SETTIMANA n. 4/03

Transcript

SETTIMANA n. 4/03
SETTIMANA 14-2014 v8:Layout 1 01/04/2014 12.52 Pagina 6
vita ecclesiale
SAN SEVERO: LETTERA PASTORALE DELVESCOVO L. RENNA
Testimoni di speranza
come Maria
«Ricordo una bellissima frase di
A. de Saint-Exupéry: “Se vuoi costruire un’imbarcazione, non devi
preoccuparti tanto di adunare uomini per raccogliere legname, per
preparare attrezzi, affidare incarichi e distribuire lavoro; vedi piuttosto di risvegliare in loro la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza”. Parafrasando, direi che raccontare e/o testimoniare
la speranza ha come scopo destare
nel cuore degli uomini la nostalgia
di Dio, di Cristo, del vangelo della
Chiesa». È un passaggio della lettera pastorale, dal titolo Le ali della
speranza, del vescovo di S. Severo
(Foggia), Lucio A. Renna.
È la speranza il filo conduttore
del testo: essa viene descritta non
come «irenico ottimismo», ma
come «una disperazione superata»
(J. Loew). Citando la Spe salvi di
Benedetto XVI, il vescovo definisce la virtù teologale della speranza
non come «un vago attendere
qualcosa che verrà, ma un dinamismo interiore messo in moto dallo
Spirito e illuminato dalla fede che
ci sollecita a raggiungere la “misura alta della vita”». Tale virtù
non si sente («non si può sapere se
si possiede»), ma è sufficiente
compierne le opere: il vescovo fa
notare che essa «tiene il credente
nell’atteggiamento di uno che
aspetta con la lampada accesa la
venuta dello sposo, tenendo desto
il senso della brevità della vita e
delle cose che, come diceva s. Agostino, “quaggiù nascono e trapassano”». Ma la speranza – continua
il vescovo – «non riguarda solo il
futuro, ma anche il presente: è
consapevolezza di una Presenza
che, non appena e nella misura
che la creatura svuota il suo cuore,
lo riempie di sé».
Per questo il credente «sente
dentro di sé l’entusiasmo della divina presenza, mostrando come
poter spendere la vita al massimo
delle potenzialità; cammina verso
le mete alte e non si accontenta del
basso cabotaggio, poiché tutti, ma
specialmente i giovani, amano ciò
che sa di coraggio, di forza; aiuta
gli altri a leggere la vita come movimento in divenire, una progettualità che si fa storia grazie ad un
passato, presente, futuro; sostiene
i passi dei fratelli nel cammino
verso Cristo, per essere perseveranti nella strada intrapresa; è segno di testimonianza vivente; presenta la proposta evangelica con il
massimo dell’incisività e della delicatezza, senza annacquare il vangelo». In ogni caso, la lettera ribadisce che, senza fede, è impossibile
sperare e che, senza speranza, è
inutile credere.
Mons. Renna indica in Maria la
donna della speranza. Egli individua in lei due aspetti che la rendono “icona” della speranza: il suo
atteggiamento attento e rispettoso
di contemplazione e di libertà e il
suo dinamico cammino di rinnovamento spirituale che conduce
verso la novità di Cristo. In questi
due tratti tipicamente “mariani”, il
testo rileva quanto, a livello psicologico, ci sia oggi bisogno di «una
grande capacità di cogliere la novità di ogni istante, di ogni nuova
circostanza, di ogni nuovo incontro, e di valutare tutto alla luce
della fede sostanziata dalla speranza e dall’amore» e, a livello teologico, della «volontà di scrutare
ogni giorno il disegno di Dio, aderendovi totalmente, in una fede
che cresce con le prove, in una speranza che è tanto più forte quanto
più lanciata nella misericordia di
Dio, in una carità che non può fare
a meno di crescere ogni giorno».
È interessante che il testo metta
a confronto il cammino di Maria
«con il riferimento analogico alla
dottrina dei mistici e spirituali
della Chiesa, come Giovanni della
Croce e Teresa di Gesù». I giorni e
le notti di Maria diventano in questa prospettiva «notti oscure e
giornate luminose» di un cammino caratteristico, dove «non
mancano le prove che fanno progredire la fede, la speranza e
l’amore».
La lettera individua nell’uomo
“nuovo in Cristo” alcuni tratti di
“novità mariana”: lo spalancare a
Dio «le porte del cuore e della vita,
donandosi totalmente, senza riserve, e rinnovando ogni istante
dinamicamente questo dono»;
«l’amore diffuso nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito, in maniera che si riversi nella vita, nella
storia, nel servizio, senza restrizioni, senza veti, senza stanchezze»; il trasparire «nella propria esistenza un’umanità piena,
gioiosa nel dono di sé, nella maturità psicologica e affettiva, nella libertà delle scelte per Dio, nella docilità ad accogliere ed eseguire la
volontà di Dio».
Il vescovo invita la diocesi a crescere verso la pienezza fino alla
santità: «a questo tende ogni
azione pastorale». In ogni caso, il
percorso non deve essere solo personale, ma “ecclesiale” e “comunitario”. È nella prospettiva della comunione che si fa presente quell’amore “libero” e “vero” che ha caratterizzato la vita di Maria. Un richiamo, dunque, alla speranza che
trova in Maria la sua “stella”.
Mauro Pizzighini
Carlo alla cara Priscilla
settimana 6 aprile 2014 | n° 14
«H o pensato di rivolgermi a te con una let- stiana erano soprattutto le donne che mettevano comunità cristiana, anche per questioni «scioc-
6
tera…, perché sei colei che più mi ha colpito tra
le donne della prima comunità cristiana». Con
queste parole inizia la Lettera a Priscilla, scritta
l’8 marzo, festa della donna, dal vescovo di Gorizia, Carlo Maria Redaelli. È un «vescovo che
scrive alle donne credenti» («Carlo alla cara Priscilla»), per «conoscere maggiormente le donne
della prima Chiesa con la speranza che questa
conoscenza possa aiutare le donne cristiane di
oggi a trovare un ruolo, una presenza e, prima
ancora, un’identità più vera nella comunità cristiana e nella società».
«Prisca» – il cui diminutivo è Priscilla – è ricordata negli Atti degli apostoli con il marito
Aquila, con il quale condivide la fede e l’«impegno ecclesiale» (cf. At 18,1-3). Dalle notizie degli
Atti si evince che Priscilla era nata fuori dalla
Palestina e che, in seguito, si trasferì a Roma con
il marito; da lì sarebbe poi fuggita a causa della
persecuzione dell’imperatore Claudio contro i
giudei (anno 49 o 50), migrando a Corinto, a
Efeso, a Roma e, di nuovo, a Efeso.
Il vescovo Redaelli nota che questa famiglia
è sempre stata molto ospitale, soprattutto nei
confronti di Paolo: nella primitiva comunità cri-
a disposizione le loro case per la comunità. Anche Lidia, ricca commerciante di porpora, aveva
insistito perché gli apostoli fossero ospitati in
casa sua a Filippi (cf. At 16,15). La casa di Marta
e Maria a Betania esprimeva un’accoglienza
piena di affetto e di amore nei confronti di Gesù
(cf. Gv 11,5). Il vescovo si augura che la comunità cristiana possa diventare maggiormente
«un luogo di affettuosa accoglienza verso tutti»,
grazie proprio «al dono che le donne hanno di
essere accoglienti nel loro cuore, prima ancora
che nelle loro case».
Altre caratteristiche di Priscilla e Aquila: sono
disponibili a dare la vita per il vangelo (cf. Rm
16,3-4), sono «persone istruite nella fede e capaci di orientare gli altri perché siano in grado
di assumere un servizio ecclesiale» e sono «collaboratori» nell’annunciare il Vangelo. Da qui
l’interrogativo: «e se la rinascita delle nostre comunità cristiane un po’ asfittiche partisse proprio da famiglie credenti, da uomini e donne
che, con semplicità, si mettono in gioco quotidianamente, forti della grazia che resta per sempre e che però va ravvivata ogni giorno?».
A fronte delle tensioni e delle difficoltà nella
che», per piccole invidie, per gelosie, per antipatie, per la difesa di qualche posizione di potere, il vescovo ricorda che «le donne, per il fatto
di avere in genere (perché ogni persona, uomo
o donna, è una realtà a sé stante) una capacità
maggiore di coinvolgimento anche emotivo, una
più accentuata sensibilità, una più spiccata generosità, sono determinanti, nel bene e nel male,
negli equilibri interni di una comunità e per garantire la sua unità o disgregazione».
Infine, Priscilla custodiva probabilmente il
dono della profezia, che «porta a leggere la storia, gli avvenimenti, la vita con lo sguardo di
Dio». Oggi – scrive il vescovo – «c’è una grande
necessità di uomini e di donne che abbiano il
dono della profezia e lo esercitino anzitutto con
la loro vita» e «di uomini e donne spirituali» –
nel senso di persone ripiene dello Spirito –,
non solo di «padri e fratelli spirituali», ma di
«madri e sorelle spirituali» che, mettendo in
gioco tutte se stesse, sappiano intravedere nel
cuore delle persone e dentro le contraddizioni
della storia il filo rosso dell’amore di Dio che
sta costruendo il suo Regno anche con le nostre mani. (M. Pizzighini)