La partecipazione diretta alle decisioni politiche nel diritto

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La partecipazione diretta alle decisioni politiche nel diritto
La partecipazione diretta alle decisioni politiche nel diritto comparato
Giancarlo Rolla
Università di Genova
Il lavoro non affronta il problema della democrazia diretta in senso stretto ( referendum,
scelte si o no), ma il tema della democrazia deliberativa e partecipativa (coinvolgimento dei
citttadini nelle decisioni pubbliche
al fine di migliorare la qualità della democrazia
rappresentativa).
Si può richiamare a tal fine una classica classificazione di Jelinek in materia di diritti
fondamentali, il quale – dopo avere individuato i doveri, le libertà negative, le libertà
positive – aveva collocato al vertice della piramide la nozione di “cittadinanza attiva” ,
intesa come diritto all’esercizio della volontà.
Considerazioni preliminari
Il costituzionalismo si differenza da altre tradizioni costituzionali per la natura dei suoi
principi che, come ci ricorda l’art.16 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo
e del cittadino, riguardano sia i diritti dell’individuo, sia l’organizzazione dello Stato.
Tra i primi: eguaglianza, libertà, solidarietà, giustiziabilità; tra i secondi : rule of law,
separazione dei poteri, rappresentanza politica.
In particolare, per quanto concerne l’esercizio della sovranità, il popolo o i cittadini
non assumono direttamente le decisioni politiche, ma partecipano alla scelta dei
componenti gli organi che debbono assumere le decisioni politiche. Se attraverso gli
istituti di democrazia diretta i cittadini esercitano in prima persona alcune funzioni
sovrane; nella democrazia rappresentativa, per contro, le volizioni dello Stato sono
assunte da rappresentanti selezionati dal corpo elettorale.
Secondo una nota definizione del Constant, il sistema rappresentativo
è « una
organizzazione attraverso la quale una nazione affida ad alcuni individui ciò che essa
non può o non vuole fare da sé».
Tutti gli ordinamenti costituzionali contemporanei sono organizzati secondo il
principio della “democrazia rappresentativa”. La rappresentanza, cioè, si forma
essenzialmente attraverso le elezioni, attraverso le quali si esercita una duplice scelta –
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contemporanea o altrantiva-: dei rappresentanti e di un orientamento politico.
Emblematico, a questo proposito, è l’art.20.2 della Costituzione della Repubblica
federale di Germania: “Tutto il potere statale emana dal popolo. Esso è esercitato dal
popolo per mezzo di elezioni e di votazioni “.
Il principio rappresentativo, inoltre, consente alcune distinzioni di base.
Innanzitutto la distinzione tra organi di garanzia e organi che partecipano all’esercizio
dell’indirizzo politico: nel senso che i primi (magistratura, tribunali costituzionali), pur
esercitando funzioni sovrane ed essendo collegati al principio di sovranità popolare (
art.101 Cost. italiana “la giustizia è amministrata nel nome del popolo”), ma non sono
legati da un rapporto di rappresentanza politica con il corpo elettorale.
Inoltre, all’interno agli organi che caratterizzano la forma di governo si può
distinguere tra organi direttamente (parlamento) o indirettamente rappresentativi
(governo, capo dello Stato).
La natura della rappresentanza politica secondo il costituzionalismo originario
Si possono individuare tre caratteristiche.
Il rapporto di rappresentanza che lega il rappresentante al rappresentato non ha una natura
giuridica: il rappresentante non agisce in nome e per conto di un altro soggetto (l’elettore o,
impersonalmente, l’elettorato), né i suoi atti sono immediatamente e direttamente
riconducibili alla sfera giuridica di quest’ultimo.
Si instaura un rapporto di responsabilità non giuridica, ma politica. Una responsabilità
duplice: da un lato, il corpo elettorale deve valutare periodicamente l’attività istituzionale
dei rappresentanti e misurare il gradimento (principio della periodicità delle elezioni).
Dall’altro lato, ha l’obbligo di esercitare al meglio le funzioni connesse al proprio mandato.
In secondo luogo, la rappresentanza politica non instaura tra eletti ed elettori un vincolo di
mandato. Il rappresentante non può essere considerato un delegato dell’elettore o del
collegio in cui si è presentato: non solo nei collegi plurinominali, ma anche in quelli
uninominali è impossibile determinare la domanda politica certa ed univoca che l’elettore
esprime attraverso il voto a un determinato candidato, sì da poterlo considerare vincolato ad
essa.
Il divieto di mandato imperativo è intimamente collegato al principio rappresentativo: in
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proposito Edward Coke, riconfermando una consolidata convinzione del costituzionalismo
inglese, sosteneva che «sebbene ciascun rappresentante sia scelto da una particolare contea o
mandamento, tuttavia una volta che è eletto e siede in parlamento, egli svolge il suo ufficio
per l’intera nazione».
In terzo luogo, la rappresentanza politica è generale: l’eletto esprime l’interesse generale dei
cittadini o della Nazione, non gli interessi settoriali o particolari della società organizzata. I
membri del Parlamento rappresentano la Nazione e la legge è l’espressione della volontà
generale.
Questo principio costituisce il presupposto del divieto di mandato imperativo.
La parabola storica della rappresentanza politica
Schematicamente tale parabola può essere suddivisa in tre fasi.
Prima fase.
Con l’affermazione dello Stato liberale di diritto, nel corso dell’800 si è prodotta una
progressiva separazione tra rappresentanti e rappresentati, la cesura di un effettivo canale
comunicativo tra la società civile e la c.d.”classe politica”. Tra i fattori che hanno alimentato
tale tendenza possiamo ricordare:
a) la limitatezza del suffragio. La titolarità del diritto di voto era attribuita secondo criteri di
di rigida selezione sociale: la scelta della rappresentanza politica era affidata a porzioni
omogenee e circoscritte del popolo. Basti considerare, con riferimento all’Italia, come la
legge del 1848 favorisse i ceti aristocratici e nobiliari: per poter votare, oltre ai requisiti
dell’appartenenza al sesso maschile, dell’età (almeno 25 anni) e della capacità di leggere
e di scrivere, un’elevata capacità contributiva ovvero l’esercizio di particolari professioni
(professore universitario, notaio, direttore di opifici con almeno 30 operai, magistrato
inamovibile). La percentuale dei cittadini che godevano del diritto di voto era in quegli
anni, soltanto del 2, 2%. Solo agli inizi del ‘900 fu introdotto il suffragio universale
maschile, mentre il suffragio universale, sia maschile che femminile, si ebbe soltanto con
l’approvazione della legge elettorale per l’elezione dell’assemblea costituente.
b) La consacrazione definitiva del principio costituzionale della rappresentanza nazionale e
del divieto di mandato imperativo. Si affermò un’interpretazione rigida del divieto di
mandato imperativo. Nello Stato liberale dell’800 il principio del mandato libero fu
interpretato in maniera assoluta: si collegava sia a una visione del Parlamento basata sul
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libero confronto delle idee, sia all’idea che la organizzazione politica dello Stato dovesse
essere nettamente separata dalla società civile. Sono evidenti le influenze del primo
costituzionalismo di tradizione francese che propugnava l’assenza di ogni corpo
intermedio tra lo Stato e gli individui..
Seconda fase
Il secolo XX si caratterizza, sotto il profilo che interessa, per una valorizzazione delle
forme associative (il diritto di associazione viene annoverato tra i diritti fondamentali
dell’individuo) e per il riconoscimento del ruolo delle formazioni sociali, considerate
uno dei modo attraverso i quali gli individui esplicano la propria personalità.
Emblematica, ad esempio, è la formulazione dell’art.2 della Costituzione italiana: “La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia
nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Si crea un “ponte” tra il singolo e la Stato che si proietta anche per quanto concerne le
relazioni tra il rappresentato e il rappresentante.
Essenziale è, in questa prospettiva, la funzione dei partiti politici. Art.21 Cost.
Repubblica federale di Germania (I partiti concorrono alla formazione della volontà
politica del popolo); art.49 Cost. italiana ( i partiti come strumento attraverso il quale i
cittadini concorrono a determinare la politica nazionale).
Il Parlamento diviene espressione del carattere pluralistico della società e il rapporto
tra il rappresentante e il rappresentato non è più diretto, ma mediato da un soggetto
terzo, il partito. E in questo contesto, alcuni giuristi — tra i quali Kelsen —
individuavano una contrapposizione tra un’interpretazione assoluta del principio del
mandato libero e l’avvento dello «Stato dei partiti».
Le critiche del Kelsen trovarono un’eco nella legge elettorale cecoslovacca del 1920,
ove si stabiliva l’automatica decadenza dal mandato parlamentare per chi, durante la
legislatura, avesse abbandonato il partito politico di provenienza.
Un’altra recente tendenza influisce sul carattere nazionale della rappresentanza politica. La
nozione tradizionale di rappresenta politica è temperata dal riconoscimento di forme
settoriali di rappresentanza.
Alcuni ordinamenti riconoscono una rappresentanza politica di genere: ad esempio, l’art. 51,
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1 c. Cost. prevede che la Repubblica promuova con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini al fine di consentire a tutti i cittadini di accedere in
condizioni di eguaglianza alle cariche elettive.
Si tratta di disposizioni che costituzionalizzano la possibilità di introdurre con legge azioni
positive in relazione alla determinazione della rappresentanza politica; e che possono
considerarsi specificative sia dell’art. 3, 2 c. Cost. il quale pone l’obiettivo di rimuovere gli
ostacoli che di fatto impediscono la piena partecipazione di tutti alla vita politica, sia
dell’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il quale afferma il
principio che la parità tra uomini e donne sia assicurata in tutti i campi.
Sono previste, anche, forme di rappresentanza politica su base etnica, che si realizza di
norma attraverso la riserva di seggi a esponenti di minoranze linguistiche o etniche. In Italia,
è interessante la normativa della Regione Trentino-Alto Adige: Secondo l’art.36 dello
Statuto la composizione della Giunta regionale deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi
linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della Regione; i vice presidenti
appartengono uno al gruppo linguistico italiano e l’altro al gruppo linguistico tedesco,
mentre al gruppo linguistico ladino è garantita la rappresentanza nella Giunta regionale
anche in deroga alla rappresentanza proporzionale. Inoltre, il Presidente del Consiglio
regionale è eletto, nella prima metà della legislatura, tra i consiglieri appartenenti al gruppo
di lingua italiana, mentre per il successivo periodo è eletto tra i consiglieri appartenenti al
gruppo di lingua tedesca.
Una terza fase, a noi più vicina, è individuabile nella crisi della democrazia rappresentativa
tradizionalmente intesa.
L’impostazione storica della rappresentanza annida al suo interno il rischio, evidenziato
drasticamente dai teorici della democrazia diretta, secondo i quali il popolo pensa di essere
sovrano, ma si inganna, dal momnto che lo è solo al momento delle elezioni.
Alla crisi della rappresentanza politica contribuiscono diversi fattori. Ne evidenzio tre
importanti per una riflessione costituzionalistica
Primo. La crisi dei partiti politici, che non appaiono più in grado di svolgere efficacemente e
stabilmente il compito di intermediari tra comunità e Stato, di assicurare una reale ed
efficace partecipazione dei cittadini ai processi deliberativi istituzionali.
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Secondo. Il diaframma che separa la “classe politica” dalla società è acuita, da un lato, da
fenomeni di corruzione, che alimenta un distacco degli elettori dalla politica (aumento
dell’astensione), che si somma a un distacco degli eletti dal “comune sentire” dei cittadini.
Il ceto politico è sempre meno capace di dare voce alle diverse componenti della società.
Terzo. Inoltre, il loro ruolo tradizionale di formazione del consenso viene eroso
dall’affermazione della c.d. “teledemocrazia” , mentre alla mobilitazione sociale si
sostituisce il ruolo della comunicazione pubblica. Questo fenomeno pone al centro non un
collettivo, ma un leader (nei partiti grazie all’uso distorto delle “primarie”; nel governo con
un’accentuazione del Capo del governo, nel rapporto tra Presidente della Repubblica e
opinione pubblica, che accentua i poteri del Capo dello Stato.
Una reazione
Da ciò, il tentativo, presente nella gran parte dei sistemi costituzionali contemporanei, di
temperare il principio della rappresentanza con quella della partecipazione popolare non solo
alla vita sociale ed economica del paese, ma anche alle decisioni politiche dello Stato.
Per dare vigore alla democrazia rappresentativa si tenta di espandere alcuni istituti di
democrazia diretta e si individuano di
nuove forme di democrazia partecipativa e
deliberativa: con l’obiettivo di integrare la democrazia rappresentativa, non già sostituirla.
Al di là delle inevitabili diversità, l’ambizione sottesa a qualsiasi strumento partecipativo
non può che essere – nei tempi odierni – quella di tendere ad una sovranità popolare
sostanziale, di garantire una partecipazione efficace ed effettiva alle decisioni pubbliche, di
favorire una sorta di «educazione alla democrazia». Un modello rappresentativo in cui i
cittadini si limitino ad eleggere periodicamente i propri rappresentanti, i quali, a loro volta
esercitano in completa e totale autonomia il proprio mandato, senza rispondere del loro
operato e senza alcuna forma di controllo effettivo da parte degli elettori, non può più
ritenersi soddisfacente.
La «scommessa» sottesa alle diverse forme di intervento popolare deve essere quella di
una partecipazione che, pur senza assorbire il potere decisorio formale, esplichi un’effettiva
influenza sulla decisione finale.
I principali istituti di democrazia partecipativa. Una ipotesi di classificazione
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a) Forme di esercizio diretto della sovranità (consultazioni istituzionali nei
processi di secessione e separazione)
b) Forme di partecipazione alla selezione della rappresentanza politica (elezioni
primarie e revoca del mandato elettivo)
c) Forme di partecipazione diretta alle decisioni politiche di carattere normativo (
referendum c.d. propositivo)
d) forme di democrazia deliberativa (gli istituti francesi della democratie de
proximité, il bilancio partecipativo. I deliberative polls )
e) l’utilizzazione delle nuove tecnologie per la partecipazione politica ( la c.d edemocracy .
2. Ejercicio directo de la soberania
L’esperienza comparata evidenzia come alcuni concetti teorici eridatati dalla dottrina
europea continentale più risalente nel tempo iniziano ad entrare in crisi.
Uno di questi è rappresentato dalla nozione di potere costituente come potere originario, che
si legittima in via di fatto, non limitato nei fini e nei contenuti, che si manifesta in forme
non necessariamente predeterminate. Tale nozione sembra contraddetta da alcuni recenti
fenomeni che hanno interessato i processi costituenti, in particolare dalle transizioni
democratiche.
Un altra teoria che inizia ad incrinarsi è quella relativa alla nozione di secessione, che al pari
delle transizione costituzionali democratiche, evidenzia la ricerca di procedure condivise e
democratiche: nel senso che la via per l’acquisizione da parte di alcuni territori
dell’indipendenza tende a trasformarsi da questione internazionale ( regolata dall’alternativa
autodeterminazione dei popoli vs integrità territoriale dello Stato) a problematica di rilievo
costituzionale interno da affrontarsi nel rispetto dei principi della rule of law. In altri termini,
la secessione non può essere considerata un “fatto” determinato unilateralmente e spesso
ricorrendo all’uso della violenza, ma l’esito di un procedimento concordato nel suo iter.
Le modificazioni territoriali necessitano di una validazione da parte della popolazione
interessata tramite l’istituto del referendum. Tale regola vale per la modificazione dei
confini delle Regioni o per la nascita di nuove Regioni (art.132 Cost. Italia), ma anche per la
modifica dell’integrità territoriale di uno Stato.
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Una regola che si conferma nel tempo. Si consideri, ad esempio, che l’Islanda si è staccata
dalla Danimarca con referendum; così come l’art.87 della recente Costituzione della Croazia
prevede la richiesta di referendum su questioni importanti per l’indipendenza, l’integrità e
l’esistenza della Repubblica della Croazia. Così come numerosi sono i tentativi di secessione
“bloccati” dall’esito negativo di una conulta referendaria.
Tale regola incontra una deroga parziale con l’esperienza della Cecoslovacchia, ove il
processo di divisione dello Stato cecoslovacco è avvenuto attraverso la convergenza ed una
complessa negoziazione delle élites politiche risultate vittoriose nelle elezioni politiche.
Non si è trattato, in questo caso, di un esempio di divisione democratica per una duplice
ragione: in primo luogo, perchè le due formazioni politiche che giunsero alla scelta di
divisione non ottennero un vero e proprio mandato popolare per compiere quella scelta; in
secondo luogo, in quanto, non venne applicata la previsione della legge costituzionale n. 327
del 1991, la quale richiedeva l’obbligo dello svolgimento di un referendum qualora una delle
Repubbliche (ceca o slovacca) intendesse ‘secedere’ dalla Federazione.
Tale vincolo fu evitato in virtù di un’interpretazione formalistica che interpretò lo
scioglimento della Federazione non come secessione di una delle Repubbliche, ma come
divisione dello Stato in due entità indipendente (eventualità, peraltro, non disciplinata
esplicitamente dall’ ordinamento costituzionale).
I lineamenti di una teoria democratica della secessione possono, invece, essere rinvenuti nei
principi elaborati dall’ advisory opinion del 1998 della Corte suprema del Canada, attivata
dalla Federazione dopo che la prospettiva di un distacco unilaterale del Québec dal resto
della Federazione divenne concreta con il risultato del referendum sulla secessione del 1995.
Infatti, il voto sull’accesso del Québec alla condizione di sovranità rigettò il quesito con una
maggioranza estremamente limitata: tanto limitata che il governo federale non potè non
affrontare tale problematica costituzionale.
I giudici, chiamati a rispondere se fosse possibile una secessione unilaterale del
Quebec dal Canada e, in caso di risposta positiva, attraverso quale procedimento,
elaborarono alcuni criteri che, a nostro avviso, possiedono una validità generale, che
trascende la fattispecie concreta oggetto del referee.
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In primo luogo, la decisione sulla secessione deve tener conto dei caratteri
fondamentali dell’ordinamento costituzionale, individuati – nel caso del Canada – nel
federalismo, nella democrazia, nel principio di legalità e nel rispetto delle minoranze.
In secondo luogo, il rispetto del principio democratico non deve essere ridotto alla
mera regola della maggioranza, ma comprende anche la regola che si debba giugere alla
decisione finale attraverso la partecipazione attiva dei vari gruppi sociali e un costante e
fecondo processo di discussione, dal quale scaturiscono negoziazioni e compromessi («No
one has a monopoly on truth»).
In terzo luogo, il procedimento per arrivare a una eventuale secessione deve avere la
sua base giuridica su una chiara ed inequivoca espressione di una volontà democratica che
emerga da un referendum nella Provincia del Quebec. La chiara volontà della maggioranza
del popolo quebecchese, inoltre, non deve essere intesa nella sua natura quantitativa (ad
esemio, una determinata percentuale di voti favorevoli), ma è sufficiente che i risultati del
referendum siano privi di ambiguità.
E’ interessante evidenziare come il referendum sia considerato il punto di partenza
del procedimento di eventuale secessione, che deve continuare nel rispetto delle procedure
previste dal sistema rappresentativo: quindi, un accorto mix tra democrazia diretta e
rappresentativa.
3.Partecipación directa a la formación de la representación política
All’interno di questo tipo rientrano istituti di partecipazione popolare che intervengono nella
fase di formazione della rappresentanza politica (voter-selection) ovvero nella fase di
esercizio della responsabilità politica degli eletti (recall).
Nel primo caso, si persegue l’obiettivo di migliorare il rapporto tra partiti ed elettori (o
iscritti), spostando una fase importante del procedimento elettorale ( l’individuazione dei
candidati) all’esterno degli organi dirigenti dei partiti: in questo caso, la scelta dei candidati
alle elezioni non è affidata ad un’élite di partito ma direttamente agli elettori o agli iscritti.
Questa esperienza, dalla terra d’origine statunitense, si è progressivamente diffusa nel resto
del mondo, nel resto del mondo, dall’America Latina all’Europa, sino ad Israele, al
Giappone e Taiwan.
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Il suo successo è stato favorito, oltre che dalla finalità, da un’indubbia duttilità, da un
elevato grado di flessibilità che le consente di adottarsi a diversi contesti istituzionali e
politici.
Negli ordinamenti latino-americani, ad esempio, a partire dagli anni Ottanta, i partiti più
rilevanti presenti soprattutto in Argentina, Cile ed Uruguay, decisero di tenere elezioni
primarie in un delicato periodo di transizione da regimi militari a regimi democratici, al fine
di assicurare ai candidati maggiore legittimazione politica e sociale.
Nell’esperienza costituzionale nord-americana,sino agli inizi degli anni Settanta, circa i due
terzi degli Stati americani selezionava i propri delegati con il sistema del caucus e, dunque,
la maggioranza dei delegati era scelta dai leaders dei partiti, secondo un modello di
selezione in larga parte adottato anche in Europa nei congressi di partito. Ma
progressivamente, la legislazione statale – competente in materia di disciplina delle
procedure elettorale – ha reso obbligatorie le direct primaries; regolando dettagliatamente
le varie fasi della scelta dei candidati.
In Europa il ricorso a tale istituto è, invece, lasciato alla discrezionalità dei partiti e
disciplinato dai loro regolamenti interni. La sua attivazione è, in genere, finalizzata a
migliorare la rappresentatività dei candidati nelle diverse circoscrizioni e si propone di
contrastare la crescente indifferenza diffusa nei confronti della politica e la crisi di
legittimazione dei partiti a causa di fenomeni di “antipolitica”.
In Italia, una prima, limitata attenzione nei confronti dell’istituto delle direct primaries si
ebbe nel c.d. “periodo transitorio (di passaggio dalla monarchia alla Repubblica) , dove la
possibilità di introdurre un sistema di primarie analogo a quello statunitense venne ventilata
dal Mortati nel corso dei lavori della Commissione incaricata di elaborare la legge elettorale
per l’Assemblea Costituente. Successivamente, negli anni ’80, in una delle molte
commissioni istituite per studiare una proposta di revisione della Costituzione ( la c.d.
Commissione Bozzi) venne avanzata la proposta di costituzionalizzare il principio delle
primarie attraverso la riformulazione dell’art. 49 Cost.
Le prime applicazioni delle elezioni primarie in Italia si sono avute in occasione delle
elezioni amministrative e regionali, a partire dagli anni 1998-1999, successivamente nel
2005, nel 2007 e nel 2013 sono state utilizzate per la scelta del leader-candidato premier di
coalizione di centro- sinistra.
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Nel valutare queste esperienza occore considerare i contesti giuridici e politici in cui si
collocano. Ad esempio, va distinto se si tratta di un procedimento di partecipazione
obbligatorio e regolato dalla legislazione ovvero di una opzione discrezionale dei partiti.
Nel caso, poi, che utilizzazione delle “primarie” sia affidata alle decisioni che, di volta in
volta, assumono i singoli partiti, è importante considerare la qualità della normazione
interna: in particolare, la determinazione del “censo elettorale”, i modi di presentazione delle
candidature e di disciplina della competizione politica in modo che sia rispettata la par
condicio dei candidati, i meccanismi per controllare la regolarità delle procedure e del voto.
In Italia, in particolare, la scelta da parte del partito che sinora ha utilizzato questo istituto (il
Partito democratico) di organizzare direct primaries aperte non solo agli elettori, ma anche a
categorie di residenti –non elettori (come i minorenni e gli stranieri residenti) fa favorito
forme di inquinamento del voto da parte forze esterne al partito.
Infine, l’efficacia dell’istituto dipende anche dalle caratteristiche del sistema elettorale. Si
può ritenere, a nostro avviso, che essa possa essere rilevante soprattutto nei sistemi elettorali
maggioritari a collegio uninominale o per la scelta di candidati a organi monocratici ( come,
ad esempio, il Capo del Governo o il Presidente della Repubblica). Inoltre, nei sistemi
elettorali che non prevedono il voto di preferenza da parte dell’elettorale – le c.d. “liste
bloccate” – la partecipazione popolare nella scelta dei candidati concorre a limitare il ruolo
determinante dei partiti nella fase di presentazione delle candidature
La rappresentanza politica dà vita a un procedimento di scelta, di selezione della “classe
politica” e instaura un rapporto di responsabilità non giuridica, ma politica: per un verso, il
rappresentante eletto ha l’obbligo di esercitare al meglio le funzioni connesse al proprio
mandato e, per un altro verso, deve poter essere valutato dalla comunità rappresentata.
Nella tradizione costituzionale occidentale, retta dal principio del divieto del mandato
imperativo, la responsabilità si esercita essenzialmente al momento del rinnovo dell’organo
elettivo: al punto che, secondo il giudizio sferzante di Rousseau il popolo sarebbe libero
solo durante le elezioni dei membri del Parlamento.
Se attraverso le elezioni primarie si realizza il ricorso diretto al corpo elettorale per la scelta
dei candidati alle elezioni, attraverso l’istituto del recall degli eletti, la partecipazione
popolare incide sull’ interruzione ancitipata del mandato politico conferito alle elezioni.
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E’ indubbio l’interesse che questo istituto suscita per i comparatisti, in quanto
introduce in alcuni ordinamenti una deroga al principio (proprio della tradizione
giuridica del costituzionalismo) del divieto di mandato imperativo. Una deroga ai
caratteri della democrazia rappresentativa, che possono essere individuati – come
anticipato nelle prime pagine – nel fatto che, da un lato, gli elettori esauriscono il loro
ruolo nel momento del voto e, dall’altro lato, gli eletti devono ritenersi liberi di
svolgere il proprio mandato senza alcun vincolo e senza il timore di subire la possibile
destituzione anticipata qualora venga meno la fiducia da parte degli elettori.
Inoltre, in genere, i casi decadenza anticipata dalla carica sono previsti dalla legge e
spetta all’autorità giuridiziaria accertarne la sussistenza.
Tuttavia, non può escludersi in assoluto che la ricerca di forme più evolute e
sostanziali di rappresentanza possono prevedere – in casi circoscritti e di particolare
gravità – la competenza degli elettori a far valere il principio di responsabilità nel
corso dell’attività politica del rappresentante: specie in ipotesi di particolare gravità,
riconducibili in senso lato al diritto di resistenza.
La revoca popolare ha costituito nel tempo un istituto tipico degli Stati socialisti, ove
sussiste una permanente responsabilità politica del rappresentante tale da determinare la
revoca dello stesso che non si sia conformato alle istruzioni o al programma definito al
momento dell’elezione.
Successivamente ha avuto una qualche diffusione anche in ordinamenti classificabili
all’interno della tradizione del costituzionalismo occidentale. Il prototipo di riferimento può
essere individuato nell’esperienza nordamericana del recall e in quella latinoamericana della
revocatoria de mandato; anche se non va trascurata l’esperienza di alcuni Cantoni svizzeri.
Per quanto riguarda il recall nordamericano - di frequente impiego soprattutto in
ambito locale – una certa percentuale di elettori può chiedere la revoca di un singolo
parlamentare o funzionario elettivo, a cui segue un’immediata elezione, cui possono
presentarsi anche altri candidati.
La sua disciplina cambia da Stato a Stato, anche se possono individuarsi alcune regole
comuni inerenti al procedimento. Innanzitutto la proposta deve essere sottoscritta da
un certo numero di elettori appartenenti a un collegio o distretto elettorale; si debbono
specificare le ragioni per cui il recall viene richiesto (grounds for recall).
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A proposito della motivazione, debbono essere evidenziati alcuni comportamenti che
legittimano la rottura del legame rappresentativo; come, ad esempio, il venir meno ai
doveri dell’ufficio, aver compiuto attività criminali, manifestato nell’attività
incompetenza o violazione dei doveri. Successivamente, viene accertata la regolarità
delle firme raccolte e fissata la data per l’elezione suppletiva.
Nelle disposizioni dei singoli Stati, infine, si rinvengono norme limitative di varia
natura alla possibilità di chiedere una revoca, tra cui l’esclusione della revocabilità di
alcuni pubblici funzionari (magistrati) o la non proponibilità entro il periodo di sei
mesi antecedenti alla cessazione dalla carica o nel caso in cui non sia stata raggiunta la
maggioranza richiesta.
In Svizzera, l’Abberufungsrecht, il droit de révocation o diritto di revoca assume
carattere collettivo non individuale, essendo consentito ad un certo numero di cittadini
di sottoporre al voto popolare la proposta di revoca del Parlamento e talvolta anche del
Consiglio esecutivo del Cantone.
La revocatoria de mandato, prevista in numerose Costituzioni vigenti in America
latina, ha una diversa origine e un differente fondamento storico-giuridico. Affonda le
sue origini nella teorie costituzionali di Simón Bolívar che individuano l’esistenza di
un quarto potere da affiancare a quelli tradizionali – il poder electoral – e può essere
definito il «mecanismo por cual los funcionarios electos pueden ser puestos a
consideración popular a partir del pedido de un grupo de ciudadanos», o come
«facultad de dejar sin efecto el mandato del titular de un cargo de elección popular,
resultado de un proceso de consulta popular».
In via generale, deve dirsi che l’istituto viene previsto più che altro a livello
locale; è previsto a livello sub – federale in Messico e Argentina, mente in Ecuador,
Panama e Venezuela può essere esercitato anche a livello nazionale.
4. La democracia deliberativa
Una delle funzioni principali della sovranità è l’esercizio della funzione legislativa e
normativa e questa, conformemente ai principi del costituzionalismo è riconducibile
all’organo rappresentativo per eccelleza – il Parlamento -. Basti considerare l’ art. 2 della
Costituzione francese del 1791 in cui si precisa che " la nazione, dalla quale provengono
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tutti i poteri, non può esercitarli se non per delega. La Costituzione francese è
rappresentativa "; ovvero il principio della soveraignty of Parliament, tipico della tradizione
costituzionale anglosassone, il quale si sostanzia nella posizione di preminenza dell’organo
rappresentativo nei confronti degli altri poteri dello Stato. Interessante è anche
la
precisazione contenuta nell’art.20 della Legge fondamentale della Repubblica federale di
Germania secondo il quale la sovranità dello Stato promana dal popolo che la esercita
mediante votazioni e elezioni.
Alla luce di questi principi, in quasi tutte le Costituzioni si riserva alla legge parlamentare
una posizione di centralità. Si consideri, ad esempio, che la Costituzione irlandese vieta
l'attribuzione di poteri legislativi al Governo (Nessuna autorità può emanare leggi dello
Stato, art. 15), che l'art. 70 della Costituzione italiana afferma che la funzione legislativa è
esercitata collettivamente dalle Camere; mentre secondo l'art.66.2 della Costituzione
spagnola le Cortes esercitano la potestà legislativa dello Stato.
Egualmente, l'art.95 della Costituzione della Polonia individua nella legislazione la
principale funzione del Parlamento; al pari delle Costituzioni della Repubblica federale di
Germania, del Portogallo, dei Paesi Bassi per le quali la legge parlamentare costituisce la
forma tipica di legislazione.
In questo contesto la partecipazione del popolo al procedimento legislativo è limitata quasi
esclusivamente all’ istituto dell’iniziativa legislativa popolare, alla quale ricorrono – di
norma - i gruppi sociali non rappresentati in Parlamento ovvero quelle porzioni di corpo
elettorale che intendono richiamare l’attenzione delle Camere su tematiche ritenute
sottovalutate o non adeguatamente affrontate dal Governo o dal Parlamento. Tuttavia,
l’efficacia di questo istituto si rileva limitata: sia perchè difficilmente le proposte di
iniziativa popolare riescono a perfezionare il previsto iter legislativo.
Un istituto che si propone di rafforzare l’incidenza dell’iniziativa legislativa popolare
attraverso un rapporto collaborativo con le assemblee rappresentative è costituito dal
referendum c.d. propositivo: esso è congegnato in modo che il corpo elettorale non si
pronunci su scelte già definite dal legislatore (come nel caso del referendum abrogativo o
approvativo), ma compia direttamente la scelta e decida sulle proposte formulate dai partiti
e dal Parlamento.
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Schematicamente il procedimento legislativo si può dividere in tre parti: la prima consiste
nella presentazione da parte di un certo numero di elettori di una proposta popolare; nella
seconda, spetta alle forze politiche presenti nelle assemblee legislative di decidere, entro un
tempo predeterminato, se approvare la proposta di iniziativa popolare o modificarla; infine,
in caso di inerzia o di modifica della proposta, la decisione finale torna nelle mani del
popolo, cui compete la scelta finale.
Si è in presenza, a nostro avviso, di un istituto di grande interesse e dalle molte potenzialità
anche se non molto diffuso in ambito comparato. Le esperienze più rilevanti si hanno in
Svizzera, in diversi Stati degli Stati uniti d’America (in cui si parla di initiatives o di
propositions) e in due Regioni italiane ad autonomia speciale.
Negli Stati uniti d’America il fenomeno referendario riguarda il livello statale, non quello
federale. Già a partire dalla fine del XIX secolo, sull’onda della cosiddetta «progressist and
populist era», l’insoddisfazione dei cittadini americani nei confronti dell’incapacità dei
governi di confrontarsi con i problemi reali della società, numerosi Stati introdussero nei
loro testi costituzionali l’istituto delle initiatives , in grosso modo corrispondente alla nostra
concezione di referendum propositivo.
L’iniziativa popolare legislativa
può essere immediata o mediata. Nel primo caso il
progetto, se firmato da una prestabilita percentuale degli elettori (dall’8% al 10%), è votato
dagli stessi cittadini in occasione delle più vicine elezioni; nel secondo, invece, il progetto di
legge viene sottoposto alle Camere e solo se esse non lo approvano, viene poi sottoposto a
referendum.
Il primo Stato in assoluto fu il Nebraska nel 1897, seguito dal Sud Dakota, che letteralmente
traspose nel proprio ordinamento gli istituti di democrazia diretta previsti nella Costituzione
svizzera del 1848. Oggi, le Costituzioni di circa la metà degli Stati autorizzano l’iniziativa
legislativa popolare, a livello costituzionale e/o legislativo.
Tale diffusione fu favorita dall’esito positivo di una famosa initiative californiana nel 1978,
nota come la tax revolt. L’istituto è stato attivato nelle materie più disparate: dal metodo
delle elezioni primarie, alla legalizzazione delle droghe leggere per finalità mediche,
dall’adozione e abrogazione della pena di morte, sino alla legalizzazione del suicidio
assistito.
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La sua circolazione ha consentito alle iniziative, da un lato, di incidere profondamente
sull’indirizzo politico e sulle policies pubbliche e, dall’altro lato, di mobilitare l’elettorato e
di aumentare in modo significativo il tasso di partecipazione alle elezioni.
In Italia, l’istituto del referendum propositivo fu disciplinato per la prima volta dalla
Provincia di Bolzano con una legge provinciale la quale prevedeva che possa essere
promosso da parte di un certo numero di elettori. La richiesta di referendum deve essere
contenere un progetto di legge su cui si richiede il voto dei cittadini, diviso per articoli,
redatto nelle lingue italiana e tedesca, nonché da una relazione illustrativa con l'indicazione
del relativo onere finanziario e dei modi per farvi fronte, qualora siano previste nuove o
maggiori spese a carico del bilancio provinciale. Qualora il risultato del referendum sia
favorevole all'emanazione della legge, il Presidente della Provincia la promulga. In caso
contrario, per i successivi cinque anni non può essere riproposta la medesima richiesta di
referendum.
Alcune materie sono escluse dal referendum: le leggi tributarie e di bilancio, gli emolumenti
spettanti al personale ed agli organi della Provincia, la tutela dei gruppi linguistici.
Assai diversa è la disciplina del referendum propositivo in Valle d’Aosta. In questa Regione,
infatti, la richiesta di referendum può essere presentata se il Consiglio regionale approva
una proposta di legge di iniziativa popolare modificandola nei suoi elementi fondamentali.
Inoltre, è stato previsto un elevato quorum di partecipazione pari al 45% degli elettori iscritti
nelle liste elettorali per l'elezione degli organi regionali.
Più recentemente, anche l'art. 4 della Legge statutaria della Regione Sardegna ha previsto
che quindicimila elettori possono presentare al Consiglio regionale una proposta di legge
regionale che è sottoposta a referendum popolare, qualora il Consiglio regionale non abbia
deliberato definitivamente sulla proposta entro sei mesi.
Tuttavia, come anticipato, il prototipo di riferimento è rappresentato dall’ esperienza
referendaria svizzera, la quale può essere considerata nel panorama costituzionale un
unicum. Sia perchè ha realizzato una combinazione armonica e strutturale tra democrazia
rappresentativa e diretta; sia in quanto i molteplici istituti di partecipazione popolare tendono
a integrarsi in modo da formare un sistema unitario.
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La peculiarità dell’ordinamento elvetico risiede proprio nella sistematica e costante legame
tra le decisioni politiche e l’iniziativa o il voto da parte del popolo, mediante un complesso
sistema democratico nel quale strumenti di democrazia diretta e rappresentativa
costituiscono un’unica sequenza procedimentale.
A livello federale, l’iniziativa popolare è prevista sia per la revisione della Costituzione (con
procedure differenti a seconda che si tratti di revisione totale o parziale della Costituzione),
sia per la legislazione ordinaria.
Quest’ultima possibilità è ora possibile in seguito ad un referendum costituzionale
propositvo del 2003, che ha introdotto la possibilità per 100.000 elettori di esercitare
l’iniziativa popolare in connessione al procedimento di formazione delle leggi ordinarie.
Qualora il Legislatore condivida integralmente l’iniziativa, ne trasformerà il contenuto in
articoli, sottoponedoli all’approvazione parlamentare; nel caso contrario, si svolgerà una
votazione popolare preliminare che, se positiva, obbligherà il Legislativo a predisporre un
articolato progetto di legge in materia, che seguirà l’iter legislativo ordinario.
Un altro tipo di democrazia partecipativa raccoglie diverse esperienze, assai
eterogenee,
che si caraterizzano per avere come oggetto non tanto un processo
deliberativo di carattere normativo, quanto una partecipazione alla definizione di
policies. Si tratta, in genere, di procedure di partecipazione di gruppi di individui
portatori di interessi comuni ( la tutela dell’ambiente, di un bene culturale, ecc.) anche
transitori ( la realizzazione di un’opera pubblica). Si è in presenza di una aggregazione
che , di norma, si contrappone ai c.d. interessi costituzionalmente forti.
Si tratta di forme di partecipazione, di pratiche non riconducibili a rigidi modelli ed
aventi, molto spesso, natura sperimentale. Tuttavie, possiedono alcuni caratteri
comuni.
Dal punto di vista soggettivo, diversamente dalle esperienze partecipative tradizionali
alla decisione non partecipano tutti i cittadini o gli individui astrattamente interessati.
Frequente è l’utilizzo di tecniche statistiche per reclutare campioni più o meno ampi
di cittadini, al fine di ottenere un microcosmo rappresentativo della popolazione di
riferimento e pervenire a decisioni tendenzialmente consensuali. A seconda delle
procedure utilizzate per la selezione dei partecipanti, in dottrina si è distinto tra forme
di partecipazione volontaria (self-selection), di
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partecipazione incentivata dalle
autorità pubbliche o da organizzazioni non governative (stakeholder selection) e
selezione tramite campionamento causale (random selection)
Per quanto concerne l’oggetto delle decisioni, si può introdurre una distinzione di
massima. Da un lato, le decisioni «semplici», nelle quali si ha bisogno di valutazioni e
scelte per così dire elementari: i tratta di questioni semplici , come nel caso delle
giurie civiche berlinesi (Bürgerforum), di molte esperienze venezuelane e dei bilanci
partecipativi dei licei del Poitou-Charentes.
Dall’altro lato, vi sono decisioni caratterizzate dalla complessità delle scelte: si pensi
alle forme di bilanci partecipativi di enti generali), all’urbanistica partecipata, alle
politiche partecipate in materia ambientale, ai grandi programmi, inclusi quelli
dell’Unione europea.
Tra le esperienze più interessanti – lasciando da parte quella più evoluta dei bilanci
partecipativi, possono individuare.
a) i sondaggi deliberativi (deliberative polls): si seleziona un campione casuale di
cittadini (random selection) statisticamente rappresentativo della popolazione di
riferimento e si fornisce loro una sistematica informazione. Il numero dei cittadini
coinvolti varia a seconda della rilevanza locale o nazionale della questione. Si
ricordano i sondaggi condotti in Gran Bretagna (sulla criminalità, sul ruolo della
Gran Bretagna in Europa, sulla monarchia, sulle elezioni del 1997 e sul futuro del
Servizio sanitario nazionale), in Danimarca (sul referendum per l’adozione
dell’euro), in Bulgaria e in Australia (sul referendum del 1999 sulla monarchia e
sul referendum del 2001 sulla riconciliazione con gli aborigeni).
b) le giurie di cittadini (citizens juries), che coinvolgono un gruppo più ristretto di
partecipanti, selezionato in base a un campionamento causale stratificato che non
mira alla rappresentatività statistica del deliberative poll, ma a rispecchiare un
determinato profilo socio-demografico. L’oggetto delle decisione riguarda una
questione controversa su cui i cittadini saranno chiamati a deliberare, dopo aver
ascoltato «testimoni» - ad esempio, portatori di ragioni favorevoli o contrarie a
una determinata opzione di policy – ed esperti. Il numero di giurie di cittadini nel
mondo è decisamente alto. Ad esempio, dal 1994 in poi, sono circa 300 le giurie
dei cittadini condotte nel Regno Unito da governi locali o da organizzazioni
private.
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c) le consensus conferences, presenti soprattutto negli Stati Uniti e in Danimarca. In
genere, sono promosse da università e centri governativi, prevedono un dialogo tra
esperti e cittadini comuni soprattutto su questioni legate allo sviluppo tecnologico.
d) le c.d. planning cells, promosse da autorità pubbliche interessate ad affrontare
concreti problemi di policy, sono utilizzate soprattutto in Germania: ad esempio,
un progetto realizzato tra il 2001 e il 2002 ha comportato la realizzazione di
diciotto planning cells in varie località della Baviera sul tema della protezione del
consumatore. Dal punto di vista del numero elevato di cittadini coinvolti, le
planning cells sono simili al sondaggio deliberativo. Per contro, la decisione finale
che viene trasmessa alle autorità pubbliche contiene l’indicazione dei diversi
punti di vista emersi durante le discussioni.
Un’esperienza interessante – anche se limitata quantitativamente e circoscritta
sotto il profilo geografico – di esercizio diretto di una attività sovrana è rappresentata
dalle assemblee spontanee di cittadini convocate per discutere dei problemi di governo
o amministrativi. Tra queste può essere segnalato il caso dei Cabildos abiertos, un
istituto di partecipazione risalente nel tempo (esistente già ai tempi dell’impero
coloniale ispano-americano) e previsto da diverse Costituzioni latino-americane.
Esso consente agli abitanti di certo territorio di decidere direttamente sulle questioni
riguardanti direttamente quella comunità o opporsi a certe decisioni dell’autorità. La
sua originalità consiste nel fatto che, diversamente dalle tradizionali forme di
consultazione popolare che erano convocate dagli organi istituzionali, in questo caso
viene riconosciuto all’intera cittadinanza un diritto di riunione ( o di assemblea) con
poteri deliberativi.
5. Partecipación política y nuevas tecnologias
E’ indubbio che la applicazione delle nuove tecnologie al processo politico possa migliorare
la qualità della democrazia rappresentativa, rendere più attivo il ruolo dei cittadini e favorire
il loro rapporto con le istituzioni. In quest’ambito, l’idea di democrazia elettronica
rappresenta – oggi – uno dei validi strumenti utilizzabili per impedire che il divario tra il
potere sovrano e i cittadini diventi incolmabile.
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E’ altrettanto indubbio che la c.d. e-democracy debba dotarsi di regole per inserirsi in modo
armonico al circuito tradizionale della rappresentanza politica.
Inoltre, il tema del rapporto tra partecipazione politica e utilizzazione delle nuove tecnologie
deve essere impostato diversamente a seconda che si faccia riferimento all’uso delle reti
istituzionali attive, oramai, in quasi tutte le istituzioni e le più innovative esperienze di social
network di carattere politico – in particolare il c.d. “web 2.0”. Qualora, invece, il problema
sia analizzato nella prospettiva dei cittadini, si deve distinguere a seconda che essi siano
considerati essenzialmente come utenti di un servizio, ovvero si abbia un loro inserimento
attivo nel processo decisionale.
Le reti istituzionali assolvono essenzialmente a una duplice funzione.
Per un verso, migliorano la trasparenza dell’attività politica e amministrativa, facilitando la
conoscenza da parte dei cittadini delle decisioni assunte. A questo proposito, mi pare
interessante sottolineare come l’attivazione di un sito istituzionale della Presidenza della
Repubblica – contenente anche tutte le dichiarazioni e le comunicazioni del Capo dello Stato
– abbia consentito in questi ultimi anni di meglio focalizzare il ruolo del Presidente della
Repubblica nella delicata fase politica conseguente alla crisi economica e finanziaria
dell’Italia.
Per un altro verso, sono utilizzate dalle istituzioni come strumento di consultazione
popolare, per comprendere l’avviso dei cittadini, dei residenti in un determinato Comune,
degli iscritti ad un partito in merito a una decisione da assumere.
Sotto il profilo costituzionale, sono interessanti le esperienze di alcuni ordinamenti del nord
Europa.
L’Islanda può essere considerato il primo ordinamento retto da una Costituzione elaborata in
modo collaborativo, interagendo via internet con i cittadini. Un Comitato costituente,
nominato dal Parlamento, ha preparato un progetto di nuova Costituzione sottoposto alla
valutazione e discussione via web da parte degli abitanti dell’isola ( da tener presente che in
Islanda il web raggiunge il 97% della popolazione). Successivamente è stata poi approvata
nell’ottobre 2012 dal Parlamento di Reykjavik con una maggioranza dei due terzi dei
votanti. Non ha, però, potuto entrare in vigore a causa del particolare procedimento di
revisione costituzionale previsto nei Paesi nordici (assibilabile a quanto disciplinato dall’art.
168 della Costituzione spagnola a proposito della revisione totale della Costituzione.
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Sempre nel Nord Europa - in Finlandia - è stato elaborata una piattaforma elettronica
chiamata Open Ministry, in grado di consentire ai cittadini di presentare on-line
proposte di iniziativa parlamentare o commenti sulle leggi in discussione (crowdsourced
law-making system).
Un altro esempio importante di utilizzo di internet per consultare i singoli o le
formazioni sociali è offerto dalle Istituzioni comunitarie, in particolare dalla
Commissione europea.
Quest ultima ha approvato nel 2002 un documento intitolato «Verso una cultura di
maggiore consultazione e dialogo. Principi generali e requisiti minimi per la
consultazione delle parti interessate interessate ad opera della Commissione», attraverso
cui si individua un metodo generale trasparente e coerente per la consultazione delle
parti interessate, nell’ambito del processo di elaborazione delle politiche comunitarie.
Vengono
così
indicati
i
principi
generali
(partecipazione,
apertura
e
responsabilizzazione, efficacia e coerenza), gli standards minimi che le parti coinvolte
nel processo di consultazione (Commissione e interessati) devono rispettare, il portale
Internet da utilizzare (La vostra voce in Europa).
L’iter si articola in tre fasi: la pubblicazione sul web delle proposte aperte alla
discussione; in secondo luogo, attraverso la pubblicazione – sempre sul portale Internet
– degli esiti dei contributi del pubblico, infine, l’illustrazione nelle relazioni introduttive
alle proposte normative o nelle comunicazioni adottate in seguito a consultazioni, del
modo in cui le consultazioni sono state condotte e in quale misura le opinioni espresse
sono state integrate nelle proposte normative presentate.
Va segnalata, infine, l’interessante esperienza di consultazione via internet degli iscritti ad
un partito, che si è avuta di recente nella Repubblica federale di Germania.
In questo caso il partito socialista, prima di aderire ad una coalizione con il partito popolare,
che attivato una consultazione con gli iscritti al partito.
Interessante abche l’esperienza della national conversation attivate dalle forze
indipendentisti scozzesi che hanno prodisposto un sito web aperto alla partecipazione dei
cittadini; da queste consultazioni sono scaturiti alcuni consultation papers
raccolto le preferenze e gli orientamenti della popolazione.
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che hanno
L’esperienza dei social network conferma la possibilità di applicare la tecnologia al
processo di decisione politica, inserendo i cittadini coinvolti direttamente all’interno del
tradizionale circuito della rappresentanza politica.
Il loro ruolo è rilevante soprattutto ai fini della formazione dell’opinione pubblica e,
sotto questo profilo, la rete non si può considerare uno strumento alternativo alle forme
consilidate di rappresentanza politica, ma piuttosto come un importante fattore di
influenza e di condizionamento delle decisioni che le assemblee elettive, i governi e i
partiti debbono assumere.
La differenza tra la democrazia rappresentativa e l’uso politico della rete è notevole e
tali differenze vanno considerate per evitare che si crei tra i due meccanismi di
partecipazione si generi un pericoloso “corto circuito”.
Innanzitutto, la rete è immediata ed emotiva, le decisioni istituzionali necessitano di
mediazioni non si basano solo sull’esito di un voto. La rete misura la maggioranza,
mentre le istituzioni ricercano il consenso inteso come mediazione tra la varietà delle
posizioni, come ricerca di una sintesi.
La rete non è in grado di conseguire sofisticate sintesi e mediazioni (elementi
necessari della mediazione politica e dell’azione di governo).
In secondo luogo, nelle istituzioni al voto si collega la responsabilità politica del
rappresentante, il voto nella rete invece non determina una delega al rappresentante nè
una assunzione di responsabilità.
Infine, rispetto alle forme tradizionali di
aggregazione politica è una aggregazione temporanea, effimera, si avvicina più al
tradizionale istituto della riunione che a quello dell’associazione
In Italia, un’esperienza interessante di utilizzo sistematico della rete da parte di una
formazione politica è costituita dal «Movimento 5 stelle», partito politico che
caratterizza innovativamente per la scelta di basare la propria tecnica di interazione
con gli elettori tramite Internet. In questo modo, agli aderenti al movimento iviene
data la possibilità di interloquire telematicamente con i propri rappresentanti,
attraverso forum, sondaggi on-line ed altri strumenti che consentano ai rappresentanti
di conoscere gli orientamenti dei rappresentati.
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