PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA La seduta

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA La seduta
Camera dei Deputati
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VII COMMISSIONE
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIETRO FOLENA
La seduta comincia alle 9,50.
(La Commissione approva il processo
verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà
assicurata anche attraverso l’attivazione di
impianti audiovisivi a circuito chiuso e la
trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione del direttore generale
della Fondazione Triennale di Milano
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca,
nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle
problematiche connesse al settore delle
arti figurative, l’audizione del direttore
generale della Fondazione Triennale di
Milano, Andrea Cancellato, cui do il benvenuto, che è accompagnato dall’avvocato
Perli.
Con l’odierna audizione chiudiamo l’indagine conoscitiva sull’arte contemporanea, che è cominciata i premi di febbraio.
A settembre, discuteremo una relazione
conclusiva con alcune indicazioni.
Nel corso di questi mesi, abbiamo
incontrato diversi rappresentanti di associazioni e di istituzioni universitarie e
scolastiche, diversi artisti e abbiamo
svolto alcune missioni. Abbiamo quindi
un panorama abbastanza consistente.
L’obiettivo è implementare molto l’interesse politico e istituzionale per l’arte
contemporanea.
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In questo quadro, dunque, anche per
rendere testimonianza dell’importanza
dell’istituzione della Triennale di Milano e
del lavoro che ha svolto nel corso di questi
ultimi anni, volevamo sentire anche da
parte sua, dottor Cancellato, quali siano,
oltre alle esperienze svolte recentemente
in questo campo, le richieste, le aspettative
e le opinioni per quanto riguarda il settore
complessivo dell’arte contemporanea.
Do quindi la parola al dottor Cancellato.
ANDREA CANCELLATO, Direttore generale della Fondazione Triennale di Milano. L’incontro di questa mattina nasce
da una visita effettuata dall’onorevole Folena qualche giorno fa all’Istituto italiano
di cultura di Madrid, nel corso della quale
ha visitato una mostra prodotta dalla
Triennale di Milano sul nuovo design italiano, New Italian design.
Questa mostra, al di là dei suoi contenuti anche estetici, è il segno di un’attività e del modo in cui viene affrontata
dalla Triennale di Milano, ovvero dell’approccio a uno dei campi più rilevanti della
creatività italiana applicata al lavoro e
all’economia, che è quello del design.
L’Italia è un Paese a forte contenuto
manifatturiero, che ha un’importante presenza industriale nel commercio internazionale in campi dove il design è rilevante,
tanto da essere considerato un Paese guida
in questo settore.
Il tema che abbiamo affrontato riguarda il cambiamento del design italiano.
Lo abbiamo fatto attraverso una ricerca
approfondita sia dal punto di vista dei
nuovi designer, per capire cosa sia avvenuto in questo campo dopo la generazione
dei grandi maestri italiani, sia soprattutto
effettuando un’analisi di carattere sociologico per valutare la dimensione del fenomeno.
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Con i documenti che vi ho portato
avrete modo di approfondire l’argomento,
giacché non so quanto tempo abbiamo a
disposizione, perché so che la Camera ha
appuntamenti importanti. Tale ricerca ha
evidenziato l’emergere di una nuova professione di massa, che neppure l’ISTAT è
nelle condizioni di riconoscere. Il comune
strumento di rilevazione in nostro possesso non riesce infatti ancora a cogliere
un fenomeno di questo genere.
Dal 1991 al 2001 l’ISTAT ha registrato
una crescita di designer applicati al lavoro
di 2.000 unità, quando se ne sono laureati
10.000. Dal 2001 al 2005, si sono laureati
altri 14.000 designer. Questa viene definita
una presenza molteplice, vastissima in vari
ambiti, non solamente manifatturieri, in
cui la creatività si esprime a tutti i livelli,
dal design del marketing fino al design
della comunicazione abbracciando il design degli eventi e altre forme di rilevanza
fondamentale nel rapporto con l’espressione artistica, che contestualmente si applicano a livello dell’economia.
Questa ricerca ha evidenziato un nesso
fondamentale fra questa attività creativa e
le piattaforme produttive del nostro Paese,
in cui sono presenti le scuole, i designer e
una crescita connessa anche allo sviluppo
del made in Italy.
Si può capire come un’applicazione
della nota ricerca di Florida sulla presenza
della creatività nei Paesi, nei territori o
nelle città in cui esistono le famose « tre
T », vale a dire talento, tecnologia e tolleranza, senza una quarta « T », che abbiamo denominato del territorio, l’Italia
appaia come un Paese con una creatività
minore della Turchia, con tutto il rispetto
verso questo Paese. Poiché però il mondo
ritiene che l’Italia sia un Paese creativo,
abbiamo fornito un piccolo contributo in
tale direzione con questo lavoro, che vi
prego di leggere perché è stato seguito da
un membro del Comitato scientifico della
Triennale, Aldo Bonomi, sociologo di
chiara fama.
La responsabilità di un’autonomia funzionale, come amiamo definire la Triennale, una fondazione che si occupa delle
questioni connesse con la creatività, l’arte
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contemporanea, il design e le arti decorative, uno spettro amplissimo della creatività italiana in rapporto a quanto viene
realizzato nel mondo, è quindi anche
quella di far emergere ciò che non è
visibile.
Da tutto questo emerge anche un modo
nuovo di affrontare il tema della creatività
del designer applicata al lavoro, perché
implica un rapporto molto diverso con il
sistema produttivo, che rende l’Italia un
Paese guida. Tutti i designer del mondo
vogliono venire a produrre in Italia,
perché il sistema produttivo, il sistema
della progettazione, della formazione e
della rappresentazione, non ha eguali nel
mondo. Si tratta di un piccolo orgoglio
nazionale, che non è ovviamente merito
della Triennale.
La Triennale non si limita a questo, ma
produce un’attività che poi presenta anche
in campo internazionale, laddove Madrid è
la prima tappa di questa mostra che
proseguirà a Helsinki e a New York la
prossima primavera.
Nel materiale che vi distribuirò è inserita anche una relazione sull’attività al
bilancio di esercizio 2006 della Triennale,
in cui è documentato il nostro lavoro di un
anno. Ne emerge la complessa attività
della Fondazione che, trasformata da ente
autonomo in fondazione di diritto privato
con il primo processo di privatizzazione
delle istituzioni culturali e immessa sul
mercato per uscire dalla logica della sussistenza pubblica, ha sviluppato il proprio
lavoro con grande impegno, crescendo di
anno in anno e dandosi una struttura volta
alla valorizzazione economica dei propri
asset, in modo da recuperare risorse aggiuntive rispetto a quelle pubbliche. La
Triennale di Milano, dal 2001, ossia da
quando funziona come fondazione di diritto privato, non ha mai avuto bilanci in
perdita, e dal 2003 ha costantemente un
bilancio composto in prevalenza da attività
di autofinanziamento, ovvero recuperando
risorse proprie attraverso la vendita dei
servizi, la biglietteria, l’acquisizione di
sponsor, di erogazioni liberali, utilizzando
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quindi tutti gli strumenti riconosciuti dalla
legislazione per favorire una corretta gestione.
Grazie all’impegno della Commissione
cultura, siamo stati proposti per l’esenzione
dall’assoggettamento all’articolo 22 del decreto Bersani, che ci imponeva un comportamento da ente pubblico, quale non siamo
più da anni. Rivendichiamo il fatto di essere
soggetti al controllo pubblico, perché il
Consiglio nazionale della Triennale è nominato dal ministro, sulla base delle indicazioni che provengono dai soci, ma, ai sensi
della normativa comunitaria, il bilancio
consolidato della Triennale è costituito da
quello della Fondazione più quello della
Triennale di Milano servizi Srl, la società
prevista dal nostro decreto di trasformazione per la valorizzazione degli asset economici. Dal 2003 abbiamo dunque un finanziamento autonomo prevalente rispetto
a quello pubblico.
La nostra è un’attività intensissima di
produzione culturale, di coproduzione culturale, di partnership internazionali e di
realizzazione di iniziative.
Per sviluppare il campo dell’arte contemporanea, abbiamo anche attivato una
nuova sede, Triennale Bovisa, inaugurata il
21 novembre 2006 in un quartiere periferico di Milano, a dimostrazione di come
sia possibile avere una presenza anche
non centrale di una struttura culturale
forte. Dobbiamo riscontrare, inoltre, un
crescente interesse riscontrabile nelle iniziative, negli eventi e nelle presenze dei
visitatori in questa struttura.
Complessivamente, nel 2006 la Triennale di Milano ha avuto circa 450.000
visitatori. I dati di quest’anno, nel primo
semestre dell’anno evidenziano un incremento rispetto all’anno scorso del 40 per
cento, a testimonianza di come in questo
ambito l’attività sia sempre in crescita.
Il nostro prossimo impegno è l’apertura
del museo di design, il primo dedicato a
tale materia in Italia, Paese cosı̀ ricco di
attività legate al design, che possiede tuttavia una ricca rete di giacimenti del
design italiano, fatto di musei di impresa,
di raccolte pubbliche e private, che metteremo in rete e a cui daremo rappresen-
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tazione con questo museo del design che si
inaugurerà entro la fine di quest’anno. La
data verrà resa pubblica a settembre, ma
l’aspetto rilevante è che questo impegno
nasce da un accordo di programma che
unisce tutte le realtà pubbliche e private
connesse al design, dal Governo nazionale,
fino alle università milanesi, all’Assolombarda, alla Fondazione ADI per il design
italiano, passando per regioni, comuni,
province e Camere di commercio, tutti
soggetti coinvolti.
Rimango a vostra disposizione per
eventuali domande.
PRESIDENTE. Ringrazio molto il dottor Cancellato anche per aver ricordato
l’episodio che ha favorito questa audizione. Visitando questa mostra sono rimasto molto colpito da quello cui lei accennava, ovvero dal profilo di questi giovani,
una parte dei quali precari, che hanno
sviluppato una creatività per nulla schiava
delle tendenze economiche e produttive
prevalenti nei grandi mercati e fortemente
legata alla vita, agli oggetti della quotidianità che, se prodotti su scala industriale,
potrebbero contribuire a renderla più
bella. Questo aspetto della creatività legata
alla vita appare molto interessante .
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
EMERENZIO BARBIERI. Ci ha fornito
il bilancio del 2006, non del 2007. Come
mai ?
ANDREA CANCELLATO, Direttore generale della Triennale di Milano. Il bilancio
di esercizio ?
EMERENZIO BARBIERI. È stato approvato il 20 aprile 2006.
ANDREA CANCELLATO, Direttore generale della Triennale di Milano. 20 aprile
2007. Si tratta di un errore di stampa, vi
chiedo scusa. È stato bravissimo a rilevarlo subito.
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EMILIA GRAZIA DE BIASI. Ringrazio
moltissimo i rappresentanti della Triennale della presenza, in particolare come
istituzione della mia città.
Vorrei ricordare come il paradosso italiano abbia fatto sı̀ che la Triennale riaprisse relativamente di recente, dopo moltissimi anni di chiusura. Questo ci dà la
misura della generale disattenzione italiana rispetto a istituzioni di straordinario
prestigio.
La Triennale ha un’antichissima tradizione di progettazione ed è sempre riuscita
a stare nelle questioni più vicine alla
modernità, quale, ad esempio negli anni
’50 e ’60, la progettazione urbanistica.
Peraltro, ho vissuto la mia infanzia nel
quartiere della VIII Triennale, nel famoso
QT8, che rimane ancora oggi un esempio
di come si dovrebbe progettare una città.
Considero coraggiosa la recente scelta
di investire particolarmente sulla creatività
e il design, ovvero di puntare, oltre che
sull’impianto delle mostre e sul piacevole
rinnovamento complessivo della struttura
– che mi auguro i colleghi abbiano occasione di vedere perché è molto bella e
piacevole – sulla creatività e il design. Ritengo che questo sia un punto positivo.
Sarebbe interessante, signor presidente,
realizzare un momento di discussione con
la Triennale, riuscendo ad invitare anche
i soggetti che lavorano nel campo del
design, in particolare nel rapporto fra la
creatività giovanile e l’impresa. Il punto di
fondo sembra infatti rappresentato dalla
capacità di riuscire a valorizzare quella
famosa ricerca applicata che nel nostro
Paese registra un grave ritardo delle imprese, laddove esse investono il 30 per
cento in meno del resto d’Europa nel
campo della ricerca.
Sarebbe interessante audire anche gli
altri soggetti, per capire come la definizione di un museo del design possa intrecciarsi, in modo straordinariamente
moderno come lo sta facendo la Triennale,
con l’impresa privata, ovvero quale sia la
peculiarità di una nuova forma di museo
e di una nuova forma di rapporto fra
pubblico e privato.
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Rispetto all’esperienza delle fondazioni
degli anni ’90, mi pare sia stata realizzata
un’evoluzione, sulla quale sarebbe opportuno ragionare non tanto per definire un
modello unico, quanto per individuare
l’eventuale evoluzione anche dal punto di
vista dei finanziamenti pubblici. Un rinnovato rapporto fra pubblico e privato
comporta infatti un atteggiamento differente del pubblico, che, considerando la
situazione dei musei e l’esiguità delle risorse nel nostro Paese, appare un punto di
straordinario interesse. Vorrei sapere
come si instaura il rapporto con l’università e quali sono i canali attraverso cui la
creatività riesca a entrare nel progetto del
museo del design e dell’attività della Triennale, cioè quali sono i percorsi di accesso.
EMERENZIO BARBIERI. Da questo
punto di vista, contrariamente a quanto si
verifica solitamente, concordo con le considerazioni della collega De Biasi nel merito delle valutazioni sulla serietà della
Fondazione.
Per quanto riguarda il bilancio, tema
che mi appassiona non solo per una
vocazione antica ma perché, essendo nel
Consiglio di amministrazione della Fondazione Teatri di Reggio Emilia, è un settore
nel quale ho tentato di specializzarmi,
emerge una cifra rilevante di contributo
degli enti pubblici: 3.029.000 pari al 36,4
per cento delle entrate complessive della
Triennale.
Proprio per il valore della Triennale,
sottolineato dalla collega De Biasi, non
capisco perché nessun altro comune della
provincia di Milano partecipi all’erogazione di fondi pubblici oltre al comune,
alla provincia, alla regione e al Ministero,
considerando che la Triennale ha un ruolo
importantissimo.
Nella precedente legislatura ero eletto
nel Collegio di Agrate Brianza, che aveva
11 comuni della provincia di Monza e 10
della provincia di Milano, di cui alcuni
significativi e con bilanci per cui sarebbero
in grado di collaborare. Do atto agli amministratori lombardi di fare il loro mestiere molto meglio degli amministratori
della regione dalla quale provengo, cioè
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Emilia-Romagna, perché riportano bilanci
molto solidi.
Non so se questo sia dovuto alla scarsa
iniziativa dei sindaci di questi comuni o a
un problema di limitatezza temporale
della Triennale, ma solleciterei lo sforzo di
coinvolgere non solo il comune capoluogo
in questa attività. Grazie.
PAOLA GOISIS. Sono rimasta colpita
dalle cifre che ci ha fornito, in particolare
dai 14.000 nuovi laureati.
Poiché ho partecipato alla missione a
Madrid, come rilevato dal presidente si
rimane colpiti da questi ragazzi e ragazze
laureati, e in particolare dalla loro situazione di precarietà.
Mi chiedevo quindi come conciliare
questo loro talento con esigenze concrete.
La seconda questione che intendo
porre è legata ai finanziamenti. Ho constatato come generalmente, in presenza di
finanziamenti privati, qualunque ente procede meglio, perché è più libero nelle
proprie scelte. Mi chiedo dunque se non
sarebbe meglio rinunciare ai finanziamenti pubblici, ovvero se la Triennale
potrebbe vivere in modo dignitoso, con il
prestigio che merita e proseguire nelle
proprie attività indipendentemente dai finanziamenti pubblici.
PRESIDENTE. Prima di lasciare la parola al dottor Cancellato, volevo avere
qualche altro dato utile al nostro lavoro.
In primo luogo, vorrei sapere se e a che
livello, in quale forma si realizzano collaborazioni o connessioni fra la Triennale
e la Direzione generale per l’architettura e
l’arte contemporanee (DARC) del Ministero dei beni culturali, anche nel progetto
dell’istituzione del Museo delle arti del
XXI secolo, il MAXXI.
Poiché siamo specializzati nel produrre
eventi e iniziative per compartimenti stagni, vorremmo avere informazioni in questo senso. Del resto, come lei ha giustamente ricordato, il valore dei territori è
decisivo, ma è importante anche metterli
in rete e fare « sistema ».
Come abbiamo verificato con la collega
Goisis e il collega Li Causi in questa
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recente visita, alcuni Paesi quali la Spagna,
riuscendo a fare « sistema », valorizzano
infatti molto più facilmente le iniziative
realizzate.
La prima domanda, quindi, riguarda
questa connessione con la DARC, con i
futuri progetti in questo campo, di cui la
Triennale evidentemente, essendo una
delle istituzioni di eccellenza del Paese,
dovrebbe essere un punto di riferimento di
estremo rilievo.
In secondo luogo, vorrei anche sapere,
avendo audito da poco alcuni rappresentanti dell’Accademia di Brera, in rapporto
ai giovani artisti, a che è in formazione, al
lavoro svolto dalle accademie, come si
organizzi il rapporto fra la vostra istituzione e l’Accademia di Brera.
Infine, sul piano dell’organizzazione dei
servizi, vorrei sapere se li gestiate direttamente, o se li esternalizziate ad altre
società, ovvero quale sia il modello organizzativo che avete scelto.
ANDREA CANCELLATO, Direttore generale della Triennale di Milano. Proverò a
dare qualche risposta, sperando di essere
esauriente, eventualmente unificando alcune domande che per alcuni aspetti sono
simili.
Un tema fondamentale è il rapporto
con il sistema della formazione e l’università/accademia. La tradizione delle relazioni della Triennale di Milano è il rapporto con le università tecniche, prime fra
tutte il Politecnico di Milano, la più grande
facoltà di disegno industriale del mondo, e
con tutto il sistema politecnico, ovvero
architettura, ingegneria, politecnici di Torino, Venezia, Roma, Napoli e Palermo.
Intercorrono dunque costanti relazioni
sulle iniziative, sui progetti, compreso
quello del museo del design.
Con il Politecnico di Milano abbiamo
stipulato una convenzione. A parte che
esso aderisce alla IULM, Libera università
di lingue e comunicazione, abbiamo affidato al Politecnico il compito di redigere una directory del sistema del design
italiano, una sorta di Pagine gialle completa, cosicché si possa finalmente conoscere in modo preciso e puntuale il nome
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di ciascun componente di questo vasto
sistema.
È stato assegnato quindi un incarico
operativo, non solamente un progetto culturale, come quello dedicato alla figura di
Albini per il suo centenario, che abbiamo
celebrato lo scorso anno con una grande
mostra, a cui il Politecnico di Milano ha
collaborato attivamente.
Con l’Accademia di Brera i rapporti
sono più recenti, anche perché la Triennale
è tornata sul tema dell’arte contemporanea
solo da tre anni a questa parte, giacché
prima aveva abbandonato questo aspetto
della sua missione, concentrandosi essenzialmente sull’architettura e sul design.
Riflettendo sui ruoli, sulle prerogative
che abbiamo anche per statuto, per missione data dal Parlamento, abbiamo ripreso in considerazione tutto l’ambito
della nostra attività e auspichiamo che
l’Accademia di Brera si trasferisca a Bovisa, dove abbiamo realizzato la nuova
sede totalmente dedicata all’arte contemporanea. Le scelte sono autonome, ma fino
a poco tempo l’indirizzo era che l’Accademia di Brera si sarebbe trasferita a
Bovisa, in un ambito in cui avevamo
effettuato questo investimento sull’arte
contemporanea.
Un altro tema sollevato riguarda i contributi degli enti pubblici e le finanze della
Triennale. Per quanto ci riguarda, sosteniamo che la compresenza di finanziamento pubblico e di finanziamento privato
sia corretta. Se da una parte non è giusto
il sistema francese del contributo totalmente pubblico nelle strutture di interesse
nazionale e internazionale quali i musei
francesi, il modello italiano di compresenza di pubblico e privato nella fondazione è corretto. Eventualmente, su questo
tema la presenza dell’avvocato Perli mi
consentirà di avere un aiuto anche sugli
aspetti di carattere normativo.
Il nostro obiettivo è quello di costruire
una sorta di holding culturale, giacché, nel
momento in cui apriamo il museo del
design, dobbiamo creare una nuova fondazione che lo gestisca e che sia in rapporto con la Triennale. Questo meccanismo di una gestione capace di raccogliere
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sui temi specifici risorse private che si
affianchino a quelle pubbliche, magari
anche in misura maggiore, ma mantenendo comunque un interesse collettivo,
appare corretto. Questa è la funzione che
abbiamo, perché la Triennale non svolge
una attività in proprio sul mercato, ma la
svolge perché ha un ruolo stabilito dalla
legge nazionale. Quindi, da questo punto
di vista, per noi è un elemento fondamentale. Nella nostra attività, ad esempio, ci
teniamo ad avere sempre una mostra ad
ingresso libero. Una persona che entra alla
Triennale acquisisce vari servizi potendo
bere un caffè, comprare un libro, vedere
una mostra pagando l’ingresso, ma, poiché
la nostra struttura ha anche un finanziamento pubblico, il visitatore ha anche
diritto a servizi a titolo gratuito, quali
quelli della biblioteca e dell’archivio,
aperti recentemente con un grande investimento di risorse della Triennale. Avere
sempre una mostra a ingresso libero va in
questo senso, cosı̀ come contribuire alle
missioni internazionali del nostro Paese
con mostre deriva dalla funzione nazionale che riteniamo di avere.
È auspicabile dunque mantenere una
compresenza di finanziamento pubblico e
privato nella proporzione 50/50, forse più
51 a favore del privato, anche per mantenere forte questo elemento di autonomia
operativa, tenendo conto di come la legge
abbia stabilito modalità molto complesse
per l’adesione di un soggetto pubblico o
privato alla Triennale.
Un soggetto pubblico o privato che
desideri diventare socio della Fondazione
Triennale, deve impegnarsi a versare
516.000 euro l’anno per quattro anni, cioè
1 miliardo di vecchie lire, cifra consistente
alla portata non di comuni normali, ma
solamente di enti come la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, il Comune,
che tra l’altro è anche proprietario del
Palazzo dell’Arte, dove ha sede la Triennale di Milano.
La gestione dei nostri servizi, che rappresentano un elemento di introito per la
Triennale, è in concessione, giacché concediamo il servizio di caffetteria, siamo
ristorazione light della Triennale e conce-
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diamo un servizio di bookshop perché
riteniamo che questi servizi debbano essere affidati a strutture specializzate di
alta qualità, pubbliche o private, perché la
Triennale deve garantire un servizio complessivo nel modo migliore.
Gestiamo direttamente la parte scientifica e culturale della Triennale, abbiamo
una struttura di ufficio tecnico interno, la
biblioteca e l’archivio. Manteniamo direttamente il core business con circa 40
dipendenti e, da quando la Triennale è
stata trasformata da ente autonomo in
fondazione, ha più che raddoppiato sia il
personale che gli stipendi, con soddisfazione del personale che viene premiato per
l’attività svolta.
Con la DARC esiste un rapporto di
consultazione relativamente alla modalità
gestionale della Triennale, che è stata
ritenuta interessante dal direttore di
DARC, l’architetto Pio Baldi, con il quale
abbiamo un colloquio costante su questo
fronte. Sulle attività specifiche del MAXXI
non abbiamo ancora avviato colloqui.
L’altro tema che è stato sollevato e che
ci sta molto a cuore riguarda design e
precarietà. All’interno di questo ambito si
rilevano situazioni di costrizione, ma anche di migliore condizione per quello che
Aldo Bonomi definisce il capitalista personale, che, pur essendo precario, reinveste nel proprio lavoro in autonomia,
quindi con tutti gli elementi di rischio, ma
anche di soddisfazione all’interno di questo ambito di attività.
Esiste una competizione molto forte,
non solamente con i designer stranieri
affermati, ma anche con i giovani designer
stranieri, che ovviamente convergono in
una realtà produttiva e manifatturiera
come quella italiana, che, non avendo
eguali in Europa, attrae persone ricche di
idee a Milano, nelle Marche, nei distretti
alla ricerca del proprio produttore.
Da questo punto di vista, dunque, c’è
una situazione di ansia che spinge molti
giovani all’autoproduzione. Come avrete
visto anche alla mostra di Madrid, infatti,
alcuni giovani autoproducono il loro la-
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voro creativo, altro elemento da inserire
nell’ambito non censito della precarietà.
Forse lı̀ si colloca il punto nodale.
PRESIDENTE. Do la parola all’avvocato Perli per un’ulteriore considerazione.
FRANCESCO PERLI, Legale della Fondazione Triennale di Milano. La Triennale
è stata trasformata da ente pubblico autonomo in fondazione di diritto privato
con il decreto legislativo 20 luglio 1999,
n. 273. Analogamente, sono stati trasformati altri enti pubblici e culturali, tra i
quali, per quanto riguarda Milano, la fondazione della Scala, che ha avuto un
percorso sostanzialmente identico.
A otto anni di distanza, probabilmente
può interessare al legislatore, ossia a voi,
fare una brevissima ricognizione su cosa
sia cambiato, quali processi abbia innescato quel decreto legislativo e comunque
quella linea di politica legislativa che sostanzialmente ha privatizzato gli enti culturali, verificare i risultati conseguiti e i
limiti che quell’esperienza oggi determina
nell’ambito dei soggetti destinatari di
quelle misure.
Le cose da aggiungere sarebbero molte,
ma desidero essere molto breve. Ritengo
che l’aspetto più significativo della legge di
trasformazione fosse quello di innestare
un processo di autonomia finanziaria in
primo luogo da parte di quegli enti, trasformandone la natura giuridica, mutando
il rapporto di lavoro con i dipendenti,
innestando quei criteri di efficienza ed
efficacia che – a torto o a ragione – si
ritiene meglio conseguibili con uno strumento privatistico, anche per il perseguimento degli interessi di carattere generale
e pubblico.
Ritengo che sarebbe quindi interessante
tracciare un primo bilancio su cosa abbia
funzionato.
Vi è già stato detto che la Triennale è
stata trasformata in fondazione, possiede
al cento per cento una società a responsabilità limitata, che svolge principalmente
le attività commerciali dirette della Triennale nel suo bilancio consolidato.
L’aspetto più significativo è che, su
8,300.000 euro di bilancio consolidato, più
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di 5 milioni provengano da ricavi propri
della Triennale, intesa sia come fondazione che come società di servizi. Quindi,
questo primo significativo risultato è stato
conseguito e la Triennale possiede una
relativa autonomia finanziaria, nel senso
che è in grado di provvedere a più del 64
– 65 per cento del suo fabbisogno, per le
politiche di carattere generale che svolge
attraverso il mercato.
È necessario che queste fondazioni culturali sappiano usare il mercato e non
farsi usare dal mercato, perché obbiettivamente esiste questo rischio.
Dunque, le caratteristiche che deve
avere una fondazione che opera in questo
settore e che la Triennale ha cercato e
cerca di conseguire sono l’indipendenza e
l’autonomia, in particolare sui contenuti
culturali e scientifici delle proprie iniziative, anche quando le realizza attraverso il
mercato. Del resto, è facile essere allettati
da una commercializzazione spinta in cui
non si ravvisino più i contenuti culturali,
le ragioni dell’autonomia, dell’indipendenza, del sapere, della possibilità di ciascuno di esprimersi liberamente.
Abbiamo scelto che ci sia sempre una
mostra, a cui i giovani e i cittadini possano
partecipare gratuitamente, laddove appare
prezioso garantire occasioni di vedere una
mostra senza pagare nulla, nei limiti delle
risorse e delle capacità economiche di una
fondazione. Credo che questo sia l’aspetto
più significativo.
I decreti del 1999 sono riusciti dunque,
per quanto riguarda la Triennale, a innescare un processo di responsabilizzazione
e di autonomia economica. Probabilmente,
anche fatti contingenti hanno influito. La
Triennale usciva da vicende di commissariamento, sono cambiate situazioni e persone e si è innescato un fenomeno di
questo genere, con politiche culturali
molto aperte, che guardano a tutte le
culture del Paese, che hanno l’elemento
caratterizzante, credo, nel senso di libertà
e di autonomia che deve avere la cultura.
I problemi che abbiamo derivano dal
fatto che il decreto legislativo del 1999
consente di sviluppare quel processo sino
a un certo punto. Oggi esso segna dei
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limiti, ad esempio nell’impianto dei controlli, che è ancora molto formale e non
sostanziale. La giurisdizione della Corte
dei conti paradossalmente riguarda anche
i ricavi che la Triennale produce attraverso le proprie attività commerciali e può
quindi interessare le attività commerciali
della fondazione.
Vorremmo che da questo punto di vista
si riuscisse a delineare un modello meno
formalista, più attento agli aspetti sostanziali, che giunga a modificare anche importanti aspetti normativi.
L’ultimo aspetto è relativo al decreto
Bersani, provvedimento di legge che giustamente mira a limitare la spesa pubblica. Tuttavia, nel caso delle fondazioni,
ossia degli organismi di diritto pubblico
che non sono enti pubblici a tutti gli
effetti, ma che l’ISTAT inserisce in questo
famoso elenco, che per una serie di rinvii
normativi comporta l’applicazione dell’articolo 22, paradossalmente la norma impone di ridurre i costi di produzione.
Tuttavia, se una fondazione come la
Triennale, che ha dei ricavi propri per il
64-65 per cento, riduce del 20 per cento
all’anno i costi di produzione, automaticamente riduce anche i ricavi.
L’effetto di un provvedimento di questo
genere è quindi esattamente il contrario di
quello che si intendeva produrre.
Se lo Stato vuole ridurre la spesa,
sarebbe eventualmente più semplice ridurre i contributi alle fondazioni. Introdurre il meccanismo per cui tutte le fondazioni private devono ridurre del 20 per
cento i costi di produzione, riferiti alla
norma del codice civile sulle attività produttive del bilancio, determina infatti una
contrazione automatica dei ricavi stessi, e
quindi un effetto contrario all’intento.
Per quanto riguarda questo aspetto,
l’attenzione del legislatore, una modifica di
queste norme, o quantomeno la scelta di
assoggettarvi soltanto la parte derivante
dal contributo pubblico, potrebbero rivelarsi utili. Altrimenti, infatti, abbiamo un
prelievo forzato. Abbiamo quindi presentato ricorso al TAR non sul decreto Bersani, ma sul fatto che l’ISTAT abbia inserito anche soggetti come la Triennale nel
Camera dei Deputati
XV LEGISLATURA
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11
VII COMMISSIONE
proprio elenco, sollevando anche questioni
di costituzionalità della norma per gli
aspetti richiamati in precedenza.
PRESIDENTE. La ringrazio. Lei ha offerto motivazioni giuridiche molto consistenti all’iniziativa che abbiamo sostenuto
in Aula. Mi dispiace solo che quell’emendamento, approvato, sia stato rappresentato
in Aula come una sorta di lista di favori ad
alcune fondazioni, anziché ad altre.
Abbiamo quindi dovuto, proprio per i
problemi che lei ha esposto, stilare un
elenco in cui, come sempre accade, si
segnalano alcune assenze. In ogni caso,
abbiamo inteso farlo segnalando l’assoluta
irrazionalità della presenza in questo
elenco di istituzioni come la Triennale o
come il museo della scienza e della tecnica
di Milano, che si finanziano ormai largamente fuori dai contributi pubblici.
Indagine conoscitiva – 13
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SEDUTA DEL
31
LUGLIO
2007
Sugli altri aspetti giuridici di questo
bilancio quasi decennale dell’esperienza
delle fondazioni, torneremo ad intervenire,
oltre che in sede di conclusioni di questa
nostra indagine, anche in sede di Commissione cultura, tenendo presenti i vostri
suggerimenti.
Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro
conclusa l’audizione.
La seduta termina alle 10,40.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI
ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE
DOTT. COSTANTINO RIZZUTO
Licenziato per la stampa
il 13 settembre 2007.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO