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Quanto il mondo di Luana Licata. Parte Prima. Estratto.
Anche quella sera il film finisce e papà mi dice di andare a letto. Io faccio finta di
dormire. Non voglio andare da sola nella mia camera. Voglio addormentarmi lì,
sul divano, accanto a mio padre, accanto al mio eroe. Solo che lui cerca di
svegliarmi, allora sono costretta ad aprire gli occhi e ad alzarmi, a percorrere il
lungo corridoio e ad entrare nella mia camera, il covo dei mostri, il luogo che mi è
più nemico, più del bosco, più del parco dei drogati. Lascio la porta aperta nella
speranza che arrivi un po' di luce. Per essere sicura che la porta non si chiuda, la
blocco con i miei stivaletti. Sdraiata nel letto mi tiro la coperta fin sopra il naso.
Solo gli occhi rimangono allo scoperto. Non riesco più a tenerli aperti, sono
stanca, ma ogni volta che li chiudo mi sembra di sentire dei rumori strani, come
dei passi, dei passi strisciati sul pavimento, dei passi di mio nonno. Allora apro
subito gli occhi che mi bruciano e mi viene da piangere.
Non so quando succede che mi addormento. Sogno ancora. Sogno mia madre
nella sua camera che piange. Corro ad abbracciarla, sento il suo odore, caldo,
morbido. Le chiedo perché sta piangendo, lei non mi risponde. Continua a
piangere. Io alzo la testa e vedo che la persona che sto abbracciando non è mia
madre ma il nonno e adesso che mi ha preso non vuole più lasciarmi andare. Dalla
porta vedo Sofia che mi chiama e mi urla di stare attenta, di scappare, di ucciderlo
se è necessario. Mi sveglio di colpo. Sono tutta bagnata e credo di essermela fatta
addosso. Mi vergogno tanto. Ho paura di alzarmi dal letto, mi sembra di
consegnarmi volontariamente alle tenebre, la casa è silenziosa, dormono tutti. Ma
devo alzarmi per andare in bagno e pulirmi, non posso rimanere in quelle
condizioni. In bagno mi lavo nel modo più veloce possibile. Le mutande le metto
in un sacchetto di plastica che chiudo con un nodo e butto nella spazzatura.
Puzzano da fare schifo, puzzano di paura. Ma strette nella plastica l'odore
svanisce. L'incubo è finito. Ritorno a letto e, con gli occhi gonfi di lacrime e spilli,
mi addormento.
Il giorno dopo a scuola, durante l'ora pomeridiana di geografia mi addormento sul
banco. Non me ne accorgo nemmeno e non sogno. Dormo di un sonno pieno.
Sono stanca, debole e ho bisogno di dormire. Così crollo e vedo tutto nero. Mi
sveglia la campanella. Ancora confusa mi accorgo di avere le mani tutte
disegnate, i miei compagni mentre dormivo ne hanno approfittato per trattarmi
come un foglio bianco. Adesso non ce la faccio a trattenere le lacrime, ora che
guardo le mie mani e le mie braccia colorate da forme strane e mi arrabbio con me
stessa. Come ho potuto addormentarmi? Come ho potuto permettergli di
prendermi in giro in questo modo? I miei compagni escono dalla classe ridendo di
me, adesso proprio non riesco più a trattenere quell'ultima lacrima in più, che mi
bagna la mano e dilata l'inchiostro appena assorbito dalla mia pelle. Il maestro mi
guarda, non l'ho mai visto così serio. Dice che non gli era mai successa una cosa
del genere e che è costretto a scrivere una nota sul mio diario e che il giorno dopo
dovrò riportargliela firmata dai genitori. Io non parlo. Non ho il coraggio, non ho
parole, non so perché sia successo. Sistemo le mie cose nello zaino. Esco dalla
classe. Rimango davanti alla porta vetrata da cui posso vedere i miei compagni
giocare nella stradina. Aspetto che si allontanino del tutto. Mi vergogno troppo.
Vado in bagno e col sapone cerco di togliermi le macchie che ho come tatuate
sulla pelle. Vorrei si levasse subito tutta quella sporcizia che mi stanca, ma l'unica
cosa che ottengo è renderla sbiadita. I colori si attenuano, ma le macchie
rimangono.
CLASSIFICA DEI 3 SUPER POTERI CHE VORREI AVERE (in ordine
crescente)
3°posto: teletrasporto per poter scappare via ogni volta che voglio. Come adesso.
2°posto: viaggiare nel tempo per tornare indietro e fare andare le cose
diversamente.
1°posto: volare, senza ali, come Superman.
Esco dalla scuola e la stradina adesso è deserta. Nascondo le mani nelle tasche del
mio cappotto e cammino a testa bassa, nascondendo il volto nella sciarpa. Respiro
il mio stesso respiro. A casa la mamma non è ancora arrivata. Prendo una fetta di
torta e mi metto davanti alla tv a guardare i cartoni. Penso alla nota. Mia madre
questa volta si arrabbierà davvero, mi metterà in punizione. Potrei non dirle
niente, fare finta di nulla. Ma ho paura. Se lo viene a sapere poi è peggio. E se lo
viene a sapere anche papà è finita. Le sue punizioni sono le peggiori, quando
ceniamo e mamma gli racconta quello che ho combinato, papà mi costringe a stare
in piedi, al buio, nel corridoio, fin quando loro non avranno finito di mangiare. È
la punizione più brutta perché nel buio ho paura e mi viene da piangere, però non
posso. Non posso perché se piango adesso inizio e non la finisco più. Se piango
adesso piango per oggi, piango per la nota, perché mi sono addormentata in
classe, per i miei compagni, per i miei incubi, per Sofia, per il nonno e per te
mamma. Vorrei solo un abbraccio. Ma non posso permettermi nemmeno quello,
perché appena mi abbracci mamma io crollo e ti dico tutto quello che mi sta
succedendo, ti dico che non volevo addormentarmi oggi in classe, ma ieri notte ho
avuto un incubo, dalla paura me la sono fatta addosso. Ho dovuto pulirmi e
quando mi sono riaddormentata era già mattina. E sai perché faccio questi incubi?
No mamma, questo proprio non te lo posso dire, se lo dico sono una traditrice, l'ho
promesso a Sofia, le ho detto che non avrei detto niente a nessuno, nemmeno a te,
nemmeno alla mia mamma, le ho detto lo giuro.
Decido di lasciare il diario aperto sul tavolo della cucina. Appena entrerà mia
madre leggerà la nota e verrà a chiedermi spiegazioni e poi, dopo che l'avrà
comunicato a mio padre, decideranno insieme la punizione da darmi.
Sento la porta blindata aprirsi, è mia madre che porta con sé il gelo delle strade di
Milano. Cerca di scrollarselo dalle spalle. Si toglie il montone e mi saluta, mi
chiede com'è andata oggi. Io alzo le spalle, non faccio nemmeno in tempo a
risponderle che già se n'è andata. Conto i secondi, poi i minuti. Mi aspetto che da
un momento all'altro venga nel salotto per sgridarmi, per dirmi di vergognarmi.
Invece no, non succede niente, passa il tempo, ma non succede niente. Mi chiedo
se abbia visto il diario, forse ancora no. Aspetto in silenzio sulla poltrona, aspetto
in silenzio il terremoto. Solo che non arriva. Rimango tutto il pomeriggio sulla
poltrona fino alla sera, fino a quando non sento mio padre tornare a casa. Allora la
paura cresce sempre di più. Penso ad un piano ancora più malvagio, penso che
questa volta mia madre abbia voluto aspettare mio padre per umiliarmi davanti a
lui. La cena è pronta, ci sediamo a tavola. Mamma è seria, ma non dice nulla della
nota. A dire il vero il diario è scomparso, non è più sul tavolo, quindi deve averlo
visto. Allora perché non dice niente? Vuole davvero proteggermi? Mi stai
proteggendo mamma? Ma da cosa mamma? Da cosa mi stai proteggendo?
Il mattino dopo accanto alla colazione c'è il mio diario aperto, con la nota firmata.
Posso chiaramente leggere il nome di mia madre. Mi dice di sbrigarmi, che se no
faccio tardi. Sì, mi sbrigo e oggi ti prometto che non succederà, non mi
addormenterò sul banco, lotterò contro me stessa, ma non succederà, anche se
stanotte non ho dormito, anche se stanotte ho pianto in silenzio per la paura.
(…)
In macchina la mamma mi chiede perché non gioco più col nonno. Io non
rispondo.
- Il nonno mi ha chiesto se sei arrabbiata con lui. Dice che non lo abbracci più
come facevi prima. Ti ha fatto qualcosa?
Io non rispondo.
- Il nonno ci resta male se continui a comportarti così. Lo sai che ti vuole bene.
Io non rispondo.
- Lo so che tu preferisci giocare con Sofia ma... lui è anziano e non le capisce
certe cose. Pensa sia una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Anch'io ho
notato che lo eviti.
Mio padre guida in silenzio. Non dice niente. Mi chiedo a cosa stia pensando. A
cosa pensi sempre.
- Io gli ho detto che stai crescendo e che certe cose, quando si cresce, cambiano.
Però tu cerca di fare uno sforzo. Il nonno ti vuole bene.
Guardo fuori dal finestrino il paesaggio grigio d'inverno. È quasi buio. Fuori fa
freddo. In macchina no. Papà ha acceso l’aria calda. Però ho come dei brividi.
- Mi sento la febbre. - dico.
Quando arriviamo a casa mamma mi mette il termometro. Dice che in effetti ho la
fronte calda. Quando torna per controllare la temperatura dice che non se
l'aspettava che ce l'avessi così alta. Dice che la mia temperatura è quasi di
quaranta gradi e che le sembra assurdo dato che stamattina stavo bene. Io penso
che invece stamattina non stavo bene. Che non sto bene da un po' di tempo, da
quando non riesco più a dormire. Mia madre dice che sicuramente la stavo
covando, così dice, dice che stavo covando la febbre, che in questo periodo ero un
po' strana per questo, perché la stavo covando. Stavo covando la febbre a
quaranta. Sento il mio corpo tremare, però è come se non fosse mio, come se fosse
quello di un'altra persona. Sento solo il caldo. Un caldo terribile, un caldo che mi
dà il prurito. Vorrei uscire dal mio corpo e urlare che non lo voglio più. Non
voglio più starci là dentro. Ho i piedi ghiacciati e la testa bollente. Mamma mi
mette un panno bagnato sulla fronte. Mi mette una supposta perché dice che così
la febbre si abbassa più velocemente. Poi mi dice che devo stare coperta e che
devo sudare. Vorrei dirle che ormai sono settimane che tutte le notti sudo e che
non c'è bisogno della supposta. Non riesco più a vedere bene, mi si appanna la
vista. Non so come ma mi addormento e sogno. Sogno immagini confuse, suoni
forti, lamenti. Poi sogno il corpo di una donna disteso sul tavolo della cucina. È
come se fosse morta. La guardo meglio e mi rendo conto che è mia zia. Mia zia è
morta, è senza capelli e il suo corpo è disteso sul tavolo della cucina. Sofia dice
che non devo dirlo a nessuno. Mia madre piange. È seduta di fronte al tavolo e
piange con la testa tra le mani. Sofia continua a dirmi che non devo dirlo a
nessuno. A me viene da piangere per la zia. Mi fa pena il suo corpo calvo. Mi fa
pena e piango. Piango così tanto che piango davvero e mia madre corre a
svegliarmi. Apro gli occhi e mi ritrovo tra le sue braccia. Continuo a piangere, ma
continuo perché finalmente mi sento al sicuro, finalmente tra le tue braccia
mamma mi sento al sicuro. Il tuo odore caldo mamma, la lana del tuo maglione.
Non voglio più che mi lasci mamma, non voglio più alzare la testa dal tuo seno.
Piango così tanto che mia madre si spaventa. Mi dice che è stato solo un incubo,
di tranquillizzarmi perché è finito, che non è mai successo, che è tutto passato.
Mi chiede cos'ho sognato. Le dico che non me lo ricordo. Meglio, mi dice, e si
sdraia sul letto accanto a me. Mi gratta la schiena perché sa che mi piace. Mi
addormento con le sue unghie sulla mia pelle. Vorrei che scavassero più a fondo.
Vorrei che entrassero dentro di me incastrandosi senza poter più staccarsi dal mio
corpo, da quel corpo che non sento più mio.
Quando mi sveglio la mamma non c'è più. È notte e la casa è buia e silenziosa
come tutte le notti. Ormai riesco a vedere pure nel buio. I miei occhi si sono
abituati a tutto quel nero. Il grigio dell'inverno fuori, di giorno, il nero della notte,
dell'ora tarda, dentro, a casa, quando non riesco a dormire. Mi sento meglio, credo
che la febbre si sia abbassata, solo che mi sento tutta appiccicosa per il sudore e la
supposta unita alla solita paura, ai soliti pensieri, adesso si fa sentire. Ho un mal di
pancia terribile. Il pensiero che devo andare in bagno mi mette la nausea. Decido
di resistere, di rimanere nel letto. Ho troppa paura. Questa volta è peggio. È
diversa dalle altre volte. Questa volta se mi alzo succede qualcosa, lo so. C'è
qualcuno, ne sento il respiro, i piccoli movimenti dei suoi muscoli, c'è qualcuno
che si nasconde dietro la porta aperta, bloccata dai miei stivaletti. Non posso
alzarmi. È lì che mi aspetta e non posso andargli incontro. Ho paura. Ho paura.
Ho paura. I crampi allo stomaco mi fanno soffrire. Mi fanno così male che non
resisto più e svengo, svengo dal dolore, svengo per i crampi, la febbre, la
supposta, i miei incubi, il nonno, Sofia. Svengo. Finalmente svengo.