ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

Transcript

ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE DEL LAZIO - ROMA
RICORRE
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (C.F.
= 09758941000), con sede in Roma, Piazza della Repubblica, n. 59, in persona
del Presidente e legale rappresentante p.t. Dr. Claudio Siciliotti, giusta delega a
margine del presente atto rappresentato e difeso dall’Avv. prof. Andrea Maria
Azzaro, presso il cui Studio in Roma, Via Valadier n. 44 è elettivamente
domiciliato – fax 06.32502247
CONTRO
- il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t. e
- il Ministero per le politiche europee, in persona del Ministro p.t.
per ottenere
l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione e previa ordinanza con la
quale –ai sensi dell’art. 23, comma 2, della L. n. 87/1953- siano dichiarate
rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate con il presente ricorso:
- del Decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per le
politiche europee del 28.4.2008 (pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 122 del
26.5.2008), avente ad oggetto i “requisiti per l’individuazione e l’annotazione
degli enti di cui all’art. 26 del Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206,
nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni
regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi
non intellettuali e delle professioni non regolamentate. Procedimento per la
valutazione delle istanze e per l’annotazione nell’elenco. Procedimento per la
revisione e gestione dell’elenco.” (doc. n. 1),
- di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi.
FATTO
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (di
seguito per brevità C.N.D.C.E.C.) rappresenta istituzionalmente tutti gli iscritti
agli Ordini dei dottori commercialisti ed esperti contabili, svolgendo -ai sensi
dell’art. 29 del D. Lgs.vo. 28.6.2005, n. 139- numerose attività, tra cui le seguenti:
promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti,
formula pareri sui progetti di legge e di regolamento che interessano la
1
professione, esercita la potestà regolamentare in materia, fra l’altro, di verifica e
vigilanza della sussistenza dei requisiti per l’iscrizione, di attestazione della
qualificazione professionale, ecc.
Il C.N.D.C.E.C., per statuto, è quindi organo di rappresentanza istituzionale,
sul piano nazionale, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ed è
quindi legittimato alla tutela, con ogni mezzo legittimo, ed in particolare con
ricorso allo strumento giudiziario, degli interessi di categoria, nei confronti sia dei
soggetti pubblici, sia di quelli privati..
Ciò stante, l’art. 6, comma 3, del predetto D. Lgs.vo. n. 139/2005 dispone che
il C.N.D.C.E.C. –al pari degli Ordini territoriali- è un ente pubblico non
economico, determina la sua organizzazione con appositi regolamenti nel rispetto
delle disposizioni di legge (e dello stesso D. Lgs.vo.) ed è soggetto alla vigilanza
del Ministero della giustizia.
1. – LA DIRETTIVA 2005/36/CE
I dottori commercialisti e gli esperti contabili sono tra i destinatari della
Direttiva 2005/36/CE, di seguito per brevità anche “la Direttiva” (doc. n. 2) che,
in relazione al “riconoscimento delle qualifiche professionali”, segue altre
direttive, specifiche e generali in materia (cfr. in particolare la Direttiva 99/42/CE
attuata con il D. L.lgs.vo 20.9.2002, n. 229) e “fissa le regole con cui uno Stato
membro –cd. ospitante-, che sul proprio territorio subordina l’accesso a una
professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche
professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le
qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri -cd. di origine- e che
permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione” (art.
1).
1.1 - A tal fine la Direttiva opera una preliminare distinzione tra il caso in cui
l’attività svolta abbia carattere temporaneo e occasionale (Titolo II – “Libera
prestazione di servizi”) e l’ipotesi, che qui interessa, in cui il professionista
dello stato membro di origine voglia stabilire l’attività nello stato membro
ospitante (Titolo III – “Libertà di stabilimento”).
Per questo secondo caso si individua poi un “Regime generale di
riconoscimento di titoli di formazione” (Capo I), che qui interessa e non si applica
alle diverse ipotesi del “Riconoscimento dell’esperienza professionale” (Capo II,
che riguarda il caso in cui in uno Stato membro l’accesso ad una delle attività
2
indicate nell’Allegato IV alla Direttiva sia subordinato al possesso di conoscenza
e competenze generali, commerciali o professionali) e del “Riconoscimento in
base al coordinamento delle condizioni minime di formazione” (Capo III, che
riguarda il riconoscimento automatico in base a requisiti minimi di determinate,
specifiche professioni, sulla base di direttive comunitarie ad hoc).
1.2 - Fissata la propria finalità, la Direttiva fornisce poi la nozione di
“Professione regolamentata”, che è vincolante ancor prima del recepimento
della direttiva nell’ordinamento in quanto norma di applicabilità diretta
(considerato il suo contenuto), e quindi a decorrere dalla data di “scadenza” per il
recepimento (20 ottobre 2007, art. 63; la direttiva è peraltro in vigore, ex art. 64,
dal 20 ottobre 2005):
(art. 3, Par. 1, lett. a) “Professione regolamentata: attività o insieme di attività
professionali l’accesso alle quali e il suo esercizio o una delle modalità di
esercizio sono subordinati direttamente o indirettamente in forza di norme
legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche
professionali; in particolare costituisce una modalità di esercizio l’impiego di un
titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale. Quando non
si applica la prima frase, è assimilata ad una professione regolamentata una
professione di cui al paragrafo 2 (…)”
Entro detti limiti il Paragrafo 2 dispone quanto segue:
(art. 3, Par. 2, 1° cpv.) «E’ assimilata a una professione regolamentata una
professione esercitata dai membri di un’associazione o di un organismo di cui
all’allegato I”, Associazioni i cui iscritti possono richiedere di essere ammessi a
esercitare una professione regolamentata presso uno Stato membro. L’allegato I,
rubricato “Elenco di associazioni od organizzazioni professionali che rispondono
alle condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2”, comprende l’elenco di n. 5
Associazioni Irlandesi e di n. 38 Associazioni Inglesi, fra cui sono comprese
Associazioni professionali corrispondenti in tutto o in parte all’attività dei Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
1.3 - In questo quadro – in cui si distingue tra paesi in cui l’accesso alla
professione è regolamentata dallo Stato e paesi in cui vige un sistema privatistico
di accesso regolato da associazioni private– il principio fondamentale del Regime
generale di cui al Capo I è fissato, come detto, dall’art. 1 della Direttiva, che, al
3
fine di creare le condizioni per il coordinamento fra detti sistemi diversi, si
completa a tal fine con la prevista “possibilità per lo Stato membro ospitante di
imporre misure compensatrici proporzionate, tenendo conto in particolare
dell’esperienza professionale del richiedente” (“considerando” 15), nonché con
l’opportunità, “per favorire la libera circolazione dei professionisti garantendo al
tempo stesso adeguati livelli di qualifica, … di proporre piattaforme comuni …
estese ad almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che
regolamentano le professioni” (“considerando” 16).
1.4 - Per attuare quanto sopra, la Direttiva prevede in particolare la “Dispensa
da provvedimenti di compensazione in base a piattaforme comuni” (art. 15),
definite come (Par. 1) “l’insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado
di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di
formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione (…)
differenze individuate tramite il confronto tra la durata ed i contenuti della
formazione in almeno due terzi degli Stati membri inclusi tutti gli Stati membri
che regolamentano la professione in questione (…)”.
Si precisa a tal fine, sulla base della richiamata distinzione nell’ambito
dell’art. 3, Par. 1 e 2, che (art. 15, Par. 2) “Le piattaforme comuni definite nel
paragrafo 1 possono essere sottoposte alla Commissione dagli Stati membri o da
associazioni o organismi professionali rappresentativi a livello nazionale ed
europeo (…)”, con il che appunto si torna (v. infatti anche il Considerando 16) a
distinguere riguardo ai possibili soggetti proponenti le piattaforme, tra Stati
membri in cui le Professioni sono Regolamentate – in cui a rappresentare ai fini
della creazione di Piattaforme comuni tali professioni sono appunto gli stessi Stati
membri o (art. 13, Par. 1) l’Autorità competente di tale stato membro – e Stati
membri (dei sistemi di common law) privi di una regolamentazione di tale
attività, in cui a rappresentare gli iscritti a tali professioni saranno appunto le
associazioni o Organismi di cui all’Allegato 1 (art. 3, Par. 2, 1° cpv.).
Per meglio chiarire quanto sopra, si aggiunge che (art. 15, Par. 4) “I paragrafi
da 1 a 3 non pregiudicano la competenza degli Stati membri a determinare le
qualifiche professionali richieste per l’esercizio delle professioni sul loro
territorio nonché il contenuto e l’organizzazione dei rispettivi sistemi di istruzione
e di formazione professionale”, il che ribadisce (v. anche Considerando 16) la
previsione e tutela della riserva di legge degli Stati membri a Regolamentare le
4
professioni.
2. – IL D. LGS.VO 6.11.2007, N. 206
In attuazione della Direttiva 2005/36/CE il legislatore nazionale ha emanato
dapprima la Legge delega (L. 25.1.2006, n. 29) e poi, ai sensi dell’art. 76 Cost., il
D. Lgs.vo 6.11.2007, n. 206, che “disciplina il riconoscimento, per l’accesso alle
professioni regolamentate e il loro esercizio, con esclusione di quelle il cui
svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure
occasionalmente dell’esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività
riservate alla professione notarile, delle qualifiche professionali già acquisite in
uno o più Stati membri dell’Unione europea, che permettono al titolare di tali
qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione
corrispondente”(art. 1).
2.1 - L’art. 2 fissa il perimetro di applicazione del D.Lgs. 206/2007
disponendo che le sue norme trovano applicazione nei confronti dei “cittadini
degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare sul territorio
nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi
professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali
conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine,
li abilita all’esercizio di detta professione”.
2.2 - Anche il D.Lgs. 206/07 fornisce in via preliminare, e per la prima volta
espressamente
nel
nostro
ordinamento,
una
nozione
di
“Professione
regolamentata, prevedendo [art. 4, co. 1, lett. a), nn. 1-5, del D. lgs.vo
206/2007], prevedendo che tale debba considerarsi:
1) l’attività, o l’insieme di attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di
iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da
amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di
qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità;
2) (…);
3) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è
riservato a chi possiede una qualifica professionale;
4) (…);
5) le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di
cui all’Allegato I.”
2.3 - Per regolare il sistema di riconoscimento delle Professioni
5
regolamentate, l’art. 22 di detto D.lgs.vo, nel prevedere le c.d. “misure
compensative”, dispone poi in particolare che il riconoscimento della qualifica
professionale rilasciata da uno Stato membro di origine “può essere subordinato
al compimento di un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o di una
prova attitudinale, a scelta del richiedente, in uno dei seguenti casi: a) se la
durata della formazione da lui seguita è inferiore di almeno un anno a quella
richiesta in Italia; b) se la formazione ricevuta riguarda materie sostanzialmente
diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto in Italia; c) se la
professione regolamentata include una o più attività professionali regolamentate,
mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro d’origine del
richiedente e se la differenza è caratterizzata da una formazione specifica”.
In deroga a tale principio, con evidenti finalità restrittive, il successivo comma
2 sancisce che “nei casi di cui al comma 1 per l’accesso alle professioni di
avvocato, dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente
per la proprietà industriale, consulente del lavoro, attuario e revisore contabile,
nonché per l’accesso alle professioni di maestro di sci e di guida alpina, il
riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale”.
2.4 - Infine, l’art. 26 del D. Lgs.vo si occupa della “piattaforma comune” destinata nelle intenzioni del legislatore comunitario a favorire “un più automatico
riconoscimento” delle qualifiche professionali (Cons. 16) - prevedendo al comma
1 che ”la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il
coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in
materia di piattaforme comuni, da sottoporre alla Commissione europea, convoca
apposite conferenze di servizi cui partecipano i Ministeri competenti ex art. 5.
Sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall’autorità competente ex art. 5
…
vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli
albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio
nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni
rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di attività nell’area dei
servizi non intellettuali e non regolamentate, le associazioni di categoria
rappresentative a livello nazionale”.
Il successivo comma 2 stabilisce che i medesimi enti ed associazioni devono
essere sentiti dalle autorità competenti di cui all’articolo 5 che partecipino
all’elaborazione di piattaforme comuni proposte da altri Stati membri.
6
Segue al comma 3 la previsione secondo cui “al fine della valutazione in
ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle professioni non
regolamentate si tiene conto” di alcuni criteri di cui si dirà in prosieguo, mentre il
comma 4 dispone che “le associazioni in possesso dei requisiti di cui al periodo
precedente sono individuate, previo parere del Consiglio nazionale dell’economia
e del lavoro, con decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro
per le politiche europee e del Ministro competente in materia”.
3. – IL DECRETO INTERMINISTERIALE 28 APRILE 2008.
Con Decreto del 28.4.2008 – d’ora innanzi anche solo “Decreto” - il
Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero per le politiche europee ha
ritenuto di dare attuazione all’anzidetto art. 26, D.lgs.vo 206/2007, prevedendo
espressamente nell’epigrafe (“premesse”) la “necessità di chiarire le modalità per
la individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello
nazionale delle associazioni delle professioni regolamentate, ove non siano
esistenti ordini, albi o collegi, delle professioni non regolamentate o delle attività
nell’area dei servizi non intellettuali”, nonché “la necessità di individuare le
modalità per l’adozione e la revoca del decreto di individuazione delle
associazioni rappresentative a livello nazionale, e la loro annotazione all’interno
di un elenco al fine di un’ordinata gestione delle attività conseguenti”.
L’art. 1 di detto Decreto ha, quindi, stabilito al comma 1 nei capi da a) a g) i
requisiti il cui possesso è necessario per l’inserimento nell’elenco, tenuto dal
Ministero della giustizia, “delle associazioni rappresentative a livello nazionale
delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi,
nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate”.
Il successivo comma 2 dell’art. 1 ha introdotto una serie di criteri temporali di
possesso dei requisiti previsti dal 1° comma, mentre i successivi artt. 2-4
definiscono il procedimento per la valutazione delle istanze e per l’annotazione
nell’elenco nonché il procedimento per la revisione e gestione dell’elenco.
Tale Decreto interministeriale, che per mero errore materiale indica come data
di emissione del Decreto Legislativo n. 206/2007 il 9 e non il 6.11.2007- è stato
registrato alla Corte dei Conti il 15.5.2008 (Ministeri istituzionali – Giustizia,
registro n. 5, foglio n. 192) e pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 122 del
26.5.2008.
Il D. Lgs.vo 6.11.2007, n. 206 appare costituzionalmente illegittimo, in quanto
7
in contrasto con alcune norme costituzionali e con la Direttiva 2005/36/CE.
Tali vizi (in quanto provvedimento emanato in attuazione del suddetto D.
Lgs.vo) –ed altri suoi propri- inficiano ovviamente anche il D.M. 28.4.2008, che è
lesivo per i Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, sicchè il C.N.D.C.E.C.
–nella predetta qualità di organo che li rappresenta istituzionalmente- ne chiede
l’annullamento e/o la revoca per i seguenti motivi di
DIRITTO
PRIMO MEZZO
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 26 DEL D.
LGS.VO.
N.
206/2007.
VALUTAZIONE
DEI
ECCESSO
DI
PRESUPPOSTI
POTERE
E
PER
PER
ERRATA
MANIFESTA
ILLOGICITA’.
Nella sostanza, come facilmente si evidenzierà nel prosieguo, il Decreto,
che per la sua natura di atto amministrativo deve dettare norme nel rispetto delle
norme primarie ed entro il perimetro da queste ultime fissato perché il
provvedimento eventualmente le integri, contiene previsioni che (i) integrano in
assenza di qualsivoglia base normativa il disposto del D. Lgs. 206/2007,
stravolgendone il sistema ovvero (ii) dettano disposizioni in contrasto con le
disposizioni che derivano dal combinato disposto del D. Lgs. 206/2007 e di norme
costituzionali immediatamente precettive.
A. L’art. 1, co. 1, lett. a) del D.M. 28 aprile 2008 prevede che “Gli enti di
cui all’art. 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, sono inseriti, a
domanda, nell’elenco tenuto dal Ministero della giustizia quando sono
rappresentativi a livello nazionale in base al possesso dei seguenti requisiti: a)
che l’attività sia svolta in relazione alle professioni regolamentate definite ai
sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n.
206, e per le quali non siano istituti ordini, albi o collegi o che l’attività sia svolta
nell’area dei servizi non intellettuali o in relazione a professioni non
regolamentate, che pertanto non rientrano tra quelle di cui all’art. 4, comma 1,
lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (…)”.
L’art. 26, c. 3, D. Lgs. 206/2007, nel fissare i criteri e le condizioni di cui
tenere conto “al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello
nazionale delle professioni non regolamentate” non contempla affatto quella di
cui dall’art. 1, c. 1, lett. a) del Decreto, appena riportato interamente. In tal modo
8
il Decreto inserisce una previsione normativa che, stravolgendo i contenuti della
norma primaria, non trova alcun fondamento nel D.Lgs. 206/2007 e nella
Direttiva 2005/36/CE.
Nella sostanza il Decreto introduce un criterio sconosciuto alla norma primaria
ed alla Direttiva. Evidente la violazione di legge.
Inoltre, mentre l’art. 26, co. 3, D.lgs.vo 206/2007 individua i criteri per “la
valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale” delle sole
professioni non regolamentate – tanto che il successivo comma 4 nel prevedere il
decreto ministeriale in questione ne circoscrive la portata alla individuazione delle
“associazioni in possesso dei requisiti di cui al periodo precedente”, che fa
appunto riferimento alle sole Professioni non regolamentate -, l’art. 1, co. 1, lett. a
del D.M. 28 aprile 2008, innovando a tale disposizione, li estende arbitrariamente
anche alle Professioni regolamentate per cui non esistano ordini, albi o collegi,
non solo innovando – il che è inammissibile perché, come noto, il D.M. quale atto
amministrativo deve attuare e integrare la legge, ma non può innovarla - ma
altresì violando il combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 4, D. lgs.,
206/2007.
Tale nuova disposizione integra altresì la violazione della norma direttamente
precettiva posta dall’art. 33, co. 5, Cost., nella parte in cui prevede una riserva di
legge a favore del legislatore ordinario per la determinazione dei criteri di accesso
all’abilitazione professionale (cfr. Corte Cost. 22.10.1980, n. 174, cit.).
B. L’art. 1, co. 1, lett. c, n. 5 del D.M. impugnato sancisce che lo Statuto
delle Associazioni relative a Professioni regolamentate per cui manchino Albi,
Ordini e Collegi debba prevedere per gli associati il “conseguimento di un titolo
professionale nello svolgimento dell’attività” e, addirittura, che in alternativa
(“o”) sia stata comunque “conseguita una scolarizzazione adeguata rispetto alle
attività professionali oggetto dell’associazione”.
Anche questa previsione modifica in senso sostanziale la disciplina di
rango primario, in quanto: i) aggiunge un criterio a quelli indicati dall’art. 26, c. 3,
D.Lgs. 206/2007 per valutare la rappresentatività a livello nazionale delle
professioni non regolamentate; e ii), addirittura lo estende anche alle professioni
regolamentate.
Questa norma è dunque illegittima per le seguenti ragioni:
- introduce un criterio nuovo, ossia non previsto dall’art. 26 del D. Lgs.vo.
9
n. 206/2007 e quindi inammissibile perché, come noto, il D.M. quale atto
amministrativo deve attuare e integrare la legge, ma non può innovarla;
- violando la normativa di rango primario, consente l’accesso
all’abilitazione professionale di una professione regolamentata in assenza di un
accesso regolato ex lege e con ciò viola anche l’art. 33 Cost., che è una norma
direttamente precettiva, ammettendo un sistema di accesso accreditatorio alla
professione, tipico dei paesi membri di common law, incompatibile con il nostro
ordinamento.
Evidente, quindi, anche sotto questi profili l’illegittimità del Decreto.
C.- Il D.M. 28 aprile 2008 è altresì illegittimo e deve essere annullato in
quanto, anche in questo caso innovando arbitrariamente il D.lgs.vo 206/2007,
introduce con l’art. 1, co. 2, limiti temporali al possesso dei criteri da valutare in
ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle associazioni rappresentative
delle professioni non regolamentate, in contrasto con quanto previsto dall’art. 26,
co. 3, lett. a, D. lgs.vo 206/2007, che si limita a indicare in un periodo di almeno 4
anni il limite per la “avvenuta costituzione (dell’associazione) per atto pubblico o
per scrittura privata autenticata o per scrittura privata registrata presso l’ufficio
del registro”.
Inoltre il Decreto impugnato, pur richiamando in premesse nei suoi propri
termini l’art. 26, co. 1 e 2, D. lgs. 206/2007, non distingue poi (art. 1, co, 1, lett.
a), ai fini di cui trattasi, fra associazioni rappresentative a livello nazionale
(previste dall’art. 26, commi 1 e 2, D.lgs.vo 206/2007, per le attività nell’area dei
servizi intellettuali e non regolamentate) e associazioni rappresentative sul
territorio nazionale (previste dall’art. 26, commi 1 e 2, D.lgs.vo 206/2007, sia per
le professioni regolamentate sia per quelle non regolamentate in Italia), statuendo
per tutti e tre i casi che si tratti di associazioni rappresentative a livello nazionale
(art. 1, co, 1).
Anche queste previsioni sono illegittime in quanto introducono un criterio
nuovo - che oltretutto si pone in contrasto con l’art. 26 del D. Lgs. 206/2007 – e
sono quindi inammissibili perché, come noto, il D.M. deve attuare e integrare la
legge, ma non può innovarla.
SECONDO MEZZO
VIOLAZIONE DELL’ART. 17 DELLA L. 22 AGOSTO 1988 N. 400.
Come osservato, le disposizioni introdotte dal Decreto:
10
i) sono innovative rispetto alle norme primarie e prive di fondamento in esse
ii) intervengono in materie coperte dalla riserva di legge.
A nulla varrebbe, quindi, il richiamo all’art. 17 l. 400/1988, giacche nessuna
disposizione di delegificazione può intervenire in assenza di una previsione di
legge ed in materia coperta da riserva.
In ogni caso, quand’anche si volesse prescindere dall’obiezione appena
formulata, resta che il Decreto è stato adottato senza l’osservanza delle norme di
cui ai commi 3 e 4 dell’art 17, l. 400/1988.
Infatti, il D.M. impugnato (pur essendo stato sottoposto al visto ed alla
registrazione della Corte dei conti e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale) è stato
emesso senza il parere del Consiglio di Stato e senza la preventiva
comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, sicchè esso è
certamente illegittimo non avendo osservato il modello procedimentale previsto
dall’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (cfr. per tutte, Cons. Stato, IV;
12.12.2000, n. 6320).
Tale circostanza determina l’illegittimità del Decreto (cfr. per tutte, Cons.
Stato, IV; 15.2.2001, n. 735; Cass. 22.2.2000, n. 1972; Cass. S.U., 28.11.1994, n.
10124), atteso che non può dubitarsi del fatto che esso ha natura “normativo
regolamentare”, posto che appare senza dubbio idoneo ad innovare l’ordinamento
giuridico, presentando i caratteri di generalità, astrattezza e innovatività tipici di
tale tipo di atto.
In tal senso la costante giurisprudenza ha statuito in controversie analoghe che
“possono essere emanati con decreto ministeriale i regolamenti (art. 17, comma 3
e 4, Legge 23/08/1988, n. 400), i quali si distinguono dagli atti e provvedimenti
amministrativi generali -che sono espressione di una semplice potestà
amministrativa e sono rivolti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti
diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente
determinati nel provvedimento, ma determinabili- in quanto i regolamenti sono
espressione di una potestà normativa attribuita all'amministrazione, secondaria
rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici
mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente
innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i
caratteri della generalità e dell'astrattezza” (cfr., ex multis, Cass., S.U.,
28.11.1994, n. 10124; Cass. 28.6.2004, n. 11979). Tale natura regolamentare deve
11
riconoscersi dunque, con riguardo sia alla finalità sia al contenuto del decreto, a
nulla rilevando in contrario la circostanza, meramente nominalistico-formale,
della mancata attribuzione al decreto in questione della denominazione di
regolamento.
Impregiudicato il fatto che il Decreto non avrebbe potuto innovare quanto
previsto dal D. Lgs 206/2007 e stravolgerne il sistema in materia coperta dalla
riserva di legge, resta che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere adottato secondo il
modello procedimentale di cui all'art. 17 della l. n. 400 del 1988, che nella specie non ha rispettato, essendo stato emesso senza il parere del Consiglio di Stato e
senza la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. La
conseguente pronuncia di annullamento deve necessariamente spiegare effetti nei
confronti di tutte le fattispecie concrete riconducibili alla previsione della norma
caducata (Cass. 22.2.2000, n. 1972 e nello stesso senso cfr., fra le altre, Cass.
5.3.2007, n. 5062 ).
Nè pare, alla scrivente difesa, che possano sussistere dubbi riguardo:
- alla circostanza che il Decreto detta norme nuove e diverse da quelle previste
dalla Direttiva e dal D. Lgs 206/2007, ed anzi tali da sconvolgerne il sistema in
alcuni punti essenziali ed
- alla natura regolamentare del Decreto (che, peraltro, appare evidente fin già
dall’epigrafe, ove si denunzia l’intenzione di “chiarire le modalità per la
individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello
nazionale delle associazioni”, con “chiarimento” che, in realtà, si sostanzia
nell’emanazione di norme nuove, prive di fondamento nel d. Lgs. 206/2007 e
nella Direttiva 2005/36/CE ed altrettanto evidente appare per via del
procedimento seguito, sia pure solo parzialmente – com’è in conseguenza della
registrazione della Corte dei conti e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), con
conseguente palese illegittimità per violazione dell’art. 17, L. 400/1988.
TERZO MEZZO
VIOLAZIONE
2005/36/CE
E
FALSA
SOTTO
APPLICAZIONE
MOLTEPLICI
DELLA
PROFILI.
DIRETTIVA
ILLEGITTIMITA’
DERIVATA DALLA ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEL D.
LGS.VO. 6 NOVEMBRE 2007, N. 206 PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT
3, 33, 41, 76, 77 e 117 COST. MANCATA O ERRONEA APPLICAZIONE
DEI
PRINCIPI
NORMATIVI
DI
CUI
12
ALLA
NORMATIVA
COMUNITARIA E DELLO STESSO D.LGS. N. 206/07 IN ORDINE
ALL’ART. 1 DEL D.M. 28 APRILE 2008. ECCESSO DI POTERE NELLE
SUE FIGURE SINTOMATICHE.
Il Decreto è viziato, sotto molteplici profili, con riferimento a tutti e
ciascuno dei motivi indicati in epigrafe,.
A. – Il contrasto appare evidente, sotto un primo aspetto, ove si consideri che,
come visto, la Direttiva 2005/36/CE si riferisce espressamente solo alle c.d.
“professioni regolamentate” (categoria in cui rientrano, tra gli altri, anche i
Dottori commercialisti e gli esperti contabili).
Infatti, giova ribadirlo, l’art. 1 precisa testualmente che tale Direttiva “fissa le
regole con cui uno Stato membro –cd. ospitante-, che sul proprio territorio
subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al
possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla
professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più
Stati membri -cd. di origine- e che permettono al titolare di tali qualifiche di
esercitarvi la stessa professione”.
Nello stesso senso sono –ovviamente- gli artt. 2 (par. 1, 2 e 3), 3, 4, 13 e 14
(par. 1, lett. c), nonché i “considerando” 6, 11, 14 e 43, della Dir. 2005/36/CE, in
cui si specifica sempre in modo espresso che essa intende riferirsi unicamente alle
“professioni regolamentate”, che sono così definite dall’art. 3, comma 1, lett. a):
“attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio,
o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o
indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al
possesso di determinate qualifiche professionali ”.
Ne deriva che tutte le disposizioni del D. Lgs. 206/2007 – e del Decreto – che
equiparano le professioni non regolamentate alle regolamentate debbono essere
disapplicate per il contrasto con il diritto comunitario.
Infatti, la Direttiva 2005/36/CE introduce piuttosto la distinzione fra Stati
membri in cui vi è una regolamentazione dell’accesso alle professioni mediante
l’acquisizione di qualifiche professionali (art. 3, par. 1) e Stati in cui invece tale
regolamentazione non c’è. Solo in tal caso –cioè qualora non vi sia nel Paese
membro una regolamentazione normativa all’accesso ed all’esercizio delle
professioni (art. 3, par. 1, lett. a, ultima frase)– vengono “assimilate” alle
professioni
regolamentate
“le
professioni
13
esercitate
dai
membri
di
un’associazione o di un organismo di cui all’allegato I” (art. 3, par. 2), che sono
come detto 5 Associazioni irlandesi e 38 inglesi.
Il che si comprende ancora meglio osservando come l’art. 52 Direttiva
2005/36/CE prevede che “Se nello Stato membro ospitante una professione è
regolamentata da un’associazione o organizzazione ai sensi dell’art. 3, par. 2, i
cittadini degli Stati membri possono usare il titolo professionale da essa
rilasciato o la sua abbreviazione solo se possono provare di esserne membri”.
Pertanto, assimilando entro i limiti di cui all’art. 3, par. 1, ult. frase, le
Associazioni alle Professioni regolamentate, si vogliono creare le condizioni per
coordinare le qualifiche professionali nei vari Stati membri di una determinata
professione, tenuto conto della distinzione tra sistemi pubblicistici, in cui la
professione è regolamentata, e privatistici, i soli paesi di common law, in cui non
vi è una regolamentazione sancita sul piano pubblico-normativo.
Di conseguenza è illegittima -perché in contrasto con la fondamentale
esigenza propria della Direttiva 2005/36/CE di garantire uniformità di
applicazione del diritto comunitario nell'insieme degli Stati membri- la scelta del
legislatore nazionale di consentire anche ai rappresentanti delle “professioni non
regolamentate” di partecipare alla elaborazione di “proposte in materia di
piattaforme comuni (…) da sottoporre alla Commissione europea”.
B. La sostanziale identificazione –contenuta nel D.M. impugnato (art. 1) e
nel D. Lgs.vo n. 206/2007 (art. 4, co. 1) - tra le “Associazioni o organismi di cui
all’Allegato I” (che in tali norme trovano un implicito, ma evidente
riconoscimento) e le “professioni regolamentate” viola anche l’art. 3, par. 1,
ultima frase, e par. 2, comma 1 della Direttiva 2005/36/CE, che consente questa
assimilazione solo nel caso in cui, mancando nello Stato membro un apparato
regolamentare di accesso alla professione, al fine di favorire il coordinamento
delle qualifiche professionali in attuazione del principio di libertà di stabilimento,
“assimila” alla professione regolamentata la “professione esercitata dai membri di
un’associazione o di un’organizzazione di cui all’allegato I”, che a sua volta
elenca 5 associazioni o organizzazioni professionali dell’Irlanda e 38 del Regno
Unito, Paesi nei quali –come noto- non esistono le “professioni regolamentate”.
Infatti, come si è accennato, il sistema anglossassone -a differenza di quello
italiano di natura autorizzatoria in quanto basato su titoli ed esami con gestione
affidata ad enti pubblici (ordini)- è un sistema accreditatorio basato sulla semplice
14
adesione ad associazioni di diritto privato, che la stessa Direttiva prevede “hanno
lo scopo di promuovere e mantenere un livello elevato nel settore professionale in
questione e a tal fine sono oggetto di un riconoscimento specifico da parte di uno
Stato membro e rilasciano ai loro membri un titolo di formazione, esigono il
rispetto delle regole di condotta professionale da esse prescritte e conferiscono il
diritto di usare un titolo o di beneficiare di uno status corrispondente a tale titolo
di formazione”.
Che le Associazioni o organismi di cui parla in tal senso la Direttiva siano solo
e soltanto quelle di cui all’Allegato I è chiarito senza alcun dubbio interpretativo,
dalla “Guida per il recepimento della direttiva comunitaria (Transpositon Guide
del 10 marzo 2006 - MARKT D/3412/2006/EN, p. 21) elaborata dalla
Commissione europea. Questo documento, che offre alcuni commenti alle
disposizioni
della
direttiva
sulle
professioni
regolamentate,
chiarisce,
letteralmente, che la lista delle associazioni e delle organizzazioni indicate
all’Allegato I deve essere considerata come esaustiva.
Di conseguenza il fondamentale spartiacque tra “professioni regolamentate” e
“non regolamentate” deve ravvisarsi nelle differenti modalità di accesso alla
professione: nel nostro ordinamento, le modalità di accesso alle “professioni
regolamentate” sono definite per legge ordinaria (art. 33 Cost.; art. 117, co. 1,
Cost.) come previsto e consentito dalla stessa Direttiva 2005/36/CE (cfr. spec.
Cons. 11 e 16, art. 3, Par. 1, art. 15, par. 4), mentre per le professioni di cui sono
rappresentative le Associazioni e gli Organismi di cui al predetto art. 3, par. 2,
Direttiva, le modalità di accesso sono stabilite da queste stesse Associazioni o
organismi (art. 52, Dir. 2005/36/CE), secondo un sistema privatistico che
sfugge per definizione ad ogni regolamentazione e controllo pubblico. In
questo secondo caso, tali associazioni sono rappresentative solo perché quei due
Stati membri sono privi di una regolamentazione delle professioni e quindi in essi
non esistono gli Ordini professionali, che viceversa in Italia sono i soli –per leggead avere la rappresentanza dei professionisti.
Ciò stante, ben si comprende l’illegittimità del Decreto impugnato, atteso che,
appunto, nel nostro ordinamento giuridico tali compiti sono istituzionalmente
riservati agli Ordini professionali (per i Dottori commercialisti e per gli esperti
contabili v. D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139) –in virtù di norme che sono diretta
conseguenza del principio di cui all’art. 33, comma 5, Cost.- e quindi ad essi non
15
possono essere equiparate le Associazioni di diritto privato, che non sono
riconosciute a tal fine siccome inidonee a soddisfare l’inderogabile esigenza che
l’accesso all’abilitazione professionale sia regolata per legge (Cons. 11 e 16 e art.
15, Par. 4, Direttiva, nonché artt. 33 e 41 Cost.) sia a garanzia degli iscritti
all’Ordine, che solo a seguito di Esame di stato possono utilizzare e far valere
nei confronti del pubblico un dato Titolo professionale -e quindi di tutti gli
iscritti al CNDCEC-, sia a garanzia dell’affidamento della collettività sulla
qualità e specificità della formazione professionale (cfr., fra le altre, Corte
Cost. 3.11.05, n. 405, cit. infra).
Ciò che del resto si ricava, ancora dalla Direttiva ove, al 6° considerando, si
afferma che “l'agevolazione della prestazione di servizi deve essere garantita nel
contesto della stretta osservanza della salute e della sicurezza pubblica
nonché della tutela dei consumatori” (grassetto aggiunto).
Ne consegue che il preteso allargamento delle piattaforme ad Associazioni
privatistiche riguardo ad attività inerenti, seppure non in via esclusiva, Professioni
regolamentate, si pone in contrasto con la Direttiva 2005/36/CE nonché con la
riserva di legge prevista, per l’accesso all’abilitazione professionale, a favore
dello Stato dalla Costituzione (art. 33) e lede gli interessi degli iscritti all’Ordine
dei Dottori commercialisti ed esperti contabili oltre che della stessa collettività.
C.- La definizione di “professione regolamentata” contenuta nell’art. 4 del
D. Lgs.vo. n. 206/2007 -secondo cui tale deve ritenersi; (1) art. 4, co. 1, lett. a), n.
1, l’attività, o l’insieme di attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di
iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da
amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di
qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; (2)
art. 4, co. 1, lett. a), n. 3, (…) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo
professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale; e
(3) art. 4, co. 1, lett. a). n. 5, (…) le professioni esercitate dai membri di
un’associazione o di un organismo di cui all’Allegato I – si pone in contrasto con
quella, individuata dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 3 della Direttiva, di
professione il cui accesso (e conseguente esercizio) è subordinato ad una
regolamentazione di acquisizione delle qualifiche professionali, che nel nostro
ordinamento dipende dal principio di abilitazione professionale a seguito del
superamento di un Esame di Stato (come previsto dall’art. 33 Cost.)
16
Infatti, la direttiva prevede (art. 3, par. 1, lett. a) che l’accesso e l’esercizio di
dette attività sia subordinato al possesso di determinate qualifiche professionali,
che ai sensi della successiva lett. b dello stesso par. 1 sono quelle “attestate da un
titolo di formazione rilasciato da un’autorità di uno Stato membro” a seguito di
un particolare percorso formativo –comprensivo, per l’appunto, del superamento
di un esame di Stato- previsto dalle disposizioni di tale Stato membro.
Occorre ricordare che l’art. 1, Par. 1, lett. a), della direttiva 2005/36/CE, dopo
aver dato la definizione di “Professione regolamentata” come “attività o insieme
di attività professionali l’accesso alle quali e il suo esercizio o una delle modalità
di esercizio sono subordinati direttamente o indirettamente in forza di norme
legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche
professionali”, precisa che “Quando non si applica la prima frase, è assimilata
ad una professione regolamentata una professione di cui al paragrafo 2 (…)”,
intendendo dire che solo in tal caso –cioè qualora non vi sia nel paese membro
una regolamentazione all’accesso delle professioni – vengono “assimilate” alle
professioni
regolamentate
“le
professioni
esercitate
dai
membri
di
un’associazione o di un organismo di cui all’allegato I”.
Orbene, l’art. 4, co. 1, lett. a, del D. Lgs.vo. n. 206/2007, introducendo nella
definizione di Professione regolamentata anche le associazioni o organismi di cui
all’Allegato I, viola l’art. 3, par. 1 e 2, Dir. 2005/36/CE e restringe
illegittimamente la portata dell’art. 33 Cost., creando una situazione di disparità e
disuguaglianza sostanziale fra coloro che svolgono un’attività professionale in
forza di un titolo acquisito a seguito di un esame di Stato e coloro che svolgono la
stessa “Professione regolamentata” in assenza di alcun titolo ma solo per adesione
ad un’associazione di diritto privato.
In tal caso il D.lgs.vo n. 206/2007 viola altresì gli artt. 33, co. 5, e 41, co. 2,
Cost., consentendo surrettiziamente di ampliare la Professione regolamentata ad
associazioni professionali di diritto privato, quali quelle previste dall’allegato I,
alle quali si accede senza alcun esame di stato, determinando una minaccia alla
fede pubblica con riferimento ai limiti che l’ordinamento pone all’attività
economica a tutela dei “consumatori” clienti.
Sotto altro profilo, l’art. 4, co. 1, lett. a, del D. Lgs.vo. n. 206/2007,
introducendo nella definizione di Professione regolamentata una distinzione fra la
fattispecie di cui al n. 1 e di cui al n. 3 della norma, viola l’art. 3, co. 1, lett. a,
17
della Direttiva 2005/36/CE, che data la definizione generale di “Professione
regolamentata” precisa poi che costituisce (solo) una modalità di esercizio
l’impiego del titolo professionale, ciò che diventa, nell’art. 4, co. 1, lett. a, una
forma di Professione regolamentata al pari di quella indicata nel n. 1 della stessa
norma, in cui non si fa cenno peraltro al concetto di accesso ma solo al suo
esercizio, violando in tal modo, anche per questo, la norma comunitaria.
Ne consegue che l’art. 4, co. 1, lett. a, D.lgs.vo 206/2007 viola l’art. 3, par. 1,
lett. a, della Direttiva 2005/36/Ce sotto molteplici profili, determinando – quanto
al ricordato “spacchettamento” della norma comunitaria” - una situazione di
disuguaglianza formale, nell’ambito delle Professioni c.d. “ordinistiche”, tra
coloro che appartengono a Ordini professionali che non abbiano attività riservate
in esclusiva (es. Dottori commercialisti ed esperti contabili, ai quali da singole
disposizioni legislative sono riservate, ancorché non in esclusiva, almeno 52
attività) ai quali andrebbe riferita la definizione di cui all’art. 4, co. 1, lett. a, n. 3
del D.Lgs.vo 206/2007, e coloro che appartengono a Ordini professionali che
abbiano attività riservate in esclusiva (es. Avvocati, cui è riservata in esclusiva la
attività giudiziale), ai quali andrebbe invece riferita la definizione di cui all’art. 4,
co. 1, lett. a, n. 1 del D.Leg.vo 206/2007.
In tal senso è evidente la ricorrenza di un interesse dell’Ordine dei Dottori
commercialisti e degli esperti contabili al ricorso contro il Decreto Ministeriale
per illegittimità e invalidità dell’art. 1 e ss., sulla base dei Considerando 1, 16 e 39
e degli artt. 3, 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE, in relazione alla previsione
dell’art. 4 D. lgs. 206/2007.
Interesse quale è quello di evitare che, mediante un surrettizio impiego del
concetto di Professione regolamentata, nei casi in cui non esistono, come per i
Dottori commercialisti ed esperti contabili, attività riservate in esclusiva, possano
presentarsi domande di iscrizione all’elenco previsto dal Decreto ministeriale da
parte di Associazioni rappresentative di lavoratori autonomi che svolgono solo
una o più di tali attività. Verrebbe così surrettiziamente introdotta nel nostro
ordinamento la possibilità di introdurre Associazioni rappresentative di
professioni già altrimenti regolamentate, con la differenza che gli iscritti alle
associazioni di diritto privato potrebbero non aver sostenuto l’Esame di stato
previsto dalla legge.
La possibilità che fra le attività, non riservate, oggetto della Professione
18
regolamentata di Dottore commercialista ed esperto contabile sia prevista nel
tempo la istituzione di professioni specifiche, con conseguente diversa qualifica
professionale, Albi o Registri ad hoc, ecc., per una o più attività è consentita e può
essere ammessa nel nostro ordinamento solo ove ciò sia previsto dalla legge.
D. Il D.lgs.vo 206/2007 è altresì illegittimo nella parte in cui (art. 26, co.
1), prevede che (sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall’autorità competente di
cui all’art. 5) “vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli
ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti e, in mancanza, le associazioni
rappresentative sul territorio nazionale”, viola l’art. 15, Dir. 2005/36/CE e l’art.
33 Cost.
L’eccepita contrarietà alla Direttiva consegue al fatto che nella legge
comunitaria è sempre presente, nell’ambito degli enti rappresentativi delle
professioni, l’alternativa – coerente e conseguente alla distinzione fra Paesi
membri in cui le professioni siano positivamente regolamentate e paesi membri in
cui siano regolate semmai dalle Associazioni o organismi di cui all’Allegato I –
fra Stati membri o associazioni o organismi (art. 13 e 15, par. 2, Direttiva
2005/36/CE).
Cosicché è contrario alla lettera ed allo spirito della direttiva prevedere che vi
possano essere per le “professioni regolamentate” associazioni o organismi
rappresentativi, ancorché in mancanza di ordini, albi o elenchi, poiché come detto
le Associazioni previste dalla Direttiva sono solo quelle di cui all’Allegato I.
Quanto all’invocata illegittimità costituzionale della norma, essa deriva, di
conseguenza, dal fatto che nel nostro ordinamento non esistono professioni
regolamentate per le quali manchino ordini, albi o collegi e ciò, come detto, in
virtù del disposto del comma 5 dell’art. 33 Cost.
Basti al riguardo richiamare l’insegnamento della Corte Costituzionale, che
anche di recente ha statuito che “La Carta Costituzionale riserva allo Stato la
competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo
comma, lett. g, Cost.). La vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi
risponde infatti all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui
unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di
accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui
affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso
19
e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino
ad iscriversi a garanzia del corretto esercizio della professione a tutela
dell’affidamento della collettività” (Corte Cost. 3 novembre 2005, n. 405; CONF.
Cass. Sez. III, 5 settembre 2006, n. 19066).
Quanto precede dimostra dunque l’illegittimità, sotto i profili indicati, della
possibilità che alle Piattaforme comuni siano ammesse associazioni di diritto
privato, sprovviste per loro natura delle funzioni di garanzia richieste dalla legge.
In tal senso sussiste com’è evidente un preciso interesse dell’Ordine dei
Dottori commercialisti e degli esperti contabili - costituito a norma dell’art. 2 L.
24 febbraio 2005, n. 34, dal D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139 - al ricorso contro il
Decreto per illegittimità e invalidità dell’art. 1 e ss., per contrasto con i
Considerando 1, 16 e 39 e dall’art. 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE, in
relazione alla previsione dell’art. 4, comma 1, lett. a), n. 3, e 26 D. lgs. 206/2007.
Un tale interesse consiste nel partecipare, mediante pareri, in via esclusiva con
esclusione quindi di Associazioni di diritto privato non riconosciute a tal fine dal
nostro ordinamento giuridico che riserva tali compiti istituzionali agli Ordini
professionali, alla proposizione di Piattaforme comuni, in modo tale da consentire
ai propri iscritti di stabilirsi presso altri paesi membri alle migliori condizioni
possibili, e di poter determinare le condizioni di riconoscimento delle Qualifiche
professionali degli altri paesi membri, a tutela dei propri iscritti – posto il regime
di concorrenza professionale fra i professionisti che operano nello stesso mercato
rilevante – ed anche degli utenti finali, che possono e debbono distinguere i Titoli
e le Qualifiche professionali dei lavoratori autonomi che offrano loro una
prestazione.
In tal senso è innegabile che mediante la norma in materia di Piattaforme
comuni il D. Lgs.vo. n. 206/2007 ha voluto produrre il superamento di fatto del
sistema di accesso mediante esame di stato alle “professioni regolamentate”,
laddove introduce surrettiziamente nel nostro ordinamento un sistema
“duale”, pubblico – privato, di accesso alle professioni, in violazione dell’art.
33 Cost., determinando altresì - nell’ambito dei lavoratori autonomi che svolgono
determinate attività proprie, seppure non in via esclusiva, di una “professione
regolamentata”- una disparità di trattamento fra coloro che hanno sostenuto un
esame di Stato (e possono quindi “spendere” il relativo titolo professionale) e
coloro che non hanno sostenuto l’esame di Stato.
20
SULLA INCOSTITUZIONALITÀ DELLE NORME DI CUI ALL’ART. 26
DEL
D.
LGS.
206/2007.
ISTANZA
DI
RINVIO
ALLA
CORTE
COSTITUZIONALE.
Si sono già evocati profili di incostituzionalità nel corso della deduzione delle
violazioni della direttiva che importano illegittimità delle norme del D. Lgs.
206/2007 e, conseguentemente, delle previsioni del Decreto per illegittimità
derivata.
Il Decreto, quindi, risulta essere illegittimo per violazione di legge per la parte in
cui innova e deroga al D. Lgs. 206/2007, senza fondamento in esso né nella
direttiva ed in violazione – comunque – dell’art. 17 l. 400/1988 e, per altra parte,
per il contrasto con le norme della Direttiva 2005/36/CE.
L’accoglimento della prospettazione dei ricorrenti rende del tutto irrilevante la
questione di costituzionalità delle disposizioni di cui al D. Lgs. 206/2007. La
rilevanza, invece, risorgerebbe nella denegata ipotesi nella quale il Collegio
volesse respingere le doglianze relative al contrasto del Decreto con le norme
comunitarie ed interne nei termini di cui sopra.
Quanto, infatti, al contrasto con la disciplina comunitaria, questa inficia il Decreto
per via del contrasto del D. Lgs. 206/2007 con la Direttiva 2005/36/CE – e,
naturalmente, il contrasto importa la necessaria disapplicazione delle disposizioni
e decisioni in contrasto con le norme comunitarie – . Laddove, invece, si volesse
diversamente opinare, resta che le disposizioni del D. Lgs. 206/2007 si mostrano
in contrasto con le norme costituzionali sotto diversi profili ed in particolare:
1. Sul contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. Eccesso di delega.
L’art. 1 della l. 29/2006 (legge comunitaria per il 2005) delegava il Governo
all’adozione di un decreto legislativo di attuazione della Direttiva.
Nulla nella legge delega intesta il Governo del potere di integrare la disciplina
della Direttiva con norme che non siano di attuazione del disposto della Direttiva
medesima.
Ne deriva, con tutta evidenza, che tutte le parti del D. Lgs 206/2007 che
integrano la Direttiva – ed in ispecie quelle relative all’equiparazione tra
professioni regolamentate e non – sono affette da eccesso di delega.
Nulla, come già osservato, vieta al legislatore di aggiungere norme interne a
quelle di derivazione comunitaria. Tuttavia, nel caso di specie:
i) il Governo era privo di delega in tal senso e
21
ii) il Decreto impugnato in parte applica una norma priva di fondamento per
assenza della delega sul punto ed in parte la integra in violazione dell’art. 97 Cost.
Basterebbe questa semplice considerazione, ma si ritiene opportuno comunque
segnalare i principali profili di eccesso di delega.
Segnatamente, il D. lgs.vo 6 novembre 2007, n. 206 è costituzionalmente
illegittimo ex art. 76 e 77 Cost. per eccesso rispetto all’oggetto della delega
conferita (art. 1, co. 1 e 3, legge 2 gennaio 2006, n. 29) e per la violazione dei
principi e criteri direttivi generali della delega legislativa, quali in specie quelli
relativi a: 1) principio direttivo secondo cui “ai fini di un migliore coordinamento
con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare
sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse (…)” (art. 1, co.
1, lett. b, legge 2 gennaio 2006, n. 29); e 2) principio direttivo secondo cui “i
decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle
direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle
direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque
intervenute fino al momento dell’esercizio della delega” (art. 1, co. 1, lett. f, legge
2 gennaio 2006, n. 29).
1.1 - La previsione di un registro pubblico in cui possono essere iscritte
associazioni di diritto privato attinenti a Professioni regolamentate (art. 26, co. 1 e
2, D.lgs. 206/2007; art. 1, D.M. 28 aprile 2008) non trova copertura nell’oggetto
della delega, tenuto conto che la Direttiva 2005/36/CE (art. 3, Par. 1 e 2) distingue
nettamente tra Paesi membri in cui sono disciplinate dallo Stato le Professioni
regolamentate e Paesi membri in cui, non essendo le Professioni regolamentate
dalla legge, vi sono associazioni o organismi di diritto privato che le regolano
come vogliono, nel quadro della finalità di coordinamento delle qualifiche
professionali per consentire la libertà di stabilimento dei professionisti, sono
chiamate a partecipare e proporre Piattaforme comuni.
1.2 - In proposito va ribadito che, così facendo, il legislatore giunge altresì al
riconoscimento nel nostro ordinamento, in contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15
della Direttiva, delle Professioni non regolamentate (cfr, art. 26, co. 1 e 2,
D.lag.vo 206/2007), con ciò ponendosi al di fuori dell’oggetto delle delega come
già evidenziato nel parere 17.10.2007 della Commissione Giustizia del Senato
(doc. n. 3), che, esaminato lo schema che poi sarebbe divenuto il testo definitivo
del D. Lgs.vo 206/2007, aveva correttamente manifestato le sue perplessità perché
22
“tale norma, conducendo di fatto al riconoscimento di professioni non
regolamentate, potrebbe configurare un eccesso di delega rispetto alla direttiva,
atteso che l’ambito di applicazione di quest’ultima è limitato alle professioni c.d.
regolamentate. Si auspica pertanto una revisione della previsione, nel senso di
limitare ai soli profili professionali già riconosciuti in Italia la partecipazione ai
tavoli delle conferenze di servizi per la definizione delle piattaforme comuni”.
1.3 - Sotto altro profilo non trova copertura nell’oggetto della delega
l’inclusione, nella definizione di Professioni regolamentate di cui all’art. 4, co. 1,
lett. a, n. 5, D.lgs.vo 206/2007, delle “associazioni di cui all’Allegato I”, che la
direttiva “assimila” ai fini delle procedure di riconoscimento, mediante misure
compensative e piattaforme comuni, ma non identifica in alcun modo con le
Professioni regolamentari.
Si aggiunga che quanto sopra è stato posto in essere dal legislatore, non solo
in spregio e violazione degli artt. 33, 41, 77 e 117, co. 1, lett. g, Cost, ma anche
senza dare attuazione a quel principio direttivo della legge delega (art. 1, co. 1,
lett. b, L. 2.1.2006, n. 29), che prevede la necessità di modificare se del caso le
leggi vigenti in materia, quali, nel caso che ci occupa e con specifico riferimento
agli interessi protetti per la Professione regolamentata dei Dottori commercialisti
e degli esperti contabili, l’art. 40, D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139, ove si statuisce
che “L’abilitazione all’esercizio della professione (di dottore commercialista ed
esperto contabile) è conseguita a seguito del superamento dell’esame di Stato,
dopo il compimento di un tirocinio di durata triennale”; nonché gli artt. 41, 42, 43
e 44 del D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139, ove sono specificamente previsti i
requisiti di ammissione a tale esame di stato, forme del tirocinio triennale
necessario per la partecipazione a d esso, le cui modalità sono indicate dai
successivi artt. 45, 46 e 47.
2. Sul contrasto con l’art. 33, comma V, Costituzione.
A mente dell’art. 33, comma V, Cost. “E’ prescritto un esame di Stato per
l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per
l’abilitazione all’esercizio professionale”.
L’art. 1 del Decreto Ministeriale impugnato, e ancor prima gli artt. 4 e 26 del
D. Lgs.vo n. 206/2007, equiparando le “professioni non regolamentate” a quelle
“regolamentate” e prevedendo che per quelle “regolamentate” possano esistere, in
mancanza di ordini, albi o collegi, associazioni o organismi di diritto privato,
23
viola chiaramente l’art. 33 Cost. anche con riferimento alla disposizione contenuta
nel “considerando” 11 della Direttiva 2005/36/CE, secondo cui “le norme
professionali (sono) giustificate dall’interesse pubblico generale” e quindi gli
Stati membri hanno un “interesse legittimo ad impedire che taluni dei loro
cittadini possano sottrarsi abusivamente all’applicazione del diritto nazionale in
materia di professioni”.
In sostanza, inopinatamente l’art. 26 del D. Lgs.vo n. 206/2007 non tiene
conto del fatto che per le “professioni regolamentate” (quali sono, per l’appunto,
come detto, il Dottore commercialista e l’esperto contabile) tutte le norme che le
regolamentano (ad es. in materia di accesso, che richiede lo svolgimento di un
tirocinio ed il superamento di un esame di Stato, in materia di formazione
professionale continua, in materia di deontologia, ecc.) rappresentano una
inderogabile tutela a favore non solo dei professionisti stessi, ma anche degli
utenti, i quali devono poter conoscere e valutare il titolo professionale del
lavoratore autonomo che offre loro una determinata attività professionale,
anche se l’esercizio di questa attività non è riservata a chi possiede quella
specifica qualifica professionale.
Questa tutela è chiaramente affermata dall’art. 33, comma 5, Cost. (che,
come noto, a tal fine prescrive un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio
delle “professioni regolamentate”) e specificamente prevista e regolata, come
appena detto, per la Professione regolamentata dei Dottori commercialisti e degli
esperti contabili, dagli art. 40, 41, 42, 43, e 44 del D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139,
ove sono specificamente previsti i requisiti di ammissione agli esami di stato,
forme e modalità del tirocinio triennale necessario per la partecipazione all’esame
di stato, le cui modalità sono indicate dai successivi artt. 45, 46 e 47.
Orbene il D.lgs 206/2007, equiparando Professioni regolamentate e non
regolamentate e prevedendo per le prime che, “in mancanza di ordini, albi o
elenchi”, anche associazioni o organismi di diritto privato possano costituire
“Professioni regolamentate” ad ogni effetto di legge, non tiene evidentemente
conto e viola le predette norme della direttiva, di legge e costituzionali, che
prescrivono che per l’abilitazione ed accesso ad una professione regolamentata e
la successiva iscrizione agli albi è obbligatorio applicare la normativa relativa, che
qui prevede che si debba sostenere un esame di Stato, a tutela di un ben preciso
interesse pubblico, essendo l’Ordine professionale in tal senso depositario di una
24
funzione di garanzia (assolta mediante specifici e continui controlli) di
particolare delicatezza e rilevanza.
Tant’è vero che gli Ordini territoriali, ai quali è affidata la tenuta degli albi,
sono anch’essi enti pubblici non economici, sul cui funzionamento a loro volta
vigilano i rispettivi Consigli Nazionali, aventi anch’essi natura pubblica, come per
l’appunto, il C.N.D.C.E.C., che, giova ribadirlo, proprio per questa ragione è
disciplinato da un apposito Decreto Legislativo, il n. 139/2005 (che all’art. 6,
comma 3, come detto, ne afferma la natura di ente pubblico non economico,
soggetto alla vigilanza del Ministero della giustizia).
Quanto sopra è stato puntualmente riconosciuto dalla costante giurisprudenza
costituzionale in materia, di cui a titolo esemplificativo si ricordano le seguenti
pronunzie:
- “La Carta Costituzionale riserva allo Stato la competenza legislativa
esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e
degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lett. g, Cost.). la vigente
normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde infatti all’esigenza di
tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede
che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi
enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la
tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in
capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi a garanzia del
corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività”
(Corte Cost. 3 novembre 2005, n. 405; CONF. Cass. Sez. III, 5 settembre 2006, n.
19066).
- “la legge riserva agli iscritti in appositi albi l'esercizio di determinate
professioni, che presuppongono una particolare capacità tecnica ed il cui
esercizio richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell'attività
professionale, sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari
delle prestazioni, una specifica idoneità (sent. n. 456 del 1993, sent. n. 29 del
1990 e sent. n. 77 del 1964). Per l'abilitazione all'esercizio professionale è
prescritto un esame di Stato (art. 33, quinto comma, Cost.), che consente di
verificare l'idoneità tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere
alla professione ottenendo l'iscrizione nell'apposito albo” (Corte Cost. 21.1.1999,
n. 5);
25
- “questa Corte ha già da tempo ritenuto che l'art. 33 Cost., quinto comma,
nel prescrivere un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale,
intende assicurare nell'interesse della collettività e dei committenti, che il
professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il
retto esercizio professionale (sent. n. 77 del 1964). Esso dunque reca in sé un
principio di professionalità specifica: richiede cioè che l'esercizio delle attività
professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente
approfondite” (Corte Cost. 26.1.1990, n. 29 e nello stesso senso cfr., fra le altre,
Corte cost. 22.10.1980, n. 174, secondo cui “l'art. 33, comma quinto, Cost.,
demanda al legislatore ordinario la determinazione dei criteri e del contenuto
dell'esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, purché venga
ragionevolmente soddisfatta l'esigenza di un accertamento preventivo, fatto con
serie garanzie, che assicuri, nell'interesse della collettività e dei committenti,
che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti
per il retto esercizio professionale”);
- “l'art. 33, comma quinto, Cost. afferma l'esigenza di un serio ed oggettivo
accertamento dell'attitudine e capacità professionale” (Corte cost. 23.12.1993,
n. 456);
- “solo l'esame di Stato è in grado di garantire l’indispensabile vaglio di
specifica idoneità tecnica all'esercizio della professione” (Corte cost. 28.5.1987,
n. 202).
Pertanto, alla stregua delle considerazioni che precedono, nel caso di specie
l’incostituzionalità discende non solo dall’aver disatteso i “considerando” 11 e 16,
oltre che gli artt. 1, 2, 3, 4, 13, 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE (con
conseguente violazione dell’art. 77 e 117 Cost.), ma anche dall’aver violato gli
art. 33, co. 5, Cost., atteso che le “professioni non regolamentate”, così come le
svariate e talvolta fantomatiche associazioni o organismi di diritto privato cui ci si
associa per accedere, in assenza di un esame di stato, ad una determinata
professione, non sono idonee a soddisfare quegli inderogabili interessi pubblici
che, come detto, sono riconosciuti come preminenti e meritevoli di protezione
dalla direttiva e tutelati da tali norme.
Al
riguardo
sussiste
un
preciso
interesse
dell’Ordine
dei
Dottori
commercialisti e degli esperti contabili al ricorso contro il Decreto Ministeriale 28
aprile 2008 per illegittimità e invalidità dell’art. 1 /e ss., tenuto conto, in tal senso,
26
dei Considerando 11, ult. cap. e 12 e degli art. 4 e 13, Par. 1, della Direttiva
2005/36/CE, in relazione alla previsione degli art. 4 e 26 D. lgs. 206/2007,
interesse a che sia garantito l’accesso alla Professione Regolamentata di Dottore
commercialista ed esperto contabile mediante Esame di Stato, a tutela sia dei
propri iscritti sia degli utenti che devono poter conoscere e valutare il titolo
professionale del lavoratore autonomo che presta una data attività professionale,
sia o meno riservata a quella categoria professionale, evitando in tal modo che
“taluni dei cittadini (italiani) possano sottrarsi abusivamente dal diritto nazionale
in materia di professioni” (Cons. 11).
3. Sul contrasto con l’art. 3 Cost.
Non appare dubbio altresì il contrasto con l’art. 3 delle norme che
determinano una simile equiparazione. Il che si ha per diversi aspetti.
3.1 – il legislatore nazionale può anche dettare disposizioni difformi e nuove
rispetto a quelle contenute in Direttive comunitarie – com’è perfino banale
rammentare – e, tuttavia, ciò dovrà fare, a tacer d’altro, – in ossequio all’art. 3
Costituzione – in modo razionale e non irragionevole. Ebbene, non v’è ragione, di
alcun tipo, che possa spiegare quale razionalità – nel sistema complessivo della
disciplina costituzionale e dell’art. 33 in specie – presieda all’immotivata
equiparazione delle professioni non regolamentate alle regolamentate.
Il punto, è bene anticiparlo, è che le professioni regolamentate, per via del
controllo pubblicistico sull’accesso e la tenuta degli albi, della natura di ente
pubblico degli ordini e della disciplina pubblicistica che regola l’accesso dei
professionisti, i loro doveri professionali e le sanzioni ordinistiche cui si
espongono, assicura ai beneficiari dei loro servizi (i clienti) un controllo di natura
pubblicistica sulle attività dei professionisti. Controllo che manca, invece, ovvero
è molto ridotto nelle professioni non regolamentate, sicché l’equiparazione della
disciplina delle due diverse attività è irrazionale e lo è proprio dal punto di vista
dell’interesse pubblico, vale a dire della protezione dei clienti e consumatori delle
prestazioni fornite dai professionisti delle Professioni non regolamentate.
3.2 - Da altro punto di vista, non è difficile cogliere la disparità di
trattamento. Anche solo limitandosi ai ricorrenti, la professione di dottore
commercialista ed esperto contabile (cfr., art. 40, D. Lgs. 28 giugno 2005, n. 139),
è caratterizzata dal
fatto che “l’abilitazione all’esercizio della professione è
conseguita a seguito del superamento dell’esame di Stato, dopo il compimento di
27
un tirocinio di durata triennale”; ed ancora: gli artt. 41, 42, 43, e 44 del D. Lgs.
28 giugno 2005, n. 139, dettano i requisiti di ammissione agli esami di Stato,
forme e modalità del tirocinio triennale necessario per la partecipazione
all’esame. Il D. Lgs. 206/2007, equiparando professioni regolamentate e non
regolamentate e prevedendo per le prime che, “in mancanza di ordini, albi o
elenchi”, anche associazioni o organismi di diritto privato possano costituire
“professioni regolamentate” ad ogni effetto di legge, determina una evidente
disparità di trattamento tra professionisti con caratteristiche assai differenti (sul
punto, v. anche retro III Mezzo, punto C).
4. Sul contrasto con l’art. 41 Cost.
Come si è visto, è chiarissima la giurisprudenza costituzionale nel chiarire che
la richiesta dell’esame di Stato, al termine di un periodo di tirocinio che a sua
volta consegua all’acquisizione di titoli di studio abilitanti e dell’iscrizione in albi
tenuti da enti pubblici – che siano in grado di assicurare la permanenza dei
requisiti ed il rispetto delle norme da parte dei professionisti – sono tutte regole
poste a garanzia della collettività.
Da parte sua l’art. 41 Cost. è inequivoco nel richiedere che le attività
economiche non possano essere svolte in contrasto con l’utilità sociale.
Non serve molto ad intendere che le norme di cui si lamenta l’illegittimità
costituzionale, invece, con l’equiparare a professionisti che esercitano attività
regolamentate – e presidiate dall’insieme di regole pubblicistiche più volte
rammentate – coloro che difettano di un simile regime, - significa esporre i clienti
a falso affidamento e ad affidare le proprie questioni più delicate relative alla vita
sociale e di relazione a professionisti dei quali non sia resa certa (da esami, albi,
poteri di vigilanza dell’ordine) la professionalità. Ecco allora che la norma in
parola si pone in contrasto con la norma che vieta che l’attività economica rechi
pregiudizio all’utilità sociale.
Il principio ricordato assume rilievo anche sotto il profilo della conformità alle
norme in materia di concorrenza (art. 81 e 86 Trattato CE in particolare), poiché
l’esercizio delle libere professioni ordinistiche è, oggi, esercitato con pieno
rispetto delle norme in materia e, altrettanto, pieno riconoscimento della loro
specificità, funzione pubblica e rilevanza quanto alla tutela dell’interesse
pubblico. La situazione di equilibrio, economico e sociale esistente (conforme,
dunque, ai principi generali) potrebbe essere alterata o pregiudicata dall’attività di
28
associazioni non ordinistiche e/o non regolamentate, prive di quel riconoscimento
pubblicistico che trasformerebbe “le professioni” in un “mercato senza regole”,
estraneo ed in contrasto con i principi comunitari di coordinamento, ma anche a
quelli costituzionali della tutela dell’interesse e della fede pubblica (cfr. fra le
altre, per un caso in cui si discuteva della compatibilità comunitaria di norme
italiane, Corte di giustizia, 30.3.2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori
commercialisti, in Raccolta, p. I-2941, spec. punti 31-50).
5. Sul contrasto con l’art. 117 Cost.
Stante tutto quanto precede, l’art. 26 del D. Lgs.vo n. 206/2007 è
costituzionalmente illegittimo –ai sensi dell’art. art. 117 Cost., secondo cui la
potestà legislativa deve essere esercitata “nel rispetto della Costituzione e dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” - in tutte le parti (commi 1, 2 e 3)
in cui si riferisce alle “professioni non regolamentate”, in quanto in tal modo la
finalità della normativa comunitaria è stata completamente stravolta, avendo il
legislatore nazionale esteso anche alle “professioni non regolamentate” una
disciplina che invece doveva trovare applicazione solo per le “professioni
regolamentate”, alle quali non possono in alcun modo essere assimilate le
professioni non regolamentate.
Sotto altro profilo, la Corte Cost. ha ribadito, in relazione all’art. 117 Cost.,
l’appartenenza del potere regolamentare in materia a valori e principi
fondamentali, e di rango superiore, tali per cui, alle professioni regolamentate si
può accedere unicamente attraverso un esame di Stato e la disciplina dei titoli
che danno accesso alle professioni (nonché quella dei percorsi formativi), deve
essere considerata di esclusiva competenza statale (cfr. Corte Cost. n.
156/2006, n. 319/2005, n. 355/2005, n. 353/2003).
In relazione all’art. 117 ed al caso di specie, la Corte si è pronunciata circa
l’illegittimità della legge della Regione Toscana in materia di professioni
censurando il contenuto precettivo di quella normativa laddove prevede che i
“coordinamenti regionali” istituiti da tale legge “abbiano facoltà di organizzare
attività di formazione e aggiornamento professionale nonché di proporre iniziative
di formazione”. Essa, invero, “attribuirebbe ad un organo illegittimamente
costituito il potere di promuovere attività di formazione e di aggiornamento
per i professionisti. La previsione normativa sarebbe altresì in contrasto con
l’art 33 della Costituzione, che riserva allo Stato, mediante regolazione
29
dell’accesso all’esame di Stato, la formazione finalizzata all’accesso alle
professioni regolamentate” (Corte cost. n. 405/2005; grassetto aggiunto).
Precisa, ancora, la Corte (sentenza cit.) che “La vigente normazione riguardante
gli Ordini e i Collegi risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse
pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere
specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad
appartenenza necessaria” e cioè ordini, albi, collegi “cui affidare il compito di
curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei
requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è,
infatti, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela
dell’affidamento della collettività”
Apparendo, quindi, non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità e rilevante ai fini del decidere, nei termini già in apertura
illustrati, si insiste perché codesto eccellentissimo Collegio voglia, sospendere il
giudizio e sollevare, nei termini indicati, salvo a integrarli, la
QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
del D. Lgs. 206/2007, artt. 2, 4, 22 e 26 per contrasto con gli artt. 76, 77, 3,
33, 41 e 117 Costituzione.
SULL’ISTANZA DI SOSPENSIONE
Le considerazioni che precedono -evidenziando i numerosi vizi da cui è
inficiato il Decreto Ministeriale impugnato- appaiono idonee a dimostrare
l’esistenza del “fumus boni juris” e dei danni (molteplici e di diverso genere) che
il provvedimento stesso reca al C.N.D.C.E.C.
In particolare, limitandoci a ricordare i più significativi di questi danni, ci
permettiamo di ribadire che il Decreto impugnato ha come conseguenza che –
poiché le attività proprie dei Dottori commercialisti ed esperti contabili sono
“attività riservate” per legge ma non in esclusiva (doc. n. 4) - possano chiedere
l’iscrizione (all’elenco previsto dal Decreto stesso) Associazioni rappresentative
di lavoratori autonomi che svolgono solo una o più attività proprie della categoria
dei Dottori commercialisti ed esperti contabili.
Essi sono liberi di svolgere tali attività, ma non possono farlo con il Titolo
professionale che per legge può essere utlizzato solo da chi acceda ad una data
professione regolamentata nei modi previsti dalla legge, qui attraverso un esame
di Stato, a tutela dell’interesse pubblico, e di altri privati, di cui si è detto.
30
Nella paventata evenienza di cui si è detto, tali Associazioni – cui la legge non
assegna in tal senso alcuna funzione di garanzia riservata agli Ordini professionali
- potrebbero essere iscritte all’Elenco previsto dal Decreto e quindi essere
chiamate a partecipare a Piattaforme comuni proposte, ad es., da altri paesi
membri in cui taluna delle attività riservate ai Dottori commercialisti costituiscano
Professioni regolamentate ex se. Con la conseguenza che a rendere il parere
previsto dalla legge – con tutte le conseguenze che ne potrebbero discendere in
danno dei Dottori commercialisti ed esperti contabili, per lo stabilimento in Italia
di professionisti con qualifiche professionali non previste e regolate dalla legge e
senza alcuna garanzia di legge, oltrecchè degli utenti finali – siano Associazioni o
organismi di diritto privato cui l’art. 33 Cost. non riconosce tale funzione, che
riserva agli Enti pubblici economici a ciò normativamente preposti.
Il C.N.D.C.E.C. ed i commercialisti ed esperti contabili rappresentati
dall’odierno ricorrente, con riferimento alle proprie attività, si troverebbero di
fronte ad una illegittima concorrenza e invasione di campo e competenze da parte
delle associazioni private, a causa della possibilità, per le stesse, di ottenere
surrettiziamente una legittimazione “professionale”, svolgendo attività riservate,
seppure non in esclusiva, invece, ad un Ordine previsto e regolato dalla legge, cui
è istituzionalmente riservata l’attività di tutela e garanzia delle figure professionali
in questione.
Tale “riconoscimento professionale”, creerebbe quindi un danno
irreparabile, immediato e diretto, e non solo in termini di immagine, sia al
C.N.D.C.E.C., sia ai professionisti da esso rappresentati.
Ma v’è di più. Il D.M. impugnato ribadisce inopinatamente il principio
(affermato per la prima volta dal D. Lgs.vo. n. 206/2007) che possano esistere
professioni regolamentate prive di ordini, collegi o albi e questo principio è già di
per sé chiaramente lesivo dell’interesse pubblico sotteso all’art. 33 Cost. quale
ribadito dalla Corte Costituzionale, nonché pregiudizievole per gli Enti –come, per
l’appunto, quello ricorrente- che rappresentano istituzionalmente lavoratori che
esercitano professioni regolamentate. Ciò in quanto si tratta di un principio che
inevitabilmente finisce con il svilire in modo irreparabile il ruolo ed il prestigio
degli Ordini e dei Collegi professionali, che invece, come detto, assolvono ad una
funzione insostituibile, a tutela di un inderogabile interesse pubblico, creando sin
d’ora una situazione di confusione e squilibrio a favore delle associazioni non
31
regolamentate, con pregiudizio per gli interessi della collettività.
Sotto questi profili il danno che giustifica la presente istanza cautelare è
divenuto a maggior ragione imminente e irreparabile a seguito della presentazione
della domanda di iscrizione all’elenco previsto dal Decreto impugnato da parte di
associazioni che, eccetto una, ancora neppure si conoscono.
Al riguardo si rappresenta che con comunicazione del 22 luglio 2008 (doc.
n. 5), il Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione
generale della giustizia civile, rispondendo a raccomandata a.r., anticipata via fax,
inviata dal CNDCEC Il 24.6.2008 (doc. n. 6) – con cui il Consiglio ricorrente
chiedeva al Ministero della Giustizia, ai sensi e per gli effetti della L. n. 241/1990, se
erano state già presentate domande di iscrizione a tale elenco – informava che aveva
presentato domanda, fra gli altri – di cui però non forniva i nominativi per ragioni di
privacy-, l’Associazione L.A.P.E.T. Libera Associazione Periti ed Esperti
Tributari, alla quale pertanto il presente ricorso viene notificato in qualità di
controinteressato.
Tale associazione si prefigge l’obiettivo di essere iscritta all’Albo previsto
dal Decreto al fine di esprimere pareri in relazione alle Piattaforme proposte
dall’Italia ad altri Stati membri o da questi all’Italia con riferimento ad attività che
figurano fra quelle riservate per legge ai Dottori commercialisti ed esperti
contabili. Orbene, ove tale Associazione fosse iscritta all’Albo l’Autorità
competente ex art. 5 L. 206/2007 dovrebbe chiedere anche ad essa il parere ex art.
26, co. 1 e 2, D.Lgs. 206/2007, violando la norma che riserva tali compiti di
rappresentanza istituzionale al CNDCEC cui tale funzione, come detto, è
assegnata dalla legge a tutela di un interesse pubblico.
In virtù di quanto sopra, è senza dubbio necessario sospendere
immediatamente l’esecuzione del provvedimento impugnato, considerato che per
l’accoglimento del presente ricorso è sufficiente l’esame delle censure contenute
nei primi due motivi, ossia prescindendo dalle questioni di legittimità
costituzionale sollevate, la cui fondatezza appare comunque evidente anche
limitandosi ad un esame meramente sommario del ricorso stesso.
P.Q.M.
si chiede che codesto Ecc.mo T.A.R., ogni avversa istanza, eccezione, deduzione
disattesa, in accoglimento del presente ricorso, voglia:
a) in via preliminare sospendere l’esecuzione del provvedimento
32
impugnato e di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi;
b) annullare il provvedimento impugnato e tutti gli atti presupposti,
consequenziali o comunque connessi, previa, per quanto ritenuta necessaria,
ordinanza con la quale –ai sensi dell’art. 23, comma 2, della L. n. 87/1953- siano
dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità
costituzionale così come sollevate con il presente ricorso.
Con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alla condanna alle spese
del giudizio.
c) in via istruttoria si chiede:
- ordinare, ove ritenuto necessario, al Ministero della Giustizia, in persona del
Ministro p.t. ed al Ministero per le politiche europee, in persona del Ministro p.t.,
o a chi altri ritenuto necessario, il deposito di tutta la documentazione che ha
preceduto l’emanazione del provvedimento impugnato (es. lavori preparatori).
- acquisire i seguenti documenti depositati unitamente al presente ricorso:
1.- Decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per
le politiche europee del 28.4.2008 (provvedimento impugnato);
2.- Direttiva 2005/36/CE;
3.- parere della Commissione Giustizia del Senato del 17.10.2007;
4.- attività riservate per legge ai Dottori commercialisti e esperti contabili;
5.- comunicazione al CNDCEC del Ministero della Giustizia, Dipartimento
per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia civile;
6.- richiesta ex L. n. 241/1990 inviata dal ricorrente con raccomandata a.r.
del 24.6.2008.
Ai fini della normativa sul contributo unificato si dichiara che il valore della
presente controversia è indeterminabile.
Roma, 23 Luglio 2008
Avv. prof. Andrea Maria Azzaro
33
Relazione di notifica
Ad istanza del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili,
come sopra difeso e rappresentato, domiciliato ai fini del giudizio dinanzi al TAR Lazio
presso lo studio dell’Avv. prof. Andrea Maria Azzaro, in Roma, Via Valadier 44, io
sottoscritto Ufficiale Giudiziario addetto all’ufficio unico notificazioni presso la Corte
d’Appello di Roma, ho notificato copia del suesteso ricorso al
Ministero della giustizia, in persona del ministro pro-tempore, domiciliato ex lege
presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi 12, CAP 00186, ivi come
segue
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle
politiche comunitarie, in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliato ex
lege presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi, 12, CAP 00186, ivi
come segue
34
Ministero per le politiche europee, in persona del ministro pro tempore, domiciliato ex
lege presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi 12, CAP 00186, ivi
come segue
L.A.P.E.T. Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, con sede in Roma, Via delle Fornaci 29, CAP 00165, ivi
come segue
35
Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, in persona del
legale rappresentante pro-tempore, con sede presso il Consiglio Nazionale degli
Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, in Roma, Via Santa Maria
dell’Anima 10, CAP 00186, ivi come segue
36