nel cielo con i diamanti

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nel cielo con i diamanti
nel cielo con i diamanti
giuseppe di costanzo
ad est dell’equatore
©
2016 ad est dell’equatore
vico orto 2
80040 pollena trocchia, napoli
www.adestdellequatore.com
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con una nota di Marilù Parisi
Tramortiscon di gioia ebre e languenti
l’anime stanche, al ciel d’amor rapite.
Gl’iterati sospiri, i rotti accenti,
le dolcissime guerre e le ferite
Due uomini e una donna.
Diresti che i due siano vecchi amici, trent’anni uno, l’altro ha più
o meno doppiato i cinquanta, fino a qualche tempo fa chiunque
avrebbe detto che sembrava più giovane, è un po’, invece, che gli
anni che ha si vedono tutti, ma stasera, a parte questo, sembra in gran
forma.
Anche la donna, che non arriva a trenta, ha sempre dimostrato
meno della sua età, e questo vale tuttora, sebbene la cosa più evidente
sia che non passerebbe inosservata in nessuna parte di questo mondo.
Il più giovane le prende spesso la mano, sotto lo sguardo fraterno
dell’altro, già, potrebbero anche essere due fratelli.
I tre chiacchierano, ridono, il più vecchio offre saggi consigli
sull’avvenire della coppia, che i due accolgono sorridendo, rilassati e
palesemente felici, tutti sorseggiano champagne e mangiano caviale,
pazzie del padrone di casa, molto al di sopra del suo usuale tenore di
vita, voglio festeggiare al meglio la vostra decisione, ha detto.
È spesso in movimento, versa champagne, va velocemente verso la
cucina del piccolo appartamento da scapolo, i due vorrebbero dargli
una mano a organizzare la cena, ma su questo sembra non transigere.
Nella stanza si diffondono le note di una sequenza musicale
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montata da lui, che conosce i gusti della coppia, soprattutto quelli di
lei, che poi, almeno in parte, è stato lui stesso a trasmetterglieli in un
passato recente, ma molto lontano.
Quando i due sono entrati in casa si stava chiudendo il cerchio
delle Variazioni Goldberg, con l’ultima, superbamente uguale alla prima,
seguita immediatamente da «cerchi la ragazza col sole negli occhi, e
lei se n’è andata». Mentre cominciano a chiacchierare amabilmente si
può apprezzare l’ultimo movimento della Sonata 109, quando stappa
la seconda bottiglia «c’è qualcuno che vuol sentire la mia storia,
tutto sulla ragazza venuta per restare?», quando elargisce i suoi saggi
consigli «ragazzi, oggi ho letto la notizia di un uomo fortunato che
è arrivato a destinazione e anche se la notizia era piuttosto triste beh
mi è proprio venuto da ridere, ho visto la fotografia, gli era saltato il
cervello», poco prima che inizi la cena parte La morte di Isolde, mentre,
quando estrae la prima delle due pistole che un losco individuo gli ha
procurato mesi prima «venitemi intorno tutti voi clown, lasciate che
vi senta dire ehi!, devi di nuovo nascondere il tuo amore», quando
si consuma la breve agonia del ragazzo, che è crollato a terra con
due pallottole sparate a bruciapelo in testa «amico, sei diventato un
ragazzo cattivo, ti sei lasciato crescere la faccia», la ragazza sta ancora
correndo verso la camera da letto «guarda come volano come Lucy
nel cielo, guarda come corrono».
Le ha tagliato la strada verso la porta che dà sul pianerottolo, che
peraltro aveva chiuso a chiave senza che i due se ne accorgessero, in
uno dei suoi veloci spostamenti verso la cucina. La chiave è ancora
nel bauletto dal quale ha preso le pistole.
Non vuole che il tutto si concluda davanti alla porta d’entrata,
preferisce la stanza da letto, dove sarà più agevole comporre il corpo,
guardarla e vegliarla per il resto della notte.
Quando ha sparato in rapida successione i due colpi le sue mani
non hanno tremato neanche un po’, è stata questa la cosa più difficile
da ottenere, per qualche breve attimo la ragazza è rimasta immobile,
ha cominciato a reagire quando ha visto la pistola impugnata a due
mani e puntata su di lei, cosa che per altro è accaduta senza soluzione
di continuità con l’uccisione del ragazzo.
Solleva le mani davanti agli occhi, come una bambina, pensa
certamente lui, urla, forse un no indistinto, o piuttosto un grido
generico, comunque acutissimo, che si sovrappone con successo alla
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voce che canta «lei non ha più bisogno di te. E nei suoi occhi non vedi
niente, nessun segno d’amore dietro le lacrime piante per nessuno», i
timpani di lui vibrano, anche lei non trova più niente nei suoi occhi,
sei pazzo strilla, banale, certo che sono pazzo, sei tu che mi hai fatto
impazzire, ma sul serio, irrimediabilmente, definitivamente, però non
parla e smette anche di pensare, come un buon cacciatore.
È nella stanza da letto, cerca di chiudergli la porta in faccia senza
riuscirci, urla ancora, ma stavolta la voce è roca, salta sul letto, è la
situazione ideale: gli ultimi spari ora, quando sta per avvicinarsi al
balcone, strategicamente vicino al letto dove adagerà il corpo, mira a
spararle in petto almeno tre colpi, in modo da rendere quasi istantanea
la morte, ha anche calcolato l’angolo di tiro per essere sicuro che
nessun proiettile esca dall’appartamento attraverso il balcone, meglio
sarebbe sparare anche a lei in testa, ma questo non è compatibile con
i suoi progetti.
Invece, chi l’avrebbe mai detto!, lei si ferma, una volta scavalcato
il letto, non accenna nemmeno ad avvicinarsi al balcone, sembra aver
capito che non è il caso di tentare di aprirlo e cercare aiuto all’esterno,
deve aver intuito le sue intenzioni, è molto intuitiva infatti, per questo
il suo capolavoro è stato non farle mai sospettare quello che stava
avvenendo dentro di lui, si butta a terra, si inginocchia, cercando di
strisciare verso le sue caviglie, di stringerle in una sorta di supplica,
si sposta con calma e le sfugge, la fronte colpisce violentemente il
parquet, ma lei non sembra curarsene, scoppia a piangere, strilla
parole che non è sicuro di capire, qualcosa di simile a ti-prego-hopaura-­perché-mamma-aiuto.
Mirerà alla parte superiore della schiena, quasi sotto il collo, sperando
di raggiungere il cuore, ma ha un attimo di indecisione, così vicino
al pavimento i colpi, o qualche frammento del parquet, potrebbero
rimbalzare e colpirla al viso, ma poi pensa che con quell’angolo di tiro
le pallottole potrebbero al massimo rientrare nell’addome o nel pube,
però quando sta per sparare lei scatta in avanti, cercando stavolta di
afferrargli le gambe, la evita senza problemi, lei si solleva restando in
ginocchio e lo guarda.
Dio com’è bella, continua a piangere, le lacrime sprizzano dagli
occhi più che mai blu cobalto, capisce che sta per sparare, ne è sicuro, è
proprio intuitiva, allora ancora una volta come una bambina si rifugia
strisciando nello spazio angusto sotto il letto, subito si inginocchia
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anche lui, si stende a terra, mette in tiro la pistola, allungando il
braccio, lei rannicchiata grida questa volta distintamente no ti prego
no, farò tutto quello che vorrai, è così, lo giuro, è vero, è vero, è vero,
e con la mano sinistra, è rannicchiata sul fianco destro, fa un gesto
tenerissimo come se cercasse di scacciarlo con la mano.
Sì, sono proprio impazzito non c’è niente da fare, pensa, mi ricorda
Elisaveta quando sta per essere uccisa da Raskolnikov, allontana il
pensiero, mira al petto e spara a ripetizione.
Il primo colpo la prende al gomito, urla in modo assordante, cerca
di colpirlo scalciando, spara senza soluzione di continuità, quando la
piccola pistola va a vuoto la lascia cadere, estrae velocemente l’altra
e riprende a sparare, riesce a non colpirla al volto, la seconda pistola
si scarica quando le sue urla sono diventate singhiozzi, mi dispiace
le sussurra, avvicinandosi ai suoi occhi che si stanno spegnendo, mi
dispiace, ma non potevo fare nient’altro.
Difficile, ma non impossibile cogliere il momento in cui si
raggiunge il punto di non ritorno, lei lo ha appena toccato quando lui
striscia fuori, si alza, si mette a sedere sul letto, o forse, chi sa, sul letto
potrebbe anche crollare bocconi.
Fermatevi un attimo, perché devo dirvi che è così che tra poco
farò.
Ho pensato e penso all’azione centinaia di volte, vivendola nei
minimi particolari, raccontandomi quante più varianti riesco a vedere.
In quel tuo racconto il protagonista immagina l’esecuzione della
propria condanna a morte, sapendo che anticipare una situazione in
tutti i suoi dettagli equivale a rendere impossibile l’eventualità che
essa si verifichi esattamente nel modo in cui l’abbiamo prevista, io
faccio il contrario con la mia azione, per cercare di prevedere tutti i
possibili problemi.
È il tuo personaggio!, questo essere che tutti giudicherebbero
ributtante quasi quanto giudicheranno me domani, dopo il suo
secondo omicidio mette in scena la realtà alternativa, nella quale
l’assassinato anziché morire è rimasto a chiacchierare amabilmente
a casa del suo assassino, fumando e ubriacandosi. Dunque lui beve
a sua volta, sporca bicchieri, taglia sigarette, riempie posacenere
di cicche, cercando di immaginarsi, di ricordare in ogni dettaglio la
realtà alternativa, della quale dovrà rendere conto l’indomani, il suo
tentativo è mirato a modificare la percezione della realtà passata, il
mio a forzare l’evenienza della realtà futura.
Perché so che non è facile, la cosa più imprevedibile è la mia
reazione, per questo cerco di immaginarmi freddo, pensando
all’azione infinite volte, come se realizzarla sul serio non fosse che un
banale dettaglio formale, ho visto le varianti più inattese, immaginato
i particolari più truculenti, io, che non ho mai fatto male a una mosca,
un buon diavolo senza nemici, estraneo alle guerre meschine e
crudeli del mio piccolo mondo, ho visto il sangue sprizzare in tutte le
direzioni e dunque colpirmi, con getti irregolari, l’ho vista contorcersi
e dibattersi disperatamente una volta ferita.
Ho sentito le sue urla, le invocazioni di pietà, immaginato che in
un momento capisse l’incredibile, assurdo sconvolgimento che ha
provocato in me, alcune volte sono arrivato a vederla strapparsi i
vestiti e offrirsi nuda, ripetendo le frasi e gli atteggiamenti ai quali
non sapevo resistere, con lui morto o morente affianco a noi.
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L’ho vista indifferente alla propria vita, disinteressata a cercare
vie di fuga, piangere soltanto per il suo amore perduto, ma anche
lottare con me con la forza del terrore, sputarmi in faccia, graffiarmi.
Ho immaginato che nella colluttazione uno dei colpi mi ferisse, ho
sentito il proiettile entrarmi in un braccio, o in una gamba, o lacerarmi
qualche organo interno, ho lottato riuscendo a finirla, resistendo al
dolore fisico e allo strazio di essere costretto a ucciderla.
L’ho vegliata tutta la notte, guardandole il viso, ho immaginato
perfino di essere sopraffatto dal desiderio di fare un’ultima volta
l’amore con lei, di cedere alla volontà di violentare il suo cadavere,
oppure di arrestarmi di fronte a questa orrenda possibilità.
Suppongo che la realtà sarà meno truculenta, ma forse straziante
per me ancor più di quanto non possa riuscire a immaginare.
Problemi materiali non dovrei averne, le difficoltà saranno tutte
nella mia testa.
Le pistole sono di piccolo calibro, ideali per un obiettivo a breve
distanza, come mi è stato detto e come ho verificato più volte, riuscirò
a dissimularle facilmente. Al momento opportuno le prenderò dal
bauletto chiuso a chiave e ben nascosto nel mio bel cucinino.
L’unica eventualità sfavorevole, peraltro improbabile, potrebbe
verificarsi se qualcuno, un vicino, un passante, sentisse gli inevitabili
rumori o le urla eventuali, ma neanche questo sarebbe un vero
problema.
Perfino se arrivasse la polizia, ma non arriverà, perché
l’appartamento è quasi insonorizzato e poi da me si è fatto spesso
chiasso, nessuno potrà impedirmi di chiudere il mio cerchio.
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Adesso vieni a quando la conosco.
Sono a Kreuzberg 61, in una delle tante Kneipe dove si incontra di
tutto e dove tutti lasciano in pace tutti, ma dove trovi anche qualche
arrapato di tutti i sessi che spera di rimorchiare o di essere rimorchiato.
Io non ho la minima intenzione di rimorchiare nessuno, sto
leggendo e prendendo appunti quando mi chiede se ci sono posti
liberi al mio tavolo.
«Na klar!», io, sollevando appena gli occhi da libro, quadernetto,
schede e post-it, lei ha un computer, si siede e si mette a scrivere.
Come sempre quando scrivo o leggo qualcosa che m’interessa in un
luogo pubblico sono totalmente concentrato e astratto dall’ambiente
in cui mi trovo, ma una delle volte in cui sospendo brevemente la
lettura per prendere la tazza del mio caffè sollevo gli occhi e vedo
che lei mi guarda.
I berlinesi, in generale, non ti guardano mai, quasi mai entrano nel
tuo mondo privato, chiunque tu sia, ma se il loro sguardo si ferma su
di te vuol dire, inequivocabilmente, che gli interessi.
Mentre incrocio il suo sguardo mi sorride per un attimo, poi
abbassa gli occhi e si rimette al lavoro.
La cosa non mi fa nessun effetto, mi sembra poco più che una
ragazzina, segnata di fresco dalla bellezza ottusa, vana e vanitosa,
della giovinezza, le darei al massimo diciannove, vent’anni, e io ho
tutt’altro per la testa.
Dopo un po’:
«Stai facendo una schedatura del libro, non è vero? Avrei dovuto
fare anch’io qualcosa di simile, ma non ci riesco, mi sembra una
perdita di tempo».
Sorvolo, le rivolgerò tutt’al più teilnahmslose Fragen, come hai scritto
tu quella memorabile volta, domande senza partecipazione, wie sie
große Herren stellen, come le rivolgono i grandi signori.
«E tu a che cosa lavori?».
«Sto scrivendo la mia tesi di laurea».
Non mi dice in che cosa sta per laurearsi, e questo, come pure il
tono che ha usato, mi conferma quello che avevo pensato quando