Gli inganni di Pier Luigi Pizzi

Transcript

Gli inganni di Pier Luigi Pizzi
Musica Classica
Franz Coriasco
Gli inganni
di Pier Luigi Pizzi
Macerata Opera Festival.
Arena Sferisterio, Macerata.
«Non vorrei ingannata
restar», canta Zerlina davanti alle lusinghe di don
Giovanni. In effetti, tutti
ingannano o sono stati
ingannati, nel capolavoro
mozartiano che Pizzi allestisce quest’anno, toccando erotismo, burla e
tragedia di una umanità
– simboleggiata dal grande seduttore – imprigionata in sé stessa come un
uccello in gabbia. E fa bene il regista a superare,
scenograficamente, il limite del non-detto e del
non visto nella musica di
Wolfgang mostrando don
Giovanni alla fine tormentato in un inferno
esplicito. Lui se l’è voluto
e cercato come un eroe
negativo. Ma Pizzi non
riesce a nascondere un filo di commozione, proprio lui, l’illuminato artista neoclassico, regala
barlumi di umanità ad
un personaggio che dall’inizio alla fine sembra
non averla.
Succede anche con l’allestimento di Madama
Butterfly. Altra donna ingannata dal razzista e cinico Pinkerton in un
Giappone sensuale. Dove
però basta un semplice
ciliegio sul palco smisurato dello Sferisterio a dire tutto della favola triste
tra la piccola geisha e
l’avventuriero americano.
Inganna per amore, Violetta, la “traviata” costretta dal mondo borghese
di allora (e perché no, di
oggi) a rinunciare all’u-
nico amore della vita.
Certo, sulla scena canta e
agisce una Mariella Devia, splendida belcantista
e misurata interprete,
dietro ad una enorme
specchiera candida. L’ha
suggerita Massimo Gasparon per commentare
un dramma intimo che
spezza ancora il cuore
con la verità della musica
di Verdi, diretta con cura,
nonostante il vento, da
Michele Mariotti.
Tragico infine si rivela
l’inganno ne Le malenten-
se ne rendono conto, grazie al vecchio servo che finalmente consegna loro i
documenti dell’uomo. Il
servo è immagine di un
Dio indifferente alla sorte
umana, che dice “no”alla
richiesta di aiuto.
D’Amico ha l’abilità di
accompagnare con un
gruppo di ottimi strumentisti – il Quartetto
Bernini, due clarinettisti
e un fisarmonicista – il
canto agitato, lacrimoso,
impulsivo dei personaggi. La musica non altera
né soffoca le voci, piuttosto è un mare in fermento che sottolinea l’incupirsi del dramma. Cantanti-attori come Elena
Zilio, Sofia Solovij, Mark
Milhofer, guidati da
A. Tabocchini
caratteri ed interessi diversi, ma abbiamo discusso così tanto negli ultimi
anni che finalmente sappiamo come trattarci». E il
risultato
sembrerebbe
confermare in pieno l’antico teorema beatlesiano,
laddove l’addizione dei
singoli talenti risulta alla
fine ben superiore alla
somma algebrica delle rispettive individualità.
Da qui anche il titolo
di questo album, costato
due anni e mezzo di lavoro, dove l’amicizia fra i
due s’incarna e risplende
in una dozzina di brani di
straordinaria
intimità,
ma anche dotati di grande forza comunicativa. Le
spezie e gli impasti vocali
folk-rock dei Sessanta incrociano delizie bossanova, ballate limpide come i
cieli della loro terra e
chete proprio come l’acqua dei loro fiordi: ibridi
sospesi tra la mitezza dei
laghi di montagna e l’immensità del mare. Eppure
– qui sta una delle peculiarità più originali dell’album – queste sono
tutt’altro che canzoni
“mosce”; anzi, per usare
le loro stesse parole questo è «il disco pop più ritmico che sia mai stato
fatto senza usare né percussioni né batteria».
L’accoppiata norvegese dunque si conferma
come una delle realtà più
particolari, moderne, e
preziose del folk-pop europeo, anche perché le
loro canzoni sottintendono un’ecologia della
musica di cui c’è davvero
un gran bisogno in questi tempi di plastiche pop
tanto
omogeneizzate
quanto banali. Insomma,
un album da includere
assolutamente tra i dischi
più belli dell’anno.
ARTE E SPETTACOLO
du, il malinteso. Tre atti
dal dramma scritto da Camus durante la guerra nel
1941. La musica di Matteo
D’Amico, nell’opera in
prima assoluta mondiale,
ha rivestito una autentica
“tragedia dell’incomunicabilità”. Semplice la trama. Un figlio ritorna dopo anni nella locanda tenuta dalla madre e dalla
sorella, ma non si fa riconoscere. Le due donne,
per impadronirsi dei soldi, lo uccidono. Alla fine,
Guillaume Tourniaire,
hanno dato una vitalità
reale all’opera, aiutati
dalla regia leggera di Saverio Marconi. Spettacolo claustrofobico e duro,
eppure – ma forse Camus non sarebbe d’accordo – necessario. Per
non fermarsi però alla
cupezza, ma continuare a
cercare, oltre l’inganno,
la verità. Che è forse l’altra faccia del tema scelto
quest’anno da Pizzi.
Scena da
“Le malentendu”,
il dramma
di Camus
musicato da
Matteo D’Amico.
Prima mondiale
al Macerata Opera
Festival 2009.
Mario Dal Bello
73
Città nuova • n.19 • 2009