N. R.G. TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Seconda
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N. R.G. TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Seconda
N. R.G. <omissis> TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Seconda sezione CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luca Minniti ha pronunciato la seguente ORDINANZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. <omissis> promossa da: A1 (C.F. <omissis>), con il patrocinio dell’avv. MARRONE GUIDO, elettivamente domiciliato in VIALE GIUSEPPE MAZZINI 35 50132 FIRENZE presso il difensore avv. MARRONE GUIDO ATTORE contro C1 (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. BRANDI ENRICHETTA , elettivamente domiciliato in C/O AZIENDA OSPEDALIERA Largo Brambilla 3 Firenze presso il difensore avv. BRANDI ENRICHETTA CONVENUTO ******************************************************* Il signor A1, ricorreva ex art 702 bis c.p.c. , lamentando di aver subito un danno iatrogeno, dovuto a malpractice medica, in occasione dell’intervento chirurgico di osteosintesi effettuato il 15.1.2007 presso C1. Esponeva, nel proprio ricorso, di essersi recato al CTO di C1 il 31.12.2006 alle ore 3:00 circa, in seguito a sinistro stradale. In tale occasione fu diagnosticata “frattura piatto tibiale ginocchio destro e contusione escoriato gomito destro”. Veniva quindi disposto il ricovero in ortopedia del paziente. Durante il ricovero venivano eseguiti TAC ed ecocolor-Doppler. Sempre durante la degenza, successivamente all’intervento, il paziente si sottoponeva ad un ciclo di fisiokinesioterapia. Veniva dimesso il 31.1.2007, nella stessa data iniziava terapia riabilitativa presso l’istituto Don Carlo Gnocchi, per esserne dimesso in data 14.3.2007. Persistendo gravi problemi motori e di dolore il sig. A1 si rivolgeva nuovamente al CTO in data 9.10.2007. I sanitari certificavano che “persiste il deficit di estensione (di circa 20°) nonostante lo stretching fin qui effettuato. Presa visione dei radiogrammi si reputa esistente conflitto gola i.c.-tibia anteriore da confermare con TAC”, esame svolto il 25.10.2007. Nel 2011 e nel 2012 parte ricorrente si sottopose ad ulteriori esami, a causa dei persistenti gravi problemi di mobilità e dei forti dolori all’arto, nonché si sottopose a visita ortopedica e a visita medico legale. In tale occasione il CTP sosteneva che “si può ascrivere ad una malpractice una maggiore invalidità rispetto a quella che ci si sarebbe dovuta attendere”. Valutava la permanente riduzione nel 20-22%, riconducendo un 7-8% di danno biologico alla condotta dei sanitari. Infruttuose le soluzioni transattive della controversia, parte ricorrente instaurava procedimento ex art 696 bis c.p.c. ad R.G. <omissis>, ove veniva nominato CTU il dott. Francesco Cantisani, dalla cui relazione emergerebbe che “l’intervento chirurgico risulta…eseguito solo parzialmente in quanto non è stato praticato un innesto osseo che avrebbe potuto evitare verosimilmente il successivo infossamento della superficie articolare” pertanto “l’invalidità residuata si può ritenere maggiore rispetto a quella che ci si sarebbe dovuta attendere conseguentemente ad una analoga frattura del piatto tibiale trattata con mezzi di sintesi e trapianto osseo”. Tale consulente, inoltre, avrebbe accertato che “attualmente residuano postumi permanenti valutabili, a mio avviso, nella misura del 17% come danno biologico, di cui il 5% attribuibile ad una responsabilità professionale dei sanitari che hanno eseguito l’intervento chirurgico e ascrivibile ad un plus in ambito di invalidità macro-permanente”. Infruttuose anche le soluzioni transattive sulla base della relazione peritale, parte ricorrente instaurava l’odierno procedimento per sentire rassegnate le seguenti conclusioni: “voglia l’ecc.mo Tribunale di Firenze accertare e dichiarare, per i titoli e le ragioni in premessa indicati, la responsabilità di C1 e, per l’effetto, condannarla al pagamento a favore del sig. A1 della somma di €25.658,17, ovvero della diversa somma che risulterà di giustizia, oltre interessi e rivalutazione (a decorrere, per quanto attiene la somma che sarà liquidata a titolo di IP, dal 15.1.2007- data dell’intervento chirurgico in questione- al pagamento). Con vittoria di spese e competenze, anche del procedimento per ATP, da distrarsi ex art 93 c.p.c. a favore del difensore che le ha anticipate”, chiedendo anche, in via istruttoria, l’acquisizione della CTU espletata in sede di ATP e l’acquisizione dei fascicoli d’ufficio relativo all’ATP; in subordine l’esperimento di nuova CTU medico legale. Si costituiva in giudizio, in persona del legale rappresentante, C1. Innanzitutto rilevava che il procedimento precedentemente promosso da parte ricorrente era CTP ex art 696 bis c.p.c. e non ATP ex art 696 c.p.c.; ripercorreva gli esiti della relazione del perito, in particolare il fatto che “nel corso delle operazioni peritali il periziato ha riferito di essere stato già risarcito del danno riportato al ginocchio destro in conseguenza del sinistro in oggetto, dall’assicurazione del Comune di <omissis>. Non ha però precisato l’entità del danno riportato né il relativo risarcimento”. Precisava che l’impossibilità di raggiungere una soluzione transattiva della questione era dipesa dal comportamento di parte ricorrente, la quale, su espressa richiesta di avere cognizione del risarcimento già effettuato dal Comune di <omissis>, non dava riscontro. Eccepiva, inoltre, che il ricorso promosso fosse inammissibile per omissione di allegazione dovuta, non avendo, parte ricorrente, provveduto a produrre sempre la documentazione idonea a certificare l’entità del ristoro corrisposto dal Comune di <omissis>. Contestava inoltre la quantificazione del danno. In particolare si opponeva alla richiesta di risarcimento di un danno estetico, in quanto non provata e generica. Contestava integralmente la personalizzazione del danno e la determinazione delle spese sostenute, poiché non provate. Contestava i criteri utilizzati da parte ricorrente per la liquidazione del danno iatrogeno differenziale esponendo che “il valore monetario base del punto di invalidità cresce in progressione geometrica e non aritmetica al crescere del grado di invalidità, sicché liquidare la differenze dei valori percentuali sopra citati significherebbe convertire in termini monetari il danno in base ad un valore di punto falsato, e senza tener conto che il surplus di invalidità ascrivibile al resistente non si innesta su una situazione di validità preesistente, ma si innesta su una situazione di salute già compromessa”; in subordine, rileva che il conteggio proposto da parte ricorrente, basato sui criteri delle Tabelle di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale, fa riferimento ad un soggetto di 48 anni, mentre parte ricorrente avrebbe compiuto 49 anni una settimana dopo l’intervento, di tal ché si genera un surplus nel calcolo del danno da liquidarsi. Contestava, infine, per insufficienza probatoria le voci di danno introdotte per la prima volta con il presente ricorso. Concludeva chiedendo “in via preliminare, dichiarare inammissibile il ricorso ex art 702 bis c.p.c., per quanto esposto in narrativa; in denegata ipotesi, nel merito, pronunciarsi mediante recepimento della CTU effettuata in sede di procedimento ex art 696 bis c.p.c. ponendo le spese del presente procedimento e di quello ex art 696 bis c.p.c. ad integrale carico del ricorrente acclarato l’atteggiamento volutamente omissivo ed ostruzionistico posto in essere dallo stesso. In via istruttoria ordinare ex art 210 c.p.c. a controparte di produrre idonea documentazione comprovante l’avvenuto risarcimento da parte del comune di Firenze in conseguenza del sinistro occorso al ricorrente; autorizzare il recepimento della CTU effettuata nel procedimento ex art 696 bis al fine di raggiungere la conciliazione cui C1 non si è mai sottratta, mediante quantificazione certa senza duplicazioni di ristoro, in base a quanto in essa accertato”. All’udienza del 06.02.2014 parte ricorrente produceva quietanza di pagamento del risarcimento del danno da parte del Comune di <omissis>, che dichiarava aver già inviato a controparte. Dichiarava, inoltre, di aver formulato proposta transattiva con riduzione ad euro 25.000,00 comprensiva di interessi, oltre spese legali, iva e cap per € 6.713,66. Parte resistente si riportava alle proprie deduzioni in comparsa di risposta. Il giudice tratteneva la causa in decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE preliminarmente si dispone l’ammissione degli atti del procedimento RG <omissis>, promosso ex art 696 bis c.p.c. . Risulta assorbita la richiesta di parte resistente di ordinare ex art 210 c.p.c. l’esibizione documentale comprovante l’avvenuto risarcimento da parte del Comune di <omissis>, avendo parte ricorrente già ottemperato alla richiesta. La domanda di risarcimento del danno svolta da parte ricorrente deve essere accolta, nei limiti e per le ragioni che si vanno ad illustrare. Il 15/01/2007 veniva eseguito intervento chirurgico di “riduzione e sintesi di frattura piatto tibiale esterno e interno ginocchio destro: in anestesia spinale, paziente supino con laccio pneumatico alla radice dell’arto, attraverso accesso postero-mediale si giunge sul focolaio di frattura del piatto tibiale mediale. Riduzione e sintesi con placca LCP 35 mm. Si esegue quindi riduzione e sintesi, attraverso accesso esterno, del piatto tibiale esterno con placca periarticolare Synthes. Accurata emostasi. Abbondante lavaggio. Sutura per piani anatomici. Due lavaggi. Sutura. Medicazione”. Il CTU, nelle proprie considerazioni medico legali, osserva “il trattamento delle fratture con interessamento articolare, in particolare quelle pluriframmentarie scomposte con infossamento del piatto tibiale del ginocchio, è chirurgico e consiste nella riduzione dei frammenti, ricostruzione della superficie articolare e sintesi con placche e/o viti. La scomposizione e la pluriframmentarietà della frattura rendono più difficoltoso l’intervento e non sempre è possibile ottenere una perfetta ricostruzione della superficie articolare. L’artrosi, per incongruenza delle superfici articolari, rappresenta una frequente complicanza tardiva. A seconda del grado di infossamento dell’emipiatto, a volte si rende necessario un innesto di osso per riempire il vuoto che si crea dopo il risollevamento del piano articolare unitamente alla spongiosa sub- condrale, per sostenere l’emipiatto ricostruito e quindi ridurre i rischi di un suo successivo crollo alla ripresa della deambulazione. Nel caso di specie il CTU valuta come correttamente eseguito l’intervento chirurgico di riduzione e sintesi con doppia placca e viti. Tuttavia, rileva che “la parziale scomposizione evidenziata già al controllo radiografico del 19/3/2007 e successivamente accentuatasi, fa ritenere che sarebbe stato necessario completare l’intervento chirurgico con un innesto osseo, che avrebbe verosimilmente evitato il conseguente infossamento del piatto tibiale laterale”. Risulta eseguito in data 25/10/2007 esame TC che rilevava: “deformazione degli emipiatti tibiali, con maggiore interessamento del laterale, e delle spine intercondiloidee in esiti di frattura pluriframmentaria trattata chirurgicamente con materiali di osteosintesi. Si documenta la sussistenza di numerosi frammenti e uno, in particolare, di circa 2 cm, si localizza nel compartimento articolare posteriore in prossimità delle inserzioni femorali dei legamenti crociati. Disassamento laterale sul piano frontale dei capi ossei articolari della tibia sul femore. Le cartilagini meniscali si presentano deformate e disomogenee per gravi alterazioni degenerative-traumatiche. Non più riconoscibili i ligamenti crociati all’inserzione distale, continui nel tratto prossimale. Mal riconoscibile anche il legamento collaterale esterno, integro il mediale. Ispessimento della sinovia nel compartimento articolare ventrale. Modesto versamento endo-articolare si dispone nei recessi paracondiloidei. Note di osteoporosi”. In data 8/11/2007 veniva proposto, dai sanitari, all’esito degli esami svolti e del ciclo di fisiokinesioterapia, intervento chirurgico di artrolisi in artroscopia e quindi inserito in lista d’attesa. In proposito il CTU osserva che “non ci sarebbe stata l’indicazione al trattamento chirurgico di emi-artroprotesi o di protesi-totale, in alternativa all’intervento in artroscopia”. Conclude, dunque, per considerare la gestione del paziente successiva ai controlli post operatori come adeguata e completa, senza ritardi o omissioni. Precisa, però, che attualmente lo stato clinico del paziente, “tenuto conto della progressiva evoluzione del quadro artrosico, della deformità articolare e della sintomatologia algo disfunzionale del ginocchio, è pienamente indicativo d’intervento di artroprotesi”. Tale intervento non risulta essere stato eseguito dal paziente, ma non risultano dagli atti elementi che permettano di attribuire a responsabilità dei sanitari del C.T.O. la mancata esecuzione del suddetto intervento, correttamente proposto. Nel rispondere al primo quesito: esporre “se le prestazioni mediche cui il ricorrente è stato sottoposto presso l’Azienda sanitaria resistente siano state idonee e siano conformi ai protocolli medici”, il CTU osserva che: “in considerazione dell’innesto osseo spongioso non eseguito nel corso dell’intervento di osteosintesi, del successivo conseguente avvallamento dell’emipiatto tibiale esterno e della evoluzione progressiva in senso peggiorativo del processo artrosico, l’invalidità residuata si può ritenere che sia maggiore di quella che ci si sarebbe dovuto attendere conseguentemente ad una analoga frattura del piatto tibiale trattata con mezzi di sintesi e trapianto osseo” […] “le prestazioni mediche ed in particolare l’intervento chirurgico di riduzione e sintesi della frattura del piatto tibiale esterno del ginocchio destro, cui il sig. A1 è stato sottoposto dai sanitari del CTO Firenze, si può ritenere idoneo e conforme ai protocolli chirurgici, ma, a mio avviso, eseguito solo parzialmente in quanto non è stato praticato un innesto osseo che avrebbe potuto evitare verosimilmente il successivo infossamento della superficie articolare”. Per le sopraesposte considerazioni, posto che, come osservato dallo stesso CTU, interventi quali quello di specie di riduzione ed osteosintesi non sempre consentono di ottenere una perfetta ricostruzione delle superfici articolari, in ragione del grado di scomposizione e pluriframmentarietà della frattura, inerisce direttamente la corretta osservanza dei protocolli sanitari verificare la necessità di procedere anche con ulteriore innesto osseo. In risposta alle osservazioni del CT di parte resistente il CTU precisa che gli esami strumentali, quali TAC con ricostruzione bi e tridimensionale ed RX, permettono la ricognizione dell’entità dell’affossamento. Inoltre, anche in sede di intervento, “dopo le manovre riduttive della frattura e di sollevamento dei frammenti per ripristinare l’anatomia della superficie articolare, bisogna correttamente valutare l’entità del vuoto residuo conseguente alla compenetrazione delle trabecole dell’osso spongioso metafisiario, e procedere, se necessario, al trapianto, al fine di evitare un nuovo spostamento ed una nuova scomposizione. Nel caso in oggetto, è vero che la riduzione della frattura è stata correttamente eseguita e che nella descrizione dell’intervento non è riportata l’entità del difetto osseo post-riduzione, però sulla base della scomposizione successiva e dell’iniziale infossamento evidenziati già a due mesi dall’intervento, si può ritenere che l’innesto osseo sarebbe stato necessario”. Ancora: “se esso fosse stato eseguito, molto probabilmente la successiva scomposizione ed il cedimento del piano articolare non si sarebbero verificati” […] “una corretta riduzione della frattura, con ricostruzione del piano articolare, resa stabile mediante innesto osseo, si può verosimilmente ritenere, avrebbe evitato la deviazione assiale in valgo e, probabilmente, ridotto il deficit di flesso-estensione del ginocchio conseguente successivamente anche alla progressiva evoluzione del processo artrosico”. Per tali considerazioni, questo giudicante fa proprie le considerazioni rassegnate dal CTU e sopra riportate, ritenendo accertata una negligente condotta dei sanitari che, seppur corretta rispetto all’esecuzione dell’intervento di riduzione ed osteosintesi, è risultata colposamente omissiva rispetto alla terapia che sin da quel momento poteva apparire necessaria per il paziente, cioè l’intervento di trapianto osseo. La domanda di parte ricorrente è, dunque, fondata e va accolta. Accertata e dichiarata la responsabilità colposa dei medici in ordine alla produzione di un nocumento a parte ricorrente, che si andrà di seguito ad esaminare, risulta accertata e dichiarata anche la responsabilità di C1 ex art 2049 c.c. In ordine all’accertamento ed alla determinazione del danno subito da parte ricorrente quale conseguenza del fatto illecito dei sanitari, il CTU conclude nella propria perizia, all’esito anche dell’esame clinicoanamnesico e dell’esame obiettivo del paziente, che “attualmente residuano postumi permanenti valutabili nella misura del 17% come danno biologico, di cui il 5% attribuibile ad una responsabilità professionale dei sanitari che hanno eseguito l’intervento chirurgico ed ascrivibile ad un plus in ambito di invalidità micropermanente. La suddetta responsabilità professionale non ha influito sulla inabilità temporanea”. Parte ricorrente prospettava una determinazione dell’ammontare di tale danno biologico iatrogeno differenziale chiedendo l’applicazione dei valori tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano in riferimento a persona di 48 anni al momento dei fatti, oltre interessi e rivalutazione. Chiedeva altresì una personalizzazione della misura del risarcimento in ragione del protrarsi del tempo trascorso in ospedale e della zoppia prodottasi a causa dell’entità della lesione riportata; cui doveva aggiungersi un danno estetico oltre alle spese mediche sostenute e documentate. Parte resistente contestava, perché non provate, la richiesta di personalizzazione del danno e la richiesta di risarcimento del danno estetico. Contestava altresì la determinazione della misura del risarcimento, essendo stata fatta in riferimento a soggetto di 48 anni anziché di 49. Veniva accertato, mediante esibizione e deposito di quietanza di pagamento, che il ricorrente è già stato risarcito dal Comune di <omissis>, per mezzo della compagnia assicurativa Fondiaria sai s.p.a., della somma di € 28.500,00 oltre spese legali per l’incidente occorsogli. Prima di procedere alla liquidazione del risarcimento del danno, occorre precisare che nel caso de quo non si dà luogo all’applicazione dei criteri tabellari della l. 189/2012, c.d. Legge Balduzzi, validi per la liquidazione di danni micropermanenti, ancorché si discuta di un danno biologico da invalidità permanente accertato dal CTU in misura inferiore al 9%. Nel caso di specie, infatti, si tratta di danno differenziale prodotto da colpa medica ed insistente su una preesistente situazione di salute già compromessa. La misura del 5% di IP permanente cui fa riferimento la CTU, imputabile a responsabilità medica, rappresenta quell’incremento differenziale dell’IP dal 12% al 17% quale invalidità prodottasi in seguito all’incidente stradale, all’origine del ricovero ospedaliero. Nel caso in esame non è necessario ricostruire, anche perché non è controverso tra le parti il sistema di liquidazione del danno non patrimoniale adottato dalla giurisprudenza prevalente nel merito ed unanime nella Corte di Cassazione. La sua concezione unitaria diretta ad evitare duplicazioni ma anche poliedrica per evitare indebite omissioni risarcitorie . Tenuto conto dei criteri di liquidazione delle Tabelle di Milano, per un soggetto di 48 anni al tempo del fatto, ma che di lì a breve tempo avrebbe compiuto 49 anni, della personalizzazione del danno. Poiché secondo il punto ( appesantito per il profilo morale del danno non patrimoniale) , nelle tabelle di Milano dell’anno 2013, avrebbe portato a riconoscere, salvo aumento per personalizzazione, l’importo di euro 49.449,00 ( per il 17% di permanente ) ; poiché il 12% ( pari ad euro 27.761,00) costituisce conseguenza di causa indipendente da quella per cui è causa e considerato perciò che la differenza , pari ad €uro 21.688,00 è quanto spetta per l’aggravio del 5% di invalidità in questa esatta misura deve esser stimato il danno non patrimoniale conseguente alla accertata scomposizione successiva della frattura e al cedimento del piano articolare, evitabili secondo la CTU non controversa sul punto, con l’omesso intervento di innesto osseo. Non vi è dubbio che la zoppia costituisca un elemento incisivo sulla vita di relazione del danneggiato avente 48 anni e celibe . In via equitativa , nei limiti del tetto previsto dalle tabelle di Milano il giudice ritiene incrementabile il risarcimento per un ulteriore importo di 4.000,00 euro .Le spese seguono la regola della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, tenuto conto degli importi riconosciuti. Gli attori hanno diritto al rimborso anche delle spese del procedimento ex art 696 bis c.p.c. ( complessivamente € 6.300,00 per compensi ). Il procuratore si è dichiarato antistatario e in suo favore devono liquidarsi le spese. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa o assorbita ogni diversa domanda o eccezione: - ritenuta la responsabilità medico-sanitaria di C1 che condanna a corrispondere a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale differenziale sofferto da A1 l’importo di 25.688,00 oltre gli interessi nella misura legale sulla somma devalutata al 15/1/2007 e annualmente rivalutata dal 15.1.2007 alla data di pubblicazione della sentenza; - condanna C1 alla rifusione delle spese processuali del procedimento di istruzione preventiva e del processo sommario che liquida a favore del ricorrente in € 6.300,00 per compensi oltre Iva e Cap ; - condanna altresì la resistente alla rifusione delle spese di ctu ex art 696 bis c.p., così come liquidate dal giudice. Dispone la distrazione delle spese a favore dei procuratori degli attori che si sono dichiarati antistatari. Firenze, 22 maggio 2014 Il Giudice dott. Luca Minniti