ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
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ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
ECC.MO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO - ROMA RICORRE Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (C.F. = 09758941000), con sede in Roma, Piazza della Repubblica, n. 59, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t. Dr. Claudio Siciliotti, giusta delega a margine del presente atto rappresentato e difeso dall’Avv. prof. Andrea Maria Azzaro, presso il cui Studio in Roma, Via Valadier n. 44 è elettivamente domiciliato – fax 06.32502247 CONTRO - il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t. e - il Ministero per le politiche europee, in persona del Ministro p.t. per ottenere l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione e previa ordinanza con la quale –ai sensi dell’art. 23, comma 2, della L. n. 87/1953- siano dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il presente ricorso: - del Decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per le politiche europee del 28.4.2008 (pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 122 del 26.5.2008), avente ad oggetto i “requisiti per l’individuazione e l’annotazione degli enti di cui all’art. 26 del Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate. Procedimento per la valutazione delle istanze e per l’annotazione nell’elenco. Procedimento per la revisione e gestione dell’elenco.” (doc. n. 1), - di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi. FATTO Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (di seguito per brevità C.N.D.C.E.C.) rappresenta istituzionalmente tutti gli iscritti agli Ordini dei dottori commercialisti ed esperti contabili, svolgendo -ai sensi dell’art. 29 del D. Lgs.vo. 28.6.2005, n. 139- numerose attività, tra cui le seguenti: promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti, formula pareri sui progetti di legge e di regolamento che interessano la 1 professione, esercita la potestà regolamentare in materia, fra l’altro, di verifica e vigilanza della sussistenza dei requisiti per l’iscrizione, di attestazione della qualificazione professionale, ecc. Il C.N.D.C.E.C., per statuto, è quindi organo di rappresentanza istituzionale, sul piano nazionale, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ed è quindi legittimato alla tutela, con ogni mezzo legittimo, ed in particolare con ricorso allo strumento giudiziario, degli interessi di categoria, nei confronti sia dei soggetti pubblici, sia di quelli privati.. Ciò stante, l’art. 6, comma 3, del predetto D. Lgs.vo. n. 139/2005 dispone che il C.N.D.C.E.C. –al pari degli Ordini territoriali- è un ente pubblico non economico, determina la sua organizzazione con appositi regolamenti nel rispetto delle disposizioni di legge (e dello stesso D. Lgs.vo.) ed è soggetto alla vigilanza del Ministero della giustizia. 1. – LA DIRETTIVA 2005/36/CE I dottori commercialisti e gli esperti contabili sono tra i destinatari della Direttiva 2005/36/CE, di seguito per brevità anche “la Direttiva” (doc. n. 2) che, in relazione al “riconoscimento delle qualifiche professionali”, segue altre direttive, specifiche e generali in materia (cfr. in particolare la Direttiva 99/42/CE attuata con il D. L.lgs.vo 20.9.2002, n. 229) e “fissa le regole con cui uno Stato membro –cd. ospitante-, che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri -cd. di origine- e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione” (art. 1). 1.1 - A tal fine la Direttiva opera una preliminare distinzione tra il caso in cui l’attività svolta abbia carattere temporaneo e occasionale (Titolo II – “Libera prestazione di servizi”) e l’ipotesi, che qui interessa, in cui il professionista dello stato membro di origine voglia stabilire l’attività nello stato membro ospitante (Titolo III – “Libertà di stabilimento”). Per questo secondo caso si individua poi un “Regime generale di riconoscimento di titoli di formazione” (Capo I), che qui interessa e non si applica alle diverse ipotesi del “Riconoscimento dell’esperienza professionale” (Capo II, che riguarda il caso in cui in uno Stato membro l’accesso ad una delle attività 2 indicate nell’Allegato IV alla Direttiva sia subordinato al possesso di conoscenza e competenze generali, commerciali o professionali) e del “Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione” (Capo III, che riguarda il riconoscimento automatico in base a requisiti minimi di determinate, specifiche professioni, sulla base di direttive comunitarie ad hoc). 1.2 - Fissata la propria finalità, la Direttiva fornisce poi la nozione di “Professione regolamentata”, che è vincolante ancor prima del recepimento della direttiva nell’ordinamento in quanto norma di applicabilità diretta (considerato il suo contenuto), e quindi a decorrere dalla data di “scadenza” per il recepimento (20 ottobre 2007, art. 63; la direttiva è peraltro in vigore, ex art. 64, dal 20 ottobre 2005): (art. 3, Par. 1, lett. a) “Professione regolamentata: attività o insieme di attività professionali l’accesso alle quali e il suo esercizio o una delle modalità di esercizio sono subordinati direttamente o indirettamente in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali; in particolare costituisce una modalità di esercizio l’impiego di un titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale. Quando non si applica la prima frase, è assimilata ad una professione regolamentata una professione di cui al paragrafo 2 (…)” Entro detti limiti il Paragrafo 2 dispone quanto segue: (art. 3, Par. 2, 1° cpv.) «E’ assimilata a una professione regolamentata una professione esercitata dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’allegato I”, Associazioni i cui iscritti possono richiedere di essere ammessi a esercitare una professione regolamentata presso uno Stato membro. L’allegato I, rubricato “Elenco di associazioni od organizzazioni professionali che rispondono alle condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2”, comprende l’elenco di n. 5 Associazioni Irlandesi e di n. 38 Associazioni Inglesi, fra cui sono comprese Associazioni professionali corrispondenti in tutto o in parte all’attività dei Dottori commercialisti ed esperti contabili. 1.3 - In questo quadro – in cui si distingue tra paesi in cui l’accesso alla professione è regolamentata dallo Stato e paesi in cui vige un sistema privatistico di accesso regolato da associazioni private– il principio fondamentale del Regime generale di cui al Capo I è fissato, come detto, dall’art. 1 della Direttiva, che, al 3 fine di creare le condizioni per il coordinamento fra detti sistemi diversi, si completa a tal fine con la prevista “possibilità per lo Stato membro ospitante di imporre misure compensatrici proporzionate, tenendo conto in particolare dell’esperienza professionale del richiedente” (“considerando” 15), nonché con l’opportunità, “per favorire la libera circolazione dei professionisti garantendo al tempo stesso adeguati livelli di qualifica, … di proporre piattaforme comuni … estese ad almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano le professioni” (“considerando” 16). 1.4 - Per attuare quanto sopra, la Direttiva prevede in particolare la “Dispensa da provvedimenti di compensazione in base a piattaforme comuni” (art. 15), definite come (Par. 1) “l’insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione (…) differenze individuate tramite il confronto tra la durata ed i contenuti della formazione in almeno due terzi degli Stati membri inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione (…)”. Si precisa a tal fine, sulla base della richiamata distinzione nell’ambito dell’art. 3, Par. 1 e 2, che (art. 15, Par. 2) “Le piattaforme comuni definite nel paragrafo 1 possono essere sottoposte alla Commissione dagli Stati membri o da associazioni o organismi professionali rappresentativi a livello nazionale ed europeo (…)”, con il che appunto si torna (v. infatti anche il Considerando 16) a distinguere riguardo ai possibili soggetti proponenti le piattaforme, tra Stati membri in cui le Professioni sono Regolamentate – in cui a rappresentare ai fini della creazione di Piattaforme comuni tali professioni sono appunto gli stessi Stati membri o (art. 13, Par. 1) l’Autorità competente di tale stato membro – e Stati membri (dei sistemi di common law) privi di una regolamentazione di tale attività, in cui a rappresentare gli iscritti a tali professioni saranno appunto le associazioni o Organismi di cui all’Allegato 1 (art. 3, Par. 2, 1° cpv.). Per meglio chiarire quanto sopra, si aggiunge che (art. 15, Par. 4) “I paragrafi da 1 a 3 non pregiudicano la competenza degli Stati membri a determinare le qualifiche professionali richieste per l’esercizio delle professioni sul loro territorio nonché il contenuto e l’organizzazione dei rispettivi sistemi di istruzione e di formazione professionale”, il che ribadisce (v. anche Considerando 16) la previsione e tutela della riserva di legge degli Stati membri a Regolamentare le 4 professioni. 2. – IL D. LGS.VO 6.11.2007, N. 206 In attuazione della Direttiva 2005/36/CE il legislatore nazionale ha emanato dapprima la Legge delega (L. 25.1.2006, n. 29) e poi, ai sensi dell’art. 76 Cost., il D. Lgs.vo 6.11.2007, n. 206, che “disciplina il riconoscimento, per l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, con esclusione di quelle il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente dell’esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività riservate alla professione notarile, delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente”(art. 1). 2.1 - L’art. 2 fissa il perimetro di applicazione del D.Lgs. 206/2007 disponendo che le sue norme trovano applicazione nei confronti dei “cittadini degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione”. 2.2 - Anche il D.Lgs. 206/07 fornisce in via preliminare, e per la prima volta espressamente nel nostro ordinamento, una nozione di “Professione regolamentata, prevedendo [art. 4, co. 1, lett. a), nn. 1-5, del D. lgs.vo 206/2007], prevedendo che tale debba considerarsi: 1) l’attività, o l’insieme di attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; 2) (…); 3) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale; 4) (…); 5) le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’Allegato I.” 2.3 - Per regolare il sistema di riconoscimento delle Professioni 5 regolamentate, l’art. 22 di detto D.lgs.vo, nel prevedere le c.d. “misure compensative”, dispone poi in particolare che il riconoscimento della qualifica professionale rilasciata da uno Stato membro di origine “può essere subordinato al compimento di un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o di una prova attitudinale, a scelta del richiedente, in uno dei seguenti casi: a) se la durata della formazione da lui seguita è inferiore di almeno un anno a quella richiesta in Italia; b) se la formazione ricevuta riguarda materie sostanzialmente diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto in Italia; c) se la professione regolamentata include una o più attività professionali regolamentate, mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro d’origine del richiedente e se la differenza è caratterizzata da una formazione specifica”. In deroga a tale principio, con evidenti finalità restrittive, il successivo comma 2 sancisce che “nei casi di cui al comma 1 per l’accesso alle professioni di avvocato, dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente per la proprietà industriale, consulente del lavoro, attuario e revisore contabile, nonché per l’accesso alle professioni di maestro di sci e di guida alpina, il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale”. 2.4 - Infine, l’art. 26 del D. Lgs.vo si occupa della “piattaforma comune” destinata nelle intenzioni del legislatore comunitario a favorire “un più automatico riconoscimento” delle qualifiche professionali (Cons. 16) - prevedendo al comma 1 che ”la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni, da sottoporre alla Commissione europea, convoca apposite conferenze di servizi cui partecipano i Ministeri competenti ex art. 5. Sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall’autorità competente ex art. 5 … vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di attività nell’area dei servizi non intellettuali e non regolamentate, le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale”. Il successivo comma 2 stabilisce che i medesimi enti ed associazioni devono essere sentiti dalle autorità competenti di cui all’articolo 5 che partecipino all’elaborazione di piattaforme comuni proposte da altri Stati membri. 6 Segue al comma 3 la previsione secondo cui “al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle professioni non regolamentate si tiene conto” di alcuni criteri di cui si dirà in prosieguo, mentre il comma 4 dispone che “le associazioni in possesso dei requisiti di cui al periodo precedente sono individuate, previo parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, con decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro per le politiche europee e del Ministro competente in materia”. 3. – IL DECRETO INTERMINISTERIALE 28 APRILE 2008. Con Decreto del 28.4.2008 – d’ora innanzi anche solo “Decreto” - il Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero per le politiche europee ha ritenuto di dare attuazione all’anzidetto art. 26, D.lgs.vo 206/2007, prevedendo espressamente nell’epigrafe (“premesse”) la “necessità di chiarire le modalità per la individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello nazionale delle associazioni delle professioni regolamentate, ove non siano esistenti ordini, albi o collegi, delle professioni non regolamentate o delle attività nell’area dei servizi non intellettuali”, nonché “la necessità di individuare le modalità per l’adozione e la revoca del decreto di individuazione delle associazioni rappresentative a livello nazionale, e la loro annotazione all’interno di un elenco al fine di un’ordinata gestione delle attività conseguenti”. L’art. 1 di detto Decreto ha, quindi, stabilito al comma 1 nei capi da a) a g) i requisiti il cui possesso è necessario per l’inserimento nell’elenco, tenuto dal Ministero della giustizia, “delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate”. Il successivo comma 2 dell’art. 1 ha introdotto una serie di criteri temporali di possesso dei requisiti previsti dal 1° comma, mentre i successivi artt. 2-4 definiscono il procedimento per la valutazione delle istanze e per l’annotazione nell’elenco nonché il procedimento per la revisione e gestione dell’elenco. Tale Decreto interministeriale, che per mero errore materiale indica come data di emissione del Decreto Legislativo n. 206/2007 il 9 e non il 6.11.2007- è stato registrato alla Corte dei Conti il 15.5.2008 (Ministeri istituzionali – Giustizia, registro n. 5, foglio n. 192) e pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 122 del 26.5.2008. Il D. Lgs.vo 6.11.2007, n. 206 appare costituzionalmente illegittimo, in quanto 7 in contrasto con alcune norme costituzionali e con la Direttiva 2005/36/CE. Tali vizi (in quanto provvedimento emanato in attuazione del suddetto D. Lgs.vo) –ed altri suoi propri- inficiano ovviamente anche il D.M. 28.4.2008, che è lesivo per i Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, sicchè il C.N.D.C.E.C. –nella predetta qualità di organo che li rappresenta istituzionalmente- ne chiede l’annullamento e/o la revoca per i seguenti motivi di DIRITTO PRIMO MEZZO VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 26 DEL D. LGS.VO. N. 206/2007. VALUTAZIONE DEI ECCESSO DI PRESUPPOSTI POTERE E PER PER ERRATA MANIFESTA ILLOGICITA’. Nella sostanza, come facilmente si evidenzierà nel prosieguo, il Decreto, che per la sua natura di atto amministrativo deve dettare norme nel rispetto delle norme primarie ed entro il perimetro da queste ultime fissato perché il provvedimento eventualmente le integri, contiene previsioni che (i) integrano in assenza di qualsivoglia base normativa il disposto del D. Lgs. 206/2007, stravolgendone il sistema ovvero (ii) dettano disposizioni in contrasto con le disposizioni che derivano dal combinato disposto del D. Lgs. 206/2007 e di norme costituzionali immediatamente precettive. A. L’art. 1, co. 1, lett. a) del D.M. 28 aprile 2008 prevede che “Gli enti di cui all’art. 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, sono inseriti, a domanda, nell’elenco tenuto dal Ministero della giustizia quando sono rappresentativi a livello nazionale in base al possesso dei seguenti requisiti: a) che l’attività sia svolta in relazione alle professioni regolamentate definite ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, e per le quali non siano istituti ordini, albi o collegi o che l’attività sia svolta nell’area dei servizi non intellettuali o in relazione a professioni non regolamentate, che pertanto non rientrano tra quelle di cui all’art. 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (…)”. L’art. 26, c. 3, D. Lgs. 206/2007, nel fissare i criteri e le condizioni di cui tenere conto “al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle professioni non regolamentate” non contempla affatto quella di cui dall’art. 1, c. 1, lett. a) del Decreto, appena riportato interamente. In tal modo 8 il Decreto inserisce una previsione normativa che, stravolgendo i contenuti della norma primaria, non trova alcun fondamento nel D.Lgs. 206/2007 e nella Direttiva 2005/36/CE. Nella sostanza il Decreto introduce un criterio sconosciuto alla norma primaria ed alla Direttiva. Evidente la violazione di legge. Inoltre, mentre l’art. 26, co. 3, D.lgs.vo 206/2007 individua i criteri per “la valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale” delle sole professioni non regolamentate – tanto che il successivo comma 4 nel prevedere il decreto ministeriale in questione ne circoscrive la portata alla individuazione delle “associazioni in possesso dei requisiti di cui al periodo precedente”, che fa appunto riferimento alle sole Professioni non regolamentate -, l’art. 1, co. 1, lett. a del D.M. 28 aprile 2008, innovando a tale disposizione, li estende arbitrariamente anche alle Professioni regolamentate per cui non esistano ordini, albi o collegi, non solo innovando – il che è inammissibile perché, come noto, il D.M. quale atto amministrativo deve attuare e integrare la legge, ma non può innovarla - ma altresì violando il combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 4, D. lgs., 206/2007. Tale nuova disposizione integra altresì la violazione della norma direttamente precettiva posta dall’art. 33, co. 5, Cost., nella parte in cui prevede una riserva di legge a favore del legislatore ordinario per la determinazione dei criteri di accesso all’abilitazione professionale (cfr. Corte Cost. 22.10.1980, n. 174, cit.). B. L’art. 1, co. 1, lett. c, n. 5 del D.M. impugnato sancisce che lo Statuto delle Associazioni relative a Professioni regolamentate per cui manchino Albi, Ordini e Collegi debba prevedere per gli associati il “conseguimento di un titolo professionale nello svolgimento dell’attività” e, addirittura, che in alternativa (“o”) sia stata comunque “conseguita una scolarizzazione adeguata rispetto alle attività professionali oggetto dell’associazione”. Anche questa previsione modifica in senso sostanziale la disciplina di rango primario, in quanto: i) aggiunge un criterio a quelli indicati dall’art. 26, c. 3, D.Lgs. 206/2007 per valutare la rappresentatività a livello nazionale delle professioni non regolamentate; e ii), addirittura lo estende anche alle professioni regolamentate. Questa norma è dunque illegittima per le seguenti ragioni: - introduce un criterio nuovo, ossia non previsto dall’art. 26 del D. Lgs.vo. 9 n. 206/2007 e quindi inammissibile perché, come noto, il D.M. quale atto amministrativo deve attuare e integrare la legge, ma non può innovarla; - violando la normativa di rango primario, consente l’accesso all’abilitazione professionale di una professione regolamentata in assenza di un accesso regolato ex lege e con ciò viola anche l’art. 33 Cost., che è una norma direttamente precettiva, ammettendo un sistema di accesso accreditatorio alla professione, tipico dei paesi membri di common law, incompatibile con il nostro ordinamento. Evidente, quindi, anche sotto questi profili l’illegittimità del Decreto. C.- Il D.M. 28 aprile 2008 è altresì illegittimo e deve essere annullato in quanto, anche in questo caso innovando arbitrariamente il D.lgs.vo 206/2007, introduce con l’art. 1, co. 2, limiti temporali al possesso dei criteri da valutare in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate, in contrasto con quanto previsto dall’art. 26, co. 3, lett. a, D. lgs.vo 206/2007, che si limita a indicare in un periodo di almeno 4 anni il limite per la “avvenuta costituzione (dell’associazione) per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata registrata presso l’ufficio del registro”. Inoltre il Decreto impugnato, pur richiamando in premesse nei suoi propri termini l’art. 26, co. 1 e 2, D. lgs. 206/2007, non distingue poi (art. 1, co, 1, lett. a), ai fini di cui trattasi, fra associazioni rappresentative a livello nazionale (previste dall’art. 26, commi 1 e 2, D.lgs.vo 206/2007, per le attività nell’area dei servizi intellettuali e non regolamentate) e associazioni rappresentative sul territorio nazionale (previste dall’art. 26, commi 1 e 2, D.lgs.vo 206/2007, sia per le professioni regolamentate sia per quelle non regolamentate in Italia), statuendo per tutti e tre i casi che si tratti di associazioni rappresentative a livello nazionale (art. 1, co, 1). Anche queste previsioni sono illegittime in quanto introducono un criterio nuovo - che oltretutto si pone in contrasto con l’art. 26 del D. Lgs. 206/2007 – e sono quindi inammissibili perché, come noto, il D.M. deve attuare e integrare la legge, ma non può innovarla. SECONDO MEZZO VIOLAZIONE DELL’ART. 17 DELLA L. 22 AGOSTO 1988 N. 400. Come osservato, le disposizioni introdotte dal Decreto: 10 i) sono innovative rispetto alle norme primarie e prive di fondamento in esse ii) intervengono in materie coperte dalla riserva di legge. A nulla varrebbe, quindi, il richiamo all’art. 17 l. 400/1988, giacche nessuna disposizione di delegificazione può intervenire in assenza di una previsione di legge ed in materia coperta da riserva. In ogni caso, quand’anche si volesse prescindere dall’obiezione appena formulata, resta che il Decreto è stato adottato senza l’osservanza delle norme di cui ai commi 3 e 4 dell’art 17, l. 400/1988. Infatti, il D.M. impugnato (pur essendo stato sottoposto al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale) è stato emesso senza il parere del Consiglio di Stato e senza la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, sicchè esso è certamente illegittimo non avendo osservato il modello procedimentale previsto dall’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (cfr. per tutte, Cons. Stato, IV; 12.12.2000, n. 6320). Tale circostanza determina l’illegittimità del Decreto (cfr. per tutte, Cons. Stato, IV; 15.2.2001, n. 735; Cass. 22.2.2000, n. 1972; Cass. S.U., 28.11.1994, n. 10124), atteso che non può dubitarsi del fatto che esso ha natura “normativo regolamentare”, posto che appare senza dubbio idoneo ad innovare l’ordinamento giuridico, presentando i caratteri di generalità, astrattezza e innovatività tipici di tale tipo di atto. In tal senso la costante giurisprudenza ha statuito in controversie analoghe che “possono essere emanati con decreto ministeriale i regolamenti (art. 17, comma 3 e 4, Legge 23/08/1988, n. 400), i quali si distinguono dagli atti e provvedimenti amministrativi generali -che sono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili- in quanto i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all'amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell'astrattezza” (cfr., ex multis, Cass., S.U., 28.11.1994, n. 10124; Cass. 28.6.2004, n. 11979). Tale natura regolamentare deve 11 riconoscersi dunque, con riguardo sia alla finalità sia al contenuto del decreto, a nulla rilevando in contrario la circostanza, meramente nominalistico-formale, della mancata attribuzione al decreto in questione della denominazione di regolamento. Impregiudicato il fatto che il Decreto non avrebbe potuto innovare quanto previsto dal D. Lgs 206/2007 e stravolgerne il sistema in materia coperta dalla riserva di legge, resta che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere adottato secondo il modello procedimentale di cui all'art. 17 della l. n. 400 del 1988, che nella specie non ha rispettato, essendo stato emesso senza il parere del Consiglio di Stato e senza la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. La conseguente pronuncia di annullamento deve necessariamente spiegare effetti nei confronti di tutte le fattispecie concrete riconducibili alla previsione della norma caducata (Cass. 22.2.2000, n. 1972 e nello stesso senso cfr., fra le altre, Cass. 5.3.2007, n. 5062 ). Nè pare, alla scrivente difesa, che possano sussistere dubbi riguardo: - alla circostanza che il Decreto detta norme nuove e diverse da quelle previste dalla Direttiva e dal D. Lgs 206/2007, ed anzi tali da sconvolgerne il sistema in alcuni punti essenziali ed - alla natura regolamentare del Decreto (che, peraltro, appare evidente fin già dall’epigrafe, ove si denunzia l’intenzione di “chiarire le modalità per la individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello nazionale delle associazioni”, con “chiarimento” che, in realtà, si sostanzia nell’emanazione di norme nuove, prive di fondamento nel d. Lgs. 206/2007 e nella Direttiva 2005/36/CE ed altrettanto evidente appare per via del procedimento seguito, sia pure solo parzialmente – com’è in conseguenza della registrazione della Corte dei conti e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), con conseguente palese illegittimità per violazione dell’art. 17, L. 400/1988. TERZO MEZZO VIOLAZIONE 2005/36/CE E FALSA SOTTO APPLICAZIONE MOLTEPLICI DELLA PROFILI. DIRETTIVA ILLEGITTIMITA’ DERIVATA DALLA ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEL D. LGS.VO. 6 NOVEMBRE 2007, N. 206 PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT 3, 33, 41, 76, 77 e 117 COST. MANCATA O ERRONEA APPLICAZIONE DEI PRINCIPI NORMATIVI DI CUI 12 ALLA NORMATIVA COMUNITARIA E DELLO STESSO D.LGS. N. 206/07 IN ORDINE ALL’ART. 1 DEL D.M. 28 APRILE 2008. ECCESSO DI POTERE NELLE SUE FIGURE SINTOMATICHE. Il Decreto è viziato, sotto molteplici profili, con riferimento a tutti e ciascuno dei motivi indicati in epigrafe,. A. – Il contrasto appare evidente, sotto un primo aspetto, ove si consideri che, come visto, la Direttiva 2005/36/CE si riferisce espressamente solo alle c.d. “professioni regolamentate” (categoria in cui rientrano, tra gli altri, anche i Dottori commercialisti e gli esperti contabili). Infatti, giova ribadirlo, l’art. 1 precisa testualmente che tale Direttiva “fissa le regole con cui uno Stato membro –cd. ospitante-, che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri -cd. di origine- e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione”. Nello stesso senso sono –ovviamente- gli artt. 2 (par. 1, 2 e 3), 3, 4, 13 e 14 (par. 1, lett. c), nonché i “considerando” 6, 11, 14 e 43, della Dir. 2005/36/CE, in cui si specifica sempre in modo espresso che essa intende riferirsi unicamente alle “professioni regolamentate”, che sono così definite dall’art. 3, comma 1, lett. a): “attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali ”. Ne deriva che tutte le disposizioni del D. Lgs. 206/2007 – e del Decreto – che equiparano le professioni non regolamentate alle regolamentate debbono essere disapplicate per il contrasto con il diritto comunitario. Infatti, la Direttiva 2005/36/CE introduce piuttosto la distinzione fra Stati membri in cui vi è una regolamentazione dell’accesso alle professioni mediante l’acquisizione di qualifiche professionali (art. 3, par. 1) e Stati in cui invece tale regolamentazione non c’è. Solo in tal caso –cioè qualora non vi sia nel Paese membro una regolamentazione normativa all’accesso ed all’esercizio delle professioni (art. 3, par. 1, lett. a, ultima frase)– vengono “assimilate” alle professioni regolamentate “le professioni 13 esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’allegato I” (art. 3, par. 2), che sono come detto 5 Associazioni irlandesi e 38 inglesi. Il che si comprende ancora meglio osservando come l’art. 52 Direttiva 2005/36/CE prevede che “Se nello Stato membro ospitante una professione è regolamentata da un’associazione o organizzazione ai sensi dell’art. 3, par. 2, i cittadini degli Stati membri possono usare il titolo professionale da essa rilasciato o la sua abbreviazione solo se possono provare di esserne membri”. Pertanto, assimilando entro i limiti di cui all’art. 3, par. 1, ult. frase, le Associazioni alle Professioni regolamentate, si vogliono creare le condizioni per coordinare le qualifiche professionali nei vari Stati membri di una determinata professione, tenuto conto della distinzione tra sistemi pubblicistici, in cui la professione è regolamentata, e privatistici, i soli paesi di common law, in cui non vi è una regolamentazione sancita sul piano pubblico-normativo. Di conseguenza è illegittima -perché in contrasto con la fondamentale esigenza propria della Direttiva 2005/36/CE di garantire uniformità di applicazione del diritto comunitario nell'insieme degli Stati membri- la scelta del legislatore nazionale di consentire anche ai rappresentanti delle “professioni non regolamentate” di partecipare alla elaborazione di “proposte in materia di piattaforme comuni (…) da sottoporre alla Commissione europea”. B. La sostanziale identificazione –contenuta nel D.M. impugnato (art. 1) e nel D. Lgs.vo n. 206/2007 (art. 4, co. 1) - tra le “Associazioni o organismi di cui all’Allegato I” (che in tali norme trovano un implicito, ma evidente riconoscimento) e le “professioni regolamentate” viola anche l’art. 3, par. 1, ultima frase, e par. 2, comma 1 della Direttiva 2005/36/CE, che consente questa assimilazione solo nel caso in cui, mancando nello Stato membro un apparato regolamentare di accesso alla professione, al fine di favorire il coordinamento delle qualifiche professionali in attuazione del principio di libertà di stabilimento, “assimila” alla professione regolamentata la “professione esercitata dai membri di un’associazione o di un’organizzazione di cui all’allegato I”, che a sua volta elenca 5 associazioni o organizzazioni professionali dell’Irlanda e 38 del Regno Unito, Paesi nei quali –come noto- non esistono le “professioni regolamentate”. Infatti, come si è accennato, il sistema anglossassone -a differenza di quello italiano di natura autorizzatoria in quanto basato su titoli ed esami con gestione affidata ad enti pubblici (ordini)- è un sistema accreditatorio basato sulla semplice 14 adesione ad associazioni di diritto privato, che la stessa Direttiva prevede “hanno lo scopo di promuovere e mantenere un livello elevato nel settore professionale in questione e a tal fine sono oggetto di un riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e rilasciano ai loro membri un titolo di formazione, esigono il rispetto delle regole di condotta professionale da esse prescritte e conferiscono il diritto di usare un titolo o di beneficiare di uno status corrispondente a tale titolo di formazione”. Che le Associazioni o organismi di cui parla in tal senso la Direttiva siano solo e soltanto quelle di cui all’Allegato I è chiarito senza alcun dubbio interpretativo, dalla “Guida per il recepimento della direttiva comunitaria (Transpositon Guide del 10 marzo 2006 - MARKT D/3412/2006/EN, p. 21) elaborata dalla Commissione europea. Questo documento, che offre alcuni commenti alle disposizioni della direttiva sulle professioni regolamentate, chiarisce, letteralmente, che la lista delle associazioni e delle organizzazioni indicate all’Allegato I deve essere considerata come esaustiva. Di conseguenza il fondamentale spartiacque tra “professioni regolamentate” e “non regolamentate” deve ravvisarsi nelle differenti modalità di accesso alla professione: nel nostro ordinamento, le modalità di accesso alle “professioni regolamentate” sono definite per legge ordinaria (art. 33 Cost.; art. 117, co. 1, Cost.) come previsto e consentito dalla stessa Direttiva 2005/36/CE (cfr. spec. Cons. 11 e 16, art. 3, Par. 1, art. 15, par. 4), mentre per le professioni di cui sono rappresentative le Associazioni e gli Organismi di cui al predetto art. 3, par. 2, Direttiva, le modalità di accesso sono stabilite da queste stesse Associazioni o organismi (art. 52, Dir. 2005/36/CE), secondo un sistema privatistico che sfugge per definizione ad ogni regolamentazione e controllo pubblico. In questo secondo caso, tali associazioni sono rappresentative solo perché quei due Stati membri sono privi di una regolamentazione delle professioni e quindi in essi non esistono gli Ordini professionali, che viceversa in Italia sono i soli –per leggead avere la rappresentanza dei professionisti. Ciò stante, ben si comprende l’illegittimità del Decreto impugnato, atteso che, appunto, nel nostro ordinamento giuridico tali compiti sono istituzionalmente riservati agli Ordini professionali (per i Dottori commercialisti e per gli esperti contabili v. D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139) –in virtù di norme che sono diretta conseguenza del principio di cui all’art. 33, comma 5, Cost.- e quindi ad essi non 15 possono essere equiparate le Associazioni di diritto privato, che non sono riconosciute a tal fine siccome inidonee a soddisfare l’inderogabile esigenza che l’accesso all’abilitazione professionale sia regolata per legge (Cons. 11 e 16 e art. 15, Par. 4, Direttiva, nonché artt. 33 e 41 Cost.) sia a garanzia degli iscritti all’Ordine, che solo a seguito di Esame di stato possono utilizzare e far valere nei confronti del pubblico un dato Titolo professionale -e quindi di tutti gli iscritti al CNDCEC-, sia a garanzia dell’affidamento della collettività sulla qualità e specificità della formazione professionale (cfr., fra le altre, Corte Cost. 3.11.05, n. 405, cit. infra). Ciò che del resto si ricava, ancora dalla Direttiva ove, al 6° considerando, si afferma che “l'agevolazione della prestazione di servizi deve essere garantita nel contesto della stretta osservanza della salute e della sicurezza pubblica nonché della tutela dei consumatori” (grassetto aggiunto). Ne consegue che il preteso allargamento delle piattaforme ad Associazioni privatistiche riguardo ad attività inerenti, seppure non in via esclusiva, Professioni regolamentate, si pone in contrasto con la Direttiva 2005/36/CE nonché con la riserva di legge prevista, per l’accesso all’abilitazione professionale, a favore dello Stato dalla Costituzione (art. 33) e lede gli interessi degli iscritti all’Ordine dei Dottori commercialisti ed esperti contabili oltre che della stessa collettività. C.- La definizione di “professione regolamentata” contenuta nell’art. 4 del D. Lgs.vo. n. 206/2007 -secondo cui tale deve ritenersi; (1) art. 4, co. 1, lett. a), n. 1, l’attività, o l’insieme di attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; (2) art. 4, co. 1, lett. a), n. 3, (…) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale; e (3) art. 4, co. 1, lett. a). n. 5, (…) le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’Allegato I – si pone in contrasto con quella, individuata dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 3 della Direttiva, di professione il cui accesso (e conseguente esercizio) è subordinato ad una regolamentazione di acquisizione delle qualifiche professionali, che nel nostro ordinamento dipende dal principio di abilitazione professionale a seguito del superamento di un Esame di Stato (come previsto dall’art. 33 Cost.) 16 Infatti, la direttiva prevede (art. 3, par. 1, lett. a) che l’accesso e l’esercizio di dette attività sia subordinato al possesso di determinate qualifiche professionali, che ai sensi della successiva lett. b dello stesso par. 1 sono quelle “attestate da un titolo di formazione rilasciato da un’autorità di uno Stato membro” a seguito di un particolare percorso formativo –comprensivo, per l’appunto, del superamento di un esame di Stato- previsto dalle disposizioni di tale Stato membro. Occorre ricordare che l’art. 1, Par. 1, lett. a), della direttiva 2005/36/CE, dopo aver dato la definizione di “Professione regolamentata” come “attività o insieme di attività professionali l’accesso alle quali e il suo esercizio o una delle modalità di esercizio sono subordinati direttamente o indirettamente in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali”, precisa che “Quando non si applica la prima frase, è assimilata ad una professione regolamentata una professione di cui al paragrafo 2 (…)”, intendendo dire che solo in tal caso –cioè qualora non vi sia nel paese membro una regolamentazione all’accesso delle professioni – vengono “assimilate” alle professioni regolamentate “le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’allegato I”. Orbene, l’art. 4, co. 1, lett. a, del D. Lgs.vo. n. 206/2007, introducendo nella definizione di Professione regolamentata anche le associazioni o organismi di cui all’Allegato I, viola l’art. 3, par. 1 e 2, Dir. 2005/36/CE e restringe illegittimamente la portata dell’art. 33 Cost., creando una situazione di disparità e disuguaglianza sostanziale fra coloro che svolgono un’attività professionale in forza di un titolo acquisito a seguito di un esame di Stato e coloro che svolgono la stessa “Professione regolamentata” in assenza di alcun titolo ma solo per adesione ad un’associazione di diritto privato. In tal caso il D.lgs.vo n. 206/2007 viola altresì gli artt. 33, co. 5, e 41, co. 2, Cost., consentendo surrettiziamente di ampliare la Professione regolamentata ad associazioni professionali di diritto privato, quali quelle previste dall’allegato I, alle quali si accede senza alcun esame di stato, determinando una minaccia alla fede pubblica con riferimento ai limiti che l’ordinamento pone all’attività economica a tutela dei “consumatori” clienti. Sotto altro profilo, l’art. 4, co. 1, lett. a, del D. Lgs.vo. n. 206/2007, introducendo nella definizione di Professione regolamentata una distinzione fra la fattispecie di cui al n. 1 e di cui al n. 3 della norma, viola l’art. 3, co. 1, lett. a, 17 della Direttiva 2005/36/CE, che data la definizione generale di “Professione regolamentata” precisa poi che costituisce (solo) una modalità di esercizio l’impiego del titolo professionale, ciò che diventa, nell’art. 4, co. 1, lett. a, una forma di Professione regolamentata al pari di quella indicata nel n. 1 della stessa norma, in cui non si fa cenno peraltro al concetto di accesso ma solo al suo esercizio, violando in tal modo, anche per questo, la norma comunitaria. Ne consegue che l’art. 4, co. 1, lett. a, D.lgs.vo 206/2007 viola l’art. 3, par. 1, lett. a, della Direttiva 2005/36/Ce sotto molteplici profili, determinando – quanto al ricordato “spacchettamento” della norma comunitaria” - una situazione di disuguaglianza formale, nell’ambito delle Professioni c.d. “ordinistiche”, tra coloro che appartengono a Ordini professionali che non abbiano attività riservate in esclusiva (es. Dottori commercialisti ed esperti contabili, ai quali da singole disposizioni legislative sono riservate, ancorché non in esclusiva, almeno 52 attività) ai quali andrebbe riferita la definizione di cui all’art. 4, co. 1, lett. a, n. 3 del D.Lgs.vo 206/2007, e coloro che appartengono a Ordini professionali che abbiano attività riservate in esclusiva (es. Avvocati, cui è riservata in esclusiva la attività giudiziale), ai quali andrebbe invece riferita la definizione di cui all’art. 4, co. 1, lett. a, n. 1 del D.Leg.vo 206/2007. In tal senso è evidente la ricorrenza di un interesse dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili al ricorso contro il Decreto Ministeriale per illegittimità e invalidità dell’art. 1 e ss., sulla base dei Considerando 1, 16 e 39 e degli artt. 3, 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE, in relazione alla previsione dell’art. 4 D. lgs. 206/2007. Interesse quale è quello di evitare che, mediante un surrettizio impiego del concetto di Professione regolamentata, nei casi in cui non esistono, come per i Dottori commercialisti ed esperti contabili, attività riservate in esclusiva, possano presentarsi domande di iscrizione all’elenco previsto dal Decreto ministeriale da parte di Associazioni rappresentative di lavoratori autonomi che svolgono solo una o più di tali attività. Verrebbe così surrettiziamente introdotta nel nostro ordinamento la possibilità di introdurre Associazioni rappresentative di professioni già altrimenti regolamentate, con la differenza che gli iscritti alle associazioni di diritto privato potrebbero non aver sostenuto l’Esame di stato previsto dalla legge. La possibilità che fra le attività, non riservate, oggetto della Professione 18 regolamentata di Dottore commercialista ed esperto contabile sia prevista nel tempo la istituzione di professioni specifiche, con conseguente diversa qualifica professionale, Albi o Registri ad hoc, ecc., per una o più attività è consentita e può essere ammessa nel nostro ordinamento solo ove ciò sia previsto dalla legge. D. Il D.lgs.vo 206/2007 è altresì illegittimo nella parte in cui (art. 26, co. 1), prevede che (sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall’autorità competente di cui all’art. 5) “vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale”, viola l’art. 15, Dir. 2005/36/CE e l’art. 33 Cost. L’eccepita contrarietà alla Direttiva consegue al fatto che nella legge comunitaria è sempre presente, nell’ambito degli enti rappresentativi delle professioni, l’alternativa – coerente e conseguente alla distinzione fra Paesi membri in cui le professioni siano positivamente regolamentate e paesi membri in cui siano regolate semmai dalle Associazioni o organismi di cui all’Allegato I – fra Stati membri o associazioni o organismi (art. 13 e 15, par. 2, Direttiva 2005/36/CE). Cosicché è contrario alla lettera ed allo spirito della direttiva prevedere che vi possano essere per le “professioni regolamentate” associazioni o organismi rappresentativi, ancorché in mancanza di ordini, albi o elenchi, poiché come detto le Associazioni previste dalla Direttiva sono solo quelle di cui all’Allegato I. Quanto all’invocata illegittimità costituzionale della norma, essa deriva, di conseguenza, dal fatto che nel nostro ordinamento non esistono professioni regolamentate per le quali manchino ordini, albi o collegi e ciò, come detto, in virtù del disposto del comma 5 dell’art. 33 Cost. Basti al riguardo richiamare l’insegnamento della Corte Costituzionale, che anche di recente ha statuito che “La Carta Costituzionale riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lett. g, Cost.). La vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde infatti all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso 19 e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi a garanzia del corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività” (Corte Cost. 3 novembre 2005, n. 405; CONF. Cass. Sez. III, 5 settembre 2006, n. 19066). Quanto precede dimostra dunque l’illegittimità, sotto i profili indicati, della possibilità che alle Piattaforme comuni siano ammesse associazioni di diritto privato, sprovviste per loro natura delle funzioni di garanzia richieste dalla legge. In tal senso sussiste com’è evidente un preciso interesse dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili - costituito a norma dell’art. 2 L. 24 febbraio 2005, n. 34, dal D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139 - al ricorso contro il Decreto per illegittimità e invalidità dell’art. 1 e ss., per contrasto con i Considerando 1, 16 e 39 e dall’art. 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE, in relazione alla previsione dell’art. 4, comma 1, lett. a), n. 3, e 26 D. lgs. 206/2007. Un tale interesse consiste nel partecipare, mediante pareri, in via esclusiva con esclusione quindi di Associazioni di diritto privato non riconosciute a tal fine dal nostro ordinamento giuridico che riserva tali compiti istituzionali agli Ordini professionali, alla proposizione di Piattaforme comuni, in modo tale da consentire ai propri iscritti di stabilirsi presso altri paesi membri alle migliori condizioni possibili, e di poter determinare le condizioni di riconoscimento delle Qualifiche professionali degli altri paesi membri, a tutela dei propri iscritti – posto il regime di concorrenza professionale fra i professionisti che operano nello stesso mercato rilevante – ed anche degli utenti finali, che possono e debbono distinguere i Titoli e le Qualifiche professionali dei lavoratori autonomi che offrano loro una prestazione. In tal senso è innegabile che mediante la norma in materia di Piattaforme comuni il D. Lgs.vo. n. 206/2007 ha voluto produrre il superamento di fatto del sistema di accesso mediante esame di stato alle “professioni regolamentate”, laddove introduce surrettiziamente nel nostro ordinamento un sistema “duale”, pubblico – privato, di accesso alle professioni, in violazione dell’art. 33 Cost., determinando altresì - nell’ambito dei lavoratori autonomi che svolgono determinate attività proprie, seppure non in via esclusiva, di una “professione regolamentata”- una disparità di trattamento fra coloro che hanno sostenuto un esame di Stato (e possono quindi “spendere” il relativo titolo professionale) e coloro che non hanno sostenuto l’esame di Stato. 20 SULLA INCOSTITUZIONALITÀ DELLE NORME DI CUI ALL’ART. 26 DEL D. LGS. 206/2007. ISTANZA DI RINVIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE. Si sono già evocati profili di incostituzionalità nel corso della deduzione delle violazioni della direttiva che importano illegittimità delle norme del D. Lgs. 206/2007 e, conseguentemente, delle previsioni del Decreto per illegittimità derivata. Il Decreto, quindi, risulta essere illegittimo per violazione di legge per la parte in cui innova e deroga al D. Lgs. 206/2007, senza fondamento in esso né nella direttiva ed in violazione – comunque – dell’art. 17 l. 400/1988 e, per altra parte, per il contrasto con le norme della Direttiva 2005/36/CE. L’accoglimento della prospettazione dei ricorrenti rende del tutto irrilevante la questione di costituzionalità delle disposizioni di cui al D. Lgs. 206/2007. La rilevanza, invece, risorgerebbe nella denegata ipotesi nella quale il Collegio volesse respingere le doglianze relative al contrasto del Decreto con le norme comunitarie ed interne nei termini di cui sopra. Quanto, infatti, al contrasto con la disciplina comunitaria, questa inficia il Decreto per via del contrasto del D. Lgs. 206/2007 con la Direttiva 2005/36/CE – e, naturalmente, il contrasto importa la necessaria disapplicazione delle disposizioni e decisioni in contrasto con le norme comunitarie – . Laddove, invece, si volesse diversamente opinare, resta che le disposizioni del D. Lgs. 206/2007 si mostrano in contrasto con le norme costituzionali sotto diversi profili ed in particolare: 1. Sul contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. Eccesso di delega. L’art. 1 della l. 29/2006 (legge comunitaria per il 2005) delegava il Governo all’adozione di un decreto legislativo di attuazione della Direttiva. Nulla nella legge delega intesta il Governo del potere di integrare la disciplina della Direttiva con norme che non siano di attuazione del disposto della Direttiva medesima. Ne deriva, con tutta evidenza, che tutte le parti del D. Lgs 206/2007 che integrano la Direttiva – ed in ispecie quelle relative all’equiparazione tra professioni regolamentate e non – sono affette da eccesso di delega. Nulla, come già osservato, vieta al legislatore di aggiungere norme interne a quelle di derivazione comunitaria. Tuttavia, nel caso di specie: i) il Governo era privo di delega in tal senso e 21 ii) il Decreto impugnato in parte applica una norma priva di fondamento per assenza della delega sul punto ed in parte la integra in violazione dell’art. 97 Cost. Basterebbe questa semplice considerazione, ma si ritiene opportuno comunque segnalare i principali profili di eccesso di delega. Segnatamente, il D. lgs.vo 6 novembre 2007, n. 206 è costituzionalmente illegittimo ex art. 76 e 77 Cost. per eccesso rispetto all’oggetto della delega conferita (art. 1, co. 1 e 3, legge 2 gennaio 2006, n. 29) e per la violazione dei principi e criteri direttivi generali della delega legislativa, quali in specie quelli relativi a: 1) principio direttivo secondo cui “ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse (…)” (art. 1, co. 1, lett. b, legge 2 gennaio 2006, n. 29); e 2) principio direttivo secondo cui “i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega” (art. 1, co. 1, lett. f, legge 2 gennaio 2006, n. 29). 1.1 - La previsione di un registro pubblico in cui possono essere iscritte associazioni di diritto privato attinenti a Professioni regolamentate (art. 26, co. 1 e 2, D.lgs. 206/2007; art. 1, D.M. 28 aprile 2008) non trova copertura nell’oggetto della delega, tenuto conto che la Direttiva 2005/36/CE (art. 3, Par. 1 e 2) distingue nettamente tra Paesi membri in cui sono disciplinate dallo Stato le Professioni regolamentate e Paesi membri in cui, non essendo le Professioni regolamentate dalla legge, vi sono associazioni o organismi di diritto privato che le regolano come vogliono, nel quadro della finalità di coordinamento delle qualifiche professionali per consentire la libertà di stabilimento dei professionisti, sono chiamate a partecipare e proporre Piattaforme comuni. 1.2 - In proposito va ribadito che, così facendo, il legislatore giunge altresì al riconoscimento nel nostro ordinamento, in contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15 della Direttiva, delle Professioni non regolamentate (cfr, art. 26, co. 1 e 2, D.lag.vo 206/2007), con ciò ponendosi al di fuori dell’oggetto delle delega come già evidenziato nel parere 17.10.2007 della Commissione Giustizia del Senato (doc. n. 3), che, esaminato lo schema che poi sarebbe divenuto il testo definitivo del D. Lgs.vo 206/2007, aveva correttamente manifestato le sue perplessità perché 22 “tale norma, conducendo di fatto al riconoscimento di professioni non regolamentate, potrebbe configurare un eccesso di delega rispetto alla direttiva, atteso che l’ambito di applicazione di quest’ultima è limitato alle professioni c.d. regolamentate. Si auspica pertanto una revisione della previsione, nel senso di limitare ai soli profili professionali già riconosciuti in Italia la partecipazione ai tavoli delle conferenze di servizi per la definizione delle piattaforme comuni”. 1.3 - Sotto altro profilo non trova copertura nell’oggetto della delega l’inclusione, nella definizione di Professioni regolamentate di cui all’art. 4, co. 1, lett. a, n. 5, D.lgs.vo 206/2007, delle “associazioni di cui all’Allegato I”, che la direttiva “assimila” ai fini delle procedure di riconoscimento, mediante misure compensative e piattaforme comuni, ma non identifica in alcun modo con le Professioni regolamentari. Si aggiunga che quanto sopra è stato posto in essere dal legislatore, non solo in spregio e violazione degli artt. 33, 41, 77 e 117, co. 1, lett. g, Cost, ma anche senza dare attuazione a quel principio direttivo della legge delega (art. 1, co. 1, lett. b, L. 2.1.2006, n. 29), che prevede la necessità di modificare se del caso le leggi vigenti in materia, quali, nel caso che ci occupa e con specifico riferimento agli interessi protetti per la Professione regolamentata dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili, l’art. 40, D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139, ove si statuisce che “L’abilitazione all’esercizio della professione (di dottore commercialista ed esperto contabile) è conseguita a seguito del superamento dell’esame di Stato, dopo il compimento di un tirocinio di durata triennale”; nonché gli artt. 41, 42, 43 e 44 del D.lgs.vo 28 giugno 2005, n. 139, ove sono specificamente previsti i requisiti di ammissione a tale esame di stato, forme del tirocinio triennale necessario per la partecipazione a d esso, le cui modalità sono indicate dai successivi artt. 45, 46 e 47. 2. Sul contrasto con l’art. 33, comma V, Costituzione. A mente dell’art. 33, comma V, Cost. “E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”. L’art. 1 del Decreto Ministeriale impugnato, e ancor prima gli artt. 4 e 26 del D. Lgs.vo n. 206/2007, equiparando le “professioni non regolamentate” a quelle “regolamentate” e prevedendo che per quelle “regolamentate” possano esistere, in mancanza di ordini, albi o collegi, associazioni o organismi di diritto privato, 23 viola chiaramente l’art. 33 Cost. anche con riferimento alla disposizione contenuta nel “considerando” 11 della Direttiva 2005/36/CE, secondo cui “le norme professionali (sono) giustificate dall’interesse pubblico generale” e quindi gli Stati membri hanno un “interesse legittimo ad impedire che taluni dei loro cittadini possano sottrarsi abusivamente all’applicazione del diritto nazionale in materia di professioni”. In sostanza, inopinatamente l’art. 26 del D. Lgs.vo n. 206/2007 non tiene conto del fatto che per le “professioni regolamentate” (quali sono, per l’appunto, come detto, il Dottore commercialista e l’esperto contabile) tutte le norme che le regolamentano (ad es. in materia di accesso, che richiede lo svolgimento di un tirocinio ed il superamento di un esame di Stato, in materia di formazione professionale continua, in materia di deontologia, ecc.) rappresentano una inderogabile tutela a favore non solo dei professionisti stessi, ma anche degli utenti, i quali devono poter conoscere e valutare il titolo professionale del lavoratore autonomo che offre loro una determinata attività professionale, anche se l’esercizio di questa attività non è riservata a chi possiede quella specifica qualifica professionale. Questa tutela è chiaramente affermata dall’art. 33, comma 5, Cost. (che, come noto, a tal fine prescrive un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio delle “professioni regolamentate”) e specificamente prevista e regolata, come appena detto, per la Professione regolamentata dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili, dagli art. 40, 41, 42, 43, e 44 del D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139, ove sono specificamente previsti i requisiti di ammissione agli esami di stato, forme e modalità del tirocinio triennale necessario per la partecipazione all’esame di stato, le cui modalità sono indicate dai successivi artt. 45, 46 e 47. Orbene il D.lgs 206/2007, equiparando Professioni regolamentate e non regolamentate e prevedendo per le prime che, “in mancanza di ordini, albi o elenchi”, anche associazioni o organismi di diritto privato possano costituire “Professioni regolamentate” ad ogni effetto di legge, non tiene evidentemente conto e viola le predette norme della direttiva, di legge e costituzionali, che prescrivono che per l’abilitazione ed accesso ad una professione regolamentata e la successiva iscrizione agli albi è obbligatorio applicare la normativa relativa, che qui prevede che si debba sostenere un esame di Stato, a tutela di un ben preciso interesse pubblico, essendo l’Ordine professionale in tal senso depositario di una 24 funzione di garanzia (assolta mediante specifici e continui controlli) di particolare delicatezza e rilevanza. Tant’è vero che gli Ordini territoriali, ai quali è affidata la tenuta degli albi, sono anch’essi enti pubblici non economici, sul cui funzionamento a loro volta vigilano i rispettivi Consigli Nazionali, aventi anch’essi natura pubblica, come per l’appunto, il C.N.D.C.E.C., che, giova ribadirlo, proprio per questa ragione è disciplinato da un apposito Decreto Legislativo, il n. 139/2005 (che all’art. 6, comma 3, come detto, ne afferma la natura di ente pubblico non economico, soggetto alla vigilanza del Ministero della giustizia). Quanto sopra è stato puntualmente riconosciuto dalla costante giurisprudenza costituzionale in materia, di cui a titolo esemplificativo si ricordano le seguenti pronunzie: - “La Carta Costituzionale riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lett. g, Cost.). la vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde infatti all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi a garanzia del corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività” (Corte Cost. 3 novembre 2005, n. 405; CONF. Cass. Sez. III, 5 settembre 2006, n. 19066). - “la legge riserva agli iscritti in appositi albi l'esercizio di determinate professioni, che presuppongono una particolare capacità tecnica ed il cui esercizio richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell'attività professionale, sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità (sent. n. 456 del 1993, sent. n. 29 del 1990 e sent. n. 77 del 1964). Per l'abilitazione all'esercizio professionale è prescritto un esame di Stato (art. 33, quinto comma, Cost.), che consente di verificare l'idoneità tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere alla professione ottenendo l'iscrizione nell'apposito albo” (Corte Cost. 21.1.1999, n. 5); 25 - “questa Corte ha già da tempo ritenuto che l'art. 33 Cost., quinto comma, nel prescrivere un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, intende assicurare nell'interesse della collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il retto esercizio professionale (sent. n. 77 del 1964). Esso dunque reca in sé un principio di professionalità specifica: richiede cioè che l'esercizio delle attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite” (Corte Cost. 26.1.1990, n. 29 e nello stesso senso cfr., fra le altre, Corte cost. 22.10.1980, n. 174, secondo cui “l'art. 33, comma quinto, Cost., demanda al legislatore ordinario la determinazione dei criteri e del contenuto dell'esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, purché venga ragionevolmente soddisfatta l'esigenza di un accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, che assicuri, nell'interesse della collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il retto esercizio professionale”); - “l'art. 33, comma quinto, Cost. afferma l'esigenza di un serio ed oggettivo accertamento dell'attitudine e capacità professionale” (Corte cost. 23.12.1993, n. 456); - “solo l'esame di Stato è in grado di garantire l’indispensabile vaglio di specifica idoneità tecnica all'esercizio della professione” (Corte cost. 28.5.1987, n. 202). Pertanto, alla stregua delle considerazioni che precedono, nel caso di specie l’incostituzionalità discende non solo dall’aver disatteso i “considerando” 11 e 16, oltre che gli artt. 1, 2, 3, 4, 13, 14 e 15 della Direttiva 2005/36/CE (con conseguente violazione dell’art. 77 e 117 Cost.), ma anche dall’aver violato gli art. 33, co. 5, Cost., atteso che le “professioni non regolamentate”, così come le svariate e talvolta fantomatiche associazioni o organismi di diritto privato cui ci si associa per accedere, in assenza di un esame di stato, ad una determinata professione, non sono idonee a soddisfare quegli inderogabili interessi pubblici che, come detto, sono riconosciuti come preminenti e meritevoli di protezione dalla direttiva e tutelati da tali norme. Al riguardo sussiste un preciso interesse dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili al ricorso contro il Decreto Ministeriale 28 aprile 2008 per illegittimità e invalidità dell’art. 1 /e ss., tenuto conto, in tal senso, 26 dei Considerando 11, ult. cap. e 12 e degli art. 4 e 13, Par. 1, della Direttiva 2005/36/CE, in relazione alla previsione degli art. 4 e 26 D. lgs. 206/2007, interesse a che sia garantito l’accesso alla Professione Regolamentata di Dottore commercialista ed esperto contabile mediante Esame di Stato, a tutela sia dei propri iscritti sia degli utenti che devono poter conoscere e valutare il titolo professionale del lavoratore autonomo che presta una data attività professionale, sia o meno riservata a quella categoria professionale, evitando in tal modo che “taluni dei cittadini (italiani) possano sottrarsi abusivamente dal diritto nazionale in materia di professioni” (Cons. 11). 3. Sul contrasto con l’art. 3 Cost. Non appare dubbio altresì il contrasto con l’art. 3 delle norme che determinano una simile equiparazione. Il che si ha per diversi aspetti. 3.1 – il legislatore nazionale può anche dettare disposizioni difformi e nuove rispetto a quelle contenute in Direttive comunitarie – com’è perfino banale rammentare – e, tuttavia, ciò dovrà fare, a tacer d’altro, – in ossequio all’art. 3 Costituzione – in modo razionale e non irragionevole. Ebbene, non v’è ragione, di alcun tipo, che possa spiegare quale razionalità – nel sistema complessivo della disciplina costituzionale e dell’art. 33 in specie – presieda all’immotivata equiparazione delle professioni non regolamentate alle regolamentate. Il punto, è bene anticiparlo, è che le professioni regolamentate, per via del controllo pubblicistico sull’accesso e la tenuta degli albi, della natura di ente pubblico degli ordini e della disciplina pubblicistica che regola l’accesso dei professionisti, i loro doveri professionali e le sanzioni ordinistiche cui si espongono, assicura ai beneficiari dei loro servizi (i clienti) un controllo di natura pubblicistica sulle attività dei professionisti. Controllo che manca, invece, ovvero è molto ridotto nelle professioni non regolamentate, sicché l’equiparazione della disciplina delle due diverse attività è irrazionale e lo è proprio dal punto di vista dell’interesse pubblico, vale a dire della protezione dei clienti e consumatori delle prestazioni fornite dai professionisti delle Professioni non regolamentate. 3.2 - Da altro punto di vista, non è difficile cogliere la disparità di trattamento. Anche solo limitandosi ai ricorrenti, la professione di dottore commercialista ed esperto contabile (cfr., art. 40, D. Lgs. 28 giugno 2005, n. 139), è caratterizzata dal fatto che “l’abilitazione all’esercizio della professione è conseguita a seguito del superamento dell’esame di Stato, dopo il compimento di 27 un tirocinio di durata triennale”; ed ancora: gli artt. 41, 42, 43, e 44 del D. Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, dettano i requisiti di ammissione agli esami di Stato, forme e modalità del tirocinio triennale necessario per la partecipazione all’esame. Il D. Lgs. 206/2007, equiparando professioni regolamentate e non regolamentate e prevedendo per le prime che, “in mancanza di ordini, albi o elenchi”, anche associazioni o organismi di diritto privato possano costituire “professioni regolamentate” ad ogni effetto di legge, determina una evidente disparità di trattamento tra professionisti con caratteristiche assai differenti (sul punto, v. anche retro III Mezzo, punto C). 4. Sul contrasto con l’art. 41 Cost. Come si è visto, è chiarissima la giurisprudenza costituzionale nel chiarire che la richiesta dell’esame di Stato, al termine di un periodo di tirocinio che a sua volta consegua all’acquisizione di titoli di studio abilitanti e dell’iscrizione in albi tenuti da enti pubblici – che siano in grado di assicurare la permanenza dei requisiti ed il rispetto delle norme da parte dei professionisti – sono tutte regole poste a garanzia della collettività. Da parte sua l’art. 41 Cost. è inequivoco nel richiedere che le attività economiche non possano essere svolte in contrasto con l’utilità sociale. Non serve molto ad intendere che le norme di cui si lamenta l’illegittimità costituzionale, invece, con l’equiparare a professionisti che esercitano attività regolamentate – e presidiate dall’insieme di regole pubblicistiche più volte rammentate – coloro che difettano di un simile regime, - significa esporre i clienti a falso affidamento e ad affidare le proprie questioni più delicate relative alla vita sociale e di relazione a professionisti dei quali non sia resa certa (da esami, albi, poteri di vigilanza dell’ordine) la professionalità. Ecco allora che la norma in parola si pone in contrasto con la norma che vieta che l’attività economica rechi pregiudizio all’utilità sociale. Il principio ricordato assume rilievo anche sotto il profilo della conformità alle norme in materia di concorrenza (art. 81 e 86 Trattato CE in particolare), poiché l’esercizio delle libere professioni ordinistiche è, oggi, esercitato con pieno rispetto delle norme in materia e, altrettanto, pieno riconoscimento della loro specificità, funzione pubblica e rilevanza quanto alla tutela dell’interesse pubblico. La situazione di equilibrio, economico e sociale esistente (conforme, dunque, ai principi generali) potrebbe essere alterata o pregiudicata dall’attività di 28 associazioni non ordinistiche e/o non regolamentate, prive di quel riconoscimento pubblicistico che trasformerebbe “le professioni” in un “mercato senza regole”, estraneo ed in contrasto con i principi comunitari di coordinamento, ma anche a quelli costituzionali della tutela dell’interesse e della fede pubblica (cfr. fra le altre, per un caso in cui si discuteva della compatibilità comunitaria di norme italiane, Corte di giustizia, 30.3.2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori commercialisti, in Raccolta, p. I-2941, spec. punti 31-50). 5. Sul contrasto con l’art. 117 Cost. Stante tutto quanto precede, l’art. 26 del D. Lgs.vo n. 206/2007 è costituzionalmente illegittimo –ai sensi dell’art. art. 117 Cost., secondo cui la potestà legislativa deve essere esercitata “nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” - in tutte le parti (commi 1, 2 e 3) in cui si riferisce alle “professioni non regolamentate”, in quanto in tal modo la finalità della normativa comunitaria è stata completamente stravolta, avendo il legislatore nazionale esteso anche alle “professioni non regolamentate” una disciplina che invece doveva trovare applicazione solo per le “professioni regolamentate”, alle quali non possono in alcun modo essere assimilate le professioni non regolamentate. Sotto altro profilo, la Corte Cost. ha ribadito, in relazione all’art. 117 Cost., l’appartenenza del potere regolamentare in materia a valori e principi fondamentali, e di rango superiore, tali per cui, alle professioni regolamentate si può accedere unicamente attraverso un esame di Stato e la disciplina dei titoli che danno accesso alle professioni (nonché quella dei percorsi formativi), deve essere considerata di esclusiva competenza statale (cfr. Corte Cost. n. 156/2006, n. 319/2005, n. 355/2005, n. 353/2003). In relazione all’art. 117 ed al caso di specie, la Corte si è pronunciata circa l’illegittimità della legge della Regione Toscana in materia di professioni censurando il contenuto precettivo di quella normativa laddove prevede che i “coordinamenti regionali” istituiti da tale legge “abbiano facoltà di organizzare attività di formazione e aggiornamento professionale nonché di proporre iniziative di formazione”. Essa, invero, “attribuirebbe ad un organo illegittimamente costituito il potere di promuovere attività di formazione e di aggiornamento per i professionisti. La previsione normativa sarebbe altresì in contrasto con l’art 33 della Costituzione, che riserva allo Stato, mediante regolazione 29 dell’accesso all’esame di Stato, la formazione finalizzata all’accesso alle professioni regolamentate” (Corte cost. n. 405/2005; grassetto aggiunto). Precisa, ancora, la Corte (sentenza cit.) che “La vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria” e cioè ordini, albi, collegi “cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è, infatti, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività” Apparendo, quindi, non manifestamente infondata la questione di costituzionalità e rilevante ai fini del decidere, nei termini già in apertura illustrati, si insiste perché codesto eccellentissimo Collegio voglia, sospendere il giudizio e sollevare, nei termini indicati, salvo a integrarli, la QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE del D. Lgs. 206/2007, artt. 2, 4, 22 e 26 per contrasto con gli artt. 76, 77, 3, 33, 41 e 117 Costituzione. SULL’ISTANZA DI SOSPENSIONE Le considerazioni che precedono -evidenziando i numerosi vizi da cui è inficiato il Decreto Ministeriale impugnato- appaiono idonee a dimostrare l’esistenza del “fumus boni juris” e dei danni (molteplici e di diverso genere) che il provvedimento stesso reca al C.N.D.C.E.C. In particolare, limitandoci a ricordare i più significativi di questi danni, ci permettiamo di ribadire che il Decreto impugnato ha come conseguenza che – poiché le attività proprie dei Dottori commercialisti ed esperti contabili sono “attività riservate” per legge ma non in esclusiva (doc. n. 4) - possano chiedere l’iscrizione (all’elenco previsto dal Decreto stesso) Associazioni rappresentative di lavoratori autonomi che svolgono solo una o più attività proprie della categoria dei Dottori commercialisti ed esperti contabili. Essi sono liberi di svolgere tali attività, ma non possono farlo con il Titolo professionale che per legge può essere utlizzato solo da chi acceda ad una data professione regolamentata nei modi previsti dalla legge, qui attraverso un esame di Stato, a tutela dell’interesse pubblico, e di altri privati, di cui si è detto. 30 Nella paventata evenienza di cui si è detto, tali Associazioni – cui la legge non assegna in tal senso alcuna funzione di garanzia riservata agli Ordini professionali - potrebbero essere iscritte all’Elenco previsto dal Decreto e quindi essere chiamate a partecipare a Piattaforme comuni proposte, ad es., da altri paesi membri in cui taluna delle attività riservate ai Dottori commercialisti costituiscano Professioni regolamentate ex se. Con la conseguenza che a rendere il parere previsto dalla legge – con tutte le conseguenze che ne potrebbero discendere in danno dei Dottori commercialisti ed esperti contabili, per lo stabilimento in Italia di professionisti con qualifiche professionali non previste e regolate dalla legge e senza alcuna garanzia di legge, oltrecchè degli utenti finali – siano Associazioni o organismi di diritto privato cui l’art. 33 Cost. non riconosce tale funzione, che riserva agli Enti pubblici economici a ciò normativamente preposti. Il C.N.D.C.E.C. ed i commercialisti ed esperti contabili rappresentati dall’odierno ricorrente, con riferimento alle proprie attività, si troverebbero di fronte ad una illegittima concorrenza e invasione di campo e competenze da parte delle associazioni private, a causa della possibilità, per le stesse, di ottenere surrettiziamente una legittimazione “professionale”, svolgendo attività riservate, seppure non in esclusiva, invece, ad un Ordine previsto e regolato dalla legge, cui è istituzionalmente riservata l’attività di tutela e garanzia delle figure professionali in questione. Tale “riconoscimento professionale”, creerebbe quindi un danno irreparabile, immediato e diretto, e non solo in termini di immagine, sia al C.N.D.C.E.C., sia ai professionisti da esso rappresentati. Ma v’è di più. Il D.M. impugnato ribadisce inopinatamente il principio (affermato per la prima volta dal D. Lgs.vo. n. 206/2007) che possano esistere professioni regolamentate prive di ordini, collegi o albi e questo principio è già di per sé chiaramente lesivo dell’interesse pubblico sotteso all’art. 33 Cost. quale ribadito dalla Corte Costituzionale, nonché pregiudizievole per gli Enti –come, per l’appunto, quello ricorrente- che rappresentano istituzionalmente lavoratori che esercitano professioni regolamentate. Ciò in quanto si tratta di un principio che inevitabilmente finisce con il svilire in modo irreparabile il ruolo ed il prestigio degli Ordini e dei Collegi professionali, che invece, come detto, assolvono ad una funzione insostituibile, a tutela di un inderogabile interesse pubblico, creando sin d’ora una situazione di confusione e squilibrio a favore delle associazioni non 31 regolamentate, con pregiudizio per gli interessi della collettività. Sotto questi profili il danno che giustifica la presente istanza cautelare è divenuto a maggior ragione imminente e irreparabile a seguito della presentazione della domanda di iscrizione all’elenco previsto dal Decreto impugnato da parte di associazioni che, eccetto una, ancora neppure si conoscono. Al riguardo si rappresenta che con comunicazione del 22 luglio 2008 (doc. n. 5), il Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia civile, rispondendo a raccomandata a.r., anticipata via fax, inviata dal CNDCEC Il 24.6.2008 (doc. n. 6) – con cui il Consiglio ricorrente chiedeva al Ministero della Giustizia, ai sensi e per gli effetti della L. n. 241/1990, se erano state già presentate domande di iscrizione a tale elenco – informava che aveva presentato domanda, fra gli altri – di cui però non forniva i nominativi per ragioni di privacy-, l’Associazione L.A.P.E.T. Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari, alla quale pertanto il presente ricorso viene notificato in qualità di controinteressato. Tale associazione si prefigge l’obiettivo di essere iscritta all’Albo previsto dal Decreto al fine di esprimere pareri in relazione alle Piattaforme proposte dall’Italia ad altri Stati membri o da questi all’Italia con riferimento ad attività che figurano fra quelle riservate per legge ai Dottori commercialisti ed esperti contabili. Orbene, ove tale Associazione fosse iscritta all’Albo l’Autorità competente ex art. 5 L. 206/2007 dovrebbe chiedere anche ad essa il parere ex art. 26, co. 1 e 2, D.Lgs. 206/2007, violando la norma che riserva tali compiti di rappresentanza istituzionale al CNDCEC cui tale funzione, come detto, è assegnata dalla legge a tutela di un interesse pubblico. In virtù di quanto sopra, è senza dubbio necessario sospendere immediatamente l’esecuzione del provvedimento impugnato, considerato che per l’accoglimento del presente ricorso è sufficiente l’esame delle censure contenute nei primi due motivi, ossia prescindendo dalle questioni di legittimità costituzionale sollevate, la cui fondatezza appare comunque evidente anche limitandosi ad un esame meramente sommario del ricorso stesso. P.Q.M. si chiede che codesto Ecc.mo T.A.R., ogni avversa istanza, eccezione, deduzione disattesa, in accoglimento del presente ricorso, voglia: a) in via preliminare sospendere l’esecuzione del provvedimento 32 impugnato e di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi; b) annullare il provvedimento impugnato e tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi, previa, per quanto ritenuta necessaria, ordinanza con la quale –ai sensi dell’art. 23, comma 2, della L. n. 87/1953- siano dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale così come sollevate con il presente ricorso. Con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alla condanna alle spese del giudizio. c) in via istruttoria si chiede: - ordinare, ove ritenuto necessario, al Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t. ed al Ministero per le politiche europee, in persona del Ministro p.t., o a chi altri ritenuto necessario, il deposito di tutta la documentazione che ha preceduto l’emanazione del provvedimento impugnato (es. lavori preparatori). - acquisire i seguenti documenti depositati unitamente al presente ricorso: 1.- Decreto interministeriale del Ministero della Giustizia e del Ministero per le politiche europee del 28.4.2008 (provvedimento impugnato); 2.- Direttiva 2005/36/CE; 3.- parere della Commissione Giustizia del Senato del 17.10.2007; 4.- attività riservate per legge ai Dottori commercialisti e esperti contabili; 5.- comunicazione al CNDCEC del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia civile; 6.- richiesta ex L. n. 241/1990 inviata dal ricorrente con raccomandata a.r. del 24.6.2008. Ai fini della normativa sul contributo unificato si dichiara che il valore della presente controversia è indeterminabile. Roma, 23 Luglio 2008 Avv. prof. Andrea Maria Azzaro 33 Relazione di notifica Ad istanza del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili, come sopra difeso e rappresentato, domiciliato ai fini del giudizio dinanzi al TAR Lazio presso lo studio dell’Avv. prof. Andrea Maria Azzaro, in Roma, Via Valadier 44, io sottoscritto Ufficiale Giudiziario addetto all’ufficio unico notificazioni presso la Corte d’Appello di Roma, ho notificato copia del suesteso ricorso al Ministero della giustizia, in persona del ministro pro-tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi 12, CAP 00186, ivi come segue Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi, 12, CAP 00186, ivi come segue 34 Ministero per le politiche europee, in persona del ministro pro tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi 12, CAP 00186, ivi come segue L.A.P.E.T. Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Roma, Via delle Fornaci 29, CAP 00165, ivi come segue 35 Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede presso il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, in Roma, Via Santa Maria dell’Anima 10, CAP 00186, ivi come segue 36