Quando i carabinieri intimarono ai peccatori di prendere
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Quando i carabinieri intimarono ai peccatori di prendere
Quando i carabinieri intimarono ai peccatori di prendere le loro cose e recarsi alla stazione per lasciare il paese, don Carlo La Calce tirò un sospiro di sollievo. Sapeva benissimo che nessuno avrebbe più preso in affitto la sua villetta, nemmeno se avesse imbiancato le pareti, cambiato le porte, disinfettato e bruciato tutto ciò che c’era dentro, ma almeno, da oggi in poi, non sarebbe più stato oggetto delle maledizioni delle vecchie streghe paesane. Giuseppina continuava a stare in mezzo alla folla per paura di essere riconosciuta. Lei li aveva visti è vero, aveva visto gli uomini e le donne che abitavano lì dentro, ma solo per pochi minuti e intenti a recitare una strana preghiera, adesso, guardandoli con calma e con più attenzione si accorse che tutte le donne avevano un marchio sul seno, una specie di sigillo formato da un occhio dentro un triangolo contornato da una raggiera, e poteva guardare meglio i disegni sulle pareti. Osservarli senza il timore di essere scoperta non le diede le risposte che avrebbe voluto e forse la sua curiosità non sarebbe stata mai soddisfatta se due anni più tardi non avesse preso il treno per andare a vedere cosa ci fosse fuori dai confini del paese, cosa stesse facendo il resto del mondo mentre i carabinieri mettevano i sigilli a quella strana Abbazia e in paese Don Antonio continuava a distribuire consigli, benedizioni ed ostie consacrate. Giuseppina Martorana decise di prendere il treno in direzione Messina e scoprire cosa stesse facendo la gente fuori dal suo piccolo paese. Ormai a Cefalù nessuno parlava più di quella Abbazia, o meglio, tutti cercavano di non ricordare, ma malgrado il barone La Calce 1 l'avesse risistemata e fatta ridipingere non c’era anima viva che volesse prenderla in affitto perché si era sparsa la voce che fosse infestata da fantasmi e spiriti maligni. E così, quella casa che un tempo era abitata da adoratori del diavolo era diventata una vecchia casupola diroccata e con il tetto mezzo crollato. Ma stare in quel paese le dava una sensazione di privazione, di chiuso, di limitato. Prese il treno il 15 marzo del 1925, scese alla stazione di Messina, si imbarcò sul traghetto che l’avrebbe portata verso il continente e sbarcata a Reggio Calabria proseguì il suo viaggio in treno verso Roma dove si fermò venti giorni ospite di uno zio paterno che aveva fatto fortuna nella capitale vendendo sale che si faceva spedire da Trapani e spezie varie che spacciava per medicine curative provenienti dall’Oriente e dalla Cina. In casa del vecchio parente si trovava bene, non gli mancava niente, era ben voluta e rispettata ma decise di riprendere il viaggio perché aveva la spiacevole sensazione di essere solo a metà del suo percorso. E alcuni mesi dopo, il suo percorso la condusse a Parigi dove, più per necessità che per voglia, si ritrovò a lavorare al One Two Two, uno dei più famosi bordelli parigini situato al 122 di Rue de Provence. La casa di piacere aveva aperto i battenti da appena due anni ma si era costruita una gran bella fama in tutta Parigi grazie anche all'esperienza che la proprietaria, Madame Doriane, aveva maturato al Le Chabanais e trasferito interamente in questa nuova Maison. La mattina in cui Giuseppina Martorana bussò al portone chiedendo di poter lavorare madame Doriane la guardò, 2 la fece spogliare e cominciò ad osservarla attentamente e palpeggiarla. Quando si convinse che le sue forme erano ancora abbastanza sode e appetibili per i clienti la fece rivestire e l'accompagnò in una grande stanza dove c'erano una cinquantina di ragazze sedute attorno ad un lungo tavolo di legno intente a mangiare una minestra calda e pronte per iniziare il lavoro. Si guardò intorno e vide che tutta la maison era pulita e lucida, c'erano grandi divani, grandissimi specchi come non ne aveva mai visti prima ed era tutto in ordine, niente fuori posto. Miss Doriane notò lo sguardo incuriosito della ragazza e sorridendo le disse che c'erano gli addetti alle pulizie, non solo per le stanze ma anche per tutte loro e che il dottore sarebbe passato due volte a settimana per visitarla e certificare che fosse tutto a posto. A quel tempo il lavoro nei bordelli non mancava, anzi, la gendarmeria sosteneva che nella sola Parigi, nel classico turno che andava dalle tre del pomeriggio alle cinque del mattino lavoravano quasi seimila prostitute che esaudivano le fantasie più sfrenate dei loro clienti. Insomma, la mano d'opera non mancava e neppure la clientela e allora Doriane e suo marito Marcel decisero che non era il caso di continuare a prestare la propria opera al Le Chabanais e che era arrivato il momento di aprire una propria Maison per dare al cliente qualcosa che non potesse trovare da nessun'altra parte. Tanto per cominciare stabilirono che l'insegna davanti il portone doveva essere scritta in inglese, giusto per attirare potenziali turisti perché ai cultori parigini del sesso a pagamento bastavano pochi indizi: le persiane 3 chiuse, i vetri opachi e il numero civico illuminato come un faro. Poi instaurarono una specie di rapporto di collaborazione col vicino ristorante Le Boeuf à la Ficelle dove le cameriere servivano ai tavoli coperte solo da un grembiule che lasciava intravedere il seno e sculettando mostravano le natiche. Insomma il servizio era completo e i clienti erano soddisfatti. Tutti, compresi i pochi preti che fra una messa e una assoluzione vi si recavano. Pochi perché la maggior parte dei sacerdoti preferiva recarsi da Miss Betty al 36 di Rue Saint Sulpice dove c'era una bella e attrezzata sala delle torture e una non propriamente religiosa stanza del Crocifisso. Ma ciò che faceva del One Two Two uno dei bordelli più ricercati di Parigi era la composizione delle sue ventidue camere. Al primo giorno di lavoro le toccò la stanza “Orient Express”, una replica esatta di un vagone del famoso treno che includeva un effetto tale da far sentire il cliente come se stesse viaggiando. Quel giorno, col letto che si muoveva avanti e indietro e cigolava come se fosse lanciato a tutta velocità sopra le rotaie capì quanto può essere doloroso prendere un treno senza aver pagato il biglietto e dare la propria verginità per pochi franchi ad un perfetto sconosciuto che aveva pagato un extra alla maîtresse. Nel corso degli anni prese innumerevoli treni ed ebbe modo di fornire le sue prestazioni in tutte le ventidue stanze e di soddisfare tutti i desideri sessuali dei suoi clienti, anche quelli più inconfessabili. Ventidue stanze del piacere arredate ognuna in modo diverso dall’altra dove il cliente poteva immaginare di essere in un altro posto, su un treno lanciato a tutta velocità, ad 4 una battuta di caccia in Africa, in Egitto a scopare con la regina Cleopatra e persino in India. Sensazioni da provare e riprovare. Giuseppina le conobbe tutte e scoprì fino a che punto potessero arrivare le perversioni sessuali dell'uomo pronto a trasformarsi in bigliettaio, cacciatore di elefanti e sodomizzatore di gazzelle, antico romano e seguace della dea Kalì. Col tempo ci fece l’abitudine e comunque quella sceneggiata faceva parte del suo lavoro. Ma c’era una stanza che non sopportava: era la “Salle Pirate” dove era costretta a farsi scopare sopra un letto a baldacchino che oscillava come se si trovasse sopra un galeone in pieno oceano in balia della tempesta. Per rendere l'effetto ancora più realistico, ad un certo punto, da dentro le pareti uscivano getti d'acqua che bagnavano i seguaci del feroce pirata Barbanera i quali avrebbero provato la sensazione dell'ultima scopata sopra un vascello che stava affondando. Al One two two fece amicizia con tutte le altre ragazze, ma in particolare con una prostituta di nome Lea che quando la sentì parlare in dialetto (cosa che Giuseppina faceva di rado) le chiese da dove venisse e sorridendo pronunciò anche lei alcune parole in dialetto siciliano. Poi le confidò che era stata in Sicilia e per qualche anno aveva abitato a Cefalù. Ma la sorpresa più grande fu quando Giuseppina la vide nuda. Notò che la donna aveva un piccolo tatuaggio sul seno e in quel momento capì che la sua compagna di sventura era una di quelle donne che i carabinieri, anni prima, avevano cacciato via dal paese e da quella specie di demoniaca Abbazia. Anzi, le parve di riconoscere in 5 lei quella signora che una mattina di aprile era scesa dal treno con in braccio una bambina. Ecco cosa fa il resto del mondo mentre Don Antonio giù in paese distribuisce ostie consacrate. Si prostituisce. E una mattina, mentre stavano sedute a mangiare un piatto di minestra glielo disse. «Io vi ho visto» Disse «vi ho visto quando siete arrivata in paese e poi all'Abbazia.» Lea rimase un attimo sorpresa, poi si mise un dito davanti la bocca come per dirle di parlare sottovoce, di non far sentire niente alle altre. «In quel paese ci hanno visto tutti.» Rispose «No no... » Ribatté «io vi ho visto mentre pregavate, fuori, vestite con i vostri paramenti e tutte quelle cose che tenevate in mano. E ho visto il vostro capo con la testa rasata. Io ho visto cosa facevate, ero nascosta dietro un ulivo, gli altri, quelli che erano lì quando vi hanno cacciato via non hanno visto niente, ma io sì!» «Sei tu a non aver visto niente.» Disse Lea «quello che hai visto quando stavamo fuori è niente rispetto a quello che accadeva dentro quelle stanze. Cose che pur stando qui, dentro un bordello, non puoi lontanamente immaginare. Qui possono entrare preti, possono entrare vescovi, ma sicuramente non entrerà mai nessun Dio. Noi un Dio ce l’avevamo.» «Raccontatemi, dai!» chiese ancora Giuseppina. «Raccontatemi!» In un primo momento Lea rifiutò, ma visto che Giuseppina non si dava per vinta e ogni giorno le chiedeva notizie su quella Abbazia, sui suoi occupanti e 6 sui riti che si celebravano, una mattina le chiese di seguirla in giardino e inizio il suo racconto. «Al risveglio, quando ci alzavamo indossavamo i nostri paramenti, quelli che tu dici di aver visto, poi ognuno di noi prendeva i propri strumenti magici e ce ne stavamo in piedi rivolti verso oriente recitando una preghiera. Io ero la preferita, e il mio compito era quello di battere su di un gong e proclamare la legge. Io dicevo, “fa ciò che vuoi, sarà tutta la legge”, e tutti rispondevano: “amore è la legge, amore sotto il dominio della volontà”. Avevamo un preciso rituale che veniva eseguito toccandoci la fronte, il petto, la spalla destra e la spalla sinistra come a farci il segno della croce, solo che univamo le mani senza lasciare gli strumenti magici e pronunciavamo le Olahm. Ma non posso spiegarti cosa sono, non capiresti.» «Continua, non preoccuparti.» Rispose Giuseppina «Poi formavamo un cerchio andando da un angolo all'altro della stanza, da oriente a sud, poi ad occidente e infine a nord tracciando nell'aria il pentagramma con lo strumento magico e pronunciando il nome divino Ye-howau quando eravamo ad oriente, Adonai quando eravamo a sud, Eheieh ad occidente e Agla a nord e alla fine, con le braccia tese in croce pronunciavamo i nomi di quattro arcangeli che hanno il compito di cantare le lodi di Dio. Davanti a me Raffaele, dietro di me Gabriele alla mia destra Michele, alla mia sinistra Ariel. Ecco, questo è quello che facevamo dentro quelle stanze ed è quello che tu non hai visto» 7