La strategia del margine

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La strategia del margine
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giugno 2003
LA STRATEGIA DEL MARGINE
di Aldo C. Pezzopane
Introduzione
La strategia del margine fu il titolo di una sequenza di articoli che scrissi per il
Notiziario dell'ANPAC nei primi anni 80. Un titolo dall’impatto immediato per
sollecitare il corretto atteggiamento nei confronti dell’attività di volo. Un
atteggiamento che non è possibile realizzare con continuità, specialmente in un
ambiente che sente gli effetti della deregulation tariffaria, nel quale la competizione
tra compagnie aeree è rovente ed il controllo dello Stato è certamente
problematico, quando non sia addirittura insufficiente.
Il comandante del volo China Airlines CAL 642, aeromobile MD-11 “crash-landed” e
finito pancia all’aria su una pista dell’aeroporto di Hong Kong il 22 agosto 1999,
ammise che fu un’operazione nella quale si trovò ad operare ai limiti: di peso
all’atterraggio, di vento al traverso, di manovrabilità della macchina. Senza
margini residui.
Quando scrissi la strategia del margine l'ANPAC aveva un forte connotato di
associazione professionale, era l’interlocutore istituzionale degli enti nazionali
dell’aviazione civile e raggruppava quasi tutti i piloti italiani. L'aviazione
commerciale italiana era costituita quasi esclusivamente dalle compagnie del
Gruppo Alitalia (Alitalia, ATI, Aermediterranea) e da Alisarda (poi Meridiana).
In quegli anni l'Alitalia ebbe un Direttore Operazioni volo di elevata competenza
tecnica ed anche di grande capacità gestionale, il Com.te Alberto Sekules. Egli
durò in carica quasi dieci anni, in pratica tutti gli anni 80. Nel decennio successivo si
ebbero (fino ad oggi) ben 6 direttori, in pratica uno ogni due anni (o anche meno),
una condizione che non ha fatto certamente molto bene ad un delicato settore
operativo, a prescindere dalla competenza di coloro che si sono avvicendati nel
ruolo.
In quel periodo Sekules fu membro attivo della Flight Safety Foundation ed insieme
al Com.te Silvano Silenzi (uno degli autori di questo sito) favorì tra i piloti del
Gruppo l'assimilazione di gran parte della cultura aeronautica prodotta nei Seminari
della Fondazione.
Utilizzai molto di quel materiale per realizzare un lungo articolo in cinque puntate
che ho rivestito a nuovo per questa edizione suddividendolo in due parti.
Sembra che l'espediente abbia già funzionato con altri "vecchi" articoli che
contenevano argomenti più che attuali.
La strategia del margine è anche il titolo del libro (dalla tiratura molto limitata)
pubblicato ad Aprile del 2000 e da me redatto insieme a Renzo Dentesano e
Silvano Silenzi. Il contenuto riguarda le tecniche di prevenzione e i criteri di
valutazione e gestione del rischio nei sistemi ove l’incidente può avere esiti
catastrofici. Il libro contiene il racconto di disastri aerei divenuti tristemente famosi
e contiene una interessante e determinante esposizione giuridica sulle
responsabilità degli incidenti aerei e sul risarcimento del danno, del dott. Giovanni
Battista Petti, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione in Roma.
[Il libro «La Strategia del Margine» è disponibile presso: Aviolibri - Via dei Marsi n.
53 - Roma tel.064452275]
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PRIMA PARTE
«A superior pilot must always use his superior judgment to avoid a
situation that requires him to demonstrate his superior skill.»
«Un pilota superiore (o superlativo) deve sempre usare il suo superiore (o migliore)
giudizio per evitare una situazione che gli richieda di dimostrare la sua superiore (o
eccezionale) abilità (o destrezza).»
E' evidente l'inadeguatezza della traduzione letterale di una frase che in inglese ha
un impatto immediato per la filosofia di mestiere a cui si richiama.
«Usa la testa, non il manico» si potrebbe dire per parafrasarne il significato, ma
non si riesce ugualmente ad esprimere la sostanza della frase.
Qualcuno ha detto che la lingua inglese è il veicolo principale della cultura
aeronautica moderna. Le terminologie, il lessico e a volte il «gergo aeronautico» di
più universale uso sono inglesi e come tali sono comunemente accettati ed utilizzati
presso le varie comunità professionali.
Non pochi termini, concetti e definizioni inglesi sono infatti difficilmente adattabili o
traducibili in altre lingue.
Forse il fatto che le tecnologie avanzate si sviluppano nel mondo anglosassone è
una delle cause del lento o mancato adattamento del nostro linguaggio agli aspetti
legati a tali tecnologie, o forse il pragmatismo anglosassone si manifesta con un
linguaggio estremamente elastico ed adattabile a qualsiasi nuova situazione.
Pertanto nella espressione di concetti o di aspetti filosofici della professione non si
può evitare la lingua inglese. Bisogna addentrarsi nella letteratura tecnica e
professionale anglosassone per disporre di esempi di «saggistica» sul nostro
mestiere.
D’altra parte ho sempre sostenuto che l'uso della lingua madre ha comunque diritto
ad una nicchia molto ristretta nell'attività operativa: si tratta delle frasi esplicative o
di collegamento tra le varie voci delle lista di controllo (o check list) che i piloti
usano a bordo in condizioni anormali o di emergenza. In tali condizioni non c'è
spazio per incomprensioni o ritardi dovuti alla diversa pronuncia dell'inglese di
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ciascun pilota. Questo è un problema di relazione interpersonale che si aggiunge ai
fattori culturali nell'ambito di equipaggi multi-etnici.
La strumentazione dei nuovi aeromobili con le check list che compaiono sui CRT
displays, possono costituire una possibile soluzione al problema.
In definitiva si tratta di definire ciò che è necessario conoscere e ciò che è utile
conoscere, ancora una volta più sbrigativamente ed efficacemente definito in
inglese, need to know e nice to know.
In una professione come quella del pilota d'aeromobile non si può limitare il proprio
bagaglio culturale solo a ciò che è necessario conoscere.
L'estensione della cultura professionale che si realizza con l'apprendimento di ciò
che si rivela utile conoscere contribuisce ad integrare l'esperienza individuale con
nozioni ed informazioni derivanti da altre esperienze o dalle esperienze di altri,
abitua alla ricerca della continua verifica esercitando, nello svolgimento delle
attività operative, un atteggiamento critico che, di nuovo, è più facile definire good
judgement.
L'obiettivo di questo discorso non e l’inglesizzazione ad oltranza del materiale
stampato fornito ai piloti, ma serve solo a considerare il problema in termini
oggettivi e reali.
Si può discutere sull'opportunità che il materiale didattico e quello destinato a
fornire la conoscenza specifica delle macchine e delle norme per il loro impiego non
dia adito a dubbi e sia quindi interpretabile allo stesso livello da tutti i piloti.
In altre parole il messaggio deve essere chiaro all'origine per consentire ai destinatari di assumere la responsabilità della sua corretta applicazione.
L'uso della lingua inglese può non soddisfare tale esigenza per i piloti non
anglosassoni, basti pensare a tutti quelli delle nazioni dell'estremo oriente asiatico.
L'altra faccia del problema è che l'hardware (macchine e dispositivi in genere) che
i piloti manipolano e gestiscono è di fatto un prodotto di tecnologia avanzata ed il
software (norme e procedure) per gestirlo correttamente diventa ogni giorno più
lontano dalle possibilità della nostra lingua.
[Basti pensare ai sistemi operativi per computer, come il Windows 95, che erano
preferibili in Inglese perché in Italiano davano dei "bugs".]
Da quanto detto deriva la necessità che tutti i piloti siano qualificati con adeguati
corsi e con periodici refreshments ai richiesti livelli di conoscenza dell'Inglese.
Questo per quanto riguarda il need to know. Relativamente al materiale che
costituisce il nice to know, cioè quelle informazioni che pur non essendo
strettamente necessarie alla condotta del volo ampliano in modo significativo
l'orizzonte culturale del pilota, non possiamo far altro che rivolgerci a ciò che viene
scritto in inglese sull'argomento.
La Flight Safety Foundation è stata per anni e continua ad essere una sorgente
continua di tali argomenti. I bollettini periodici da essa pubblicati sono ora
disponibili anche in rete; essi riguardano la sicurezza delle operazioni di volo, delle
operazioni a terra negli aeroporti e contengono i riporti di incidenti ed eventi di
pericolo che possono fornire un'indicazione per adeguati comportamenti che ne
evitino il ripetersi.
Molti anni fa vi apparivano di frequente i rapporti di piloti testimoni di eventi
riguardanti la sicurezza delle operazioni: erano espressi in prima persona con
l'aggiunta di utili considerazioni. Altri piloti commentavano nei successivi bollettini
sia gli episodi riportati che le considerazioni fatte.
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L'argomento più ricorrente era l'aspetto decisionale riguardante l'interruzione di un
operazione e la scelta alternativa come la riattaccata da avvicinamenti
destabilizzati, o per cause meteorologiche con dirottamento ad un aeroporto
alternato. Abbiamo presentato diversi articoli su questo sito che, anche se vecchi di
15 o 20 anni, hanno sempre una indiscutibile attualità. Come il seguente che
consigliamo di leggere.
ƒ Documento: Awareness of stresses associated with approaches and landings
under marginal conditions - J.S. Clauzel (english)
Facciamo riferimento a quest'ultimo articolo per richiamare alcuni aspetti
significativi, utili al discorso che intendiamo proporre: la strategia del margine.
«Aviation, to an even greater extent than the sea, is terribly unforgiving of
any incapacity, carelessness or neglect.»
Quali sono i fattori che rendono marginale un avvicinamento? Clauzel [è
conveniente rileggere l'articolo citato], con una panoramica efficace, indica quelli
dipendenti dall'aeroplano e dall'ambiente (...it should be recalled that weather can
make the aircraft's environment not only hostile, but deadly... non solo ostile ma
mortale).
Bassa visibilità, windshear, turbolenza, vortici di scia ed alcune caratteristiche della
zone di avvicinamento che inducono pericolose illusioni ottiche sono tipici fattori
ambientali.
Clauzel indica anche i fattori propri del pilota che possono essere di carattere
fisiologico o psicologico; questi ultimi sono in parte legati alla vita privata
dell'individuo e in parte dipendenti da pressioni presenti nell'ambiente di lavoro,
che possono essere esterne, come mantenimento dello schedulato, regolarità,
necessità dei passeggeri, ATC e simili, oppure interne, come orgoglio, timore di
esporsi, aspettativa di riconoscimenti per atteggiamenti di collaborazione ed altre,
tra cui potevamo mettere il pullmino dei 10' (per i non addetti ai lavori era il
modo di chiamare il primo mezzo utile che portava a casa gli equipaggi in arrivo dai
voli ad intervalli di 20 minuti) conosciuto in inglese come get-homitis syndrome.
Perché tentare di recuperare un avvicinamento marginale? Nel porre questa
domanda Clauzel, dopo aver indicato i fattori che rendono marginale un
avvicinamento, intende sollecitare nel pilota quell'atteggiamento critico che al
momento opportuno gli faccia riconoscere che si sta infilando in una condizione
marginale.
Dal momento che la tendenza globale del numero di incidenti negli anni denuncia
una netta diminuzione, tendenza che è presente anche nel numero di incidenti
avvenuti in avvicinamento ed atterraggio e, constatato che ciò nonostante sale la
tendenza di quelli legati a fattori ambientali (weather related), ne consegue che la
maggior vigilanza deve essere applicata a queste ultime condizioni.
Quindi recuperare un avvicinamento marginale vuol dire gestire il volo in modo da
interrompere una catena di eventi e di situazioni che non concederebbe mancanze
ulteriori, non gravi in se stesse ma fatali per le condizioni in cui avvengono.
D'altra parte marginale significa proprio che lo spazio per gli errori si è assottigliato
al punto da non consentirne.
A questo proposito ritengo utile ricordare un criterio di configurazione della
sicurezza già espresso nell'articolo
ƒ Airmanship – Un modello concettuale ed operativo di riferimento
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Affermai che la strada della sicurezza non è un ponte fornito di balaustra o
corrimano che garantisca chi procede sui bordi del ponte al pari di chi procede al
centro, dal rischio di cadere nel sottostante precipizio.
Essa è piuttosto un sentiero irregolare del quale è sempre difficile stabilire i contorni
e scorgerne i bordi, a volte percorribili, ma a volte capaci di nascondere grosse
insidie, un sentiero che può sembrare una strada sulla quale procedere speditamente ma che in realtà è percorribile solo su una stretta fascia e con estrema
cautela.
Se la sicurezza fosse il ponte chiaramente delimitato, i minimi operativi [ed anche
l'adempimento ai requisiti minimi della norma da parte di enti e compagnie]
costituirebbero la balaustra che consente l'adeguata salvaguardia fino alla quale ci
si può spingere senza eccessive precauzioni. Se assumiamo invece la strada della
sicurezza simile ad un sentiero dai bordi imprecisati, la funzione dei minimi è quella
di avviso di confine, di segnale d'area di rischio, di condizioni da valutare
attentamente per la possibilità che la concomitanza di altri fattori crei accumulo di
circostanze sfavorevoli.
In base a questo discorso mi è comodo aprire una parentesi che lo esemplifica in
modo adeguato.
Chi ha studiato il problema a fondo ha stabilito con prove sufficienti che
generalmente i minimi di atterraggio di CATEGORIA 1 (200/600) non costituiscono
una valida salvaguardia per questo tipo di operazioni al pari di quanto lo sono i
minimi 150/500 per operazioni di CATEGORIA 2 e, dopo sufficiente esperienza,
anche i minimi 100/400. [La transizione alla CAT 3a e CAT 3b attraverso lo sviluppo
di apparecchiature automatiche adeguate e, ancor più, attraverso adeguato
addestramento, ha ulteriormente ridotto le incertezze e i problemi di carattere
operativo-decisionale quando l'aeromobile si avvicina ai minimi di atterraggio].
Ecco quindi che, pur avendo spostato il confine delle operazioni, esso ha acquistato
un connotato di maggior definizione, il che costituisce una riduzione dell'area di
rischio.
Sempre a proposito del margine la seguente definizione di un umorista americano
può essere indicativa di come non sia quasi mai possibile distinguere in modo netto
tra sicurezza e mancanza di sicurezza: «an accident has been defined as ten things
going wrong at once, an incident as nine things going wrong at once, and air safety
as only eight things going wrong at once.»
«Plan ahead, Be sure of next step.»
Clauzel indica come tentare di risparmiarsi un avvicinamento in condizioni marginali
e individua nell'accurata preparazione del volo il primo significativo step per
assicurarsi un esito favorevole della missione.
«Flight planning, especially during marginal weather, should begin before take-off
and be reaffirmed throughout the flight before the descent is made. This provide
the pilot with a detailed mental picture of the entire instrument approach procedure
and runway environment before the approach is initiated.»
Ovviamente un pilota ha sempre un certo quadro mentale dell'avvicinamento che
sta per intraprendere, ma se questo non è il risultato di una pianificazione accurata
e, in particolar modo, critica e se non sono state preparate fin dall'inizio del volo le
basi necessarie ad una sicura condotta con alternative disponibili in ogni momento,
le pressioni interne ed esterne intervengono a riempire i punti oscuri presenti nella
vicenda a cui si va incontro.
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Queste pressioni hanno più probabilità di assumere preponderanza se
l'avvicinamento a causa di una frettolosa, routinaria o mancante preparazione del
volo fin da prima del decollo, assume il connotato di un cul de sac, di un imbuto
nel quale ci si infila con poco spazio per alternative sicure (sia nel senso di certe
che nel senso di safe).
Insistere nel proseguire una discesa e un avvicinamento iniziale in certe condizioni
meteorologiche pensando di rimandare agli ultimi istanti dell'avvicinamento finale la
decisione di interromperlo è già un procedere nell'imbuto ed è la manifestazione
che si è già preda di pressioni estranee alla sicurezza.
Un pilota di provata esperienza era solito dire che un volo di linea va pianificato
dall'aeroporto di partenza ad un aeroporto sicuro compreso nella rosa degli
alternati, non solo in termini di rifornimento carburante, ma proprio come se si
dovesse effettivamente fare un volo da A a C passando se possibile per la
destinazione schedulata B.
D.E. Hardin, check pilot della McDonnel Douglas, dava un consiglio preciso: «When
you commence an approach your aim is to make a go-around, if you are lucky you
can land.»
In realtà il suddetto tipo di pianificazione a volte non viene fatto nemmeno in
termini di rifornimento carburante, il che esclude già la predisposizione mentale al
comportamento sopra indicato.
Infatti quando gli alternati dell'aeroporto di destinazione previsti dal piano di volo
sono aeroporti assistiti da aiuti non di precisione, senza radar di terra, e sui quali
non si ha famiilarità, non si può pensare di presentarvisi come ultima eventualità
dopo una riattaccata a destinazione, dopo aver esaurito le riserve (imbarcate nella
quantità minima richiesta) e atterrando, se tutto va bene, letteralmente short on
fuel.
Al contrario un comandante di linea che pianifichi un volo in sicurezza si pone
l’obiettivo di riportare comunque a terra se stesso, l'aeromobile e il suo carico.
«The goal of every flight is to get the airplane safely on the runway, at the
scheduled destination, if at all possible» (Clauzel).
La lettera di Jansen [Douglas Aircraft CO. Flight Operation Director] agli equipaggi
fu un palese richiamo per i piloti ad assumere un comportamento più professionale,
ad esercitare una maggior vigilanza nello svolgimento delle operazioni, ad evitare
che la complacency entrasse nel cockpit.
Questo documento di Clauzel non ha lo stesso tono di richiamo e di esortazione
usato da Jansen. Esso è principalmente un elenco, obiettivo e supportato da fatti,
dei problemi fondamentali del mestiere di pilota di linea; in tal modo raggiunge lo
scopo di sensibilizzare i piloti che, in tal modo, non possono non sentirsi coinvolti da
molte sue affermazioni. Clauzel elenca praticamente tutte le condizioni che rendono
marginale un avvicinamento e le passa in rassegna brevemente dando abbastanza
per scontato che i piloti sappiano tutto su avvicinamenti in bassa visibilita, illusioni
ottiche, windshear, wake turbulence e sulle tecniche (praticabili con adeguato skill)
per contrastare tali fattori o sui criteri (applicabili con necessario judgement) per
evitarli.
Questo sottintende naturalmente la necessità di approfondire la conoscenza di tali
fattori ove essa non fosse sufficiente. Clauzel entra invece maggiormente nel
dettaglio del comportamento dell'aeromobile in turbolenza di bassa quota e stavolta
non dà affatto per scontato che tale comportamento sia noto ai piloti in tutte le sue
implicazioni: «We believe that the foregoing (il ridotto margine sullo stallo a causa
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di eccessive manovre) is not generally known by flight crews and may offer an
explanation as to why such a large number of accidents and near accidents have
occurred when the airplane landed short, landed hard, or hit the ground while
attempting a missed approach under turbulent and/or otherwise marginal
conditions. The obvious message here is that flight crews should be made aware
that excessive maneuvering, whether due to poor line up or heavy turbulence,
shouId be avoided during approaches, landings, or missed approaches.»
Non serve certo sottolineare che il messaggio è ovvio. I moderni aerei di linea
devono essere sempre stabilizzati sulla traiettoria di avvicinamento e i gates
previsti vanno rispettati non per ragioni fiscali ma per obiettivi motivi di sicurezza.
Stabilizzati vuol dire essere su un sentiero di volo che intercetti la pista nella zone
di contatto e che può essere mantenuto senza manovre e assetti che superino certi
limiti; limiti sempre più ristretti man mano che ci si avvicina al suolo.
Stabilizzati vuol dire inoltre configurazione acquisita e velocità stabile intorno
al valore prefissato e vuol dire infine che non deve essere necessario fare escursioni
con i comandi di volo a causa di turbolenza tali da cadere nel campo delle limitazioni indicate da Clauzel.
L'aereo non va trattato come un animale da rodeo e, se dà la sensazione di
volervisi scrollare di dosso, vuol dire che esso per primo si ribella a quello che gli
volete far fare; bisogna prenderlo come un avvertimento, esso sente che
avvicinarsi al terreno in quelle condizioni non è opportuno; costringerlo non è
consigliabile e riuscire ad atterrare e dire poi tra se: “grazie a Dio ce l'ho fatta”,
forse è comprensibile, forse a tutti è accaduto, ma certo non è molto professionale.
Clauzel, d'altra parte, indica abbastanza chiaramente il meccanismo psicologico che
condiziona i piloti a proseguire un avvicinamento in certe condizioni.
«The pressure to continue also reflect an "ego " involvement associated with:
1) I can make it.
2) Why go around, I made it last time.
3) The aircraft ahead made it, why can't I?
4) I have a reputation to maintain. Etc.»
Ecco che cosa dice in un articolo sul windshear il Comandante J.T. Fredrickson,
già direttore operazioni volo della Northwest Orient Airlines riferendosi in particolare
ai riporti dei piloti in condizioni meteorologiche caratterizzate da rapidi cambiamenti: «No pilot should allow the pilot of another aircraft to make his decision for
him. Make your decision on the fact known to you. If in doubt, it is time to go to
plan B, which is "get the hell out there ". ( In sostanza: stiamocene fuori dai guai).
The hazards of relying on the success of pilots on preceding flights has been
demonstrated time and time again when severe and changing weather conditions
exist. Many a pilot has made it to the runway and while taxing in muttered to
himself, "thank you, Lord, I'll take it from here". (Più o meno: grazie Signore per
avermi portato fin qui, da qui in avanti ce la faccio da solo).
You may not be so blessed. We say again, if in doubt, don't try.»
Questo si collega perfettamente al punto 3) indicato da Clauzel: «the aircraft ahead
made it. wky can't l?»
Fredrickson esorta a non condizionare la propria decisione agli atterraggi riusciti
(successful) degli aeromobili che precedono perché egli sa, come lo sa Clauzel, che
il pilota che porta a terra fortunosamente un aeromobile, anche se ammette con
se stesso che avrebbe fatto meglio a riattaccare, raramente definisce hazardous le
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condizioni da lui incontrate qualora gliene venga richiesta, via radio, una
valutazione.
Nella sue esposizione delle condizioni marginali che si possono presentare in un
avvicinamento, Clauzel ha giustamente dubitato che esista una sufficiente
consapevolezza dei piloti riguardo alle conseguenze di eccessive manovre a bassa
quota in configurazione di atterraggio. Non ha però parlato affatto di un altro
problema emergente in questi ultimi tempi, il rainshear. Se ne occupa invece un
Flight Safety Foundation Bullettin: «There is a renewed interest in the effect of rain
on aircraft. While rain probably does have some effect on aircraft lift or drag,
research on rain effect is still in the preliminary stage.»
[Ricordo che quest’articolo è di vent’anni fa ma il fenomeno del rainshear
invece di essere approfondito è stato dimenticato]
Effettivamente la mancanza di dati sperimentali a disposizione non consente una
precisa collocazione di questo fenomeno che in ogni caso ha una influenza
chiaramente dimostrabile sulla dinamica (quantità di moto) e sull'aerodinamica (lift
e drag) dell'aeromobile.
Si tratta in breve di valutare: il peso della pellicola d'acqua che si deposita sulle
superfici dell'aeromobile, la perdita di momento dovuta all'impatto delle gocce
d'acqua sulle superfici dell'aeromobile, l'aumento di resistenza e la riduzione di
portanza dovuti alla modificazione del profilo alare provocata dalla non omogeneità
della pellicola d'acqua e alla rugosità della stessa dovuta all'impatto delle gocce
d'acqua.
Questo argomento fu trattato in un articolo del Comandante Giovanni Riparbelli,
estratto da una ricerca effettuata presso il Dayton Research Institute e apparve sul
Notiziario ANPAC n.10/1981, ove si vide che il fenomeno non era da sottovalutare,
tanto più in quanto non era perfettamente conosciuto in tutti i suoi aspetti.
A questo proposito ricordo che un comandante diversi anni fa, dopo aver incontrato
in corto finale un piovasco di moderata intensità in una condizione di vento quasi
calmo ed essendo atterrato mentre dava potenza per contrastare un improvviso
calo di velocità se ne uscì con una battuta emblematica della sensazione provata e
dell'effetto dinamico sull'aeromobile: "... un gavettone da far piegar le gambe".
«Normalcy prevails until the point of impact.»
Clauzel citando le statistiche, afferma che il 64% degli incidenti hanno cause che
possono essere fatte risalire all'equipaggio e che, come abbiamo prima ricordato,
pur diminuendo il numero totale degli incidenti, aumenta il numero di quelli in
atterraggio in condizioni marginali. In definitiva afferma che i piloti non sanno, non
vogliono, o più realisticamente hanno un impedimento comportamentale ad evitare
od interrompere certi tipi di avvicinamento. Si tratta praticamente di un richiamo ad
essere ipercritici nella valutazione delle operazioni di volo, dato che operazioni in
condizioni marginali avvengono più di frequente di quanto non si creda con un
connotato di normalità che prevale su qualsiasi altra considerazione.
E' possibile programmare l'uomo per evitare che questo avvenga? O meglio, e
possibile per il pilota programmarsi un comportamento che faccia scattare in lui
quegli avvisi che in ogni condizione portino a decisioni corrette?
II Comandantete Hal Sprogis ci dà un saggio di questo comportamento in un
articolo pubblicato dalla Flight Safety Foundation.
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Deciding when you are at risk
The question comes to mind - Can a crew determine when their margin of safety
from catastrophe has seriously deteriorated? Today, operations on a day-to-day
basis are affected by and based upon the "normalcy" of these operations. A
"normal" trip is one that is considered to operate from A to B without irregularities.
This operation would be without mechanical irregularities, serious weather
problems, inoperative approach components and any other distractions that might
occur, especially during the descent/approach phase.
When irregularities do occur at these times, the safety factor for the flight is
reduced. When a problem occurs it is logical (and is policy) that "all the time that
may be available" be used to solve the problem. During this time the crew would
exhaust every means possible to resolve the problems before making the approach.
This would involve consulting the flight manuals, making maintenance contacts and
researching any other material that might be available if conditions permit. All and
any of these actions are distractions to the normal operation of the flight, and as
such, constitute a change in the safety level of that trip. Any such extra and
unusual extended flight time creates opportunities for exposure to rarely
accomplished tasks. As a result, hazardous conditions for the remainder of that
flight are created.
The fact that we do operate 90% or so of trips routinely and on schedule,
makes us considerably less safety efficient during prolonged unusual
operations.
We are use to being "normal" and going right in. We are not well-practiced in
operating within this new involvement and therefore, we are subject to
deterioration of safety. The potential for an incident/accident now exists.
When an approach begins to produce heavier and heavier crew workloads (e.g.,
thunderstorm deviations in the airport area, dark night, variable low ceilings with
crosswind, marginal runway conditions, etc.) the crew responds to the increased
workloads as being a "normal" part of the job. No one thinks that they are going to
crash because of a few thunderstorms, a dark night, crosswinds, slippery runways
and such operational problems. The increased workload is considered necessary for
a "normal" operation under those conditions, and on the surface it is thought of as
being routine.
Rather than think that he will crash as a result of engaging in such an approach,
every crewmember correctly busies himself more with the operation at hand, but
he also allows the idea of having further mental anxiety which might better prepare
him to guard against disaster.
No one ever says, "Well, it looks as if this may be our last flight. With
these rough conditions, we probably won't make it”.
So safety considerations should visibly predominate in crew thought even when
operating in normal conditions such as described above. Crews are expected to
think safety under such conditions. However the "disguised normalcy" of such
operations tends to effectively obscure the fact that a deterioration of safety has
occurred. "Normalcy" prevails until the point of impact.
Suggestion: To guard against this decrease in safety efficiency, let the fact that any
unusual or different event in your mode of operations be considered as an “amber
light” in your mind, warning of possible hazardous conditions. Verbally
communicate this thought, and then go back to the demanding work that may be
required to complete the trip safely.
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Think unusual, think distraction, think hazard, communicate, and then apply
yourself to the problem at hand.
"What we anticipate seldom occurs, what we least expect generally
happens".
Parlando dei fattori che riguardano l'uomo non dobbiamo riferirci solo al pilota e,
pur non allargando l'esame ad ogni categoria interessata alle operazioni di volo,
vanno considerati i fattori che condizionano il comportamento degli uomini che
hanno il compito di mantenere un sicuro e spedito flusso di traffico, comportamento
che costituisce una pressione aggiuntiva per i piloti. Il sistema ATC e i suoi
operatori non sono sempre sintonizzati con l'esigenza o la possibilità che un
aeromobile interrompa un avvicinamento. L'affidabilità dei moderni aeromobili e
degli aiuti per l'atterraggio è tale che un controllore che ha seguito centinaia di
avvicinamenti nel suo arco di tempo di impiego e tutti conclusisi con atterraggi, è
condizionato da un fenomeno psicologico, detto expectancy, che lo rende
mentalmente impreparato a gestire una traccia che gli rispunta imprevedibilmente
sullo schermo radar dalla zone aeroportuale.
Ecco una breve considerazione sull'argomento tratta dall'articolo Landing
compulsion, to land or not to land citato in bibliografia da Clauzel e redatto a
suo tempo da H. Mouden (Eastern Airlines Flight Safety MGR): «At the busier
airports in our present Airway Traffic Control system, a go-around affects much
more than just that aircraft. The system itself is basically geared to the anticipation
of a landing from each approach. The spacing of following aircraft, and the
departure from feed-in points, are all immediately affected as soon as an approach
is not completed to landing. It is difficult for a controller, who has observed several
hundred consecutive landings without a single go-around, to keep mentally
oriented for an incomplete one on every approach.»
[L’articolo di Mouden fu proposto in questo sito il 4 novembre 2001: From landing
compulsion to Controlled Flight Into Terrain. What pilots need to know]
Un commento in sostanza analogo venne fatto da un comandante di linea su un
periodico della sicurezza volo di un importante aviolinea americana: lo riportiamo.
«Should a pilot wish to demonstrate this controller expectancy, just make a missed
approach at O'Hare (Chicago) when the weather is below VFR but substantially
above minimum, and no one else has made a missed approach.
You will rapidly learn that cleared for approach means "cleared for approach to
land" not "cleared for approach and missed approach".
To further illustrate this phenomenon, next time you are cleared for an approach,
ask the controller what he would like you to do should you make a missed
approach. You will be greeted with a period of silence. The expectancy phenomenon
can be such a strong motivating force that an approach controller can fail to
recognize that an aircraft has landed or crashed, as has been the case in several
recent accidents.»
L'esistenza di questa condizione, percepita dai piloti, può dar la sensazione che un
mancato avvicinamento possa causare inconvenienti maggiori di quelli che voleva
evitare e si instaura un ulteriore pressione ad atterrare.
Quanto detto costituisce una sorta di remora all'effettuazione di un mancato
avvicinamento mentre alcuni comportamenti dei controllori o dei piloti possono
accentuare le caratteristiche marginali di un avvicinamento. I controllori operano
spesso per favorire avvicinamenti veloci e i piloti generalmente acconsentono.
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Questo consenso o peggio la richiesta dei piloti per mantenere alta velocità o per
abbreviare i percorsi possono instaurare la convinzione che questo sia il modo
corretto e professionale di operare.
Un avvicinamento veloce anche in condizioni meteo buone ha in sé dei connotati
marginali che è opportuno sottolineare.
II rumore a bassa quota e ad alte velocità che c'è in cabina nella maggior parte
degli aeromobili di linea non è compatibile con l'esecuzione di check list, con la
sintonizzazione di radioaiuti, con i cambi di frequenza dei vari settori di controllo e
con l'esigenza di una adeguata crew coordination.
Diminuire i tempi a disposizione per assolvere a questi compiti procedendo con
elevati variometri conseguenti a velocità elevate vuol dire diminuire i margini
dell'avvicinamento. Tranne che in casi estremamente particolari in cui per ragioni di
sicurezza sia più consigliabile abbreviare il tempo o il percorso di volo, il pilota dovrebbe sempre astenersi dal richiedere avvicinamenti veloci.
Ciò può essere richiesto dal controllore ATC e allora il comandante deve considerare
che tale richiesta può comportare variazioni notevoli da quanto pianificato ed
espresso in termini di briefing all'equipaggio. Accettare sulla base della
constatazione che c'è ampio margine per farlo, riduce di fatto il margine prefissato.
In proposito, esaminiamo un evento tipico.
Ore 22 locali, aeroporto di Fiumicino, vento 080°/7 kt, visibilità oltre i 10 km; 3/8 di
cumuli a 2000 ft.
Pista in uso 16 L. Un aeromobile B-727, proveniente da Sud, ha lasciato CIA NDB
per procedura standard ILS 16 L.
II comandante, che è alla condotta, predispone la riduzione di velocità a 250 kt,
proponendosi di far eseguire l'approach check-list.
In quel momento il controllore d'avvicinamento chiede al volo in questione di
mantenere la velocità il più a lungo possibile. Ha due traffici in arrivo da nord; uno
ha lasciato TAQ VOR, l'altro e nei pressi di CMP VOR. II controllore poco dopo
comunica: "XXX se abile a virare inbound, assumere prua 220° per il Localizzatore,
scendere a 1.500 ft, ulteriore discesa sul glide".
II comandante dimentica di chiedere l'approach check list e non viene inserito il "no
smoking". La sua attenzione subisce una deviazione a causa del diverso
comportamento da adottare e del maggiore impegno che comporta seguire le
istruzioni del controllo in un certo senso contrastanti tra loro.
Infatti il comandante aveva ritenuto di poter mantenere una velocità più elevata
pensando di seguire il percorso standard, mentre con l'invito ad abbreviare tale
percorso diventa necessaria l'immediata riduzione di velocità e configurazione per
l'atterraggio.
L'istruzione ad assumere prua 220 prima di quanto avesse previsto viene accettata
ritenendo di dover essere "più o meno" in grado di stabilizzarsi correttamente
anticipando l'estensione del carrello rispetto a quella dei flap, anche perché la
presenza degli altri due traffici convergenti fa ritenere opportuno assecondare il
controllore per avere un'adeguata separazione.
Un assistente di volo che era stato istruito, come gli altri, a non entrare in cabina di
pilotaggio dopo l'accensione dell'avviso "no smoking", non vedendolo inserito, vi
entra per chiedere quanto tempo manca all'atterraggio, inondando di luce il cockpit
e in particolare i pannelli degli strumenti anteriori.
"Le avevo detto di non entrare dopo che...!?" dice il comandante e si rende conto
che il "no smoking" è ancora disinserito. Chiede l'approach checklist che viene
eseguita concitatamente saltando diverse voci e appesantendo ulteriormente il
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carico di lavoro del momento. Il rumore in cabina a cause del carrello esteso e della
velocità è elevato. L'aeromobile e praticamente sull'Outer Marker quando raggiunge
il localizzatore.
Il controllore vedendo l'aereo che si sta stabilizzando sul localizzatore, poco al di
sopra del glide path istruisce il volo a contattare la Torre per l'autorizzazione
all'atterraggio. Con i motori al minimo e diverse deviazioni a "esse" sul localizzatore
l'aeromobile assume definitivamente la configurazione per l'atterraggio intorno ai
400 ft e la velocità e il regime motori previsto intorno ai 200 ft con il risultato di un
avvicinamento completamente fuori standard e in realtà poco professionale.
Diversi elementi hanno influito negativamente su questo fatto. Il margine che
l'operazione di avvicinamento consentiva nel modo in cui è stata condotta era
pressoché nullo ai fini di una stabilizzazione corretta, cioè attraversamento dell'OM
alla configurazione e alla velocità previste.
Infatti è bastata la distrazione dovuta all'intrusione in cabina dell'assistente di volo,
provocata d'altronde dall'aver dimenticato l'esecuzione della check-list, a far
ritardare momentaneamente il controllo dell'evoluzione dei parametri di volo.
Inoltre la mancanza di un dato significativo che il controllore avrebbe dovuto dare,
cioè la distanza dalla soglia pista da percorrere in volo secondo il nuovo percorso
suggerito, non ha consentito al pilota l'immediata valutazione dell'impossibilità di
stabilizzarsi tempestivamente e correttamente. Tale dato in avvicinamenti vettorati
dal radar da posizioni sottovento, è generalmente fornito dai controllori di sisterni
ATC più sensibilizzati ai problemi di condotta degli aeromobili, non sempre invece
avviene nel nostro ambiente ATC.
A questo va aggiunto che il pilota ha trovato un vento in quota, durante il tratto
base, che lo ha spinto verso la pista aggravando i problemi di stabilizzazione.
Il tutto è stato comunque innescato dall'adesione ad un tipo di istruzione che ha
fatto deviare il comportamento dei piloti da quello pianificato inizialmente.
«Pilot became rushed and got behind the airplane.»
L'avvenimento testé narrato è uno dei tanti che si verificano quotidianamente con
elementi simili che possono presentarsi singolarmente o in concomitanza.
La legge di Murphy è sempre con noi: «se esiste la possibilità che un fatto
avvenga, prima o poi esso avverrà.»
Il fattore umano che si manifesta prevalentemente in queste condizioni e definito
desire to please.
Cioè si acconsente a richieste, oppure ad istruzioni, perché il rifiutarlo non consente
in fonia di fare discorsi che addolciscano tale rifiuto e all'istruzione "make a fast
approach" può essere difficile replicare con un secco "negative".
C'entra infatti la personalità, il carattere, il modo di comportarsi con gli altri, il fatto
che una reazione di contraddizione è psicologicamente negativa mentre un
atteggiamento di disponibilità è immediatamente gratificante per la propria
immagine.
Le cabine di pilotaggio non sono però salotti dove accogliere gli amici e a volte un
"caratteraccio" si può rivelare utile per la sicurezza.
In ogni caso la soluzione è sempre la via di mezzo, e quando è possibile è
necessario che il pilota manifesti con cortese e tempestiva chiarezza le proprie
intenzioni al controllo ATC, evitare di farlo può indurre seri inconvenienti.
Recriminare come fa il pilota che ha stilato il seguente report alla Flight Safety
Foundation non serve a molto ed è controproducente per l'immagine professionale
del pilota stesso.
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From a B. 747 skipper
«Weather: 300/1 with light rain. Instrument approach Captain's first trip. No check
pilot. F/O's first trip in 2 months. F/E's first trip in a month.
JFK controller suddenly issues aural vectors to Localizer to intercept Localizer inside
Outer Marker.
Result: no positive identification from cockpit of Outer Marker. No positive altimeter
check on glide slope over OM.
Hairy dive to intercept glide slope. Ground proximity warning system whopping and
calling out “pull up, pull up”.
F/O forgot to switch over to tower, missed altitude call-out while watching for
ground to appear, F/E still going through check-list over the fence.
All this to save a few minutes of controller's time and clear his board of approaches.
All the ingredients present for a dive into the ground if altimeters not set properly,
voiding safety factors of GPWS, cockpit navigation double checks.
Advise controllers not to do this in minimal weather conditions.
A 747 is an instrument-flown aircraft, not a hot rod kiddy car!!»
Quando lessi questo rapporto rimasi stupito.
Era mai possibile che un comandante di linea credesse davvero che il controllore
dovesse o potesse tener conto della sue esperienza sulla macchina (primo volo) e
fosse responsabile di tutte le cose elencate? Mi sembrava un comportamento tanto
poco professionale che sarebbe stato meglio per il pilota in questione volare in
prima classe. Naturalmente nei successivi bollettini apparvero dei commenti di altri
piloti altrettanto sorpresi da tale rapporto e che diedero le giuste parole alle
considerazioni che avevo fatto.
From a B-727 captain:
«I don't agree that the B. 747 skipper as being a PRO (abbreviazione di
professional con la quale la redazione della Flight Safety Foundation gratifica quelli
che collaborano inviando i reports).
His situation should not have occurred regardless of first, third or last trip in any
kind of airplane.
The things he tolerated during that approach should not have happened on any
approach in any kind of airplane.
It indicates a degree of sloppiness that suggest he has not been a professional in
many years.
He does not deserve the designation of "PRO" and you should not plug his ego. He
blamed everyone but himself.
He should be made aware that his fellow airmen feel his performance does not
merit his being termed a professional.»
From a DC-10 captain:
«Referring to the B. 747 skipper, if properly in command, the captain should
declare a missed approach and execute it.
No controller is in command of the aircraft at any time!
Twenty-five years ago a gray-haired captain tapped me on the shoulder and said,
"Don't let them push you, son".
Best advice I ever had in this respect.»
[Riflessione del 2003. Qualche anno più tardi, in occasione del mio primo volo su New York
con il B747, mentre ero in avvicinamento al JFK per la pista 04 R (era notte e qualche
spruzzata di neve era riportata al suolo) mi ricordai di queste cose che avevo letto e riferito
nell’articolo «la strategia del margine». Il ricordo mi fu utile per aggiungere un ulteriore
tassello al margine dell’operazione.]
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Il rain shear visto da
Sandro Calabresi
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«We don't fly airplanes, we fly people.»
Abbiamo esaminato fino a questo punto alcuni aspetti del messaggio di Clauzel,
integrandolo con documenti ed informazioni provenienti da altre fonti autorevoli.
Il messaggio di Clauzel è rivolto naturalmente anche a coloro che hanno la gestione
del sistema del trasporto aereo. Giovanni Riparbelli lo sottolineava nella conclusione
di un suo commento al documento di Clauzel riportato nel Notiziario dell’ANPAC
n.2/1982, restringendo, forse, il significato di "policy" alla politica del personale.
Secondo me va infatti riferito ad un contesto più ampio, cioè a quello della politica
del trasporto aereo in generale che ha certamente tra gli obiettivi la sicurezza delle
operazioni, ma in termini di equilibrio con altri obiettivi, principalmente quello
economico, ma a volte l'equilibrio diventa compromesso.
[In quegli anni G.Bruggink non aveva ancora realizzato il suo studio di sui Policy
Factors ma queste considerazioni erano il terreno che favorì quelle conclusioni.
Vedi: Uncovering the policy factor in accidents ]
Il concetto espresso da Clauzel può essere chiarito da quanto contenuto nella
prefazione di un documento ICAO-IFALPA sulla prevenzione degli incidenti che fu
citato sul Notiziario ANPAC n.3/1980 e che di seguito riportiamo.
«Good management may apply equally to an aircraft manufacturing plant, to an
airline and to a government department which administers aviation.
Today a consensus is emerging, that "accidents are caused by human error" and
can be traced to imperfect management related to planning, organizing
and controlling.
This consensus is founded on the belief that we can learn from our past
experiences and that are few, if any, new types of accidents. Further, the
identification of risk and hazards must surely be a management responsibility.
The only accident we could conceive for which we saw no error and hence
no management involvement was one in which an aircraft on landing roll
went into a large hole in the runway which suddenly appeared because an
earthquake.
Aviation management in a country usually comprises several organization: the
State administration, the manufacturing industry and the airlines. They all have a
part to play in accident prevention. They also have one thing in common and that is
that the man with the ultimate responsibility for safety and accident prevention is
the man on top, since he is in charge of the planning, organizing and controlling of
the organization.»
Rivediamo per un momento i termini del problema.
Gli incidenti in avvicinamento definiti "weather related" sono come tendenza in
aumento. L'obiettivo e di eliminarli agendo sui fattori che ne sono la causa.
Questi fattori come si è visto riguardano principalmente l'uomo; su questo elemento
del sistema non è possibile agire solamente con provvedimenti immediati quali il
richiamo a determinati comportamenti o il suggerimento all'impiego di tecniche particolari.
E' necessario invece creare o favorire le condizioni affinché il comportamento
desiderato abbia la possibilità di essere attuato.
Se le pressioni interne ed esterne giocano un ruolo preponderante sul corso delle
decisioni del pilota, si deve agire sulle condizioni che creano queste pressioni. Ma
nel sistema le condizioni che provocano pressioni d'ogni genere sull'elemento
umano diventano sempre più consistenti.
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Il momento di crisi del trasporto aereo dovuto ai sempre più alti costi di gestione, ai
problemi del carburante, al rinnovamento delle flotte, alla competitività fra
compagnie, sono esempi di come sia quasi impossibile eliminare condizioni che, a
volte, spingono il pilota a comportamenti che J. Lederer (Presidente emerito della
Flight Safety Foundation) definisce: deviations from prudence.
[Si tenga conto che queste considerazioni sono relative a condizioni di vent’anni fa
e fanno riferimento agli effetti della deregulation negli Stati Uniti introdotta da
Reagan; lo scenario attuale è peggiorato sensibilmente e la deregulation in Europa
ripropone film già visti]
L'esigenza della puntualità e della regolarità è una delle condizioni che
maggiormente influenzano l'operato del pilota. J. Lederer a proposito della esigenza
di puntualità scrive quanto segue:
[Jerry Lederer ha compiuto 100 anni il 26 settembre 2002 ed è stato nominato
dalla FSF, Mr Aviation Safety]
«Pressure to meet schedule pervade the public air carrier industry where
competition is keen. While the record indicates this pressure may not have
complete priority over safety, it exerts an insidious influence. To what extent it has
produced accidents or near accidents is unknown, but examples exist.
A recent example of management pressure occurred in December 1975.
The captain of a B-747, although forewarned of hazardous icy conditions on the
taxiway and strong crosswinds, was handed a message stating that unless he took
off promptly night curfew regulations at his overseas destination would prevent his
landing. The captain ventured out, and the airplane slid off the taxiway, down an
embankment, resulting in substantial damage (about 20 million dollars).
The NTSB report said, “pilots must not allow pressures to meet schedules to dilute
or derogate their judgment under adverse conditions.”
Some airlines advertise “on time” performance. “No delay” is the watchword.
Because of this, there are times when “no delay” teas become an obsession.
In my opinion this is not fair because it penalizes the conscientious worker.»
Homer Mouden nel suo articolo "Landing compulsion" sottolinea quanto la regolarità
(volo che giunge alla destinazione prevista) abbia il suo peso sulle decisioni
dell'equipaggio.
«When each of us boards a flight, we assume the aircraft will land at our
destination. That is the whole purpose of the flight. But if, during a seemingly
routine approach, the engines suddenly surge and the airplane rotates for a
pull-up, every passenger in the cabin will have responded, some with apprehension
and others with annoyance. Strangely enough, very few reactions will have been of
relief. If the go-around results in having to go to an alternate with the usual
inconveniences, no matter how mild, very few passenger reactions will have free of
irritation. Consider the pilot who encounters a severe windshear condition while on
approach, successfully executes a go around and then proceeds to his alternate
while deplaning at the alternate airport, several passengers may chastise the
captain for making them ride a bus from there. Why does this occur? May be airline
landing reliability teas preconditioned passengers to consider anything other than
routine arrival at the intended destination as unacceptable.
Of more than academic interest is the question as to whether such factors influence
a pilot's judgment when suddenly faced with a decision to land or go-around.»
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[Vedi l’articolo, già richiamato, di Mouden pubblicato su questo sito il 4 novembre
2001: From landing compulsion to Controlled Flight Into Terrain. What
pilots need to know]
Questi fattori influenzano il giudizio del pilota secondo una dinamica psicologica che
diversi autori hanno sottolineato.
II dr. L. Longo (psicologo di aviazione) presentò nel giugno 1980 al X Congresso di
Medicina Aeronautica, uno studio sulla dinamica psicologica del passeggero di aereo
nei confronti dell'evento volo.
In esso affermava che la figura del comandante e inconsciamente identificata dal
passeggero con la figura paterna.
I passeggeri nella loro veste di utenti hanno prevalentemente un rapporto con
l'organizzazione. Gli impiegati delle agenzie, quelli dietro i banchi di accettazione e
tutto il personale con cui hanno a che fare rappresentano e sono la compagnia; la
soddisfazione o il disappunto sono indirizzati alla compagnia più che agli individui.
Per la stessa ragione il personale considerato può non sentirsi eccessivamente
motivato all'ottenimento di un risultato positivo cosi come può sentirsi poco
coinvolto da situazioni negative.
Secondo Longo, il passeggero tende a valutare il comandante come individuo. Egli
cerca infatti ad ogni occasione di coglierne i tratti essenziali, di valutarne il
comportamento, scrutandolo attraverso i vetri del cockpit durante l’imbarco,
ascoltandone il tono di voce per interfonico, osservandolo quando a volte si reca in
cabina passeggeri.
Il passeggero cerca la corrispondenza con un'immagine caratterizzata da
autorevolezza e da disponibilità, un'immagine che dia sicurezza.
Questo tipo di dinamica psicologica è sentito naturalmente anche dal comandante e
ne condiziona le decisioni.
Un fattore umano definito dal Com.te D. Beaty «The desire to please» [The human
factors in aircraft accidents, 1969] si collega a quanto è stato detto e fornisce una
spiegazione di alcuni comportamenti del pilota comandante.
D. Beaty sottolinea che l'uomo, essendo un animale sociale, adegua il suo
comportamento alle esigenze stabilite dal gruppo per realizzare la sue posizione o il
mantenimento del suo stato.
«Within the herd, most of us are members of a number of different sized groups;
the family, the office, clubs, societies, organizations and friends.
Sometimes membership of a group is for life, sometimes for only an hours or so.
But while an individual is in a group, he almost always tries to please it. If he does
not, subconsciously he knows that he will be rejected, remaining an individual
whose influence is resented. For in order to function, a group must have a group
identity.
Unless there is a high degree of conformity, it is impossible to have a group. And
the strength of the conformity pressures varies with the common interest of the
group and the relevance of a particular issues to the group.
The captain, the crew and the passengers all become members of a group in an
aircraft. It is particularly cohesive group with its own hierarchy and code of
behavior. The passengers need to believe implicitly in the crew. They want to
please the father figure at the controls and on his part he (the captain) very much
wants to please the passengers.»
Il comandante a cause di questo rapporto può essere motivato ad adempiere a
certe aspettative del passeggero, come può sentirsi estremamente coinvolto a
livello personale dal disservizio conseguente ad una sua decisione.
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Non dimentichiamo che il più disastroso incidente della storia del trasporto aereo, la
collisione di Tenerife, ha tra gli elementi contributivi anche il fatto che ritardare il
volo avrebbe esposto 400 persone al disagio di una notte passata sulle panche
dell'aerostazione.
[airmanshiponline-com 1999: Ground collision tra un B747 PanAm ed un B747
KLM – Tenerife 1977]
Ancora una volta si deve concludere che nell'attività aviatoria bisogna guardarsi
dall'agire motivati dalla ricerca del gradimento e dell'approvazione degli altri.
Ricordi di disagi procurati con la certezza di procurarli per non aver voluto
sperimentare situazioni delle quali si aveva solo il sospetto del rischio e delle
conseguenze, dovrebbe essere il patrimonio di memorie di un comandante di
linea.
Ma qui incontriamo uno degli aspetti sui quali si dovrebbe intervenire per eliminare
le condizioni che siano pressione per il pilota.
Le strutture e l’organizzazione dovrebbero essere tali da non consentire eccessivi
disagi qualora il pilota decida di non operare a causa di condizioni non adeguate.
Quando si dice che certi condizionamenti o pressioni devono essere rimossi bisogna
fare un’analisi obiettiva delle situazioni.
Non è tanto l'obiettivo puntualità e regolarità delle compagnie che condiziona il
pilota nelle sue decisioni quanto gli impedimenti al raggiungimento di detti obiettivi
che si aggiungono a condizioni operative marginali, impedimenti che
sopraggiungono imprevisti e rendono vana la pianificazione che il pilota ha fatto
riguardo l'incontro di condizioni meteo avverse.
A volte l'inadeguatezza delle strutture di scalo non consente ad un volo di essere
pronto per la partenza all'orario previsto; a questo ritardo si aggiunge quello dovuto
al traffico aereo che si manifesta nella sue entità solo all'atto della richiesta di
avviamento motori, sempre che non vi sia altro considerevole ritardo per il decollo
da assorbire durante il rullaggio.
A che cosa imputare, in queste condizioni, se il pilota è pressato a decollare quando
finalmente riceve l'autorizzazione, pur se un piovasco di forte intensità
consiglierebbe di rimandare la partenza?
Una volta apparve sulla stampa la pubblicità di una compagnia europea che
mostrava la fotografia di un suo aereo al parcheggio all'orario previsto di arrivo a
confronto con la fotografia dello stesso parcheggio all'orario previsto di arrivo
dell'aereo di un'altra qualsiasi compagnia. La differenza era che in questo caso il
parcheggio era vuoto. Si trattava di un messaggio pubblicitario di notevole effetto
che sottintendeva però la possibilità di operare in contesti aeroportuali e ATC
perfettamente funzionali dove la qualità e la tempestività delle informazioni
consentivano una migliore gestione del sistema e quindi la possibilità di anticipare
soluzioni alternative nel caso di condizioni meteo avverse.
Questo è un aspetto della faccenda, peraltro non completamente aderente alla
realtà in quanto dei grossi buchi si verificano in questi sistemi apparentemente
funzionali, specialmente quando il clima meteorologico scatena condizioni operative
difficili e impreviste. Ed è allora che si manifesta l'altra faccia della medaglia per cui
il pilota, di fatto condizionato dall'immagine della propria compagnia, dalla efficienza dell'ambiente che lo circonda, opera con un falso obiettivo rischiando di non
riconoscere, per eccessiva fiducia nel sistema di cui fa parte, quelle condizioni
marginali che a volte si verificano in maniera imprevista.
Questo dimostra che la sola organizzazione o una struttura perfetta non elimina la
presenza di pressioni sul pilota. Infatti ad un esame obiettivo dei fatti è dispersivo
pensare di annullare le pressioni che spingono il pilota ad operare in ogni
condizione.
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L'ambiente in cui opera il sistema del trasporto aereo è troppo vasto e multiforme
per poter essere sterilizzato da certe pressioni. In queste condizioni è opportuno
che i piloti si impadroniscano di argomenti validi ed inoppugnabili e su questa
conoscenza sviluppino la sensibilità alla sicurezza, unico vaccino adeguato per
contrastare le pressioni che provocano deviation from prudence.
Una strategia da non seguire assolutamente è quella di usare la sicurezza con
massimalismo e al di fuori degli appropriati contesti.
Ad esempio, asserire a tavolino che un tipo di turno non affatica il pilota in termini
di impiego vuol dire entrare nella valutazione di quei piloti che opereranno su quei
turni e che hanno il compito di stabilire volta per volta le condizioni che rendono
sicure le operazioni, anche in termini di impiego.
Certe condizioni operative possono essere stressanti indipendentemente dalla loro
durata e la fatica operazionale può farsi sentire prima del compimento di un turno
concordato. E' compito e responsabilità del comandante stabilire questo e
intraprendere le opportune azioni correttive ed egli potrà farlo solo se educato a
valutare certe situazioni e libero da pressioni.
[Fino alla metà degli anni ’90 il contratto dei piloti prevedeva il cosiddetto
“concordato turni”, cioè la negoziazione da parte dell’associazione professionale di
turnazioni o avvicendamenti elaborati, tra gli altri, con l’obiettivo del contenimento
della fatica operazionale. L’istituto fu successivamente abbandonato per una
soluzione retributiva che le aziende recuperarono ampiamente ma la flessibilità di
impiego del personale non fu, come al solito, messa a frutto.]
In definitiva è l'uso di un linguaggio improprio che dà spesso adito ad equivoci, per
cui se si vuol parlare di sicurezza nell'ambito di certi rapporti con le compagnie si
può, tutt'al più, parlare delle pressioni che hanno peso sulle decisioni del pilota e
l’obiettivo deve essere la rimozione delle pressioni che rendono ingestibili le
decisioni orientate al mantenimento di adeguati margini.
In ogni caso non bisogna credere che il pilota operi sempre condizionato da tali
pressioni, non vuol dire cioè, che quelle pressioni prevalgono sempre su
considerazioni di sicurezza. Non vuol dire quindi che i piloti operino comunque
anche quando riconoscono delle condizioni marginali: se cosi fosse gli incidenti
“weather related” sarebbero forse molti di più ed estesi a tutte le fasi del volo.
Il pilota sente le pressioni, ma spesso le riconosce per tali e le contrasta perché
l'esigenza di una sicura condotta delle operazioni ha ovviamente il suo peso anche
se a volte comporta delle penalizzazioni. Quindi, anche se le esigenze del
passeggero, reali o condizionate dalla pubblicità del prodotto, sono una forte
pressione, il pilota è spesso in grado di risolvere i problemi che tali esigenze
provocano sulla sua gestione della missione di linea.
«Safety first, schedule is next»
Secondo la dinamica psicologica evidenziata dal Dr. L. Longo e secondo quanto
affermato dal comandante D. Beaty, il rapporto con i passeggeri ed il carico delle
loro aspettative che il comandante di un volo si assume sono fattori determinanti
sull'orientamento delle sue decisioni e delle sue scelte operative.
Il rapporto con il passeggero agli inizi dell'Aviazione Civile era molto simile a quello
che avveniva sulle navi di linea. La maggior durata del volo, anche sul corto raggio,
consentiva al comandante di avere un rapporto più diretto e personale con le poche
decine di passeggeri e la possibilità di intrattenersi con essi gli consentiva una certa
“promozione” di se stesso e del suo modo di gestire la missione.
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Oggi il rapporto che il comandante può avere con il passeggero è essenzialmente
quello dei messaggi per interfonico e questo tipo di canale di comunicazione talvolta
indispone il passeggero più che renderlo disponibile a sopportare esigenze
impreviste nella condotta della missione.
Gli annunci di tipo informativo turistico, se sono brevi e laconici lasciano spesso
trasparire noia e disinteresse e non servono certo ad affermare la presenza del
comandante. D'altra parse se sono prolissi e frequenti, spesso annoiano il passeggero al quale non interessa molto l'attraversamento di equatore e meridiani, il
sorvolo del Monte Bianco o se fuori della cabina possono sopravvivere solo i
pinguini e gli orsi polari, specialmente se è intento a vedere il film o usa il tempo
che trascorre sull'aereo per occuparsi di qualcosa relativo a sue eventuali attività.
Allo stesso modo annunci riguardanti problemi operativi, se fatti con un linguaggio
che al passeggero risulta incomprensibile (cause tecniche, traffico, condizioni meteo
avverse), un linguaggio vago e che può far credere alla ricerca di motivi pretestuosi
per giustificare ritardi, hanno il risultato di indisporre il passeggero verso la
Compagnia ma a volte anche verso il comandante, che sembra essere in balia degli
avvenimenti o che dà l'impressione “di non fare niente per superarli”.
In un’occasione, in pieno inverno, un comandante su un volo nazionale in attesa di
partire da Fiumicino per Linate, disse per interfonico che il ritardo era dovuto alle
condizioni meteo “marginali” dell'aeroporto di Linate. Poco dopo un assistente di volo entrò in cabina dicendo al comandante che molti passeggeri volevano sapere che
cosa volesse dire “marginali”.
Essere meno laconici e sforzarsi di suscitare l'interesse dei passeggeri è il primo
provvedimento che il comandante deve adottare per evitare che le tendenze, i
malumori, le aspettative dei passeggeri si riversino su di lui come una pressione
spesso insostenibile. Deve essere quindi valorizzata la tecnica del dialogo per
interfonico con i passeggeri, che costituiscono comunque un pubblico vasto ed
eterogeneo, tramite l'addestramento dei piloti a sapere affrontare tale problema.
II comandante di linea deve saper fare sentire la propria autorità funzionale a tutti
quelli che sono coinvolti nella missione di linea. Non bisogna dimenticare che i
passeggeri acquistano un prodotto pubblicizzato in ogni aspetto tranne che in quello
che riguarda i problemi di gestione del volo da parte del pilota, problemi che hanno
un'influenza diretta sulle aspettative del passeggero.
Il comandante ha quindi la necessità di far sempre presenti in modo adeguato,
senza allarmismi e mostrando padronanza della situazione, le esigenze che
provocano le sue decisioni, da questo deriva un'immediata rivalutazione della sua
figura professionale nell'ambito del gruppo umano che in quel momento dipende da
quelle decisioni.
Alcuni esempi di questo tipo di comportamento possono chiarire meglio il concetto.
Sono esempi di come il dialogo che il comandante è in grado di instaurare è a volte
decisivo per ristabilire gli equilibri nei rapporti umani, per dimensionare le
aspettative, per dare ragioni plausibili, per soddisfare l'utente nella sua esigenza di
non sentirsi trattato come merce.
L’episodio che segue è utile a fornire un esempio. Accadde [1980] all'aeroporto di
Orly.
II capo scalo, l’amico Bepi Troger, persona molto attenta alle decisioni operative
dei comandanti, il quale era al corrente del mio interesse alla raccolta di episodi
significativi per la sicurezza, mi raccontò per filo e per segno in dettaglio l'intera
vicenda.
Quel giorno un equipaggio aveva effettuato le tratte Orly-Linate e viceversa e
avrebbe dovuto effettuare di nuovo il volo per Linate (erano le 21 circa di un mese
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di pieno inverno), sennonché c’era stato il malfunzionamento di un impianto
antighiaccio del motore e non sarebbero potuti partire con quell'aeromobile [B-727]
perché il lavoro di riparazione avrebbe richiesto diverse ore. Le condizioni
meteorologiche sulla Francia erano caratterizzate dal passaggio rapido di un fronte
freddo con forti venti, formazioni di ghiaccio e turbolenza a tutte le quote. In
particolare c'erano Sigmet di turbolenza da jet stream nella Francia meridionale e la
zona di turbolenza, accentuata dalla presenza della catena montuosa del Giura, era
in spostamento verso est ed era stata riportata da aeromobili in volo al di sopra di
livello 180 (18.000f t).
La possibilità di effettuare comunque il volo era data dalla disponibilità di un altro
aeromobile che però aveva un'inefficienza riguardante il canale pitch (controllo
dell’assetto longitudinale) dell'autopilota. Dagli interventi precedenti fatti per
eliminare l'inconveniente non era scaturito alcun effetto positivo, il che faceva
presupporre la necessità di un intervento definitivo solo nello scalo di armamento. Il
problema comportava la necessità di pilotaggio manuale per tutto il volo. Questa
condizione, in turbolenza, poteva ripercuotersi in manovre eccessive che avrebbero
aggiunto stress alla struttura dell’aeromobile.
Il comandante aveva avuto le notizie aggiornate riguardanti la situazione meteo dal
centro regionale di Orly, quando fu informato dallo stesso Bepi Troger che un Airbus
della compagnia Air Inter era atterrato poco prima con dei feriti a bordo a causa
della turbolenza riportata nella zona di Moulins e che un altro aeromobile della
stessa Compagnia era atterrato a Lione e l’equipaggio aveva riportato condizioni di
estrema turbolenza. Valutando, a questo punto, le reali condizioni incontrate nelle
due tratte precedenti, decise che la soluzione più cautelativa era quella di
posticipare all'indomani il volo di rientro. Avevano pesato sulla decisione
considerazioni riguardanti la condizione delle macchine disponibili, la condizione
meteorologica generale e il ritardo eccessivo nel caso di un rerouting. Erano state
valutate anche le condizioni dell'equipaggio. Erano in servizio da più di 8 ore
avendo lasciato l’albergo dal centro di Parigi alle ore 12.00, avevano impiegato
quasi due ore per giungere in aeroporto a causa del traffico sulla tangenziale e,
dopo la prima tratta, il tempo di sosta a Linate era stato di quasi due ore per
cambio aeromobile.
I passeggeri che erano in sala imbarchi dopo i ripetuti annunci di ritardo rimasero
ovviamente più che contrariati sentendo che il volo era stato cancellato ed il caposcalo si trovò da solo a sostenere il malcontento e a volte l'aggressività di molte
persone.
In quel momento l'equipaggio che scendeva dall'aereo passando dal tunnel
telescopico si trovò in mezzo al putiferio ed il comandante, vedendo il caposcalo in
difficoltà, si introdusse nella calca apostrofando un paio di passeggeri più esuberanti
degli altri (ci sono sempre quelli che sanno tutto) e dopo essere riuscito ad ottenere
un poco di silenzio spiegò con estrema chiarezza ed in tono perentorio la ragione di
tale decisione, che non andava affatto attribuita ai “soliti disservizi” della
Compagnia ma ad una sua personale valutazione fatta alla luce di elementi
obiettivi, elementi che il comandante elencò in maniera semplice e senza suscitare
inutili allarmismi.
La disponibilità di un'immediata sistemazione all’Hilton di Orly per tutti e la
possibilità di partire l'indomani ad un orario soddisfacente (le previsioni meteo
erano per un netto miglioramento durante la nottata) ristabilì la calma.
I commenti che si udirono l'indomani in sala imbarchi e a bordo erano
prevalentemente improntati alla soddisfazione; alcuni passeggeri che sembravano
aver capito il discorso del comandante più degli altri tenevano banco spiegando,
come chi la sa lunga, che il comandante aveva fatto benissimo a fare ciò che aveva
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fatto e che tutto sommato era meglio arrivare con dodici ore di ritardo che essere
sballottati come sacchi di patate mentre ognuno si dava da fare a raccontare
esperienze allucinanti avute con altre compagnie per dare più forza ai propri
discorsi.
Brevemente un altro caso avvenuto ad Atene.
[L’aeromobile era ancora il B-727, un aeromobile che la compagnia di bandiera
aveva preso in ritardo rispetto ad altre compagnie europee. Esso si era rivelato
ideale sotto ogni punto di vista e per certi aspetti non è stato eguagliato nemmeno
dal più moderno MD-80. La serie Airbus forse costituisce ora un miglioramento dal
punto di vista dei costi di impiego (due piloti) e della resa commerciale.]
Di questo evento ho qualche dato più preciso perché incontrai a Fiumicino il collega
protagonista del fatto, proprio mentre scendeva dall'aeromobile del volo
Atene-Roma in questione. Questa la situazione di Atene nel momento che il volo
avrebbe dovuto partire per Roma.
LGAT: Sigmet 1510-1910 isol ts obs in west and south part of athinai FIR mov east
LGAT 1750 – 010°/030°, 28/40 KT - 10 Km 1 CB/020 - 4SC/035 - 6AC/100 - 09/03
- 1010 TEND TS
MOD TO SEV TURB IN APP - CB SW 15 KM
In pratica l’aspetto più limitativo era l’intensità del vento che provenendo dal
settore nord orientale, la parte collinare, oltre ad essere vicino ai limiti di
componente trasversale, provocava correnti di caduta e forte turbolenza, come
riportato, d’altra parte, dal bollettino meteo.
Il forte vento a raffiche veniva percepito anche sull’aeromobile, fermo al
parcheggio, attraverso repentini scuotimenti.
Il comandante decise di sospendere l'imbarco fino a che la situazione non avesse
subito qualche miglioramento significativo che era comunque previsto nelle ore
successive a causa del passaggio del fronte di maltempo.
Quasi un paio d'ore dopo il vento si stabilizzò per 320° con intensità di 20-25 kt in
diminuzione ed i passeggeri furono imbarcati.
Durante l'attesa, però, essi avevano visto decollare e atterrare aerei di altre
Compagnie, e ciò faceva porre loro diversi interrogativi, il che metteva in serio
imbarazzo il personale della Compagnia.
II comandante comunque, appena ne ebbe il tempo dopo il decollo, si scusò del
ritardo cercando di spiegare succintamente ma esaurientemente i motivi che lo
avevano causato e per concludere disse che la sua Compagnia anteponeva la
sicurezza delle operazioni alla esigenza di operare in orario. In realtà egli espresse
una filosofia personale ma la spiegazione e la conclusione ebbero l'effetto di
allentare la tensione e di far rientrare il malcontento.
A bordo c'erano molti passeggeri di lingua inglese e questi poterono essere
tranquillizzati con un discorso analogo che concludeva con queste parole:
«... safety is our first goal, schedule is next.»
Un altro fattore negli ultimi anni ha influenzato la dinamica del rapporto
pilota-passeggero. Si tratta del fattore sindacale. La presenza di una conflittualità
continua, ampiamente pubblicizzata dai mezzi di informazione, ha impedito che nel
passeggero ci fosse la disponibilità ad accettare come cause di forza maggiore
impedimenti operativi, anche di origine meteorologica, al compimento regolare del
volo.
Qualsiasi deviazione dallo svolgimento routinario delle operazioni era, e purtroppo
ancora è, vista dal passeggero come una posizione presa dai piloti per sostenere
rivendicazioni sindacali. Qualsiasi annuncio proveniente dalla cabina piloti che
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riguardi ritardi o dirottamenti viene visto con atteggiamento ancora più contrariato
di quanto le considerazioni sin qui fatte lascino supporre.
Il maggior astio del passeggero verso i piloti di quanto egli come utente possa
avere nei confronti di altri lavoratori in agitazione, è dovuto proprio al rapporto
psicologico particolare che egli ha con il pilota, con il comandante del volo. Il
comandante ancora una volta si rende conto di tutto questo e potrebbe essere
ancora più “pressato” al compimento del volo in condizioni marginali.
L'alternativa di diversioni prudenziali in queste condizioni comporta per il
comandante la necessità di dare ai passeggeri spiegazioni che non lascino dubbi e
la gestione di un volo diventa estremamente complessa e stressante ed è causa di
un carico nervoso e psicologico non indifferente.
(acp)
Il rapporto tra comandante e passeggero visto da Sandro Calabresi
(continua)
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