvi una
chiesa per il culto. Nel 312 Costantino , figlio di Cloro, a Treviri si impegnò a far cessare le persecuzioni se
avesse vinto contro i suoi nemici usurpatori. Il che avvenne l'anno seguente nel 313 con l'editto di Milano .
Costantino nel 326 diede avvio alla costruzione della cattedrale, che a quel tempo era la più grande del
mondo. Dell'età romana rimangono le due terme di santa Barbara e quella imperiale, un anfiteatro e un
ponte sulla Mosella . Ben conservate sono altresì l'antica Basilica e la splendida Porta Nigra .
(2)
Paolino , Vita Ambrosii, 3
(3)
Ambrogio, Exorthatio virginitatis, 12, 82
(4)
Paolino, op. cit. , 3: “Ambrogio nacque quando suo padre era a capo della prefettura delle Gallie ... ”
(5)
Paolino, op. cit. , 4: “In seguito, essendo cresciuto, visse a Roma insieme con la madre vedova e la
sorella, che già aveva fatto professione di verginità e aveva come compagna un'altra vergine ... ”
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(6)
Agostino , Confessioni, 1, 9, 14 - 15. Il secondo gradino del sistema di istruzione roma-no era
costituito dalla scuola di grammatica che occupava gli studenti dai 10 ai 15 anni. Durante questi corsi
scolastici si insegnava a parlare correttamente e a conoscere le opere letterarie. Il corso di grammatica era
infine perfezionato dagli studi di retorica, che corrispondevano agli odierni studi universitari. C'era anche la
possibilità di successivi perfezionamenti in diritto e filosofia: nel IV secolo diritto si poteva però studiare solo
a Roma , Costantinopoli e Beirut , mentre filosofia si frequentava solo ad Atene . Ambrogio a Roma riuscì
dunque a seguire i corsi di retorica e di diritto, che lo avrebbero preparato a percorrere tutti i gradi della
carriera di un funzionario imperiale.
(7)
Agostino , Confessioni 8, 2, 3-5
(8)
La città sorgeva in prossimità del limes di Magonza , e geograficamente costituiva un naturale punto
di incontro tra Oriente e Occidente. Il prefetto che risiedeva a Sirmio aveva giurisdizione su gran parte
dell'Europa danubiana, dall'Adriatico a Budapest e a Vienna . Nel suo tribunale erano accolti e giudicati gli
appelli contro le sentenze dei governatori provinciali. Sirmio allora era un centro di arianesimo. Il vescovo
della città, Germinio , era ariano.
(9)
L'Italia allora costituiva una delle quattro prefetture in cui era diviso l'impero, ma con confini molto più
ampi di quelli attuali: dall'Algeria , Tunisia , Tripolitania , arrivava sino all'Istria e alla Baviera meridionale. Il
prefetto risiedeva a Milano . Questa prefettura era divisa in tre diocesi e la diocesi italiciana, comprendente
l'Italia propriamente detta, era governata da un vicario che pure risiedeva a Milano. Infine la diocesi italiciana
era suddivisa in dodici province, delle quali la provincia ligure-emiliana era formata dalla zona centrale della
pianura padana comprendente Milano, Lod i, Pavia , Brescia , Piacenza , Parma , Reggio , Modena , Vercelli
, Novara , Ivrea , Varese , Como , Bergamo .
(10)
Nello spavento generale del naufragio Satiro si preoccupò soprattutto di non morire senza battesimo.
Certo dell'aiuto divino, si fece affidare da alcuni cristiani, che erano pure sulla nave, un poco di pane
eucaristico che essi portavano con sé come viatico, lo mise in un fazzoletto attorno al collo e si gettò in
mare. l'Eucarestia lo salvò. In quella terra dov'era approdato, forse la Sardegn a, cercò una chiesa, ma
siccome in questi paesi non vi erano cattolici, Satiro non ebbe paura di riprendere ancora il mare finché
giunse ad un paese di cattolici e lì ricevette il battesimo.
(11)
Un certo Prospero che viveva in una località della provincia d'Africa era debitore di forti somme ad
Ambrogio. Quando venne a sapere che era divenuto vescovo credette di poter non avere più paura del suo
creditore e così si rifiutava di pagare. Satiro era del parere invece che era suo dovere tutelare gli interessi
del fratello, che erano in fondo gli interessi stessi della Chiesa e, nonostante le resistenze di Ambrogio, che
non voleva che il fratello si avventurasse ancora sul mare, volle andare personalmente in Africa a chiudere
la questione. Partì nell'ottobre del 377 e dopo due settimane di viaggio, arrivato in Africa, s'incontrò con
Prospero. Seppe condurre abilmente a termine le trattative, tanto che Prospero pagò tutto. E Satiro, sul
principio ormai dell'inverno, incominciò il viaggio di ritorno, durante il quale si fermò qualche tempo in Sicilia ,
dove forse c'erano delle proprietà considerevoli di famiglia. Sono forse quelle stesse proprietà di cui tratta
una lettera di san Gregorio Magno dove è scritto che il clero milanese esule a Genova al tempo
dell'invasione longobarda era mantenuto dai proventi che la Chiesa di Milano ancora possedeva in Sicilia.
Qui o in Sicilia Satiro si ammalò, ma per l'intercessione del martire Lorenzo ottenne la guarigione. Il suo
parente Simmaco voleva trattenerlo a Roma , perchè si temeva che anche l'Italia settentrionale era
minacciata dalle popolazioni Gote , che stavano allora devastando la Balcania. Satiro era impaziente di
rivedere Ambrogio, che in quelle settimane era stato a sua volta gravemente ammalato. Così nel gennaio del
378 i due fratelli si ritrovarono insieme. Ma gli strapazzi di quel viaggio invernale gli furono fatali. Pochi giorni
dopo Satiro si ammalò di nuovo e morì tra le braccia di Ambrogio e Marcellina .
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Ambrosiaster
Controllo Internet e altro aggiornato
Opere
Bibliografia
Edizioni
A. Pollastri, s.v. Ambrosiaster, in Dizionario patristico e delle antichità cristiane, 1, Casale M.,
Marietti, 1983, col. 115
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 169-80
(M.G. Mara).
AMBROSIASTER. E’ l'autore dei Commenti alle tredici lettere paoline che per tutto il Medioevo furono
attribuiti ad Ambrogio; il riconoscimento, in epoca rinascimentale, della non autenticità di tale attribuzione, ha
procurato all'anonimo autore dell'opera la denominazione di «Ambrosiaster». Oltre ai testi che tramandano i
Commenti sotto il nome di Ambrogio, esistono alcuni codici con la firma di un certo «Hilarius», mentre la
maggior parte di essi, fra cui il più antico, il Casinensis CL della metà del VI sec., presentano l'opera come
anonima. Non è ancora risolto il problema dell'identità del suo autore e numerose sono le ipotesi che hanno
tentato di identificarlo con personaggi noti, ma nessuna di esse ha ottenuto il consenso unanime degli
studiosi. Si è pensato al diacono luciferiano Ilario, al donatista Ticonio, al prete romano Faustino, all'ebreo
convertito Isacco avversario di papa Damaso, al prefetto romano Ilariano Ilario, ad Ilario di Pavia, ad Evagrio
di Antiochia, al funzionario imperiale Claudio Callisto Ilario, al prefetto romano Emiliano Dexter figlio di
Paciano di Barcellona e amico di Girolamo, infine a Niceta di Remesiana. Si deduce, dalle indicazioni offerte
dai suoi scritti, che l'A. operò sotto il pontificato di papa Damaso (366- 384), a Roma, pur avendo
probabilmente rapporti con l'Italia settentrionale e con la Spagna. Si discute se l'autore sia un convertito dal
paganesimo o dal giudaismo. I Commenti, per la prima volta in Occidente, offrono una spiegazione
sistematica delle lettere paoline che riportano integralmente secondo un testo latino diffuso in Italia prima
della revisione operata dalla Vulgata. L'esegesi, di tipo storico-letterale, aliena dall'allegorismo pur non
trascurando la tipologia, si serve di citazioni bibliche e di argomenti razionali per la dimostrazione di temi
teologici. Non mancano applicazioni pratiche alla vita morale dei credenti.
Un problema non indifferente che soggiace alla esatta ricostruzione del pensiero dell'A. è dato dall'esigenza
[sic] di più recensioni dei Commenti (tre per Romani, due per le altre lettere), talvolta divergenti anche nel
contenuto dottrinale: il Vogels, che ha curato l'edizione critica dell'opera, rifacendosi alle ricerche del Brewer
e del Souter, le ha ritenute successivi rimaneggiamenti dell'autore stesso. Un problema di recensioni diverse
si presenta anche a proposito delle Quaestiones Veteris et Novi Testamenti, tramandate tra le opere di
Agostino ma ormai unanimemente attribuite all'A. Ci sono giunte in tre collezioni contenenti rispettivamente
127, 150 e 115 trattati. Di essi la maggior parte spiegano difficili passi scritturistici, altri espongono la fede in
polemica con eretici, pagani o giudei, altri ancora si riferiscono a precise condizioni storiche, come la
quaestio CI che denuncia la superbia dei diaconi romani.
All'A. sono stati attribuiti anche alcuni frammenti esegetici che troviamo nel codice Ambrosiano I 101 sup.
(sec. VIII): un Commento a Matteo 24, l'Incipit de tribus mensuris (su Mt 13,33; Lc 13,21) e il De Petro
apostolo (su .Mt 26,52 e sul rinnegamento di Pietro) (ed. G. Mercati, Il commentario latino di un ignoto
chiliasta su s. Matteo: ST 11 [1903],23-49; C.H. Turner, An exegetical ,fragment of tbe tbird century: JTS 5
[1903-1904] 227-241; PLS 1, GG5-G70). Le tematiche presenti nelle opere dell'A., pur essendo in gran parte
collegate ai testi biblici che egli commenta, mostrano alcuni suoi interessi specifici: quello per il problema
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dell'incredulità dei giudei, delle cui istituzioni ha una conoscenza approfondita e di cui attende l'adesione al
Cristo in base alla fede; per il rapporto tra la legge mosaica e la fede in Cristo e la questione dei giudaizzanti;
per la posizione dei pagani nei confronti dell'annuncio cristiano; per la presentazione della fede trinitaria e
cristologica; per la situazione dell'uomo, peccatore e redento: il modo in cui I'A. tratta quest'ultimo aspetto ha
spesso condotto gli studiosi a confronti con Agostino e Pelagio, con divergenti conclusioni. La più antica
citazione esplicita di un testo dell'A. è data nel 420 da Agostino, il quale introduce un passo del commento
dell'A. a Rom 5,12 come opera di «sanctus Hilarius» (c. Pelag. IV, 4,7).
CPL184-188; Commenti: PL 17,47-536; CSEL 81,1.2.3;Ouaestiones: PL 35,2215-2422; CSEL 50; A. Souter,
A Study of Ambrosiaster: TSt 7/4, Cambridge 1905; W. Mundle, Die Exegese der paulinischen Briefe in
l;ommentar des Ambrosiaster, Marburg 1919; A. Souter, The earliest latin Cornmentaries on the l:pistles oli
St, Paul, Oxford 1927; DBS 1, 225-241; C. Martini, Ambrosiaster. De auctore, operibus, theologia, Romae
1944; TRE 2, 356-3G2; Patrologia III, 169-180 (bibl.); A. Pollastri, Ambrosiaster Commento alla lettera ai
Romani. Aspetti cristolngici, L'Aquila 1977; Ead., Il Prologo del Commento alla Lettera ai Romani
del1'Ambrosiaster: SSR2 (1978) 93-127; Ead., Nota all'interpretazione di Matteo 13, 33. Luca 13.21 nel
frammento Incipit de tribus mensuris: SSR 3 (1979) C,1-78; Ead., Sul rapporto tra cristiani e giudei secondo
il Commento dell'Ambrosiaster ad alcuni passi paolinì (Gal 3, 196-20; 1, d; Rom 11, IC 20.25-2(,a; 15,11):
SSK 4 (1980) 313-327.
A. Pollastri DPAC
Iccu per Soggetto Niente
ICCU per Autore
Commento alla lettera ai Galati / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Fatica, Roma:
Citta nuova, [1986], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Commento alla seconda lettera ai Corinzi / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi
Fatica, Roma: Citta nuova, [1989], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Ambrosiaster 3: In Epistulas ad Galatas, ad Efesios, ad Filippenses, ad Colosenses, ad Thesalonicenses, ad
Timotheum, ad Titum, ad Filemonem / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoelder, 1969
Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus
Vogels
Commento alla lettera ai Romani / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Alessandra
Pollastri, Roma: Citta nuova, [1984], Collana di testi patristici
Commento alla prima lettera ai Corinzi / Ambrosiaster; traduzione, introduzione e note a cura di Luigi Fatica,
Roma: Citta nuova, [1989], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus Vogels,
Vindobonae: Hoelder, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Comprende: 3: In Epistulas ad Galatas, ad Efesios, adFilippenses, ad Colosenses, adThesalonicenses, ad
Timotheum, ad Titum, adFilemonem / recensuit Henricus IosephusVogels
1: In Epistulam ad Romanos / recensuitHenricus Iosephus Vogels
2: In Epistulas ad Corinthios / recensuitHenricus Iosephus Vogels
Ambrosiaster 1: In Epistulam ad Romanos / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoeleder,
1966
Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus
Vogels
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Ambrosiaster 2: In Epistulas ad Corinthios / recensuit Henricus Iosephus Vogels, Vindobonae: Hoelder, 1968
Fa parte di: Ambrosiastri qui dicitur Commentarius in Epistulas Paulinas / recensuit Henricus Josephus
Vogels
Scheda. Quaestiones e responsiones. C. Curti.
QUAESTIONES ET RESPONSIONES sulla Sacra Scrittura. Tra i generi esegetici della Bibbia,
scoli, omelie, commentari, le «Quaestiones et Responsiones» si ricollegano agli scoli. Come
questi, infatti, non danno l'interpretazione sistematica e completa di un intero libro sacro (che è
propria dei commentari), ma consistono in note esplicative, per lo più brevi, di passi determinati o
di versetti o anche di termini biblici. Però, diversamente dagli scoli, utilizzano il metodo,
generalmente artificiale e fittizio, della domanda e della risposta, introdotte (soprattutto la
domanda) da formule stereotipe che si ripetono con stancante monotonia. Prima di essere
applicato alla Scrittura, il genere aveva avuto larga diffusione nella letteratura profana. Aristotele
scrisse un'opera intitolata Zetèmata kai lyseis [greco], ed ancor prima sofisti e retori se ne erano
serviti nelle scuole per sollecitare i discepoli a risolvere le numerose questioni che i vari testi, e
particolarmente i poemi omerici, sollevavano.
Sembra che il primo a comporre «Quaestiones» sulla Bibbia sia stato Filone d'Alessandria, la cui
opera, Problemi e soluzioni sulla Genesi e sull'Esodo (Euseb., HE 2, 18,1), commentava alcuni
capitoli dei due testi. Invece non si sa chi tra gli scrittori cristiani per primo abbia avuto l'idea di
dedicarsi a questo genere esegetico. Non sembra che vi rientri precisamente alcuno degli scritti
d'Origene, anche se egli talvolta, sia nelle omelie che nei commentari, introduce un interlocutore
immaginario a proporre una difficoltà che riceve la soluzione. Ad Eusebio si deve un'opera
specifica, Questioni e soluzioni evangeliche, di cui si sono conservati alcuni frammenti greci e
siriaci e, fortunatamente, un compendio, redatto posteriormente, che consente di farci un'idea
abbastanza precisa sull'originale e sul suo contenuto. L'opera si divideva in due parti: la prima
trattava, in due libri, problemi relativi all'infanzia di Gesù; l'altra, in un solo libro, i racconti della
risurrezione. Delle Questioni diverse di Acacio, discepolo e successore di Eusebio nella sede
episcopale di Cesarea, si è salvato un lungo frammento relativo a 1 Cor 15,51 grazie a Girolamo
(Ep. 119,6); da esso si deduce che l'opera di Acacio trattava anche di questioni bibliche. Sotto il
nome di Agostino sono state tramandate, da alcuni manoscritti, Questioni sull'Antico e sul Nuovo
Testamento, di cui possediamo tre recensioni comprendenti rispettivamente, la prima 151
questioni, la seconda 127, la terza 115. In base ad argomenti linguistici, stilistici e concettuali
l'opera è stata rivendicata all'autore del commento alle epistole di s. Paolo, conosciuto sotto il
nome di Ambrosiaster. Le Questioni presentano caratteri diversi: talune sono dei trattati veri e
propri tesi a sviluppare tutti gli aspetti di un problema, altre si limitano a chiarire rapidamente una
difficoltà particolare, altre ancora hanno di mira sia i nemici della chiesa, sia i credenti assertori di
opinioni pericolose, altre infine hanno l'aspetto di sermoni dedicati all'interpretazione di un salmo o
di un personaggio biblico. L'autore mostra una buona conoscenza degli scrittori classici e cristiani:
tra essi il Souter, il maggiore studioso delle Questioni, annovera Cicerone, Sallustio, Tito Livio,
Ireneo, Tertulliano, Cipriano, Vittoríno di Petovio, Ilario di Poitiers, ecc.
Al genere letterario delle «Quaestiones» si rifanno diverse lettere di Girolamo, dedicate a soluzioni
di difficoltà scritturali sulle quali il dotto padre della chiesa veniva consultato. Tali sono l'Epist. 35,
in cui vengono risolte a papa Damaso cinque questioni sulla Genesi, la 36, indirizzata allo stesso
pontefice, la 120, la 121. Ma Girolamo, agli inizi della sua attività esegetica, compose anche uno
scritto specifico, Quaestiones Hebraicae in Genesim: in esso oppone la versione della Settanta a
quella ebraica attraverso 220 questioni, che costituiscono un vero e proprio commento di tutto il
libro sotto forma di scoli.
A questo genere esegetico si riallacciano diverse opere di Agostino: Quaestionum in
Heptateuchum libri 7; De octo quaestionibus ex Veteri Testamento; Quaestionum evangeliorum
libri 2; Quaestiones 17 in Ev, secundum Matthaeum sulla cui autenticità è stato sollevato qualche
dubbio; Expositio 84 propositionum ex epist. ad Romanos; De diversis quaestionibus 83 liber unus;
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De diversis quaestionibus ad Simplicium libri duo; De oeto Dulcitii quaestionibus liber unus.
L'appartenenza di questi scritti al genere delle «Quaestiones» è stata contestata da qualche
studioso con la motivazione, in verità speciosa, che non vi vengono risolte difficoltà immaginarie,
ma problemi reali che si presentavano ad Agostino stesso e ai suoi corrispondenti. Quanto al
carattere e al contenuto, alcuni di questi scritti sono piuttosto brevi, altri, di una lunghezza
rilevante; alcuni sono una specie di repertorio sistematico delle difficoltà che presenta lo studio di
un libro sacro, altri si limitano a risolvere un certo numero di problemi. All'interpretazione di passi
scelti della Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, sotto forma di dialogo è consacrato il primo libro
delle Instructiones (l'opera ne comprende due) di Eucherio di Lione. Le Instructiones sono dedicate
al figlio Salonio, vescovo di Ginevra, a cui sono stati attribuiti - ma l'attribuzione non è pacifica (cfr.
la voce Salonio) - quattro opuscoli, nei quali, mediante una fitta concatenazione di domande e
risposte, vengono risolte questioni relative a passi scelti dai Proverbi, dall'Ecclesiaste e dai vangeli
di Matteo e di Giovanni. Sia le Instructiones che gli opuscoli di Salonio offrono ben poco di
personale, ma utilizzano, talvolta anche al livello del plagio letterale, opere precedenti. Da
mancanza di originalità sono anche caratterizzate le Expositiones mysticorum sacramentorum seu
Quaestiones in Vetus Testamentum di Isidoro di Siviglia (che appartengono piuttosto alla
letteratura degli scoli che a quella delle «Quaestiones» propriamente detta) e le De Veteri et Novo
Testamento quaestiones, di cui è stata sostenuta con argomenti convincenti l'appartenenza allo
stesso Isidoro. Dalla medesima mancanza d'originalità sono viziate le Quaestiones in librum
Regum di Beda il Venerabile.
Nel genere delle «Quaestiones» rientrano tre scritti che figurano tra le opere di Giustino:
Quaestiones et responsiones ad orthodoxos, Quaestiones christianorum ad gentiles, Quaestiones
gentilium ad christianos. Scartata, e con buone ragioni, la paternità giustinianea, come autori di tali
scritti, congiuntamente con la Confutatio quorumdam Aristotelis dogmatum, sono stati fatti i nomi di
Diodoro di Tarso e di Teodoreto di Ciro, senza che nessuna delle due attribuzioni abbia riscosso
apprezzabili consensi. Allo stato attuale si può solo asserire che i quattro scritti provengono tutti
dalla medesima mano e probabilmente risalgono alla metà del V sec. Delle Quaestiones et
responsiones ad orthodoxos si posseggono due recensioni, una che comprende 146 questioni,
l'altra - che probabilmente rappresenta la recensione originaria - 161. Le interrogazioni proposte
sono tra le più varie e non riguardano che solo in parte la Sacra Scrittura; infatti tra i temi trattati vi
figurano anche l'apologetica, il dogma, la morale, l'esegesi, la liturgia, le scienze naturali. Vari
anche gli interlocutori, che vanno dal catecumeno al pagano colto, al discepolo. Gli altri due
opuscoli dello Ps. Giustino, Quaestiones christianorum ad gentiles e Quaestiones gentilium ad
christianos, esulano dai nostri interessi, poiché trattano di problemi filosofici. Al genere in esame
dedicò parte della sua attività anche Teodoreto di Ciro componendo Quaestiones in Octateuchum
e In libros Regnorum et Paralipomenon. Le due opere sono rivolte ad Ipazio, che aveva
insistentemente richiesto all'autore spiegazioni su passi difficili della Bibbia. In effetti rientrano a
buon diritto nel genere solo le Quaestiones in Octateuchum, poiché l'altro scritto - che costituisce
un séguito del precedente -, soprattutto le questioni sulle Cronache, si presenta come un
commento sotto forma di scoli.
Ad Esichio di Gerusalemme appartiene probabilmente la Collezione di obiezioni e di soluzioni, che
sembra sia un'epitome della sua Concordanza evangelica andata peduta. La Collezione è una
specie di concordanza intesa ad illustrare, mediante domande e risposte, 61 problemi evangelici
riguardanti la vita pubblica, la passione e la morte di Gesù. Almeno due raccolte di questioni
scritturali si devono a Massimo il Confessore: Quaestiones ad Thalassium (PG 90, 243-78G) e
Quaestiones et dubia (PG 90,785-856). Nella prima l'autore spiega 65 questioni a Talassio, che
gliene aveva fatto esplicita richiesta. Nella seconda raccolta alcuni dei problemi proposti non
hanno alcuna relazione con la Scrittura. Nell'insieme questa seconda opera è più semplice
dell'altra e risponde meglio al tipo classico delle questioni scritturali. Invece le questioni a Talassio
sono caratterizzate da lunghe considerazioni, indubbiamente più importanti, ma meno conformi al
genere.
Delle opere di Anastasio il Sinaita la sola che interessa è intitolata Quaestiones et responsiones
(PG 89,312-824). Nelle edizioni correnti l'opera comprende 154 questioni; i manoscritti però non
ne attestano tutti lo stesso numero e, tra l'altro, è certo che alcune delle 154 pubblicate non
appartengono ad Anastasio. Oltre a problemi scritturali, vengono trattati anche temi dogmatici,
morali e liturgici.
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G. Bardy, La littérature patristique des «Quaestiones et Responsiones» sur L'Ecriture Sainte: RBi
41 (1932) 210-236, 341-369, 515-537; 42 (1933) 14-30, 211-229, 528-351
C. Curti, s.v. Quaestiones et responsiones sulla Sacra Scrittura, in DPAC. 2, col. 2958-2962.
Filastrio di Brescia
Cenni biografici
Fu vescovo di Brescia fino al 391. Abbiamo poche notizie dal suo successore Gaudenzio, che ne
sottolinea l’attività di predicatore e di controversista itinerante. Fu impegnato nella controversia
ariana, in particolare nel contrasto al vescovo Aussenzio e altri ecclesiastici ariani.
Sottoscrisse gli Atti del Sinodo di Aquileia del 381.
Fra il 381 e il 387 era a Milano, presso Ambrogio, e lì conobbe Agostino.
Opere
Liber de haeresibus. Composto tra il 383 e il 391, alcuni restringono al periodo 380-90.
E' un repertorio di 156 eresie, con notizie piuttosto succinte e privo di approfondimenti. Agostino ne
accenna brevemente in Ep. 222, in termini di confronto rispetto ad Epifanio e in modo non molto
lusinghiero per Filastrio. Epifanio ed Ireneo sono per i più le fonti utilizzate da Filastrio. Da notare,
a proposito dell’ampio numero dell’elenco, che Filastrio elenca come anche “proposizioni di
carattere dottrinale o disciplinare” che non hanno dato luogo a veri e propri movimenti eretici o
scismatici e che in lui la differenza tra eresia e scisma non è chiara"Eresiologo di scarso peso" (Moreschini).
Testi e testimonianze
August., ep. 222.
Bibliografia
Edizioni
Migne vol.
Diversarum hereseon liber – ed. F. Marx 1898, CSEL, Vol. 38
Ed. F. Heylen, CC, 1957
Delle varie eresie, intr., trad G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1991, Scrittori dell'area
santambrosiana. Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio
Studi
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181
Moreschini-Norelli, 2/1, p. 401.
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 120-22
(M. Simonetti).
ICCU
Philastrius <santo> , Sancti Filastrii episcopi brixiensis diversarum hereseon liber / recensuit Fridericus Marx,
Pragae ; Vindobonae, 1898 , Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Eusebius : Vercellensis <santo> , 12: Sancti Eusebii episcopi Vercellensis opera omnia nunc primum cura
qua par erat redacta... accedunt Firmici Materni necnon Sancti Philastrii opera omnia ad ezquisitas F.
Munsteris et P. Galeardi editiones castigata et emendata
Edizione: Reimprime d'apres l'ed. orig , Turnholti : Brepols, [1967]
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Parisiis : Vrayet, 1845.
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Eusebius: Vercellensis <santo>, 12: Sancti Eusebii episcopi vercellensis opera omnia, nunc primum cura
qua par erat redacta : editionem auspicatur maximeque commendat Eusebii Evangelium cum variis versionis
italae codicibus collatum, sive Evangelirium quadruplex latinae versionis antiquae, juxta memoratissimas
Blanchini veronensis lucubrationes recognitum et expressum: cui, post reliqua sancti Eusebii opuscula,
accedunt Firmici Materni necnon Sancti Philastrii opera omnia, ad exquisit , Parisiis : Vrayet, 1845
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra... / accurante J.P. Migne
Philastrius <santo>, Philastrii ... Haereseon catalogus. Cui adiectus est eruditissimus libellus Lanfranci ... De
sacramento eucharistiae aduersus Berengarium
Edizione: Nunc recens editi , , [dopo il 26.XI.1528]
Note Generali: A cura di Johann Sichard, il cui nome appare nella dedica
Il tip. Heinrich Petri, Basilea, e stato identificato sulla base del materiale tipogr
Sichardt, Johannes <1499-1552>
[Editore] Petri, Heinrich
Paese di pubblicazione: CH
Lingua di pubblicazione: lat
Philastrius <santo>, Delle varie eresie / san Filastrio di Brescia = [Filastrii Brixiensis Diversarum hereseon
liber] . Trattati / san Gaudenzio di Brescia = [Gaudentii Brixiensis Tractatus] ; introduzione, traduzione, note e
indici [di entrambe le opere] di Gabriele Banterle
Edizione: Ed. bilingue , Milano : Biblioteca Ambrosiana, 1991 , Scrittori dell'area santambrosiana.
Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Philastrius <santo> , De omnibus ab exordio creaturarum haeresibus, quae mire multiplices sunt, autoribus
Philastrio Brixien. & alijs insignibus doctrina & pietate uiris. Porro falsis illis daemoniorum doctrinis
opposuimus, opera principum theologorum, summa orthodoxae religionis capita, quibus, praeter caetera,
euidenter demonstratur quod nam sit prophetae seu concionatoris offici , Basileae : apud Henricum Petrum
(Basileae : apud Henricum Petrum, mense Augusto 1539)
[Pubblicato con] Sententiae patrum de officio uerorum rectorum ecclesiae dei CXIIII.
Juret, Etienne Abel , Etude grammaticale sur le latin de S. Filastrius : these , Erlangen : Iunge, 1904
Paese di pubblicazione: FR
Lingua di pubblicazione: fre
Gaudenzio di Brescia
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Cenni biografici
Fu successore di Filastrio al soglio episcopale bresciano a partire dal 391.
Opere
Quindici prediche dedicate all'amico Benivolus.
Dieci per la settimana santa, cinque per brani del Vangelo.
Altre omelie spurie.
Testi e testimonianze
Bibliografia
Edizioni
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 122-24
(M. Simonetti).
Moreschini-Norelli, 2/1, p. 402.
Tractatus – ed. A. Glück 1936, CSEL, Vol. 68.
ICCU
Bruni, Giancarlo, Pasqua primavera della storia : teologia del tempo nei testi omiletici di Gaudenzio di
Brescia / Giancarlo Bruni, Roma: Marianum, 2000, Scripta Pontificiae facultatis theologicaeMarianum. N. S
Scripta Pontificiae facultatis theologicaeMarianum
Trisoglio, Francesco, San Gaudenzio da Brescia scrittore / Francesco Trisoglio, Torino : Tip. Temporelli e C.,
1960 , Biblioteca della Rivista di studi classici.Ser. 1, Saggi vari
Note Generali: Biblioteca della Rivista di studi classici: serie prima: saggi vari; 1 / edita e diretta da Vittorio
D'Agostino.
S. Gaudentii episcopi Brixiensis Tractatus / ad fidem codicum recensuit Ambrosius Glueck, Vindobonae:
Hoelder-Pichler-Tempsky, 1936, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Philastrius <santo>, Delle varie eresie / san Filastrio di Brescia = [Filastrii Brixiensis Diversarum hereseon
liber] . Trattati / san Gaudenzio di Brescia = [Gaudentii Brixiensis Tractatus]; introduzione, traduzione, note e
indici [di entrambe le opere] di Gabriele Banterle
Edizione: Ed. bilingue, Milano: Biblioteca Ambrosiana, 1991, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi
all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Quaresimale postumo del padre Gaudenzio da Brescia cappuccino, In Brescia: dalle stampe di Giammaria
Rizzardi, 1771
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Instituzioni sagro-oratorie opera di f. Gaudenzio da Brescia cappuccino, In Brescia: presso Giammaria
Rizzardi, 1759
I sermoni / Gaudenzio di Brescia; introduzione, traduzione e note a cura di Carlo Truzzi, Roma: Citta nuova,
[1996], Collana di testi patristici
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Sancti Gaudentii Brixiae episcopi Sermones qui exstant nunc primum ad fidem mss. codd. recogniti, et
emendati. Accesserunt Ramperti, et Adelmanni venerabilium Brixiae episcoporum opuscula. Recensuit, ac
notis illustravit Paulus Galeardus ... Patavii: excudebat Josephus Cominus, 1720 (Patavii: [Giovanni Antonio
e Gaetano Volpi]: excudebat Josephus Cominus, 1720)
Opere di s. Gaudenzio, vescovo di Brescia e padre della Chiesa / Mariotti Gio. Maria, Breno: Tip. Camuna,
1913
Sancti Gaudentii Brixiae episcopi Sermones qui exstant nunc primum ad fidem mss. codd. recogniti &
emendati. Accesserunt Ramperti et Adelmanni ... opuscula. Recensuit ac notis illustravit Paulus Galeardus
canonicus Brixianus, Augustae Vindelicorum: sumptibus Ignatii Adami & Francisci Antonii Veith, bibliopol.,
1757
Note Generali: Contiene: Ramperti Brixiae episcopi Sermo de translatione beati Philastrii; Adelmanni Brixiae
episcopi De veritate corporis et sanguinis Domini ad Berengarium epistola et rhythmi alphabetici.
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S. Girolamo
Cenni biografici
Nacque da famiglia benestante a Stridone, in Dalmazia, intorno al 347, nonostante Prospero
d’Aquitania anticipi tale data al 331. Il padre, Eusebio, era cristiano e uomo pio e colto; il fratello
Paoliniano e la sorella, entrambi più giovani, seguiranno Girolamo nella vita monastica.
Fra il 360 e il 367 compì i suoi studi a Roma, ove ebbe tra i suoi maestri Elio Donato.
Intorno al 370 si trasferì a Treviri, sede imperiale.
Si ritirò poco dopo (373?) nella piccola comunità religiosa di Aquileia guidata dal vescovo
Valeriano e di cui facevano parte Bonoso, Eliodoro, Cromazio e Rufino. Ma fu un’esperienza
segnata anche da liti personali, molte delle quali certo animate dallo spirito polemico di G.
Troviamo in seguito Girolamo in viaggio, accompagnato da Evagrio Pontico, attraverso la Grecia,
l'Asia Minore e la Siria; di Evagrio rimase ospite ad Antiochia per qualche tempo, poi, tra il 375 e il
377, il ritiro ascetico nella zona desertica intorno a Calcide, a sud di Aleppo, in Siria, dove G.
studiò l’ebraico. Anche qui i rapporti con i monaci del luogo non furono tra i più sereni, anche per le
posizioni intransigenti di G., che decise di fare ritorno ad Antiochia.
Qui, dove si stava sviluppando lo scisma di una minoranza ultranicena guidata dal vescovo
Paolino, Girolamo, che ne diventò segretario, fu ordinato prete e seguì le lezioni dell'esegeta
biblico Apollinare di Laodicea (310 ca.-390 ca.).
Intorno al 380 seguì Paolino a Costantinopoli dove si stabilì ed entrò in contatto con Gregorio
Nazianzeno che lo introdusse alla lettura e allo studio dell'esegeta biblico alessandrino Origene
(185-253) e di Eusebio di Cesarea (265-340).
Fra il 382 e il 385 lo troviamo a Roma, dove papa Damaso lo accolse come segretario e gli
commissionò la revisione del testo latino dei Vangeli. Nel frattempo G. si applicò con fervore al
miglioramento della sua conoscenza dell’ebraico e divenne guida spirituale della nobile Paola e di
sua figlia Eustochio. Ma la morte di Damaso e l’elezione di papa Siricio resero l’ambiente romano
meno favorevole a Girolamo, che decise – forse per una formale condanna - di allontanarsene.
Con il 385 egli iniziò con le sue protette un pellegrinaggio che lo portò a Cipro, ad Antiochia, quindi
nei luoghi santi, in Egitto e infine ad Alessandria, dove conobbe un altro importante esegeta
biblico, Didimo il Cieco (313 ca.-398 ca.). Di nuovo in Terra Santa nel 386, grazie al patrimonio
delle donne, Girolamo fondò a Betlemme un ospizio per i pellegrini e due monasteri, uno maschile,
sotto la sua guida, uno femminile, sotto quella di Paola.
Il periodo passato a a Betlemme fu molto intenso, caratterizzato da intensi studi (traduzioni
bibliche, adattamenti di testi esegetici e compilazione di opere meno impegnative), ma anche da
notevoli polemiche, in particolare quella intorno ad Origene; nata da una controversia dottrinale tra
l’amico di G., Epifanio, vescovo di Salamina di Cipro (315 ca.-403) e Giovanni, vescovo di
Gerusalemme, essa trovò Girolamo e il vecchio amico Rufino su schieramenti oppposti per molti
anni, almeno dal 392 al 410, anno della morte di Rufino.
A partire dal 397 G. entrò in contatto epistolare anche con Agostino di Ippona, con cui si schiererà
apertamente nella lotta contro Pelagio, specie quando questi verrà accolto con favore a
Gerusalemme dal vescovo Giovanni. La ferma condanna di Girolamo, nel 414, portò a una
reazione dei pelagiani che incendiarono i monasteri geronimiani: solo il concilio di Antiochia, nel
417, rese possibile l’espulsione dell’eretico. Nel frattempo, Girolamo aveva assistito alla morte
della amatissima Paola (404), cui seguì, nel 418, quella di Eustochio.
A Betlemme G. morì nel 419 o 420..
[Viaggi di S.Girolamo. Fonte. J.M. Laboa, Atlante storico del monachesimo, Milano, Jaka Books,
2002, p. 93. Modif.grigio. BCTV]
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Opere
Opere esegetiche
Commentari biblici
Commenti alle lettere di S.Paolo
Un commento alla lettera di Paolo a Filemone fu composto nel 386 o poco più tardi, a
Gerusalemme, su richiesta delle figlie spirituali.
A questo venne dietro il commento ai Galati, di cui Girolamo conosceva il commento di Mario
Vittorino; a seguire quello agli Efesini e quello a Tito, il tutto nell’arco di qualche mese.
Commento all’Ecclesiaste
Intorno al 389 Girolamo mette per iscritto alcune riflessioni sull’Ecclesiaste già al centro della sua
attenzione in precedenza. Girolamo segue la Vetus Latina, tenendo conto dell’ebraico e delle
versioni esaplari.
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Commentarioli in Psalmos
Da datarsi al 390, sono anteriori alla traduzione del Salterio dall’ebraico e probabilmente anche a
quella dalla Esaple, di cui costituiscono una preparazione.
Questioni ebraiche sulla Genesi
Composte intorno al 392, si riallacciano a un genere letterario praticato dalla filologia e dalla
filosofia classica. Il piano dell’opera doveva prevedere tutta la Bibbia, ma conclusa la sezione
relativa alla Genesi Girolamo diede priorità a una versione dall’ebraico del testo biblico.
Commentario sui Profeti
E’ l‘unico veramente sistematico realizzato da Girolamo. Iniziato nel 395, anche se anticipato nel
374 con le osservazioni su Abdia, toccò prima cinque profeti minori (Naum, Michea, Abacuc,
Sofonia e Aggeo), poi nel 396 Giona, nuovamente Abdia, Isaia; più tardi ancora, nel 406 vengono
commentati i minori ancora mancanti: Zaccaria, Malachia, Osea, Gioele e Amos. Negli anni
successivi tocca a Daniele (407), Isaia (408-09), Ezechiele (411-14) e in modo incompleto causa il
sopragiungere della morte, Geremia (415-19).
Il commento prevede prima la traduzione dall’ebraico, poi dalla Settanta. Segue il commento
letterale, soprattutto sulla discussione delle varianti esaplari; una esposizione spirituale basata
sulla Settanta.
Commento a S.Matteo
Composto intorno al 398 su richiesta di un commento breve e letterale di un compagno di
Betlemme, Eusebio di Cremona.
Commento all’Apocalisse
E’ uno dei testi per cui Girolamo non può fare affidamento su una bibliografia greca, considerato
che il libro non era accolto in Oriente: G. riprende e utilizza soprattutto il commento di Vittorino di
Pettau, correggendone qualche errore e migliorandone lo stile, nonché quello di Ticonio.
Traduzioni
“Principe dei traduttori” Jean Gribomont
Traduzioni bibliche
La Bibbia latina anteriore a Girolamo, o meglio i suoi diversi tipi, erano stata redatti sulla base della
traduzione greca dei Settanta per l’Antico Testamento, sulla base dell’originale per il Nuovo.
Girolamo avrebbe ricevuto da papa Damaso, morto il 384, l’incarico di correggerne e uniformarne il
testo, operazione cui Girolamo si accinse sulla scorta di ottimi codici del testo greco da cui le
versioni latine appunto dipendevano. Tale revisione cominciò dai quattro Vangeli e si estese poi
forse anche agli altri libri del Nuovo Testamento per poi proseguire negli anni con l’A.T., secondo
tempi e metodi non sempre lineari.
Il caso dei Salmi è abbastanza significativo, anche perché per un testo così diffuso e conosciuto da
molti a memoria le resistenze all’innovazione non furono poche. Di essi vennero apprestate da G.
tre revisioni. Una prima rapida revisione, detta Salterio Romano, venne condotta contestualmente
a quella dei Vangeli (382-85). Tale prima revisione, rifiutata in seguito dall’autore, non ha avuto
seguito e non ci è stata tramandata.
Una seconda revisione Girolamo affrontò nel 390 (o 387?) quando nella biblioteca di Cesarea
ebbe modo di consultare la Esàple, l’edizione sinottica dell’A.T. di Origene. Il salterio esaplare è
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relativamente vicino al vecchio testo tradizionale ed è noto come salterio Gallicano perché
adottato, dopo che nella liturgia irlandese, in quella della Gallia carolingia e di lì nella liturgia latina,
dove venne sostituito da una nuova versione solo da Pio XII.
Una nuova revisione sull’ebraico venne in seguito redatta da Girolamo.
Nel 387, conosciuta l’Esaple di Origene, Girolamo si accinse a una revisione dell’A.T. latino
secondo il testo greco dell’Esaple stessa. Di tale revisione sono restate porzioni importanti dei libri
di Giobbe e Salomone oltre che i Salmi (v. sopra) e la prefazione ai Paralipomeni. Girolamo, del
resto, non estese questa revisione agli altri libri, convinto che solo una traduzione dall’ebraico
avesse significato. A partire dal 390 G. tradusse quindi dall’ebraico i quattro libri dei Re, i Profeti e i
Salmi, quindi Giobbe. Nel 395 affrontò la traduzione di Esdra e Neemia, nel 396 i Paralipomeni, nel
398, in soli tre giorni, i Proverbi, l’Ecclesiaste e il Cantico; nel 405 i libri di Giosuè, Giudici, Rut ed
Ester.
Dei Deuterocanonici dell’A.T. Girolamo tradusse dall’aramaico i libri di Tobia e quello di Giuditta,
rispettivamente in un giorno e una notte; dal greco le aggiunte di Ester e Daniele.
Altre traduzioni
Cronaca di Eusebio di Cesarea.
L’originale greco è andato perduto. Girolamo la legge a Costantinopoli nel 380 e comincia a
tradurla, completandola fino all’anno 378.
Onomastica: Liber locorum e Liber nominum.
Sono due liste di nomi ebraici, trascritti nella Bibbia dei Settanta senza una traduzione, che
Girolamo completa rispetto al lavoro sviluppato su di essi da Eusebio. Il greco aveva ordinato i
termini alfabeticamente, quindi secondo l’occorrenza nel racconto biblico, ne aveva fornito
eventuali traduzioni esaplari corredandole di altri particolari miranti all’identificazione geografica.
Girolamo integra alcuni dati ma rispetta complessivamente l’originale.
De viris illustribus
Composto nel 392-393. Il piano dell’opera, un manuale di patrologia, trae ispirazione da una parte
da Svetonio, dall’altra dalla Storia ecclesiastica di Eusebio. Si tratta di 135 brevi biografie di
scrittori cristianni con notizie tratte soprattutto da Eusebio.
Diversi errori di interpretazione che tradiscono l’ignoranza almeno parziale della letteratura di cui si
traccia la storia.
Traduzioni di Origene
Come già ricordato, Girolamo aveva conosciuto a Costantinopoli le opere del grande esegeta
alessandrino attraverso Gregorio Nazianzeno. Ne divenne un attento ed entusiasta lettore prima,
curioso traduttore, quindi, dopo qualche anno, polemico detrattore quanto meno delle tesi
effettivamente riconosciute più tardi come eretiche.
Di Origene Girolamo tradusse dapprima (381) 14 omelie su Geremia, quindi quelle su Ezechiele, in
seguito (383) le due sul Cantico, le 39 su Luca nel 390, dopo il 392, quelle su Isaia.
La traduzione dei quattro libri del Perì archòn, l’opera più importante di Origene, fu redatta nel 399
in risposta a quella di Rufino, nel pieno della polemica con Rufino stesso (vedi sotto).
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Opere polemiche
Girolamo riconduce in genere ogni polemica sul terreno dell’esegesi ove ha più facile gioco sugli
avversari. Utilizza spesso argomentazioni e modalità già di Tertulliano e Ireneo.
Le tesi degli avversari sono spesso presentate in modo caricaturale.
Altercatio Luciferiani et Orthodoxi.
Composta intorno al 381-82. Lucifero era un estremista niceno che era arrivato a uno scisma.
Girolamo, legato indirettamente a Lucifero, vuole evitare ogni sospetto di collusione.
Contro Elvidio. De perpetua virginitate beatae Mariae. E’ la risposta alle tesi di Elvidio, legato
dell’ariano Aussenzio di Milano, secondo cui dopo la nascita di Cristo Maria sarebbe vissuta in
matrimonio con Giuseppe e avrebbe avuto da questi diversi figli.
Contro Gioviniano. Composto a Betlemme tra il 392 e il 393.
Il monaco Gioviniano aveva sostenuto che la salvezza acquisita attraverso la redenzione di Cristo
era per tutti eguale e che pratiche come la verginità, l’ascesi e in particolare il digiuno non avevano
ragione d’essere. Le tesi di Gioviniano furono condannate nel 390 e 391 da papa Siricio e da
Ambrogio. Girolamo conferma la condanna con l’esegesi della prima paolina ai Corinzi (7).
Contra Iohannem Ierosolymitanum. Contro Giovanni di Gerusalemme.
E’ la risposta di Girolamo a un’apologia inviata nel 396 dal vescovo di Gerusalemme Giovanni a
Teofilo di Alessandria per esporgli rimostranze a carico di Girolamo stesso e di Epifanio.
Girolamo illustra gli errori di Origene.
Contra Rufinum o Apologia contra libros Rufini. Contro Rufino.
I tre libri, composti i primi due tra il 401 e il 402, il terzo fra il 403 e il 404, raccolgono in toni
duramente polemici e spesso puramente personali, le osservazioni di Girolamo contro Rufino in
merito alla questione origeniana.
Questa, come già ricordato, traeva spunto da una contesa dottrinale tra Epifanio e Giovanni di
Gerusalemme, sfociata nel 393 nella richiesta da parte di Epifanio di considerare eretiche alcune
tesi di Origene. Girolamo, per il passato grande estimatore e traduttore di Origene, aveva accettato
tale richiesta; Rufino, invece, l’aveva rifiutata; in più, tra il 397 e il 398, aveva tradotto dal greco
l’Apologia per Origene di Panfilo e in latino il trattato più importante di Origene, il Perì archòn (De
principiis); di quest’opera aveva peraltro fornito una versione tesa appunto a difenderne
l’ortodossia. Girolamo aveva risposto allora con una propria traduzione del Perì archòn,
evidenziando le manipolazioni di Rufino e mettendolo in cattiva luce agli occhi di papa Anastasio.
Rufino si difese in un’Apologia al papa (400/401) e in un’altra indirizzata a Girolamo (Apologia
contra Hieronymum) nel 401/02, suscitando appunto la reazione alquanto scomposta di Girolamo
che, lungi dal risolversi con quest’opera, si espresse ancora, attraverso diversi scritti, fin dopo la
morte di Rufino.
Contro Vigilanzio.
Composto nel 406 contro il prete aquitano Vigilanzio, ospite di Girolamo a Betlemme nel 395,
accusato di usi liturgici superstiziosi e di ostilità per il culto dei martiri, il digiuno e la verginità.
Dialogo contro i Pelagiani.
Composto nel 415, nel periodo compreso tra il sinodo di Gerusalemme e quello di Diospoli.
L’anno precedente Girolamo ha già indirizzato a Pelagio l’epistola 133.
Opere agiografiche
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Caratteri delle biografie romanzate composte da Girolamo sono la commistione di elementi reali
derivanti da esperienze personali, elementi di pura fantasia e tratti dell’ideale monastico orientale.
Vita di Paolo di Tebe.
Paolo di Tebe fu un eremita predecessore di Antonio.
Appare un modello fantastico di eremita che Girolamo avrebbe voluto realizzare al suo primo
contatto con l’esperienza nel “deserto” di Calcide negli anni 375-79.
Vita di Ilarione.
Ilarione di Gaza è figura storica, ma spesso ammantata di leggenda, come nel caso del suo
presunto incontro con Antonio. Fu padre spirituale di Epifanio di Gaza.
Volontà di Girolamo è quella di presentare un monaco taumaturgo, che vive a contatto con gli
uomini.
La biografia fu composta dopo i viaggi in Siria e in Egitto (386-90), durante il soggiorno a
Betlemme.
Vita di Malco.
Malco, siro originario di Nisibi, sarebbe stato conosciuto da Girolamo a Maronia, vicino al deserto
di Calcide, in Siria. Praticava vita di perfetta castità assieme a una donna.
La biografia venne composta nel 390.
Commemorazione della Santa Paola. Scritto in memoria della nobile romana e dedicata alla figlia
Eustochio, è raccolta nell’epist. 108 del 404.
Manuali
De viris illustribus Christianis. Composto intorno al 392, è una galleria di 135 ritratti di scrittori
cristiani. La fonte principale è Eusebio di Cesarea.
Chronicon. E' la traduzione e rielaborazione, con aggiornamenti fino al 378, dell'opera di Eusebio
di Cesarea.
Gli interventi più significativi riguardano fatti e personaggi della storia romana sulla scorta, tra gli
altri, di Svetonio, Eutropio, Aurelio Vittore.
Epistolario
L'epistolario raccoglie 154 lettere, fra cui 117 di G., le altre di corrispondenti.
Alcune lettere hanno carattere monografico su specifici temi (traduzione, verginità, educazione
ecc.)
Osservazioni
Testi e testimonianze
Hier., vir.ill. 135
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[0715B] 953 [j [0716D] Integrum nomen est Sophronius Eusebius Hieronymus, quemadmodum in uno
alteroque Mediolanensi ms. germana ejus scripta continente invenimus.] Hieronymus patre Eusebio natus,
oppido Stridonis, [k [0716D] Inter varias de Hieronymi patria sententias, quae nobis videatur caeteris
praeferenda, in S. Doctoris Vita, quam ad postremum ejus operum Tomum distulimus, adductis argumentis
ostendemus. Eruditi viri Strida oppidum pene dirutum in inferiori Hungaria intra Muram, et Dravum fluvios
constituunt. Nec ab his longe recedunt, qui ad Saboriam flumen, ut Buno in Geograph. Cluerii, vel qui ad
Saboriam itidem noti nominis in Hungaria oppidum [0717B] proxime collocant. Vastationem Dalmatiae,
Pannoniaeque a Gothis illatam, Ammianus Marcellinus lib. XXXI, cap. 8, describit.] quod a Gothis eversum,
Dalmatae quondam [0717A] Pannoniaeque confinium fuit, usque in praesentem annum, id est, Theodosii
principis [a [0717B] Respondet, ut saepe diximus, Christi an. 392.] decimum quartum, haec scripsi: [b
[0717B] Ex hac Vita tomum huncce alterum auspicamur.] Vitam Pauli monachi, [c [0717C] Eas facile innuit
epistolas, quas cum Antiochiae ageret, et in eremo, tum in ipsa peregrinatione ad annum usque 383 ad
diversos scripsit, quae primae juxta temporum seriem in nostra recensione occurrunt: tametsi aliquas ex iis
intercidisse in generali Praefatione ostendimus.] Epistolarum ad diversos librum unum, [d [0717C] Haec
quoque ex earum Epistolarum est numero, quae 14 locum in nostra recensione obtinet, circiter annum
scripta 373. Seorsim vero ab ipso Auctore recensetur, quasi quidam Tractatus de solitariae vitae laudibus.]
ad Heliodorum Exhortatoriam, [e [0717C] Hanc habes hoc ipso secundo tomo pag. 171. In aliis editionibus
epistolae 59 locum implevit.] Altercationem Luciferiani et Orthodoxi, [f [0717C] Octavum, Deo dante,
conficiet nostrae editionis tomum Chronicon istud, quod Hieron. ex Eusebio Latine est interpretatus, et a
Vicennalibus Constantini M. ad annum usque 378 de suo produxit.] Chronicon omnimodae historiae; in
Hieremiam et in Ezechiel Homilias Origenis [g [0717C] Universorum Hieronymi operum collectioni has
quoque annectimus Homilias quatuordecim in Jeremiam, [0717D] totidemque in Ezechiel, ex Origenis
Graeco Latine a S. Doctore explicatas, quae hactenus in Origenis operibus tantum editae sunt.] viginti octo,
quas de Graeco in Latinum verti; de Seraphim, [h [0717D] Vulgati et Osanna pro de. Sunt autem duae ad
Damasum epistolae, quarum prima de Seraphim anno 381 data, decima octava est in edit. nostra: altera
vigesima, biennio post scripta.] de Osanna, et de [i [0717D] Nunc locum obtinet 21 eodem ac superior anno
elucubrata.] frugi et luxurioso filiis; [j [0717D] Est ad eumdem Damasum trigesima sexta, anno scripta 384.
Nam licet de quinque quaestionibus inscribatur, juxta quam S. Pontifex postulaverat, tres tamen solum
explanat.] de tribus Quaestionibus Legis veteris, [k [0717D] Ex Origene in Latinum translatas, eidemque
Damaso inscriptas, quas in subsequenti tertio tomo excudemus.] Homilias in Cantica canticorum duas, [l
[0717D] Hunc libellum supra exhibuimus hoc ipso in tomo pag. 205. In aliis editionibus epistolis
accensebatur [0718B] sub num. 35.] adversus Helvidium de virginitate Mariae perpetua, [m [0718B]
Epistola vigesima secunda, cum in nostra, tum in antiquis editionibus.] ad Eustochium de virginitate
servanda, [n [0718B] Puta sexdecim illas, quas continua propemodum serie a num. 23 incipientes, quinque
aliis interjectis, [0718C] priori tomo repraesentamus: scriptas a S. Doctore cum Romae ageret an. 384.] ad
Marcellam Epistolarum librum unum, [o [0718C] De obitu Blesillae inscribitur, estque numero 39, data eodem
anno.] Consolatoriam de morte filiae ad Paulam, [p [0718C] Hosce in Pauli quatuor Epistolas
Commentarios suis locis tomo septimo recensebimus. In Veronensi ms. nomen Commentariorum etiam ad
Ephesios repetitur cum Graeco interprete.] in Epistolam Pauli ad Galatas commentariorum libros tres, item
in Epistolam ad Ephesios libros tres, [0717B] in Epistolam ad Titum librum unum, in Epistolam ad
Philemonem librum unum, [q [0718C] Damus tertio tomo quatuor subsequentes libros. Tamen verba de
Locis librum unum, antiquariorum errore, ut nullus dubito, in Veronensi et Vatic. codicibus desiderantur.] in
Ecclesiasten commentarios, Quaestionum hebraicarum in Genesim librum unum, de Locis librum unum,
hebraicorum nominum 955 librum unum; de Spiritu sancto Didymi, quem in Latinum transtuli, [r [0718C]
Hactenus male in tres dispertitus: quem nos pristinae integritati restitutum, hoc ipso tomo secundo
exhibuimus pag. 105. Didymi Graecus textus intercidit.] librum unum; in Lucam homilias [s [0718C] Hasce
triginta novem Homilias in Lucam, deperdito jam Origenis Graeco textu, S. Hieronymi operibus
accensebimus suo loco post Commentarios [0718D] in Matthaeum.] triginta novem; in Psalmos, a decimo
usque ad decimum sextum, [t [0718D] Hi septem in Psalmos Tractatus ut perirent, effecit interpolatoris
punienda manus. Breviarium enim in omnes Psalmos, quod sub Hieronymi nomine habemus, ut
supposititium fetum esse, non dubium est; ita omnino par est credere, ex genuinis Hieronymi in quosdam
Psalmos Commentariis excerpta huc illucque distracta continere. Vide quae in generali Praefatione numeris
21 et 22 hac de re fusius disputamus.] tractatus septem; [u [0718D] Malchi nomen mss. quibus utimur, tum
vulgati aliquot et Graecus interpres non agnoscunt. Rectius alii Captivum Monachum, et vita Beati Hilarionis,
etc. Duo haec opuscula sub initium hujusce tomi post Pauli Vitam excudimus. Olim inter Epistolas
quinquagesimum primum et secundum locum obtinebant.] Malchi, captivi monachi, vitam, et beati Hilarionis.
[v [0718D] Quid hoc operis fuerit, ab ipso Auctore praestat [0719A] ediscere in ejus nuncupatione ad
Damasum Evangeliis praefixa: Praesens, inquit, Praefatiuncula pollicetur quatuor tantum Evangelia, quorum
ordo est iste, Matthaeus, Marcus, Lucas, Joannes, codicum Graecorum emendata collatione, sed veterum.
Quae ne multum a lectionis Latinae consuetudine discreparent, ita calamo temperavimus, ut his tantum,
quae sensum videbantur mutare, correctis, reliqua manere pateremur ut fuerant. Si eamdem operam
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caeteris Novi Testamenti libris impendit, quod mihi sane non usque adeo compertum est, ut cum vulgo
eruditis valde affirmem; certe, quod a Hieronymi ingenio longe est [0719B] alienum, ejusmodi Praefatione
nulla laboris sui lectorem admonuit.] Novum Testamentum Graece fidei reddidi, [0719A] [a [0719B] Isthaec
vero Vetus juxta Hebraicum transtuli, in Veronensi ms. non sunt. Nec profecto universum vetus
Testamentum, sed quasdam duntaxat ejus partes per haec tempora ex Hebraeo fuerat interpretatus. Puta
Regum libros, ut ex ejus Praefatione liquet; tum Prophetas et Psalterium, ut ex superiore capite de
Sophronio; quibus si addideris Jobum quoque, alios tamen nondum attigisse fatendum est. Verum
quemadmodum Evangelia Novum Testamentum modo appellaverat; sic Vetus simpliciter aliquot ejus partes
dixit, maxime cum et reliquis eamdem operam impendere in animo constituisset.] Vetus juxta Hebraicam
transtuli; Epistolarum autem [b [0719B] Tres modo ad Paulam, nec plures ad Eustochium superant;
multaeque adeo interciderint, si quas seorsim iis dedit, putemus innui. Verum opinari licet, eas quoque in
hunc censum referendas, quae plures impendio sunt, et libris ad illas a se inscriptis [0719C] Praefationis
loco praefixit.] ad Paulam et Eustochium, quia quotidie scribuntur, incertus est numerus. Scripsi praeterea in
Michaeam explanationum libros duos, [c [0719C [c [0719C] In Sophoniam liber, qui a Graeco interprete post
Habacuc recensetur, in Vaticano, et a S. Crucis codicibus ultimo loco ponitur post Aggaeum. Sed quo haec
ordine edisseruerit, docet ipse Hieronymus satis luculenter, Praefat. lib. III in Amos: Non enim, inquit, a primo
usque ad novissimum juxta ordinem quo leguntur, sed ut potuimus, et ut rogati sumus, ita eos disseruimus.
Nahum, Michaeam, Sophoniam et Aggaeum primo filoponwtavtaiû Paulae ejusque filiae Eustochio
prosefwvnhsa. Secundo in Habacuc duos libros Chromatio Aquileiensi episcopo delegavi, etc. in Sophoniam
librum unum, in Nahum librum unum, in Habacuc libros duos, in Aggaeum librum unum. Multaque alia de
opere prophetali, quae nunc habeo in manibus, et [d [0720A] Necdum expleta sunt. Addunt editi libri:
Adversum Jovinianum libros duos, et ad Pammachium Apologeticum et Epitaphium. In ms. autem codice
Cluniacensi legimus: Item post hunc librum dedicatum, contra Jovinianum haereticum libros duos, et
Apologeticum ad Pammachium. Post editum itaque librum de Scriptoribus Ecclesiasticis, scripsit Hieronymus
adversus Jovinianum, uti exploratum nobis est, Praef. Comment. in Jonam: Triennium, inquit, circiter fluxit,
postquam quinque Prophetas interpretatus sum, Michaeam, Nahum, Habacuc, Sophoniam, Aggaeum; et
alio opere detentus non potui implere quod coeperam: [0720B] Scripsi enim librum de Illustribus Viris, et
adversum Jovinianum duo volumina; Apologeticum quoque, etc. Ad calcem hujus libri additus est perperam
liber Gennadii Massiliensis, quasi supplementum opusculi S. Hieronymi: nos vero genuina solummodo in
hoc tomo retinentes, aliena et supposititia abjecimus in tomum V, ubi Gennadium edidimus ex vetustissimo
ms. codice Corbeiensi, nunc Sangermanensi, num, 142. Consule igitur volumen ipsum in tomo V nostrae
editionis. Caeterum diversa diversorum exscriptorum additamenta neglexi; quia haec indigna censeo, quae
typis vulgata prodeant in lucem. MARTIAN. —In haec verba Expleta sunt, omnes desinunt, quos
consuluimus mss. libri, et quos Martianaeus: qui tamen annotat in cod. Cluniacensi, haec addi. Item post
hunc librum dedicatum, contra Jovinianum haereticum libros duos, etc., quae adeo uncinis inclusa ex
vulgatis plerisque, et Graeco interprete retinemus. At vero [0720C] nihil dubitamus, ab alia manu fuisse
assuta ex his Praefation. Commentariorum in Jonam verbis: Triennium circiter fluxit, postquam quinque
Prophetas interpretatus sum, Michaeam, Nahum, Habacuc, Sophoniam et Aggaeum, et alio opere detentus
non potui implere quod coeperam. Scripsi enim librum de Illustribus Viris, et adversum Jovinianum duo
volumina, Apologeticum quoque, et de Optimo genere interpretandi ad Pammachium, et ad Nepotianum, vel
de Nepotiano (scilicet de Vita Clericorum et Epitaphium) duos libros, et alia, quae enumerare longum est.]
necdum expleta sunt. Adversus Jovinianum libros duos, et ad Pammachium Apologeticum et Epitaphium.
Io, Girolamo, figlio d'Eusebio, nacqui nella città di Stridone, città che fu distrutta dai Goti e segnava un tempo
la linea di confine tra la Dalmazia e la Pannonia. Fino al corrente anno, quattordicesimo dell'imperatore
Teodosio, ho scritto le seguenti opere: la Vita di san Paolo eremita, un libro di Lettere a diversi destinatari,
una Lettera di esortazione ad Eliodoro; l'Altercatio Luciferiani et Orthodoxi; una Cronaca di storia universale;
le ventotto Omelie di Origene su Geremia e su Ezechiele, che ho tradotto dal greco in latino; i commenti
relativi ai Serafini, all'Osanna, ai Due figli, l'uno sobrio e l'altro prodigo; uno scritto Su tre questioni dell'Antico
Testamento; due Omelie sul Cantico dei Cantici; il trattato Contro Elvidio sulla perpetua verginità di Maria; la
lettera Ad Eustochio sul modo di conservare la verginità; un libro di Lettere a Marcella 16; una Lettera di
consolazione a Paola per la morte della figlia; tre libri di Commenti sull’epistola di San Paolo ai Galati; così
pure, tre libri di Commenti sull’epistola agli Efesini; un libro sull’Epistola a Tito; un altro Sull’epistola a
Filemone; Commenti all’ Ecclesiaste; un libro di Questioni Ebraiche sulla Genesi così pure, tre libri di
Commenti sull’Epistola agli Efesini; un libro Sull’Epistola a Tito; un altro sull’ Epistola a Filemone; Commenti
all’Ecclesiaste; un libro di Questioni ebraiche sulla Genesi, il libro dei luoghi; quello dei Nomi ebraici; un
trattato Sullo Spirito Santo di Didimo, da me tradotto in latino; trentanove Omelie sul Vangelo di Luca; sette
Trattati sui Salmi 10-16 23; la Vita del beato Ilarione. Ho reso fedele il Nuovo Testamento all'originale greco,
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e ho tradotto l'Antico Testamento dall'ebraico. Imprecisata poi è la serie di lettere indirizzate, si può dire ogni
giorno, A Paola ed Eustochio. Inoltre, ho composto i seguenti commenti: due libri Su Michea, un altro Su
Naum, due libri Su Abacuc, un libro Su Sofronia, un libro Su Aggeo. Altre numerose opere sugli scritti dei
Profeti, le ho ancora tra le mani, in via di preparazione.
Trad. E. Camisani, Roma, Città Nuova, 2000.
Cass.,
Hieronymus presbyter in Bethleem positus toto mundo mirabilis habetur.
Controllo testo e riferimento Cassiodoro.
Cassiod., inst., 1,12
2. Sciendum est plane sanctum Hieronymum ideo diversorum translationes legisse atque correxisse, eo
quod auctoritati Hebraicae nequaquam eas perspiceret consonare. unde factum est ut omnes libros veteris
Testamenti diligenti cura in Latinum sermonem de Hebreo fonte transfunderet, et ad viginti duarum litterarum
modum qui apud Hebreos manet competenter adduceret, per quas omnis sapientia discitur et memoria
dictorum in aevum scripta servatur. huic etiam adiecti sunt novi Testamenti libri viginti septem; qui colliguntur
simul quadraginta novem. cui numero adde omnipotentem et indivisibilem Trinitatem, per quam haec facta et
propter quam ista praedicta sunt, et quinquagenarius numerus indubitanter efficitur, quia ad instar iubelei
anni magna pietate beneficii debita relaxat et pure paenitenrium peccata dissolvit.
3. Hunc autem pandectem propter copiam lectionis minutiore manu in senionibus quinquaginta tribus
aestimavimus conscribendum, ut quod lectio copiosa tetendit scripturae densitas adunata contraheret.
4. Meminisse autem debemus memoratum Hieronymum omnem translationem suam in auctoritate divina,
sicut ipse testatur, propter simplicitatem fratrum colis et commatibus ordinasse; ut qui distinctiones
saecularium litterarum comprehendere minime potuerunt, hoc remedio suffulti inculpabiliter pronuntiarent
sacratissimas lectiones.
Cass., inst., 1,21. Giudizio di Cassiodoro su Girolamo
Institutiones
IntraText CT - Text
LIBER I. XXI. De sancto Hieronymo.
1. Beatus etiam Hieronymus, Latinae linguae dilatator eximius, - qui nobis in translatione divinae Scripturae
tantum praestitit, ut ad Hebreum fontem paene non egeamus accedere, quando nos facundiae suae multa
cognoscitur ubertate satiasse, - plurimis libris, copiosis epistulis fecit beatos, quibus scribere Domino
praestante dignatus est. planus, doctus, dulcis parata copia sermonum ad quamcumque partem convertit
ingenium: modo humilibus suaviter blanditur, modo superborum colla confringit, modo derogatoribus suis
vicem necessaria mordacitate restituens, modo virginitatem praedicans, modo matrimonia casta defendens,
modo virtutum certamina gloriosa collaudans, modo lapsus in clericis atque monachis pravitatis accusans.
sed tamen, ubicumque se locus attulit, gentilium exempla dulcissima varietate permiscuit, totum explicans,
totum exornans, et per diversa disputationum genera disertus semper et aequalis incedens. nam cum
aliquos libros magna ubertate protendat, tamen pro dulcedine dictorum finis eius semper ingratus est. quem
in Bethleem habitasse, otiosum fuisse non arbitror, nisi ut in terra illa miraculorum ad instar solis eius quoque
ab Oriente nobis lamparet eloquium.
2. Is epistulam suam ad Paulinum ex senatore presbyterum mirificam destinavit, docens quemammodum
Scripturas divinas adhibita cautela perlegeret, ubi breviter virtutem uniuscuiusque libri veteris et novi
Testamenti mirabiliter indicavit. quem si ante repperissem, eloquentiae ipsius cedens contentus fortasse
fueram de eadem parte nihil dicere. sed quia et ille alia et nos diversa in opere iam confecto Domino
largiente conscripseramus, credo quod lector diligens et in hoc opusculo non inutiliter occupetur. ille enim
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scripsit ad divinae legis novum lectorem, qui tamen erat litteris saecularibus eruditus, ut etiam librum de
Theodosio principe prudenter ornateque confecerit; nec illa tempestate, ut datur intellegi, tantos scriptores
suae partis habuit, quos eum in ordinem legere commoneret, quoniam illo tempore milites Christi in
gymnasio legis divinae salutari adhuc sudore laborabant, inter quos et ipse postea multa conscripsit. nobis
vero fuit causa diversa, primum quod ad fratres simplices et impolitos scripsimis instruendos, ut per multos
auctores, qui iam nostra aetate declarati sunt, caelestium Scripturarum plenitudine compleantur, ut non tam
ex nobis, qui huius rei pauperes sumus, quam ex copiosis et antiquis Patribus laudabiliter imbuantur. sed ne
aliquid eis deesse possit, qui ad studia huius saeculi non fuerunt, tam de artibus quam de disciplinis
saecularium litterarum in secundo volumine breviter credidimus ammonendos, ut simplicibus viris famuletur
et mundanarum peritia litterarum, quae praeter additamenta quorundam doctorum ab Scripturis divinis
cognoscitur esse progressa. ita fit ut nec vituperatio de nova praesumptione nos carpiat, et de parvulo nimis
obsequio gritiae forsitan momenta proveniant.
XXI. SU SAN GIROLAMO
1. Anche san Girolamo, esimio propagatore della lingua latina - tanto ci è stato di aiuto nella traduzione della
sacra Scrittura che quasi non abbiamo bisogno di ricorrere alla fonte ebraica, consapevoli di essere stati
saziati dalla grande ricchezza della sua eloquenza - ci ha resi santi con numerosi libri e con abbondanti
lettere, che con l'aiuto del Signore si è degnato di scrivere. Chiaro, erudito, dolce egli ha rivolto il suo
ingegno in ogni direzione con pronta ricchezza di stile. Ora incanta piacevolmente gli umili, ora spezza i colli
dei superbi, ora ripagando con la debita mordacità i suoi detrattori, ora raccomandando la verginità, ora
difendendo i casti matrimoni, ora lodando i gloriosi combattimenti delle virtù, ora accusando le cadute del
vizio nei sacerdoti e nei monaci. Ma tutte le volte che gli si è presentata l'occasione ha inserito una
dilettevole varietà di esempi pagani, spiegando tutto, ornando tutto e procedendo attraverso diversi generi di
dispute in maniera sempre ordinata e regolare. Infatti, sebbene allunghi alcuni libri con grande facondia,
tuttavia, per la dolcezza delle sue parole, la loro fine reca sempre rammarico. Ritengo che egli sia vissuto a
Betlemme e vi sia rimasto operoso al solo scopo di far risplendere in quella terra di miracoli il suo eloquio per
noi come sole che sorge dall'Oriente.
2. Egli ha indirizzato una straordinaria lettera a Paolino, divenuto presbitero dopo essere stato senatore,
nella quale gli ha spiegato il modo in cui con la debita cautela si debbono leggere le sacre Scritture ed ha
indicato brevemente, ma mirabilmente il valore di ogni libro dell'antico e del nuovo Testamento. Se avessi
trovato prima questa lettera, io sarei rimasto soddisfatto dalla stia eloquenza e non avrei aggiunto nulla a tal
proposito. Ma poiché le nostre osservazioni, che avevamo scritto nell'opera ormai finita con l'aiuto di Dio,
sono diverse dalle sue, credo che il lettore diligente non senza profitto si impegnerà nella lettura di questa
opera. Egli, infatti, ha scritto per un lettore non istruito nella legge divina, ma era comunque erudito nelle
lettere secolari da poter scrivere in maniera accorta ed elegante anche un libro sull'imperatore Teodosio. In
quel tempo come si sa, egli non aveva a disposizione tanti scrittori del suo paese, che poteva esortare a
leggere uno dopo l'altro, poiché allora i soldati di Cristo si adoperavano, con la fatica che porta la salvezza,
nella scuola salutare della legge divina. In mezzo a loro anch'egli in seguito ha scritto molto. Diversi sono
stati nel nostro caso i motivi: abbiamo scritto innanzitutto per istruire i fratelli semplici e incolti, affinché essi
attraverso molti autori, ormai ben spiegati all'epoca nostra, fossero resi pienamente edotti nella Scrittura
celeste e venissero lodevolmente istruiti non tanto da noi che siamo poveri in questa materia, quanto dagli
antichi Padri che in essa erano invece ricchi. Ma affinché non possa mancare nulla a coloro che non sono
pervenuti agli studi secolari, abbiamo creduto di doverli istruire brevemente, nel secondo libro, tanto sulle arti
quanto sulle discipline delle lettere secolari, affinché alle persone semplici sia di aiuto anche la conoscenza
delle lettere secolari, la quale, al di là delle aggiunte da parte di alcuni maestri, è notoriamente derivata dalle
sacre Scritture. Così risulta che non siamo biasimati per la nostra nuova presunzione e momenti di grazia
potrebbero peraltro giungere da questo nostro piccolissimo possesso di umiltà.
Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV]
Hier., epist., 27. [Intratext?] Girolamo difende le sue correzioni dei testi sacri
Post priorem epistolam, in qua de Hebraeis verbis pauca perstrinxeram, ad me repente perlatum est,
quosdam homunculos mihi studiose detrahere, cur adversum auctoritatem veterum, et totius mundi
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opinionem, aliqua in Evangeliis emendare tentaverim. Quos ego cum possem meo iure contemnere (Asino
quippe lyra superflue canit) tamen ne nos superbiae, ut facere solent, arguant ita responsum habeant: Non
adeo me hebetis fuisse cordis, et tam erasse rusticitatis (quam illi solam pro sanctitate habent, piscatorum se
discipulos asserentes, quasi idcirco sancti sint, si nihil scierint) ut aliquid de Dominicis verbis, aut
corrigendum putaverim, aut non divinitus inspiratum; sed Latinorum codicum vitiositatem, quae ex diversitate
librorum omnium comprobatur, ad Graecam originem, unde et ipsi translata non denegant, voluisse
revocare. quibus si displicet fontis unda purissimi, caenosos riuulos bibant et diligentiam, qua auium saliuas
et concarum gurgites norunt, in scripturis legendis abiciant sint que in hac tantum re simplices et christi
uerba aestiment rusticana, in quibus per tanta iam saecula tantorum ingenia sudauerunt, ut rationem uerbi
uniuscuiusque magis opinati sint, quam expresserint; apostolum arguant inperitiae, qui ob multas litteras
insanire dicatur.
scio te, cum ista legeris, rugare frontem et libertatem rursum seminarium timere rixarum ac meum, si fieri
potest, os digito uelle conprimere, ne audeam dicere, quae alii facere non erubescunt.
rogo, quid a nobis libere dictum est? numquid in lancibus idola caelata descripsi?
numquid inter epulas christianas uirginalibus oculis baccharum satyrorum que conplexus?
num quam amarior sermo pulsauit? numquid ex mendicis diuites fieri dolui?
numquid reprehendi hereditarias sepulturas? unum miser locutus sum, quod uirgines saepius deberent cum
mulieribus esse, quam cum masculis: totius oculos urbis offendi, cunctorum digitis notor.
multiplicati sunt super capillos capitis mei, qui oderunt me gratis, et factus sum eis in parabolam, et tu putas
aliqua deinceps esse dicturum?
uerum, ne flaccus de nobis rideat - amphora coepit institui: currente rota cur urceus exit?
-, reuertimur ad nostros bipedes asellos et in eorum aurem bucina magis quam cithara concrepamus.
illi legant: spe gaudentes, tempori seruientes, nos legamus: spe gaudentes, domino seruientes; illi aduersus
presbyterum accusationem omnino non putent recipiendam, nos legamus: aduersus presbyterum
accusationem ne receperis, nisi sub duobus aut tribus testibus; peccantes autem coram omnibus argue; illis
placeat: humanus sermo et omni acceptione dignus, nos cum graecis, id est cum apostolo, qui graece est
locutus, erremus: fideli sermo et omni acceptione dignus.
ad extremum illi gaudeant gallicis canteriis, nos solutus uinculis et in saluatoris mysterium praeparatus
zachariae asellus ille delectet, qui, postquam domino terga praebuit, coepit esaiae consonare praeconio:
beatus, qui seminat secus omnem aquam, ubi bos et asinus calcant.
1. Ti avevo appena scritto la mia prima lettera in cui, stringatamente, avevo spiegato alcune parole ebraiche,
quando inaspettatamente mi viene riferito che alcuni uomini di poco conto mi criticano acerbamente. E
perché? Contro l'autorità degli antichi e l'opinione di tutti io avrei cercato di fare alcune modifiche ai Vangeli!
Di tipi simili potrei non curarmene affatto, e a buon diritto (è sempre vero che per un asino la lira suona
inutilmente)! Ma per non sentirmi ridire che sono superbo, com'è loro uso, incassino questa risposta: penso
di non avere uno spirito così ottuso e di non essere così grossolanamente zotico (è l'unica qualità che essi
credono santità, ritenendosi discepoli dei pescatori (1); quasi che l'essere del tutto ignoranti li costituisca
giusti), fino al punto d'azzardarmi a correggere in qualche modo la parola del Signore o da non crederla
ispirata da Dio. Ho solo voluto riportare la cattiva traduzione dei codici latini - provata chiaramente dalle
divergenze che si riscontrano in tutti i libri - all'origínale greco, da cui - essi pure l'ammettono - erano stati
tradotti.
Ma se non riescono a gustare l'acqua di questa sorgente purissima, continuino pure a bere ai ruscelli torbidi;
leggendo la Scrittura, rinuncino alla meticolosità che li ha resi intenditori nel gustare piatti di uccelli e le
qualità di conchiglie marine; soltanto in questo campo siano semplici, e prendano all'ingrosso le parole di
Cristo su cui già da parecchi secoli non poche menti geniali hanno versato sudore, senza arrivare ad altro
che a fare congetture, più che a esprimere con esattezza il significato di ogni parola!
Perché non accusano anche di incapacità quell'Apostolo (2) che è stato giudicato pazzo, solo perché era
molto dotto?
2. Sono certo che quando leggi questa lettera corrughi la fronte: temi che questa franchezza sia motivo di
nuove dispute, è vero? E so che, se potessi farlo, vorresti chiudermi la bocca con le tue dita per non farmi
denunziare le cose che altri non arrossiscono a fare: Ma ti prego, che ho detto mai per mio capriccio? Ho
forse fatto descrizioni di idoli dipinti su piatti? O forse ho messo davanti ad occhi di vergini, in un convito
cristiano, gli abbracci tra Baccanti e Satiri? Forse che un discorso piuttosto amaro ha sconvolto qualcuno?
Mi sono dispiaciuto forse che dei mendicanti si siano arricchiti? Ho biasimato le sepolture ereditarie? (3). No,
questo poveretto non ha detto che una sola cosa: che le vergini dovrebbero trovarsi più frequentemente con
le donne che con gli uomini! (4). E così ha offeso la dignità di tutta Roma: ognuno lo segna a dito. «Sono più
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numerosi dei capelli del mio capo quelli che mi avversano a torto, e sono diventato per essi oggetto di
scherno». E tu pensi che debba ancora aggiungere altro?
3. Ma non voglio essere canzonato da Orazio («si aveva intenzione di modellare un'anfora; dalla ruota che
gira, perché è uscita una brocca?») 3. Ritorno ai nostri somaretti a due gambe, per soffiare nei loro timpani
con un corno da caccia, anziché con la cetra. Leggano pure, loro: «gioiosi nella speranza, servendo il
tempo»; noi vi leggiamo: «gioiosi nella speranza, serviamo il Signore». Pensino pure, questi signori, che non
si debba assolutamente accogliere un'accusa contro un sacerdote; noi leggiamo: «Non accettare un'accusa
contro un sacerdote se non alla presenza di due o tre testimoni, ma i peccatori riprendili pubblicamente». Se
ad essi piace: «linguaggio umano e degno di essere pienamente creduto», noi preferiamo prendere
cantonate, ma stare con i Greci (con l'Apostolo, cioè, che si esprimeva in greco), leggendo: «linguaggio
veritiero e degno di essere pienamente creduto». Per finire: se essi sono contenti di mutilare i testi come
fanno i Galli coi cavalli, a noi va a genio il somarello citato da Zaccaria (5), senza cavezza e preparato per il
mistero del Salvatore. Lui, dopo aver offerto il suo dorso al Signore, cominciò a dar ragione al vaticinio di
Isaia: «Beato chi semina lungo il corso dei ruscelli, dove il bue e l'asino calpestano il terreno»
Trad. S. Cola, Roma, Città Nuova, 1996 [BCTV]
Hier., epist., 57. Traduzione letterale o a senso?
riportare per intero la lettera? meglio!
ad pammachium de optimo genere interpretandi.
paulus apostolus praesente agrippa rege de criminibus responsurus, quae posset intellegere, qui auditurus
erat, securus de causae uictoria statim in principio gratulatur dicens: de omnibus, quibus accusor a iudaeis,
o rex agrippa, aestimo me beatum, cum apud te sim hodie defendendus, qui praecipue nosti cunctas, quae
in iudaeis sunt, consuetudines et quaestiones.
legerat enim illud esaiae: beatus, qui in aures loquitur audientis, et nouerat tantum oratoris uerba proficere,
quantum iudicis prudentia cognouisset.
unde et ego beatum me in hoc dumtaxat negotio iudico, quid apud eruditas aures inperitae linguae
responsurus sum, quae obicit mihi uel ignorantiam uel mendacium, si aut nesciui alienas litteras uere
interpretari aut nolui: quorum alterum error, alterum crimen est.
ac ne forsitan accusator meus facilitate, qua cuncta loquitur, et inpunitate, qua sibi licere omnia putat, me
quoque apud uos argueret, ut papam epiphanium criminatus est, hanc epistulam misi, quae te et per te alios,
qui nos amare dignantur, rei ordinem doceat.
ante hoc ferme biennium miserat iohanni episcopo supra dictus papa epiphanius litteras arguens eum in
quibusdam dogmatibus et postea clementer ad paenitentiam prouocans.
harum exemplaria certatim palaestinae rapiebantur uel ob auctoris meritum uel ob elegantiam scriptionis.
erat in monasteriolo nostro uir apud suos haut ignobilis, eusebius cremonensis, qui, cum haec epistula per
multorum ora uolitaret et mirarentur eam pro doctrina et puritate sermonis docti pariter et indocti, coepit a me
obnixe petere, ut sibi eam in latinum uerterem et propter intellegendi facilitatem apertius explicarem; graeci
enim eloquii penitus ignarus erat.
feci, quod uoluit; accito notario raptim celeriter que dictaui ex latere in pagina breuiter adnotans, quem
intrinsecus sensum singula capita continerent - siquidem et hoc, ut sibi soli facerem, oppido flagitarat postulaui que ab eo mutuo, ut domi haberet exemplar nec facile in uulgus proderet.
res ita anno et sex mensibus transiit, donec supra dicta interpretatio de scriniis eius nouo praestrigio
hierosolymam conmigrauit.
nam quidam pseudomonachus uel accepta pecunia, ut perspicue intellegi datur, uel gratuita malitia, ut
incassum corruptor nititur persuadere, conpilatis chartis eius et sumptibus iudas factus est proditor dedit que
aduersariis latrandi contra me occasionem, ut inter inperitos contionentur me falsarium, me uerbum non
expressisse de uerbo, pro 'honorabili' dixisse 'carissimum' et maligna interpretatione - quod nefas dictu sit g-aidesimôtaton noluisse transferre.
haec et istius modi nugae crimina mea sunt.
ac primum, antequam de translatione respondeam, uolo interrogare eos, qui malitiam prudentiam uocant:
unde apud uos exemplar epistulae?
quis dedit? qua fronte profertis, quod scelere redemistis?
quid apud homines tutum erit, si nec parietibus quidem et scriniis nostra possumus secreta celare?
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si ante tribunalia iudicum hoc uobis crimen inpingerem, reos legibus subiugarem, quae etiam pro utilitate fisci
delatoribus poenam statuunt et, cum suscipiant proditionem, damnant proditorem.
lucrum uidelicet placet, uoluntas displicet.
dudum hesychium, uirum consularem, contra quem patriarcha gamalihel grauissimas exercuit inimicitias,
theodosius princeps capite damnauit, quod sollicitato notario chartas illius inuasisset.
legimus in ueteribus historiis ludi magistrum, qui faliscorum liberos prodiderat, uinctum pueris traditum et ad
eos, quos prodebat, remissum nec sceleratam populum romanum suscepisse uictoriam.
pyrrum, epirotarum regem, cum in castris ex uulnere curaretur, medici sui proditione interfici nefas duxit
fabricius, quin potius uinctum remisit ad dominum, ut scelus nec in aduersario conprobaret.
quod leges publicae, quod hostes tuentur, quod inter bella et gladios sanctum est, hoc nobis inter monachos
et sacerdotes christi intutum fuit.
et audet quidam ex eis adducto supercilio et concrepantibus digitis eructare et dicere: 'quid enim, si redemit,
si sollicitauit?
fecit, quod sibi profuit'.
mira sceleris defensio! quasi non et latrones et fures ac piratae faciant, quod sibi prodest.
certe annas et caiphas seducentes infelicem iudam fecerunt, quod sibi utile existimabant.
uolo in chartulis meis quaslibet ineptias scribere, commentari de scripturis, remordere laedentes, digerere
stomachum, in locis me exercere communibus et quasi limitas ad pugnandum sagittas reponere: quamdiu
non profero cogitata, et maledicta non crimina sunt, immo ne maledicta quidem, quae aures publicae
nesciunt.
tu corrumpas seruulos, sollicites clientes et, ut in fabulis legimus, auro ad danaen penetres dissimulato que,
quod feceris, me falsarium uoces, cum multo peius crimen accusando in te confitearis, quam in me arguis?
alius te hereticum, alius insimulat dogmatum peruersorum: taces, ipsi respondere non audes, interpretem
laceras, de syllabis calumniaris et totam defensionem tui putas, si tacenti detrahas.
finge in transferendo uel errasse uel intermisisse me quippiam - hic totus tui negotii cardo uersatur, haec tua
est defensio -: num idcirco tu non es hereticus, si ego malus interpres sim?
nec hoc dico, quo te hereticum nouerim - sciat ille, qui accusauit, nouerit ille, qui scripsit - sed quo
stultissimum sit accusatum ab alio alium criminari et confosso undique corpore de dormientis uulnere
solacium quaerere.
hactenus sic locutus sum, quasi aliquid de epistula commutarim et simplex translatio possit errorem habere,
non crimen.
nunc uero, cum ipsa epistula doceat nihil mutatum esse de sensu nec res additas nec aliquod dogma
confictum, faciunt ne intellegendo, ut nihil intellegant, et, dum alienam inperitiam uolunt coarguere, suam
produnt.
Ego enim non solum fateor, sed libera voce profiteor, me in interpretatione Graecorum, absque Scripturis
sanctis, ubi et verborum ordo mysterium est, non verbum e verbo, sed sensum exprimere de sensu.
Habeoque huius rei magistrum Tullium, qui Protagoram Platonis, et Oeconomicon Xenophontis et Aeschinis
ac Demosthenis duas contra se orationes pulcherrimas transtulit. Quanta in illis praetermiserit, quanta
addiderit, quanta mutaverit, ut proprietates alterius linguae, suis proprietatibus explicaret, non est huius
temporis dicere. Sufficit mihi ipsius translatoris auctoritas, qui ita in Prologo earumdem orationum locutus
est:
"Putavi mihi suscipiendum laborem utilem studiosis, mihi quidem ipsi non necessarium. Converti enim ex
Atticis duorum eloquentissimorum nobilissimas orationes, inter seque contrarias, Aeschinis et Demosthenis:
nec converti, ut interpres, sed ut Orator, sententiis iisdem et earum formis, tam figuris quam verbis ad
nostram consuetudinem aptis. In quibus non verbum pro verbo necesse habui reddere: sed genus omne
verborum vimque servavi. Non enim me annumerare ea lectori putavi oportere, sed tanquam appendere".
Rursum in calce sermonis: "Quorum ego, ait, orationes, si, ut spero, ita expressero, virtutibus utens illorum
omnibus, id est sententiis, et earum figuris, et rerum ordine: verba persequens eatenus, ut ea non
abhorreant amore nostro. Quae si e Graecis omnia conversa non erunt: tamen ut generis eiusdem sint,
elaboravimus".
l. Alla presenza del re Agrippa l'apostolo Paolo stava per iniziare la sua autodifesa intorno a vari capi
d'accusa, in modo da farsi ben capire da lui che desiderava ascoltarlo. Con la certezza di riportar
vittoria in quel processo, se ne congratula con se stesso già subito all'inizio, e fa questo prologo: «Di
tutte le accuse che mi fanno i Giudei, o re Agrippa, mi ritengo felice di poter oggi difendermi davanti a
te, che hai una competenza particolare su tutte le consuetudini e qu estioni che ci sono fra i Giudei».
Aveva letto, infatti, questo passo di Isaia: «Fortunato chi può parlare alle orecchie di uno che ti
ascolti», e sapeva che le parole d'un oratore hanno successo in proporzione di quanto la saggezza
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d'un giudice le apprezza. Capisci allora perché anch'io mi ritengo fortunato, almeno in questa
circostanza: è di fronte ad una persona intelligente che sto per difendermi contro le parole d'un
incompetente che mi rinfaccia d'essere o un ignorante o un bugiardo, secondo il caso, se cioè non ho
saputo tradurre esattamente la lettera d'un altro oppure se non ho voluto. Comunque nella prima
ipotesi si tratterebbe di aver sbagliato, nella seconda di vigliaccheria. Nel timore, pertanto, che il mio
teste d'accusa - data la facilità di parola che lo autorizza a parlar di tutto, e l'impunità di cui gode per
cui crede gli sia lecita ogni cosa - abbia a denunciare anche me presso di te (come già ha incriminato
papa Epifanio), ti ho mandato la presente lettera per metterti al corrente di tutt o l'affare come s'è
svolto, e non solo te, ma - attraverso te - anche le altre persone che mi degnano del loro affetto.
2. Sono passati circa due anni da quando il suddetto papa Epifanio aveva mandato una lettera al
vescovo Giovanni, contenente nella prima parte delle accuse a proposito di alcune opinioni
riguardanti la fede, e nella seconda un invito mi,cricordioso a farne penitenza. Le copie di questa
lettera in Palestina andavano a ruba sia a motivo della stima dell'autore, sia per l'eleganza dello stile .
Nel mio monastero viveva un uomo tenuto in non poca considerazione nel suo ambiente, Eusebio di
Cremona. Dato che la lettera in questione passava di bocca in bocca in una cerchia di persone
abbastanza vasta, e tanto gli uominí cli cultura quanto i meno i struiti l'ammiravano dal punto dii vista
dottrinale e della purezza stilistica, cominciò a farmi insistenza perché gliela traducessi in latino, in
modo da facilitargliene la comprensione adattandola alla sua portata. Il greco, inlntti, lui non lo
masticava per niente. Lo accontentai nel suo desiderio. presi uno scrivano e gli dettai la traduzione,
così, a volo, piuttosto in fretta. Aggiunsi alle pagine brevi note marginali per spiegare il senso di ogni
paragrafo, dato che mi aveva pregato che glielo facessi assolutamente, ad uso esclusivamente
personale. Per contropartita io gli avevo chiesto di tenersi questa copia in casa, di non metterla con
troppa leggerezza sotto gli occhi altrui. Tutto andò liscio per un anno e sei mesi, fino a che detta
traduzione, per chissà quale nuovo gioco di prestigio, dalla sua biblioteca arrivò a Gerusalemme. E
difatti una specie di falsario vestito da monaco o dietro offerta di denaro -- come lo si fa chiaramente
capire -, o per cattiveria tutta gratuita - come cerca con ogni mezzo di convincerci chi l'ha subornato -,
dopo aver trafugato quei fogli e ricevuto la ricompensa, s'è fatto un traditore come Giuda. Ha dato
così modo ai miei avversari di darmi addosso, di accusarmi di contraffazione tra persone
incompetenti, di non aver reso il senso parola per parola, d'aver detto carissimo al posto di onorevole
e di non aver voluto, da traduttore tendenzioso (non ti pare abomirtevole questo?), riportare la parola
reverendissimo. Queste ed altre simili bazzecole sarebbero i miei delitti .
3. Prima, però, di scagionarmi sulla traduzione, voglio fare una domanda a quelli che chiamano
malizia il metodo che ho usato: com'è arrivata nelle vostre mani la copia della lette ra? Chi ve l'ha
fatta avere? Con che sfacciataggine osate render di pubbl ica ragione una cosa che vi siete procurati
con un furto? Ci sarà ancora la possibilità, per gli uomini, di poter tenere qualcosa sotto chiave, se
neppure le pareti di una casa o le casseforti sono in grado di difendere le nostre cosette più
riservate? Se sciorinassi di fronte ai giudici del tribunale questo vostro delitto, vi farei cadere come
colpevoli sotto il pugno delle leggi. Non sapete come queste infliggono una pena anche contro i
delatori che pure rendono un servizio al fisco? E che mentre accettan o la delazione condannano la
spia? Evidentemente il lucro non dispiace affatto, ma è l'intenzione che è ributtante. Qualche tempo
fa l'imperatore Teodosio fece decapitare - sotto imputazione di aver corrotto il segretario del patriarca
Gamaliele e di avergli trafugato dei documenti - quell'Esichio, uomo consolare, contro cui detto
patriarca aveva scatenato le più terribili ostilità. Si legge nella storia antica come un maestro di
scuola, per aver tradito i figli di Falisco, fu legato, dato in mano agli scol ari e consegnato proprio a
quelli che lui tradiva, perché il popolo romano non poteva accettare una vittoria ottenuta con
un'infamia. A Pirro, re dell'Epiro, gli si stava curando una ferita nel suo accampamento. Il suo medico
personale si offerse di ammazzarlo a tradimento; ma Fabrizio ritenne ciò un'empietà, e rimandò il
traditore in catene al suo Re, perché non poteva approvare un tradimento infame anche a scapito
d'un suo avversario. Questa lealtà che le stesse leggi dello Stato, che perfino i nemici dif endono, e
che è ritenuta cosa sacra anche quando si è in guerra e ci si scanna, questa lealtà purtroppo non la si
salvaguarda affatto tra monaco e monaco, tra sacerdote un sacerdote di Cristo. Uno di questi, anzi,
ha la spudoratezza - mentre fa lo spaccone e schiocca le dita - di rigùrgitare parole come queste: «E
con ciò? Ha comprato? Ha corrotto? Non ha poi fatto altro che í suoi interessi!». Stupenda apologia
d'un delitto, quasi che anche i briganti, i ladri e i pirati non facciano altro che i loro inter essi! D'altra
parte Anna e Caifa, comprandosi quel disgraziato di Giuda, hanno fatto unicamente un'azione che
pensavano di loro vantaggio!
4. Nelle mie carte personali ho il diritto di scrivere qualunque sciocchezza, chiosare la S. Scrittura,
azzannare chi mi oltraggia, dar libero corso al mio malumore, esercitarmi sui luoghi comuni della
retorica e far provvista di frecce - per così dire - ben aguzze, pronte alla battaglia. Fino a che i miei
pensieri non li metto fuori al pubblico, anche le ingiurie non ri vestono la specie di delitto; anzi, non
sono neppure ingiurie se le orecchie del pubblico non ne vengono a conoscenza. Tu corrompi pure i
tuoi servi, suborna i clienti o, come si legge nella mitologia, penetra - sotto forma d'oro - fino a Danae;
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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poi, come se nulla fosse stato, di' che io sono un falsario. Non t'accorgi che con la tua accusa
confessi d'aver commesso, proprio tu, un'infamia peggiore di quella che mi rinfacci? Quando uno ti fa
capire sotto sotto che sei eretico, quando un altro t'accusa di opi nioni errate sulla fede, tu te ne stai
zitto, non hai il coraggio di rispondere; ma poi te la prendi caninamente con chi non ha fatto che una
traduzione, gli butti fango addosso per una questione di sillabe e tutta la tua difesa la fai consistere
nel calunniare chi non ti risponde. Ebbene, metti pure che io sia incorso in errori nella traduzione, o
che abbia saltato qualche parola (tutto il trambusto che hai messo su è imperniato su queste accuse,
e questa è la tua difesa): forse che per questo tu non sei p iù eretico? Solo per il fatto che io ho fatto
una cattiva traduzione? Se ti parlo così, non è perché io so che sei eretico (lo sa però chi t'ha
accusato, ne sarà ben convinto chi l'ha messo per iscritto!), ma solo perché l'idiozia più grossa che
puoi commettere è quella di incriminare un'altra persona, mentre proprio tu sei stato accusato da altri.
Se hai il corpo crivellato di colpi, pretendi forse di trovar sollievo colpendo uno che se la dorme?
5. Finora ho parlato come se avessi introdotto qualche varia nte alla lettera; e, in ogni caso, una
semplice traduzione potrebbe tutt'al più comportare delle sviste, non un falso volontario. Ora però,
dato che la lettera di cui stiamo parlando mostra all'evidenza che non ha affatto subito variazioni nel
senso che nulla è stato aggiunto e che non s'è travisata nessuna opinione, si vuole proprio «a forza di
scervellarsi per capirla, finire di non capirci più niente?». Con la risultante che, mentre si vuol
bersagliare l'incompetenza altrui, si tradisce la propria! lo, d a parte mia, non solo lo confesso, ma lo
confermo a viva voce che, a parte la S. Scrittura dove anche l'ordine delle parole è un mistero, nel
tradurre testi greci cerco di rendere non parola a parola, ma idea a idea. Come maestro di questo
metodo posso vantare un Cicerone, che ha tradotto il Protagora di Platone e l'Economico di
Senofonte, senza contare i due magnifici discorsi che si diressero l'un l'altro Eschine e Demostene.
Non è questo il momento di mettere in evidenza quanto ha saltato a piè pari, le aggiunte e le
variazioni apportate in quelle traduzioni per poter rendere efficacemente nella propria lingua le
particolarità idiomatiche dell'altra lingua. Mi accontento anche della sola autorevolezza del traduttore,
che nel prologo ai medesimi discorsi si è così espresso: «Ho creduto bene di addossarmi un peso che
torna di utilità agli studiosi, anche se per me personalmente non era affatto necessario. Ho infatti
tradotto le più note orazioni polemiche che i due maggiori esponenti dell'oratoria attica, Es chine e
Demostene, si indirizzarono l'un l'altro. Non ho eseguito la traduzione come un semplice traduttore,
ma da artista della parola, rispettando le loro frasi sin nella forma che nel contenuto, ho usato tuttavia
termini adatti alla nostra forma mentis Per ottenere questo non ho ritenuto necessario fare una
traduzione letterale, ma conservare la portata di ogni parola e la loro vis espressiva. Pensavo,
insomma, che non era il caso di presentare al lettore un egual numero di parole, ma offrirgliene
piuttosto il valore» 3. Alla fine del lavoro, poi, ha ripetuto: «Se ho reso, come spero, i loro discorsi
utilizzandone tutte le qualità positive, vale a dire le frasi, le figure e la costruzione; se ne ho ricalcato
anche le parole, fin dove - per lo meno - era possibile, senza cedere in una forma ripugnante al nostro
gusto; se non ho tradotto, insomma, proprio ogni elemento del testo greco, ho cercato, tuttavia, di far
un lavoro a regola d'arte com'è l'originale».
Anche Orazio, d'altronde, che non difetta, come uomo, di acume e dottrina, nella sua Ars poetica
vuole che un traduttore intelligente segua le medesime regole: «Anche se vuoi essere un traduttore
fedele, non preoccuparti di fare una traduzione letterale». Terenzio ha tradotto Menandro, Plauto e
Cecilio gli antichi comici: si tengono forse legati alla parola? O non hanno cercato, piuttosto, di
conservarne, nella traduzione, il fascino e l'eleganza? Quella che voi in una traduzione chiamate
esattezza, gli stilisti la chiamano cattivo gusto. È per questo mot ivo che anch'io, circa vent'anni fa,
formatomi ai canoni di questi illustri maestri, e già allora su cattiva strada per un pregiudizio del
genere (dato che non mi aspettavo, evidentemente, questa vostra obiezione), messomi a tradurre in
latino il Chronicon di Eusebio, ho esordito, fra l'altro, con queste parole: «Non è facile per uno che
segue il filo dei pensieri d'un altro, non scostarsene in nessun punto. E una vera impresa riuscire a
conservare in una traduzione lo stesso fascino con cui sono state espr esse le immagini nella lingua
originale. Un concetto, magari, te l'hanno buttato giù con un solo termine tecnico; io non ne ho un
altro da sostituirgli, e nel cercare di renderne almeno il senso, appena appena riesco, con una lunga
perifrasi, a coprire un cammino di per sé breve. Mettici poi i labirinti che ti presentano gli iperbati, la
differenza dei casi, le sfumature delle immagini e, infine, proprio il loro idioma nazionale, anzi, oserei
dire, paesano: se faccio una traduzione letterale, quelle forme e spressive si cambiano in rumori
senza senso; se mi vedo obbligato a far delle varianti di costruzione o di stile, sarò preso per uno che
ha mancato al suo dovere di traduttore». E dopo altre non poche considerazioni che sarebbe
superfluo riportare in questa sede, ho aggiunto ancora questo: «Se qualcuno, caso mai, non fosse
convinto che la bellezza di una lingua in una traduzione ci perde, traduca in latino Omero, alla lettera;
oppure, per fare un caso più banale provi a parafrasare l'autore citato nella sua stessa lingua., ma in
prosa. S'accorgerà che lo stile diventa ridicolo e che il più eloquente dei poeti sa appena parlare».
6. Potrebbe darsi che le mie parole non facciano testo (a dire il vero, però, ho solo voluto mostrare
che fin da giovane non ho mai tradotto parole, ma pensieri); prendi visione, della breve prefazione
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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che, a proposito di questo argomento, introduce il libro dove si narra la vita di sant'Antonio. Ecco il
passo testuale: «La traduzione letterale di una lingua in un'altra ne strozza il pensiero; è come se
erbe troppo rigogliose soffocassero un seminato. Per restare aderenti ai casi e alle figure, lo stile
riesce appena appena a esprimere con lunghe perifrasi un'idea che poteva essere contenuta in poche
parole. Ho dunque cercato di evitare questo inconveniente quando mi son messo a tradurre, dietro
tua richiesta, la vita di sant'Antonio: il senso non ci ha perso niente, anche se qualche parola non la
trovi. Lascia che siano altri a fissarsi sulle sillabe e sulle lettere dell'alfabeto; tu r icercane il pensiero»
. Non mi basterebbe un'intera giornata se volessi citare i passi di tutti gli scrittori che nel tradurre
hanno badato al senso. M'accontento, per ora, di fare il nome di Ilario il Confessore: ha tradotto in
latino, dal greco, le omelie su Giobbe e parecchi trattati sui Salmi, ma non si è legato supinamente
alla lettera e neppure s'è irretito in una pedante traduzione da beota; s'è come impossessato del
pensiero e, in virtù del diritto di conquista, gli ha dato una veste latina.
7. Non è poi un'eccezione, questo fatto, dal momento che hanno agito ugualmente gli altri scrittori sia
profani che ecclesiastici, come ad esempio i Settanta nella loro traduzione e sia gli Evangelisti che gli
Apostoli nel Libri sacri. In Marco si legge del Signore che dice: talitha cumi, a cui segue subito: «che
si traduce: fanciulla, te lo dico io, alzati». Perché non accusate l'Evangelista di menzogna? Le parole
te lo dico io le ha messe di suo, dato che in ebraico c'è soltanto: «fanciulla, alzati»! Ma l'aggiun ta te lo
dico io l'ha fatta per dar un tono più enfatico e per esprimere più adeguatamente il senso d'un
comando perentorio.
Vediamo ancora Matteo. Dopo che Giuda il traditore restituì i trenta denari d'argento e che con essi fu
comprato il terreno del vasaio, troviamo: «Si è avverato in quel momento quanto aveva scritto il
profeta Geremia. Ecco le sue parole: "E presero i trenta denari d'argento, il prezzo del venduto,
mercanteggiato dai figli di Israele; li hanno dati per il campo del vasaio come il Signo re mi aveva
ordinato"». Tutto questo in Geremia non lo trovi affatto. Lo trovi invece in Zaccaria con notevoli
varianti di parole e di costruzione. L'edizione Volgata, effettivamente, si esprime così: «E dirò loro:
"Se vi pare bene, datemi la mercede, altrimenti lasciate stare". Essi allora mi pagarono il salario con
trenta monete d'argento. Ma il Signore mi disse: "Gettale nel forno del vasaio e osserva se il metallo è
di buona lega, perché anch'io sono stato messo alla prova da loro". Io allora ho preso i trenta pezzi
d'argento e li ho messi nel crogiolo nel tempio del Signore». Quanta diversità ci sia tra il testo
dell'Evangelista e la traduzione dei Settanta è più che evidente. Ma anche nell'originale ebraico, se il
senso non varia, le parole sono ordinate diversamente e quasi del tutto differenti. Eccole: «E disse
loro: "Se ai vostri occhi è cosa buona, fatemi avere il mio salario, altrimenti lasciate pure stare". E
pesarono il mio salario: trenta denari d'argento. Ma il Signore mi disse: "Gettale allo s tatuario; è un
prezzo conveniente in base a quanto sono stato valutato da loro". Io presi i trenta pezzi d'argento e li
buttai nel tempio del Signore per lo scultore». Perché non accusano l'Apostolo di falso? Non collima
né con l'originale ebraico né con la traduzione dei Settanta, anzi- peggio ancora - non azzecca
neppure l'autore: attribuisce il passo a Geremia invece che a Zaccaria! Ma si guardino bene di
rivolgere simile accusa a un discepolo di Cristo che s'è preoccupato non di fissarsi sui vocaboli e
sulle sillabe, ma di conservarci il pensiero dottrinale! Passiamo a un altro testo, sempre di Zaccaria,
quello che Giovanni ha citato secondo l'originale ebraico. «Staranno a guardare colui che hanno
trafitto», dice lui; mentre nei Settanta troviamo: «Ed essi guarderanno verso di me dato che per me
hanno organizzato danze», frase tradotta dai latini con: «Guarderanno verso di me, a motivo dei loro
scherni» (o anche «insulti»). L'Evangelista, i Settanta e la traduzione latina non collimano affatto, e
tuttavia la varietà di espressioni trova la sua unità nel significato spirituale.
Ancora in Matteo troviamo scritto che il Signore predice il fuggi fuggi degli Apostoli e ne dà conferma
con un passo di Zaccaria. Dice: «Sta scritto che percuoterò il pastore e le p ecore saranno disperse»
s. Ma sia nei Settanta che in ebraico le cose sono ben diverse, perché non ci si riferisce alla persona
di Dio, come pretende l'Evangelista, bensì al Profeta che rivolge a Dio Padre questa preghiera:
«Colpisci il pastore, e le pecore si disperderanno». Penso che, secondo la pignoleria di certe
persone, l'Evangelista nel passo citato è colpevole di sacrilegio, per aver osato mettere in bocca a
Dio le parole di un Profeta!
L'Evangelista or ora citato scrive che Giuseppe, su consiglio d ell'angelo, prese con sé il Bambino e la
Madre di lui, che entrò in Egitto e che vi rimase fino alla morte di Erode perché si avverasse quanto il
Signore, per bocca del Profeta, aveva detto: «Ho richiamato mio Figlio dall'Egitto»'). Questo passo i
nostri manoscritti latini non lo riportano; in Osea, però, stando all'originale ebraico troviamo:
«...perché quando Israele era fanciullo io l'ho amato, e ho richiamato mio Figlio dall'Egitto». Questo
medesimo passo i Settanta l'hanno cambiato così: «...perché Isr aele è un bambino; io l'ho amato, e
ho richiamato dall'Egitto i suoi figli». Dobbiamo per caso condannarli senza riserve, quelli che nella
traduzione hanno variato questo testo, dato che riguarda eminentemente il Mistero di Cristo? O non
dobbiamo piuttosto assolverli, in quanto non erano che uomini? In questo caso saremmo coerenti col
pensiero di Giacomo che afferma: «Tutti manchiamo in molte maniere; se uno non manca nel parlare,
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il suo corpo».
Da questi artisti della parola, da questi asfissianti critici di ogni opera esegetica vorrei avere una
risposta: dove hanno letto la frase riportata sempre dallo stesso Evangelista: «E pose la sua
residenza nella città chiamata Nazareth perché si compisse la predizi one del Profeta, che cioè
sarebbe stato chiamato Nazareno»? Sappiamo che si trova in Isaia. Quel passo che noi abbiamo letto
e poi tradotto così: «E spunterà un arbusto dal ceppo di lesse, un fiore sboccerà da quella radice», in
ebraico, conformemente alle proprietà particolari di quella lingua, lo si trova espresso con queste
parole: «Spunterà un arbusto dal ceppo di lesse, da quella radice nascerà un Nazareno». Come mai
nei Settanta troviamo questa svista? Se non è permesso sostituire una parola a un'altr a, è un
sacrilegio bell'e buono l'aver messo nell'ombra, o per lo meno ignorato, il mistero.
8. Passiamo ad altri passi, dato che la brevità di una lettera non ci permette di dilungarci troppo sui
dettagli. È ancora sempre Matteo che parla: «Ora, tutto que sto è avvenuto - dice - perché il Signore
ha voluto che si avverasse quanto ha fatto dire al Profeta: "Ecco che una vergine avrà un figlio in
seno e lo darà alla luce, e gli metteranno per nome Emmanuele"». I Settanta hanno tradotto: «Ecco
che una vergine si troverà incinta e darà alla luce un figlio cui voi metterete il nome di Emmanuele».
Per una critica letterale, non è evidentemente la stessa cosa dire avrà e si troverà, come neppure
metteranno per nome e metterete per nome. Ora, in ebraico troviamo scr itto così: «Ecco che una
vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli metterà nome Emmanuele». Insomma, non è Acaz,
cui si rimprovera la mancanza di fede, non sono i Giudei che avrebbero rinnegato il Signore, ma è
proprio colei che concepisce - è scritto -, è proprio la Vergine che lo darà alla luce che gli metterà
pure il nome.
Si legge ancora, nel medesimo Evangelista, che Erode rimase sconvolto dall'arrivo dei Magi; fece un
raduno di scribi e di sacerdoti e cercò di sapere da loro dove sarebbe dovu to na scere il Cristo. Essi
risposero: «In Giudea, a Betlemme; così infatti ha indicato il Profeta quando ha detto: "E tu,
Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più insignificante tra le principali di Giuda, perché proprio
da te uscirà un capo che governerà Israele, il mio popolo"». Questo passo viene così riportato dalla
versione Volgata: «E tu, Betlemme, casa di Efrata, sei troppo piccola per figurare tra le mille e mille di
Giuda; da te mi farò uscire uno per farlo capo in Israele». Quanto siano d iscordanti nei vocaboli e
nella costruzione, i passi paralleli di Matteo e dei Settanta, lo puoi constatare con sorpresa più grande
se consulti il testo ebraico. Qui trovi scritto: «E tu, Betlemme, di Efrata, sei piccolina fra le mille e
mille di Giuda; da te mi farò uscire uno per farlo essere dominatore di Israele».
Considera a uno a uno i termini con cui si esprime l'Evangelista: «E tu, Betlemme, terra di Giuda»;
l'ebraico, al posto di terra di Giuda porta Efrata, e i Settanta casa di Efrata. «Non sei af fatto la più
insignificante fra le principali di Giuda»; nei Settanta si legge: «sei troppo piccola per figurare tra le
mille e mille di Giuda»; in ebraico: «sei piccolina fra le mille e mille di Giuda», e il significato è
opposto (i Settanta, almeno in questo passo, danno un significato che armonizza con quello ebraico).
In altre parole: l'Evangelista aveva detto che non è affatto piccola fra le principali di Giuda, mentre è
scritto proprio il contrario: «veramente sei insignificante e piccolina, tuttavia uscirà da te - per quanto
ai miei occhi sei insignificante e piccola - il capo d'Israele, secondo le parole dell'Apostolo: Dio ha
scelto ciò che è debole nel mondo per confondere ciò che è forte 14». Inoltre, anche la frase che
segue: «che governerà - o che pascerà - Israele, il mio popolo», è evidente che nel Profeta suona
diversamente.
9. Metto il dito su queste cose non per accusare gli Evangelisti di falso - questo potrebbero farlo degli
empi, come Ce]so, Porfirio e Giuliano -, ma per dire ai miei critici che sono degli incompetenti in
materia. Vorrei chieder loro d'esser così magnanimi verso di me, da concedermi in una semplice
lettera quella libertà che, volenti o nolenti, devono ben lasciar passare agli Apostoli a proposito della
S. Scrittura. Marco, discepolo di Pietro, comincia il suo Vangelo con questo prologo: «Inizio del
Vangelo di Gesù Cristo, come sta scritto nel profeta Isaia: "Ecco che io mando il mio angelo davanti a
te perché ti prepari la tua strada. Voce di uno che grida nel deserto: prepa rate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri"» è composto (la elementi di due Profeti, e precisamente di Malachia e di
Isaia. Infatti: la prima parte, dove si dice: «Ecco che mando il mio angelo davanti a te perché ti
prepari la tua strada» si trova alla fine di Malachia; l'altra che segue, invece, e cioè: «voce dí uno che
grida nel deserto...» ecc., la leggiamo in Tsaia. Come mi Marco, proprio all'inizio del suo libro, ha
potuto dettare: «come sta scritto nel profeta Isaia: "Ecco che mando il mio angelo"», dal momento che
- l'abbiamo detto - in Isaia ciò non si trova scritto, ma è in Malachia, l'ultimo dei dodici Profeti?
Risolvetemi questa questioncella, o ignoranti presuntuosi, ed io chiederò perdono del mio errore!
Marco, allo stesso modo, mette in bocca al Salvatore queste parole indirizzate ai farisei: «Non avete
mai letto ciò che ha fatto Davide quando si trovò nel bisogno e tanto lui che i suoi compagni erano
affamati? Entrò nella casa di Dio, sotto il pontificato di Abiatar, e mangiò i pani di proposizione di cui
soltanto i sacerdoti potevano cibarsi». Ebbene, confrontiamo Samuele - vale a dire i Libri dei Re,
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come li si intitola comunemente - e scopriremo che lì non si parla di Abiatar, ma di Achimelec, il
pontefice che in seguito, su ordine di Saul, fu percosso da Doec assietne a tutti gli altri sacerdoti.
Accostiamoci ora all'apostolo Paolo. Ai Corinti scrive: «Se l'avessero conosciuto, non avrebbero mai
messo in croce il Signore della gloria. Invece, come dice la Scrittura, ciò che oc chio non vide né
orecchio sentì, ciò che mai cuore umano ha potuto gustare, questo Dio ha preparato a coloro che lo
amano». Ordinariamente in questo passo alcuni seguono le fantasie degli apocrifi. e dicono che il
testo appartiene all'Apocalisse di Elia, mentre è nell'originale ebraico di Isaia che si legge: «Non
hanno mai udito, né le loro orecchie ne hanno mai avuto la percezione. Al di fuori di te o Dio, nessun
occhio ha visto quanto hai preparato per coloro che ti aspettano». Questo passo, nella traduzione dei
Settanta, presenta non poche varianti: «Non abbiamo mai udito e i nostri occhi non ti hanno mai visto,
Dio, senza il tuo aiuto; le tue opere sono vere e tu farai misericordia a chi ti aspetta». Ci è noto da chi
ha tratto questo testo l'Apostolo; però egli non lo ha reso parola per parola: senza cambiarne il senso
l'ha parafrasato, usando altri termini. Nell'epistola ai Romani lo stesso santo Apostolo cita un testo del
profeta Isaia. «Ecco - scrive - che metterò in Sion una pietra d'inciampo e una roccia di scandalo».
Questa traduzione è differente da quella vecchia, e tuttavia concorda con l'originale ebraico. Vedi, ad
esempio, come nei Settanta il senso è tutto all'opposto: «Voi non vi imbatterete in una pietra
d'inciampo, né in una roccia che vi faccia cadere», mentre anche l'apostolo Pietro, invece, in armonia
con il testo ebraico e con Paolo, ha scritto: «Ma per gli increduli è una pietra d'inciampo e una roccia
di scandalo» ls. Dopo tutte queste osservazioni, è chiaro come il sole che tanto gli Apost oli quanto gli
Evangelisti, nella traduzione della Scrittura antica hanno cercato il senso, non le parole; e non si sono
preoccupati granché della costruzione e dei vocaboli, dal momento che il significato ne risultava
intellegibile.
10. Luca, tempra d'apostolo ed evangelista, dice che Stelano, il primo martire di Cristo, in polemica
con i Giudei ha ricordato questo fatto: «Giacobbe scese in Egitto con settanta cinque persone. Ivi
morirono lui e i nostri padri; furono poi trasportati a Sichem e tumulati in un sepolcro che Abramo
aveva comprato dai figli di Emor (figlio di Sichem) a prezzo d'argento». Questo passo lo troviamo
nella Genesi in tutt'altri termini. Cioè: Abramo avrebbe comprato da Efron 1'etèo, figlio di Saar, una
doppia caverna affiancata da un campo nelle vicinanze di Ebron, pagandola quattrocento sicli
d'argento, e vi avrebbe seppellito sua moglie Sara. Nel medesimo libro si legge, poi, che Giacobbe, di
ritorno dalla Mesopotamia con la moglie e i figli, si sarebbe,attendato di fronte a Salem, c ittà nel
territorio di Sichem nel paese dei (:ananei; li avrebbe abitato dopo aver comprato da I:mor, padre di
Sichem, quella porzione di terreno dove aveva posto le sue tende, pagandola con cento agnelli; vi
avrebbe eretto un altare ed avrebbe invocato il Dio di Israele. Abramo, insomma, non ha comprato
una grotta da Eri or, padre di Si'ehem, ma da Efron, figlio di Saar; non è stato sepolto in Sichem, ma
in Ebron (o Arboc, in base alla alterazione subita dal nome). 1 dodici Patriarchi, inoltre, non sono
sepolti in Arboc, ma a Sichem; e questo terreno non è stato comprato da Abramo, ma da Giacobbe.
Anche di questa questioncella non voglio dar subito la soluzione, così i miei avversari possono far
ricerche e capire finalmente che nella S. Scrittura non bisogn a fermarsi sulle parole, ma sul senso.
Il Salmo 21, nel testo ebraico, inizia con le medesime parole dette dal Signore sulla croce: «Heli heli
lama zabtani», che si traducono: «Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» 22. Vo gliono spiegarmi
come mai i Settanta hanno intercalato le parole vòlgiti a me? La loro traduzione, infatti, è questa:
«Dio, Dio mio, volgiti verso di me, perché mi hai abbandonato?». Sono sicuro che mi risponderanno:
«Ma non ne ha scapitato il senso per l'aggiunta di due parole!». Ma a llora mi stiano a sentire anche
loro: non ho poi compromesso la vita della Chiesa se, nella fretta della dettatura, ho saltato qualche
parola!
11. Sarebbe troppo lungo, ora, mettersi a spulciare tutte le aggiunte fatte dai Settanta a loro arbitrio, o
tutte le omissioni, le varianti che nei codici ecclesiastici sono contrassegnate da obèli ed asterischi. Il
passo che si legge in Isaia: «Fortunato chi ha discendenza in Sion e parenti in Gerusalemme»,
quando gli Ebrei lo sentono ci fanno sempre una risata. Lo stesso succede a proposito di Amos dopo
che descrive la lussuria, in questo passo: «Hanno creduto queste cose stabili e non transeunti».
Effettivamente sa di retorica o d'una declamazione alla maniera di Cicerone. Ma come la mettiamo?
Nei testi autentici questi passi non esistono neppure (per non parlare di tutti gli altri passi analoghi) !
Se cercassi di esporli tutti, dovrei scrivere un numero enorme di libri. D'altronde, tutte le parti saltate
sono indicate o dagli asterischi - come ho detto sopra - o dalla nostra traduzione, e un lettore
scrupoloso può accertarsene confrontandola con la vecchia versione. Malgrado ciò, l'edizione dei
Settanta aveva buone ragioni per prevalere nelle Chiese, sia perché è stata la prima e risale a
un'epoca precedente la venuta di Cristo, sia perché gli Apostoli ne hanno fatto largo uso, nei passi,
almeno, in cui non si scosta dall'ebraico.
E Aquila? Questo proselita, traduttore cavilloso, che si è sforzato non solo di tradurci le parole, ma di
darcene anche l'etimologia, abbiamo ragione a non considerarlo. Nessun al tro, penso, al posto di
«frumento, vino e olio», riuscirebbe a leggere e dar loro il senso di cheuma, óporzsmón, stitpnóteta,
vocaboli che corrisponderebbero a questi nostri: effusione, raccolta di frutti, cose sfa villanti. Inoltre,
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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dato che gli Ebrei, oltre agli articoli hanno anche dei prearticoli, lui, per tradurre con una pedanteria di
cattivo gusto sia le sillabe che le lettere, ha delle espressioni come questa: «assieme il cielo e
assieme la terra», cosa che il greco e il latino non ammettono assolutamente. Analoghi esempi
potremmo tirarli fuori dalla nostra lingua. I Greci hanno molte espressioni felici che però, se si
traducono in latino alla lettera, suonano male; viceversa, quelle latine che sono di nostro gusto, se le
traducessimo parola per parola in greco, sarebbero loro a trovarle sgradevoli.
12. Ma non voglio continuare su considerazioni che non finirebbero più. Ti metto sotto gli orchi (a te
che sei il più cristiano di tutto il ceto nobile, e il più no bile dei cristiani) alcuni esempi di falsi di cui mi
accusano nella traduzione della lettera che ho fatto. Ti sottopongo proprio le prime parole della
lettera, nel testo greco; potrai farti un'idea, da questo solo capo d'accusa, anche degli altri. «Sarebbe
stato necessario, mio caro, non venir portati dall'opinione dei chierici...». Io ricordo di aver tradotto
così: «Sarebbe stato opportuno, carissimo, che non avessimo fatto servire all'orgoglio l'onore del
nostro sacerdozio». Ecco, dicono loro, quante ines attezze in una sola frase! Anzitutto agapetòs è
caro, non carissimo; oícsis, poi, significa opinzóne, non orgoglaó (infatti non c'era scritto oreízaata;
che vuol dire gonfiore, ma oic~s(,i che vuol dire giardrztó); e il resto che segue, infine -- e cioè: «non
aver fatto servire all'orgoglio l'onore del nostro sacerdozio» -, è tutta tua invenzione! Ma che stai
dicendo, o sommo della nostra letteratura, o Aristarco redivivo? Perché vai sputando sentenze su tutti
gli scrittori? Ci è proprio stato inutile, dunque, aver studiato per tanto tempo, ed «aver sovente
sottratto la mano alla bacchetta»? Non siamo ancor usciti dal porto che già abbiamo urtato in uno
scoglio! E va bene; dato che aver sbagliato è umano ed ammettere il proprio errore è da saggio,
correggimi tu, da maestro, per favore, e traduci parola per parola. «Certo - dice lui -, avresti dovuto
tradurre: "sarebbe stato necessario, mio caro, non venir portati dall'opinione dei chierici"!». Ma questo
è proprio uno stile alla Plauto! Questo è umorismo attic o che tiene bene il confronto col canto delle
Muse, come si dice! Mi si adatta alla perfezione quel detto proverbiale che tutti hanno in bocca: «Ci
rimette l'olio e le spese chi porta il suo bue alla sala delle frizioni d'olio». Chi ne ha colpa, però, non è
la persona rappresentata dalla maschera, che un altro si mette per recitare la tragedia; è dei suoi
maestri, i quali, dietro lauta remunerazione, gli hanno insegnato a restare ignorante. Non intendo
neppure biasimare un cristiano qualunque solo perché no n sa parlare. Volesse il cielo, anzi, che
potessimo far nostro il detto di Socrate: «So di non sapere» o quello di un altro saggio: «Conosci te
stesso»! Ho sempre avuto un rispetto particolare per la santa semplicità, cosa che non mi accade per
una ignoranza chiacchierona. Chi dice di voler imitare il linguaggio degli Apostoli, ne imiti anzitutto la
loro vita. La semplicità delle loro parole è scusata dalla loro elevata santità di vita. Non c'era
sillogismo d'un Aristotele o sottigliezza astrusa d'un Crisip po che potesse tenere, di fronte a un morto
risuscitato. Del resto farebbe proprio ridere se uno di noi, tra ricchezze alla Creso e piaceri alla
Sardanapalo, si vantasse unicamente della propria ignoranza. Sarebbe come se tutti i ladri e i furfanti
d'ogni risma passassero per intellettuali che tengono nascoste le loro spade insozzate di sangue
dietro i libri dei filosofi, invece che dietro tronchi d'albero.
13. Sono andato oltre le dimensioni d'una lettera, ma non ho raggiunto la misura del dolore che sent o.
Mi dicono che sono un falsario, e le donnicciuole mi fanno a brandelli mentre lavorano alla spola e al
fuso; io mi accontento di togliermi la macchia d'una accusa, senza ritorcerla su altri. Tutta la
questione la lascio al tuo giudizio. Leggila, quella lettera, nel testo greco e latino; ti renderai conto a
prima vista delle baie dei miei accusatori e del valore delle loro lagnanze. In fondo, a me basta d'aver
potuto ragguagliarne un amico carissimo, e limitarmi ad aspettare, acquattato nella mia cella, il giorno
del giudizio. Un altro desiderio ho, nel limite delle mie possibilità e sfidando pure l'ira degli avversari:
scrivere commentari sulla Scrittura, più che filippiche alla Demostene e alla Cicerone.
Trad. S. Cola, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV]
Ep. 53 a Paolino. Lo studio delle scritture
1. Vera necessitudo. Sapientum peregrinationes.—Frater Ambrosius tua mihi munuscula perferens, detulit et
suavissimas litteras, quae a principio amicitiarum, fidem jam probatae fidei et veteris amicitiae [(4) [0540]
Vetus editio Bibliorum sine loci, temporis, aut typographi designatione hic interserit vocem nova.]
praeferebant. Vera enim illa necessitudo est, et Christi glutino copulata, quam non utilitas rei familiaris, non
praesentia tantum corporum, non subdola et palpans adulatio; sed Dei timor et divinarum Scripturarum
studia conciliant. Legimus in veteribus historiis, quosdam lustrasse provincias, novos adisse populos, maria
transisse, ut eos quos ex libris noverant, coram quoque viderent. Sic Pythagoras Memphiticos vates; sic
Plato Aegyptum et Architam Tarentinum, eamque oram Italiae, quae quondam magna Graecia dicebatur,
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laboriosissime peragravit; ut qui Athenis magister erat et potens, cujusque doctrinam Academiae gymnasia
personabant, fieret peregrinus atque discipulus, MALENS ALIENA verecunde 271 discere, quam sua
impudenter ingerere. Denique cum litteras quasi toto fugientes orbe persequitur, [0541] captus a piratis et
venundatus, etiam tyranno crudelissimo (Dionysio Siciliae) paruit, captivus, vinctus, et servus; tamen quia
Philosophus, major emente se fuit. Ad T. Livium lacteo eloquentiae fonte manantem, de ultimis Hispaniae (a
Gadibus,) Galliarumque finibus quosdam venisse nobiles legimus; et quos ad contemplationem sui Roma
non traxerat, unius hominis fama perduxit. Habuit illa aetas inauditum omnibus saeculis celebrandumque
miraculum, ut urbem tantam ingressi, aliud extra urbem quaererent. Apollonius (sive ille Magus, ut vulgus
loquitur, sive Philosophus, ut Pythagorici tradunt) intravit Persas, pertransivit Caucasum, Albanos, Scythas,
Massagetas, opulentissima Indiae regna penetravit: et ad extremum latissimo Physon amne (Gange)
transmisso, pervenit ad Brachmanas; ut Hiarcam in throno sedentem aureo [(a) [0541] Eam intellige, quae in
Hiarchae schola erat, statuam Tantalum referentem, in cujus manu poculum erat aqua plenum, unde
attingebant philosophi ante cubitum. Hieronymus fontem vocat, quod nempe quantum inde hauriebatur,
tantum continuo suppeteret. Historiam Philostratus tradit l. 3. c. 7. Superiores quas a Laertio, Plinio,
Herodoto, aliisque late didicisse poteris, non moramur. Interim Martian. legerat de moribus pro motibus;
Victorius vero de moribus siderum, ac dierum cursu. Vetus quoque laudata editio Bibliorum, ita in hac
Epistola praefert, de natura, de moribus, ac de cursu dierum ac siderum.] et de Tantali fonte potantem, inter
paucos discipulos, de natura, de motibus, ac siderum cursu audiret docentem: inde per Elamitas,
Babylonios, Chaldaeos, Medos, Assyrios, Parthos, Syros, Phoenices, Arabes, Palaestinos, reversus
Alexandriam, perrexit Aethiopiam, ut Gymnosophistas, et Tamosissimam Solis mensam videret in sabulo.
Invenit ille vir ubique quod disceret: et semper proficiens, semper se melior fieret. Scripsit super hoc
plenissime octo voluminibus Philostratus.
2. Quid loquar de saeculi hominibus? cum Apostolus Paulus vas electionis et magister gentium, qui de
conscientia tanti in se hospitis loquebatur. An experimentum quaeritis ejus qui in me loquitur Christus? (2.
Cor. 13. 3.) post Damascum Arabiamque lustratam, ascenderit Jerosolymam, ut videret Petrum, et manserit
apud eum diebus quindecim. Hoc enim mysterio hebdomadis et ogdoadis, futurus Gentium praedicator
instruendus erat. Rursumque post annos quatuordecim, assumpto Barnaba et Tito exposuerit Apostolis
Evangelium, ne forte in vacuum curreret, 272 aut cucurrisset. Habet nescio quid latentis energiae viva vox;
et in aures discipuli de auctoris ore transfusa fortius sonat. Unde et Eschynes, cum Rhodi exularet; et
legeretur illa Demosthenis Oratio, quam adversus eum habuerat, mirantibus cunctis atque laudantibus,
suspirans ait [(b) [0541] Cicero qui utramque orationem vertit, lib. 3. de Orat. Quanto, inquit, magis
admiraremini, si ipsum audissetis.] : Quid si ipsam audissetis bestiam, sua verba resonantem?
3. Haec non dico, quod sit in me aliquid tale, quod vel possis, vel velis discere: sed quod ardor tuus ac
discendi studium, etiam absque nobis per se probari debeat. Ingenium docile, et sine doctore laudabile
[0542] est. Non quid invenias, sed quid quaeras, consideramus. Mollis cera et ad formandum facilis, etiam si
artificis et plastae cessent manus [(c) [0542] Al. latine tamen virtute totum est, etc. Mox pro Moysi nomine
erat Domini. Leviora infra emendamus.] , tamen thðé dunavmei totum est, quidquid esse potest. Paulus
Apostolus ad pedes Gamalielis legem Moysi et Prophetas didicisse se gloriatur, ut armatus spiritualibus telis,
postea diceret confidenter: «Arma militiae nostrae, non carnalia sunt, sed potentia Dei, ad destructionem
munitionum: Concilia destruentes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei; et
captivantes [al. captivantem] omnem intellectum, ad obediendum Christo: et parati subjugare cunctam
inobedientiam» (4. Cor. 10. 4. 5) . Ad Timotheum scribit, ab infantia sacris litteris eruditum; et hortatur ad
studium lectionis, ne negligat gratiam, quae data sit ei per impositionem manus Presbyterii. Tito praecipit, ut
inter caeteras virtutes Episcopi, quem brevi sermone depinxit, scientiam quoque eligat [al. intelligat]
Scripturarum: «Obtinentem, inquit, eum qui secundum doctrinam est, fidelem sermonem; ut potens sit
exhortari in doctrina sana, et contradicentes revincere» (Tim. 1. 9) . Sancta quippe rusticitas solum sibi
prodest: et quantum aedificat ex vitae merito Ecclesiam Christi, tantum nocet, si destruentibus non resistat.
[(d) [0542] Reatini interpretis emendationem sequimur, antea enim penes Erasm. ac Martian. pro Aggaei
nomine erat utroque in loco Malachias, quam lectionem revera sciolus non nemo induxit, quod putarit illud
Malachiae c. 2. V 7. alludit, «Labia sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore ejus,» cum sint
imo haec Aggaei c. 2. «Haec dicit Dominus exercituum, Interroga sacerdotes legem, dicens,» etc.] Aggaeus
Propheta, imo per Aggaeum Dominus, interroga, ait, Sacerdotes Legem (Agg. 2) .
Sacerdotis officium. Paulus cur vas electionis.—In tantum Sacerdotis officium est, interrogatum respondere
de Lege. Et in Deuteronomio legimus: Interroga patrem, tuum, et annuntiabit tibi; 273 seniores tuos, et dicent
tibi (Deut. 32. 7) . In Psalmo quoque centesimo decimo octavo. Cantabiles mihi erant justificationes tuae, in
loco peregrinationis meae (v. 54) . Et in descriptione justi viri, cum eum David arbori vitae, quae est in
paradiso, compararet, inter caeteras virtutes et hoc intulit: In lege Domini voluntas ejus: et in lege ejus
meditabitur die ac nocte (Psalm. 1. 2) . Daniel in fine sacratissimae Visionis justos, ait, fulgere sicut stellas;
et intelligentes, hoc est doctos, quasi firmamentum. Vides quantum inter se distent, justa rusticitas, et docta
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justitia? Alii stellis, alii coelo comparantur. Quanquam juxta Hebraicam Veritatem, utrumque de eruditis
possit intelligi: ita enim apud eos legimus: «Qui autem docti fuerint, fulgebunt quasi splendor firmamenti: et
qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae in perpetuas aeternitates» (Dan. 12. 3) . Cur dicitur Paulus
Apostolus vas electionis? Nempe quia [(e) [0542] Frustra Victorius vas legis, cum pro armario eo loco vas
sumi constet. Sic in qeouð divdaktoi duobus verbis, quod [0543] unico rectius exprimitur, juxta Apostoli
locum ad Thessalonic. uJmeiðû qeodivdaktoiú ejste, quem Hier. alludit.] legis et sanctarum Scripturarum
armarium est. Pharisaei stupent ad doctrinam [0543] Domini; et mirantur in Petro et Joanne quomodo legem
sciant, cum litteras non didicerint. Quidquid enim aliis exercitatio et quotidiana in Lege meditatio tribuere
solet, illis Spiritus Sanctus suggerebat: et erant, juxta quod scriptum est, qeodivdaktoi. Duodecim annos
Salvator impleverat, et in Templo senes de quaestionibus legis interrogans, magis docet, dum prudenter
interrogat.
4. Nisi forte rusticum Petrum, rusticum dicimus Joannem; quorum uterque dicere poterat: «Etsi imperitus
sermone, non tamen scientia» (2. Cor. 11. 6) . Joannes rusticus, piscator, indoctus? Et unde illa vox
obsecro, «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum?» (Joan. 1. 1.)
Lovgoû enim Graece multa significat; nam et verbum est, et ratio, et supputatio, et causa uniuscujusque rei,
per quam sunt singula quae subsistunt. Quae universa recte intelligimus in Christo. Hoc doctus Plato
nescivit: hoc Demosthenes eloquens ignoravit. «Perdam, inquit, sapientiam sapientium, et prudentiam
prudentium reprobabo» (1. Cor. 1. 19) . Vera sapientia perdet falsam sapientiam: et quanquam stultitia
praedicationis in Cruce sit, tamen Paulus «Sapientiam loquitur inter perfectos. Sapientiam autem non saeculi
hujus, nec principum saeculi istius, [(a) [0543] Martian. post Erasm. quae destruitur, renuente Vulgato ac
Graeco textu, et Hieronymianis plerisque Mss.] qui destruuntur: 274 sed loquitur Dei sapientiam in mysterio
absconditam, quam praedestinavit Deus ante saecula» (1. Cor. 2. 7) . Dei sapientia Christus est. «Christus
enim Dei virtus, et Dei sapientia» (Ibid. 24) . Haec sapientia in mysterio abscondita est: de qua et noni
Psalmi titulus praenotatur, «pro occultis filii:» in quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi:
et qui in mysterio absconditus erat, praedestinatus est ante saecula. Praedestinatus autem, et praefiguratus,
in Lege et Prophetis. Unde et Prophetae appellabantur Videntes: quia videbant eum, quem caeteri non
videbant. «Abraham vidit diem ejus: et laetatus est» (Joan. 8. 56) . Aperiebantur coeli Ezechieli; qui populo
peccatori erant. «Revela, inquit David, oculos meos: et considerabo mirabilia de lege tua» (Ps. 118. 18) .
Lex enim spiritualis est, et revelatione opus est, ut intelligatur, ac revelata facie Dei gloriam contemplemur.
5. Liber in Apocalypsi septem sigillis signatus ostenditur (Apoc. 5) : quem si dederis homini scienti litteras, ut
legat, respondebit tibi: Non possum, signatus est enim. Quanti hodie putant se nosse litteras, et tenent
signatum librum; nec aperire possunt, nisi ille reseraverit «qui habet clavem David: qui aperit, et nemo
claudit, claudit et nemo aperit?» (Ibid. 3. 7.) In Actis Apostolorum sanctus eunuchus, imo vir (sic enim eum
Scriptura cognominat), cum legeret Isaiam, interrogatus a Philippo: «Putasne intelligis quae legis?»
respondit, «Quomodo possum, [0544] nisi aliquis me docuerit?» (Act. 8.) Ego, ut de me interim loquar, nec
sanctior sum hoc eunucho, nec studiosior; qui de Aethiopia, id est, de extremis mundi finibus venit ad
Templum, reliquit aulam regiam: et tantus amator Legis, divinaeque scientiae fuit, ut etiam in vehiculo sacras
litteras legeret: et tamen cum librum teneret, et verba Domini cogitatione conciperet, lingua volveret, labiis
personaret, ignorabat eum, quem in libro nesciens venerabatur. Venit Philippus, ostendit ei Jesum, qui
clausus latebat in littera. O mira doctoris virtus! Eadem hora credit eunuchus, baptizatur, fidelis et sanctus
est; ac de discipulo magister: plus in deserto fonte Ecclesiae, quam in aurato synagogae Templo reperit.
6. Haec a me perstricta sunt breviter 275 (neque enim Epistolaris angustia evagari longius patiebatur) ut
intelligeres te in Scripturis sanctis, sine praevio et monstrante semitam, non posse ingredi. Taceo de
Grammaticis, Rhetoribus, Philosophis, Geometris, Dialecticis, Musicis, Astronomis, Astrologis, Medicis,
quorum scientia mortalibus vel utilissima est, et in tres partes scinditur, [(b) [0544] Subdunt de more
vetustiores editi et quidam Mss Graecar. Vocum interpretationem hanc, id est in doctrinam rationem, et
usum; qui etiam mox cum plerisque aliis pro lovgwé habent lingua.] tov doúgma, thún mevqodon, thún
ejmpeirian. Ad minores artes veniam, et quae non tam logwé, quam manu administrantur. Agricolae,
caementarii, fabri, metallorum, lignorumve caesores, lanarii quoque et fullones, et caeteri qui variam
supellectilem et vilia opuscula fabricantur, absque doctore non possunt esse quod cupiunt. «Quod
Medicorum est,»
Promittunt Medici, tractant fabrilia fabri. (Horat. Epist. lib. 1. Epist. 1).
7. Sola Scripturarum ars est, quam sibi omnes passim vindicant.
Scribimus indocti, doctique poemata passim. (Ibid.).
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Hanc garrula anus, hanc delirus senex, hanc sophista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent,
antequam discant. Alii adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter mulierculas de sacris litteris
philosophantur. Alii discunt, proh pudor, a feminis, quod viros doceant: et ne parum hoc sit, quadam facilitate
verborum, imo audacia edisserunt aliis, quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui si forte ad
Scripturas sanctas, post saeculares litteras venerint; et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid
dixerint, hoc legem Dei putant: nec scire dignantur, quid Prophetae, quid Apostoli senserint; sed ad sensum
suum incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare
sententias, et ad voluntatem suam Scripturam trahere repugnantem. Quasi non legerimus, Homerocentonas,
et Virgiliocentonas: ac non sic etiam Maronem sine Christo possimus dicere Christianum, qui scripserit:
[0545] Jam redit et virgo, redeunt Saturnia regna.
Jam nova progenies coelo demittitur alto. (Virgil. Eclog. 4). 276 Et patrem loquentem ad filium,
Nate, meae vires, mea magna potentia solus.
Et post verba Salvatoris in cruce.
Talia perstabat memorans, fixusque manebat.
Puerilia sunt haec, et circulatorum ludo similia, docere quod ignores: imo, ut cum stomacho loquar, ne hoc
quidem scire quod nescias.
8. Videlicet manifestissima est Genesis, in qua de natura mundi, de exordio generis humani, de divisione
terrae, [(a) [0545] Ad Erasmi ingenium Editor Benedictinus, de confusione linguarum et gentium, usque ad
exitum scribitur Hebraeorum; cum, ut Victorius animadvertit, exitus Hebraeorum ex Aegypto non statim a
Genesi, sed multa post Exodi Capitula describatur. Veram lectionem ex Vulgatis ante ann. 1500. eodem
Victorio et Mss. reposuimus.] de confusione linguarum, et descensione usque ad Aegyptum, gentis scribitur
Hebraeorum. Patet Exodus cum decem plagis, cum decalogo, cum mysticis divinisque praeceptis In promptu
est Leviticus liber, in quo singula sacrificia, imo singulae pene syllabae, et vestes Aaron, et totus ordo
Leviticus, spirant coelestia sacramenta. Numeri vero, nonne totius arithmeticae, et Prophetiae Balaam, et
quadraginta duarum per eremum mansionum mysteria continent? Deuteronomium quoque secunda lex, et
Evangelicae legis praefiguratio, nonne sic ea habet quae priora sunt, ut tamen nova sint omnia de veteribus?
[(b) [0545] Apud plerosque editos: Hucusque Moyses, hucusque Pentateuchus. Porro alludit Hieronymus
Apostoli locum quem adnotavimus, ubi in Ecclesia, inquit, volo quinque verba sensu meo loqui, quae ex
sensu veterum aliorum Patrum mystice interpretatur, ad quinque Pentateuchi libros quinque Pauli verba
referens. ] Hucusque Pentateuchus: quibus quinque verbis (1. Cor. 14. 19) , loqui se velle Apostolus in
Ecclesia gloriatur. [(c) [0545] Quod Moysi libris Jobi historiam proxime subjiciat, quae juxta veterum omnium
canonem et Hieronymianum ipsum constanter post Prophetas in Agiographorum ordine recensetur, nisi si
luxatus est locus iste librariorum incuria, perquam probabilis ratio est, quod ejusdem auctoris, sive ab eodem
Moyse conscriptum librum esse senserit, quae nec paucorum est ex antiquis, nec a vero multum abhorret
sententia. Quod si pro germana habeatur superius adnotata quorumdam codd. lectio, Hucusque Moyses,
tunc seriem temporum, et Jobi remotissimam antiquitatem sibi proposuisse credendus erit.] Job exemplar
patientiae, quae non mysteria suo sermone complectitur?
Prosa incipit, versu labitur, pedestri sermone finitur: omnesque leges dialecticae, propositione, assumptione,
confirmatione, conclusione determinat. Singula in eo verba plena sunt sensibus. Et, ut de caeteris sileam,
resurrectionem corporum sic prophetat; ut nullus de ea vel manifestius, vel cautius scripserit: «Scio, inquit,
quod redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra resurrecturus sum: et rursum circumdabor pelle mea;
et in carne mea videbo Deum. Quem visurus sum ego ipse, et oculi mei conspecturi sunt, et non alius.
Reposita est haec spes mea in sinu meo» (Job. 19. 25. 26) . Veniam ad Jesum Nave, qui typus Domini non
solum in gestis, sed etiam in nomine, 277 transiit Jordanem, hostium regna subvertit, divisit [0546] terram
victori populo, et per singulas urbes, viculos, montes, flumina, torrentes, atque confinia, Ecclesiae,
coelestisque Jerusalem spiritualia regna describit. In Judicum libro quot principes populi, tot figurae sunt.
Ruth Moabitis. Isaiae explet vaticinium, dicentis: «Emitte agnum, Domine, dominatorem terrae, de petra
deserti ad montem filiae Sion» (Isai. 16. 1) . Samuel in Heli mortuo, et in occiso [al. occisione], Saul,
veterem legem abolitam monstrat.
Porro in Sadoc atque David, novi Sacerdotii, novique Imperii sacramenta testatur. Malachim, id est, Regum
tertius, et quartus liber a Salomone usque ad Jechoniam: et ab Jeroboam filio Nabath, usque ad Osee, qui
ductus est in Assyrios, regnum Juda et regnum describit Israel. Si historiam respicias, verba simplicia sunt: si
in litteris sensum latentem inspexeris, Ecclesiae paucitas, et Haereticorum contra Ecclesiam bella narrantur.
Duodecim Prophetae in unius voluminis angustias coarctati, multo aliud quam sonant in littera, praefigurant.
Osee crebro nominat Ephraim. Samariam, Joseph, Jezrael, et uxorem fornicariam, et fornicationis filios, et
adulteram cubiculo clausam mariti, multo tempore sedere viduam, et sub veste lugubri, viri ad se reditum
praestolari. Joel filius Phathuel, describit terram duodecim tribuum, heruca, brucho, locusta, rubigine
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vastante corruptam: et post eversionem prioris populi, effusum iri Spiritum Sanctum super servos Dei, et
ancillas, id est, super centum viginti credentium nomina, qui effundendus erat in coenaculo Sion: qui centum
viginti, ab uno usque ad quindecim paulatim et per incrementa surgentes, quindecim graduum numerum
efficiunt, qui in Psalterio mystice continentur.
Amos pastor et rusticus, et «ruborum mora distringens,» paucis verbis explicari non potest. Quis enim digne
exprimat tria, aut quatuor scelera Damasci, Gazae, et Tyri, et Idumeae, et filiorum Ammon, et Moab, et in
septimo octavoque gradu, Judae et Israel? Hic loquitur ad vaccas pingues, quae sunt in monte Samariae, et
ruituram domum majorem minoremque testatur. Ipse cernit fictorem locustae; et stantem Dominum super
murum litum vel adamantinum, et 278 uncinum pomorum, attrahentem supplicia peccatoribus, et famem in
terram: non famem panis, nec sitim aquae, sed audiendi verbum Dei. Abdias qui interpretatur «servus Dei»
[al. Domini], pertonat contra Edom sanguineum, terrenumque hominem. Fratris quoque Jacob semper
aemulum hasta percutit spirituali. Jonas «columba» pulcherrima, naufragio suo passionem Domini
praefigurans, mundum ad poenitentiam revocat: et sub nomine Ninive, salutem gentibus nuntiat. Michaeas
de Morasthi, «cohaeres» Christi, vastationem annuntiat filiae latronis, et obsidionem ponit contra eam: quia
maxillam percusserit judicis Israel. Nahum «consolator» orbis, increpat civitatem sanguinum, et post
eversionem illius loquitur: «Ecce super montes pedes evangelizantis et annuntiantis pacem» (Num. 1. 15) .
Abacuc «luctator» fortis et rigidus, stat super custodiam suam, et [0547] figit gradum super munitionem, ut
Christum in cruce contempletur, et dicat: «Operuit coelos gloria ejus, et laudis ejus plena est terra. Splendor
ejus, ut lux erit: cornua in manibus ejus, ibi abscondita est fortitudo ejus»
(Abac. 3) . Sophonias
«speculator» et arcanorum Domini cognitor, audit clamorem a porta piscium, et ejulatum a secunda, et
contritionem a collibus. Indicit quoque ululatum habitatoribus pilae: quia conticuit omnis populus Chanaam:
disperierunt universi, qui involuti erant argento.
Aggaeus «festivus» et laetus, qui seminavit in lacrymis, ut in gaudio meteret, destructum Templum
reaedificat, Dominumque Patrem inducit loquentem: «Adhuc unum modicum, et ego commovebo coelum et
terram, et mare, et aridam, et movebo omnes gentes: et veniet desideratus cunctis gentibus» (Agg. 2. 7. 8)
. Zacharias «memor Domini sui,» multiplex in Prophetia, [(a) [0547] Josuam intellige filium Josedech
Pontificem.] Jesum vestibus sordidis indutum, et lapidem oculorum septem, candelabrumque aureum cum
totidem lucernis, quot oculis, duas quoque olivas a sinistris lampadis cernit et dextris: ut post [(b) [0547]
Sequimur, quam ex Brixianis Codicibus lectionem Victorius restituit, cum verosimillimum sit primum
Zachariae caput innui a Hieronymo, non sextum, quod post Erasmum Martianaeus putasse videtur dum
legit, equos varios, rufos, et albos, et dissipatas, etc.] equos, rufos, nigros et albos, et varios, et dissipatas
quadrigas ex Ephraim, et equum de Jerusalem, pauperem regem vaticinetur et praedicet, sedentem super
pullum filium asinae subjugalis.
Malachias aperte, et in fine omnium Prophetarum, de abjectione Israel et vocatione gentium: «Non est mihi,
ait, voluntas in vobis, dicit Dominus exercituum, et munus 279 non suscipiam de manu vestra. Ab ortu enim
solis usque ad occasum, magnum est nomen meum in gentibus: et in omni loco sacrificatur, et offertur
nomini meo oblatio munda» (Mal. 1. 10) . Isaiam, Jeremiam, Ezechielem, et Danielem quis possit vel
intelligere, vel exponere? Quorum primus non Prophetiam mihi videtur texere, sed Evangelium. Secundus
virgam nuceam [Vulg. vigilantem] et ollam succensam a facie Aquilonis, et pardum spoliatum suis coloribus;
et quadruplex diversis metris nectit alphabetum (Lamentationes). Tertius principia et finem tantis habet
obscuritatibus involuta, ut apud Hebraeos istae partes cum exordio Geneseos ante annos triginta non
legantur. Quartus vero qui et extremus inter quatuor Prophetas, temporum conscius, et totius mundi [(c)
[0547] Plerique Mss. Philostoricus: omnino autem vitiose cum Erasm. Martian. Philostoros; nos filoièstwr,
quod est eruditionis cupidus, ex vulgatis emendatioribus scripsimus.] filoièstwr, lapidem praecisum de monte
sine manibus, et regna omnia subvertentem, claro sermone pronuntiat.
David, Simonides noster, Pindarus et Alcaeus, Flaccus quoque, Catullus et Serenus, Christum lyra personat,
et in decachordo psalterio ab inferis suscitat resurgentem. Salomon, pacificus, et amabilis Domini, mores
corrigit, naturam docet, Ecclesiam jungit et Christum, sanctarumque nuptiarum dulce canit epithalamium.
Esther in Ecclesiae typo populum liberat de periculo, [0548] et interfecto Aman, qui interpretatur «iniquitas,»
partes convivii et diem celebrem mittit in posteros. Paralipomenon liber, id est, Instrumenti veteris eJpitomhú
tantus ac talis est, ut absque illo si quis scientiam Scripturarum sibi voluerit arrogare, seipsum irrideat. Per
singula quippe nomina, juncturasque verborum, et praetermissae in Regum libris tanguntur historiae, et
innumerabiles explicantur Evangelii quaestiones. Ezras et Neemias, «adjutor» videlicet et «consolator a
Domino,» in unum volumen coarctantur: instaurant Templum, muros extruunt civitatis: omnisque illa turba
populi redeuntis in patriam, et descriptio Sacerdotum, Levitarum, Israelis, proselytorum ac per singulas
familias murorum ac turrium opera divisa, aliud in cortice praeferunt, aliud retinent in medulla.
280 8. Cernis me Scripturarum amore raptum excessisse modum Epistolae, et tamen non implesse quod
volui. Audivimus tantum quid nosse, quid cupere debeamus, ut et nos quoque possimus dicere: «Concupivit
anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore» (Ps. 118. 20) . Caeterum Socraticum illud
impletur in nobis; Hoc tantum scio, quod nescio. Tangam et novum breviter Testamentum. Matthaeus,
Marcus, Lucas, et Joannes, quadriga Domini, et verum [(d) [0548] Hanc alibi quoque interpretationem urget
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Hieronymus, et exponit in Lexico, quae tamen plerisque veritati consona non videtur, alii, ut tueantar, valde
desudant. Sed Hebraeos antiquiores ad notandam scientiae multitudinem ea voce [Hebrew Text] usos esse,
probat Philonis testimonium de simulacris Arcae: ceroubivm . . . . . . eJpivgnwsiû kaiú ejpisthvmh pollhú. et
Clemens Alexandr. evqelen dev toú oænoma twðn ceroubivm dhlouðn ejpevgnwsiðn pollhún Accedit Isabar
Ali in Lexico, Interpretatio alia hujus est multitudo scientiae. Et tandem Joannes Metropolita Darensis: Quid
etiam nomen Cherubim? multitudo cognitionis, sive effusio sapientiae, sive abundantia et opulentia
sapientiae, Videtur nominis etymologia ex affini Arabic. Kabir, Hebraic. [Hebrew Text] facta litterar.
metathesi, quod scium, prudentem, et gnarum notat, desumi.] Cherubim, quod interpretatur «scientiae
multitudo, per totum corpus oculati sunt, scintillae emicant, discurrunt fulgura, pedes habent rectos et in
sublime tendentes, terga pennata et ubique volitantia. Tenent se mutuo, sibique perplexi sunt, et quasi rota
in rota volvuntur, et pergunt quocumque eos flatus Sancti Spiritus perduxerit. Paulus Apostolus ad septem
Ecclesias scribit (octava enim ad Hebraeos [(e) [0548] Vid. Lib. de S. E. in Paulo cap. V.] a plerisque extra
numerum ponitur.)» Timotheum instruit ac Titum, Philemonem pro fugitivo famulo (Onesimo) deprecatur.
Super quo tacere melius puto, quam pauca scribere. Actus Apostolorum nudam quidem sonare videntur
historiam, et nascentis Ecclesiae infantiam texere: sed si noverimus scriptorem eorum Lucam esse
medicum, cujus «Laus est in Evangelio,» animadvertemus pariter omnia verba illius, animae languentis esse
medicinam. Jacobus, Petrus, Joannes, Judas Apostoli, septem Epistolas ediderunt tam mysticas quam
succinctas, et breves pariter et longas: breves in verbis, longas in sententiis, ut rarus sit qui non in earum
lectione caecutiat [al. concutiatur]. Apocalypsis Joannis tot habet sacramenta, quot verba. [0549] Parum dixi
pro merito voluminis. Laus omnis inferior est: in verbis singulis multiplices latent intelligentiae.
9. Oro te, frater carissime, inter haec vivere, ista meditari, nihil aliud nosse, nihil quaerere, nonne tibi videtur
jam hic in terris regni coelestis habitaculum? Nolo offendaris in Scripturis sanctis simplicitate, et quasi vilitate
verborum, quae vel vitio interpretum, vel de industria sic prolata sunt, 281 ut rusticam concionem [al.
contentionem] facilius instruerent: et in una eademque sententia, aliter doctus, aliter audiret indoctus. Non
sum tam petulans et hebes, ut haec me nosse pollicear, et eorum fructus in [(a) [0549] Illud in terra ex
Brixianis codd. Victorius restituit. qui mox pro sedenti me praefero, in quodam S. Pauli de Urbe Ms. invenisse
dicit. Sed enite me profiteor.] terra capere, quorum radices in coelo fixae sunt; sed velle fateor: sedenti me
praefero, magistrum renuens, comitem spondeo. Petenti datur, pulsanti aperitur: quaerens invenit. Discamus
in terris, quorum nobis scientia perseveret in coelo.
10. Obviis te manibus excipiam, et, ut inepte aliquid, ac de Hermagorae tumiditate [(b) [0549] Olim sed falso,
timiditate: tum Martianaeus quoque effundam pro effutiam. Alludit autem Hier. Ciceronis locum lib. 1. de
Invent. Hermagoras nec quid dicat attendere, nec quid polliceatur videtur intelligere. Et paulo infra,
Hermagoras sua fretus scientia non quid ars, sed quid ipse posset, exposuisse videtur.] effutiam, quidquid
quaesieris, tecum scire conabor. Habes hic amantissimum tui fratrem Eusebium, qui litterarum tuarum mihi
gratiam duplicavit, referens honestatem morum tuorum, contemptum saeculi, fidem amicitiae, amorem
Christi. Nam prudentiam et eloquii venustatem, etiam absque illo, ipsa Epistola praeferebat. Festina, quaeso
te, et haerentis in salo naviculae funem magis praecide, quam solve. Nemo renuntiaturus saeculo bene
potest vendere, quae contempsit ut venderet. Quidquid in sumptus de tuo tuleris, pro lucro computa. [(1)
[0549] Senecae alii tribuunt, sed jam Ennio, atque Catoni adscripsit Jo. Salisber. Carm. ad Opus suum
Policr. Avaro tam deest quod habet, quam quod non habet. Vide Theophili Paschal. III. num. 15. Nescit
mensuram cui tantum deest quod habet, quantum quod non habet.] Antiquum dictum est: Avaro tam deest
quod habet, quam quod non habet. [(c) [0549] Citatur isthaec sententia ab Hieronymo passim, et ab aliis
etiam Patribus, Augustino saepe, Cassiano Collat. 24 cap. 26. Bernardo in vita S. Malachiae; ex Graecis
vero Clemente Alexandrino Strom. lib. 2., aliisque. Est autem apud LXX. Proverb. 17. post vers. 6. touð
pistouð oæloû oj koúsmoû twún crhmavtwn, touð dev avpistouð oujdev ojbolovû.] «Credenti totus mundus
divitiarum est. Infidelis autem etiam obolo indiget.» Sic vivamus tanquam nihil habentes, et omnia
possidentes. VICTUS et vestitus, divitiae Christianorum sunt. Si habes in potestate rem tuam, vende: si non
habes, projice. Tollenti tunicam, et pallium relinquendum est. Scilicet nisi tu semper recrastinans, et diem de
die trahens, caute et pedetentim tuas possessiunculas vendideris, non habet Christus unde alat pauperes
suos. Totum Deo dedit, qui seipsum obtulit. Apostoli navem tantum et retia reliquerunt. Vidua duo aera misit
ad gazophylacium, et praefertur Croesi divitiis. FACILE contemnit omnia, qui se semper cogitat esse
moriturum.
Ep., 22,88,30
Cristiano o ciceroniano? (Cf. SEMI III,250)
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30. Cum ante annos plurimos domo, parentibus sorore, cognatis, et quod his difficilius est, consuetudine
lautioris cibi, propter coelorum me regna 115 castrassem, et [(f) [0416] Mallet Tillemontius Antiochiam legere
pro Jerosolymam, quod nimirum, cum haec scriberet, nondum Jerosolymae fuisse Hier. videatur. Sed
renuentibus Mss. atque editis libris, id unum perquam commode intelligitur indicare, illuc quidem in animo
habuisse, ut pergeret, etsi mutato consilio, Antiochiae primum, tum in eremo substiterit.] Jerosolymam
militaturus pergerem, Bibliotheca, quam mihi Romae summo studio ac labore confeceram, carere omnino
non poteram. Itaque miser ego lecturus Tullium, jejunabam. Post noctium crebras vigilias, post lacrymas,
quas mihi praeteritorum recordatio peccatorum ex imis visceribus eruebat, [(g) [0416] Tres Mss. Plato
sumebatur in munibus.] Plautus sumebatur in manus [al. manibus]. Si quando in memetipsum reversus,
Prophetas legere coepissem, sermo horrebat incultus; et quia lumen caecis oculis non videbam, non
oculorum putabam culpam esse, sed solis. Dum ita me antiquus serpens [al. hostis] illuderet, in media ferme
Quadragesima medullis infusa febris, corpus invasit exhaustum: et sine ulla requie (quod dictu quoque
incredibile sit) sic infelicia membra depasta est, [(h) [0416] Cisterciens, ut ossibus ossa vix haererent.] ut
ossibus vix haererem. Interim parantur exequiae, et vitalis animae calor, toto frigescente jam corpore, in solo
tantum tepente pectusculo palpitabat: Cum subito raptus in spiritu, ad tribunal judicis pertrahor; ubi tantum
luminis, et tantum erat ex circumstantium claritate fulgoris, ut projectus in terram, sursum aspicere non
auderem. Interrogatus de conditione, Christianum me esse respondi. Et ille qui praesidebat: Mentiris, ait,
Ciceronianus es, non Christianus: ubi enim thesaurus tuus, ibi et cor tuum (Matth. 6. 21) . Illico obmutui, et
inter verbera (nam caedi me jusserat) conscientiae magis igne torquebar, illum mecum versiculum reputans:
«In inferno autem quis confitebitur tibi» (Ps. 6. 6) ? Clamare tamen coepi, et ejulans dicere: Miserere mei,
Domine, miserere mei. Haec vox inter flagella resonabat. Tandem ad praesidentis genua provoluti qui
astabant, precabantur, ut veniam tribueret adolescentiae, et errori locum poenitentiae commodaret,
exacturus deinde cruciatum, si Gentilium litterarum libros aliquando legissem. Ego qui in tanto constrictus
articulo, vellem etiam majora promittere, dejerare [0417] coepi, et nomen ejus obtestans, dicere, Domine, si
unquam habuero codices saeculares, si legero, te negavi. In haec sacramenti verba dimissus, revertor 116
ad superos; et mirantibus cunctis, oculos aperto tanto lacrymarum imbre perfusos, ut etiam, incredulis fidem
facerem ex dolore. Nec vero sopor ille fuerat, aut vana somnia, quibus saepe deludimur. Testis est tribunal
illud, ante quod jacui, testis judicium triste, quod timui: ita mihi nunquam contingat in talem incidere
quaestionem. Liventes fateor habuisse me scapulas, plagas sensisse post somnum, et tanto dehinc studio
divina legisse, quanto non ante mortalia legeram.
Traduzione
Hier., ep., 22, 34-35. La vita dei cenobiti
34. Et quoniam Monachorum fecimus mentionem, et te scio libenter audire, quae sancta sunt, aurem
paulisper accommoda. Tria sunt in Aegypto genera Monachorum. Unum, Coenobitae, quod illi Sauses gentili
lingua vocant, nos in commune viventes possumus appellare. Secundum, Anachoretae, qui soli habitant per
deserta; et ab eo quod procul ab hominibus recesserint, nuncupantur. Tertium genus est, quod Remoboth
dicunt, deterrimum atque neglectum, et quod in nostra provincia aut solum, aut primum est. Hi bini vel terni,
nec multo plures simul habitant, suo arbitratu ac ditione viventes: et de eo quod laboraverint, in medium
partes conferunt, ut habeant alimenta communia. Habitant autem quam plurimum in urbibus et castellis: et
quasi ars sit sancta, non vita, quidquid vendiderint, majoris est pretii. Inter hos saepe sunt jurgia: quia suo
viventes cibo, non patiuntur se alicui esse subjectos. Revera solent certare jejuniis; et rem secreti, victoriae
faciunt. Apud hos affectata sunt omnia; laxae manicae, caligae follicantes, vestis crassior, crebra suspiria;
visitatio Virginum, detractio Clericorum: et si quando dies festus venerit, saturantur ad vomitum.
35. Coenobitae. His igitur quasi quibusdam pestibus exterminatis, veniamus ad eos qui plures sunt, et in
commune habitant, id est, quos vocari Coenobitas diximus. Prima apud eos confoederatio est, obedire
majoribus, et quidquid jusserint, facere. Divisi sunt per decurias atque centurias, ita ut novem hominibus
decimus praesit. Et rursus decem praepositos sub se centesimus habeat. Manent separati sejunctis cellulis.
Usque ad horam nonam, ut institutum est, nemo pergit ad alium, exceptis his Decanis, quos diximus, ut si
cogitationibus forte quis [0420] fluctuat, illius consoletur alloquiis. Post horam nonam in commune
concurritur, Psalmi resonant, Scripturae recitantur ex more. Et completis orationibus, cunctisque
residentibus, medius, quem Patrem vocant, incipit disputare. Quo loquente, tantum silentium fit, ut nemo
alium respicere, nemo audeat excreare. Dicentis laus in fletu est audientium. Tacite [Leg. Tacitae] volvuntur
per ora lacrymae, et ne in singultus quidem erumpit dolor. Cum vero de regno Christi, et de futura
beatitudine, et de gloria coeperit annuntiare ventura, videas cunctos moderato suspirio, et oculis ad coelum
levatis, intra se dicere: «Quis dabit mihi pennas sicut columbae, et volabo, et requiescam» (Ps. 54. 7) ?
Post haec concilium solvitur, et unaquaeque decuria cum suo parente pergit ad mensas, 120 quibus per
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singulas hebdomadas vicissim ministrant. Nullus in cibo strepitus est; nemo comedens loquitur. Vivitur pane,
legumini bus et oleribus, quae sale solo condiuntur. Vinum tantum senes accipiunt, quibus cum parvulis
saepe fit prandium, ut aliorum fessa sustentetur aetas, aliorum non frangatur incipiens. Dehinc consurgunt
pariter, et hymno dicto, ad praesepia redeunt: ibi usque ad vesperam cum suis unusquisque loquitur, et dicit:
Vidistis illum et illum? quanta in ipso sit gratia? quantum silentium? quam moderatus incessus? Si infirmum
viderint, consolantur: si in Dei amore ferventem, cohortantur ad studium. Et quia nocte extra orationes
publicas in suo cubili unusquisque vigilat, circumeunt cellulas singulorum; et aure apposita, quid faciant,
diligenter explorant. Quem tardiorem deprehenderint, non increpant: sed dissimulato quod norunt, eum
saepius visitant: et prius incipientes, provocant magis orare quam cogunt. Opus diei statum est: quod
Decano redditum, fertur ad Oeconomum, qui et ipse per singulos menses Patri omnium cum magno tremore
reddit rationem. A quo etiam cibi cum facti fuerint, praegustantur: et quia non licet dicere cuiquam: Tunicam
et sagum textaque juncis strata non habeo, ille ita universa moderatur, ut nemo quid postulet, nemo
dehabeat. Si quis vero coeperit aegrotare, transfertur ad exedram latiorem, et tanto senum ministerio
confovetur, ut nec delicias urbium, nec matris quaerat affectum. Dominicis diebus orationi tantum et
lectionibus vacant: quod quidem et omni tempore completis opusculis faciunt. Quotidie aliquid de Scripturis
discitur. Jejunium totius anni aequale est, excepta Quadragesima, in qua sola conceditur districtius vivere. A
Pentecoste coenae mutantur in prandia: quo et traditioni Ecclesiasticae satisfiat, [0421] et ventrem cibo non
onerent duplicato. Tales Philo Platonici sermonis imitator: tales Josephus, Graecus Livius, in secunda
Judaicae captivitatis historia Essenos refert.
Traduzione
Hier., de vir.ill., praef. (Migne)
[0601] 821 Hortaris [b [0602A] Ita Veronensis ms. omnium antiquiss. alibi me desideratur. Porro hunc
Dextrum, cui liber iste inscribitur, Praefectum Praetorio, laudat ipse Hieron. supra lib. II in Rufinum, deque eo
multa Gothofredus in cod. Theodosiani Prosopographia.]
me, Dexter, ut Tranquillum sequens,
ecclesiasticos Scriptores in ordinem digeram [0603A] et quod ille in enumerandis [a [0603D] Notatum est
doctis viris Graeca, touúû taú ejqnikaú suntavxantaû, eos proprie designare, qui de vocabulis unius alicujus
gentis scripserunt, nec bene respondere Latino textui, gentilium litterarum viris, puta grammaticos, rhetores,
poetas, quos Suetonius recensuit.] Gentilium litterarum Viris fecit Illustribus, ego [Al. id ego] in nostris
faciam, id est, ut a passione Christi usque ad decimum quartum Theodosii imperatoris annum, omnes qui de
Scripturis sanctis memoriae aliquid prodiderunt, tibi breviter exponam. Fecerunt quidem hoc idem apud
Graecos, [b [0603D] Smyrnaeus videlicet, quem et Josephus lib. contra Appionem vocat virum omnis
historiae diligentissimum indagatorem, et multi ex antiquis laudant. Ab Antigono scriptas Philosophorum
Vitas Athenaeus et Laertius testes sunt. Satyri meminit ipse Hieron. alibi II lib. in Jovinian.: Satyrus, qui
illustrium virorum scripsit Historiam. Denique Aristoxeni bivoi ajndrwðn a Plutarcho et Gellio celebrantur.]
Hermippus peripateticus, Antigonus Carystius, Satyrus doctus vir, et longe omnium doctissimus Aristoxenus
musicus. Apud Latinos autem [c [0603D] Priores sex Antiquitatum rerum humanarum putantur Varronis libri
innuit. Santrae meminit Donatus in Terentii Vita, aliique. Nepotem nostrum, scriptorem elegantiss. nemo non
novit. Denique Hyginum non eum putato, cujus veteris Mythologiae [0604D] liber circumfertur, sed
vetustiorem alium Augusti libertum, quem Gellius laudat lib. II, cap. 21. Paulo post Martian. provocas,
refragrantibus mss.] Varro, Santra, Nepos, Hyginus, et ad cujus nos exemplum provocas, Tranquillus. Sed
non mea est et illorum similis conditio: illi enim historias veteres annalesque replicantes, potuerunt quasi de
ingenti prato non parvam opusculi sui coronam texere. Ego quid aucturus, qui [0603B] nullum praevium
sequens, pessimum, ut dicitur, magistrum memetipsum habeo? Quamquam Eusebius Pamphili in decem
ecclesiasticae Historiae libris, maximo nobis adjumento fuerit, et singulorum, de quibus scripturi sumus,
volumina aetates auctorum suorum saepetestentur. Itaque Dominum Jesum Christum precor, ut quod Cicero
tuus, qui 823 in arce Romanae eloquentiae stetit, non est facere dedignatus in Bruto, Oratorum Latinae
linguae texens catalogum, id ego in ejus [d [0604D] In Ecclesiae illius scriptoribus. Codex ms. eminentissimi
card. Ottoboni legit hoc loco, in Ecclesiasticis scriptoribus; sed unus est sensus in utraque lectione.
MARTIAN.—In aliquot mss. Martianaeo, et Gravio testibus, melius habetur in Ecclesiasticis Scriptoribus.]
Ecclesiae Scriptoribus enumerandis, digne cohortatione tua impleam. Si qui autem de his qui usque hodie
scriptitant [Al. scripserunt], a me in hoc volumine praetermissi sunt, sibi magis quam mihi debebunt [Al.
debent] imputare. Neque enim celantes scripta sua, de his [e [0604D] Ita praeferunt satis recte mss. quibus
et impressi omnes libri et Graeca concinit interpretatio. Unus penes Fabricium Moseensis cod., qui longe
sunt.] quae [0603C] non legi, nosse potui, et quod aliis forsitan sit notum, mihi in hoc terrarum angulo
(Bethleemi) fuerit ignotum. Certe cum scriptis suis claruerint, non magnopere nostri silentii dispendia [Al.
dispendio] suspirabunt. [f [0604D] Discant ergo Celsus, etc, Perniciosissimi hostes Ecclesiae christianae
fuerunt isti tres saeculi sapientes et philosophi, quorum Celsum scriptis Origenes profligavit; Porphyrium
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Methodius; et Julianum Cyrillus Alexandrinus. MARTIAN.] Discant ergo Celsus, Porphyrius, Julianus, rabidi
adversus Christum canes, discant eorum sectatores (qui putant Ecclesiam nullos philosophos et eloquentes,
nullos habuisse doctores) quanti et quales viri eam fundaverint, exstruxerint [Al. struxerint], et adornaverint;
et desinant fidem nostram rusticae tantum simplicitatis arguere, suamque potius imperitiam agnoscant. [g
[0604D] Veronensis lib., Vale in Domino Jesu Christo. In [0605D] aliis haec salutatio praetermittitur, quae
nec habetur in Graeco.] Vale in Domino Jesu Christo.
Traduzione
Letture critiche - M. Simonetti, Girolamo
Dotato di buona sensibilità filologica e letteraria, affinata a Roma alla scuola di Donato, e perciò molto
attaccato alla tradizione delle lettere classiche, una volta convertitosi a più integrale impegno cristiano fino
ad abbracciare la vita monastica, Girolamo avvertì lacerante il dissidio tra le due esperien ze, culminato
nella celebre visione (sogno?) avuta nel deserto di Calcide, e solo gradualmente riuscì a farle convivere,
in equilibrio pur sempre precario, grazie alla dedizione sempre più totalizzante allo studio della Scrittura.
Parallelamente la sua costituzionale fragilità psichica da una parte indirizzava l'esigenza di una rigida
ascesi verso l'esperienza della vita solitaria, lontano dal contatto con gli uomini, che ombrosa sensibilità
ed esasperata coscienza della propria superiorità intellettuale gli resero sempre molto difficile; dall'altra
però lo sospingeva ad affermare questa superiorità proprio nel contatto con ambienti ristretti di uomini e
soprattutto donne di alta condizione, da lui conquistati agl'ideali della vita ascetica e/o monastica, tr a i
quali il suo desiderio di primeggiare trovava adeguata soddisfazione. La sua iniziazione alle lettere
cristiane fu nei nomi di Origene ed Eusebio, ma il suo primo frettoloso approccio con lo studio sistematico
della Scrittura dette come risultato, nei commentari a Paolo e all'Ecclesiaste, poco più che la parafrasi
delle corrispondenti pagine origeniane. Ma in breve egli trovò, in questo studio, un ubi consistam meno
servile e più consono alle sue doti più spiccate nella valorizzazione della dimensione f ilologica dell'esegesi
di Origene, filtrata anche attraverso l'esperienza di Eusebio: ne derivarono da una parte il progetto di
tradurre direttamente dall'ebraíco l'intero AT e dall'altra la messa a punto di un tipo di commentario
esegetico nuovo rispetto ai modelli sia alessandrino sia antiocheno.
Abbiamo già avuto modo di accennare al latino approssimativo che caratterizzava le antiche versioni della
Scrittura in uso nella chiesa del m secolo e al senso di fastidio che la
sua lettura provocava in ascoltatori e lettori di un certo livello. Girolamo fu incaricato da papa Damaso di
rivedere e migliorare la traduzione latina dei vangeli sulla base dell'originale greco; e proprio questa
revisione gli fece capire l'importanza di risalire al testo originale della Scrittura, che è dire per 1'AT al testo
ebraico. Girolamo in mille modi ha pubblicizzato, nelle lettere e altrove, la sua conoscenza dell'ebraico: gli
studiosi moderni non condividono questo entusiasmo e appaiono sempre più convinti che, per il lavoro di
traduzione, egli abbia integrato una soltanto modesta conoscenza dell'ebraico con il massiccio ricorso agli
Hexapla origeniani, che gli fornivano l'appoggio delle traduzioni di Aquila e Simmaco, molto più letterali di
quella dei LXX. Ma anche così ridimensionata, l'iniziativa si presentava eccezionale, soprattutto in un
mondo, come quello latino, poco sensibile alle esigenze della filologia: per quanto approssimativa e
imperfetta possa apparire allo studioso moderno, la sua traduzione va apprezzata soprattu tto proprio per
l'esigenza filologica che la ispirò, di aderire, cioè, direttamente al testo originale dell'AT, senza passare
attraverso il filtro, sempre in qualche modo deformante, della traduzione in greco. Per questo, dopo iniziali
resistenze, anche da parte di Agostino, la traduzione di Girolamo fu giustamente apprezzata e s'impose in
tutto l'Occidente, anche nell'uso liturgico (Vulgata).
Ancora questa sensibilità filologica, aperta anche all'apprezzamento storico del testo veterotestamentario
e invece del tutto sorda al richiamo del retroterra filosofico che aveva ispirato l'esegesi di Origene, maturò
in Girolamo la convinzione che, nell'interpretazione del testo scritturistico, i diritti dell'interpretazione
letterale dovessero essere rispettati più di quanto usualmente si avvertiva nelle pagine di Origene e
Didimo. D'altra parte, in quanto sensibile alle esigenze della vita spirituale, Girolamo non intendeva affatto
rinunciare, more Antiocheno, a questa componente tradizionale dell'esegesí cristiana d ell'AT: perciò i suoi
commentari della maturità, dedicati ai profeti prima minori e poi maggiori, presentano una ratio
interpretandi che contempera ambedue le esigenze. Ne è risultato un commentario che, sfruttando una
quantità di dati di disparata provenienza - tradizioni giudaiche per l'interpretazíone letterale, Origene
e Didimo per quella spirituale - sa armonizzarli in un complesso sufficientemente omogeneo,
abbastanza ben bilanciato, in sostanza originale.
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Lo studio della Scrittura rappresentò l'attività più sistematica e di maggior respiro di Girolamo nel
campo delle lettere, ma tutt'altro che l'unica: l'ideale di vita ascetica e monastica, da lui non solo
abbracciato ma ampiamente propagandato, gli impose anche svariati impegni di carattere letterari o,
sia per dirigere, confortare, correggere quanti a lui si rivolgevano per la guida spirituale, sia per
controbattere gli attacchi che da più parti, anche dall'interno della chiesa, prendevano di mira questo
ideale; si aggiunga che Girolamo, pur se sprovvisto di apprezzabili capacità speculative, vuoi per la
spinta incoercibile a trovarsi sempre sotto le luci della ribalta delle lettere vuoi anche perché
sollecitato da altri in forza della fama letteraria da lui rapidatnente conseguita, non poté e non voll e
sottrarsi al dibattito d'argomento dottrinale, allora vivo in merito ai più svariati argomenti, dagli
strascichi della controversia ariana alle prime battute di quella pelagiana; più in generale, il carattere
difficile e ombroso, rendendogli arduo un equilibrato rapporto con quanti entravano in contatto con lui,
facilmente lo invitava alle querelles più varie, nelle quali le sue doti di polemista acuto e irruento
venivano esaltate in sommo grado.
Più onerosa e dolorosa fu la sua partecipazione alla contro versia origeniana, che dicemmo innescata
a fine secolo da Epifanio, perché l'opportunità di liberarsi da un'eredità sentita ormai troppo
ingombrante e vincolante gl'impose il voltafaccia da sostenitore e ammiratore ad avversario e
denigratore dell'alessandrino, col corollario dell'astiosa polemica con l'origeniano Rufino, suo vecchio
amico: l'eccessiva sgradevole irruenza con cui, in questo complesso e non edificante affare, Girolamo
si difese e soprattutto attaccò evidenzia le difficoltà in cui egli ebbe a dibattersi e che lo costrinsero
ad alzare il tono della voce per sopperire alla carenza di argomenti validi. Per altro, lo strumento più
adatto che Girolamo ebbe a disposizione per sviluppare questa multiforme attività fu la lettera: il suo
epistolario è il più vario e il più bello che ci abbia lasciato l'antichità cristiana, dove si passa dallo
sfogo personale al breve trattato di argomento esegetico o ascetico, dalla consolatio all'encomio,
dall'attacco polemico all'esaltazione dei propri ideali. È qui c he c'è tutto Girolamo, l'esegeta raffinato
l'asceta intransigente il polemista irruento, sempre e comunque teso ad attirare su di sé l'attenzione
della gente di cultura e lettere, in uno spessore di scrittura colorita e brillante che anima parecchie
delle pagine più suggestive che ci abbia dato la letteratura cristiana antica.
Gl'interessi storici di Girolamo, di cui è documento anche la traduzione, con integrazioni, del
Chronicon eusebiano, hanno dato l'esito culturalmente più significativo nel De viris il lustribus. Di per
sé la serie di brevi biografie dedicate a presentare i letterati cristiani da san Pietro fino allo stesso
Girolamo non brilla di eccessiva acribia filologica e ampiezza documentaria, largamente dipendente,
qual è, dal solito Eusebio. Ma è il significato dell'opera che è importante: nel prologo, pur
confessando i limiti d'informazione del suo libro, Girolamo lo inserisce consapevolmente nella
tradizione biografica greca e latina, di cui ricorda vari nomi importanti, oltre quello di Svetonio , da cui
è dedotto il titolo stesso dell'opera. I limiti che Girolamo riconosce a questo suo scritto sono reali:
rispetto alle ampie biografie del De poetis svetoniano, quelle del nostro autore sono poca cosa, e la
sua informazione resta molto al di sotto anche di quella di Eusebio. Ciò nonostante l'opera è
significativa nella storia del rapporto sempre tanto dialettico tra cultura cristiana e cultura pagana: con
essa infatti Girolamo da una parte esprime orgogliosamente la consapevolezza che anche nel camp o
delle lettere ormai i cristiani si sono portati al livello dei pagani e ad essi li contrappone; dall'altra inserisce
scientemente la sua opera nel solco della tradizione letteraria pagana, significando così continuità e
insieme originalità del nuovo rispetto all'antico.
M. Simonetti, Letteratura cristiana antica, 2, Casale M., PM, 1996, pp. 42-46.
Letture critiche. M. von Albrecht, Tecnica letteraria, lingua e stile.
Tecnica letteraria.
Gerolamo è un brillante epistolografo, un narratore avvincente - si pensi alla biografia di Malco, con la storia
della prigionia del monaco presso i beduini - ed un polemista implacabile.
Signoreggia però anche la forma dialogica ambiziosa, come mostra la sua migliore opera polemica,
l'Adversus Pelagianos. Nella vita di Malco è caratteristica ad esempio la tecnica a cornice multi pla, che
conferisce al tutto un colorito tra il fiabesco ed il leggendario. La narrazione in prima persona ricorda
l'Odissea e l'Asino d'oro. La tematica della castità e la vicenda avventurosa mostrano contatti col romanzo
antico.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Un elemento romano, l'interesse biografico, viene sviluppato da Gerolamo nel senso del tipico e del
simbolico. La vita di Antonio di Atanasio, latinizzata da un amico del nostro autore, Eva grio d'Antiochia,
resta per Gerolamo la Magna Charta della vita religiosa. Su questa base egli apporta un contributo
essenziale allo sviluppo dell'agiografia di ambizioni letterarie in lingua latina. Le sue leggende di Paolo di
Tebe, Malco e Ilarione approfondiscono spunti letterari di fiabe, novelle, aretalogie di taumaturghi pagani come la vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato`; un fenomeno parallelo è la vita di Martino di Sulpicio
Severo. Gerolamo unisce la stilizzazione tra l'erudito e l'attraente di avvenimenti storici o quasi storici alla
rappresentazione propagandistica di una forma di vita. Il necrologio di Paola (epist. 108) unisce la tradizione
romana della laudatio funebris a quella degl'itinerari. A quell'epoca era già apparsa la Peregrinatio Aetheriae
o Egeriae.
Lingua e stile.
L'ambizione di Lattanzio di essere il «Cicerone cristiano» è stata pienamente realizzata da Gerolamo.
Occasionalmente, è vero, egli usa un infinito per esprimere intenzione o una parola tar dolatina come
confortare, ma in genere scrive un latino puro e limpido. Dotato com'è di coscienza linguistica, critica come
barbarismo perfino l'impiego di comparare in luogo di emere (c. Ruf. 3, 6). Accanto a Plauto e Cicerone, è
Gerolamo la nostra fonte piú importante per i termini d'ingiuria latini.
Come Cicerone, egli impiega registri diversi nella lingua latina. Si può distinguere tra uno stile emotivoretorico riconducibile al genus grande ed una forma volta all'informazione concreta. Gerolamo rispetta la
sancta simplicitas nella vita, ma non la verbosa rusticitas nella scrittura. Il suo stile, che ricerca sí la
semplicità, ma è tutt'altro che primitivo, possiede un calore personale che è difficile descrivere.
Gerolamo sarebbe potuto divenire un grande satirico. La santità apparente è da lui messa alla berlina coi
diminutivi: «quasi religiosulus et sanctulus» (c. Ruf. 3, 7); l'incompetenza viene messa a nudo con un'antitesi
demolitrice: «tantam habes Graeci Latinique sermonis scientiam, ut et Graeci te Latinum et Latini te
Graecum putent» (`conosci tanto bene il latino ed il greco che i Greci ti credono latino e i Latini greco': c. Ruf.
3, 6). Si veda come presenta la sua critica al clero (epist. 22, 20): dapprima esclamazioni indignate: «pudet
dicere, pro nefas! » Segue una secca constatazione: « triste, sed verum est ». Poi interrogazioni introdotte
anaforicamente da unde: «unde in ecclesias agapetarum pestis introiit? Unde sine nuptiis aliud nomen
uxorum? Immo unde novum concubinarum genus ? Plus inferam: unde meretrices univirae ? » (`da dove è
penetrata nella chiesa la peste delle 'amate'? da dove un nuovo nome delle mogli senza matrimonio? anzi,
da dove questo nuovo genere di concubine? Dirò di piú: da dove queste prostitute di un solo uomo?'). Gli
ultimi due anelli della serie sono ciascuno separati efficacemente da ciò che precede. Col progressivo
decrescere della lunghezza delle frasi le espressioni designanti le donne si fanno sempre piú forti
(agapetarum, uxorum, concubinarum, meretrices). Il paradosso piú pungente (meretrices univirae) è
collocato in fondo, a mo' di botta finale. Piú innocente è l'umorismo quando Paola, la cui figlia si è fatta
monaca, riceve le congratulazioni di Gerolamo come «suocera di Dio» (epist. 22, 20).
Caratteristica della sua tecnica antitetica volta ad illuminare i problemi, che a volte ricorda Paolo e
Tertulliano, è ad esempio la chiusa del prologo al commento a Giona: «illi [scil. Iudaei] habent libros, nos
librorum dominum, illi tenent prophetas, nos intellegentiam prophetarum; illos occidit littera, nos vivificat
spiritus [2 Cor. 3, 6], apud illos Barabbas latro dimittitur, nobis Christus Dei filius solvitur» (`essi possiedono i
libri, noi il signore dei libri; essi hanno i profeti, noi la comprensione dei profeti; essi sono fatti morire dalla
lettera, noi siamo fatti vivere dallo spirito; presso di loro viene scarcerato il ladrone Barabba, da noi è liberato
Cristo, il figlio di Dio'). O, nella presa di distanza da Origene: «laudavi interpretem, non dogmatisten,
ingenium, non fidem, philosophum, non apostolum» (`ho lodato l'interprete, non il dogmatico, l'ingegno non
l'attendibilità, il filosofo non l'apostolo': epist. 84, 2, 2).
Il ritmo prosastico è a mezza strada fra il quantitativo e l'accentuativo". In passi che attirano l'attenzione
Gerolamo è attento a che le clausole siano corrette anche in senso classico, come al la fine della vita di
Malco (10): «pudicitiam non esse captivam» (cretico e trocheo) «hominem Christo deditum posse mori, non
posse superari» (peone primo e trocheo).
M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, 3, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1668-1670.
Bibliografia
Bettini, 3, 810-818; Conte
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o.o.
ed. D. Vallarsi, Verona-Venezia 1766-722 ora in PL 22-30
PL Migne, voll. 22-30?
vol. 22
Epistolae S Hieronymi in quatuor classes divisae secundum ordinem temporum.
Quinta classis complectens sex epistolas, tres tempore, tres auctore spurias.
vol. 23
Vitae S. Pauli, S. Hilarionis et Malchi, monachorum.
Regulae S. Pachomii translatio Latina.
SS. Pachomii et Theodori epistolae et verba mystica.
Interpretatio libri Didymi de Spiritu sancto.
Dialogus contra Luciferianos.
Liber de perpetua Virginitate B. Mariae.
Libri duo adversus Jovinianum.
Liber contra Vigilantium.
Liber contra Joannem Hierosolymitanum.
Apologia adversus libros Rufini.
Dialogus adversus Pelagianos.
Theodori Mopsuesteni fragmenta.
Liber de Viris illustribus.
De Vitis apostolorum.
Epistola ad Desiderium.
Liber de Nominibus Hebraicis.
Liber Hebraicarum Quaestionum in Genesim.
Commentarius in Ecclesiasten.
Interpretatio Homiliarum duarum Origenis in Canticum.
Graeca fragmenta libri Nominum Hebraicorum.
Liber Nominum Graecorum ex Actis.
De Benedictionibus Jacob patriarchae.
De decem Tentationibus populi Israel in deserto.
Commentarius in Canticum Deborae.
Quaestiones Hebraicae in libros Regum et Paralipomenon.
Expositio interlinearis in librum Job.
Commentarii in S. Hieronymi libros, auctore Martinaeo.
Liber de Nominibus Hebraicis.
Liber de Situ et Nominibus locorum Hebraicorum, cum Graeco Eusebii textu.
Liber Quaestionum Hebraicarum in Genesim.
Commentarius in Ecclesiasten.
Homiliae duae Origenis in Canticum Canticorum, Latine abs Hieronymo redditae
vol. 24
Commentariorum in Isaiam libri octo et decem.
Commentariorum in Jeremiam libri sex.
Translatio homiliarum novem origenis in visiones Isaiae.
Abbreviatio in Isaiam.
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213
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214
vol. 25
Commentaria in Ezechielem.
Commentaria in Danielem.
Translatio Homiliarum Origenis in Jeremiam et Ezechielem.
In Lamentationes Jeremiae tractatus.
Commentaria in Osee.
Commentaria in Joelem.
Commentaria in Amos.
Commentaria in Abdiam.
Commentaria in Jonam.
Commentaria in Michaeam.
Commentaria in Naum.
Commentaria in Abacuc.
Commentaria in Sophoniam.
Commentaria in Aggaeum.
Commentaria in Zachariam.
Commentaria in Malachiam.
In Osee commentariorum libri tres.
In Joelem liber unus.
In Amos libri tres.
In Abdiam liber unus.
In Jonam liber unus.
In Michaeam libri duo.
In Naum liber unus.
In Abacuc libri duo.
In Sophoniam liber unus.
In Aggaeum liber unus.
In Zachariam libri tres.
In Malachiam liber unus
vol. 26
Commentaria in Evangelium S. Matthaei.
Translatio Homiliarum Origenis in Evangelium Lucae.
Commentaria in Epistolam ad Galatas.
Commentaria in Epistolam ad Ephesios.
Commentaria in Epistolam ad Titum.
Commentaria in Epistolam ad Philemonem.
Commentaria in librum Job.
Breviarium in Psalmos.
vol. 27
Interpretatio Chronicae Eusebii Pamphili, auctore Hieronymo, cum praecedente ejusdem
Hieronymi praefatione.Col.
S. Hieronymi Chronicon.
Prosperi Aquitanici Chronicon.
voll. 28-29
Antico e Nuovo Testamento
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215
vol. 30
(Supposititia)
Epistolae.
De formis Hebraicarum litterarum.
Homilia ad monachos.
Regula monachorum.
Regula monacharum.
Canones poenitentiales.
Martyrologium.
Liber Comitis.
Commentarii in Evangelia necnon et in Epistolas B. Pauli..
Epistulae
ed. J. Hilberg, 3 voll. CSEL
Epistulae – ed. I. Hilberg 1910/1918; editio altera supplementis aucta 1996: Epp. 1-70, CSEL Vol.
54; epp. 71-120 Vol. 55; epp. 121-154 Vol. 56/1; Indices comp. M. Kamptner 1996, Vol. 56/2
In Hieremiam prophetam – ed. S. Reiter 1913, CSEL Vol. 59
ed. J. Labourt, 8 voll., Paris 1949-63.
Correspondance. ed. J. Labourt.
T. II : Lettres XXIII-LII. 1951.
T. VIII : Lettres CXXXI-CLIV. 1963.
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Select Letters, Tr. F. A. Wright, London - Cambridge Mass. 1933/6th
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Contra Iohannem (SL 79A). Altercatio Luciferiani et Orthodoxi (SL 79B). ,PB,07/2001,Instrumenta
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Canellis (ed.),Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. ,HB,12/2000,Turnhout, Corpus Christianorum
79B
Canellis (ed.),Altercatio Luciferiani et Orthodoxi. ,PB,12/2000,Turnhout, Corpus Christianorum
79B
Feiertag (ed.),Contra Iohannem. ,HB,06/1999,Turnhout, Corpus Christianorum 79A
Feiertag (ed.),Contra Iohannem. ,PB,06/1999,Turnhout, Corpus Christianorum 79A
Thesaurus Sancti Hieronymi.,HB,01/1990,Thesauri - Series A: Formae
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216
Moreschini (ed.),Dialogus adversus Pelagianos ,HB,01/1990,Turnhout, Corpus Christianorum 80
Moreschini (ed.),Dialogus adversus Pelagianos. ,PB,01/1990,Turnhout, Corpus Christianorum 80
Contra Rufinum (CCSL 79). ,PB,01/1986,Instrumenta Lexicologica Latina - Series B: Lemmata 2
Lardet (ed.),Contra Rufinum. ,HB,01/1982,Turnhout, Corpus Christianorum 79
Contra Rufinum (CCSL 79). ,PB,01/1982,Instrumenta Lexicologica Latina - Series A: Formae 2
Adriaen (ed.),Commentarii in prophetas minores. ,HB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 76
Hurst (ed.),Commentariorum in Matheum libri IV. ,HB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 77
Hurst (ed.),Commentariorum in Matheum libri IV. ,PB,01/1969,Turnhout, Corpus Christianorum 77
Glorie (ed.),Commentariorum in Hiezechielem libri XIV.
,HB,01/1964,Turnhout, Corpus
Christianorum 75
Glorie (ed.),Commentariorum in Danielem libri III . ,HB,01/1964,Turnhout, Corpus Christianorum
75A
Adriaen (ed.),Commentarii in prophetas minores. ,HB,01/1964,Turnhout, Corpus Christianorum
76A
Adriaen (ed.),Commentariorum in Esaiam libri I-XI. ,HB,01/1963,Turnhout, Corpus Christianorum
73
Reiter (ed.),In Hieremiam libri VI. ,HB,01/1960,Turnhout, Corpus Christianorum 74
de Lagarde (ed.),Hebraicae quaestiones in libro Geneseos. Liber interpretationis hebraicorum
nominum. Commentarioli in psalmos. Commentarius in Ecclesiasten. ,HB,01/1959 Turnhout,
Corpus Christianorum 72
Adriaen (ed.),Commentariorum in Esaiam libri XII-XVIII. In Esaiam parvula adbreviatio. ,HB
01/1959,,Turnhout, Corpus Christianorum 73A
Morin (ed.),Tractatus sive homiliae in psalmos. In Marci evangelium. Alia varia argumenta.
,HB,01/1958,Turnhout, Corpus Christianorum 78
Controllo lista precedente con seguente:
Commentaire sur saint Matthieu, I, Livres I-II
Texte latin Introduction, traduction et notes par Émile Bonnard,
Le texte latin est repris de l'édition du Corpus Christianorum, établie par D. Hurst et M. Adriaen.
1977, SCh 242
Commentaire sur saint Matthieu, II, Livres III-IV
Texte latin, traduction, notes et index par Émile Bonnard,
Index scripturaire, des noms de personnes et analytique
Le texte latin est repris de l'édition du Corpus Christianorum, établie par D. Hurst et M. Adriaen.
1979, SCH 259
Apologie contre Rufin
Introduction, texte critique, traduction et index par Pierre Lardet, 1983, SCh 303.
Commentaire sur Jonas
Introduction, texte critique, traduction et commentaire par Yves-Marie Duval, 1985, SCh 323.
Débat entre un Luciférien et un Orthodoxe (Altercatio luciferiani et orthodoxi).
Introduction, texte critique, traduction, notes et index par Aline Canellis, 2003, SCh 473.
Commento al Vangelo di Matteo, tr. S. Aliquò, Roma, Città Nuova,1969.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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Gli uomini illustri, tr. A. Ceresa-Guastaldo, Firenze, Nardini, 1988.
Strumenti
Index inpp., Hieronymi epistulas Curavit Johannes Schwind, Hildesheim 1994.
Studi
B. Altaner, Patrologia, tr.it. Torino 1968.
H. von Campenhausen, I padri della Chiesa latina, tr. it., Firenze 1969.
S. Pricoco, Storia letteraria e storia ecclesiastica dal de viris illustribus di Girolamo a Gennadio,
Catania 1979.
S.Pricoco, voce Girolamo in Dizionario degli scrittori greci e latini, Milano 1987, II, pp. 1049-60.
AA.VV., La traduzione dei testi religiosi, a cura di C. Moreschini, G. Menestrina, Brescia,
Morcelliana, 1995.
ICCU per Autore Hieronymus <santo>
Commentarii in Ezechielem / Hieronymus, Turnhout: Brepols, 2003
Note Generali: Corpus Christianorum; 75
Debat entre un Luciferien et un orthodoxe / Jerome; introduction, texte critique, traduction, notes et index par
Aline Canellis, Paris: Les editions du Cerf, 2003, Sources chretiennes; 473
Note Generali: Trad. francese a fronte
Titolo uniforme: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi.
Epistulae Indices / Hieronymus, Turnhout: Brepols, 2003
8: Commentarii in Epistulas Pauli apostoli ad Titum et ad Philemonem / cura et studio Federica Bucchi,
Turnhout: Brepols, 2003, Corpus Christianorum. Series Latina; 77C
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
72: Opere / S. Girolamo. Sermoni, lettere / Leone Magno, Bergamo: Esedra, [2000?]
Fa parte di: Tesori miniati
Autore: Centre Traditio litterarum Occidentalium
S. Hieronymus presbyter: Commentarii in epistulas Pauli Apostoli, Ad Titum et ad Philemonem / curante
CTLO, Centre Traditio litterarum Occidentalium, Turnhout: Brepols, 2003
Descrizione fisica: VI, 39 p.; 25 cm + 3 microfiches, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina.
Ser. A, Formae; 149
Note Generali: Spoglio lessicale
Commentarius in Ionam Prophetam / Hieronymus; ubersetzt und eingeleitet von Siegfried Risse, Turnhout:
Brepols, 2003, Fontes christiani; 60
Chronique: continuation de la Chronique d'Eusebe annees 326-378 / Saint Jerome; texte latin de l'edition de
R. Helm, traduction francaise inedite, notes et commentaires par Benoit Jeanjean et Bertrand Lancon. Suivie
de quatre etudes sur les Chroniques et chronographies dans l'Antiquite tardive (4.-6. siecles): actes de la
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
218
table ronde du GESTIAT, Brest, 22 et 23 mars 2002, Rennes: Presses universitaires de Rennes, dep.leg.
2004, Histoire
Autore: Eusebius: Caesariensis
The onomasticon / by Eusebius of Caesarea; translated by G. S. P. Freeman-Grenville; indexed by Rupert L.
Chapman 3.; edited and introduced by Joan E. Taylor, Jerusalem: Carta, 2003
Note Generali: Prima del tit.: Palestine in the fourth century A. D
With Jerome's Latin translation and expansion in parallel from the edition of E. Klostermann
Autore: Augustinus, Aurelius <santo>
Epistulae mutuae / Augustinus-Hieronymus; ubersetzt und eingeleitet von Alfons Furst, Turnhout: Brepols,
2002
Note Generali: Testo originale a fronte
Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
S. Hieronymus presbyter: Contra Iohannem, Altercatio luciferiani et orthodoxi / curante CETEDOC,
Universitas catholica Lovaniensis Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 2001, Corpus Christianorum. Instrumenta
lexicologicaLatina. Ser. A, Formae; 114
Note Generali: Spoglio lessicale
Soggetti: Girolamo <santo> - Contra Iohannem Hierosolymitanum - Spogli lessicali
Girolamo <santo> - Altercatio Luciferiani et orthodoxi - Spogli lessicali
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Autore: Origenes
The commentaries of Origen and Jerome on St. Paul's Epistle to the Ephesians / Ronald E. Heine, Oxford:
Oxford university press, 2002., Oxford early Christian studies
4.: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi / edidit A. Canellis, Turnhout: Brepols, 2000, Corpus Christianorum.
Series Latina
Titolo uniforme: Altercatio Luciferiani et Orthodoxi.
Fa parte di: 3: Opera polemica.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2000, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Gli uomini illustri / Girolamo; introduzione, traduzione e note di Enrico Camisani, Roma: Citta nuova, [2000],
Minima di Citta nuova
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
2: Contra Iohannem / Hieronymus]; edidit J.-L. Feiertag, Turnhout: Brepols, 1999, Corpus Christianorum.
Series Latina
Titolo uniforme: Contra Iohannem Hierosolymitanum.
Fa parte di: 3: Opera polemica.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
On illustrious men / saint Jerome; translated by Thomas P. Halton, Washington: The Catholic University of
America Press, c1999, The Fathers of the Church
Epistula di misser Sanctu Iheronimu ad Eustochiu / a cura di Filippo Salmeri, Palermo: Centro di studi
filologici e linguistici siciliani, 1999, Collezione di testi siciliani dei secoli 14. e15
Livres 12.-15. / texte etabli par R. Gryson et C. Gabriel avec la collaboration de H. Bourgois et V. Leclercq,
Freiburg: Herder, 1998, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 35
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
219
Livres 16.-18. / texte etabli par R. Gryson et C. Gabriel; avec la collaboration de H. Bourgois et H. Stanjek,
Freiburg: Herder, 1999, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 36
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie
1: Uomini illustri; Vita di S. Paolo eremita; Contro Elvidio; Lettere e omilie / san Girolamo, Torino: Unione
tipografico-editrice torinese, [1999], Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
Fa parte di: Opere scelte / di san Girolamo; a cura di Enrico Camisani
Lettere / san Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, [Milano]:
Fabbri, stampa 1998, I classici dello spirito
4: Lettere 117.-157., Indici dei quattro volumi / san Girolamo
Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997]
Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
3: Lettere 80.-116. / san Girolamo
Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997]
Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
2: Lettere 53.-79. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1997]
Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
3: Lettere 80.-116. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1997]
Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
2: Lettere 53.-79. / san Girolamo
Edizione: Nuova ed. riv. e ampliata, Roma: Citta nuova, [1997]
Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
A translation of Jeromes Chronicon with historical commentary / [a cura di] Malcolm Drew Donalson,
Lewiston, New York [etc.]
Note Generali: Seguono appendici.
1: Lettere 1.-52. / san Girolamo
Edizione: [Nuova ed.], Roma: Citta nuova, [1996]
Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Livres 8.-11. / texte etabli par R. Gryson et V. Somers; avec la collaboration de H. Bourgois et C. Gabriel,
Freiburg: Herder, 1996, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 30
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie
1: Lettere 1.-52. / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
Edizione: Nuova ed. riveduta e ampliata, Roma: Citta Nuova, [1996]
Fa parte di: Le lettere / San Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola
Vite degli eremiti Paolo, Ilarione e Malco / Girolamo; introduzione, traduzione e note a cura di Bazyli
Degorski, Roma: Citta nuova, c1996, stampa 1995, Collana di testi patristici
Note Generali: Contiene, in trad. italiana: Vita sancti Pauli primi eremitae, Vita divi Hilarii, Vita Malchi.
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La perenne verginita di Maria: (contro Elvidio) / Girolamo; introduzione traduzione e note a cura di Maria
Ignazia Danieli
Edizione: 2. ed, Roma: Citta Nuova, 1996, Collana di testi patristici
1: Epistulae 1.-70. / edidit Isidorus Hilberg
Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften,
1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae.
2: Epistulae 71.-120. / edidit Isidorus Hilberg
Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften,
1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae.
3: Epistulae 121.-154. / edidit Isidorus Hilberg
Edizione: Editio altera supplementis aucta, Vindobonae: Osterreichischen Akademie der Wissenschaften,
1996, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
Fa parte di: 1: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae.
Saint Jerome's Hebrew questions on Genesis / translated with introduction and commentary by C. T. R.
Hayward, Oxford: Clarendon press, 1995, Oxford early Christian studies
Titolo uniforme: Liber quaestionum hebraicarum in Genesim
Autore: Schwind, Johannes
Index in S. Hieronymi epistulas / curavit Johannes Schwind, Hildesheim \etc.!: Olms-Weidmann, 1994,
Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie ;140
Livres 5.-7. / texte etabli par R. Gryson et J. Coulie; avec la collaboration de E. Crousse et V. Somers,
Freiburg: Herder, 1994, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 27
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie
4: Vita di Martino / [Sulpicio Severo] . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / [San Girolamo]; introduzione di
Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A. A. R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di
Luca Canali e Claudio Moreschini, [Milano]: Fondazione Lorenzo Valla: A. Mondadori, 1993, Scrittori greci e
latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Vite dei santi / a cura di Christine Mohrmann
Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson et P.A. Deproos avec la collaboration de J. Coulie et E. Crousse,
Freiburg: Herder, 1993, Vetus latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson
Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson et P.-A. Deproost avec la collaboration de J. Coulie et E. Crousse,
Freiburg: Herder, 1993, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 23
Fa parte di: Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie
Commentaires de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson, Freiburg: Herder, 1993Titolo uniforme: Commentarii in Isaiam.
Comprende: Livres 8.-11. / texte etabli par R. Gryson etV. Somers; avec la collaboration de H.Bourgois et C.
Gabriel
Livres 12.-15. / texte etabli par R. Grysonet C. Gabriel avec la collaboration de H.Bourgois et V. Leclercq
Livres 16.-18. / texte etabli par R. Grysonet C. Gabriel; avec la collaboration de H.Bourgois et H. Stanjek
Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson etP.A. Deproos avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse
Livres 1.-4. / texte etabli par R. Gryson etP.-A. Deproost avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse
Livres 5.-7. / texte etabli par R. Gryson etJ. Coulie; avec la collaboration de E.Crousse et V. Somers
Commento al libro di Giona / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di Nicoletta Pavia, Roma:
Citta nuova, \1992!, Collana di testi patristici; 96
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Autore: Origenes
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74 omelie sul libro dei Salmi / Origene; [traduzione e adattamento di] Gerolamo; introduzione, traduzione e
note di Giovanni Coppa, Milano: Edizioni Paoline, [1993], Letture cristiane del primo millennio
Commentaire de Jerome sur le prophete Isaie / introduction par Roger Gryson, Freiburg: Herder, 1993Titolo uniforme: Commentarii in Isaiam.
Comprende: Livres 12.-15. / texte etabli par R. Gryson etC. Gabriel; avec la collaboration de H.Bourgeois et
V. Leclerq
[1]: Livres 1-4 / texte etabli par R. Grysonet P.A. Deproost avec la collaboration de J.Coulie et E. Crousse
Commento al libro di Giona / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di Nicoletta Pavia, Roma:
Citta Nuova editrice, 1992, Collana di testi patristici
Thesaurus sancti Hieronymi: enumeratio formarum, index formarum a tergo ordinatarum, index formarum
graecarum / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis .., Turnhout: Brepols, 1990
Descrizione fisica: LII, 708 p.; 33 cm + 1 v. di microfiches in custodia, Corpus christianorum. Thesaurus
patrumlatinorum. Series A. Formae
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Omelie sui Vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione introduzione e note di Silvano Cola,
Roma: Citta nuova, [1990], Collana di testi patristici
2: Dialogus adversus Pelagianos / cura et studio C. Moreschini, Turnholti: Typographi Brepols editores
pontificii, 1990, Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 3: Opera polemica.
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Omelie sui vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione in troduzione e note a cura di
Silvano Cola, Roma: Citta Nuova editrice, 1990, Collana di testi patristici
Omelie sui vangeli e su varie ricorrenze liturgiche / Girolamo; traduzione, introduzione e note a cura di
Silvano Cola, Roma: Citta Nuova editrice, 1990, Collana di testi patristici
Lettere / San Gerolamo; Introduzione e note di Claudio Moreschini traduzione di Roberto Palla, Milano:
Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L
Testo latino a fronte
Lettere / [Di] San Gerolamo; Introduzione e note di Claudio Moreschini traduzione di Roberto Palla testo
latino a fronte, Milano: Rizzoli, 1989, Biblioteca universale Rizzoli
Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschi; traduzione di Roberta Palla, Milano:
Biblioteca Universale Rizzoli, 1989, I libri di Millelibri
Note Generali: Testo latino a fronte
Lettere / san Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, Milano:
Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
La perenne verginita di Maria: (Contro Elvidio) / Girolamo; introduzione, traduzione e note a cura di Maria
Ignazia Danieli, Roma: Citta nuova, [1988], Collana di testi patristici
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Gli uomini illustri de viris illustribus / Gerolamo; a cura di Aldo Ceresa-Gastaldo, Firenze: Nardini editore,
1988, Biblioteca patristica
Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata
Edizione: 2. ed, Milano: Adelphi, 1988, Piccola biblioteca Adelphi
Lettere / San Gerolamo; introduzione e note di Claudio Moreschini; traduzione di Roberto Palla, Milano:
Biblioteca universale Rizzoli, 1989, BUR. L
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Note Generali: Testo latino a fronte
Gli uomini illustri / Gerolamo; a cura di Aldo Ceresa-Gastaldo, Firenze: Nardini-Centro internazionale del
libro, [1988], Biblioteca patristica
Marc commente par Jerome et Jean Chrysostome / homelies traduites par Marie-Helene Stebe et MarieOdile Goudet; introduction par Claude Coulot; indications doctrinales par A.-G. Hamman, Paris: Desclee de
Brouwer, \1986!, Les Peres dans la foi
Autore: Jay, Pierre
L' exegese de saint Jerome: d'apres son Commentaire sur Isaie / Pierre Jay, Paris: Etudes augustiniennes,
1985
Commentaire sur Jonas / Jerome; introduction, texte critique, traduction et commentaire par Yves-Marie
Duval, Paris: Les editions du Cerf, 1985, Sources chretiennes; 323
Edizione critica della Vita sancti Pauli primi eremitae di Girolamo / [a cura di] Remigiusz Degorski, Roma: [s.
n.], 1987 (Roma: Typis Pontificiae universitatis Gregorianae)
Note Generali: Estr. dalla tesi di dottorato
In testa al front.: Pontificia universitas Lateranensis, Institutum patristicum Augustinianum.
Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
Sanctus Hieronymus: Contra Rufinum / digesserunt Eddy Gouder et Paul Tombeur; CETEDOC, Universitas
catholica Lovaniensis, Lovanii Novi, Turnhout: Brepols, 1986, Corpus christianorum. Instrumenta
lexicologicalatina. Ser. B, Lemmata
Note Generali: Spoglio lessicale.
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1: Contra Rufinum / edidit P.Lardet, Turnholti: Brepols, 1982, Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 3: Opera polemica.
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Verginita e matrimonio nell'epistolario / Girolamo; introduzione, traduzione e note di Silvano Cola, Padova:
Messaggero, [1982], Classici dello spirito
Classici dello spirito. Patristica
Autore: Sulpicius Severus
4: Vita di Martino / \di Sulplicio Severo! . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / \di Girolamo!; introduzione di
Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A. A. R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di
Luca Canali e Claudio Moreschini, \Milano!: Fondazione Lorenzo Valla: A. Mondadori, 1983, Scrittori greci e
latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte
Fa parte di: Vite dei santi
Autore: Universite catholique <Louvain-la-Neuve>: Centre de traitement electronique des documents
Sanctus Hieronymus: Contra Rufinum / curante CETEDOC, Universitas catholica Lovaniensis, Lovanii Novi,
Turnhout: Brepols, 1982
Descrizione fisica: 48 p.; 25 cm + 4 microfiches, Corpus Christianorum. Instrumenta lexicologicaLatina. Ser.
A, Formae; 2
Note Generali: Spoglio lessicale
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Apologie contre Rufin / Saint Jerome; introduction, texte critique, traduction et index par Pierre Lardet, Paris:
Les editions du cerf, 1983, Sources chretiennes; 303
Note Generali: Testo orig. a fronte
Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright, London: Heinemann; Cambridge,
Mass.: Harvard University press, 1980, The Loeb classical library
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Liber de optimo genere interpretandi: (Epistula 57) / Hieronymus; ein Kommentar von G. J. M. Bartelink,
Lugduni Batavorum: Brill, 1980, Mnemosyne. Supplementum
Note Generali: Testo latino.
Epistula di sanctu Iheronimu ad Eustochiu / edizione critica a cura di Filippo Salmeri, Catania: CUECM, 1980
Fa parte di: Quaderni di filologia medievale / Istituto universitario di Magistero, Catania
Epistula di sanctu Iheronimu ad Eustochiu / edizione critica a cura di Filippo Salmeri, Catania: Cuecm, 1980,
Quaderni di filologia medievale
L' anima dell'uomo: trattati sull'anima dal 5. al 9. secolo / Pseudo Girolamo ... [et al.]; introduzione,
traduzione e note di Ilario Tolomio, Milano: Rusconi, 1979, I classici del pensiero. Sez. 2, Medioevo
eRinascimento
L' anima dell'uomo: trattati sull'anima dal 5. al 9. secolo / [dello] Pseudo Girolamo ... [et al.]; introduzione,
traduzione e note di Ilario Tolomio, Milano: Rusconi, 1979, stampa 1978, I classici del pensiero. Sez. 2,
Medioevo eRinascimento
Vite di Paolo, Ilarione e Malco / [Di] san Girolamo; A cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975, Piccola
biblioteca Adelphi
Questiones on the Book of Samuel / [di] Pseudo-Jerome; ed. with an introd. by Avrom Saltman, Leiden: E. J.
Brill, 1975, Studia post-Biblica
Vite di Paolo, Ilarione e Malco / san Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975, Piccola
biblioteca Adelphi
Note Generali: Tit. orig.: Vita sancti Pauli primi eremitae; Vita divi Hilarii; Vita Malchi .
Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, copyr. 1975,
Piccola biblioteca Adelphi
Autore: Sulpicius Severus
4: Vita di Martino / [Sulpicio Severo] . Vita di Ilarione; In memoria di Paola / [Girolamo]; introduzione di
Christine Mohrmann; testo critico e commento a cura di A.A.R. Bastiaensen e Jan W. Smit; traduzioni di
Luca Canali e Claudio Moreschini, [Roma]: Fondazione Lorenzo Valla; [Milano]: A. Mondadori, 1975, Scrittori
greci e latini
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Vite dei santi
Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright
Edizione: Rist, Cambridge, Massachusetts, The Loeb classical library
Vite di Paolo, Ilarione e Malco / San Girolamo; a cura di Giuliana Lanata, Milano: Adelphi, 1975
Note Generali: Donazione Zanforlin
O znakomitych mezach / Tlumaczyl W. Szoldrski; Komentarzem zaopatrzyl J. M. Szymusiak; Wstepem
poprzedzil J. St. Bojarski; Opracowal A. Bogucki, Warszawa: Akad. Teologii Katolickiej, 1970
Fa parte di: Pisma starochrzescijanskich pisarzy
Opere scelte di San Girolamo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1971, Classici delle religioni. Sez.
4, La religionecattolica; 14
Comprende: 1: Uomini illustri. Vita di S. Paolo eremita.Contro Elvidio. Lettere e omelie / SanGirolamo; a cura
di Enrico Camisani
Opere scelte / san Girolamo, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, Classici delle religioni. Sez. 4, La
religionecattolica
Autore: Stoico, Giuseppe
L' epistolario di s. Girolamo: studio critico-letterario di stilistica latina / Giuseppe Stoico, Napoli: Giannini,
1972
Note Generali: Con passi scelti dall'epistolario.
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1: Uomini illustri; Vita di S. Paolo eremita; Contro Elvidio; Lettere e omilie / San Girolamo; a cura di Enrico
Camisani, Torino: UTET, 1971, Classici delle religioni. Sez. 4, La religionecattolica
Fa parte di: Opere scelte / di san Girolamo; a cura di Enrico Camisani
6[A]: Commentarii in prophetas minores / [post Dominicum Vallarsi textum edendum curavit M. Adriaen],
Turnholti: Brepols, 1970, Corpus Christianorum. Series Latina
Note Generali: Contiene il commento ai profeti Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia.
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
Commento al Vangelo di San Marco, Roma: Citta nuova, 1965, I Vangeli commentati dai Padri
Note Generali: Da: Tractatus sive homiliae in Psalmos, in Marci Evangelium aliquae varia argumenta
Trad. R. Minuti
Commento a Daniele / san Girolamo; traduzione, introduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova,
1966, Commenti patristici all'antico testamento
2: Homilies 60-96 / saint Jerome, Washington: The Catholic University of America press, c1966, The Fathers
of the Church
Fa parte di: The homilies of saint Jerome / translated by Marie Liguori Ewald
Commento al Vangelo di San Marco / San Girolamo, Roma: Citta Nuova, \1965!, I Vangeli commentati dai
Padri
Uomini illustri / S. Girolamo; a cura di Gottardo Gottardi, Siena: Cantagalli, [1969], I classici cristiani
Commento al Vangelo di Matteo / Girolamo; traduzione di Salvatore Aliquo; introduzione di Silvano Cola,
Roma: Citta nuova, \1969!, I Vangeli commentati dai Padri. N. S
Commento al Vangelo di san Marco / San Girolamo; traduzione di Riccardo Minuti con la revisione di Rino
Marsiglio
Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1967, I Vangeli commentati dai Padri
6: Commentarii in prophetas minores / [post Dominicum Vallarsi textum edendum curavit M. Adriaen],
Turnholti: Brepols, 1969, Corpus Christianorum. Series Latina
Note Generali: Contiene il commento ai profeti Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona e Michea.
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
7: Commentariorum in Matheum libri 4. / [cura et studio D. Hurst & M. Adriaen, Turnholti: Brepols, 1969,
Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
Dogmatic and polemical works / saint Jerome; translated by John N. Hritzu, Washington: The Catholic
University of America press, c1965, The Fathers of the Church
1: 1-59 on the Psalms / saint Jerome, Washington: The Catholic University of America press, c1964, The
Fathers of the Church
Fa parte di: The homilies of saint Jerome / translated by Marie Liguori Ewald
4: Commentariorum in Hiezechielem libri 14. / [cura et studio Francisci Glorie], Turnholti: Brepols, 1964,
Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
5: Commentariorum in Danielem libri 3. <4.> / [cura et studio Francisci Glorie], Turnholti: Brepols, 1964,
Corpus Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
The letters of St. Jerome / translated by Charles Christopher Mierow; introd. and notes by Thomas
Comerford Lawler, Westminster: The Newman Press, 1963, Ancient christian writers: the works of thefathers
in translation
4: Lettere 117.-154. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1963
Note Generali: In cofanetto
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Fa parte di: Le lettere
7 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1963
Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt
The letters of St. Jerome / translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by Thomas
Comerford Lawler, New York; Ramsey, c1963
Comprende: 1: Letters 1-22 / St. Jerome; translated byCharles Christoper Mierow; introduction andnotes by
Thomas Comerford Lawler
1: Letters 1-22 / St. Jerome; translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by Thomas
Comerford Lawler, New York; Ramsey, c1963, Ancient christian writers: the works of thefathers in translation
Fa parte di: The letters of St. Jerome / translated by Charles Christoper Mierow; introduction and notes by
Thomas Comerford Lawler
4: Lettere 107.-154 / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1963
Fa parte di: Le lettere / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola
Select letters of St. Jerome / with an English translation by F. A. Wright, London: Heinemann; Cambridge,
Mass.: Harvard University press, 1963, The Loeb classical library
2: Commentariorum in Esaiam libri 1.-11. / [cura et studio Marci Adriaen], Turnholti: Brepols, 1963, Corpus
Christianorum. Series Latina
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
2 A: Commentariorum in Esaiam libri 12.-18.; In Esaia parvula adbreviatio / cura et studio Marci Adriaen!,
Turnholti: Brepols, 1963, Corpus Christianorum. Series Latina; 73A
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
6 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1960
Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt
1: Lettere 1.-52. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1961
Note Generali: In cofanetto
Fa parte di: Le lettere
2: Lettere 53.-79. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1962
Note Generali: In cofanetto
Fa parte di: Le lettere
3: Lettere 80.-116. / san Girolamo; traduzione e note di Silvano Cola, Roma: Citta nuova, stampa 1962
Note Generali: In cofanetto
Fa parte di: Le lettere
5 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1960
Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt
1.2: Sancti Hieronymi Eusebii epistulae 71.-120. / recensuit Isidorus Hilberg
Edizione: Rist. anast, New York [etc.]: Johnson reprint corporation, 1961, Corpus scriptorum
ecclesiasticorum latinorum
Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae [etc.]: F. Tempsky, 1912.
Fa parte di: Opera
1.3: Sancti Eusebii Hieronymi epistulae 121.-154. / recensuit Isidorus Hilberg. - Rist. anast, New York [etc.]:
Johnson reprint corporation, 1961, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum
Note Generali: Ripr facs. dell'ed.: Vindobonae [etc.]: F. Tempsky, 1918.
Fa parte di: Opera
3: In Hieremiam libri 6. / [recensuit Sigofredus Reiter], Turnholti: Brepols, 1960, Corpus Christianorum.
Series Latina
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
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Opera, Turnholti: Brepols, 1959Descrizione fisica: v.; 8 .
4 / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt, Paris: Les Belles Lettres, 1956
Fa parte di: Lettres / Saint Jerome; texte etabli et traduit par Jerome Labourt
Sur Jonas / saint Jerome; introduction, texte latin, traduction et notes de Paul Antin, Paris: Les editions du
cerf, 1956, Sources chretiennes; 43
Le tre lettere del Santo Dottore a S. Paolino di Nola / introduzione, testo, traduzione e note a cura del prof.
Pietro Giuseppe Cirillo; con prefazione del prof. Francesco Di Capua, Tivoli: Tip. De Rossi, 1958
Autore: Bibbia. Vecchio Testamento. Cantico dei cantici
Cantici canticorum vetus Latina translatio a S. Hieronymo ad Graecum textum hexaplarem emendata /
detexit, edidit, apparatu critico instruxit Albertus Vaccari, Roma: Ediz. di storia e letteratura, 1959
Titolo uniforme: Bibbia. Vecchio Testamento. Cantico dei cantici
Lettera a Leta / traduzione, introduzione e commento a cura di Salvatore Aliotta, Siracusa [etc.]: Editr.
Ciranna, 1959, Archimede. S. 2
1: Hebraicae quaestiones in libro Geneseos; Liber interpretationis Hebraicorum nominum; Commentarioli in
Psalmos; Commentarius in Ecclesiasten / cura et studio Pauli De Lagarde, Germani Morin, Marci Adriaen!,
Turnholti: Brepols, 1959, Corpus Christianorum. Series Latina; 72
Fa parte di: 1: Opera exegetica.
2: Opera homiletica / [primus edidit D. Germanus Morin]
Edizione: [Ed. altera aucta et emendata], Turnholti: Brepols, 1958, Corpus Christianorum. Series Latina
Note Generali: Contiene: Tractatus, sive, Homiliae in Psalmos, in Marci Evangelium aliaque varia
argumenta.
Fa parte di: S. Hieronymi presbyteri opera
Autore: Pontius: Carthaginensis
Early christian biographies / lives of st. Cyprian, by Pontius; st. Ambrose, by Paulinus; st. Augustine, by
Possidius; st. Anthony, by st. Athanasius; st. Paul the First Hermit, st. Hilarion, and Malchus, by st. Jerome;
st. Ephiphanius, by Ennodius; with a Sermon on the life of st. Honoratus, by st. Hilary; translated by Roy J.
Deferrari \et al.!; edited by Roy J. Deferrari, Washington: The Catholic University of America Press, c1952,
The Fathers of the Church; 15
Die mittelniederdeutsche Ubersetzung der sog. Hieronymus-Briefe nach der Lubecker Handschrift: (Ms.
Theol. Germ. 11) / von Martta Jaatinen, Helsinki: Drucherei der finnischen Literaturgesellschaft, 1950
Fa parte di: Suomalaisen Tiedeakatemian Toimituksia: Sarja B. Annales Academiae Scientiarum Fennicae:
Ser. B .
Select letters / of St. Jerome; with an english translation by F. A. Wright, London: William Heinemann,
Massachusetts, The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte
Excerpta poetica et ascetica / a cura di Giovanni Barra, Firenze: Fussi, 1954, Il melagrano
Fiori di poesia e di santita / s. Girolamo; [a cura di Giovanni Barra], Firenze: Fussi: Sansoni, stampa 1954, Il
melagrano
Ed. di 2000 esemplari numerati
Testo originale a fronte
Lettera a Leta / traduzione [dal latino], introduzione e commento a cura di Salvatore Aliotta, Noto: E.
Ciranna, 1953 (Ragusa: Tip. f.lli Puglisi)
Sancti Eusebii Hieronymi epistulas selectas / edidit Carolus Favez, Bruxelles: Latomus, 1950, Collection
Latomus
Lettera a Leta / s. Girolamo Sofronio Eusebio; [traduzione, introduzione e commento di Salvatore Aliotta],
Noto: E. Ciranna, stampa 1953
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227
Completato 1950-2005
"Girolamo¸ Eusebio - Corso"
Eusebius Hieronymus.
San Girolamo, visse tra il 347 e il 419 circa dopo Cristo. Padre della Chiesa, è l'autore latino cristiano più
conosciuto.
Fu uomo di notevolissima cultura, polemista impegnato contro le eresie della sua epoca ed esegeta biblico
raffinato: sue la cosiddetta Vulgata, cioè la traduzione latina della Bibbia e la versione latina del Chronicon di
Eusebio di Cesarea, opera storiografica organizzata per anni, che Girolamo completò per il periodo
compreso tra il 325 e il 378.
Resta di lui un corpus notevole, che oltre alle opere già ricordate raccoglie opere esegetiche e polemiche;
ricordiamo pure il De viris illustribus sulle maggiori figure storiche dalla morte di Cristo agli ultimi anni del IV
secolo e un epistolario di grande valore documentario per la storia dei tempi, ma anche per le vicende
personali di Girolamo.
"Girolamo¸ Eusebio - Encarta"
San Gerolamo In latino Eusebius Hieronymus (Stridone, Aquileia 345ca. - Betlemme 419), padre e dottore
della Chiesa, studioso della Bibbia; la sua opera più importante è la Vulgata, traduzione della Bibbia in latino.
Gerolamo studiò a Roma, ritirandosi poi nel deserto dove visse da asceta e approfondì lo studio delle
Scritture. Nel 379 venne ordinato sacerdote; trascorse in seguito tre anni a Costantinopoli con il padre della
Chiesa orientale san Gregorio Nazianzeno. Nel 382 tornò a Roma e divenne segretario di papa Damaso I,
esercitando un notevole influsso su molti seguaci. Nel 386 Gerolamo si stabilì a Betlemme, dove Paola, una
nobile romana sua seguace (in seguito santa Paola), aveva fondato quattro conventi, tre per le suore e uno
per i monaci, quest'ultimo retto dallo stesso Gerolamo. Qui egli proseguì le sue fatiche letterarie e ingaggiò
una controversia non solo con gli eretici Gioviniano e Vigilanzio e con gli adepti del pelagianesimo, ma
anche con il monaco e teologo Tirannio Rufino e con sant'Agostino. Il conflitto con i pelagiani costrinse
Gerolamo a nascondersi per due anni. Morì subito dopo il rientro a Betlemme.
"Girolamo¸ Eusebio - Treccani"
Girolamo, santo (Stridone, Dalmazia 347 - Betlemme ca. 420). Dottore della Chiesa. Formatosi alla scuola di
Donato e di Gregorio Nazianzeno, fu uomo di vastissima cultura, tradusse in latino gli originali della Bibbia,
dando alla Chiesa la cosiddetta Volgata, e lavorò con grande competenza all'esegesi biblica. Di lui restano
inoltre il Dialogo contro i pelagiani, lavoro polemico di notevole portata teologica, un De viris illustribus sulle
maggiori figure storiche dalla morte di Cristo agli ultimi anni del IV sec. e 125 Lettere d'alto interesse storicobiografico. Dal 382 al 384 G. fu segretario di papa Damaso.
Girolamo Eusebio - Riposati
1. Vita. - II. L'opera. - 111. L'uomo, il pensatore e lo scrittore.
Sofronio Eusebio Giro-lamo (Sophronzwas Eusebxwus Hteronymus) è la piú robusta e ardita figura di
pensatore nel campo della letteratura cristiana latina.
I. - Vita. - Nácque da famiglia cristiana a Stridòne, città di confine tra la Dalmazia e la Pannonia, verso il 347.
Mandato giovane a Roma, compí i suoi studi sotto la guida del valente gramS matico Ello Donato, che egli
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ricorda spesso con tenero affetto, e si formo colà un corredo ricchissimo di cultura letteraria, filosofica
giuridica, antiquaria, archeologica; quest'ultima, specialmente, in ordine a quella Roma cristiana, ch'egli
imparò ad amare visitando le catacombe. Piú tardi passò a Trèviri, e poi nel 373 ad Aquileia dove si indusse
a fare un breve esperimento di vita ascètica collettiva; dx là andò ad Antiòchia, presso Evàgrio, e visse,
monaco fra gli altri monaci del deserto di Càlcide, una vita di penitenza e i meditazione, attendendo in pari
tempo allo studio dell'ebraico.
Durante lo scisma di Antiòchia finí per associarsi al vescovo Paolino, dal quale fu ordinato prete,
ottenendone la facoltà di rimanere per sempre monaco. Piú tardi si recò a Costantinopoli, dove Gregorio
Nazianzeno gli aprí il ricco mondo del pensiero greco, soprattutto di Orígene. Nel 382 venne a Roma con S.
Epifanio e Paolino, per prender parte ad un sínodo; ivi si procurò larga fama, sí che il papa Dàmaso lo fece
suo segretario e gli assegnò, fra l'altro, il còmpito di rivedere l'antica versione latina dei Vangeli. A Roma,
con la pia collaborazione di alcune gentildonne, quaRi Paola, Marcella e Fabíola, fondò e diresse un
convento sull'Aventino, dove nobili matrone e vergini patrizie della città condussero vita comune di studio, di
preghiera, di penitenza. Morto papa Dàmaso, Girolamo, fatto segno ad ignobili denigrazioni e calunnie, partí
nel 385 per l'Oriente e visitò, finalmente, la Palestina, donde passò in Egitto ed infine tornò alla ' sua '
Betlem; qui rimase quasi ininterrottamente, attendendo a studi profondi e ad opere caritative, finché, logorato
dalla fatica, turbato dalla caduta di Roma nelle mani di Alaríco (a. 410) e dal dilagare dell'eresia ariana, non
lo raggiunse la morte il 30 settembre del 420, all'età di 73 anni. Fu sepolto presso il luogo della Natività, ma
poi-è tradizione- la sua salma fu trasportata a Roma.
II. - L'opera. - L'attività di Girolamo scrittore fu molteplice e di straordinaria mole. Possiamo raggrupparla
nell'ordine seguente:
a) opere di carattere agiogràfico; b) traduzione e continuazione dell'opera cronogràfica di Eusebio di
Cesarèa; c) il De viris illustribus; d) l'opera d i t r a d u z i o n e del Vecchio e del Nuovo Testamento; e) lavori
di esegèsi biblica; f) scritti polemici vari; g) Epistolario ed Elogi funebri(l).
a) A questo gruppo appartengono propriamente le Vite di tre santi monaci: Paolo (circa il 376), Malco (c.
386) ed Ilarione (c. 391); opera, questa, di alto interesse culturale, non solo per la storia del monachismo,
ma anche per quella del genere a g i o
g r à f i c o, veicolo di notizie care al gusto popolare, divenute canòniche attraverso i secoli successivi.
L'opera rispondeva in pieno agli ideali ascètici dello scrittore e del tempo.
b) La versione interessa il Chrontvcon di Eusebio di Cesarèa, opera cronogràfica e cronològica computata
annalisticamente, a partire dall'anno di nascita di Abramo (2017 a. C.) e condotta fino al 325 d. C.; Girolamo
rielaborò, in latino, la parte cronològica, che va dalla caduta di Troia in poi, e la continuò, per conto suo fino
allanno 378 (morte dell'imperatore Valente), aggiungendovi osservazioni sulla storia generale e romana.
c) I! De viris illustribus contiene notizie e medaglioni di ben 135 autorl cnstiani latini, persino erètici ed ebrei,
da S. Pietro fino a S. Girolamo stesso, da contrapporre e da far seguire all'opera analoga dx Svetonio su
autori e personaggi pagani. L'opera contiene notizie di prima mano per noi preziose, specialmente nella
ultima parte, ed ha chiare finalità polemiche ed antipagane. Lo rivela lautore stesso nel Prologo: (<Coloro
che pensavano la Chiesa sprovvista di filosofi e di oratori e di dottori, cessino di accusare di ingenuità i
seguaci di Cristo, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza".
d) L'attività del Dàlmata come t r a d u t t o r e si esplicò su Orígene, con 2 omelíe, sul Cantico dei Cantici,
con altre 39 su S. Luca, su Dídimo il Cieco, a proposito dell'opera De Spirttu Sancto, e su altri. Ma S.
Girolamo rimase soprattutto celebre per la revisione della traduzione ' latina ' dei Vangeli (Itala), e forse
anche del resto del Nuovo Testamento. Egli prowide pure a rivedere, sul testo dei Settanta, la traduzione
latina dei Salmi in due momenti diversi (il ' Salterio Romano ' nel 384, quello ' Gallicano ' nel 389, tuttora in
uso nella liturgia); rivide anche il Libro di Giobbe.
Negli anni 389-405 attese a tradurre dall'originale ebraico quasi tutto I Antico Testamento, dando luogo, in
un primo tempo, a dubbi interpretativi e a preoccupazioni di vario genere.Ma poi questa tra. duzione fu
accolta nèll'uso liturgico della Chiesa (ad eccezione dei Salmi) e, confermata nel Concilio Tridentino, diventò
la celebre Vul8ata o Volgata: detta cosi non tanto per il tipo di linguaggio piut tosto volgareggiante', scelto
per essa, quanto perchè ' comune ', diffusa (lectto wlgata) allora in tutte le Chiese.
e) I lavori di esegèsi e di commento si riferiscono alla Gènesi (Liber Hebraicarum quaestionum, rivelandosi
frutto di geniale ed appassionata ricerca), ai Salmi, a tutti i Profeti, all'Ecclesiaste, per l'Antico Testa mento- a
San Matteo (è ritenuto il suo capolavoro esegètico), alle Epistole Paoline dirette ai Gàlati, agli Efesini, a Tito,
a Filèmone. Rivide altresi, e qua e là allineò nei concetti, il commento all'Apocal&si del Vescovo Vittorino di
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Pettau. In forma piú popolare e con finalità piuttosto pratiche attese a commentare il Vangelo di S. Marco per
i suoi monaci. Un lavoro di esegèsi piuttosto etimologica è il Liber interpretationum Hebraicorum nomtnum
(opp. Onomastgcon); di contenuto geografico è invece il Liber locorum, o De locis Hebraicis, in cui tradusse
l'omònima opera di Eusebio e vi fece delle utili aggiunte. In questa sua immane opera dl esegèta si rawisa
talvolta fretta e superficialità; ma va tenuto conto dei criteri diversi da lui seguiti via via e delle immense
diSicoltà, inerenti alla stessa fatica, quasi insormontabili per quei tempi.
f) Agliscrittipropriamente polemici appartengono:il dialogo piuttosto moderato contro gli scismatici luciferiani:
Altercatio Luciferiani et orthodoxi (c. 378); I'Adversus Helviltum (a. 383), detto anche Liber de perpetua
virginitate beatae Mariae, uno dei primi e pid preziosi contribut; agli studi di mariologia; il Contra lovinianum
dell'a. 393 (un ex monaco di Roma), in 2 libri, per proclamare ed esaltare gli ideali dell'ascetismo e della
verginità; i tre libri intitolati Dialogi contra Pelagianos (a. 415); il Contra Vigilantium, prete di Aquitania (a.
406), ancora in difesa delle pratiche ascètiche e della diffusione del culto dei Mar tiri; il Contra lohannem
Hierosolymitanum (c. 3%) e lo scritto violentis, simo Adversus libros Rufini (a. 401-402), già suo grande
amico: opere, entrambe, concementi la critica di Origene, dapprima studiato e seguito da Girolamo con
molta ammirazione, ma poi combattuto aspramente almeno nella persona dei suoi fautori e sostenitori.
Va detto qui che la polemica del Dàlmata giunge spesso ad assumere toni di particolare asprezza e persino
di acre invettiva personale; il suo carattere ' focoso e battagliero ' trova libero il campo a rivelarsi qual è.
g) L'Epistolario va considerato a parte per le sue peculiarità linguistiche e stilistiche piú elaborate, anche se
vi figurano ellenismi e persino semitismi, arcaismi, strutture poetiche e neologismi. Comprende 154 Lettere
di vario contenuto e quindi di stile diverso: narrativo in quelle esegètiche, semplice e piano in quelle morali e
spirituali, prezioso e quasi ricercato nelle mis, sive, ricche di reminiscenze virgiliane e ciceroniane e non
aliene dai vezzi della tradizione retorica. I1 mondo spirituale che racchiudono è generalmente mosso da un
vivo bisogno di conversare con persone cólte, da lui lontane, di sfogare i suoi impulsi polemici, di dare ali al
suo zelo apostolico, di illuminare su molti problemi importanti, di confortare e rawivare nella Fede e nei
costumi. Alcune sono veri trattatelli morali, come quella sull'educazione dei figli, sul matrimonio, e argomenti
simili.
Accanto, vanno ricordati alcuni Epitaph1a, o ' e10gi funebri ', composti in memoria di persone illustri, a
Girolamo legate nell'affetto e nella carità di Cristo. Tali: I'Epitaphlurn Nepotiani, il giovane prete, di profonda
dottrina e di illibata vita sacerdotale, morto nel 295; gli Epitaphta Paulae, Marcellae, Fabiolae, Paulinae, le "
Sorelle in Cristo )>, le " elette alla vita contemplativa )> nel cenacolo ascenco dell'Aventino. Lo schema
strutturale è quello delltelogiurn tradlzionale, ma traboccante di commossa umanità, di tenerezza, di pietà
cnstiana.
m. - L'uomo, il pensatore e lo scrittore. - S. Girolamo è scrittore che solitamente mira-ad un vasto pubblico di
lettori, ad un ampia cerchia di anime, pur nella fretta da cui è mosso durante la sua molteplice ed inesausta
attività. Tien conto della elaborazione forma!e, non ricusa alcuni edetti di ' bello stile ', né ignora la tecnica
retonca; ma entro questi schemi vibra un'anima e s'agita una passione nobilissima, che fa distinguere la sua
prosa da quella sonante e pomposa dl altri scrittori, specialmente pagani, della stessa epoca. Con Girolamo
si ha, per la prima volta, la fusione del ' biblico ' col classico'; certe ridondanze di dottrina tradizionale, certe
sue anomalíe sintattiche vanno intese in ordine alla doviziosa vena della sua vasta cu!tura e della sua innata
genialità. Nel campo teologico ed ecclesiastlco, egli, che non fu propriamente né un teòlogo né un
dommatico, reppresenta un ponte gettato fra l'Oriente e l'Occidente, mentre nel campo letterario unisce
felicemente l'antico e il nuovo, i1 pagano e il cristiano. In tale maniera, S. Girolamo reca senza dubbio un
tributo vivo ai cànoni della estetica classica, ma il suo spirito e il suo linguaggio sono nuovi, pregni di una
dottnna e di una cultura, che gli vengono soprattutto dall'Oriente fino allora poco esplorato: ebraico, greco e
latino appaiono fusi in un unico, tipico prodotto originale di pensiero e di stile: Vir ttilinguis lo chiamavano già
i contemporanei. Maestro non del solo Occidente ancora in vita, diventò grandissimo fra i cinque(t) Dottori
della Chiesa, secondo, se mai, solo a S. Agostino.
Pochi autori, di entrambe le letterature classiche, scrissero tanto, come lui, su argomenti disparatissimi e
spesso anche difficilissimi; pochi autori cristiani furono, come lui, oggetto di tanti studi e di tante discussioni;
pochi lasciarono nella propria opera cosí vasta impronta di cultura. Temperamento vivacissimo e suS
scettibile fino alla collera ed alla piú sarcastica forma di invettiva, si scontrò con S. Ambrogio, con S.
Agostino, con S. Giovanni Gisòstomo. Polemista ed ascèta ad un tempo, capace degli slanci piú inedabili,
come delle ritorsioni piú violente, fece sentire alta la sua voce in ogni questione dibattuta ai suoi tempi, e
disse sempre con sicurezza di dottrina la sua parola rassicurante e illuminatrice. Ebbe forte, severa, robusta
personalità. In lui fu vero ed autentico dramma il conflitto fra i richiami della classicità (Ciceronianus es, non
Christianus, gli disse il Gisto stesso, in sogno, con tono di rimprovero) e l'anèlito verso gli ideali connessi
coll'ascetismo. Fu instancabile nel voler conoscere tutto, nel muoversi da un punto all'altro del sapere e del
mondo, pur sempre inclíne ai silenzi meditativi della sua monastica cella. Sentí e svelò tra i primi la poesia e
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il fàscino del paese della Natività e della Passione del Cristo, e l, visse l'ultima sua vita, intensamente votata
alla meditazione e alla preghiera.
Fortuna.
Gerolamo viene annoverato, con Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fra i quattro grandi dottori della
Chiesa occidentale. Indubbiamente è il piú dotto, ma non il piú acuto fra loro. La Legenda aurea lo definisce
in maniera appropriata «giudice delle parole in sé e negli altri»`. Egli è uno dei piú influenti creatori linguistici
della letteratura mondiale.
Come conoscitore dell'ebraico è un fenomeno singolare. Dopo di lui le conoscenze linguistiche
dell'Occidente latino tendono a regredire. La sua realizzazione piú significativa, la traduzione del la Bibbia,
non trova subito riconoscimento; lo stesso Agostino non è capace di apprezzarla e lamenta che Gerolamo
non si sia orientato piú decisamente sulla versione greca dei Settanta (Aug. epist. 7I, 4> 82, 35); del Salterio
proprio la redazione piú vicina all'originale viene ignorata. L'influsso linguistico e contenutistico della Vulgata
sulla cultura europea è tuttavia maggiore di quello di qualsiasi altra opera latina; per un millennio - dall'età
carolingia fino alla seconda metà del xx secolo - la Vulgata è il testo canonico per la Chiesa di Roma.
Si può dire che un'eco non meno duratura sia quella del maestro dell'ascesi, del brillante autore di scritti
d'edificazione. La leggenda trasforma in santo anche lui, che è tutt'altro che un santo lontano dal mondo;
quando parla della sua giustizia e della sua pace interiore, essa celebra ciò che egli voleva divenire, non ciò
che era - cosí come la filologia classica cedeva a volte al fascino dell'ingannevole immagine di un Orazio
saggio e immune da passioni. Gli artisti ritraggono Gerolamo nello studio` intento alla sua traduzione; ai suoi
piedi giace un leone mansueto: simbolo ideale di un dominio - non completamente raggiunto - del proprio
temperamento? Gerolamo ha coniato una volta per tutte il tipo del monaco occidentale, col suo abbinamento
di ascesi e di dottrina. L'unione fra scienza ed ascesi è sopravvissuta anche al medioevo ed ha acquistato
figura moderna ad esempio in una ricercatrice come Mme. Curie.
In quel periodo d'incipiente crollo degli ordinamenti statali ed economici, la fondazione di monasteri è un
passo decisivo per la conservazione della cultura. Il complicato sistema economico romano, fondato su una
divisione su vasta scala del lavoro, che sotto Diocleziano s'irrigidisce in un'economia pianificata ed in uno
sfruttamento sistematico da parte dello stato, è altamente vulnerabile. In seguito a sconvolgimenti provocati
dall'esterno si converte regolarmente nell'economia chiusa, la costituzione di piccole aziende autarchiche.
Come unità stabili ed economicamente indipendenti i monasteri offrono, in epoche d'incertezza, le migliori
possibilità di sopravvivenza agli studiosi ed ai libri. Gerolamo, che da questo punto di vista va considerato un
grande riformatore, lascia in eredità ai monaci dell'Occidente il bacillo della cultura umanistica, creando cosí i
presupposti per tutte le rinascite successive. Allo stesso tempo è lui stesso il modello di una ricezione
creativa dell'antichità. Entrambi questi motivi fanno di lui un praeceptor Europae.
Non a caso, pertanto, Gerolamo è uno degli autori prediletti di Erasmo. Invece Martin Lutero - che come
traduttore oltre che come maestro dell'ingiuria può tener testa al dottore della Chiesa - aborrisce
probabilmente in lui uno dei padri spirituali di un millennio che spetta a lui superare. Melantone, al contrario,
esprime un apprezzamento generoso e garbato per Gerolamo; è cosciente di quanto gli debba già solo «in
legendis prophetis et in Ebraicae linguae interpretatione»'°'. Nonostante l'utilizzazione degli originali greci ed
ebraici come pure della traduzione latina del Nuovo Testamento fatta da Erasmo, la Bibbia di Lutero spesso
è pur sempre sotto l'ascendente della Vulgata. Fenomeni analoghi sono osservabili in altri paesi. Cosí
Gerolamo influenza per via mediata l'evoluzione delle lingue moderne. Dalla sua prefazione al commento
all'Epistola agli Efesii deriva il nostro proverbio « a caval donato non si guarda in bocca ».
M. von Albrecht, St.lett.lat., 3, pp. 1676-78.
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Rufino
Cenni biografici
Nato ad Aquileia (in realtà Concordia) ca. il 345. Muore 411.
Compì i suoi studi a Roma, dove conobbe Girolamo.
Dal 371 fa parte di una comunità monastica creata presso Aquileia, la stessa in cui entrò a far
parte anche Girolamo.
Nel 373 Rufino partì per l'Oriente con una nobile e ricca romana di nome Melania.
Visitò comunità monastiche e ascoltò ad Alessandria le lezioni di Didimo Cieco, da cui apprese le
dottrine teologiche di Origene.
Nel 373 Rufino fu incarcerato in seguito all'attacco ariano alla sede episcopale di Alessandria;
Quattro anni dopo partì alla volta della Palestina: a Gerusalemme si dedicò all'ascesi e agli studi e
fu consacrato presbitero da Giovanni, vescovo della città.
Si colloca in questi anni la prima rottura con Girolamo che si sviluppa soprattutto sulla questione
origeniana. Girolamo era stato da giovane estimatore di alcune omelie del grande teologo e,
soprattutto dei suoi lavori di esegesi biblica; dovette tuttavia con il passar del tempo riconoscere
che in materia teologica alcune posizioni non potevano più apparire ortodosse nella chiesa del IV
secolo. Ciò avvenne già nel 392, in un'epistola ad alcuni amici, e soprattutto nel 394, quando
partecipò, sull'argomento, a una disputa che vedeva implicati Epifanio di Salamina, che
considerava apertamente Origene come eretico, e Giovanni, vescovo di Gerusalemme sostenitore
di Origene. Dalla parte di quest'ultimo si schierò appunto anche Rufino. Dopo la pubblicazione di
alcuni scritti da una parte e dall'altra la questione parve comporsi, ma Rufino ritornò a Roma a
partire dal 397; lì, in un ambiente come quello romano non certo privo di circoli intellettuali
geronimiani, strinse rapporti di amicizia con Melania, nipote della sua compagna di viaggio in
Terrasanta, la nobile Avita e il senatore Turcio Aproniano. Riprese inoltre la sua attività di
traduttore e di divulgatore dell'opera di Origene; del 398 è il primo libro dell'Apologia di Origine di
Pamfilo ed Eusebio di Cesarea; quindi tradusse I principi di Origine stesso, accompagnandolo con
il suo De adulteratione librorum Origenis, sostenendo l'ipotesi che vere e proprie falsificazioni
erano state inserite nelle opere del grande teologo dagli eretici. Egli stesso però, sostituì certi passi
origeniani con altri, tratti dalle opere di Origene stesso, ma giudicati meno pericolosi per
l'ortodossia e ne diede peraltro notizia e ragione nelle sue prefazioni.
Seguì un'altra querelle epistolare con Girolamo, che si era visto citare fra gli estimatori di Origene
e tale non voleva più essere giudicato. Nel 400 Rufino dovette difendersi da nuove critiche di
Girolamo con un' Apologia in due libri. Altra Apologia indirizzò a papa Anastasio la cui risposta non
fu certo di disponibilità. Anche per questo Rufino tornò ad Aquileia presso Cromazio mentre
Girolamo muoveva in un'Apologia ulteriori accuse.
Nel frattempo le invasioni dei Visigoti si fanno sempre più pericolose: Nel 407 Rufino si rifugia nel
monastero di Pinetum, a Terracina, quindi a Messina, dove muore nel 410.
Opere
De adulteratione librorum Origenis
Apologia contra Hieronymum, in due libri, composta intorno al 400.
De benedictionibus patriarcharum, in due libri; esegesi veterotestamentaria di tipo allegarorico
(origeniano) del capitolo 49 della Genesi. Composta intorno al 407
Historia ecclesiastica di Eusebio, traduzione e integrazione per gli anni 324-395.
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Scritta intorno al 410. Moreschini propone 403.
Commentarius in symbolum apostolorum (Commentario al simbolo degli apostoli). E' un'esegesi
del simbolo battesimale usato dalla Chiesa di Aquileia. Composto su richiesta di Cromazio. E' la
più antica esegesi del simbolo in lingua latina e spiega le differenze tra simbolo di Roma e simbolo
di Aquileia. Composto intorno al 404.
Traduzioni:
Basilii Magni Regula. (397)
Basilii Magni Homiliae VIII. (399-400)
Liber I. Apologiae Pamphili pro Origine; in quo Sententiae adversus Mathematicos. (398)
Origenis Libri Quatuor periv ajrcwðn. (I principi) (398-99)
Ejusdem Homiliae XVII. in Genesim.
—XIII. in Exodum.
—XVI. in Leviticum.
—XXVIII. in Numeros.
[0293D] —XXVI. in Josue.
—IX. in Judices.
—IX. in Psalmos (salmi 36,37,38).
—I. in Librum I. Regum.
—IV. in Cantica Canticorum. (410: solo quattro libri su dieci)
—Tomi XV. in libros X. distincti in epistolam D. Paulli ad Romanos. (404)
Gregorii Nazianzeni Opuscula X. hoc est,
Apologetici Liber unus.
De Epiphanis.
De Luminibus.
De Fide Liber Unus.
De Nicaena Fide, Pentecoste, et Spiritu S.
De Semetipso ex agro reverso.
De Dictis Hieremiae.
[0294C] De reconciliatione et unitate Monachorum.
De Grandinis vastatione.
De Arianis.
Sixti Pythagorici Sententiae. Composto intorno al 400. Una raccolta di sentenze morali considerata
opera di Papa Sisto II, particolarmente diffusa e nota nel IV secolo. Il nome assegnato all'opera da
Rufino fu Enchiridion o Anulus.
Evagrii C. Sententiae ad Monachos. (Moreschini: "Probabilmente egli tradusse (ma non ci è
pervenuta) anche una scelta di sentenze di Evagrio Pontico.)
—Sententiae de Apathia.
—Liber ad Virgines.
Clementis Romani Recognitiones. Composto intorno al 405. Riconoscimenti delle cosidette
Pseudoclementine.
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Eusebii Historiae Ecclesiasticae libri IX.
Anatolii Alexandrini Canon Paschalis.
Historia monachorum in Aegypto, sive de vitis Patrum (403-410).
Opera di Timoteo di Alessandria.
Adamanzio, De recta in Deum fide. Composto tra il 400 e il 409.
PL Migne, vol. 21
Dissertatio de Adulteratione librorum Origenis.
Benedictionum XII. Patriarcharum explanatio.
Apologia, seu Invecticarum libri II. adversus Hieronymum.
Apologia pro Fide sua ad Anastasium Pontificem.
Historiae Ecclesiasticae libri II. scilicet X. et XI. post historiam Eusebianam.
Historia Eremitica, sive vitae Patrum.
Explicatio Symboli.
Versa e Graeca in Latinam Linguam.
Basilii Magni Regula.
Basilii Magni Homiliae VIII.
Liber I. Apologiae Pamphili pro Origine; in quo Sententiae adversus Mathematicos.
Origenis Libri Quatuor periv ajrcwðn.
Ejusdem Homiliae XVII. in Genesim.
—XIII. in Exodum.
—XVI. in Leviticum.
—XXVIII. in Numeros.
[0293D] —XXVI. in Josue.
—IX. in Judices.
—IX. in Psalmos.
—I. in Librum I. Regum.
—IV. in Cantica Canticorum.
—Tomi XV. in libros X. distincti in epistolam D. Paulli ad Romanos.
Gregorii Nazianzeni Opuscula X. hoc est,
Apologetici Liber unus.
De Epiphanis.
De Luminibus.
De Fide Liber Unus.
De Nicaena Fide, Pentecoste, et Spiritu S.
De Semetipso ex agro reverso.
De Dictis Hieremiae.
[0294C] De reconciliatione et unitate Monachorum.
De Grandinis vastatione.
De Arianis.
Sixti Pythagorici Sententiae.
Evagrii C. Sententiae ad Monachos.
—Sententiae de Apathia.
—Liber ad Virgines.
Clementis Romani Recognitiones.
Eusebii Historiae Ecclesiasticae libri IX.
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Anatolii Alexandrini Canon Paschalis.
TYRANNII RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI DE BENEDICTIONIBUS PATRIARCHARUM
LIBRI DUO.
COMMENTARIUS IN SYMBOLUM APOSTOLORUM AUCTORE TYRANNIO RUFINO
AQUILEIENSI PRESBYTERO.
HISTORIA MONACHORUM SEU LIBER DE VITIS PATRUM AUCTORE RUFINO AQUILEIENSI
PRESBYTERO.
RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI IN SUAM ET EUSEBII CAESARIENSIS LATINAM AB EO
FACTAM HISTORIAM AD CHROMATIUM EPISCOPUM AQUILEIAE
RUFINI AQUILEIENSIS PRESBYTERI APOLOGIAE IN SANCTUM HIERONYMUM LIBRI DUO.
Testi e testimonianze
Gennad., de vir.ill., 17.
RUFFINUS, Aquileiensis presbyter, non minima [1070A] pars fuit doctorum [f [1069D] Corb., Doctorum
Ecclesiarum.] Ecclesiae et in transferendo de Graeco in Latinum elegans ingenium habuit. Denique
maximam partem Graecorum bibliothecae Latinis exhibuit; Basilii scilicet Caesariensis Cappadociae
episcopi, Gregorii Nazianzeni, eloquentissimi hominis; Clementis Romani Recognitionum libros, [g [1069D]
Id., et Eusebii Caesariae Palestinae Ecclesiae episcopi historiam.] Eusebii Caesariensis Palaestinae
ecclesiasticam Historiam, [h [1069D] Ruffinus Xysti Pythagoraei librum, titulo Sixti papae ac martyris, falso
edidit. Id constat ex variis S. Hieronymi locis, ut in cap. 22 Jeremiae, ubi eum nomine Grunnii perstringit, et in
cap. 18 Ezechielis: item ex Augustino l. II Retractat. cap. 40 (qui deceptus antea libro de Nat. et Grat. cap.
64 Sixti pontificis nomine allegarat), et ex ipsa Ruffini epistola [1070B] ad Apronianum, quam interpretationi
Enchiridii Sixti praefixit. Hieronymum ipsum in epistola ad Ctesiphontem audiamus tonantem contra
Ruffinum: Illam autem temeritatem, imo insaniam ejus quis digno possit explicare sermone, quod librum
Xysti Pythagoraei hominis absque Christo atque ethnici, immutato nomine. [1070C] Sixti martyris et
Romanae Ecclesiae episcopi praenotavit? MIRAEUS.] Xysti Sententias, Evagrii Sententias. Interpretatus est
etiam Sententias [i [1070C] Honorius lib. II, de Script. Eccles., c. 17, Gennadium solitus sublegere, hunc ejus
locum corrupit, six exprimens: Sixti philosophi sententias adversus mathematicos. Nec enim Sixtus adversus
mathematicos scripsit, sed Pamphilus martyr: ut distincte hic habet Gennadius. Caeterum praeter opera hic
a Gennadio commemorata, Ruffinus insuper scripsit, vel ex Graeco Latine reddidit Vitas Patrum, libro
secundo et tertio in editione Plantiniana comprehensas: ut Heribertus Rosweidus in prolegomeno 4, § 10,
fuse probat. MIRAEUS.] Pamphili martyris adversum mathematicos. Horum omnium quaecumque,
praemissis prologis, a Latinis leguntur, a Ruffino interpretata sunt; [j [1070C] Verba quae autem sine, etc.,
usque ad quia et Hieronymus aliqua, desunt in Corbei.] quae autem sine prologo, ab alio translata sunt, qui
prologum facere noluit. Origenis autem non omnia (quia et Hieronymus aliquanta) transtulit, quae sub
prologo discernuntur. Proprio autem labore, imo gratia Dei et dono, exposuit idem [1070B] Ruffinus
symbolum [k [1070C] In eodem Corb. est: Rufinus symbolum disseruit, et benedictiones Jacob super
Patriarchas . . . mystico sermone. Scripsit et epistulas ad timorem Dei, inter quas eminent, etc.] , ut in ejus
comparatione alii nec exposuisse credantur. Disseruit et benedictionem Jacob super Patriarchas triplici, id
est, historico, morali et mystico sensu. Scripsit et epistolas ad timorem Dei hortatorias multas, inter quas
praeeminent illae quas ad Probam dedit. Historiae etiam ecclesiasticae, quam ab Eusebio scriptam et ab
ipso interpretatam diximus, addidit [l [1070C] In vertenda Eusebii Historia Ruffinus nimia libertate [1070D]
usus fuit, multa addens, demens ac mutans. Dimidium octavi libri omisit, decimum vix attigit. Adeoque ex
decem Eusebii libris fecit novem: quibus duos, hic a Gennadio memoratos, de suo adjecit. Hos Graece
reddidit, et praefationem suam praefixit Gelasius, Caesareae in Palestina episcopus, qui Cyrillum
Hierosolymorum episcopum habuit avunculum; non ille Cyzicenus, qui res in Nicaeno concilio scripsit. De
duobus istis Gelasiis supra ad Hieronymi cap. 130 egimus. MIRAEUS. ] decimum et undecimum librum. Sed
et [m [1070D] Obtrectatorem hunc vocat D. Hieronymum, adversus quem Rufinus edidit Invectivarum libros
duos, et nota est controversia inter hos ex operibus Hieronymi. Hinc autem patet Gennadium Hieronymo
praeferre [1071B] Ruffinum, quod in censura supradictum est. Quid vero de Ruffini operibus senserit
pontifex Gelasius, videat lector distinct. 15, cap. Sancta Romana. Suffridus Petri.] obtrectatori opusculorum
suorum respondit duobus voluminibus, arguens et convincens se Dei intuitu et ecclesiae utilitate, auxiliante
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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[1071A] Domino, ingenium agitasse; illum vero [a [1071B] Corb., aemulum.] aemulationis stimulo incitatum
ad obloquendum stylum [b [1071B] Id., agitavisse.] vertisse.
Osservazioni
Funzione chiave quella di far conoscere in Occidente attraverso le traduzioni le grandi opere del
cristianesimo greco.
Bibliografia
Edizioni
PL Migne vol. 21
De Benedictionibus Patriarcharum libri duo.
Commentarius in symbolum apostolorum.
Historia monachorum.
Historiae ecclesiasticae libri duo.
Apologiae in S. Hieronymum libri duo.
Apologia altera ad Anastasium papam.
OPERA RUFINO ASCRIPTA.
Commentarius in LXXV psalmos.
Commentarius in Osee, Joel et Amos.
Vita S. Eugeniae.
Libelli duo de fide.
Interpretatio orationum Gregorii Nazianzeni – ed. A. Engelbrecht 1910, CSEL Vol. 46
Basili regula – ed. K. Zelzer 1986, CSEL Vol. 86
Apologie pour Origène, I
suivi de Rufin d'Aquilée : Sur la falsification des livres d'Origène
auteur(s) : Eusèbe de Césarée Pamphile de Césarée Rufin d'Aquilée
Texte critique, traduction et notes par René Amacker et Éric Junod, 2002, SCh 464
Apologie pour Origène, II
suivi de Rufin d'Aquilée : Sur la falsification des livres d'Origène
auteur(s) : Eusèbe de Césarée Pamphile de Césarée Rufin d'Aquilée
Étude, commentaire philologique et index par René Amacker et Éric Junod,2002, SCh 465.
Des six livres de l’"Apologie pour Origène", composée par Pamphile de Césarée avec la collaboration
d’Eusèbe, il ne subsiste que le premier dans une traduction latine de Rufin. Cette version est une pièce
importante pour les études origéniennes, non seulement parce qu’elle contient 70 citations de l’Alexandrin
d’un grand intérêt théologique - dont 34 non transmises par ailleurs -, mais aussi parce qu’elle apporte un
témoignage sur les controverses suscitées par l’enseignement d’Origène autour des années 300, soit peu
avant le déclenchement de la crise arienne. Elle révèle en outre un écrivain de talent, Pamphile, aussi habile
à mettre en évidence la méthode et la personnalité d’Origène qu’à fustiger ses adversaires.
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Les Bénédictions des Patriarches
Introduction, texte latin, notes et commentaire par Manlio Simonetti, Traduction de H. Rochais
revue par P. Antin (Le texte = l'édition Corpus Christianorum de Dom Dekkers, 1951)
1968, SCh.
Sour le nom «Bénédictions des Patriarches ou de Jacob», on a désigné le chapitre 49 de la Genèse, où
Jacob, après avoir réuni autour de lui ses fils, leur adresse avant de mourir ses dernières paroles. En milieu
chrétien, ce texte fut interprété très tôt comme une prophétie sur le messie. À la demande de son ami Paulin
de Nole, Rufin composa une interprétation messianique complète des bénédictions, qui nous est parvenue
avec les lettres de Paulin.
ed. M. Simonetti, CC 20
Simonetti (ed.), Opera.,1961, Turnhout, Corpus Christianorum S.L. 20 (traduzioni escluse)
Storia della Chiesa
tr. L. Dattrino, Roma, Città Nuova, 1992 (ed. Th. Mommsen)
Storia di monaci, tr. G. Trettel, Roma, Città Nuova, 1984 (ed. Lemarié Elaix, Turnhoult 1977).
Scritti apologetici, Roma, Citta' Nuova, 2000
Scritti vari, Roma, Citta' Nuova - 2000
Omelie di Basilio di Cesarea. Testo latino a fronte,?, D'Auria M., 1998
Le benedizioni dei patriarchi, Roma, Citta' Nuova, 1995
Studi
Institutum Patristicum Augustinianum- Roma, Patrologia, 3, I padri latini, Marietti 1978, pp. 234-42
(J. Gribomont).
Bettini , Conte, Moreschini-Norelli, 2/2, pp. 445-450.
N. Pace, Ricerche sulla traduzione di Rufino dal "De principiis" di Origene, Firenze, La Nuova
Italia, 1990.
AA.VV., La traduzione dei testi religiosi, a cura di C. Moreschini, G. Menestrina, Brescia,
Morcelliana, 1995.
ICCU per Autore Rufinus, Tyrannius
Basilius: Magnus<santo>, Versione delle omelie di Basilio / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di Carla
Lo Cicero, Roma: \s. n.!, 2002
Pamphilus: Caesariensis, Apologie pour Origene / Pamphile et Eusebe de Cesaree; suivi de Rufin d'Aquilee:
Sur la falsification des livres d'Origene, Paris: Les editions du Cerf, 2002
Note Generali: Trad. francese a fronte
Titolo uniforme: Apologia pro Origene. Comprende:
2 / Pamphile et Eusebe de Cesaree; etude,commentaire philologique et index par
ReneAmacker et Eric Junod
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1 / Pamphile et Eusebe de Cesaree; textecritique, traduction et notes par ReneAmacker et Eric Junod
Rufinus, Tyrannius, Scritti vari / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta nuova; Aquileia:
Societa per la conservazione della Basilica, 2000, Scrittori della chiesa di Aquileia; 5/2
Note Generali: Contiene: La benedizione dei patriarchi; Spiegazione del Simbolo; Storia della Chiesa
Testo orig. e trad. italiana a fronte
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Le benedizioni dei patriarchi / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Maria Veronese,
Roma: Citta Nuova editrice, 1995, Collana di testi patristici; 120
Versione delle omelie di Basilio (I-III) / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di Carla Lo Cicero, Roma:
Universita degli Studi di Roma "La Sapienza". Dipartimento di Filologia greca e latina, 1996
The Church history of Rufinus of Aquileia: books 10 and 11 / translated by Philip R. Amidon, New York;
Oxford: Oxford university press, 1997
Explication du Credo des apotres / Rufin . Expose du Credo / Fortunat; introduction de Manlio Simonetti;
traduction de Francoise Bilbille Gaven et Jean-Claude Gaven; annotations, guide thematique, index de A.-G.
Hamman, Paris: Migne, c1997, Les Peres dans la foi; 68
Storia della chiesa / Rufino; introduzione, traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino
Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1997, Collana di testi patristici; 54
Origenes, [2]: Buch 4-6 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel; zum Druck vorbereitet und gesetzt von
H. J. Frede und H. Stanjek, Freiburg: Herder, 1997, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel;
33
Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes
Le benedizioni dei patriarchi / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Maria Veronese,
Roma: Citta nuova, \1995!, Collana di testi patristici; 120
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Scritti apologetici / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti
Edizione: Nuova ed. riveduta e corretta, Roma: Citta nuova; Aquileia: CSEA, 1999 \i.e. 2000!, Scrittori della
chiesa di Aquileia; 5.1
Scritti apologetici / Rufino di Concordia; a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta nuova; Aquileia: CSEA,
1999, Scrittori della chiesa di Aquileia; 5/1
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Basilius: Magnus<santo>, Versione delle omelie di Basilio: 1.-3. / Rufino di Aquileia; edizione critica a cura di
Carla Lo Cicero, Roma: \s. n.!, 1996 (Roma: S. Pio X)
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma La Sapienza, Dipartimento di filologia greca e
latina
Origenes, [3]: Buch 7-10 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel; aus dem Nachlass herausgegeben von
H. J. Frede und H. Stanjek, Freiburg: Herder, 1998, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel;
34
Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes
Origenes, Homelies sur les Juges / Origene; texte de la version latine de Rufin; introduction, traduction,
notes et index par Pierre Messie, Louis Neyrand, Marcel Borret, Paris: Les editions du Cerf, 1993, Sources
chretiennes; 389
Note Generali: Testo orig. a fronte
2: Rekognitionen in Rufins Ubersetzung / herausgegeben von Bernhard Rehm
Edizione: 2., verb. Aufl. / von Georg Streker, Berlin: Akademie Verlag, c1994
Fa parte di: Die Pseudoklementinen
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Historia monachorum, sive De vita sactorum patrum / Tyrannius Rufinus; herausgegeben von Eva SchulzFlugel, Berlin \ecc.!: W. de Gruyter, 1990, Patristische Texte und Studien; 34
De adulteratione librorum Origenis / Rufinus Aquileiensis; edizione critica a cura di Antonio Dell'Era, L'Aquila:
Japadre, c1983, Collana di testi storici; 15
Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti
Edizione: 3. ed, Roma: Citta nuova, 1993, Collana di testi patristici; 11
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
21: Tyrannii Rufini Aquilensis presbyteri opera omnia quae de de suo elucubravit, collecta, ordinate
disposita, ab alienis sejuncta ... / novissime recensuit, correxit, edidit J.-P. Migne, Turnholti: Typographii
Brepols editores pontificii, 1991, Patrologiae cursus completus sive bibliothecauniversalis, ... omnium ss.
patrum, doctorumscriptorumque ecclesiasticorum; 21
Note Generali: Ripr. dell'ed.: Paris, 1849
Fa parte di: Patrologiae cursus completus sive bibliotheca universalis, integra...
Historia monachorum sive De vita sanctorum Patrum / Tyrannius Rufinus; herausgegeben von Eva SchulzFlugel, Berlin; New York: De Gruyter, 1990, Patristische Texte und Studien; 34
Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta
nuova, \1991!, Collana di testi patristici; 91
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta
Nuova, 1991, Collana di testi patristici; 91
Origenes, Commentaire sur le Cantique des cantiques / Origene; texte de la version latine de Rufin;
introduction, traduction et notes par Luc Bresard, et Henri Crouzel avec la collaboration de Marcel Borret,
Paris: Les editions du cerf, 1991-1992
Comprende: 1 / Origene; introduction, traduction etnotes par Luc Bresard et Henri Crouzel; avecla
collaboration de Marcel Borret
2 / Origene; traduction, notes et index parLuc Bresard et Henri Crouzel; avec lacollaboration de Marcel
Borret
Origenes, [1]: Buch 1-3 / [a cura di] Caroline P. Hammond Bammel, Freiburg: Herder, 1990, Vetus Latina.
Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 16
Fa parte di: Der Romerbriefkommentar des Origenes
Storia di monaci / Rufino di Concordia; traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel, Roma: Citta
Nuova editrice, 1991, Collana di testi patristici; 91
Origenes, Commentaire su le cantique des cantiques / Origene; texte de la version latine de Rufin, Paris:
Les editions du Cerf, 1991-1992
Comprende: 1.: [Livres 1.-2.] / introduction, traductionet notes par Luc Bresard et Henri Crouzel ;avec la
collaboration de Marcel Borret
2.: [Livres 3.-4.] / traduction, notes etindex par Luc Bresard et Henri Crouzel; avecla collaboration de Marcel
Borret
Spiegazione del credo / [Di] Rufino; Traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti
Edizione: 2. ed, Roma: Citta' Nuova, 1987, Collana di testi patristici; 11
Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta Nuova,
c1986 (stampa 1985), Collana di studi patristici; 54
Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova,
\1986!, Collana di testi patristici; 54
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Rufinus, Tyrannius, Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione introduzione e note a cura di Manlio
Simonetti
Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, \1987!, Collana di testi patristici; 11
Basilius: Magnus<santo>, Basili Regula / a Rufino latine versa; quam edendam curavit Klaus Zelzer,
Vindobonae: Hoelder; Pichler; Tempsky, 1986, Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 86
De ieiunio 1., 2.: zwei Predigten uber das Fasten nach Basileios von Kaisareia / Rufin von Aquileia; Ausgabe
mit Einleitung, Ubersetzung und Anmerkungen von Heinrich Marti, Leiden \etc.!: Brill, 1989, Supplements to
Vigiliae Christianae; 6
Note Generali: Testo originale a fronte
Hammond Bammel, Caroline P., Der Romerbrieftext des Rufin und seine Origenes-Ubersetzung / Caroline
P. Hammond Bammel, Freiburg: Herder, 1985, Vetus Latina. Aus der Geschichte derlateinischen Bibel; 10
Note Generali: Con il testo di Rufino
Storia della chiesa / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, Roma: Citta nuova,
c1986, Collana di testi patristici; 54
Origenes, 1: Livres 1. et 2. / Origene; introduction, texte critique de la version de Rufin, traduction par Henri
Crouzel et Manlio Simonetti, Paris: Les editions du Cerf, 1978, Sources chretiennes; 252
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Traite des principes
Spiegazione del Credo / [Di] Rufino; Traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta'
nuova, 1978, Collana di testi patristici; 11
Il salterio di Rufino / edizione critica a cura di Francesca Merlo; commento da Jean Gribomont, Roma:
Abbazia San Girolamo; Citta del Vaticano: Libreria vaticana, 1972, Collectanea Biblica latina; 14
Spiegazione del Credo / Rufino; traduzione, introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Roma: Citta
nuova, \1978!, Collana di testi patristici; 11
Adamantius, Tyrannii Rufini Librorum Adamantii Origenis adversus haereticos interpretatio / eingel., hrsg.
und kritisch kommentiert von Vinzenz Buchheit, Munchen: Fink, 1966, Studia et testimonia antiqua; 1
Les benedictions des Patriarches / Rufin d'Aquilee; introduction, texte latin, notes et commentaire par Manlio
Simonetti; traduction de H. Rochais revue par P. Antin, Paris: Les editions du cerf, 1968, Sources
chretiennes; 140
Note Generali: Testo orig.a fronte
Tyrannii Rufini opera / recognovit Manlius Simonetti, Turnholti: Brepols, 1961, Corpus Christianorum. Series
Latina; 20
Tyrannii Rufini opera
Edizione: Rist. anast, New York \etc.!: Johnson reprint corporation, 1965, Corpus scriptorum
ecclesiasticorum latinorum; 46
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1905
Comprende: 1: Tyrannii Rufini orationum GregoriiNazianzeni novem interpretatio / IohannisWrobelii copiis
usus edidit et prolegomenaindicisque adiecit Augustus Engelbrecht
A commentary on the Apostles creed / Rufinus; translated and annotated by J. N. D. Kelly, New York;
Ramsey: Newman press, c1954, Ancient christian writers; 20
Apologia / Tirannio Rufino; a cura di Manlio Simonetti, Alba: Edizioni Paoline, stampa 1957, Verba seniorum;
6
Note Generali: Testo originale a fronte
Apologia: [testo latino con traduzione italiana a fronte] a cura di Manlio Simonetti, Alba (Cuneo), Verba
seniorum; 6
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240
Tyrannii Rufini orationum Gregorii Nazianzeni novem interpretatio / Iohannis Wrobelii copiis edidit et
prolegomena indicesque adiecit Augustus Engelbrecht, Vindobonae: F. Tempsky; Lipsiae: G. Freytag, 1910,
Corpus scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum; 46
Completato 2005-1900
"Rufino Turranio (Tirannio) - Treccani"
Rufino Tirannio. Scrittore latino cristiano, nato a Concordia Sagittaria, presso Aquileia, verso la metà del sec.
IV. Studiò a Roma, dove conobbe S. Girolamo. Dopo il battesimo, ottenuto nel 371, intraprese un viaggio in
Egitto e visitò i conventi dell'alta valle del Nilo. Stabilitosi ad Alessandria, città in cui era sempre viva la
tradizione del Didascaleion di Clemente e di Origene, studiò le opere di quei maestri sotto la guida di Didimo
il Cieco. Da Alessandria si trasferì poi a Gerusalemme. Qui intervenne nella controversia sorta sulla dottrina
di Origene e si pose contro s. Girolamo.
Per motivi polemici tradusse in latino il De principiis di Origene, ma pare che non si sia mantenuto fedele
all'originale, che è andato perduto. R. fu un fecondo traduttore di testi greci, ma scrisse anche opere
originali, fra cui bisogna ricordare l'Apologia ad Anastasium, nella quale difende le sue teorie e le sue
traduzioni. Morì a Messina verso il 410.
Scheda. Le traduzioni latine di testi greci. A. Hamman
TRADUZIONI LATINE DI TESTI GRECI. Già prima di s. Cipriano (248), la Bibbia è tradotta in latino; questa
versione, detta «africana», è datata senza dubbio alla seconda metà del II sec.; sarà continuamente rivista
fino verso il 400, per adattarla al testo greco alessandrino, in una lingua più colta. Numerosi testi apocrifi
(vangeli, atti, apocalissi; IV Esdra...) hanno accompagnato i libri canonici; le loro tracce sono più sporadiche;
è difficile definire le date delle traduzioni e gli ambienti che esse hanno influenzato. Una lista abbondante è
fornita (VI sec.?) dall'Index de libris non recipiendis (Decretum Gelasianum); i testi sono stati presentati da
Lipsius-Bonnet, ma molti sono stati arricchiti dalle scoperte più recenti. Per es., per il Transitus della Vergine,
A. Wilmart (ST 59, 323-369) e A. Wenger (L'assomption de la T.S. Vierge, Paris 1955, 245-256).
Si è pensato che la comunità di Roma abbia tradotto la I Clementis fin dal II sec. Ci sono due versioni del
Pastore di Erma. Di Policarpo, sono rimasti in latino i cc. 10-14; analogamente per l'Adversus haereses di
Ireneo. Di Clemente di Alessandria restano le Adumb. in ep. cath. (GCS 3), perdute in greco. La grande
epoca delle traduzioni è l'età di Rufino e di Girolamo, che lavorarono soprattutto in Oriente, e che hanno
salvato Origene e altri scrittori che i copisti greci hanno voluto fare scomparire, o almeno hanno lasciato
perire. Gli ariani hanno, dal canto loro, salvato, nello stesso periodo, altre opere di Origene (Commento a
Matteo) e la Tradizione Apostolica d'Ippolito. Sono soprattutto i pelagiani o i simpatizzanti di tale movimento
a essere interessati all'opera di Giovanni Crisostomo o ai Commentari di Teodoro di Mopsuestia.
Alcune omelie di Basilio e di Gregorio di Nazianzo hanno attratto l'attenzione di Rufino, così come
l'Asceticon di Basilio. L'Esamerone dello stesso, dopo essere stato utilizzato da Ambrogio, fu tradotto da
Eustazio.
La letteratura monastica rappresentò un notevole centro d'interesse. Evagrio d'Antíochia e un anonimo
tradussero in latino la Vita di Antonio di Atanasio, subito dopo la sua pubblicazione. Furono tradotti numerosi
scritti minori, mentre visitatori occidentali andavano a cercare informazioni effettuando pellegrinaggi in
Oriente, e taluni «orientali latini» (Cassiano, originario della Scizia) utilizzavano ed elaboravano una vasta
informazione. Verso la metà del VI sec., i diaconi romani Pelagio e Giovanni, futuri papi, hanno tradotto
un'eccellente collezione di Apoftegmi, tesoro a cui anche altri si rifecero. Le controversie con Costantinopoli,
che seguirono il concilio di Calcedonia, portarono a riprendere e migliorare le traduzioni delle raccolte
canoniche bizantine. Ne seguirono parecchie, ed è malagevole orientarsi nei lavori successivi. Occorre
menzionare in particolare Dionigi il Piccolo, scita anche lui, passato al servizio della Santa Sede († verso il
550). Nella stessa epoca, Cassiodoro fa tradurre Crisostomo e altri autori che giudica utili alla sua biblioteca.
Africani, come Facondo di Ermiane, svolgono anche un ruolo di interpreti.
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241
Alla fine del IX sec. Anastasio il Bibiliotecario si mise di nuovo al servizio della curia romana per traduzioni
sistematiche. In Gallia, Giovanni Scoto Eriugena, di cultura irlandese, giunse a tradurre Gregorio di Nissa e
Dionigi Aeropagita. Questi personaggi sono tanto più conosciuti quanto più sono eccezionali. Tuttavia, in
diverse epoche, un buon numero di anonimi si rivelò capace di rendere in latino brani minori, agiografici,
omileticí, ascetici. Non solamente in Italia meridionale le culture si incontravano.
In breve, era una fortuna per uno scrittore greco essere tradotto in latino, in quanto le traduzioni sono mezzi
indispensabili di mediazione culturale. Del resto il Medioevo latino cita e conosce solo gli autori greci tradotti
in latino. Inoltre Rufino, Girolamo e altri non solo hanno fatto conoscere i Greci, ma spesso hanno salvato le
loro opere. Le versioni latine, antiche e letterali, sono spesso eccellenti testimonianze dell'originale, e
importanti per la trasmissione del testo.
P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Paris 1948 2 (tr. ingl. Cambridge, Mass., 1969); et al. … J.
Gribornont, Patrologia III, 188-203 (bibl.).
A. Hamman, s.v. Traduzioni latine di testi greci, in DPAC, 2, col. 3503-05.
Cromazio di Aquileia
Cenni biografici
Nacque intorno al 335-40 da una famiglia cristiana particolarmente devota. Nel 370 diventò
sacerdote e nel circolo ascetico di Aquileia fu guida spirituale di Rufino e Girolamo, che gli
indirizzarono alcune loro opere e tra cui cercò di riportare l’amicizia dopo numerose polemiche.
Presenziò al Concilio di Aquileia del 381 dove sostenne le posizioni di Ambrogio contro gli ariani.
Nel 388, consacrato da Ambrogio, diventò vescovo di Aquileia succedendo a Valeriano e
distinguendosi per la sua attività pastorale e di cura dei luoghi sacri.
Morì tra il 407 e 408.
Opere
Catechesi al popolo.
Sono sermoni o omelie. Ne sono state scoperte di recente circa una quarantina, alcune delle quali
frammentarie, in forma di catechesi al popolo.
Costituito da 60 omelie è anche il Tractatus sul vangelo di Matteo, da collocare intorno alcirca
407-08. Piuttosto netta l’utilizzazione dei procedimenti dell’esegesi allegorica origeniana,
caratterizzata fortemente in senso allegorico, talvolat con molteplici interpretazioni spirituali di uno
stesso passo.
Testi e testimonianze
Bibliografia
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Edizioni
O.o.
R. Etaix, J. Lemarie, Corpus Christianorum Lat. 9A, Turnholt, Brepols, 1957, 1974
Sermons, I Sermons 1-17 A Intr. ed. e note J. Lemarié, o.s.b., trad. H. Tardif, Paris,1969, Sources
chretiennes; 154
Tachygraphiés pendant la prédication, les sermons témoignent du souci de Chromace d’être un bon pasteur
de ses fidèles. Dans un style paisible et équilibré, Chromace traite des questions de la christologie, de
l’ecclésiologie et de la vie chrétienne.
Ces sermons, édités pour la première fois, sont attribués à Chromace, évêque d’Aquilée, d’après des
recherches pointues sur les manuscrits.
Catechesi al popolo. Sermoni., tr. G. Cuscito, Roma, Città Nuova, 1979, 19892. (ed. J. Lemari, R.
Elaix, Turnhout 1977), Collana di testi patristici; Roma-Gorizia, 2004, Scrittori della chiesa di
Aquileia; 4/1
Sermoni liturgici, trad. e note di M.Todde, Alba, Paoline, 1982,1999,
Sermoni, Intr., trad. note e indici G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova,
1989, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi all'edizione di tutte le opere
disant'Ambrogio; 3.1
Commento al Vangelo di Matteo
tr. it. G. Trettel, Roma, Città Nuova, 1984. (ed. J. Lemari, R. Elaix, Turnholt 1977).
Intr., trad. note e indici G. Banterle, Milano, Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1989,
Scrittori dell'area santambrosiana. Complementi all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.2
Studi
Pasian M. V., Il cristiano secondo Cromazio di Aquileia , ?, Segno - 2001
ICCU per Soggetto
Cuscito, Giuseppe, Cromazio di Aquileia, 388-408, e l'eta sua: bilancio bibliografico-critico dopo l'edizione
dei Sermones e dei Tractatus in Mathaeum / Giuseppe Cuscito, [Aquileia]: Associazione nazionale per
Aquileia, 1980
Corgnali, Duilio, Il mistero pasquale in Cromazio d'Aquileia / Duilio Corgnali, Udine: La nuova Base, stampa
1979
Chromatius episcopus, 388-1988, Udine: Arti grafiche friulane, 1989, Antichita altoadriatiche
Note Generali: Atti delle giornate di studio tenute ad Aquileia dal 23 al 25 settembre 1988 per il 16.
centenario dell'elevazione all'episcopato di San Cromazio, vescovo di Aquileia
Trettel, Giulio, L' hodie di Cristo nella celebrazione della Chiesa / Giulio Trettel, Udine: Deputazione di Storia
patria per il Friuli, 1991
Estr. da: Memorie storiche forogiuliesi, vol. 71, 1991.
Soggetti: Cromazio <santo> - Concetto di liturgia
Pasian, Maria Violetta, Convertitevi e credete al Vangelo: il cristiano secondo Cromazio di Aquileia: citazioni
dall'insegnamento pastorale / Maria Violetta Pasian, Udine: Segno, [2000]
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
243
Cian, Vittorio, L' anno liturgico nelle opere di s. Cromazio di Aquileia / Vittorio Cian; prefazione di Pelagio
Visentin; a cura di Pietro Zovatto, Trieste: [s. n.], 1996 (Trieste: Fonda grafiche multimediali), Centro studi
storico-religiosi Friuli-VeneziaGiulia
Trettel, Giulio, Mysterium e sacramentum in s. Cromazio / Giulio Trettel; con presentazione e bibliografia di
Pietro Zovatto, Trieste: s. n., 1979 (Cittadella: Bertoncello), Centro studi storico-cristianiFriuli-Venezia-Giulia
ICCU per Autore Cromatius : Aquileiensis<santo>
Catechesi al popolo: Sermoni / [Di] Cromazio di Aquileia; Traduzione, introduzione e note a cura di Giuseppe
Cuscito, Roma: Citta' Nuova, 1979, Collana di testi patristici; 20
Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio R. Etaix & J. Lemarie, Turnholti: Brepols, 1974, Corpus
Christianorum. Series Latina; 9A
Sancti Chromatii episcopi aquileiensis scripta, sive opuscula, quae supersunt; additis binis epistolis, eidem
olim ad Sancto Heliodoro Altinati affictis. Accedunt praeter praefationem, et alia quaedam, duorum illustrium
virorum, Iusti Fontanini archiepiscopi ancyrani, et Bernardi Mariae de Rubeis ordinis praedicat., de eodem
sancto aquilejensi praesule lucubrationes, ex eorum operibus depromptae, Utini: typis Pecilianis, 1816
Fontanini, Giusto<1666-1736>
De Rubeis, Bernardo Maria<1687-1775>
Chromatij doctissimi episcopi Romani In 5. & 6. caput Matthaei dissertatio, atque in eodem genere
declamatio. Quae nunc primum sunt & eruta, & in lucem edita, Basileae: Per Adamum Petrum, mense martio
1528 (excudebat Adamus Petrus)
Sul Natale del Signore / Cromazio, [S.l.: s.n.], 1982 (Verona: Fiorini)
Descrizione fisica: [12] c.: ill.; 25 cm, Parole per Natale
Note Generali: Testo originale in calce
Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione introduzione e note a cura di Giuseppe
Cuscito, Roma: Citta nuova, 1979, Collana di testi patristici; 20
Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione, introduzione e note a cura di Giuseppe
Cuscito
Edizione: 2. ed, Roma: Citta nuova, 1989, Collana di testi patristici; 20
Parole per Natale: sul Natale del Signore / Cromazio, ?Verona?: Cassa di risparmio di Verona Vicenza e
Belluno, 1982
Descrizione fisica: ?12? c.: ill.; 25 cm (( Testo orig. in calce .
Commento a Matteo / san Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle,
Milano: Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1990, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi
all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.2
Prediche di Natale / \scritti di! Cromazio ... \et al.!; \a cura di Rienzo Colla!, Vicenza: La locusta, 2001
I sermoni / san Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione, note e indici di Gabriele Banterle, Milano:
Biblioteca Ambrosiana; Roma: Citta nuova, 1989, Scrittori dell'area santambrosiana.Complementi
all'edizione di tutte le opere disant'Ambrogio; 3.1
Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio R. Etaix & J. Lemarie, Turnholti: Brepols, 1974, Corpus
Christianorum; 9A
Note Generali: Testo aggiunto: Spicilegium ad Chromatii Aquileiensis opera / cura et studio J. Lemarie & R.
Etaix.- P. 609-660
Sermons / Chromace d'Aquilee, Paris: Les editions du Cerf
Note Generali: Testo latino a fronte
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Comprende: 2: Sermons 18-41 / Chromace d'Aquilee; textecritique, notes et index par Joseph Lemarie ;
traduction par Henri Tardif; 1: Sermons 1-17 A / Chromace d'Aquilee ;introduction, texte critique, notes
parJoseph Lemarie; traduction par Henri Tardif
Commento al Vangelo di Matteo / Cromazio di Aquileia; traduzione, introduzione, note a cura di Giulio
Trettel, Roma: Citta nuova, 1984
Comprende: 1: Trattati 1-37 / Cromazio di Aquileia
2: Trattati 38-59 / Cromazio di Aquileia
Catechesi al popolo: sermoni / Cromazio di Aquileia; traduzione introduzione e note a cura di Giuseppe
Cuscito, Roma: Citta Nuova editrice, 1979, Collana di testi patristici
1: Sermons 1-17 A / Chromace d'Aquilee; introduction, texte critique, notes par Joseph Lemarie; traduction
par Henri Tardif, Paris: Les editions du Cerf, 1969, Sources chretiennes; 154
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Sermons
Fortunatianus<vescovo Di Aquileia>, Commenti ai Vangeli / Fortunaziano, vescovo di Aquileia; a cura di
Giulio Trettel . Sermoni / Cromazio, vescovo di Aquileia; introduzione a cura di Joseph Lemarie e Giulio
Trettel; traduzione e note a cura di Giuseppe Cuscito, Roma: Citta Nuova; Gorizia: Societa per la
conservazione della Basilica di Aquileia, 2004, Scrittori della chiesa di Aquileia; 4/1
Testo originale a fronte
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Sermoni liturgici / Cromazio di Aquileia; introduzione, traduzione e note a cura di Mauro Todde, Roma:
Edizioni paoline, \1982!, Letture cristiane delle origini. Testi; 18
Simonetti-Prinzivalli, p.810.
Nato da una famiglia tutta consacrata all'ascesi, era prete intorno al 370 e fu guida spirituale del circolo
ascetico di Girolamo e Rufino (Ruf., Apol. I, 4). Fu accanto al vescovo Valeriano al concilio di Aquileia del
381, convocato da Ambrogio per condannare l'arianesimo occidentale. Nel 388 divenne il successore di
Valeriano, e fu consacrato da Ambrogio: in questa veste incrementò il prestigio della sede con inte nsa
attività pastorale ed edilizia.
Destinatario di opere di Girolamo e poi anche di Rufino, cercò di mettere pace fra i due, ma solo Rufino gli
diede ascolto, scegliendo a un certo punto il silenzio di fronte agli attacchi geronimiani. Difese Giovanni
Crisostomo presso Onorio e Arcadio dopo il Sinodo della Quercia (403). Morì nel 407, alla vigilia della
seconda discesa dei Goti di Alarico.
Fu un'importante personalità letteraria del cristianesimo occidentale della seconda metà del iv secolo: la
sua produzione costituisce in larga parte una scoperta recente degli studi patristici. Le omelie sinora note
di Cromazia sono 45 (alcune frammentarie). A queste si aggiunge una trattazione sistematica sul vangelo
di Matteo fino al cap. 18, composta verso la fine della vita, per un totale di circa 60 omelie. Cromazio
preferisce interpretare il NT piuttosto che 1'AT, giovandosi dei procedimenti dell'esegesi allegorica
origeniana, fra cui, per es., la possibilità di molteplici interpretazioni spirituali di uno stesso pas so.
CROMAZIO di Aquileia. Dal 370 ca. fu membro del clero di Aquileía, uno dei più importanti nodi di transito
tra Oriente ed Occidente. Come stretto collaboratore del vescovo Valeriano prese parte ad un sinodo locale,
che nel 381, sotto la direzione di Ambrogio, condannò il cosiddetto arianesimo occidentale (Illvricum). Nel
387 divenne vescovo di Aquileia. In tale carica sviluppò una vivace attività pastorale e si impegnò inoltre per
la pace della chiesa. In pari modo agì nella controversia fra il suo vecchio amico Rufino e Girolamo e nella
questione di Giovanni Crisostomo. Prima della morte, nel 407, dovette sperimentare i terrori dell'invasione
gotica. La sedimentazione scritta delle sue numerose prediche è stata rivelata solo recentemente.
Comprende più di 40 Sermoni e 60 Omelie sul vangelo di Matteo, dove segue per lo più un'esegesi letterale
e si attiene ai grandi Padri latini. In seguito alla scoperta della considerevole eredità scritta, c'è stata una
grande quantità di studi che si occupano della sua persona, del metodo esegetico e dei riferimenti alla
liturgia di Aquileía.
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(C.fr. CPL 217 ss., incompleto): A. Hoste, CC.L 9 (1957), 371-447; R. Etaix & J- Lemarié, CCL 9A (1974), 9A
suppl. (1977) (cfr. J. Doignon, RSI'h G [1979], 241-250). Dal 1960 diversi studi (cfr. CCI, 9A, VIII ss.; SCh
164, 115-120): J. Lemarié, Italie. Aquilée: DSp 7, 2162- 2165; D. Corgnali, Il mistero pasquale in Cromazio di
Aquileia, Udine 1979; G. Trettel, Mysterium et sacramentum in s.C., Trieste 1979; G. Cuscito, Cromazio di A.
e l'età sua, 1980; B. Studer, Patrologia III, BAC 422, Madrid 1981, 697 ss.
B. Studer, s.v. Cromazio di Aquileia, in DPAC, 1, col. 867.
Niente Conte, Bettini solo cenni. Niente Riposati. Moreschini-Norelli, 2/1, p.402.
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S. Agostino
Cenni biografici
Agostino nasce a Tagaste, l'attuale Souk Ahras, in Algeria, il 13 novembre 354.
La famiglia non è particolarmente facoltosa, anche se il padre è membro del consiglio municipale.
Mentre questi si convertirà solo prima di morire, la madre Monica è fervente cristiana ed educa il
figlio in tal senso fin da tenera età.
I primi studi vengono condotti a Tagaste, poi a Madaura, infine, nel 371, a Cartagine.
Qui la lettura entusiastica dell'Hortensius di Cicerone lo porta a nuovi interessi filosofici e religiosi.
Nel 373 Agostino aderisce al Manicheismo, l’eresia di cui resta in seguito diventerà strenuo
combattente, ma che per circa nove anni lo attrae soprattutto per i presupposti metodologici e
metafisici: razionalismo, materialismo, dualismo e ne fa di fatto un deciso anticattolico. Nel
frattempo convive con una donna, dalla quale ha un figlio, Adeòdato.
Nel 374 rientra per breve tempo a Tagaste, ove insegna grammatica, poi rientra a Cartagine, ove
insegna retorica, quindi, nel 383, parte per Roma. I suoi interessi culturali lo hanno spinto nel
frattempo ad approfondire la filosofia scettica degli Accademici.
Grazie all'appoggio di Q. Aurelio Simmaco ottiene, nel 384, di trasferirsi, come insegnante di
retorica e pubblico oratore, a Milano. Qui lo raggiunge anche la madre; mentre non ha seguito un
tentativo di sposare la madre di Adeodato, Agostino vive con un'altra donna.
A Milano conosce Ambrogio, ne diventa fedele ascoltatore (forse le prediche sull’Esamerone, su
Isacco e l’anima e Il bene della morte) ed è fortemente attratto dalla interpretazione allegorica delle
Sacre scitture del vescovo.
Nel settembre del 386, dopo la frequentazione di un circolo neoplatonico e letture di Plotino,
Porfirio e S. Paolo che molti giudicano fondamentali per la sua conversione, Agostino lascia
l'insegnamento e si ritira a Cassiciaco, nelle prealpi lombarde, con la madre Monica, il figlio e il
fedele amico Alipio, nella villa di un conoscente, Verecondo.
Appartengono a questo periodo il Contra Academicos, il De vita beata, il De ordine.
L'anno successivo Agostino torna a Milano, dove viene battezzato da Ambrogio. Decide quindi di
ripartire per l'Africa, ma nel corso del viaggio la madre muore. A. ritarda di un anno la partenza per
l’Africa e compone il De moribus Ecclesiae catholicae e il De quantitate animae.
A Tagaste, dove conosce il futuro vescovo di Cartagine, Aurelio, fonda una comunità religiosa. Il
risultato delle conversazioni del tempo verranno raccolte nel De diversis quaestionibus, la cui
composizione si protrarrà fino al 396.
Nel 391, nel corso di una sua visita a Tagaste viene ordinato sacerdote e ottiene dal vescovo di
fondare un monastero. Nel 395 (secondo altri nel 396) viene eletto vescovo della stessa città: la
nuova carica lo vede sempre più impegnato nella pastorale della parola, nella cura dei poveri, nella
formazione del clero e nell’organizzazione di monasteri, quanto in polemiche e lotte contro sette ed
eresie, soprattutto quelle donatista, pelagiana e manichea. Fu partecipe attivo, anche in tal senso,
a molti concilii della Chiesa africana.
Morì nel 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali di Genserico.
Opere
Importante, per un bilancio fatto dall’autore stesso delle proprie opere a tutto il 429, l’epistola 224 a
Quodvultdeus: circa 200 senza contare le Lettere e le Omelie.
Possidio, che stette presso A. come familiare, e scrisse una Vita Augustini, parla in un suo Indiculus, di
1030 scritti, alcuni dei quali verosimilmente perduti o raggruppabili in raccolte.
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93 trattati in 232 libri.
Circa una decina di queste opere non ci sono pervenute. Ricontrolla ad esempio quanto detto in
opere polemiche e decidere se creare un gruppo a sè.
Alcune delle opere sono state raccolte e pubblicate tra le lettere.
Suddivisione in gruppi e presentazione elenco gruppi
Per comodità di esposizione si individuano di seguito sei gruppi: opere autobiografiche, opere
filosofiche, opere apologetiche, opere polemiche contro le eresie, opere dottrinali, opere pastorali e
di catechesi. A conclusione, si trattano a parte la raccolta omiletica e l’epistolario.
Opere autobiografiche
Confessionum libri XIII. Composte tra il 397/98 e il 401.
Retractationes 426-27
Sono un’opera fondamentale per lo studio delle opere agostiniane, soprattutto per quanto attiene
le loro motivazioni. Rappresentano la fase estrema di un processo di riflessione sulla propria
attività che continua idealmente quanto raccolto nelle Confessioni.
Opere filosofiche
Nelle principali edizioni sono definite complessivamente con il termine di Dialoghi: risalgono al
periodo compreso tra la conversione e l’ordinazione sacerdotale, nei soggiorni a Cassiciaco,
Milano, Roma e a Tagaste.
I prologhi di quelli composti a Cassiciaco sono, assieme alle Confessioni, tra le fonti più
interessanti per la biografia di A..
Contra Academicos libri III (De Academicis). Composto a Cassiciaco tra il 386 e il 387. Raccoglie
una confutazione dello scetticismo degli Accademici: l’uomo può conoscere la verità. OK
De vita beata liber I (De beata vita). Composto a Cassiciaco tra il 386 e 387, raccoglie il resoconto
di un dialogo in cui si dimostra che la felicità consiste nella conoscenza di Dio. OK
De ordine libri II. Tema dichiarato è l’ordine dell’universo e il significato del male. OK
Soliloquiorum libri II, incompiuti. Due i temi fondamentali: le condizioni richieste per conoscere Dio
e l’immortalità dell'anima. Il secondo sarà sviluppato da A. nel De immortalitate animae.
Il termine soliloquia è usato per la prima volta proprio da Agostino. OK
De immortalitate animae liber I. Sotto questo titolo sono trasmessi appunti destinati a completare il
De ordine. Essi sono stilati a Milano, prima del battesimo. OK
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De quantitate animae liber I (o in tre libri? Controllo). Composto a Roma intorno al 387-388 sotto
forma di dialogo con l’amico Evodio. E' un'ulteriore trattazione sul tema dell'anima e in particolare
sulla graduale ascensione alla contemplazione. OK
De libero arbitrio libri III. Composti tra Roma e Ippona in un arco di tempo compreso tra il 387 e il
395. Tema principale è l’origine del male, trattato anche nelle sue implicazioni relative alla libertà,
alla legge morale, all’esistenza di Dio e alla sua prescienza. L’opera è importante per lo sviluppo
delle teorie agostiniane su questi argomenti in relazione alla polemica pelagiana. OK.
De magistro liber I. Composto a Tagaste tra il 388 e 391. In questo dialogo con Adeodato A.
dimostra che non può essere vero maestro se non chi insegna a conoscere Dio. Forti gli influssi
neoplatonici. Di particolare interesse le osservazioni sul rapporto tra parola e cosa.
OK
De musica libri VI.. I primi quattro libri e la prima parte del quinto scritti a Milano (387-88), il
completamento del quinto e il sesto a Tagaste (388-91). E’ un trattato sul ritmo, che doveva essere
integrato secondo le intenzione dell’autore da un altro sulla melodia. Contiene anche una
trattazione di prosodia e metrica. OK
De grammatica. Perduto. Composto nello stesso periodo del precedente. Furono le sole due parti
completate di un'enciclopedia delle arti liberali, dal titolo (?) Disciplinarum libri. Il riferimento ideale
è a Varrone.
Opere apologetiche
De civitate Dei, ante 413-427, 22 libri
Le notizie più importanti sulla genesi e sulla struttura dell’opera le fornisce Agostino stesso in
un’epistola a Firmio e nelle Retractationes.
Si possono identificare all’interno dell’opera due parti distinte; la prima (libri I-IX) è dedicata alla
confutazione della tesi pagana secondo cui il culto politeista è necessario e alla sua proibizione
sono da ascriversi i mali presenti. La seconda parte (libri XI-XXII) è tesa a dimostrare che la
religione cattolica è l’unica a condurre l’uomo alla liberazione, riportando la vicenda terrena
all’interno di una storia di salvezza. L’opposizione fondamentale tra le due parti può essere vista
come quella tra l’orgoglio e il senso di autosufficienza pagano, che colloca l’uomo al centro del suo
universo religioso e gli preclude di accogliere l’intervento di Cristo, e l’umiltà cristiana, che vuole
Dio creatore dell’uomo e che sostiene che l’uomo non può non avere in Dio il proprio fondamento e
la propria giustificazione ultima.
Articolazioni più particolari sono quelle identificate da specifici gruppi di libri. Così:
Libri I-V. Il paganesimo è incapace di offrire all’uomo fortuna e prosperità sul piano temporale.
Libri VI-X. Il politeismo non è neppure in grado di assicurare, dopo la morte, salvezza e felicità che
sono possibili solo con la mediazione di Cristo.
Libri XI-XIV. Le due città, quella umana e quella divina, sono due comunità di culto che si
distinguono per la scelta di vita che le caratterizza anche nel rapporto tra uomo e Dio: quella
cristiana accetta la natura dell’uomo come creatura di Dio, quella pagana no.
Libri XV-XVIII. Sviluppo storico delle due città dall’inizio dell’umanità alla venuta di Cristo.
Libri XIX-XXII. Descrizione del fine ultimo cui ciascuna delle due città tende.
Molti dei mali che affliggono il mondo romano si sono manifestati già prima dell’avvento del
Cristianesimo.
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La religione pagana stessa non è stata anche per questo motivo apportatrice di bene. Essa è
contraddittoria e ambigua in sé e priva di un supporto teologico. Inoltre ha favorito il diffondersi di
riti e spettacoli che hanno contribuito allo scardinamento della morale pubblica, quindi della stessa
società.
Il Cristianesimo, al contrario, che ha al proprio fondamento l’amore per il prossimo oltre che quello
per Dio, mira a instaurare la giustizia tra gli uomini.
La storia romana è stata contraddistinta da una serie continua di guerre: essa è incarnazione
chiara della città terrena, di cui ingiustizia e imperialismo sono manifestazioni evidenti. Del resto è
stata la divina provvidenza, non certo il fato né il paganesimo che hanno consentito a Roma di
espandersi.
La storia è segnata dalla presenza della città di Dio: al suo interno è attiva quindi una intenzionalità
che va ben al di là dei puri e semplici eventi.
Per quanto attiene la religione vi sono due istanze contraddittorie, quella popolare, tesa a una
concezione politeista, quella dei filosofi, con una concezione più o meno monoteista.
In dettaglio sono identificabili, sulla scorta di Varrone, tre tipi di visione teologica: quella mitica o
fabulosa, quella politica o civile e quella fisica o naturale. Solo quest’ultima, propria dei filosofi, ha
valore per Agostino, in particolar modo quella neoplatica, affine a quella cristiana per quanto
riguarda l’immortalità dell’anima, la trascendenza di Dio e il ruolo della provvidenza nel mondo.
Limite essenziale, quello di non identificare la via per raggiungere la felicità eterna e di ricorrere in
tal senso (Apuleio ed Ermete Trismegisto) ai demoni, sorta di intermediari imperfetti tra Dio egli
uomini, e alla magia, fondata sostanzialmente sulla suggestione.
Il vero mediatore tra l’uomo e Dio è Cristo: questi, pur essendo Dio, si è fatto uomo. L’uomo che
vuole raggiungere la felicità eterna cioè Dio stesso, deve seguire l’esempio di Cristo e riproporne
l’esempio in terra. La Chiesa cristiana è il tal senso il sacrificio totale dell’umanità: il vero cristiano
si consacra a Dio, lo ama, vive in comunione con lui, ma per vivere in lui, muore al mondo. La
speranza della felicità eterna è il criterio di interpretazione della vicenda storica.
Il mondo pagano è considerato in funzione di un suo progressivo avvicinamento alla religione
cristiana.
L’uomo può tornare a Dio, dal quale si è distaccato con il peccato, immergendosi nella propria
interiorità e recuperando la propria dimensione di creatura di Dio; in ciò risiede la conversione
all’umiltà che Agostino chiede al mondo pagano.
La città terrena stessa, del resto, è buona di natura ma perversa nel volere: il costituirsi stesso e la
distinzione tra le due città deriva in effetti dalla ribellione di alcuni angeli.
Il male deriva dalla libera volontà dell’uomo, non da Dio. Connesso alla natura del male è il
concetto di mortalità stessa dell’uomo, quella fisica del corpo, che riguarda tutti, e quella dell’anima
dei peccatori, che coincide con la dannazione eterna.
Lo spirito umano è comunque portato dall’amore: questo è il peso stesso che porta l’anima al
luogo che più le è consono. L’amore stesso ha dato luogo alle due città: quello per sé, che porta
all’indifferenza per Dio, ha originato la città terrena; quello per Dio, che conduce all’indifferenza per
sé, ha originato la città celeste.
Le due città hanno uno sviluppo storico, ciascuna in sei epoche, secondo uno schema diffuso in
ambiente patristico e che ricalca il modello dei sei giorni della creazione.
Le due città si vanno configurando per Agostino nell’epoca che va da Adamo a Noè, la prima
epoca dello sviluppo storico. La seconda epoca copre il periodo che va fino ad Abramo, la terza si
conclude al tempo di Davide, la quarta con l’esilio di Babilonia, la quinta con l’incarnazione di
Cristo, la sesta con la sua parusia.
I fini delle due città.
In virtù della promessa della salvezza offerta da Cristo, la storia si delinea come un cammino verso
l’eternità.
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Il Sommo bene non consiste, come per i filosofi pagani e anche per i neoplatonici, nella felicità
terrena, ma nella vita beata, cioè nella contemplazione e nel godimento di Dio, possibile solo
nell’eternità. E’ solo in questo stato di pace eterna che l’uomo raggiunge la propria perfezione.
Opere polemiche contro le eresie
Polemica antimanichea:
De libero arbitrio, 3 libri. Composto 387-88 (secondo Moreschini completato dopo il 391). Le origini
del male derivano dal libero arbitrio. La libera volontà umana è intrinsecamente buona e non è
costretta al male ab origine, come sostengono i Manichei. In realtà la volontà è un bene
intermedio, perché può volgersi anche al male. L’uomo con l’aiuto di Dio può però risollevarsi dal
male.
Soprattutto il terzo libro, tuttavia, è legato alla teoria paolina della predestinazione, fatto questo che
sarà rimproverato ad A. dai Manichei.
De moribus Ecclesiae catholicae (et de moribus Manichaeorum) libri II. Moreschini tiene distinti De
moribus Ecclesiae catholicae e De moribus Manichaeorum.
Composti a Roma intorno al 387-88. E’ la prima opera apologetica di Agostino dopo la
conversione.
De moribus Manichaeorum: A. rileva l’atteggiamento sprezzante dei Manichei nel considerarsi
eletti rispetto ai Cristiani; ma la loro dottrina è insostenibile e la loro vita è incoerente.
De Genesi contra Manichaeos. Composto ca. 389 a Tagaste. Raccoglie un’analisi dei dubbi
manichei sulla creazione. Viene utilizzata una lettura allegorica dei primi tre capitoli della Genesi.
Acta contra Fortunatum Manichaeum. E' il resoconto di una disputa contro l'eresia manichea e un
suo famoso rappresentante tenuta nel 392 ad Ippona. Soggetto principale la tesi che il male deriva
dal libero arbitrio.
Contra Faustum Manichaeum libri XXXIII. Composto negli anni 397-98. E’ una difesa puntuale di
Antico e Nuovo Testamento contro le tesi manichee esposte appunto da Fausto
De natura boni contra Manichaeos liber I. Composto 399. Tesi principale è che tutte le cose,
essendo create da Dio, buono per essenza, sono buone. Il male è un defectus boni.
Contra Secundinum Manichaeum liber I. Composto nel 399, trasmette la risposta a un manicheo
che lo esortava a lasciare il cattolicesimo e tornare al manicheismo.
Contra Felicem Manichaeum (De actis cum Felice Manichaeo). Raccoglie il resoconto della
disputa tenuta nel 404 con Felice sull'immutabilità di Dio, sulla libertà come principio del male e
sulla redenzione.
Contra Adimantum Manichaei discipulum liber I. Soluzione di alcune contraddizioni tra Vecchio e
Nuovo Testamento sollevate dal manicheo Adimanto, che pretende vi sia una sostanziale
opposizione tra A. e N.T.. Composto tra il 391 e il 396. Trapè lo colloca al 392.
Contra epistolam Manichaei quae vocant Fundamenti liber I. Composto all’inizio dell’episcopato,
raccoglie la confutazione del dualismo manicheo, facendo riferimento a una specie di catechismo
dei manichei stessi.
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De duabus animabus liber I, del 392. Le due “anime” sono quelle previste dai manichei: una di
esse deriverebbe da un principio buono, la seconda da un principio cattivo. A. sostiene che l’anima
è unica e dotata di libero arbitrio; da questo deriva il male.
Riferimento al De vera religione, riportato sotto Opere dottrinali.
Polemica antipelagiana:
De gratia et libero arbitrio liber I. Composto nel 426, indirizzato ai monaci di Adrumeto, dimostra su
basi scritturistiche come possano coesistere grazia e libero arbitrio.
De natura et gratia liber I. Composta tra 413 e il 415. E’ in risposta al De natura di Pelagio. Vi si
sostiene che la grazia libera e sana la natura.
De gestis Pelagi liber I. Composto nel 417, è un esame degli atti del sinodo di Diospoli del 415
contro il pelagianismo.
De gratia Christi et de peccato originali libri II. Composto nel 418, è la confutazione della dottrina di
Pelagio e di Celestio sulla grazia e il peccato originale.
Contra duas epistulas Pelagianorum libri IV. Composti nel 422 e indirizzati a papa Bonifacio,
intermediario presso di lui delle lettere di Giuliano di Eclano e dei vescovi che si erano rifiutati di
sottoscivere la Tractoria di papa Zosimo. Agostino si difende dalle accuse di negare il libero
arbitrio, condannare il matrimonio, svalutare il battesimo e far rivivere il manicheismo.
De nuptiis et concupiscentia libri II. Composti tra il 419 e il 420 in due fasi e indirizzati, a Giuliano di
Eclano in merito alle accuse da questi mossegli in merito al matrimonio e alla concupiscienza.
Contra Iulianum libri VI. Composto secondo alcuni nel periodo 423-26, secondo altri intorno al 421
come replica alla risposta di Giuliano in 4 libri al primo del De nuptiis et concupiscentia. Può essere
considerata l’opera più importante della controversia pelagiana. tratta del peccato originale, del
matrimonio, del battesimo dei bambini. Giuliano di Eclàno (?).
De praedestinatione sanctorum; De dono perseverantiae. Indirizzati nel 429 a Prospero e Ilario che
lo informavano dello scompiglio creato tra i monaci di Marsiglia dai suoi De gratia et libero arbitrio
e De correptione e gratia. Ai monaci che più tardi si identificheranno come semipelagiani Agostino
ribatte che l’inizio della fede e la perseveranza nel bene sono dono di Dio e non solo conseguenza
del libero arbitrio.
Contra Iuliani responsionem, incompiuto, 430
De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad Marcellinum libri 3, composta
nel 412. E’ opera fondamentale perché espone la prima teologia biblica della redenzione e del
peccato originale, quindi della necessità del battesimo. Per osservare i comandamenti di Dio è
necessaria la Grazia.
Polemica antidonatista:
Psalmus contra partem Donati. Composto nel 393 o 394. Da un punto di vista contenutistico può
considerarsi una parafrasi o riassunto dell’opera di Ottato di Milevi (CONTROLLO).
Formalmente è costituito da un prologo, cui seguono venti strofe di 12 versi ciascuna, in ordine
alfabetico dalla A alla V, accompagnate da ritornello. Epilogo di trenta versi. In prosa ritmica.
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Contra Epistulam Parmeniani libri 3. Composto nel 400 ca.. E’ la prima grande opera sulla
controversia donatista. Vi si dimostra che nella unità della Chiesa cattolica i cattivi non
contaminano i buoni.
De baptismo contra Donatistas libri VII. Composto nel 401, è fondamentale per la dimostrazione
della validità del battesimo amministrato dagli eretici.
De unitate Ecclesiae liber I (Epistula ada catholicos de secta Donatistarum). Contemporaneo al De
baptismo. Ribadisce la tesi che la vera chiesa di Cristo è la Chiesa universale.
Contra litteras Petiliani libri III. Composto tra il 401 e il 405, secondo altri sotto il pontificato di papa
Anastasio (398-401). Raccoglie un’ulteriore confutazione dello scisma donatista rispondendo a
Petiliano, vescovo donatista di Cirta.
Contra Cresconium grammaticum libri IV. Composta nel 405, è una difesa dell'opera precedente in
elenco. Cresconio aveva assunto la difesa di Petiliano.
De unico baptismo contra Petilianum liber I. Composto nel 410 o 411, raccoglie la confutazione di
un libro di Petiliano con titolo omologo.
Post collationem contra Donatistas liber I. E' un appello ai Donatisti contro i loro vescovi, dopo la
conferenza del 411, perché tornino alla Chiesa cattolica.
De correctione Donatistarum liber I. Corrisponde all’Epistola 185, scritta nel 417 in difesa delle
leggi imperiali contro i Donatisti.
Gesta cum Emerito (donatista) episcopo. Resoconto di una conferenza del 418 con il vescovo
donatista Emerito.
Contra Gaudentium Donatistarum episcopum libri II. Composto nel 421-22, raccoglie la risposta a
due lettere del vescovo di Tamugadi. E’ l’ultima opera in senso cronologico contro i Donatisti.
Sono andate perdute diverse opere antidonatiste: Contra Epistulam Donati haeretici (394); Contra
partem Donati (396); Contra quod attulit Centurius a Donatistis; Probationum et testimoniorum
contra Donatistas; Admonitio Donatistarum de Maximianistis; Ad Emeritum Donatistarum
episcopum post collationem.
Polemica antiariana
Contra sermonem Arianorum liber I. Composto nel 418 in risposta a un discorso anonimo di parte
ariana. Dimostra la consostanzialità delle Persone divine.
Collatio cum Maximino Arianorum episcopo. E’ il testo di una conferenza con il vescovo ariano
Massimino tenutasi ad Ippona, forse intorno al 427.
Contra Maximinum Arianum libri II. Collegato al precedente, ribatte ad alcune presunte
confutazioni da parte di Massimino stesso.
Altre
Ad Orosium contra priscillanistas et origenistas liber I. E’ la breve risposta inviata ad Orosio nel
415 su alcuni punti dottrinali dei Priscillanisti e degli Origenisti.
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Tractatus adversus Iudaeos. Raccoglie una spiegazione della paolina ai Romani, 11,22 sulle
profezie dell’A.T. adempiute in Cristo.
De haeresibus. Composta dopo il 419, secondo alcuni tra il 428 e il 429, su richiesta di
Quodvultdeus, ma rimasta incompiuta e mancante proprio nella sezione in cui avrebbe dovuto
identificare i tratti distintivi dell’eresia in genere. Raccoglie la descrizione di quasi 90 eresie
utilizzzando materiali di Epifanio e di Filastrio.
Opere dottrinali
De vera religione liber I. Composto a Tagaste intorno al 389-91, dedicato a Romaniano. La vera
religione è solo quella cattolica, custode integrale della verità. Confutazione del dualismo
manicheo. Il cristianesimo rappresenta la vera attuazione della sapienza pagana. Forte influsso del
neoplatonismo. Contiene in nuce molte delle idee sviluppate in seguito nel de civitate Dei.
De utilitate credendi liber I. Composto nel 392, secondo altri nel 391. Raccoglie una analisi delle
relazioni tra ragione e fede; quest’ultima – si dimostra - poggia su prove irrefutabili.
De duabus animabus. Composto nel 392. Unitarietà e unicità dell'anima contro la tesi manichea di
due anime derivanti dal principio del bene e quello del male. Già riportato sotto polemiche
manichea.
De fide et symbolo liber I. Composto nel 393, è il resoconto del discorso che A. tenne di fronte ai
vescovi del Concilio di Cartagine, con la confutazione di tutte le obiezioni eretiche ai capitoli del
simbolo cristiano. OK
De Trinitate libri XV. I primi dodici libri furono composti tra il 399 e il 412, gli altri, con la stesura
della redazione finale, vanno collocati intorno al 419-20. Viene esposto, difeso e formulato il
domma della trinità. Libri I-IV: teologia biblica della Trinità; V-VII teologia speculativa e difesa del
domma; libro VIII: introduzione alla cognizione mistica di Dio; libri IX-XIV immagine della Trinità
nell’uomo; libro XV: riassunto.
“E’ il caposaldo della dottrina trinitaria occidentale” (Moreschini), riconosciuto anche dai vescovi
orientali. Tradotto in greco alla fine del XIII secolo da Massimo Planude.
De doctrina Christiana libri IV. La composizione copre un ampio arco di tempo, dal 396 al 427, ma
la prima parte dell’opera fino a 3,25,36 fu composta nel 397. Tre i temi più importanti trattati: la
sintesi dommatica sulla base dell’uti e frui (libro I); la dottrina del segno e dell’interpretazione
scritturistica (libri II e III); i principi dell’oratoria sacra (Libro IV). Da alcuni considerato prevalente
l’aspetto esegetico dell’opera.
De fide, spe et caritate liber I (Enchiridion ad Laurentium). Composto nel 421, raccoglie una
trattazione dei principi teologici secondo le tre virtù. OK
De agone Christiano. La lotta contro il demonio deve essere condotta secondo fede e osservanza
dei precetti morali.
Ad inquisitionem Ianuari libri II. Corrisponde alle Epistole 54 e 55, databili al 400. Vi si trattano
consuetudini e riti della Chiesa. OK
De fide et operibus liber I. Composto nel 413. Esposta la tesi che la fede senza le opere non è
sufficiente. OK
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De videndo Deo liber I. Corrisponde all’Epistola 147 del 143. Tema è la visione di Dio con gli occhi
del corpo. OK
De praesentia Dei liber I. Corrisponde all’Epistola 187 del 417. “Trattato sull’inabitazione dello
Spirito Santo nell’animo dei giusti”. OK
De cura pro mortuis gerenda liber I. Composto nel 424-25, anche se alcuni propongono estremi
più ampi, raccoglie la risposta a Paolino da Nola sul culto dei morti. Vi si sostiene che è mortuis
gerenda. Composto 423-426. E' un vantaggio essere sepolti presso le reliquie dei santi. OK
Riportato da alcuni sotto opere pastorali.
De octo Dulcitii quaestionibus liber I. Composto nel 425, raccoglie questioni già trattate in altre
opere, ad eccezione della quinta, sull’elezione di Davide. OK
De diversis quaestionibus octoginta tribus liber I. Raccoglie 83 quaestiones poste in tempi diversi
(388-396) ad A. e fatte da lui riunire dopo la sua elezione a vescovo. Quattro le sezioni
identificabili: 1-25 problemi teologici e filosofici; 26-65 problemi esegetici; 66-75 questioni
sull’epistolario paolino; 75-83 problemi morali.
Opere esegetiche
Enarrationes in Psalmos. Nascono dalle esigenze delle attività del sacerdozio e costituiscono
l’opera più ampia di Agostino, composta tra il 392 e il 416, forse anche fino al 422. Resta l’unica
opera patristica in cui si esamina tutto il Salterio. L’interpretazione del testo (nella versione dei
Settanta rivista da Agostino stesso) è di tipo teologico-spirituale. OK
De genesi al litteram imperfectus liber. Composto nel 393, tenta una spiegazione letterale della
Genesi, arrestandosi a 1,26..OK
De Genesi ad litteram libri XII. Tra le opere più importanti di A., tenne l’autore impegnato tra il 401
e il 415, anche se si ritiene che la maggior parte dei libri sia stata composta in un arco di tempo più
ristretto.
La spiegazione arriva fino a Gen. 3,24. I libri 6,7 e 10 contengono un ampio trattato di
antropologia.
Da ricordare anche il De Genesi adversus Manichaeos, (elencata sotto Opere polemiche?)
Locutionum in Heptateuchum libri VII. Quaestionum in H. libri VII. Raccoglie la spiegazione di
alcune espressioni meno usate presenti nei primi sette libri dell’A.T., fornendo la spiegazione dei
passi relativi. OK
De consensu Evangelistarum libri IV. Composto ca. il 400 raccoglie una serie di confutazioni su
accuse di contraddizioni degli evangelisti. OK
In Iohannis Evangelium tractatus. Sono 124 discorsi, in parte pronunciati, in parte dettati, sul
Vangelo di Giovanni. La data di composizione è molto controversa: l’arco cronologico interessato
va dal 411 al 420. OK
In epistulam Iohannis ad Parthos. Raccoglie dieci discorsi sulla carità tenuti in occasione delle
feste pasquali di un anno che potrebbe essere il 415 o comunque prossimo a questo.OK
Quaestiones Evangeliorum libri II. Composto intorno al 400. Raccoglie le spiegazioni a due passi
di Matteo (47) e Luca (51). OK
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Quaestiones sedecim in Matthaeum (da alcuni considerate spurie). Interpretazione allegorica dei
discorsi e parabole.
Exxpositio LXXXIV propositionum ex epistula ad Romanos. Expositio epistulae ad Galatas.
Epistulae ad Romanos inchoata expositio.
De octo quaestionibus ex Veteri Testamento. Composte prima del 419. OK
Adnotationes in Iob liber I. Si tratta di annotazioni marginali al libro di Giobbe stilate tra il 422 e il
425 e raccolte da altri. OK
De diversi quaestionibus ad Simplicianum libri II. E’ indirizzata a Simpliciano, vescovo di Milano e
successore di Ambrogio, va quindi collocata dopo il 397. Raccoglie la soluzione di alcune questioni
relative alla Lettera ai Romani e al Libro dei Re. E’ molto importante da un punto di vista
dommatico per le osservazioni raccolte nel primo libro sulla dottrina della grazia: questa è
necessaria e gratuita anche per l’inizio della fede e il desiderio della conversione.
Opere pastorali e di catechesi
De mendacio liber I. Composto nel 395. A. stesso lo considerò poco chiaro, ma utile. Altra opera
composta più tardi sull’argomento è trasmessa con il titolo Contra mendacium. OK
De doctrina Christiana, in quattro libri, 396-426. Già compresa sotto Opere dottrinali.
De catechizandis rudibus liber I. Composto nel 399-400, è un manuale di istruzione catechetica.
OK.
Enchiridion ad Laurentium, 423-26. Già compresa sotto Opere dottrinali.
De bono coniugali liber I. Composto intorno al 400-01. Tema la dignità e i beni del matrimonio;
occasione una controversia sull’argomento suscitata da Gioviniano. OK.
De sancta virginitate liber I. Composto intorno al 400-01, subito dopo il De bono coniugali. Esalta il
valore della verginità, nel pieno rispetto del matrimonio. OK.
De opere monachorum liber I. Composto nel 401 e diretto ai monaci di Cartagine. Vi si sostiene
l’opportunità, per i monaci, di affiancare alla preghiera attività manuali.
Regula ad servos Dei. Raccoglie norme monastiche, non si sa se destinate a monache o come più
probabile ai “servi di Dio” della prima comunità di Ippona. Sarebbe la prima opera del genere in
Occidente. OK ma ricontrollo su altri.
De divinatione daemonum, 406
De utilitate ieiunii, 408
De bono viduitatis liber seu epistola. Composta ca. nel 414. E’ una lettera a Giuliana sul merito
della vedovanza. OK.
De nuptiis et concupiscentia, 419. Agostino si difende dall'accusa di aver condannato il matrimonio
in quanto implica l'esercizio della concupiscienza. Già riportata sotto Opere polemiche
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De adulterinis coniugiis libri II. Composto nel 420-21. Il matrimonio è indissolubile anche in caso di
adulterio. OK
Contra mendacium liber I. Composto nel 422, secondo altri nel 420-21. E’, dopo il De menacio, un
ulteriore trattato sull'illeceità della menzogna.
De cura pro mortuis gerenda. Composto 423-426. E' un vantaggio essere sepolti presso le reliquie
dei santi. Riportato sotto Opere dottrinali.
De continentia liber I. Composto per alcuni intorno al 395, per altri dopo il 412. Tema la continenza,
considerata come virtù e dono divino. OK
De patientia liber I. Composto nel 415, svolge in modo analogo a quello utilizzato nel De
continentia il tema della pazienza, virtù e dono divino. OK.
Contra Hilarium liber I. Composto nel 399 per difendere la pratica di cantare i salmi durante la
celebrazione dell’Eucarestia. E’ andato perduto. OK.
Sermones
Le edizioni moderne ne presentano circa 500, ma tale cifra è puramente indicativa, sia rispetto al
patrimonio originale (si parla di circa 3000-4000 testi conservati nella biblioteca di Ippona), sia
rispetto alle diverse scelte operate dagli editori stessi in merito a casi dubbi e spuri, come si può
facilmente immaginare per un autore famoso come Agostino e per il tipo stesso di testo. Gli
argomenti trattati da Agostino erano i più disparati.
L'edizione dei Maurini, che pure contava solo 363 sermones, prevedeva una divisione in quattro
classi per contenuto:
1)
2)
3)
4)
Sermoni sulle Sacre Scritture
Sermoni sulle festività religiose
Sermoni in commemorazione dei santi
Sermoni su argomenti vari di indole morale
I testi delle omelie venivano in genere trascritti da notarii e rivisti da Agostino.
Interessanti per la lingua parlata.
Chiarezza espositiva.
Epistolario
L’edizione dei Maurini raccoglie 270 lettere, ordinate in senso cronologico, complessivamente dal
386 al 430, in quattro classi. Di esse 53 sono inviate ad Agostino e 9 considerate dall’autore stesso
nel novero delle opere a sé stanti.
Spesso le lettere hanno una notevole estensione e hanno avuto perciò una diffusione e una
trasmissione autonoma come singoli trattati.
Le edizioni moderne successive hanno tenuto conto di altre lettere scoperte nel frattempo.
Controllo quindi NBA e successive.
Nelle Retractationes resta escluso assieme ai Sermones.
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Osservazioni
Altaner, Patrologia
“Ciò che era stato Origene per la scienza teologica del III e IV secolo, Agostino lo fu, in modo assai
più duratutro ed efficace, per tutta la vita della Chiesa nei secoli successivi fino all’epoca
contemporanea. La sua influenza si estese non solo nel dominio della filosofia, della dogmatica,
della teologia morale e della mistica, ma ancora nella vita sociale e caritativa, nella politica
ecclesiastica, nel diritto pubblico; egli fu, in una parola, il grande artefice della cultura occidentale
del Medio Evo”.
Testi e testimonianze
August., epist. 224. A QuodvultDeus per l’elenco delle proprie opere fino al 429.
Possid., Vita August. ??? . Per le opere agostiniane.
Cassiod., inst., 1, 22. [IntraText]
XXII. De sancto Augustino.
1. Ipse etiam doctor eximius beatissimus Augustinus, debellator hereticorum, defensor fidelium et
famosorum palma certaminum, in quibusdam libris nimia difficultate reconditus, in quibusdam sic est
planissimus, ut etiam parvulis probetur acceptus; cuius aperta suavia sunt, obscura vero magnis utilitatibus
farcita pinguescunt. huius autem ingenii vivacitatem si quis nosse desiderat, libros ipsius Confessionum
legat, ubi se refert omnes mathematicas disciplinas sine magistro comprehendisse, quas aliis sub doctis
expositoribus vix datur artingere. symbolum quoque nostrum, vadem fidei, testimonium recti cordis,
promissionis insolubile sacramentum, frequenti expositione patefecit, ut profundius intellegentes illa quae
credere nos profitemur, cautissime promissa servemus. legendus est etiam liber eiusdem, ubi diversas
hereses post Epiphanium pontificem compendiosa brevitate complexus est, quando nullius sanae mentis
acquiescit ingenium in illas cautes incedere in quas alterum cognoverint pertulisse naufragium. illorum
siquidem sensus omnino cavendus est, quos provida damnavit ecclesia, et si quid tale modo praesumitur,
cauta nimis observatione declinetur.
XXII. SU SANT'AGOSTINO
1. L'esimio maestro, il beatissimo Agostino, vincitore degli eretici, difensore dei fedeli e palma della vittoria in
famose dispute, in alcuni libri è assai difficile e astruso, in altri è invece così estremamente chiaro da
risultare gradito anche ai fanciulli. Le sue limpide parole sono piacevoli, quelle oscure sono fertili e ricolme di
grandi vantaggi. Se qualcuno desidera conoscere la vivacità del suo ingegno, legga i libri delle sue
Confessioni, in cui egli riferisce di aver appreso senza maestro tutte le discipline matematiche che altri a
fatica sono in grado di imparare sotto la guida di dotti insegnanti. Con molte spiegazioni ha chiarito il nostro
simbolo, garante della nostra fede, testimone di un cuore retto, mistero indissolubile della promessa,
affinché, comprendendo più profondamente le verità che professiamo, rispettiamo con la massima cautela la
nostra promessa. Si deve leggere anche il suo libro in cui ha esposto in maniera succinta le diverse eresie
sviluppatesi dopo il vescovo Epifanio, poiché nessuna mente sana si inoltra fiduciosa fra quegli scogli in cui
si sa che altri hanno subito il naufragio. Si deve pertanto evitare del tutto il pensiero di quelli che la
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previdente Chiesa ha condannato, e se ora si tenta qualcosa di simile, ciò venga allontanato con estrema
sollecitudine.
Trad. Di M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001 [BCTV]
Gennad., script.eccl., 38
AUGUSTINUS [f [1080B] Ms. Corbei., Augustinus discipulus beati Ambrosii Hippone regiae Africae oppidi
episcopus, vir eruditione divina et universo orbe clarus.] Afer, Hipponensis oppidi episcopus, vir eruditione
divina et humana orbi clarus, [1079B] fide integer et vita purus, scripsit quanta nec inveniri possunt. [g
[1080B] Sic idem codex pro quis ergo.] Quis enim glorietur se omnia illius [1080A] habere? Aut quis tanto
studio legat, quanto ille scripsit? [h [1080B] In Corbei desunt verba unde et multa, usque ad non effugies
peccatum.] Unde et multa loquenti [i [1080B] Multa loquenti. Gennadius, ut Semipelagianus, suo hic affectui
indulget, sine ratione taxat Augustinum ut polygraphum; nec ullum fere opus sine exceptione probat, praeter
libros de Trinitate. MIRAEUS.] accidit, quod dixit per Salomonem Spiritus sanctus: In multiloquio non
effugies peccatum (Prov. X, 19) . Edidit [j [1080C] Id. jam senex,] tamen senex quos juvenis coeperat, de
Trinitate libros 15; in quibus, ut Scriptura ait, introductus in cubiculum Regis (Esth. II, 16) , et decoratus
veste [k [1080C] Corbei., multifariae.] multifaria sapientiae Dei, exhibuit Ecclesiam non habentem maculam
aut rugam (Ephes. V, 27) [l [1080C] Sequitur in Corbei., caeteris expunctis: Resurrectionem etiam
mortuorum simile cucurrit sinceritate, egregio ingenio et excellenti studio Ecclesiae serviens. Juliani haeretici
libris inter impetum obsidentium. Wandalorum in ipso dierum suorum fine respondit. Et in defensione
Christianae sapientiae perseverans moritur, Theodosio et Valentiniano regnantibus. vel aliquid hujusmodi.
De Incarnatione quoque Dei idoneam edidit pietatem. De Resurrectione etiam mortuorum simili cucurrit
sinceritate; licet minus capacibus dubitationem de [m [1080C] Abortivos resurrecturos ut affirmare ita negare
non audet Augustinus XXII, 13, de Civ. Dei.] abortivis fecerit. Error tamen illius sermone multo, ut dixi,
contractus, lucta hostium exaggeratus, necdum haeresis quaestionem [n [1080C] Vitiose al., quaestionem
absolvit.] dedit?]
August., retract. 2,43. Genesi e struttura del De civitate Dei.
Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l'invasione dei Goti che militavano sotto il re Alaríco;
l'occupazione causò un'enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dèi, che con un appellativo in uso
chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio
vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di
Dio, ho stabilito di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. L'opera mi tenne
occupato per molti anni. Si frapponevano altri impegni che non era opportuno rimandare e che esigevano da
me una soluzione immediata. Finalmente questa grande opera, La città di Dio, fu condotta a termine in
ventidue libri. I primi cinque confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere
necessario il culto dei molti dei che i pagani erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in
grande numero queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri cinque contengono la
confutazione di coloro i quali ammettono che le sciagure non sono mai mancate e non mancheranno mai
agli uomini e che esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le persone. Sostengono
tuttavia che il politeismo e relative pratiche sacrali sono utili per la vita che verrà dopo la morte. Con questi
dieci libri dunque sono respinte queste due infondate opinioni contrarie alla religione cristiana.
Qualcuno poteva ribattere che noi avevamo confutato gli errori degli altri senza affermare le nostre verità.
Questo è l'assunto della seconda parte dell'opera che comprende dodici libri. Tuttavia all'occasione anche
nei primi dieci affermiamo le nostre verità e negli altri dodici confutiamo gli errori contrari. Dei dodici libri che
seguono dunque i primi quattro contengono l'origine delle due città, una di Dio e l'altra del mondo; gli altri
quattro, il loro svolgimento o sviluppo; i quattro successivi, che sono anche gli ultimi, il fine proprio. Sebbene
tutti i ventidue libri riguardino l'una e l'altra città, hanno tuttavia derivato il titolo dalla migliore. Perciò è stata
preferita l'intestazione La città di Dio. Nel decimo libro non doveva esser considerato un miracolo il fatto che
in un sacrificio che Abramo offrì, una fiamma venuta dal cielo trascorse tra le vittime divise a metà [de civ.
10,8], perché gli fu mostrato in una visione. Nel libro decimosettimo si afferma di Samuele che non era dei
figli di Aronne [de civ. 17,5]. Era preferibile dire: Non era figlio di un sacerdote. Infatti era piuttosto costume
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garantito dalla legge che i figli dei sacerdoti succedessero ai sacerdoti defunti; tra i figli di Aronne si trova
appunto il padre di Samuele, ma non fu sacerdote. Né si deve considerare tra i figli, nel senso che
discendesse da Aronne, ma nel senso che tutti gli appartenenti al popolo ebraico son detti figli di Israele.
L'opera comincia così: Gloriosissimam civitatem Dei.
Trad. D. Gentili, dall’ed. de civ., Roma, Città Nuova, 1997. [BCTV]
August., epist. 212. Indicazioni di Agostino per la pubblicazione del De civitate.
Agostino invia cristiani saluti a Firmo, signore egregio e degno di onore oltre che venerabile figlio.
Come ti avevo promesso, ti ho inviato i libri su La città di Dio, che mi avevi chiesti con immensa premura,
dopo che li ho riletti; cosa questa che ho fatto sì con l'aiuto di Dio, ma dietro le preghiere di Cipriano, tuo
fratello germano e figlio mio, così insistenti come io avrei desiderato mi fossero rivolte. Sono ventidue
quaderni (2) ch'è difficile ridurre in un solo volume; se poi vuoi farne due volumi, devi dividerli in modo che
uno contenga dieci libri e l'altro dodici. Eccone il motivo: nei primi dieci sono confutati gli errori dei pagani,
nei restanti invece è dimostrata e difesa la nostra religione, quantunque ciò sia stato fatto anche nei primi
dieci, dov'è parso più opportuno, e l'altra cosa sia stata fatta anche in questi ultimi. Se invece preferisci farne
non solo due ma più volumi, allora è opportuno che tu ne faccia cinque volumi, di cui il primo contenga i
primi cinque libri nei quali si discute contro coloro i quali sostengono che, alla felicità della vita presente,
giova il culto non proprio degli dèi ma dei demoni; il secondo volume contenga i seguenti altri cinque libri i
quali confutano coloro che credono debbano adorarsi, mediante riti sacri e sacrifici, numerosissimi dei di tal
genere o di qualunque altro genere, in grazia della vita che verrà dopo la morte. Allora i seguenti altri tre
volumi dovranno contenere ciascuno quattro dei libri seguenti. Da noi infatti, la medesima parte è stata
distribuita in modo che quattro libri mostrassero l'origine della Città di Dio e altrettanti il suo progresso, o
come abbiamo preferito chiamarlo, sviluppo, mentre i quattro ultimi mostrano i suoi debiti fini (3). Se poi,
come sei stato diligente a procurarti questi libri, lo sarai anche a leggerli, comprenderai, per la tua
esperienza personale, anziché per la mia assicurazione, quanto aiuto potranno arrecare. Ti prego di degnarti
volentieri di dare, a coloro che li chiedono per copiarli, i libri di quest'opera su La città di Dio, che i nostri
fratelli di costì a Cartagine ancora non hanno. A ogni modo non li darai a molti, ma solo a uno o al massimo
a due; questi poi li daranno a tutti quanti gli altri. Inoltre, il modo con cui darli, non solo ai fedeli cristiani tuoi
amici che desiderano istruirsi, ma anche a quanti siano legati a qualche superstizione, dalla quale potrà
sembrare che possano essere liberati per mezzo di questa nostra fatica in virtù della grazia di Dio, veditelo
da te stesso. lo farò in modo - se Dio lo vorrà - di scriverti spesso per chiederti a quale punto sei giunto nel
leggerli. Istruito come sei, non ignori quanto giovi una lettura ripetuta per comprendere quel che si legge. In
realtà non v'è alcuna difficoltà di comprendere o è certo minima quando esiste la facilità di leggere, la quale
diventa tanto maggiore quanto più la lettura è ripetuta, di modo che mediante la continua ripetizione [si
capisce chiaramente quello che, per mancanza di diligenza] (4), era stato duro da intendere. Mio venerabile
figlio Firmo, signore esimio e degno d'essere onorato, ti prego di rispondermi per farmi sapere in qual modo
sei arrivato a procurarti i libri Sugli Accademici* (5) scritti da me poco dopo la mia conversione, poiché in una
lettera precedente l'Eccellenza tua mi ha fatto credere che ne era a conoscenza. Quanti argomenti poi
comprenda l'opera scritta nei ventidue libri lo indicherà il sommario che ti ho inviato (6).
Trad. L. Carrozzi, Roma, NBA 23, 1974.
Lettera 212/A. Scritta nel 426. Agostino invia a Firmo i 22 libri. de La città di Dio con un riassunto generale e uno
particolare a ciascun libro, indicandogli a chi darli a copiare (1). Questa lettera è stata pubblicata per la prima volta da C.
Lambot, Lettre inédite de S. Aug. relative au «De civitate Dei», in Revue Bénédictine, 51 (1939), pp. 109-121. Il presente
testo è tratto da Sant’Agostino, Lettere, vol. 3°, Roma 1974: NBA 23, 532-535. Traduzione di Luigi Carrozzi.
(2) Un «quaderno» era composto di quattro fogli ripiegati e riuniti insieme. Cf. Possidio, Vita Azrg., ed. M. Pellegrino,
Alba 1955, p. 229, nota (2).
(3) Chi vuol pubblicare il De civitate Dei, rispettandone la struttura interna, occorre che lo faccia in un volume o due e in
cinque. E’ infatti un'opera in due parti e in cinque sezioni.
(4) Tra parentesi quadre si è messa la ricostruzione congetturale, fatta dal Goldbacher, di alcune parole scomparse nel
testo latino.
(5) Cf. Retract. 1, 1, 1: PL 32, 555; De Trinit. 15, 12, 21: NBA, IV.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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(6) Il Breviculus è un sommario della materia svolta nei singoli libri della Città di Dio, anzi i sommari dei singoli capitoli
d'ogni libro: esso è pubblicato nelle edizioni critiche di quell'opera e costituisce un «indice» generale degli argomenti
trattati.
Note di D. Gentili, dall’ed. de civ., Roma, Città Nuova, 1997. [BCTV]
Conf., 2,4- 8-10 Il furto delle pere
Confessiones IntraText CT
Furtum certe punit lex tua, domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem delet iniquitas:
quis enim fur aequo animo furem patitur? nec copiosus adactum inopia. et ego furtum facere volui, et feci,
nulla conpulsus egestate, nisi penuria et fastidio iustitiae et sagina iniquitatis. nam id furatus sum, quod mihi
abundabat et multa melius; nec ea re volebam frui, quam furto appetebam, sed ipso furto et peccato. arbor
erat pirus in vicinia nostrae vineae, pomis onusta, nec forma nec sapore inlecebrosis. ad hanc excutiendam
atque asportandam nequissimi adulescentuli perreximus nocte intempesta, quousque ludum de pestilentiae
more in areis produxeramus, et abstulimus inde onera ingentia non ad nostras epulas, sed vel proicienda
porcis, etiamsi aliquid inde comedimus, dum tamen fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret. ecce cor
meum, deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. dicat tibi nunc ecce cor meum, quid ibi
quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi malitia. foeda erat, et amavi eam;
amavi perire, amavi defectum meum, non illud, ad quod deficiebam, sed defectum meum ipsum amavi,
turpis anima et dissiliens a firmamento tuo in exterminium, non dedecore aliquid, sed dedecus appetens.
La legge tua, Signore, punisce, senza discussione, il furto: lo p unisce anche la legge scritta nel cuore
degli uomini che nemmeno l'iniquità cancella: nessun ladro infatti sopporta con indifferenza di essere
derubato: neanche il ricco da chi è spinto dal bisogno. Ebbene, io volli commettere un furto, e lo feci
non costretto da indigenza, ma da mancanza e da intolleranza del senso di giustizia, dall'esuberanza
del malvolere. Ciò che rubai, io lo avevo largamente, di qualità molto migliore; né volevo godere di
quello a cui tendeva il furto, ma proprio del furto e del pecca to.
Contiguo al nostro podere era un pero carico di frutti, non allettanti affatto né per bellezza né per
sapore.
Dopo aver protratto il gioco, secondo la nostra pessima usanza, fino a tarda ora nelle piazze, nel cuor
della notte la trista combriccola di noi ragazzacci si recò a scuotere quell'albero e a depredarlo: e ne
portammo via un gran carico, non per mangiarne a sazietà, se pure ne assaggiammo, ma per darne in
pasto persino ai maiali: nostro unico piacere fu quello di fare ciò che non era lecito, per ché ciò ci
piaceva.
Eccolo, il mio cuore, o Dio, ecco quel mio cuore che ti ha mosso a pietà dal fondo dell'abisso. Ti dica
ora questo mio cuore che cosa lo movesse ad essere cattivo senza alcun vantaggio, a non aver una
ragione di malizia se non la malizia stessa. Torbida malizia: ed io la amai; amai la mia rovina, amai la
mia caduta; non ciò per cui cadevo, ma proprio la caduta; io, anima malvagia che mi sradicavo dal tuo
fermo sostegno per la rovina, non correndo dietro ad alcunché con disonestà, ma alla disonestà per se
stessa.
Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974.
August., Conf., 3,1,1. [IntraText]. Il cuore di un adolescente
Veni Karthaginem, et circumstrepebat me undique sartago flagitiosorum amorum. nondum amabam, et
amare amabam, et secretiore indigentia oderam me minus indigentem. quaerebam quid amarem, amans
amare, et oderam securitatem et viam sine muscipulis, quoniam fames mihi erat intus ab interiore cibo, te
ipso, deus meus, et ea fame non esuriebam, sed eram sine desiderio alimentorum incorruptibilium, non quia
planus eis eram, sed quo insanior, fastidiosior. et ideo non bene valebat anima mea, et ulcerosa proiciebat
se foras, miserabiliter scalpi avida contactu sensibilium. sed si non haberent animam, non utique amarentur.
amare et amari dulce mihi erat, magis si et amantis corpore fruerer. Venam igitur amicitiae coinquinabam
sordibus concupiscentiae, candoremque eius obnubilabam de tartaro libidinis, et tamen foedus atque
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inhonestus, elegans et urbanus esse gestiebam abundanti vanitate. rui etiam in amorem, quo cupiebam
capi. deus meus, misericordia mea, quanto felle mihi suavitatem illam et quam bonus aspersisti, quia et
amatus sum, et perveni ad vinculum fruendi et conligabar laetus aerumnosis nexibus, ut caederer virgis
ferreis ardentibus zeli et suspicionum et timorum et irarum atque rixarum.
Mi recai a Cartagine quando da ogni parte l'animo mio era sconvolto dagli amori disonesti come una
caldaia in ebollizione. Non amavo ancora e bruciavo dal desiderio di amare, e per questa interi ore
indigenza odiavo me stesso meno indigente di quanto ero. Assetato d'amore, andavo cercando un
oggetto da amare, aborrendo da una via sicura e senza insidie. E avevo fame, dentro me, di un cibo
spirituale, di Te, mio Dio; ma quella fame non mi dava stim oli nè desiderio di cibo incorruttibile, e non
già perché ne fossi sazio, ma perché quanto più digiuno, tanto più ne ero nauseato. Perciò l'anima
mia era inferma, piagata, si gettava al di fuori, miseramente avida di sfregarsi al contatto delle
creature sensibili. Ma anch'esse non le avrei amate se non avessero avuto anima.
La dolcezza di amare e di essere amato era per me molto maggiore se andava unita al possesso del
corpo dell'amante. Inquinavo così la vena dell'amicizia con le lordure della concupiscenz a, ne
offuscavo il candore con l'alito diabolico della libidine, e, ciò nonostante, sozzo e disonesto qual
ero,.nella. mia immensa vanità volevo apparire fine e di belle maniere.
E andai a precipizio verso quell'amore di cui bramavo la catena.
O mio Dio, o mia misericordia, di quanta amarezza, nella tua bontà, aspergesti quel piacere: fui
amato, segretamente raggiunsi il legame del possesso, lieto mi lasciai avviluppare da vincoli
tormentosi, fino ad essere battuto dalle verghe incandescenti della gelosia, dei sospetti, dei timori,
degli odi, delle risse.
Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974.
August., Conf. 8,12. [IntraText]. Tolle lege! (cf. Semi III,268)
Ubi vero a fundo arcano alta consideratio traxit et congessit totam miseriam meam in conspectu cordis mei,
oborta est procella ingens, ferens ingentem imbrem lacrimarum. et ut totum effunderem cum vocibus suis,
surrexi ab Alypio - solitudo mihi ad negotium flendi aptior suggerebatur - et seccessi remotius, quam ut
posset mihi onerosa esse etiam eius praesentia. sic tunc eram, et ille sensit: nescio quid enim, puto,
dixeram, in quo apparebat sonus vocis meae iam fletu gravidus, et sic surrexeram. mansit ergo ille ubi
sedebamus nimie stupens. ego sub quadam fici arbore stravi me nescio quomodo, et dimisi habenas
lacrimis, et proruperunt flumina oculorum meorum, acceptabile sacrificium tuum, et non quidem his verbis,
sed in hac sententia multa dixi tibi: et tu, domine, usquequo? usquequo, domine, irasceris in finem? ne
memor fueris iniquitatum nostrarum antiquarum. sentiebam enim eis me teneri. iactabam voces miserabiles:
quamdiu, quamdiu cras et cras? quare non modo? quare non hac hora finis turpitudinis meae? Dicebam
haec, et flebam, amarissima contritione cordis mei. et ecce audio vocem de vicina domo cum cantu dicentis,
et crebro repentenis, quasi pueri an puellae, nescio: tolle lege, tolle lege. statimque mutato vultu
intentissimus cogitare coepi, utrumnam solerent pueri in aliquo genere ludendi cantitare tale aliquid, nec
occurebat omnino audisse me uspiam: repressoque impetu lacrimarum surrexi, nihil aliud interpretans
divinitus mihi iuberi, nisi ut aperirem codicem et legerem quod primum caput invenissem. audieram enim de
Antonio, quod ex evangelica lectione, cui forte supervenerat, admonitus fuerit, tamquam sibi diceretur quod
legebatur: vade, vende omnia, quae habes, da pauperibus et habebis thesaurum in caelis; et veni, sequere
me: et tali oraculo confestim ad te esse conversum. itaque concitus redii in eum locum, ubi sedebat Alypius:
ibi enim posueram codicem apostoli, cum inde surrexeram. arripui, aperui et legi in silentio capitulum, quo
primum coniecti sunt oculi mei: non in comissationibus et ebrietatibus, non in cubilibus et inpudicitiis, non in
contentione et aemulatione, sed induite dominum Iesum Christum, et carnis providentiam ne feceritis in
concupiscentiis. nec ultra volui legere, nec opus erat. statim quippe cum fine huiusce sententiae, quasi luce
securitatis infusa cordi meo, omnes dubitationis tenebrae diffugerunt. Tum interiecto aut digito aut nescio
quo alio signo, codicem clausi, et tranquillo iam vultu indicavi Alypio. at ille quid in se ageretur -- quod ego
nesciebam -- sic indicavit. petit videre quid legissem: ostendi, et adtendit etiam ultra quam ego legeram, et
ignorabam quid sequeretur. sequebatur autem: infirmum vero in fide recipite. quod ille ad se rettulit mihique
aperuit. sed tali admonitione firmatus est, placitoque ac proposito bono (et congruentissimo suis moribus,
quibus a me in melius iam olim valde longeque distabat), sine ulla turbulenta cunctatione coniunctus est.
inde ad matrem ingredimur, indicamus: gaudet. narramus, quemadmodum gestum sit: exultat et triumphat, et
benedicebat tibi, qui potens es ultra quam petimus aut intellegimus facere, quia tanto amplius sibi a te
concessum de me videbat, quam petere solebat miserabilibus flebilibusque gemitibus. convertisti enim me
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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ad te, ut nec uxorem quaererem nec aliquam spem saeculi huius, stans in ea regula fidei, in qua me ante tot
annos ei revelaveras: et convertisti luctum eius in gaudium, multo uberius, quam voluerat, et multo carius
atque castius, quam de nepotibus carnis meae requirebat.
Quando infine dalle misteriose profondità del cuore una severa meditazione ebbe spurgata ed
ammucchiata davanti alla mia visione interiore tutta quanta la mia miseria, scoppiò una fiera procella
apportatrice di un profluvio di pianto. E, per dar libero sfogo ad esso e ai singhiozzi che lo
accompagnavano, mi alzai e, poiché la perfetta solitudine mi pareva più adatta al bisogno di pia ngere,
mi allontanai da Alipio quel tanto che mi rendesse non grave la sua presenza.
Così ero: ed egli ne ebbe l'intuizione: credo anche di aver detto qualche cosa che tradiva nel suono
della voce il nodo del pianto; e così mi ero alzato. Egli rimase là dove eravamo stati seduti,
profondamente stupito. Io mi gettai a terra, non so come, sotto un albero di fico, lasciai libero corso al
pianto, che proruppe a guisa di torrente dagli occhi, accetto tuo sacrificio. E parlai, parlai a lungo, non
proprio con queste parole, ma certo con questi sentimenti: « E Tu, Signore, fino a quando? quando, o
Signore, avrà fine la tua collera? Oh, dimentica i miei peccati antichi! ». Sentivo di essere ancora legato.
Mandavo gemiti imploranti pietà: « Fino a quando, fino a quand o: domani, domani? Perché non subito?
Perché in questo stesso istante non finirla con la mia vergogna? ».
Parlavo e piangevo, gonfio il cuore di amarissima contrizione. Ed ecco dalla casa vicina mi giunge
canterellata una voce - di bambino o di bambina, non so - che ripeteva a guisa di ritornello: « Prendi,
leggi; prendi, leggi ». Di colpo, il volto si muta: e il mio pensiero va ricercando attentamente se quella
sia una delle cantilene che i fanciulli sogliono ripetere in qualche loro giuoco; ma non ramment o affatto
di averla già udita. Frenai il corso delle lagrime, mi alzai, sicuro che quella voce non era altro che un
ordine del cielo di aprire il libro e di leggere il primo capitolo che mi capitasse sotto gli occhi. Avevo
poco prima sentito raccontare di Antonio sl che da una lettura del Vangelo a cui per caso assisteva,
come se essa fosse stata indirizzata a lui personalmente, aveva ricevuto l'invito: « Va', vendi tutto quello
che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e segu imi », e che era stato
istantaneamente convertito a Te da quella parola divina.
Pertanto, tutto eccitato, ritornai là dove Alipio stava seduto, e dove avevo posto il volume dell'Apostolo
nell'atto di alzarmi. Lo afferrai, lo apersi e, in silenzio, lessi il primo versetto che mi cadde sotto gli occhi:
« Non nella crapula e nell'ubriachezza, non nelle impudicizíe del letto, non nella discordia e nell'invidia:
rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo, e non prendetevi cura della carne nelle concupiscenze ».
Non volli leggere altro, né altro occorreva. Subito, appena finito il versetto, come per una luce
rassicurante infusa nel mio spirito, tutte le tenebre dell'incertezza scomparvero. Chiusi allora il libro,
tenendovi il dito o non so quale altra cosa come segno, e con volto ritornato sereno ormai del tutto, misi
al corrente Alipio. Questi alla sua volta mise me al corrente di quello che si stava svolgendo in lui, del
che io non mi ero accorto, in questo modo: volle vedere il brano che avevo letto, ed io gliel o mostrai: ma
egli pose mente anche più in là di quello che io avevo letto e che ancora ignoravo. Seguivano queste
parole: « Se poi qualcuno è debole nella fede, porgetegli la mano ». Queste egli applicò a se stesso, e
me lo disse. Ma un tale ammonimento servì a confermarlo in quella santa risoluzione che, del resto, era
pienamente conforme ai suoi costumi nei quali era tanto e da tanto tempo migliore di me: mi si unì, così,
senza alcuna esitazione e senza lotte interne.
Rientriamo in casa, dalla madre: gliene do l'annuncio; ella ne gioisce. Al racconto particolareggiato,
esulta come di un trionfo ed innalza benedizioni a Te, « che nel tuo operato vai tanto oltre le nostre
richieste e la nostra visuale »: vedeva bene che Tu le avevi concesso nei miei riguard i assai più di
quanto soleva chiederti tra gemiti e pianto. Mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più
a cercarmi una moglie, né ad altre speranze mondane, saldo in quella regola di fede in cui le ero stato
mostrato da Te tanti anni prima. Tramutasti il suo dolore in una gioia ben più intensa di quella che
aveva desiderato, più dolce e più casta di quella che si sarebbe potuta aspettare da nipoti nati dalla mia
carne.
Trad. C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974.
August., Civ. Dei, 1 praef.
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Trad. e nota di D. Gentili, Roma, Città Nuova 1997. [BCTV]
August., Civ. Dei, 14,28 e 15,4. [Migne]. Le due città.
CAPUT XXVIII.—De qualitate duarum civitatum, terrenae atque coelestis.
De Civ. Dei, 14, 28 (Migne)
Fecerunt itaque civitates duas amores duo; terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, coelestem
vero amor Dei usque ad contemptum sui [(a) [0436] In libro undecimo de Genesi ad Litteram, n. 20, opus de
Civitate Dei his verbis pollicebatur: «Hi duo amores, quorum alter sanctus est, alter immundus; alter socialis,
alter privatus . . . distinxerunt conditas in genere humano civitates duas . . . De quibus duabus civitatibus
latius fortasse alio loco, si Dominus voluerit, disseremus.»] . Denique illa in se ipsa, haec in Domino gloriatur.
Illa enim quaerit ab hominibus gloriam: huic autem Deus conscientiae testis, maxima est gloria. Illa in gloria
sua exaltat caput suum: haec dicit Deo suo, Gloria mea, et exaltans caput meum (Psal. III, 4) . Illi [1 [0436]
Sola editio Lov., Illa.] in principibus ejus, vel in eis quas subjugat nationibus dominandi libido dominatur: in
hac serviunt invicem in charitate, et praepositi consulendo, et subditi obtemperando. Illa in suis potentibus
diligit virtutem suam: haec dicit Deo suo, Diligam te, Domine, virtus mea (Psal. XVII, 2) . Ideoque in illa
sapientes ejus secundum hominem viventes, aut corporis aut animi sui bona, aut utriusque sectati sunt; aut
qui potuerunt cognoscere Deum, non ut Deum honoraverunt, vel gratias egerunt; sed evanuerunt in
cogitationibus suis, et obscuratum est insipiens cor eorum: dicentes se esse sapientes, id est, dominante sibi
superbia in sua sapientia sese extollentes, stulti facti sunt; et immutaverunt gloriam incorruptibilis Dei in
similitudinem imaginis corruptibilis hominis, et volucrum, et quadrupedum, et serpentium: ad hujuscemodi
enim simulacra adoranda vel duces populorum, vel sectatores fuerunt: et coluerunt atque servierunt
creaturae potius quam Creatori, qui est benedictus in saecula (Rom. I 21-25) . In hac autem nulla est
hominis sapientia, nisi pietas, qua recte colitur verus Deus, id exspectans praemium in societate sanctorum,
non solum hominum, verum etiam Angelorum, ut sit Deus omnia in omnibus (I Cor. XV, 28) .
Due amori fondano le due città
XIV. (2b) Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l'amor di sé fino
all'indifferenza per Iddio, alla celeste l'amore a Dio fino all'indifferenza per sé. Inoltre quella si
gloria in sé, questa nel Signore. Quella infatti esige la gloria dagli uomini, p er questa la più
grande gloria è Dio testimone della coscienza. Ouella leva in alto la testa nella sita gloria,
questa dice a Dio: Tu sei la mia gloria anche perché levi in alto la mia testa. In quella domina la
passione del dominio nei suoi capi e nei pop oli che assoggetta, in questa si scambiano servizi
nella carità i capi col deliberare e i sudditi con l'obbedire. Quella ama la propria forza nei propri
eroi, questa dice al sua Dio: Ti amerò, Signore mia forza. Quindi nella città terrena i suoi filosofi
che vivevano secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e
due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio, si
smarrirono nei propri persieri e fu lasciato nell'ombra il loro cuore sto lto perchè credevano di
essere sapienti, cioè perché dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria
sapienza. Perciò divennero schiocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire
l'immagine dell'uorno soggetto a morire o d i uccelii e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme
di idolatria furono guide o partigiani della massa. Così si asservirono nel culto aílu creatura
anzichè o al Creatore che è benedetto per sempre. Nella città celeste invece l'unica filosofia
dell'uomo è la religione con cui Dio si adora convenientemente, perché essa attende il premio
nella società degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, affinché Dio sia, tutto in tutti.
Trad. D. Gentili, La Città di Dio, Roma, Città Nuova, 1975. (in Simonetti-Prinzivalli)
August., De Civ. Dei, 15,4 (Migne). La città terrena
De terrenae civitatis vel concertatione, vel pace.
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Terrena porro civitas, quae sempiterna non erit (neque enim cum in extremo supplicio damnata fuerit, jam
civitas erit), hic habet bonum suum, cujus societate laetatur, qualis esse de talibus rebus laetitia potest. Et
quoniam non est tale bonum, ut nullas angustias faciat amatoribus suis, ideo civitas ista adversus se ipsam
plerumque dividitur litigando, bellando, atque pugnando, et aut mortiferas, aut certe mortales victorias
requirendo. Nam ex quacumque sui parte adversus alteram sui partem bellando surrexerit, quaerit esse
victrix gentium, cum sit captiva vitiorum. Et si quidem cum vicerit, superbius extollitur, etiam mortifera [2
[0440] Editi, etiam sic mortifera. Abest, sic, a manuscriptis.] ; si vero conditionem cogitans casusque
communes, magisque accidere possunt adversis angitur, quam eis quae provenerint [3 [0440] Ms. 2051,
provenerunt. M.] secundis rebus inflatur, tantummodo mortalis est ista victoria. Neque enim semper
dominari poterit permanendo eis quos potuerit subjugare vincendo. Non autem recte dicuntur ea bona non
esse, quae concupiscit haec civitas, quando est et ipsa in suo genere humano melior. Concupiscit enim
terrenam quamdam pro rebus infimis pacem: ad eam namque desiderat pervenire bellando. Quoniam si
vicerit, et qui resistat non fuerit, pax erit, quam non habebant partes invicem adversantes, et pro his rebus
quas simul habere non poterant infelici egestate certantes. Hanc pacem requirunt laboriosa bella; hanc
adipiscitur quae putatur gloriosa victoria. Quando autem vincunt [0441] qui causa justiore pugnabant, quis
dubitet gratulandam esse victoriam, et provenisse optabilem pacem? Haec bona sunt, et sine dubio Dei
dona sunt. Sed si, neglectis melioribus, quae ad supernam pertinent civitatem, ubi erit victoria in aeterna et
summa pace secura, bona ista sic concupiscuntur, ut vel sola esse credantur, vel his quae meliora
creduntur, amplius diligantur; necesse est miseria consequatur, et quae inerat augeatur.
4. Inoltre la città terrena non sarà eterna perché quando sarà condannata all'estremo supplizio non sarà più
una città. Ha però in questo mondo il suo ideale, della cui partecipazione trae diletto nella misura che se ne
può trarre da questi ideali. E poiché è un ideale che non elimina difficoltà a coloro che lo perseguono, questa
città è spesso in sé dilaniata da contestazioni, guerre e battaglie alla ricerca di vittorie che sono apportatrici
di morte e certamente di effimera durata. Infatti, se nel suo interno una razza qualunque insorgerà con la
guerra contro un'altra razza, la città si adopera di essere dominatrice dei popoli, sebbene sia prigioniera dei
vizi. Se poi, nel caso che vincesse, si esalta con maggiore orgoglio, diviene anche apportatrice di morte; se
invece riflettendo sulla situazione e sugli avvenimenti di ogni giorno si angustia per quelli avversi, che
possono accadere, più di quanto si esalti per quelli propizi che l'hanno favorita, la vittoria è soltanto di
effimera durata. Non potrà infatti dominare in permanenza sui popoli che ha assoggettato con la vittoria.
Però non è ragionevole pensare che non sono ideali quelli che ambisce questa città, giacché essa stessa
nella categoria delle cose umane è un bene migliore. Vuole infatti raggiungere una pace a favore di ideali
meno nobili e desidera di approdare ad essa con la guerra. Se vincerà e non vi sarà chi oppone resistenza,
ci sarà la pace che non potevano conseguire le razze che si contrastavano e contendevano in una
miserabile penuria per beni che non potevano avere in comune. Guerre tormentose cercano la pace, la
raggiunge una vittoria ritenuta dispensiera di fama. Se sono vincitori coloro che combattevano per una causa
più giusta, non si può dubitare che c'è da rallegrarsi per la vittoria e che ne proviene una pace auspicabile.
Sono valori e senza dubbio dono di Dio. Ma talora messi da parte gli ideali più alti che appartengono alla
città di lassù, dove la vittoria sarà stabile nell'eterna e somma pace, si ambiscono gli ideali di quaggiù perché
sono ritenuti unici o preferiti a quelli che sono da ritenere più nobili, In tal caso necessariamente segue la
crisi e aumenta se era già in atto.
Trad. D. Gentili, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV]
August., de Civ.Dei, 5, 21. (Migne) L'impero romano è stato voluto da Dio (cf. Semi, III,282)
CAPUT XXI.—Romanum regnum a Deo vero esse dispositum, a quo est omnis potestas, et cujus
providentia reguntur universa.
Quae cum ita sint, non tribuamus dandi regni atque imperii potestatem, nisi Deo vero, qui dat felicitatem in
regno coelorum solis piis; regnum vero terrenum et piis et impiis, sicut ei placet, cui nihil injuste placet.
Quamvis enim aliquid dixerimus, quod apertum [0168] nobis esse voluit; tamen multum est ad nos, et valde
superat vires nostras, hominum occulta discutere, et liquido examine merita dijudicare regnorum. Ille igitur
unus verus Deus, qui nec judicio, nec adjutorio deserit genus humanum, quando voluit, et quantum voluit,
Romanis regnum dedit: qui dedit Assyriis, vel etiam Persis, a quibus solos duos deos coli, unum bonum,
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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alterum malum continent litterae istorum: ut taceam de populo Hebraeo, de quo jam dixi, quantum satis
visum est, qui praeter unum Deum non coluit et quando regnavit. Qui ergo Persis dedit segetes sine cultu
deae Segetiae, qui alia dona terrarum sine cultu tot deorum, quos isti rebus singulis singulos, vel etiam
rebus singulis plures praeposuerunt; ipse etiam regnum dedit sine cultu eorum, per quorum cultum se isti
regnasse crediderunt. Sic etiam hominibus; qui Mario, ipse Caio Caesari; qui Augusto, ipse et Neroni [(a)
[0168] Binos conjungit, alterum bonum, alterum malum: crudelis Marius, clementissimus C. Caesar; optimos
princeps Augustus, pessimus Nero.] ; qui Vespasianis, vel patri vel filio, suavissimis imperatoribus, ipse et
Domitiano crudelissimo: et ne per singulos ire necesse sit, qui Constantino christiano, ipse apostatae
Juliano: cujus egregiam indolem decepit amore dominandi sacrilega et detestanda curiositas, cujus vanis
deditus oraculis erat, quando fretus securitate victoriae, naves, quibus victus necessarius portabatur,
incendit; deinde fervide instans immodicis ausibus, et mox merito temeritatis occisus, in locis hostilibus
egenum reliquit exercitum, ut aliter inde non posset evadi, nisi contra illud auspicium dei Termini, de quo
superiore libro diximus (Cap. 29) , Romani imperii termini moverentur. Cessit enim Terminus deus
necessitati, qui non cesserat Jovi. Haec plane Deus unus et verus regit et gubernat ut placet: et si occultis
causis, numquid injustis?
21. Stando così le cose, dobbiamo attribuire il potere di con cedere il dominio regio e ímperiale soltanto al
vero Dio che dà la fclicità nel regno dei cieli solamente ai fedeli e il regno terreno tanto, ai fedeli che agli
infedeli, come piace a lui al quale non piace l'ingiustizia. Quantunque abbia esposto qualche concetto che mi
è sembrato chiaro, è tuttavia difficile per me e supera di molto le mie capacità umane trattare argomenti
inaccessibili alla ragione e valutare con indagine scientifica le benemerenze degli imperi. Il solo vero Dio che
non cessa di giudicare e aiutare la razza umana ha concesso, quando ha voluto e nella misura in cui ha
voluto, l'impero ai Romani. Lo ha concesso anche agli Assiri e anche ai Persiani, sebbene da costoro, come
riferiscono i loro documenti, fossero adorati soltanto due dei, uno buono e uno cattivo. Non parlo del popolo
ebraico, di cui ho già parlato sufficientemente, come mi è sembrato opportuno, il quale anche nel periodo in
cui ebbe il regno, adorò un solo Dio. Dunque il Dio, il quale diede ai Persiani le messi indipendentemente dal
culto della dea Segezia, il quale diede i prodotti del suolo indipendentemente dal culto dei tanti dèi che i
Romani hanno preposto singolarmente ai singoli prodotti o anche più per ciascun prodotto, ha concesso ai
Persiani anche il dominio indipendentemente dal culto degli dei mediante il quale i Romani ritengono di
averlo ottenuto. Altrettanto si dica per gli individui. Sempre il medesimo Dio ha concesso il dominio a Mario e
a Caio Cesare, ad Augusto e a Nerone, ai primi due Flavi, padre e figlio, che furono imperatori molto miti e al
crudele Domiziano e, per non nominarli tutti, al cristiano Costantino e all'apostata Giuliano. Una sacrilega e
detestabile superstizione causata dalla passione del dominio trasse in errore il nobile temperamento di
questo imperatore. Applicatosi infatti ai bugiardi oracoli di tale superstizione, fidente nella sicurezza della
vittoria, fece incendiare le navi da cui era trasportato il vettovagliamento necessario; in seguito attaccando
ardentemente con gravi rischi e caduto per colpa della propria audacia, lasciò l'esci cito sfornito di mezzi in
territorio nemico. Esso non sarebbe pututo scampare se a dispetto dell'auspicio del dio Termine, di cui ho
parlato nel libro precedente, non fossero ridotti i confini del l'impero romano. Così il dio Termine che non
aveva ceduto a Giove cedette all'ineluttabile. Evidentemente questi fatti li dispone e ordina il Dio uno e vero
secondo un suo disegno e sembra con ragioni giuste, anche se occulte.
Trad. D. Gentili, Roma, Città Nuova, 1997 [BCTV]
Letture critiche. M. von Albrecht, Lingua e stile
Lo stile d'Agostino non può essere compreso senza interessarsi della particolare musicalità di questo dottore
della Chiesa. Essa non si esplica soltanto nell'analisi retorica di passi paolini per periodi e cola (doctr. christ.
4, 7 , 11-13), ma anche nella sorprendente confessione del Santo, che la bellezza della salmodia lo avvince
a volte piú del contenuto (conf. 10, 33, 49 sg.); il ruolo positivo che la musica ebbe nella sua conversione è
peraltro da lui sottolineato nel medesimo passo; l'introduzione del canto chiesastico da parte di Ambrogio lo
ha già personalmente coinvolto in un'epoca in cui ancora lo lasciavano freddo reliquie e miracoli (conf. 9, 6,
14 - 7, I6).
Un gusto smodato per i suoni si manifesta nelle prediche, pronunciate perlopiú in brevi frasi ad effetto. Per la
verità Agostino cerca qui un'espressività di tipo popolare: «melius in barbarismo nostro vos intellegitis, quam
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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in nostra disertitudine vos deserti eritis» (in psalm. 36, serm. 3, 6); ma questa stessa affermazione
programmatica è altamente stilizzata in senso retorico: è tutt'altro che «latino popolare»! Ornamento
principale di tale «prosa rimata» sono ripetizioni di vocaboli ed omoteleuti, che preparano lo stile delle
prediche di età successive. Nei passi riusciti non si tratta di semplice gioco retorico, ma di una veste
appropriata per verità paradossali.
La molteplicità dei registri linguistico-stilistici che Agostino ha a disposizione è pressoché illimitata. Anche
all'interno di una stessa opera esistono differenze stilistiche. Le Confessiones - anche e proprio nelle parti
lirico-contemplative - recano fra l'altro l'impronta essenziale della dizione della Bibbia - qua e là addirittura
della sua sintassi. L'artistica abbondanza che domina in molte parti della medesima opera cede sovente il
posto alla concisa concretezza ed al rigore logico - come nelle discussioni filosofiche. La ricchezza di mezzi
espressivi ricorda Cicerone.
Discutibili, ma storicamente interessanti sono i tentativi poetici di Agostino. Secondo la sua stessa
testimonianza l'orecchio africano non era piú in grado a quell'epoca di distinguere le brevi dalle lunghe. Egli
tiene conto di questo fatto e nel suo salmo antidonatista diviene cosí l'antesignano della piú tarda poesia non
quantitativa.
Lo stile delle Epistole mostra l'autore ancora sotto un altro aspetto. Agostino scrive di rado di faccende
personali, come quando chiede a Valerio, vescovo d'Ippona (21), un periodo di preparazione, o quando
racconta delle proprie prediche sul digiuno (29); perlopiú affronta da titolare di un ufficio i problemi del suo
prossimo.
Nello stile epistolare spira perlopiú una freddezza distaccata, anche nei confronti di un discepolo come
Nebridio (epist. 10). Ciò che Agostino apprezza particolarmente nei propri corrispondenti e che può
strappargli perfino toni cordiali sono l'apertura mentale, la curiosità intellettuale e l'aspirazione alla verità; ciò
appare nell'epistola (19) a Gaio, che è insieme una lettera d'accompagnamento ad un fascio di propri scritti.
Sensibilmente piú ricca è ad esempio l'orchestrazione dell'epistola a Paolino (31), piena di cortesia e senza
risparmio di superlativi. Nonostante le affermazioni retoriche che al nostro gusto appaiono esagerate,
s'intravede qui un vero e proprio rapporto umano. Con questo stile fiorito contrasta l'aridità e la durezza della
lettera a Macrobio (106), che vuol ripetere il battesimo ad un suddiacono (409 d. C.). Qui parla il vescovo
fornito d'autorità. Le frasi sono della massima concisione possibile (noli). Unico ornamento sono le ripetizioni
di vocaboli; esse accentuano l'insistenza fino all'inesorabilità. Di effetto sardonico è l'invito al destinatario a
voler dunque battezzare lui, il vescovo (aprosdóketon). Non meno brusca è l'epistola 26: il rimprovero ad un
giovane poeta sarebbe degno del vecchio Tolstoj: «curi il tuo stile e trascuri la tua anima». Simili antitesi
sono la veste confacente al rigorismo quasi «stoico» che Agostino esercita nel decimo libro delle
Confessiones anche nei confronti del suo stesso amore per la musica; nel De doctrina christiana avvertiamo
peraltro toni piú blandi.
Sono cosí caratterizzati tre moduli stilistici del discorso agostiniano: lo stile contemplativo della discussione
filosofica, orientato prevalentemente in senso razionale; la gradevole dizione della conversazione urbana,
che fa appello a sentimenti amichevoli e delicati; e l'imperiosa maniera espressiva del titolare d'ufficio, che
deve imporre la propria volontà. Ad essa è vicino, come ulteriore varietà, il fioretto dello scritto polemico, cosí
come al primo tipo possono associarsi le epistole didattiche. In tutti e tre i generi stilistici si esprime una
personalità che sa celare il proprio intimo e si rivela solo quel tanto che si conviene all'occasione del
momento. La volontà ed anche la capacità d'istruire gli altri sono dappertutto manifeste; ma l'autore è troppo
riservato per esporsi - cosa che può sorprendere nell'autore delle Confessiones.
Lo stile liricamente mosso delle Confessiones, nel quale s'inseriscono senza sutura versi dei Salmi ed inni
ambrosiani, è dunque solo una fra le molte opzioni di cui Agostino può disporre. Nel complesso perfino il
rigore didattico viene alla ribalta con maggior decisione.
Per quanto riguarda l'evoluzione diacronica, Agostino da vecchio riprova soprattutto espressioni pagane da
lui in precedenza impiegate: fortuna, omen, Musae. Di contro accoglie solo a rilento vocaboli specificamente
cristiani come salvator, exorcisare.
Il carattere scarsamente spontaneo delle lettere dipende dal fatto che Agostino parla alla maggior parte dei
destinatari da maestro o da direttore di coscienza, una funzione didattico-psicologica che è in accordo con la
sua professione secolare, ma anche con la sua vocazione religiosa. Ancor prima di venire a conoscenza del
monachesimo, egli si propone come ideale una comunità di amici uniti dai medesimi intenti, dapprima
ammantata di principi ciceroniani, poi platonico-pitagorizzanti;l'umiltà e l'ascesi cristiana sono in fecondo
conflitto con l'elevata coscienza del proprio carattere eletto e con un atteggiamento di supremazia prelatizia
orientato probabilmente su Ambrogio.
Le peculiarità del modo di scrivere agostiniano sono rivelate dal confronto con Cicerone. In rapporto alle
condizioni in cui operano gli antichi scrittori, alla loro maniera di utilizzare le fonti, al loro gusto per gli
excursus e gli exempla - ma soprattutto alla pratica viva dello scambio intellettuale nel dialogo con gli amici! appaiono nei maggiori prosatori latini certe libertà di composizione.
C'è però una differenza decisiva: il processo mentale ciceroniano appare in larga misura già concluso al
momento della composizione e la forma produce un effetto per cosí dire «plastico»; Agostino fa partecipare il
lettore all'evolversi del proprio pensiero - in maniera piuttosto «musicale». Nell'uno la meditazione precede la
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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redazione scritta, che acquista il carattere di un'«esposizione»; la prosa dell'altro (certamente non meno
ponderata!) è essa stessa meditazione ed unisce «ricerca» ed «insegnamento». Sintomatica è la frequenza
di proposizioni interrogative per ampi brani, per esempio nel De genesi ad litteram. Da una retorica
prevalentemente «avvocatesca» dell'età repubblicana si è sviluppata nella tarda antichità una retorica del
processo d'apprendimento, del dialogo interiore e del monologo. Non è questo l'ultimo elemento sul quale si
fondano la vivacità ed il calore della parola agostiniana, che fanno entrare immediatamente il lettore
all'interno del processo intellettuale.
M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1708-11.
Scheda. La letteratura di catechesi. F. Cocchino
CATECHESI.
Una volta proclamato il kerygma, compito delle comunità cristiane fu quello di preparare i futuri credenti
mediante una istruzione completa ed essenziale che ampliasse e approfondisse al tempo stesso gli elementi
dell'annuncio propriamente detto. Tali istruzioni vengono chiamate «catechesi» (Egeria, Peregr.) dal verbo
katechèo [greco] = insegnare a viva voce, dove però l'insegnamento non è altro che l'eco di una parola che è
già stata detta: quella di Dio. In tal senso la catechesi è in primo luogo il riecheggiare della parola di Dio
mediante la voce del catechista. Nei testi neotestamentari, particolarmente Act e lettere paoline, si trovano
numerosi passi che potrebbero definirsi vere e proprie c., dove l'annuncio cristologico si accompagna alle
testimonianze veterotestamentarie e costituisce la base su cui fondare la vita cristiana nei suoi aspetti
liturgici, morali, comunitari. Sulla scia della tradizione giudaica si collocano alcune opere quali la Didachè,
l'Epistola di Barnaba, la parte centrale dell'Epistula Apostolorum (databili tra il II e il III sec.) che più
direttamente si presentano come c. utilizzando, specie per la parte morale, la dottrina delle «due vie» e, per
ciò che concerne 1'AT, raccolte di Testimonia che mostrano quanto fosse essenziale, in questo tipo di opere,
il collegamento, mediante la Scrittura, tra l'antica e la nuova alleanza.
Con Ireneo e Tertulliano, il genere catechetico entra più organicamente a far parte dei generi letterari. La
Demonstratio del primo e il De baptismo del secondo, espongono in forma di c. le varie tappe della storia
della salvezza facendo largo uso della tipologia per interpretare in senso cristologico-sacramentale i dati
veterotestamentari. Anche la Passio Perpetzrae è stata considerata, nella parte relativa alle «visioni», una c.
sacramentale. Ippolito parla di una istruzione che veniva impartita per tre anni ai catecumeni da un dottore
(Trad. Ap. 17-18), e da Eusebio (HE V, 9) abbiamo notizie riguardanti l'attività catechetica che si svolgeva ad
Alessandria. Sappiamo così che verso il 180 Panteno era diventato rettore di una scuola catechetica, il
didaskaleion, probabilmente già esistente o, secondo alcuni studiosi, continuazione in ambito cristiano di
quella giudaica. La c. impartita nel didaskalcion sarebbe stata di contenuto prettamente esegetico, diretta a
catecumeni e a già battezzati ma non aliena dall'entrare in discussione con le opinioni di eretici e filosofi.
Dopo Panteno, Clemente e poi Origene avrebbero preso la direzione della scuola. Le notizie offerte da
Eusebio sono state fatte oggetto di studio per valutarne l'attendibilità, che comunque sembra
sufficientemente provata. Il duplice carattere di esposizione dottrinale mediante 1'esegesi scritturistica e di
presentazione e confutazione delle eresie, rimarrà nota costante delle catechesi successive. Echi della c.
origeniana di contenuto esegetico si trovano nelle omelie su Le. XXI, 4; XXII, 6. Nel IV sec., la c., come
esposizione sintetica e ordinata delle verità della fede, veniva impartita durante la quaresima in preparazione
immediata al battesimo e agli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana che erano conferiti durante la veglia
pasquale. In tal modo diventa esplicito il legame strettissimo che nella c. unisce la Bibbia cori la liturgia.
Nella settimana di pasqua, i neofiti ascoltavano le cosiddette c. mistagogiche, che spiegavano più
estesamente il significato dei sacramenti ricevuti. Questa spiegazione veniva data dopo il conferimento dei
sacramenti in quanto essi, come eventi, andavano prima di tutto vissuti e poi approfonditi nel loro significato
dottrinale (Ambr., De myst. 1; Cir. di Ger., Catech. XIX, 1). Sono giunte a noi le c. predicate da Cirillo di
Gerusalemme nel 348: una Protocatechesi a cui fanno seguito 18 c. dette degli «illuminati» concernenti
rispettivamente la preparazione morale, la penitenza e la misericordia di Dio, il battesimo, una sintesi
dogmatica, la fede e i vari elementi del Simbolo (Catech. VI-XVIII). Vi sono poi 5 c. mistagogiche: (e prime
due sul battesimo, la terza sulla confermazione, la quarta e la quinta sull'eucaristia; si discute
sull'attribuzione di queste a Cirillo o non piuttosto a Giovanni, suo successore come vescovo di
Gerusalemme. Un'altra serie di c. è costituita dalle 8 istruzioni predicate dal Crisostomo ad Antiochia verso il
388: di queste le prime due sono rivolte a quelli che si erano iscritti per la preparazione immediata al
battesimo (I, 2) sintetizzando, la prima, il significato profondo del rito e, la seconda, analizzando in dettaglio
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte IV,3 - Da Marco Aurelio alla fine dell'impero Romano d'Occidente
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le singole cerimonie (esorcismi, unzioni, lavacro). Le altre sono invece rivolte ai neofiti e a tutta la comunità
che li accoglieva e di cui ormai essi facevano parte: viene spiegato il sacramento dell'eucaristia (III, 12-19)
per passare poi alla parte morale secondo gli impegni della nuova vita derivanti dal battesimo (IV, 12-16): la
testimonianza (IV, 17-24), la moderazione (V, 1-14), la continua conversione (V, 24-27), la costanza
nell'ascolto della dottrina (VI, 1-7), la venerazione delle reliquie dei martiri (VII, 1-11), la preghiera e
l'elemosina (VII, 25-27), il modo di impostare la giornata (VIII, 16-25). Anche di Teodoro di Mopsuestía
abbiamo una serie di 16 omelie catechetiche di cui le prime 10 spiegano il Simbolo e l'undicesima il Pater,
mentre le altre, mistagogiche, trattano del battesimo (12-13), dell'unzione (13), dell'eucaristia (1>-16) e della
confessione (16): quest'ultima è presentata come necessaria al fine di partecipare all'eucaristia solo nel caso
di peccati gravi che devono essere confessati al sacerdote in segreto. Si è incerti sulla data in cui sarebbero
state pronunciate: o ad Antiochia verso il 390 o a Mopsuestia verso il 392-428. Ambrogio ci ha lasciato varie
piste su cui seguire la sua opera di catecheta, in primo luogo alcune omelie a carattere esegetico,
esplicitamente rivolte ai catecumeni (De Abr. I, 4,23; De Elel. 21,79; 22,83-84). Ci troviamo in presenza di
quella istruzione sulla storia della salvezza che costituiva fin dagli inizi uno dei contenuti principali di ogni c.
(cfr. in questa linea Girol. In Matthaeum dove sono numerosissime le allusioni ai catecumeni). In altre opere
(De symb.; De myst.; De sacram.), Ambrogio svolge i temi tipici della c. spiegando il Simbolo ai catecumeni
e riservando ai neofiti, durante la settimana di Pasqua, la spiegazione, mediante il metodo tipologico, dei
sacramenti ricevuti. Il De sacramentis V, 19-30 è dedicato al commento delle petizioni del Pater; si dimostra
così l'uso, nella chiesa di Milano, di riservare questa preghiera al periodo post-battesimale, contrariamente a
quanto avveniva in Africa dove Tertullíano, Cipriano, Agostino testimoniano l'uso della traditio e redditio del
Pater nell'ultima settimana del periodo di catecumenato. Durante la traditio del Pater, la preghiera insegnata
da Gesù veniva spiegata in ciascuna delle sue petizioni per essere poi imparata a memoria dal battezzando
che poteva così obbedire al comando di pregare sempre (Lc 18,1). La consegna del Pater dopo quella del
Simbolo stava a significare l'unificazione tra fede da professare e vita quotidiana da vivere nel segno della
preghiera. Il Pater, considerato come riassunto del vangelo (Tertull., De orat. 9; Agost., F.pist. 130) fu
commentato in prospettiva catechetica da Tertulliano (o. c.), Cipriano (De dom. orat.), Ambrogio (De sacr. V,
19-30), Agostino (Sermones 5659), Gregorio di Nissa (Orat. dom. 1-5).
Con Agostino, le testimonianze sulla c. cristiana del IV sec. si ampliano. Il suo trattato De catechizandis
rudibus ci informa sulla metodologia che veniva seguita quando l'uditorio era composto da persone che per
la prima volta si trovavano di fronte all'annuncio di fede: non si tratta dunque di una c. per la immediata
preparazione al battesimo. Poiché «metodo» e «contenuto» sono però inseparabili, si trovano in quest'opera
numerosi richiami all'oggetto specifico di cui si deve occupare la c.: la storia della salvezza vista nella sua
unità e continuità con al centro l'evento della risurrezione (cfr. su questo stesso schema Egeria, Peregr. 4G).
Scendendo più in dettaglio, Agostino enumera le tappe che di tale storia vanno presentate e approfondite e
che, per ciò che riguarda 1'AT, sono: creazione, diluvio, alleanza con Abramo, Davide, ritorno dall'esilio (De
catecl), rud. 39); stupisce di non trovar menzionato l'esodo, anche se i richiami a questo evento sono
numerosi. La lettura è in chiave tipologica in modo che il mistero di Cristo e della chiesa è sempre presente
e per evidenziare che se Cristo occupa il posto centrale, la chiesa dimostra nella liturgia che la storia della
salvezza continua nel tempo. Se il De catech. rud. offre, oltre al metodo, í contenuti in sintesi della c.,
Agostino si occupa più direttamente di questi in altre opere. L'Encbiridion contiene la spiegazione del
Simbolo e del Pater per terminare con l'esposizione dei precetti morali. Il sottotitolo è De Fide, spe et caritate
ed è infatti nell'ottica delle tre virtù che sono sviluppati rispettivamente i tre temi. Se 1'Enchiridion è una c.
diretta a una persona colta, il De agone christiano ha tutto l'aspetto di una c. rivolta a persone semplici dove
la spiegazione del Simbolo è inserita nel contesto della lotta contro il diavolo ed è occasione per confutare
varie eresie, soprattutto quelle a carattere eristologico. Manichei (c. 4), modalisti (c. 14), ariani (c. 16),
gnostici (c. 17), doceti (c. 18), montanisti (c. 28), donatisti (c. 29), lucíferiani (c. 30) vengono così
ordinatamente presentati a seconda dell'elemento di fede proposto dal Simbolo e a cui, con le loro dottrine,
si opponevano. Sempre per confutare le dottrine professate dagli eretici, ma rivolgendosi questa volta non
più ai «semplici», bensì ai vescovi africani riuniti in concilio nel 393, Agostino riprende l'esposizione del
Simbolo approfondendo ogni singolo enunciato nel De fide et symbolo: vera e propria traccia per successive
c. .
Si può pertanto osservare come l'uso della c. con Agostino si vada differenziando a seconda dell'uditorio a
cui la c. stessa è diretta e a seconda della necessità di approfondirne gli elementi quando, per il sorgere di
eresie o di controversie dottrinali, questi potevano non essere più sufficientemente chiari. Proprio per
rispondere a quest'ultima esigenza, di una, cioè, maggiore chiarificazione dei temi di fede proposti nel
Simbolo e suscettibili di diverse interpretazioni da parte di eretici, Rufino di Aquileia scrisse intorno al 404 un
Commento al simbolo, opera destinata più che ai catecumeni, ai catechisti e dove, insieme ad una puntuale
spiegazione di ciascuna espressione, viene ricordato il canone dei libri scritturistici (c. 35-36) e un elenco
delle eresie (c. 37). Segno non ultimo della ormai raggiunta diffusione del cristianesimo in tutti i livelli, sociali
e culturali, in modo da rendersi necessario l'uso di diverse modalità per presentare la fede, pur nella
sostanziale uniformità dei contenuti, è 1'Oratio catechetica magna scritta dal Nisseno verso il 385 per un
pubblico di intellettuali neoplatonici bisognosi di un discorso particolarmente sistematico. Su come si
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svolgeva la c. a Gerusalemme verso la fine del IV sec. siamo dettagliatamente informati dalla Peregrinatio di
Egeria: storia della salvezza, Simbolo e riti sacramentali erano tutti spiegati prima nel senso letterale e poi
secondo quello spirituale. A tali istruzioni erano ammessi durante la quaresima solo coloro che dovevano
essere battezzati a Pasqua e i già battezzati. Omelie esplicitamente di genere catechetíco sono quelle di
Cromazio di Aquileía rivolte ai catecumeni intorno alla festa di Pasqua; testimoniano l'uso ancora radicato di
battezzare nella veglia pasquale (Serm. 17; cfr. Leone M., Serm. 43,60), mentre i continui riferimenti allo
Spirito santo indicano l'esigenza di adattare la c. alla situazione dottrinale del momento: nel caso di
Cromazio era viva la lotta contro i pneumatomachi (Serm. 18; 18a; 14, l; 34). Anche le omelie di Pier
Crisologo, pronunciate a Ravenna durante la quaresima (Serm. LVI, 3; LX, 2) nella prima metà del V sec.
per spiegare il Simbolo ai catecumeni, testimoniano l'uso di battezzare a Pasqua e la persistenza della
disciplina arcani che proibiva di mettere per iscritto la formula del Simbolo affinché non andasse nelle mani
di eretici e infedeli (Serm. LVI; LIX; LXI). La c. si dimostra attenta nell'adattarsi alla situazione storica e
dottrinale ma sempre sulla base della Scrittura che è presa a sostegno dei singoli enunciati di fede.
M. Sauvage, Cathéchèse et lai'cat. Participation des laìts au ministère de la Parole, Paris 1962; J. DaniélouR. Du Charlat, La catechesi nei primi secoli, Torino 1969 (con bibl.); H.M. Riley, Cbristian Initiation (in Cirillo
di Ger., Giovanni Crisost., Teodoro di NI., Ambrogio), Washington 1974; G. Venturi, Problemi dell'iniziazione
cristiana Nota bibliogr.: EphemLiturg 88 (1974) 241- 270 (ampia bibliografia); V. Grossi, Il contesto
battesimale dell'oratio dominìca nei commenti di Tertulliano, Cipriano, Agostino: Augustinianum 20 (1980)
205-220.
F. Cocchini, s.v. Catechesi, DPAC, 1, col. 622-27.
Scheda. Il dialogo. P.F. Beatrice
DIALOGO. Il genere letterario del d., molto diffuso nelle antiche letterature classiche, godette di una certa
fortuna anche presso gli autori cristiani dei primi secoli.
a) Le origini del d. cristiano non sono del tutto chiare. Molto probabilmente esso ha preso forma dall'incontro
di precedenti forme espressive sub-letterarie come ad es. le dispute rabbiníche intorno all'interpretazione
della Legge ebraica, la diatriba cinico-stoica e le controversie riportate nella primitiva letteratura cristiana
delle Praxeis (cfr. Pseudo-Clementine). Il più antico d. cristiano di cui si abbia notizia, ma che è andato
perduto, è appunto una controversia tra il giudeo Papisco ed il giudeo-cristiano Giasone sull'interpretazione
dell'AT, ed è dovuto all'opera di Aristone di Pella (ca. 140 d.C.). Il più celebre Dialogo con Trifone giudeo di
Giustino (verso il 155) riprende anch'esso questo schema controversistico, conferendogli però una più
elevata dignità letteraria grazie agli evidenti richiami platonici, specialmente al Protagora. La forma letteraria
del d. sarà in seguito più volte ripresa tanto nelle polemiche antigiudaiche quanto nelle polemiche
antipagane. Il d. apologetico trova il suo esemplare più famoso nell'Octavius di Minucio Felice (ca. 200 d.C.),
dove si sente la presenza ciceroniana del De natura deorum, ma non va dimenticato 1'Apokritikòs di Macario
Magnete (V sec.).
b) È importante notare come sul d. cristiano letterariamente elaborato non abbiano praticamente lasciato
traccia né la ricca produzione dialogica dell'età imperiale (Plutarco, Luciano, Ateneo, Macrobio) né il famoso
precedente biblico del libro di Giobbe. Gli autori cristiani letterati si rifanno esclusivamente a Platone e a
Cicerone, specialmente quando sentono il bisogno di confrontarsi con i modelli del d. filosofico classico per
utilizzarlo ai fini della creazione del d. filosofico cristiano. In questo campo eccellono soprattutto i nomi di
Gregorio di Nissa con il Dialogo sull'anima e la risurrezione (direttamente ispirato al Fedone platonico) e,
naturalmente, Agostino con i d. filosofici della giovinezza, i quattro d. di Cassiciacum (Contra Academicos,
De beata vita, De ordine, e i Soliloyuia, una novità in senso assoluto) e, dopo il battesimo, il De quantitate
animae, il De magistro, il De libero arbitrio e il De musica. A1 d. cristiano strettamente filosofico bisogna però
attribuire altre opere come il Libro delle leggi dei paesi di Bardesane di Edessa, il d. di Gregorio Taumaturgo
Sull'impassibilità e la passibilità di Dio e, infine, la Consolatio Pbilosophiae di Severino Boezio.
c) Ma il d. filosofico nel quale l'autore cristiano cerca di elaborare risposte razionali autonome dalla
rivelazione, anche se con essa integrantesi, costituisce una parentesi nella più vasta produzione di d. di
carattere preminentemente teologico che trovano spazio nelle innumerevoli controversie dottrinali tra
ortodossi ed eretici. Ad Origene si debbono due d. sulla risurrezione ed un Dialogo con Eraclide e i vescovi
suoi colleghi sul Padre, sul Figlio e sull'anima. Metodio d'Olimpo è autore di diversi d. teologici nei quali
riesce a temperare l'intenzione polemica nelle forme letterarie esigenti del d. platonico: il Simposio delle dieci
vergini, opera ricca di spunti antiencratiti; l'Aglaofonte sulla risurrezione, dialogo antignostico e
antiorigeníano; í1 dialogo antignostico Sul libero arbitrio; il De lepra. Dopo Metodio, il dialogo
controversistico assume forme sempre più asciutte con il Dialogo di Adamanxio, antignostico, e gli Acta
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Archelai di Egemonio, contro il manicheismo (interessante la presenza del giudice esterno in queste
polemiche tra cristiani). Si moltiplicano, tra IV e V sec., i dialoghi antiariani e antimacedoniani, aderenti alla
forma della disputa orale realmente avvenuta (ad es. i sette dialoghi ps. atanasiani); d. teologici scrivono
Girolamo, contro luciferiani e pelagiani, e Cirillo di Alessandria, contro ariani e nestoriani; Nestorio scrive
un'autodifesa in forma di d., il Libro di Eraclide, mentre Teodoreto di Ciro polemizza contro i monofisiti con il
d. Eranistes. In una lettera a Diedero, Basilio di Cesarea aveva chiaramente espresso la sua preferenza per
quel genere di d. nel quale, senza nulla concedere alle grazie del d. platonico, ma piuttosto sulle orme di
Aristotele e Teofrasto, l'autore cristiano esponesse, con stile semplice e chiaro, le obiezioni degli avversari e
le risposte che esse esigono, al fine di compiere opera utile all'edificazione della fede comune (Ep. 135,1).
d) Forse trascrisse i vangeli e le lettere apostoliche in forma di d. Apollinare di Laodicea, in seguito all'editto
di Giuliano del 362, mentre Giovanni Crisostomo riveste con la tecnica dialogica la sua meditazione
Sulsacerdozio cristiano. Alla utilizzazione del d. ricorrono anche scrittori di biografie agiografiche come
Palladio di Elenopoli, autore del Dialogo sulla vita di San Giovanni Crisostomo, Sulpicio Severo con i
Dialoghi di argomento martiniano, Gregorio Magno con i Dialoghi sulle vite e i miracoli dei santi italiani tra i
quali eccelle Benedetto da Norcia.
e) Dal d. letterario, la cui presenza è abbastanza discontinua nell'ambito della produzione cristiana antica, è
da distinguere il genere delle cosiddette «domande e risposte» (erotapokrrseis), come quelle riportate nelle
Quaestiones et responsiones ad orthodoxos dello Ps. Giustino, o nei Dialoghi dello Ps. Cesario di Nazianzo
o negli Amphilochia di Fozio. In questo genere, che ha indubbiamente influito anche sulla struttura delle
Regole basiliane e sulle Collationes di Giovanni Cassiano (schema monastico), la risposta segue alla
domanda in maniera definitiva ed esaustiva poiché l'autorità del maestro o della guida spirituale non lascia
spazio al proseguimento della discussione che caratterizza invece il dialogo vero e proprio.
f) Non più che un accenno si può fare in questa sede al d. «gnostico» o «di rivelazione», nel quale alle
dispute tra gli apostoli e i discepoli del Signore e alle domande poste al rivelatore risuscitato segue
immancabilmente la risposta chiarificatrice che pone fine alla discussione stessa. Questo genere del d. di
rivelazione presenta qualche affinità con coeve formule e tematiche ermetiche.
Rl1Ch 3,928-955 (Dìalog); 6,342-370 (Erotapokrzseis); M. Hoffmann, Der Dìalog Gei den christlìchen
Schrzftstellern der ersten vier Jahrhunderte (TU 9G), Rerlin 1966; BR Voss, Der Dialog in der
frzihcbristlichen Literatur (Studia et Testimonia antiqua 9), Miinchen 1970; P. Perkins, The Gnostic Dialogue.
Ibe Early Church and the Crisis of Gnosticism, New York 1980.
P.F. Beatrice
P. F. Beatrice, s.v. Dialogo, in DPAC, 1, col.939-42.
Scheda – I commentari biblici. M. Simonetti
COMMENTARI BIBLICI. Rispetto alle Quaestiones, raccolte di interpretazioni di passi biblici di particolare
interesse, e alle Omelie, prediche illustrative di passi biblici letti durante le funzioni liturgiche, il Commentario
biblico si può definire come opera dedicata all'illustrazione sistematica di un intero libro della Bibbia o di una
sezione organica di esso, e composta interpretando il testo sacro versetto per versetto. In ambito giudaico,
un commentario di questo tipo fu il pesher di cui si sono scoperti a Qumràn vari esempi; ma poiché i primi C.
cristiani datano al II sec. inoltrato, cioè ad un tempo in cui la chiesa si è ormai profondamente ellenizzata, i
modelli di questi testi cristiani andranno piuttosto ricercati nell'ambito dell'attività letteraria greca. Qui,
schematizzando, possiamo distinguere due tipi di C.: uno è di carattere grammaticale-letterario, e per lo più
consiste in brevi spiegazioni apposte a margine dei testi di poesie e prosa studiati a scuola, di carattere
vario, storico antiquario grammaticale retorico; l'altro tipo è il commentario filosofico, in cui l'esegeta illustra il
testo di un filosofo illustre (Platone, Aristotele, ecc.) con grande ampiezza e in modo spesso molto
personale: ricorderemo di questo genere i Commentari platonici di Proclo.
Il più antico C. cristiano di cui abbiamo notizia, il Commento a Giovanni dello gnostico Eracleone, composto
circa alla metà del II sec., dai frammenti che ci sono giunti doveva constare di brevi spiegazioni, poco più
che glosse, che illustravano in modo non sistematico il IV vangelo. Il suo modello andrà perciò ravvisato nel
commentario pagano di tipo grammaticale. Più o meno lo stesso carattere presentano i C. di Ippolito (fine
II/inizio III sec.) a Daniele, Cantico, ecc., anche se l'interpretazione appare più diffusa di quanto non doveva
essere in Eracleone. Invece i C. di Origene (a Giovanni, Matteo, Cantico, ecc.) sono di estensione ben più
grande, fino a comprendere anche molti libri (33 su Giovanni, 10 sul Cantico), e sembrano avvicinarsi al tipo
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del commentario filosofico, forse anche per tramite di Filone, le cui opere sono in massima parte C. a passi
della Genesi e dell'Esodo arieggianti appunto questo tipo di commentario profano.
Dopo questi primi esemplari, nella grande fioritura dei C. b. scritti a partire dal IV sec. in Oriente e, con
ritardo di più di mezzo secolo, in Occidente, riscontriamo esempi dell'una e dell'altra forma, ormai svincolati
dai modelli profani e aderenti soltanto, nello schema che abbiamo descritto, alle specifiche tendenze
interprètative dei vari autori. In linea di massima il C. d'ambiente antiocheno, a tendenza letteralista, è
piuttosto breve e spedito, mentre quello di scuola alessandrina, privilegiando l'interpretazione di tipo
allegorico, è di solito molto più diffuso. In Occidente soprattutto il De Genesi ad litteram di Agostino si
avvicina per ampiezza di commento a questo tipo di opera.
Vario poteva essere anche il modo di composizione. I C. di Ambrogio, p. es.,