economia di comunione e comportamenti sociali

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economia di comunione e comportamenti sociali
Nuova Umanità
XIX (1997/2) 110, 301-313
ECONOMIA DI COMUNIONE E COMPORTAMENTI SOCIALI L'economia sempre più diventa una tematica centrale nella
crescita delle società e dei popoli, ma, contemporaneamente,
sempre di più diventa anche un problema.
.
«li processo di globalizzazione delle economie sta svolgendo
una unificazione a livello mondiale con una rapidità senza prece­
denti; e, tuttavia, i benefici di questo fenomeno sono ancora di­
stribuiti fra pochi e non sono condivisi dalla stragrande maggio­
ranza delle popolazioni che vivono nel nostro pianeta» 1. È un'af­
fermazione di un'autorevole rivista che si occupa di politica inter­
nazionale.
Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad una vera inflazio­
ne di vertici internazionali, tutti collegati al problema dello svi­
luppo: "Ambiente e sviluppo" (1992 - Rio de Janeiro); "Popola­
zione e sviluppo" (1994 - Il Cairo); "Donna e sviluppo" (1995 ­
Pechino); e, infine, "Sviluppo sociale" (1995 - Copenaghen).
Questo sguardo planetario sullo sviluppo e, dunque,
sull' economia, interessa ovviamente non solo i Paesi del Sud del
mondo. Anche l'Europa ne è coinvolta, sia quella a capitalismo
avanzato dell'Ovest, sia quella in fase di transizione dell'Est.
Le analisi e le dichiarazioni di questi summit hanno messo in
rilievo tre cose sostanziali:
a} che lo sviluppo non riguarda solo l'economia, ma che
l'economia è in funzione dello sviluppo;
1 G. Bonalumi, Il nuovo disordine internazionale, in «Politica internazio­
nale» 4 (I994), p. 11.
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b) che la sfida dei nostri tempi consiste nella creazione di un
modello di sviluppo incentrato sull'essere umano;
c) che è necessario costruire una cultura di cooperazione e
di partenariato.
Tutte cose che si sapevano già. Prendiamo atto che sono sta­
te dette ufficialmente. Ma quello che non è stato detto è come tut­
to ciò vada realizzato.
Un sociologo ha il dovere di guardare i sommovimenti della
storia, di analizzarli, di capirli e di cogliervi i "segni" nascosti.
Deve avere una capacità di "scrutare" non indifferente.
A me sembra che l'economia, per prima, ha unificato il
mondo, l'ha reso interdipendente usando però, troppo spesso,
l'arma dell'imposizione, spingendo a una vera e propria lotta per
la sopravvivenza per mezzo della concorrenza sfrenata e persino
del conflitto.
Mi sembra di vedere nei discorsi dei "grandi", che decidono
il destino delle loro società e dei popoli, troppi steccati, troppi
muri, troppe chiusure. Anche quando si parla di "mercati liberi",
"solidarietà", "libera circolazione delle merci e delle tecnologie",
"rispetto dell'ambiente", temo che sia come un vestito, meglio un
"trucco" che nasconde egoismi nazionali, espansione dei propri
prodotti, indifferenza verso i meno dotati ç verso i più poveri.
In questa economia di libero mercato c'è qualcosa di insuffi­
ciente, di inefficace, di degradante, di inumano.
Credo che - nell'epoca moderna - il mercato abbia assunto
un ruolo, una consistenza che vannno molto al di là di ciò che deve
essere e che è sempre stato nella cultura dei popoli: il luogo della
compravendita dei prodotti, ma anche dell'incontro delle persone e
dei popoli, uno spazio di relazioni umane. Invece è diventato qual­
cosa di pressoché automatico, quasi un potere a sé stante, se non
addirittura un idolo a cui si sacrificano individui e nazioni.
Sono convinta che gli economisti siano consapevoli che così
non si può andare avanti; se si procede per questa strada si va
verso il disastro totale, perché non è pensa bile che i popoli sop­
portino ancora a lungo l'impossibilità di accedere al banchetto
della vita. Forse la corda è vicino al punto di rottura.
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Eppure io non sono pessimista, anzi, sono ottimista, perché
credo di più nell'essere umano, nella sua dignità, nella sua inesau­
ribile capacità di costruire la storia, che non nelle strutture, per
quanto esse siano oppressive o semplicemente ingiuste.
Il sistema economico, così come lo conosciamo, va verso
un'esplosione. Ma, se siamo intelligenti, possiamo far "implode­
re" tutta questa "costruzione", versandovi un liquido nuovo, per
rinnovarla radicalmente dal di dentro.
Questo liquido nuovo potrebbe essere un progetto nato in
Brasile nel 1991 e che va sotto il nome di "Economia di Comunio­
ne" 2. Già questi due termini, messi insieme, sono provocatori. Me
ne rendo perfettamente conto e me l'ha fatto notare un finanziere
della City londinese che è venuto in Italia, proprio perché voleva
capire come si possono mettere insieme questi due termini.
È possibile coniugare economia e comunione se i soggetti
produttivi (imprenditori-lavoratori) mettono a base del loro agire
economico \ma cultura diversa da quella dell'avere, dell'accumu­
lare, dello sprecare e si muovono secondo i canoni della cultura
del dare, del condividere, dell'uso moderato dei beni, del cambia­
mento di stili di vita consolidati.
Un'utopia? Niente affatto.
Veniamo ai fatti.
L'economia di comunione consiste nell'indirizzare l'azien­
da, l'impresa, a costituirsi come una comunità di persone, alta­
mente responsabilizzate e motivate, indirizzate a produrre beni
e servizi e ad usare i propri profitti in vista di una società solida­
le con gli esclusi, gli emarginati, in una parola con i bisognosi. E
siccome si capisce che ci vogliono persone profondamente con­
vinte, una parte di questi utili sono usati per la formazione di
"uomini nuovi", oltre che naturalmente per l'incremento del­
l'impresa stessa.
Questo significa che, sebbene le imprese e le aziende che
aderiscono a questo progetto si trovino ad attuarlo all'interno del
sistema economico vigente, in verità esse vanno in direzione con­
2 Per una introduzione al tema dell"'Economia di comunione" si veda
«Nuova Umanità» XIV (1992) 2-3, (numero monografico).
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traria rispetto a quelli che sono considerati i capisaldi dell' agire
economico.
In una prima fase, le aziende, che sono sorte sotto la spinta
del progetto, hanno dovuto avviarsi: ricerca di mercato, migliora­
mento della professionalità, ricerca della forma giuridica più
adatta, formazione del capitale sociale, ecc.
Altre aziende già esistenti, invece, hanno voluto "trasfor­
marsi". Questo significava, tra l'altro, maggiori oneri economici
richiesti dalla nuova scelta. Concretamente, si va contro corrente,
evitando ogni evasione fiscale e contributiva, ogni pagamento di
tangenti, ogni produzione di bassa qualità, ogni conflitto spietato
con la concorrenza.
Vediamo più nei dettagli i comportamenti aziendali in alcuni
punti più significativi.
- Comunità di persone: fondamentale uguaglianza di tutti i
soggetti al di là dei ruoli e delle funzioni svolte.
- Cultura del lavoro e dignità dei lavoratori.
Dall'esperienza della Femaq (industria metalmeccanica
Brasile). «Quando Henrique e Rodolfo Leibholz - proprietari
dell'azienda - prospettano alle persone che lavorano nella fabbri­
ca un'esperienza di partecipazione, c'è sorpresa, diffidenza, diso­
rientamento, addirittura rifiuto. Quando mai i lavoratori, i mano­
vali, hanno pensato di poter, di dover formulare un giudizio, apri­
re la bocca, di entrare in dialogo con i "padroni" (parola peraltro
mai adoperata in questa azienda)?
Con pazienza e fiducia, si inizia alla Femaq un'opera di edu­
cazione e di formazione per "tirar fuori" l'uomo da ciascuno. Anzi,
invitano il sindacato del settore metalmeccanico a venire in fabbri­
ca per istruire i dipendenti. Anche i sindacalisti nicchiano, sulle
prime, presi in contropiede da una mossa unica nella loro turbolen­
ta storia. Ma alla fine si allarga un altro cerchio: proprietari e sinda­
cato comunicano serenamente, convergono, collaborano» J.
J I testi tra virgolette che riportano l'esperienza nelle aziende sono frutto
di interviste.
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- Riposo e salute.
Dall'esperienza della Ancilla S.p.a. (consulenza finanziaria ­
Filippine): «Cerchiamo anche di essere attenti che non si lavori
troppo, quindi abbiamo limitato il numero dei giorni in trasferta:
se necessario lavoriamo la domenica, ma mai due domeniche con­
secutive. Nel condominio del nostro ufficio c'è anche una pale­
stra e una piscina, quindi non c'è nessuna scusa per non fare
sport, almeno tre ore la settimana; abbiamo scoperto che siamo
molto più produttivi dopo un'attività sportiva».
- Rapporti con la concorrenza.
Dall'esperienza della Prodiet Farmaceutica (industria farma­
ceutica - Brasile): «È cambiato anche 1'approccio con i concor­
renti, visti non più come dei potenziali nemici, da cui difendersi
per salvaguardare ad ogni costo la propria fetta di mercato, ma
come operatori dello stesso settore, con i quali si possono stabili­
re rapporti di collaborazione nell'interesse comune.
Uno di questi 'concorrenti', costatando la visibile crescita
sul mercato della Prodiet, aveva deciso di contrattaccare diffon­
dendo tra i clienti un'immagine negativa dell'azienda.
Nel decidere alcune misure per ristabilire la verità - pur con
massima delicatezza, per non scatenare una guerra - ci siamo ac­
corti con sorpresa che tali accuse avevano provocato l'effetto
esattamente contrario, data la solida reputazione di onestà ed effi­
cienza goduta dall'azienda presso clienti e fornitori.
Tuttavia si è entrati in contatto con il proprietario della ditta
concorrente per cercare un riavvicinamento, offrendo anche col­
laborazione per l'applicazione di una modifica di legge che regola
il pagamento di una delle più importanti imposte governative.
È stato sufficiente questo gesto per cambiare completamen­
te l'atteggiamento del 'concorrente' e dare inizio cosÌ ad un rap­
porto di amicizia e di collaborazione».
- Rapporti con la clientela.
Dall'esperienza di Ancilla s.p.a.: «Abbiamo quaranta clienti,
metà dei quali società multinazionali e 1'altra metà società locali.
Abbiamo stabilito delle tariffe in proporzione alle possibilità: per
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esempio, ad una multinazionale chiediamo una tariffa più alta che
ad una banca rurale, ad una scuola invece diamo consulenze gra­
tuite».
Quando questi amici filippini hanno iniziato a lavorare con
le banche rurali del loro Paese, hanno trovato una realtà di istituti
immobiliari statici, con situazioni problematiche. Ne parla il di­
rettore di una di esse, al centosessantesimo posto nella classifica
delle banche della regione. Egli avrebbe voluto rivitalizzarla affin­
ché fosse veramente un servizio concreto per la comunità: «Ab­
biamo accettato volentieri - erano il nostro cliente ideale - e ab­
biamo fatto un piano strategico per armonizzare i margini di pro­
fitto ed espandere l'attività». Risultato: adesso sono al sesto posto
in classifica e, in soli tre anni, hanno aumentato di sei volte il giro
d'affari; mentre i dipendenti sono passati da venti a ottanta, or­
mai in cinque diversi settori di attività.
«Aiutare questa piccola banca, anche se il profitto è stato
modesto, è stato per noi una vera gioia. Attraverso di essa, sentia­
mo di aver dato un contributo al nostro Paese: i servizi offerti da
questi giovani bancari rispecchiano infatti gli ideali per i quali vo­
gliamo vivere».
- Profitto dell'impresa e bene comune / rapporti con la legi­
slazione.
Dall'esperienza della Femaq. L'azienda è arrivata alla distri­
buzione degli utili fra gli operai, che viene effettuata semestral­
mente. Per tutti i Paesi è questo un fenomeno innovativo, per il
Brasile è straordinario: ci sono addirittura impedimenti di carat­
tere legale. L'amicizia con un deputato federale, di cui hanno gua­
dagnato la stima, porterà forse ad un progetto di legge che faciliti
ed armonizzi tale pratica.
Ma subito si addensano le difficoltà: di ordine contabile,
giuridico, fiscale. Si tratta infatti di una novità assoluta nell'ammi­
nistrazione aziendale: il quadro legislativo è pronto a suonare tut­
ti i campanelli d'allarme. La logica dei Leibholz è quella di sem­
pre: «È inutile aspettare che ci siano tutte le disposizioni giuridi­
che al riguardo. Tanto vale buttarsi con coraggio e aprire una
strada, rischiando. Gli stessi organi giuridici, trovandosi davanti a
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dei modelli vitali da studiare e valutare, potranno 'inventare' nuo­
ve norme fiscali».
- Rapporti con l'ambiente.
Dall' esperienza della Cooperativa Loppiano la (cooperativa
agricola - Italia). Nella cooperativa c'è una grande e costante at­
tenzione all'impatto ambientale delle varie attività produttive. Ad
esempio, si evita l'uso di concimi chimici dannosi alla salute e an­
che ai terreni.
- Rapporti con la società dove si opera.
Dall'esperienza della Femaq: Forse un'altra novità è che la
Femaq si apre, come impresa, alla società. Non si occupa più solo
dei suoi ,dipendenti o della sua amministrazione interna, della
produttività, del perfezionamento tecnologico, anche se questi
aspetti hon sono assolutamente trascurati, ma vuoI essere sogget­
to: ben inserita nella società civile, partecipe attenta - e ci pare
che già lo sia - di molteplici interessi per la regione di Piracicaba.
Quando il Comune indìce un dibattito su un determinato ar­
gomento, convoca diverse entità civili e... chiama anche la Femaq.
Un centro studi cittadino, sorto contro la disoccupazione, or­
ganizza un ciclo di conferenze dal titolo "Sviluppo subito" ed inter­
pella i Leibholz. Chiede la loro opinione, suggerimenti e proposte.
Al "Forum per lo sviluppo di Piracicaba" il Comune solleci­
ta il loro intervento. Li sceglie anche per rappresentare tutte le in­
dustrie della città, anche se la Femaq, con i suoi 6 milioni di dol­
lari di fatturato annuo, è ben piccola rispetto a una Caterpillar,
una General Motors, una Dedini.
- Apertura alla mondialità.
Si va sempre più concretizzando la collaborazione - anche
tramite partecipazione di capitali, concessione di crediti, trasferi­
mento di tecnologie - fra aziende situate in nazioni o continenti
diversi.
Tutto ciò funziona? Credo che i dati dicano di sì. 308
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Al novembre del 1995 le aziende che aderivano all'economia
di comunione erano 551 cosÌ distribuite: 182 nelle Americhe di
cui 144 in America Latina, 22 in Asia, 2 in Africa e 5 in Australia.
In Europa erano 333, di cui 298 nell'Ovest e 35 nell'Est.
Tutte queste aziende nell'anno 1995 hanno versato gli utili
per un ammontare di 2.100.000 dollari per i bisognosi e di
640.000 dollari per strutture di formazione di uomini "nuovi".
Tutte queste aziende rientrano nelle diverse forme giuridi­
che previste dalle legislazioni dei differenti Paesi: società di per­
sone, società per azioni, società a responsabilità limitata, coopera­
tive, ecc.
Sotto il profilo dei settori di attività: produzione di beni e
servizi, uffici di consulenza contabile, informatica e manageriale;
studi di progettazione; studi medici; studi legali; attività commer­
ciali e agricole.
L'esperienza di questi anni - esperienza che viene tra l'altro
comunicata attraverso un bollettino - ha evidenziato un concetto
di "utile" - da condividere - più ampio di quello che è normal­
mente preso in considerazione. Non si tratta solo di mettere in
comune denari liquidi per gli scopi già indicati, ma di creare posti
di lavoro, di investire i guadagni dell'impresa in progetti di avvia­
mento, di donare attrezzature o servizi, di mettere in comune
esperienze acquisite e capacità manageriali e, addirittura, brevetti.
Credo che a questo punto debbo "scoprire di più le carte".
Perché funziona?
Questo progetto è nato all'interno del Movimento dei Foco­
lari, iniziato da Chiara Lubich nella città di Trento, in Italia, men­
tre infuriava la Seconda Guerra mondiale.
La spiritualità, il carisma che informa il Movimento dei Fo­
colari, si basa sull'amore vicendevole e sull'unità. L'amore di Dio
e l'amore del prossimo vengono "riscoperti" nel comandamento
nuovo di Gesù. Chi scopre Dio come Padre scopre tutti gli esseri
umani come fratelli. Amarsi l'un l'altro porta all'unità, quell'unità
richiesta da Gesù al Padre: «Perché tutti siano una cosa sola. Co­
me tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa
sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Cv 17,21).
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La spiritualità del Movimento punta molto in alto: «È la vita
della Santissima Trinità che noi dobbiamo procurare di imitare,
amandoci tra di noi con la grazia di Dio, come le persone della
Santissima Trinità si amano tra di loro» 4.
Ma questa stessa spiritualità richiede pure che la contempla­
zione diventi azione, che si incarni nella vita concreta singolar­
mente e comunitariamente. Così, come espressione di una spiri­
tualità intensa, in ogni parte della terra dove il Movimento è pre­
sente nascono, dalle esigenze dell'amore, opere.
li Movimento è arrivato in Brasile nel 1958 e da allora si è
sparso in ogni parte del Paese, attraendo persone di tutte le cate­
gorie sociali. Laggiù dunque i suoi membri, nella varietà della vo­
cazioni che si snodano al suo interno, si sono trovati nel vivo di
una nazione molto complessa e, forse per questo, affascinante. Il
Brasile è quasi un bozzetto delle contraddizioni che investono
l'era contemporanea. Lì si può vedere e costatare in modo vivissi­
mo lo spartiacque tra Nord e Sud del mondo, tra sviluppo e sot­
tosviluppo, tra spreco e indigenza, tra abbondanza e miseria.
In tutti questi anni il Movimento vi ha operato col suo cari­
sma. Anche in quella nazione sono dunque nate tante concretiz­
zazioni comuni a tutto il Movimento come: Centri Mariapoli, Cit­
tadelle, Focolari; ma anche attività sociali di ogni tipo per portare
sollievo là dove la sofferenza grida l'abbandono degli uomini e
l'indifferenza della società civile: nei mocambos e nelle favelas,
nelle periferie delle grandi città, nelle campagne, ovunque.
Dagli inizi degli anni Settanta, la Cittadella Araceli - centro
di formazione dei membri del Movimento in Brasile - fa un po'
da punto di riferimento a tutta questa vasta attività. È là che nel
maggìo del 1991 si reca Chiara Lubich. Non era certamente la
prima volta che Chiara visitava il Brasile. C'era stata nel 1961, nel
1964 e nel 1965. In quei lontani soggiorni era stata colpita dalla
realtà che vi aveva trovato.
4 C. Lubich, Sintesi della spiritualità, in Mariapoli '68, Roma 1968, p. 76,
cito in]. Povilus, Gesù in mezzo nel pensiero di Chiara Lubich, Roma 1981, p. 74.
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Lo scenario socio-economico non era molto cambiato ri­
spetto agli anni '60. Caso mai si era aggravato, e il Movimento ne
aveva preso ancor più coscienza per la penetrazione avuta, per la
vita e i frutti raccolti anche in ambienti umili e poveri. Questa
realtà fa da sfondo a quanto è maturato in quei giorni.
È Chiara stessa, nel discorso fatto alla Cittadella Araceli il
19 maggio del 1991, ad individuare e illustrare i prodromi del
progetto che sta per annunciare:
a) la realtà delle Cittadelle
b) la lettura della Centesimus annus;
c) la comunione dei beni.
Afferma Chiara: «Sono stati appunto il ricordo di quella pri­
ma intuizione sulle nostre cittadelle e la meditazione della Cente­
simus annus che ci han mossi a prendere in considerazione un
elemento essenziale della spiritualità del nostro Movimento, il suo
aspetto economico-sociale. Esso sottolinea la comunione dei beni;
e non solo la sottolinea, ma la attua da 47 anni in diverse forme.
(... ) Tutti, in modo più o meno radicale e sempre liberamente, vi­
vono la comunione dei beni. È un elemento che noi sottolineiamo
in modo particolare e, vorrei dire, un elemento nuovo. Ogni cari­
sma che emerge nella Chiesa, infatti, porta una novità che è impli­
cita nel magistero e nella Sacra Scrittura, ma che lo Spirito Santo
rende esplicita attraverso quel particolare carisma. Noi abbiamo
esplicitato la necessità che il cristiano attui, liberamente, la comu­
nione dei beni» 5.
«Poi, man mano che 1'abbiamo vissuta, è stata arricchita di
tutti quegli altri apporti che ci ha fornito la dottrina sociale cri­
stiana soprattutto attraverso le encicliche sociali.
Tutto questo però è stato fatto dalle persone più vicine nel
nostro Movimento, appartenenti alle sue varie diramazioni.
Ebbene, in questi giorni è nata nella Cittadella Araceli
un'idea: l'idea che forse Dio chiami il nostro Movimento nel Bra­
sile, dove ha un seguito di circa 150.000 persone, ad attuare la co­
5 G. Boselli., (a cura), Una cittadella pilota, intervista a Chiara Lubich, in
«Città nuova»
n
(1991), pp. 30-31.
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munione dei beni arricchita di tutti i princìpi della dottrina socia­
le della Chiesa, globalmente, tutto il Movimento insieme» 6.
Credo sia necessario spendere due parole per mettere in ri­
1ievo il valore eccezionale di questa prassi della comunione dei
beni, presente sin dai primi passi del Movimento a Trento. Mette­
re in comune i beni - come i primi cristiani - riprendeva vigore
radicale fra delle ragazze e la comunità laica, costituita per lo più
da persone povere, che si andava formando attorno a loro. Collo­
care i beni materiali nel circuito della vita spirituale, nella ricerca
della santità, vissuta però nella quotidianità della vita dei cristiani
mi sembra la "mossa" vincente per i tempi di oggi. Quella comu­
nione dei cuori e dei beni, gioiello delle prime comunità cristiane
- eco degli insegnamenti di Gesù -lungo la vita della Chiesa ave­
va perso di forza, ma era stata custodita nei monasteri e nei con­
venti e in qualche comunità di laici. Ora, in quel piccolo focolare,
riesplodeva come inizio di un suo ricupero per la "massa", per il
popolo cristiano, con tutti i frutti e le conseguenze che maturaro­
no più tardi. Mi sembra di interesse sottolineare che Chiara e le
sue prime compagne avessero sin d'allora la coscienza di questò:
«Noi avevamo la mira di attuare una certa comunione dei beni ­
scrive Chiara -: questa era del massimo raggio che si poteva pen­
sare, perché non è che noi volessimo amare i poveri per i poveri,
o amare Gesù soltanto nei poveri, noi volevamo risolvere il pro­
blema sociale» 7.
Fatte queste premesse, Chiara entra nel vivo della sua pro­
posta, che già abbiamo illustrato.
Mi sembra evidente che alla base dell' economia di comunio­
ne ci sia una svolta antropologica: persone dotate di una menta­
lità nuova, impegnate nella costruzione di un mondo più unito,
più solidale e che praticano la "cultura del dono di sé", "del da­
re", in antitesi con la cultura dell'avere. La "cultura del dare"
6
Ibid, pp. 32-33.
7 CiI. in Linee guida per l'aspetto: "Comunione di beni e lavoro", Roma
1983, p. 18.
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qualifica l'uomo come un essere aperto alla comunione, al rap­
porto con l'Assoluto - Dio, con gli altri, con il creato. Individua­
lità e socialità si incontrano nel dono di sé, del proprio essere e
nella circolazione dei beni materiali necessari allo sviluppo e alla
crescita di tutti.
Non ogni tipo di "dare" dunque porta alla cultura del dare.
C'è un "dare" che è contaminato dalla voglia di potere
sull'altro, che cerca il dominio e addirittura l'oppressione dei sin­
goli e dei popoli. È un "dare" solo in apparenza.
C'è un "dare" che cerca soddisfazione e compiacimento
nell'atto stesso di dare. In fondo è espressione egoistica di sé e, in
genere, viene percepito da chi riceve come un'umiliazione, un' of­
fesa.
C'è anche un "dare" utilitaristico, interessato, presente in
certe tendenze attuali del neo-liberalismo, che, in fondo, cerca il
proprio tornaconto, il proprio profitto.
Anche questo" dare" non crea certo una mentalità nuova.
C'è infine il "dare" che noi cristiani chiamiamo evangelico.
Questo "dare" si apre all'altro - singolo o popolo - e lo cerca nel
rispetto della sua dignità, che include usi, costumi, cultura, tradi­
zioni, ecc. È l'espressione, dunque, del nostro essere più profondo.
Perciò donarsi e dare costituiscono un unico movimento
della cultura del dare.
Porre l'uomo al centro dell'economia richiede un tipo di uo­
mo che sia capace di creare strutture economiche a servizio
dell'uomo, per l'uomo, per soddisfare i suoi bisogni, per la sua
crescita.
In fondo, l'economia di comunione di fatto può realizzare i
tre obiettivi dichiarati dal Vertice di Copenaghen: attacco alla po­
vertà, costruire solidarietà, creare opportunità di occupazione.
Un'ultima annotazione diun certo rilievo.
L'economia di comunione nasce "mondiale". Mette in colla­
borazione aziende di nazioni diverse, addirittura di continenti di­
versi.
Nonostante sia ancora un piccolo seme - seme però vivo e
vitale - comincia a interessare non solo tanti che hanno trovato in
essa una possibilità concreta di vivere la propria socialità, ma an­
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che gli esperti e tanti giovani che hanno cominciato a indirizzare i
loro studi verso l'approfondimento del progetto.
Ci sono già, in ogni parte del mondo, tesi di laurea e di dot­
torato che approfondiscono aspetti diversi dell'economia di co­
munione. E molte altre sono in cantiere.
VERAARAU]O