come un libro, tutto da leggere
Transcript
come un libro, tutto da leggere
PREMIATI CONCORSO [email protected] 2012-2013 COME UN LIBRO, TUTTO DA LEGGERE DISEGNO DI MARIA TERESA SANSONE GIULIA ALTAMURA (Savona) II class. CALLIGRAMMA A Primavera sugli spuntano gemme il cielo è una coperta di stelle e si addolcisce anche l’istinto più ribelle. Dunque rinasce il fiore rinasce la foglia e nel cor un nobile sentimento germoglia. alberi VESNA ANDREJEVIC (Belgrado, Serbia): traduttrice letteraria e multimediale free lance, scrittrice e professoressa di lingua e letteratura serba e di letteratura internazionale e di lingua e letteratura italiana, vive e lavora a Belgrado partecipando a vari concorsi e premi letterari in Italia ed Europa. Ha collaborato con le varie riviste online pubblicando i suoi racconti e saggi di argomento letterario ( “Faranews on line”, “Euterpe” ecc.) e i suoi testi narrativi sono stati premiati e pubblicati nelle diverse antologie ed e-book degli autori vincitori dei vari premi. (Premio “Pietro Conti”, Perugia, 2004, Premio “Donne in pagina” Arcilettore, Leno, 2009, Premio “Racconti per il Natale”, Società Editrice MonteCovello, Italia, 2012). Fra i vari riconoscimenti letterari a lei sono particolarmente cari: il secondo posto nel concorso Artistico Internazionale “Amico Rom” (2005) per il romanzo breve Saga degli zingari o Sas thaj avel..., Lanciano, Italia, 2005, la menzione speciale per la raccolta di racconti La gente altrui nel paese delle meraviglie e la pubblicazione della medesima raccolta in formato e-book nell'edizione “Kappaeventi.com.”, Prospettiva editrice, Roma, Italia, 2006, Premio ICoN, prima classificata con il racconto Troppi sogni azzurri della gente di troppo, ma..., Pisa, Italia, 2006, Premio Speciale “Mario Ceccarello” per l'opera Saga degli zingari o Sas thaj avel..., al Concorso letterario “Insieme nel mondo” Savona, Italia, 2006, Premio Internazionale di Poesia e Narrativa “Insieme nel mondo”, decima edizione, prima classificata Narrativa Inedita con il romanzo Forziere di nonno, Savona, Italia, 2012. Scrive narrativa, traduce libri e film e coltiva i suoi sogni letterari. II class. RACCONTO MAGDA “Strega! Strega! Strega!”. La chiamavano sempre così sin da bambina. Eppure, a lei non era mai abbastanza chiaro perché tutti i bambini la prendevano in giro in un modo così crudele e spietato, gareggiando tra loro chi sarebbe stato primo ad acchiapparla mentre fuggiva a perdifiato e buttarla nel fiume. E lo facevano ogni volta quando la incontravano nella radura con l’unico platano dove di solito si radunavano tutti quanti per giocare insieme. Si divertivano così un sacco e non la risparmiavano mai nonostante il fatto che era sempre la più giovane e la più piccola tra loro. Però, era ovvio che la sua insolita magrezza che quasi confinava con la malnutrizione, non era l’unico motivo della loro furia così repente e inarrestabile che lei svegliava dentro di loro in un modo assai strano. Sempre con il desiderio di farle male la chiamavano pure ”strega bianca”, tutto questo per i suoi lunghi capelli biondi che sia per un colore inconsueto che per la sua setosità la distinguevano dalle loro chiome nere e folte, sempre scapestrati che confermavano per l’ennesima volta la ben nota, ma sempre tacita riprovazione patriottica secondo cui i turchi si erano trattenuti troppo tempo da quelle parti dei Balcani. Ma lei si stupiva anche di questo nuovo nome visto che conosceva solo una Biancaneve con i suoi sette nani, e a dir vero, la bella della fiaba, “bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l’ebano” non era affatto una strega. Si trattava, infatti, di una prova, assai palpabile e dolorosa per lei, della propria diversità che i bambini imprimevano quotidianamente nella sua anima troppo fragile che inoltre si ribellava a questa ingiustizia difendendosi con tanta paura ed insicurezza. E c’era anche in lei un lamento lacerante di solitudine che ogni giorno si trasformava nel suo disperato grido d’amore, ma che rimaneva gelato dentro di lei dando sempre l’impressione di una profondissima quiete perfettamente controllata insieme a una sua assoluta intangibilità che respinge ogni offesa, ogni colpo e ogni cattiveria che solo la fantasiosa gelosia dei bambini riesce a creare e mettere in atto. E proprio per questo gli faceva andare su tutte le furie, cioè fino a un certo limite e momento così pericoloso quando anche quella parte indecisa della nostra bontà comincia a titubare a che parte stare chiedendosi se valga la pena rimanere soli in una lotta donchisciottesca con cui si difendono le ombre ingannevoli della generosità umana, di solito impersonate nell’immagine terresca dei deboli e indifesi o nell’apparenza di una bellezza superiore e dei valori sublimi di cui l’umanità si dimentica da sempre troppo facilmente. Poi, lei risaltava su tutti proprio per la sua condizione innata secondo cui evitava, consapevolmente o no, di far parte di loro, cioè delle creature umane che percorrono di sfuggita il suolo terrestre e poi sia le proprie che le vite altrui senza che nessuno se ne accorga e tanto meno loro stessi. Era il timbro del proprio isolamento che la seguiva fin dai primi giorni della sua profonda cognizione che lei non possedeva tutto quello che gli altri avevano e che per questo era “marchiata” dalla sua nascita. Cioè aveva solamente “una parte” di loro, ma ovviamente insufficiente per essere accolta e prima di tutto amata. Quel suo occhio profondo di colore acquamarina con cui guardava curiosamente tutto il mondo intorno a sé, e che con la sua freddezza non scopriva mai un immenso vortice del suo vivo desiderio di appartenere a quel mondo, trovava parzialmente la sua parte gemella nello sguardo color azzurro-grigio che la maggior parte della gente di queste parti portava da generazioni nelle sue carte genetiche. Però, quel suo altro occhio, solamente “suo” e mai visto sul suolo terrestre, nero come la pece, bruciava con il suo ardore tutto quello a cui mirava togliendo all’istante a chiunque il respiro e ogni diritto di chiedere qualcosa, o dio non voglia, di stupirsi né ad alta voce né dentro di sé. Da tutto questo nasceva una tremenda frustrazione altrui che sentiva un forte desiderio di ribellarsi alla propria impotenza e al posto concessogli da qualcuno intoccabile. Certo che questa era proprio la causa di tutti i guai, sia suoi che di loro. Ma anche la fonte di mancanza della sua minima voglia di far incontrare le differenze insormontabili, prima in se stessa e poi nella gente intorno a lei per cancellarli una volta per sempre. Ecco perché c’era sempre solo lei mentre da qualche parte lontana stavano “tutti gli altri”. La voragine incommensurabile che separava la gente, che la puniva con il proprio respingere e l’odio mai nascosto, dal suo rammarico più sincero, riusciva a chiudere solamente sua “babuska” che avendo corso dietro al suo cuore innamorato dalla vasta steppa russa, poteva l’unica comprendere cosa vuol dire essere straniero nello sguardo e nell’anima altrui per sempre. Erano solamente le sue dolci parole “Rusalka moя” ad asciugare un fiume di lacrime che rigavano il suo visino così bello mentre la babuska cercava con le mani, rigate di lavoro, eppur le più morbide del mondo, di toglierle le ciocche bionde, appena strappate ed intrise del suo sangue insolitamente trasparente. Ecco, pure il suo sangue era diverso. Queste gocce chiare che mettevano in risalto ancor di più il candore del suo viso sbucando subito come l’erba dopo la pioggia, a ogni colpo di bastoncello o di qualche sassolino o dopo i graffi delle unghie altrui, portavano con loro un profumo di una lontana immagine mitica di un posto paradisiaco come la fonte sia di ogni felicità terrestre che della sua. Così, dopo ogni insulto, offesa o bestemmia dei suoi compagni, nella sua anima riemergeva una bellissima “cartolina” di un posto incantevole ed eterno che riusciva a placare con la propria bellezza ogni suo dolore e la vergogna per l’angheria subita, ma anche a spegnere ogni sua parola. A casa per questo tutti cominciavano a preoccuparsi per lei, sicuri che la sua strana dormiveglia era generata dalla paura subita e dalle nuove cattiverie dei suoi compagni. Aspettavano ansiosamente che lei si risvegliasse all’improvviso come tante altre volte diventando di nuovo la loro amabile bambina di una volta che sapeva mostrare solo nel proprio focolare la sua dolcezza ed allegria. Però, lei rimaneva silenziosa e incantata per giorni interi, completamente assorta nella meraviglia nascente nella sua immaginazione che di notte si moltiplicava nei suoi sogni e di giorno nei racconti della sua babuska ottenendo la sfumatura di una realtà assai viva e toccabile che la babuska solamente presentiva, ma presa da tanto amore per la sua unica nipote riusciva in qualche modo ad evocarla nei suoi racconti fiabeschi. “Rusalka mia! Krasota moя! La più bella del mondo! Ma dove sta vagando la tua testolina? Di’ alla tua babuska dove si sono incantati a guardare gli occhi meravigliosi? Dovrei indovinarlo, tesoro mio? Va bene, allora... ecco chiudo gli occhi anch’io strettamente ed... Eccoci subito in una vera fiaba, krasotka mia, su una piccola isola tutta verde, tra gli alberi grandi, grandi, nel bosco dei tigli le cui foglie si innalzano al cielo mentre i suoi rami baciano la terra sotto il proprio peso fingendosi le pianti striscianti che si intrecciano e si allargano dappertutto giocando a nascondino con il sole! Ed ora gli permettono di trovarli e ora si stringono tutte insieme come le mani quando nascondono qualcosa! Insomma, cercano, tesoro, di ostacolare in ogni modo il suo desiderio di entrare proprio nel cuore del bosco! Però lui da un vero birichino non si dà per vinto e continua a girare intorno all’impenetrabile cerchio boscoso cercando di entrarne furtivamente di lassù, di laggiù, da sinistra e da destra finché non gli salta in mente come l’avrà superato in astuzia! E si prende la rincorsa dal cielo per tuffarsi con tutta la forza nell’acqua color turchese facendola distendersi sempre di più con il suo ardore! Ed eccolo! È riuscito ad inondare con il suo riso splendente ogni angolo della meravigliosa isolina! Così, tesoro, il sole si tramuta sempre in uno specchio, grande e profondo, che riflette i colli verdi gremiti di oliveti, tigli e allori assieme a qualche chiesetta bianca nascosta tra i rari villaggi! E tutti godono il proprio dondolio nell’acqua e la vittoria del sole sui capricciosi boschetti d’isola...” Le parole di babuska erano sempre il miglior rimedio per la sua anima e la chiave magica per la sua boccuccia silenziosa. Dopo il racconto di babuska che in realtà era sempre uguale, ma ogni volta arricchito di un nuovo dettaglio rispecchiante l’isola immersa nell’acqua color smeraldo che cura ogni ferita, ogni graffio e ogni colpo sia del mondo che della gente, lei sentiva di nuovo il desiderio di continuare quell’incompiuto idillio fiabesco e raccontarlo anche con la sua fantasia. Così nel seguito della storia anche lei stessa si sentiva rinata e sollevata dalla purezza dei pensieri e dall’acqua rinfrescante che da sempre era il suo rimedio primigenio per ogni male e ingiustizia con cui la riempiva “quel mondo degli altri”. L’acqua era, in realtà, la sua protettrice che non permetteva mai a nessuno di farle del male trovando sempre un modo suo di fermare ogni malintenzionato e di renderla resistente a ogni pensiero malvagio rivolto a lei. Per questo ora nella sua fantasia si immergeva nell’acqua come nella sua dimora naturale che risvegliava in lei solamente il bene insieme a un’immensa gioia che sentiva percorrere tutto il suo corpo facendola alla fine uscire dall’acqua ma anche stare vicino ad essa. Trovatasi una volta sulla sponda lasciava venire alla luce del sole tutta la sua felicità che prima svegliava i suoi passi leggeri per poi farla volare con il fruscio delle foglie e il sussurro d’acqua. E tutto questo la trasformava in una schiava del proprio ritmo e una gareggiatrice abile che rivaleggiava con i propri capelli sciolti chi sarebbe stato il primo ad avvicinarsi al benefico calore del sole sorridente. Ed era proprio il momento quando la sua voce cominciava a correre fino al cielo, tutta leggera, limpida e armoniosa, sparsa in mille faville che galleggiavano nell’aria adescando ogni creatura per raggiungerla, prenderla, toccarla ma prima di tutto per trovarla nell’immenso eco celeste. Il suo volo acquatico verso il sole era l’unica continuazione naturale del racconto di babuska che poi non finiva mai finché c’erano il sole e l’acqua che le davano il rifugio. Perciò le giornate senza sole e acqua erano il suo incubo peggiore, proprio quello che le toglieva la forza nello stesso modo in cui le faceva male la persecuzione dei suoi compagni. Il cielo senza sole non era più il cielo e l’acqua che spariva sotto il pesante candore del ghiaccio non era più un suo rifugio caldo e sicuro. Il freddo che veniva con il primo vento invernale penetrava fino alle sue ossa, ma anche nella sua anima, proprio come una nuvola grigia che minacciava di togliere per sempre il sole dai suoi occhi e di fermare ogni suo passo. Perché, per quanto fosse sicura di poter contare sui suoi due più grandi alleati, fidandosi ciecamente che l’acqua e il sole l’avrebbero aiutata a mettersi in salvo facendola scomparire dentro di loro in ogni momento decisivo quando sembrava che la caccia sarebbe finita con un’altra, ma più fantasiosa punizione, tanto con le loro mutazioni invernali spariva il suo senso di appartenenza tirando fuori da lei il sentimento di una preda spaurita e braccata. Però, sotto il sole e dentro l’acqua nessuno la poteva né raggiungere né prendere il che, certo aumentava il malanimo e la rabbia altrui rimandando la resa dei conti con il suo distacco e la sua inafferrabilità ad un’altra volta. Ad un’occasione di freddo e gelo quando per lei non ci sarebbe stata la via d’uscita e quando nemmeno quel suo occhio nero e ardente non avrebbe potuto sciogliere il ghiaccio nel cuore altrui. Era solo questione di tempo quando tale occasione si sarebbe presentata. E il tempo, si sa bene, per quanto fosse capriccioso, alla fine ci raggiunge sempre... E certo che l’occasione si presentò con l’inverno, proprio con quello che si sarebbe impresso sia nella mente sua che in quella degli altri. Era un inverno strano. O meglio dire una giornata insolitamente fredda. Ma anche una giornata particolare perché annuncia da sempre il nuovo anno potando con sé il nostro desiderio di dare l’inizio proprio dal quel giorno a una nuova vita, cioè di aprire una porta fiabesca, ben nota solamente alle nostre speranze, una porta che passeremo di nuovo e molto facilmente per i prossimi trecentosessantacinque giorni, ma che di solito per l’incertezza che porta con sé ci fa scontrare con la nostra ansia. Anche se quel giorno non le andava di uscire dal guscio e dal calduccio di casa sua, l’atmosfera festiva e il chiasso di bambini che echeggiava dappertutto, riuscirono ad adescarla di dare un’occhiata al nuovo candore che copriva ogni angolo della radura ghiacciata da cui volavano le numerose slitte verso la propria fiaba. Tutto sembrava così bello e innocente. E pulito... proprio come l’acqua... Eppure, nemmeno ora voleva far parte del curioso mondo degli altri, che pur sfavillando di gioia e sincerità, rappresentava per lei un confine che non si poteva passare. Anche questa volta le bastava farne parte da lontano e scaldarsi almeno per un momento alla gioia di “quell’altro mondo”. Però, il candore e la purezza sono come uno specchio che ci scoprono facilmente facendoci essere più visibili. Fu proprio in una frazione di secondo quando il gaio e infervorato corteo si accorse di lei e si diede la caccia a lei come se fosse dato un commando silenzioso. Forse non volevano farle male quel giorno festivo, ma ora la sua paura gareggiava con i suoi piedi portandola sempre più lontano per la landa nevosa con un solo puntino spoglio in mezzo alla radura, ora così trasparente che era il suo unico riparo. Proprio al di là del fiumicino gelato l’aspettava il suo albero di salvezza, il suo platano preferito, ora già tutto imbianchito per l’attesa e per la voglia di porgerle le sue braccia grandi da cui nessuno avrebbe potuto farla scendere. Con ogni secondo che passava lo sentiva più vicino con l’anima sua mentre nei suoi occhi le sembrava lontano sempre di più, come in una fata Morgana nevosa che spariva davanti a un’enorme slavina umana da cui una pallina nera stava scivolando pericolosamente verso di lei. Rimanendo nello stesso tempo senza respiro e stivaletti, riuscì a salire sul suo primo ramo all’ultimo momento quando sentì un colpo forte che le portò via anche i pantaloni, proprio quelli che la babuska aveva lavorato a maglia durante le lunghe notti d’inverno per lei, per la sua freddolina come la chiamava. Si aggrappò al ramo più alto, diede un’occhiata laggiù e vide il ben noto riflesso maligno nello sguardo del suo primo vicino con cui divideva i bei ricordi dei primi passi comuni e dei tempi quando tra di loro regnava “un’estate eterna” e quando sembrava che “l’era ghiaciale” non sarebbe venuta mai stando lontano, lontano dalla loro infanzia. Però ora con il vento freddo che gelava il respiro lui avanzava verso di lei porgendole le sue mani come le rampicanti che da un momento all’altro la privavano di un altro pezzo di vestito. Intanto lei cercava con l’ultimo sforzo di raggiungere i rami più alti e sottili che ora si piegavano a destra, a sinistra, su e giù danzando al ritmo delle crescenti urla della tifoseria. I loro urli si diffondevano sotto di lei invadendo la superficie ghiacciata dell’acqua fluviale che ne risuonava sempre di più. Una volta afferrato l’ultimo e più fragile ramo del suo salvatore, non c’era più scampo per lei, ora provava il suo anelito sui piedi e si sentiva come denudata senza niente addosso tranne la sua paura tremenda che non aveva più a cosa aggrapparsi e sotto cui c’era sia un desiderio altrui, avido di raggiungerla presto che una voragine di acqua gelata. Da qui non si poteva più scappare, laggiù la aspettava la mano tesa e lassù c’erano solamente le nuvole, grandi e incolori e per questo simili al ghiaccio. Chiuse gli occhi in attesa della soluzione finale dopo di cui nessuno l’avrebbe mai perseguitata. E proprio al momento quando il verdetto stava per raggiungerla ed inghiottirla in un solo boccone, dissipandola per sempre con quest’ immensa bianchezza, sentì un calore spandersi sul suo viso infreddolito che sgelava le sue lacrime tramutandole in acqua salmastra che scendeva piano sulle sue guance. All’improvviso capì che era proprio la sua tristezza a richiamare un raggio di sole a cui solamente poteva aggrapparsi. Ora esso si sbrigava a diventare più forte passando dalle sue palpebre strettamente chiuse al viso del suo persecutore, sempre alla ricerca del suo sguardo perché potesse risplendere più forte. Ed allora si sentì uno schianto. Quando aprì gli occhi, poteva vedere solamente un buco nel ghiaccio da cui sgorgava in fretta l’acqua gelida portando con sé per sempre la mano allungata che, anche se tremante, era ancora tesa verso di lei. Da quel momento il suo destino portava il timbro sia della sua intoccabilità acquatica che dell’assoluto silenzio umano che la circondava ogni giorno sempre di più e che col tempo la faceva mettersi alla ricerca di una sua nuova dimora dove lo splendore del sole avrebbe potuto raggiungere ogni giorno e senza paura l’incantevole e melodioso sussurro d’acqua. ♦♦♦♦♦ “Dunque, l’hanno mandata dall’agenzia... Si, ho capito... si vede che ha molta esperienza con i bambini, ha lavorato presso le famiglie benenesta... perbene... ci sono ottime raccomandazioni... Va bene... Ma... mi dica una cosa, lei... non è italiana?” “No, signora, non lo sono. È un problema?” “No, per carità... nessun problema... Ci siamo già abituati alle babysitter straniere... E che ci possiamo fare, in Italia ormai nessuno si occupa dei propri bambini e poi di quelli degli altri, non se ne parla proprio... Ma sa, anche per i cani abbiamo dovuto trovare una straniera... Però siamo stati fortunatissimi con l’ultima filippina! Poi non ci prendeva tanto, insomma sei euro all’ora, è quasi gratis! Invece per la mamma, oh Dio, si è creato un problema serissimo... È da un po’, anzi, sono anni che non riusciamo a trovare una persona di fiducia... anche se siamo disponibili a pagare di più... Ma considerata la sua età avanzata insieme al suo caratterino... eh, non c’è niente da fare. Poi, sa, non è un gran lavoro, insomma che ci vuole, quando si porta Billy a spasso, si può portare anche lei, e pensi un po’ che per lei abbiamo pagato otto euro e mezzo all’ora! È una bella somma! E a pensare che qui da noi, sul lago si sta così bene, si fanno bellissime passeggiate, una meraviglia...Va bene, Billy è un po’ viziato, lo ammetto, e anche un po’ grandicello, ma la mamma è piccolina, è tanto comodo passeggiare con loro due! Nessun problema, davvero! A proposito... lei magari... sarebbe disponibile ad accettare... voglio dire solo come un lavoro part time, la pagheremo assai bene, ecco risulta facile... tanto quando porta Fido a spasso... “ “Mi dispiace, signora, ma non si può fare... io non accompagno né cani, né... le signore anziane a fare un giro... Sono diplomata in educazione infantile e ho alle spalle varie esperienze con bambini di varie età...” “Certo, certo, nessuna offesa... Ho pensato solamente che le piacerebbe guadagnare un po’ più. Mi rendo conto che da stranieri non si vive tanto bene, e poi tutti voi dei Balcani siete sempre pronti ad accettare qualsiasi lavoro, senza esitare...Va bene, se è per la mamma... capisco tutto, è anziana, troppo esigente, a volte una vera rompiscatole che pure a me dà ai nervi. Ma dico con Billy e Fido che inoltre vanno d’accordo così bene, si vogliono tanto, tanto bene... E poi Billy è più mansueto di quell’altro, mi creda! Fido mi ha morsa un paio di volte! Pensi un po’! Invece Billy... ma è un agnello! Chi l’avrebbe detto! Un rottweiler, così docile, così amabile! Lo adoro! Ecco per questo le dico che sarebbe facile occuparsi di tutti e due e con una ricompensa abbastanza...” “Signora! Io ho paura dei cani e mi creda che non riesco a stare in compagnia nemmeno con uno, e poi non se ne parla con due...” “Quali due? C’è solo Billy!” “E... quell’altro...Fido?” “Ahh, ma cosa lei ha capito! Oh Dio, ma no... ha capito male! L’abbiamo chiamata proprio per Fido! Capito? E per Fido che abbiamo richiesto il suo servizio! Fido cioè Federico, ma lo chiamiamo così in famiglia perché mi sta sempre tra i piedi! Poi comincia a urlare appena mi vede sulla porta! E quando esco, nessuno lo fa allontanare dalla soglia. E per lui che l’abbiamo cercata, capisce?” “Signora, ma lei sta parlando di suo figlio?” “Certo, proprio di lui! Per questo ci siamo rivolti alla sua agenzia!” “Beh... mi sa che non l’ho capita bene...” “Ma non si preoccupi! Lui è buono... è anche beneducato! È solo che non abbiamo avuto fortuna con le bambinaie visto che lui è un po’ testardo. Si vede che ha preso qualche vizio dalla famiglia di mio marito, a volte tutto ciò che fa lo fa per dispetto. Per questo lei deve essere con lui irremovibile! Quando fa i capricci, la prego di mostrarsi inflessibile! È per il suo bene! Ci siamo intese? Inoltre, ha fatto tanti controlli con il medico, anzi l’abbiamo portato dagli specialisti migliori e ci hanno detto che è perfettamente sano. Ma è testa dura come mio marito e solo per ripicca che... non vuole parlare! Nemmeno una parola! Ma capisce tutto! Ma proprio tutto! Come Billy! Vedrà che la capirà subito. Per questo, non gliele deve dare tutte vinte! Ma se esagera con i capricci, voglio dire se la cosa succede per la strada o sul lago dove si può incontrare la gente che ci conosce, ma dico solamente in questa occasione, può dargli la sua medicina. Così dovrebbe sempre portare con sé una bottiglia di succo di frutta. Una volta sciolta la pastiglia nel succo, tutto filerà liscio. Di solito si calma molto presto. Ma dico, non è che fa ogni giorno i capricci, di solito fa buono e dorme molto! Ha una natura sognante... Proprio per questo la capirà anche quando non parlate, capito?” “Ma mi sta dicendo che il ragazzino non parla bene l’italiano?” “Ma non vuole parlare affatto, capisce! Non ha aperto la bocca per quattro anni interi! Anche se n’è capace! Dovrebbe sentirlo quanto urla quando di sera usciamo fuori! Ma insomma, sta bene. Ha le corde vocali così forti che può urlare fino a novant’anni. A Milano ce l’ha assicurato un rinomato specialista in otorinolaringoiatria! Ma si vede che si ostina di non parlare. Lo fa per ripicca. Che ci si può fare... I bambini sono fatti così!” “Si ostina di non parlare?! E quanti anni ha?” “Le ho detto, ne ha quattro!” “E finora non ha mai parlato?! Allora lui non parla dalla nascita!!” “Proprio così! È la cosa di cui le sto parlando già da una mezzoretta!” “Luise! Ma con chi stai parlando?!” “O Dio, ecco la mamma! Ma te l’ho detto centomila volte di non chiamarmi Luise! Lisa, mamma, sono Lisa, capisci! Ecco mia madre con il suo tempismo perfetto! Viene sempre quando vuole! E mai azzecca il momento giusto! Mamma, ma che ci fai qui? Perché non stai nella tua camera?” “Ma chi e’ ‘sta signorina?” “Allora, mamma, ti presento la nostra nuova babysitter...che c’è? È la bambinaia, mamma, l’abbiamo presa per Fido! E tu lo sai benissimo com’è fatto il tuo nipotino. Dunque, la signorina... mi scusi, come ha detto che si chiama?” “Magda. Mi chiamo Magda.” “Che?! Cos’ ha detto? Come si chiama? Non ho capito! Luise, come si chiama?” “Mamma, basta con ‘sto nome antico! Non farmi vergognare! La signorina capisce benissimo l’italiano... A volte sei insopportabile! Proprio come tuo nipote! Ecco da chi ha preso il suo caratterino...” “Ma come si chiama?! Te l’ho chiesto...” “Calma, calma, mamma! Si chiama Magda...” “Ma... ma che nome è questo?!” “È un nome... così come il tuo, come il mio... bello, comunque... no?” “Ma... Magada! È così che si chiama?!” “No, mamma, si chiama Magda... lasciamo perdere, mi scuso, sa, a volte fa finta di essere sorda anche se ogni tanto ha davvero i problemi d’udito...” “Non sono sorda! Sei tu che sei sorda e cieca e non vedi che tuo figlio sta male! Con tutte ‘ste straniere che ci hai portato a casa, l’hai fatto stare male, anzi soffrire tantissimo! Poverino, non ha potuto imparare nemmeno l’italiano! Gli hanno tolto la lingua! Gli hanno fatto il malocchio! Streghe! Tutte streghe brutte e cattive! Hai fatto venire un’altra? Da dove?! Da un’altra Botswana?! O Dio, gli farà male! Lo stregherà! Magada! Ecco cos’è! Un’altra magada! Fuori! Fuori! Fuori dalla mia casa! Aiuto! Aiuto!” “Basta, mamma! Calma! Ma ti prego di calmarti! Ma che fai? Mi fai fare brutta figura con la signorina! Alberto! Alberto, la prego, porti subito mia madre nella sua camera! Sì, le dia subito un calmante! Mi scuso tanto! Si comporta così ogni volta quando si caccia qualcosa in testa. Ma non si preoccupi, faccia finta di niente. Come se lei non fosse qui. Vedrà tutto andrà bene. Ah eccolo! Il beniamino di nonna! Che c’è? Hai avuto paura per la nonna? Ma non è niente. Come al solito le è saltato il grillo di urlare. Lo sai benissimo che ogni volta che ti sveglia, strilla come una strega...” Il ragazzino stava sulla porta della camera, tutto confuso e imbarazzato, con gli occhi spalancati che pur fissandola facevano di lei un suo filtro dell’intero mondo intorno a lui. Era così piccino che a lei sembrava che sarebbe volato via da un momento all’altro e che la gravitazione dovesse soggiacere a tanta minutezza ed altrettanto smarrimento che il suo corpo magrolino portava con sé. Era un ragazzino bello, ma con un’ apparenza irreale, pareva proprio come se fosse disceso da un’altra galassia e si fosse completamente perso in una dimensione a lui tanto estranea. Da tutta la sua creatura emanava un’alienazione bizzarra, somigliante per un attimo a un’immensa tristezza galleggiante che uscendo da lui inondava tutto e tutti intorno a sé e poi si ritirava come la bassa marea in ogni suo poro. I suoi occhi neri come il carbone trasvolavano i suoi capelli, imbattendosi nella sua testa, nelle sue braccia e nei suoi piedi per fermarsi in un solo puntino delle sue pupille. Ma subito continuavano a penetrare sempre più profondamente nel suo sguardo che a lei sembrò per un istante che i loro occhi non si sarebbero incontrati mai, almeno non in questa vita, proprio per via del suo vagare. Si voltò istintivamente col desiderio di fermarli, calmarli e farli ritornare sia a lui che a lei offrendogli così l’occasione di dare l’inizio al loro volo comune. E fu allora che tutta la vicenda le strappò un ampio sorriso. Dietro di lei e poi dietro la porta aperta del salotto dove stavano tutti quanti, splendeva un puntino brillante che scappava qua e là giocando sia con se stesso che con loro. La sua era un’insolita danza sull’immenso pelago color verde smeraldo che sussurrava con ogni suo tremolio, spandendosi e raccogliendosi a ogni tocco del calore dorato come un bambino che soffoca dei piccoli gridi di gioia perché vede per la prima volta le mani che l’hanno trovato nel suo nascondiglio segreto dopo tanto tempo e fatica. E ora sapeva che i loro occhi si sarebbero incontrati proprio là perché questo era l’unico posto giusto per un nuovo inizio. ♦♦♦♦♦ “Federico, ma tu lo sai dove stiamo, eh? Come si chiama questa meraviglia dell’isola? Sembra che stiamo in una fiaba, no? Ti piacciono, amore, tutti questi boschi con le varie piante ed altrettanti alberi, con i prati ed i nostri sentieri che ci portano a caccia al tesoro? Su dimmi un po’, come si chiama questa isola con i splendidi panorami sul nostro lago?” Come sempre c’era un lungo silenzio ad accoglierla, ma lei non ci faceva più caso. Lo bombardava ogni giorno di lezioni di geografia, cioè di racconti impressionanti che insieme all’incantevole bellezza del lago aprivano pian pano i suoi occhi svegliando la sua curiosità per i luoghi, per la gente, per lei, ma prima di tutto per la propria percezione di se stesso e del suo posto nel mondo intorno a sé. In realtà lui seguiva ciecamente tutto quello che lei faceva o diceva, imbevendosi come la scorza dell’albero, secca ed assetata da tempo, di tutto quello che proveniva da lei. Il suo fervore di cogliere ogni suo sguardo e respiro a cui susseguivano le sue nuove parole e movimenti si trasmutava ogni giorno di più nella sua crescente fiducia con cui la premiavano le sue manine ed i suoi abbracci. Nel loro silenzio comune, bagnato dalla soleggiata cornice del lago d’acquamarina, nascevano tante storie, note e comprensibili solamente a loro due, eppur capaci a togliere ogni ostacolo e distacco del mondo circostante. E lo facevano proprio nello stesso modo in cui una volta i racconti di babuska richiamavano per lei un futuro sorridente e fiabesco. “Allora, cosa abbiamo detto? Come si chiama il nostro laghetto? L’iii....solaaa Coo...maa...cina! Sì, proprio così, tesoro! E cosa faremo il prossimo sabato sul nostro laghetto? Vedremo i fuochi d’artificio? Bravo! E che cosa canteremo? ‘Tanti auguri a tee... tanti auguri a te...!’ E perché canteremo questa canzoncina? Perché c’è il compleanno di... di chi, tesoro? Di me? No, non è il mio compleanno! È il tuo! Sì, sì proprio il tuo! Spiritoso, mi prendi in giro, eh?! Su, dimmi, quando sei nato? Dai, mostrami con i ditini! Il ventiiiquaaatrroo giu... giugno! Bravissimo! E cosa si festeggia pure lo stesso giorno? La... Sa... Sagra! E perché si fa la festa sull’isola?... Ma no, non solo per via del tuo compleanno! Magari! Si fa anche perché... c’era una volta... sì, bravo, vedi che sai proprio tutto, allora... c’era una volta la gente della nostra isola che aveva tanta, tanta paura delle... graan...dinaa...te! Giusto! E tu ne hai paura? Bravo, certo di no, tu sei coraggioso come... un leone! Un leone spaventone? Ah no, no, scusami, scusami tanto, ho sbagliato io! Si vede che è meglio tornare alla nostra storia. Dunque, perché la gente di lago di una volta aveva tanta paura delle grandinate? Perchè erano treee...mende! Giusto! E… che gli facevano? Roo.. viii..naa...vano i raaa...raccolti! Cosa? Non avevano da mangiare, davvero?! Poverini! E allora cosa hanno fatto? Sì? Ma con tutte e due manine? Così? Ho capito, pregavano! Tanto? Tantissimo! E... chi pregavano? San... Gio... Giorgino? Ma quale Giorgino, lui è il tuo amichetto! Sì, viene anche lui alla festa. Pregavano piuttosto San... Giovanni Baa... Battista! Giusto! E perchè lui? Cosa? Ah, la chiesa! Sì, è vero, c’è la chiesa dedicata a lui! Ma dove sta? Laggiù? A no? Allora dove sta? Ah, ho capito, lassù! Nel punto più alto dell’isola! Proprio là dove sta... cosa? Non ho capito! Il sole! Bravo, ma lo sai che sei bravissimo! E cosa c’è laggiù? Il la... lago! Allora, vogliamo bagnare le manine nell’acqua del lago? Su, coraggio, tesoro! Non avere paura! Ma no, non c’è niente nel lago! Ti giuro! Cosa? Grande? Lungo? Ma quale mostro?! Ma chi ti ha raccontato balle, eh? La nonna? E tu ci sei cascato?! Ma non è vero! Vieni, ti faccio vedere che l’acqua non può farti mai male! Guardami! Eccomi, sto nell’acqua, tesoro! Cosa? Vuoi cambiarti? Mi cambio io? Devo cambiare... che cosa? Ah, i miei occhi! Ma sei proprio furbo! Allora, facciamo così: se tu metti un piedino nell’acqua, io ‘cambio’ i miei occhi! Dai, su, vogliamo contare insieme? Uno, due, tre... bravo! Ma sei proprio il mio leoncino coraggiosissimo!” E mentre gli baciava il piedino asciugandoglielo coi capelli, lui cercava con le mani impazienti quell’insolito arcobaleno sotto le sue ciglia folte e lunghe, per gli altri inoltre nascosto, ma per lui sempre visibile e raggiungibile. Il gioco con le sue lenti a contatto colorate era sempre il più bel lieto fine di ogni loro passeggiata, e probabilmente per lui il miglior premio che avrebbe potuto ottenere con il proprio coraggio mentre guardava il lago dei suoi occhi tramutarsi in un solo istante nel buio in cui lui pure riusciva sempre a trovare due soli ardenti, simili alle stelle tremolanti che non smettevano mai di ammiccargli. ♦♦♦♦♦ Erano proprio le stelle a tingere quell’insolita notte festosa di varie sfumature gareggiando con i fuochi d’artificio e le luminarie per cui tutta l’isola risplendeva dimenticandosi pure del brontolio iroso della signora anziana che non voleva per nulla salire sulla barca con una ‘magada’ che sicuramente avrebbe rovesciato la barca nel mezzo del lago trascinandoli per sempre sul fondo del lago. La notte era avanzata, il profumino delle lumache cucinate con la polenta si mischiava con i riflessi di ceri e di migliaia di lumaghitt, con le canzoni e la musica che venivano dalle sponde del lago e tutto otteneva le sembianze di una magia irreale che sarebbe durata per sempre sia nell’aria che nelle loro anime. La bellezza del posto e dell’attimo sembrava perfetta unendo la scintillante forza celeste alla profondissima quiete dell’acqua. Sembrava che niente potesse rovinare l’immagine mitica di un futuro, bello e possibile, di un avvenire senza paura, allontanamenti, disprezzo e tutto quello che divide la gente e ci impedisce di essere il più bello specchio vivente che riflette la nostra generosità e l’affetto per ogni creatura umana. Però, la bellezza dell’istante è di breve durata. Tutto è successo proprio in mezzo al lago dove l’acqua bacia il cielo e dove una manina tesa ha cominciato a cercare le sue lunghe ciglia. Non è riuscita nemmeno ad aprire la bocca quando un colore dell’arcobaleno del suo occhio ha cambiato con questa mossa la sua dimora portando con sé la manina che, essendosi affrettata a coglierla, ora si perdeva nell’acqua con i suoi cerchi crescenti. Le urla e l’ondeggiamento della barca con i lumi festosi che a stento illuminavano il profondo del lago erano i suoi unici rivali con cui lottava il suo ardente desiderio di immergersi nel pelago vitreo e di mettersi alla ricerca della manina tesa. La freddezza con cui l’acqua le ha dato il benvenuto per la prima volta nella sua vita, l’ha stordita e poi trascinata nel buio, completamente sconosciuto e invadente che si intrecciava sempre di più con il suo corpo e il suo respiro. Cercava di tenere aperto almeno il suo occhio d’acquamarina che ora era l’unica luce che poteva seguire. Ma esso le sfuggiva, si chiudeva dal brivido che riempiva anche i suoi polmoni e alla fine spariva nella sabbia che la stava già salutando con il proprio riflesso polveroso. Vagava nell’acqua sprofondando sempre di più mentre tentava invano di liberarsi del buio che la inghiottiva e trascinava nel vortice della memoria e di un momento di paura, già da tempo dimenticato, con cui una volta aveva annegato sia la sua che la vita altrui. E fu allora che dentro di lei balenò un nuovo colore dell’arcobaleno! Era proprio quel raggio di sole di una volta che ora desiderava con tutto il cuore di dirigere verso l’unico puntino nel buio. E fu proprio così. Questa volta riuscì ad afferrare la manina ancor tesa verso di lei, spingendola con tutta la forza dei suoi polmoni verso il salutare tremolio delle stelle che brillavano sulla superficie d’acqua. Questo era il loro doppio ritorno proprio là dove ognuno di loro due apparteneva. E mentre sentiva una dolce beatitudine invadere tutto il suo corpo facendola tornare proprio all’immagine di una vecchia cartolina dove per tutta la vita desiderava di dimorare, l’ultimo scintillio delle stelle sorridenti portava alle sue orecchie il più bel canto di un grido del bambino da tempo desiderato: “Maga! Maga! Maga” ROBERTINO BECHIS ( Torino 14/02/1962 ): residente a Borgaro Torinese, impiegato bancario, sposato, con due figli, laureato in Economia e Commercio alla Facoltà di Torino nel 1992, appassionato di storia, con alcune esperienze editoriali all’attivo. “Vivo a Borgaro Torinese ( TO ) – Via Pirandello 1, TEL.0114501824 – Cell. 3400920181/ 3346957044 [email protected] – [email protected] Dopo aver partecipato ad alcuni concorsi letterari con un racconto inedito nel cassetto, nel 2007 ho ricevuto una prima proposta di pubblicazione da parte di una casa editrice toscana. Solo in seguito, ho accettato una seconda offerta pervenuta dall’Editore Il Filo, attraverso la collana ‘Nuove Voci’ con il romanzo ‘Sulle strade del tempo’. L’8/5/2008, giorno di apertura della Fiera del Libro di Torino, la mia opera è stata presentata dal FILO Editore all’interno dello spazio espositivo. Uno degli sponsor dell’esposizione fieristica era il gruppo bancario per cui lavoro (Gruppo Unicredit). Durante i primi mesi del 2008, la divisione Retail del Gruppo Unicredit Banca ha indetto un concorso letterario, aperto ai soli dipendenti, per le sezioni Narrativa e Poesia. I racconti brevi e le poesie selezionati dalla giuria designata sono stati pubblicati in un libro edito dalla casa editrice Pendragon di Bologna ed intitolato: ‘Libertà’. Nell’ambito di quest’ultimo concorso mi sono classificato al primo posto assoluto nella sezione Narrativa con il racconto ‘Alaska’. Anche quest’opera e stata presentata in Fiera il giorno 9/5/2008. Il 7 novembre 2009 ho ricevuto il 3° Premio nella Sezione Racconto Inedito del ‘X - Concorso nazionale di Poesia e Narrativa Guido Gozzano’ di Terzo, grazie al racconto ‘Con gli occhi di un bambino’. Il 19 novembre 2011 ho ricevuto l’8° Premio nel Concorso Lett. Internazionale ‘Raccontiamoci. Esperienze di vita vissuta’ di Prato, con il racconto ‘Sensazioni’. Il 12 maggio 2013 sono risultato secondo classificato nella Sezione G Racconto-Favola del Concorso Letterario Pennacalamaio indetto dalla Associazione Culturale Savonese Zacem con il racconto ‘Abbracci’. Dall’Edizione 2009 faccio parte della Giuria di Qualità del Premio Letterario ‘Racconti Corsari’, nel cui ambito, ho curato quattro presentazioni di racconti vincenti nelle edizioni 2009, 2010, 2011 e 2012 pubblicate nelle rispettive raccolte dall’associazione culturale ‘Parole & Musica’ di Borgaro Torinese. Sono membro del ‘Circolo Letterario Letture Corsare’ con sede nel Comune in cui risiedo e col quale teniamo presentazioni di libri di autori locali, con cadenza mensile. Alcune mie recensioni di libri sono uscite nel 2010 e 2011 sull’Eco di Torino. Ho concluso la stesura del romanzo ‘La danza delle lanterne’ pubblicato dall’editore Araba Fenice e disponibile in libreria dal febbraio 2013.” ALASKA Non tutto era iniziato navigando su Internet. Non proprio. Parecchi mesi prima di cominciare a saltare da un sito web all’altro, rimasi affascinato dalle immagini trovate sulle pagine lucide di una rivista di viaggi. Sottili kayak, giallo canarino, si esibivano ammiccanti sull’onda di un racconto avventuroso: il periplo dell’isola d’Elba. Una piccola Odissea intorno alla grande isola del Mar Tirreno dove ognuno dei protagonisti assumeva le sembianze di Ulisse alla ricerca delle proprie radici e della propria identità. Osservavo affascinato le foto dei gusci di polietilene colorati e leggeri immersi nell’azzurro del mare con le prue sottili a girare in tondo agli speroni di roccia affioranti o a puntare decisamente la sponda verde e rigogliosa dell’isola. Correre sull’acqua sfiorandola con le mani e raccogliere con la pagaia gli schizzi della schiuma superficiale delle onde; ascoltare il silenzio fuori dalle spiagge affollate e assaporare l’umore salmastro che sale forte dal mare. Più mi appassionavo al racconto dell’avventura intorno all’Elba e più cresceva il desiderio di vivere le mille emozioni soltanto immaginate. Internet assomiglia ad una grande piazza dove tutti si incontrano e magari finiscono per conoscersi senza mai vedersi. Mi ero imbattuto in un sito senza pubblicità. Bastò presentarsi e avviare la sezione “Contatti” inserendo qualche domanda. Gli esperti appassionati non si negano mai agli apprendisti. Così la risposta non tardò ad arrivare: “Sono Gianni, il webmaster ”. Da quel momento sarebbe stato lui ad iniziarmi alla disciplina della canoa di mare. Era maggio e l’estate batteva alle porte. Dentro di me cominciavano ad aprirsi scenari fantastici e terribili. Mi immaginavo già in balia delle onde mentre imbarcavo acqua ogni volta che lo scafo si infrangeva nella morsa dei marosi finché esso non sprofondava con la propria chiglia sotto il mio corpo. La canoa è tutta lì. Assomiglia alla cellula di una piccola astronave. Come tutti gli ambienti all’interno dei quali una parte di noi è costretta dalle circostanze a limitare i propri movimenti, essa ti fa sentire più debole, incapace di reagire alle difficoltà e alle avversità improvvise. Ciò nondimeno, la naturale paura, come un riflesso condizionato sviluppa quel senso di autodifesa contro il timore del capovolgimento che ci spinge alla conservazione dell’equilibrio. Il vecchio marinaio aveva cercato di instillare in me pillole della sua saggezza e della sua esperienza ispirandomi alcune letture presenti sul web. “ La lettura che mi hai consigliato mi ha acceso una lampadina: quella della paura. Mi pare di capire che il mare non va mai affrontato da soli ”. La paura cresce nella solitudine e allora dubbio e fiducia nei propri mezzi iniziavano a camminare insieme mentre l’orgoglio principiava a vacillare. “Una volta che avrai appreso le manovre basilari, capovolgersi in mare non sarà affatto frequente, anche con vento e mare cattivo. Se succede accade per distrazione o perché ti sfugge la pagaia o per frangenti o per onde inattese in prossimità degli scogli o, ancora, perché scavalchi un delfino, forse un tonno. In una situazione del genere, basta non farsi prendere dal panico, sfilarsi verso l’indietro e uscire dal pozzetto. Certo, se hai un compagno vicino che sappia galleggiare, anche se inesperto, risalire non è un grosso problema. Fui scosso da un moto di orgoglio: “Sicurezza e concentrazione saranno mie ancelle fidate ogni volta che lascerò la battigia”. Superata l’ultima incertezza il mio mentore avrebbe finalmente ordinato per me una canoa dalla linea filante; il modello elegante che sognavo: un Alaska. L’avevo visto in qualche immagine ma il solo nome evocava cavalcate solitarie ed in libertà negli spazi infiniti ed incontaminati di un mondo che non c’è più. Ero eccitato. Mi chiedevo quale sensazione si provasse a solcare le acque profonde di quel lago senza fine immersi nell’incavo sottile di un piccolo guscio galleggiante. Accettare di stare sospesi sopra un’infinita massa d’acqua in movimento, come fuscelli beccheggiare sopra un manto di onde irritate dalle correnti o dai venti di superficie e provare a restare in piedi sulla coperta viscida e sfuggente senza cadere: una vera sfida. E poi, oltre la sfida con se stessi, essere liberi dalle catene del mondo che ci appartiene per nostra natura: la terraferma. Allontanarsi dalla riva e vedere finalmente le cose da un’altra prospettiva. Solo i gabbiani sanno fare di meglio ma loro sono nati liberi di scegliere quando calpestare la terra o quando librarsi in volo. Il volo cambia la prospettiva. Una sera, il vecchio lupo di mare mi scrisse che l’attesa era finita. “Se vuoi è disponibile una canoa tutta arancione”. Un’idea intrigante riuscire a mettere le mani su un kayak dalla pelle color arancio intenso. Vedevo già la sua sagoma filante stagliarsi sulla superficie luccicante del mare illuminato dai raggi caldi di una giornata d’estate o a riposo sulla rena ghiaiosa alla fine di una traversata intento a duettare coi colori di un tramonto infuocato. Cominciai a navigare sottocosta disegnando piccoli cerchi e affondando in modo sgraziato le pale della mia pagaia mentre cercavo di dare la spinta giusta e la giusta direzione. Uscivo soltanto con mare calmo. Cercavo di imparare il modo migliore per partire controcorrente vincendo la risacca dell’onda che sbatte sulla battigia. Capii fin da principio che solcando l’onda verso riva avrei sempre dovuto spingere la prua nella stessa direzione senza mai pretendere di mettermi di traverso. Porgerle il fianco è come chiedere di essere scalzati. Intanto, ad ogni uscita, mi spingevo un po’ più in là. Come la linea profonda del mare assume la forma della terra delle utopie per l’uomo comune seduto sullo scoglio e assorto nelle proprie fantasie così il profilo elegante dell’isola Gallinara che da anni osservavo da lontano si era tra sformato nell’orizzonte delle mie aspirazioni: esotica iperbole di un’immaginaria terra della libertà. Il suo volto nascosto era l’altra faccia della luna. Pensavo: “Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse dietro. Eppure, è così vicina, non è irraggiungibile come la luna”. Venne finalmente il giorno, era luglio. Il mare era calmo quanto bastava per favorire la traversata. Avevo calcolato che avrei percorso quasi dieci miglia per andata e ritorno ma, se il mare manteneva le condizioni della partenza, l’impresa sarebbe stata alla mia portata. Mi allontanai silenzioso sul solco leggero tracciato dalla chiglia dell’Alaska. Man mano che andavo alla deriva le voci dalle spiagge si spegnevano. Ad un certo punto non restò che il silenzio del grande specchio colorato su cui stavo scivolando lentamente. Qualche volta, il silenzio veniva rotto dal fragore del treno che scorgevo correre, lontano, sulla massicciata; altre volte, dal passaggio di uno scafo a motore. Ma nulla riuscì a sconvolgere la quiete della navigazione finché la mia attenzione non fu richiamata da una presenza inaspettata: un gabbiano volteggiava ad ali spiegate attorno all’Alaska e planava dolce sopra la mia testa come se volesse darmi la direzione. Era lì a pochi metri sopra di me, potevo quasi toccarlo. Presto se ne sarebbe andato anche lui come era venuto. Il mare è un luogo dove tutti gli esseri viventi si avvicinano, si incrociano e poi si allontanano nuovamente, senza toccarsi. Non c’é il traffico di un bagnasciuga affollato e la libertà è solitudine. Non c’era vento quel giorno per cui non incontrai alcuna resistenza né ricevetti alcun tipo di spinta durante la traversata. Solo fatica. L’isola era sempre immobile in mezzo al grande lago salato, che circondava anche me, e la vedevo a poche centinaia di metri, man mano che mi spingevo verso occidente. Con la meraviglia di un bambino provavo un senso di sorpresa via via che nuovi particolari si scoprivano alla vista. Come l’emozione cresce quando ci si arrampica lungo i sentieri di montagna se, raggiunta la meta, guardiamo già alla cima che sta ancora più in alto perché solo allora si apriranno lo scenario e l’orizzonte fino a comprendere in un unico colpo d’occhio quel che sta sotto e attorno a noi così in mare le emozioni ci ghermiscono quando si passa dall’infinito al particolare. La terra riempie il vuoto desolante del deserto d’acqua che ci circonda e quando l’avviciniamo, più sono numerosi i particolari che ci rivela, più ci sentiamo al sicuro. Finalmente, a pochi metri scorgevo nitidi i profili ed i particolari della grande parete di piante sempreverdi che ricoprono lo scoglio impervio su cui aleggiava lo stridore delle colonie di gabbiani intenti a chiamarsi a vicenda e sciamare avanti e indietro come api presso il proprio alveare. Mi fermai per riposarmi un poco e poi ripresi lentamente a pagaiare verso il lato sconosciuto dell’isola. Cosa avrei trovato sull’altro versante? Orde di mostri marini mi avrebbero fagocitato facendomi scomparire in un piccolo gorgo di schiuma bianca oppure schiere di sirene suadenti mi avrebbero trattenuto sulla sua riva misteriosa? Nulla di tutto ciò sul lato oscuro dell’isola dei miei sogni ma semplici cascate di fichi d’india abbarbicate ad una terra ancora più scoscesa e selvaggia di quella che mi ero abituato ad immaginare. Da quel giorno l’altra faccia della luna non avrebbe più avuto segreti. La mia compagna di viaggio avrei potuto chiamarla Libertà ma qualcuno l’aveva già battezzata: Alaska. A ripensarci, non avrebbe fatto differenza. MASSIMO CERRITO (Gaeta): musicista e scrittore è laureato in lettere moderne, diplomato in solfeggio e teoria musicale al Conservatorio S. Giacomantoni di Cosenza. Talento precoce, a dieci anni vince il suo primo concorso musicale, a dodici il suo primo concorso poetico. Nel 1997 firma la colonna sonora del film documentario “Alla sorgente della vita”. Nel 2000 viene selezionato e partecipa al Concorso di composizione indetto dalla Miami University con un brano per pianoforte e fiati dal titolo “Snaky year”. Nel 2001 gira le piazze d’Italia e d’Europa come musicista di strada. Nel 2002 incide il cd “Tèkne”. Nel 2003 partecipa alla Biennale di Roma organizzata dalla Mondial Artist di Reggio Emilia con un booklet di poesie e testi dal titolo “Scritti semipoetici”. Dal 2004 al 2007 lavora come arrangiatore per diversi studi di registrazione. Nel 2008 è su iTunes con il brano “La Gabbia” e nel 2009 pubblica la breve raccolta di racconti “SAX (Elucubrazioni di un musicista di strada)”. Nel 2010 pubblica il progetto discografico “Musicmaker”. Nel 2012 pubblica il singolo “MIND”. Nel 2013 pubblica il progetto discografico “STYLE”. È terzo classificato con la raccolta di racconti “SAX. Elucubrazioni di un musicista di strada.” nel concorso “PENNACALAMAIO” istituito dall’Associazione ZACEM di Savona. Sempre nel 2013 partecipa con alcune sue poesie all’Antologia poetica pubblicata dall’Editrice Pagina. Attualmente incide per la New LM Records di Ravenna e pubblica per la Prospettiva editrice di Roma, lavora inoltre come autore/arrangiatore per studi di registrazione e privati. CONTACTS: Cell.: 338/8597647 Mail : [email protected] III class. LIBRO EDITO DI NARRATIVA SAX (ELUCUBRAZIONI DI UN MUSICISTA DI STRADA) Non porto radio con me, cerco di viaggiar leggero, il più leggero possibile. Il poco di musica che mi capita di sentire, di sfuggita, magari passando davanti ad un music store, mi sembra già sentita in un’altra lingua: pacchetto ben confezionato senza alcun tipo di ricerca o fine estetico. Mi sono chiesto se è per questo che la chiamano musica “leggera”. Sì, ma è pur vero che anni addietro, passando davanti agli stessi posti, meno colorati certo, senza tutte queste lucette ad intermittenza che si vedono oggi, ho avuto la fortuna di ascoltare un altro tipo di musica: già sentita forse anche quella, ma nella quale si percepiva uno sforzo creativo teso ad un obiettivo estetico/ideologico più o meno raggiunto a seconda dei casi… I piedi mi dolgono per il troppo camminare, mi sento vecchio e antico come quella musica... Non ricordo i nomi di quegli artisti, ma mi sembra di non sentirli più in giro. Con il mio sax intono motivi americani perché ho paura che musica troppo vecchia non mi faccia sbarcare il lunario. Poi a volte, da solo, la notte, mescolo Jazz, classico e tant’ altro ancora... Una notte, su una panchina di “...una piazza quadrata sotto un cielo quadrato di stelle” ho sognato, o forse no, che da una nuvola, come da una nave nel mare, cadessero note... intervalli bellissimi su questo stivale. Deve essere successo davvero, perché il giorno dopo il mio sax sembrava il flauto di un fachiro: note mai sentite, la gente assiepata come non mai: ho chiuso gli occhi ed ho respirato profondo ogni vibrazione positiva che proveniva da quel pubblico occasionale... Tenete d’occhio le nuvole musici!... Persino la radio alla fine mi ha chiesto: “...PERDONO!!!...” Resto a Modena per un mese. Mi ospitano a casa Gimy e Tim due albanesi che lavorano qui. Veramente gentili. Mi trattano come se fossi una star! Appena arrivato a casa Gimy ha messo un bisteccone a cuocere e mi ha fatto mangiare. Il fratello di Gimy l’hanno arrestato è rinchiuso a Latina. Spaccio di droga. E Gimy lavora per mandargli ogni mese qualcosa di soldi per le sue necessità. Tim è quello che comanda tra i due.Si vanta del nuovo cellulare che ha comprato con me che il cellulare manco so’ cos’è. Pulisce in continuazione casa, la tiene uno specchio… un uomo da sposare. Gimy vuole una donna e spera che io gli dia una mano. La sera usciamo e lui mi porta in giro e mi fa strada per farmi vedere dalle donne, io praticamente sono il suo specchietto per le allodole. Dice che sono bello e che sicuramente qualcuna la becchiamo… quanta solitudine. Ma due le abbiamo beccate sul serio. Gimy ha investito un capitale per portarle a cena. Non gli sembrava vero di uscire con una donna! Ma erano due che volevano solo passare la serata alle spalle di qualcuno e così dopo cena hanno lasciato il loro numero a me e sono sparite. Gimy ha bestemmiato per ore... quelle puttane diceva… alla fine stava quasi per piangere.Che palle quadre hanno queste persone. Arrivano in Italia senza neanche conoscere la lingua, soffrono di stenti, si adattano a qualsiasi lavoro, soffrono la solitudine e la mancanza di una donna, di calore umano… e stanno aiutando me: mi ospitano, mi fanno mangiare e bere a loro spese… rispetto questa gente e loro probabilmente lo sentono. L’unica cosa che posso fare per loro è suonare. La sera invitano gli amici e io suono per loro. E cantano ballano e bevono birra comprata al Sosty. Amo la musica e quello che riesce a fare con la gente. Cazzo ti frega delle donne Gimy prendi la birra e stasera si fa festa!!!! Seduta a gambe incrociate di fronte a me. Unica spettatrice. Due occhi color della terra un visino dai lineamenti aggraziati e simpatici. Ascolta con un’aria trasognata il mio jazz e ogni volta che finisco un pezzo salta in piedi e batte le sue manine ed esplode il suo meraviglioso e festante sorriso. – Ciao piccola, come ti chiami? – Chiara! – E quanti anni hai Chiarettò? – Nove anni – risponde lei tutta orgogliosa come se avesse già raggiunto la maggiore età – Li ho compiuti il 12 marzo. – Chiarettò, ma ti piace così tanto la musica? – Sì, mio papà è un musicista! – E che musica scrive il tuo papà? – Il mio papà dice che la sua musica è come un quadro con tanti diversi colori. – E a te piace? – Sì, mi piace tanto… - Ed è qui il tuo papà? Fammelo conoscere. – No, non c’è il mio papà – e il sorriso si spegne e gli occhi si abbassano – non me lo fanno vedere più il mio papà. E quasi le viene da piangere, ma deve essere una bambina forte Chiarettò, perché ingoia il pianto e rialza gli occhi verso di me: - E perché non te lo fanno vedere il tuo papà? – Mamma ha detto all’assistente sociale che è cattivo il mio papà e l’assistente sociale l’ha detto al giudice. Mamma dice che se è un giudice a dirlo allora significa che è vero che il mio papà è cattivo! – Senti ma tu l’hai conosciuto il tuo papà? – Sì! – E che facevate insieme? – Mi insegnava a suonare il pianoforte,cantavamo tante canzoni, poi giocavamo e papà faceva tutti i personaggi… - Ah sì? Qual’era il personaggio che a te piaceva di più? – Il vecchietto magico. – E perché ti piaceva? – Perché quando arrivava il vecchietto magico tutto diventava bello e tutte le cose brutte sparivano. – Ma allora non è cattivo il tuo papà! – Non lo so… Povera testolina martoriata che a nove anni parla già di giudici e assistenti sociali, che si arrovella e non riesce a capire perché… Perché? MADRE PUTTANA!!!! MABI COL (Mioglia) I class. SILLOGE DI POESIE Mabi Col è nata (ma poi perché dovrebbero interessare alla gente i fatti suoi?) Va beh, qualcosa bisogna pur scrivere… Ha conseguito inutilmente una stupidissima laurea in Biologia, che non ha mai utilizzato se non per fare la maestra alle scuole medie. Ha viaggiato tanto senza capire bene quel che stava vedendo e qualche volta è riuscita pure a non vedere niente di quello che c’era da vedere, come capita spesso a quelli che vanno senza sapere bene dove andare. Ha passato buona parte della sua vita rincorrendo le chimere della pittura e della poesia, senza riuscire a smettere, nonostante ci abbia provato più volte. Si è cimentata anche con la fotografia, mentre con scultura e ceramica ha un bruttissimo rapporto d’incomprensione reciproca. Ora si dedica al collage perché tutto sommato costa meno e si fa prima. Ha partecipato a tutta una serie d’inutili concorsi a pagamento, dove c’erano sempre le stesse facce che giravano. Ha partecipato a tutta una serie di esposizioni con scarsissimo afflusso di pubblico, come capita sempre a codesto genere d’iniziative. Ha cambiato stile e tecnica svariate volte (china, olio, tempere, acquarello, serti, collage) con i soliti risultati. Ha pubblicato tre raccolte di poesie, due saggi archeologici, una raccolta di fiabe e tutta una serie di dialoghi poetici con altri autori. Libri che nessuno ha letto né per altro leggerà mai, tranne qualche amico masochista. Ha fondato 2 o 3 circoli culturali di belle e artistiche speranze, di cui non fa più parte e preferisce non saperne più niente. In conclusione, non ha mai combinato niente di concreto e certamente non comincerà adesso, visto che invecchiando non potrà che peggiorare, come capita a tutti quanti. Mabi Col MATERIA OSCURA (scritta durante la Premiazione del Concorso) Quanti ricordi, canzoni, scossoni vite sgangherate, nomadi, sedentarie voci disperse nel profondo del mondo navigano indecifrate sul web. Quanta carta stampata, stracciata invecchiata nelle mani dei sogni dimenticata sugli scaffali del tempo mi guarda, m’assale, mi rimprovera. Non capisco, non so, non ho visto se c’ero dormivo, sognavo, speravo. Dai disegni del domani scontato linguaggi scaduti, dispersi, svenduti linguaggi scanditi, inventati, brillanti si arrotolano, s’aggrovigliano, si perdono nelle onde dello spazio siderale musica di Titanic che veleggia sopra l’oceano algido e mostruoso magma infinito di materia oscura. Nell’animo perplesso dell’aurora corre veloce la filastrocca della fortuna s’avvita su se stessa e trascina a capofitto il profumo della notte in questo pomeriggio tardo nel volgere delle stagioni: la primavera è già quasi estate e la carta è solo un’abitudine. 12 maggio 2013 MATTEO COMASCHI (Codogno, LO) I class. SCUOLE MEDIE - HAIKU Il mio villaggio: e la sua gente è anche la mia famiglia. Piccola valle, innocente suddita delle montagne. Il tuo silenzio, villaggio di campagna, musica per me. I class. SCUOLE MEDIE – FILASTROCCA L’ITALIA, ILMIO PAESE, IL SUO SPLENDORE L'Italia e il suo splendore mi fanno pensare tanto in cuore come sono fortunato ad essere cittadino dello Stivale che qualsiasi uomo vorrebbe calzare. L'Italia è il mio Paese e in esso io della mia vita vivo ogni mese, per questo mi sento fortunato a vivere in questo piccolo grande Stato. L'Italia,assieme alla sua gente, mi fa venire in mente che la sua armonia e la sua bellezza sono il mio orgoglio e la mia sicurezza. I class. SCUOLE MEDIE – POESIA IL GIROTONDO DELLA DIVERSITÀ In Italia, il nostro stato, il destino molti emigrati ha mandato, che vengono qui, nel nostro Paese, per lavorare con un qualsiasi arnese. Questo continuo flusso di migrazione, produce una grande ed importante azione. L'incontro tra quelle estere e la nostra cultura, che mai deve essere cosa dura, si può paragonare ad un immenso girotondo, nel quale tutti i componenti, con spirito giocondo, si tengono per mano in pace e fratellanza tutti facendo un'allegra danza. Non ci devono essere né guerre né conflitti ma solo unità perché tutti siamo uguali pur nella diversità. MARIO D’ALISE (Roma): nato il 4/12/72 a Potenza, residente a Roma. Vincitore di vari titoli nazionali ed internazionali. Segnalato in numerosi concorsi letterari con varie poesie inserite sulle Antologie, tra le più importanti: casa editrice Feltrinelli con le poesie “Scrivo”, “Tramonto nel vento”, “Ti penso”. Inserito nei grandi classici della poesia italiana con le opere “Un uomo rimane da solo” e “Luce senza volto”. LIBRI PUBBLICATI Ha pubblicato diversi libri tra i quali: Mario cuore solitario, novembre 2005, Poesia per me, a giugno 2007, Mario il calvario, febbraio 2008, Ragazza del fiore, luglio 2008, Mariagrazia Claps Ragazza del fiore FOR EVER, novembre 2008, Ciao Mariagrazia Claps, dicembre 2009, settembre 2012, Mario l’extracomunitario. Con il libro Ciao Mariagrazia claps ragazza del fiore, vince un titolo internazionale in Campidoglio a Roma. MENZIONE D’ONORE POESIA SINGOLA SO CHE MI TRADISCI So che mi tradisci, so che non sei sincera, so che non sei sincera questa sera. Ma con te vorrei restare, con te vorrei restare a sognare. So che quando ti alzi dal letto, di me non hai nessun rispetto. So che mi tradisci e poi sparisci. Ma io con te voglio restare, con te voglio ancora sognare, questo sogno non mi devi negare. Mentre continui a parlare, dici: che la nostra storia prima o poi deve terminare. Io soffro per questo motivo, perché non mi fai sentire più vivo. Ho bisogno di te e del tuo amore, ho bisogno di essere vivo, voglio conquistare il tuo cuore. Io amo dirti che ti amo, vorrei ancora toccare la tua mano. Ho bisogno del tuo amore, ho bisogno del tuo calore. Per te farei qualsiasi follia, mentre ancora soffro, capisco che non sei più mia. Ma con te ad ogni costo vorrei restare, non voglio perderti e lasciarti andare. Lo so che non sei sincera, lo so che non sei sincera questa sera. Ma io amo dirti che con te voglio restare, questa notte continua a farmi sognare, per favore non te ne andare! GRAZIA DI LISIO (Teramo): poetessa, scrittrice, ama l’interazione tra linguaggi espressivi. Oltre all’insegnamento in discipline umanistiche, si è dedicata all’approfondimento di discipline archeologiche, alla conoscenza tecnico-pratica del linguaggio teatrale e cinematografico. Ha pubblicato micro-testi per il Teatro-Scuola, poesie-immagini-ritratti sul sito online di Lietocolle, le raccolte “Voci e silenzi” (Sigraf 2003), “Le accese solitudini” (Tracce 2005), “Annoda fili acquei” (Gedit 2008), “Compresenze” (Tracce 2009) e il saggio “Sa terra sonadora” (Noubs 2011), secondo Premio al Concorso letterario in lingua campidanese (Quartu S. Elena 2012). Molti i premi per il teatro, il cortometraggio, la didattica e la poesia. Varie volte finalista per la poesia edita, nel 2011 ha vinto il Primo Premio Internazionale Ida Baruzzi Bertozzi (Chiavari). Ha collaborato con A B C, con Il Monitore e con La Tenda. II class. HAIKU Difforme plaga di oleandri in fiore. Vaga emozione. ASSUNTA FENOGLIO (Torino) II class. FILASTROCCA LELLA, PICCOLA ANATRA DISUBBIDIENTE Questa è la storia piccina di Lella, anatra birichina che si tuffa nello stagno e sguazza mentre fa il bagno. Una mandarina molto acuta sorveglia la piccola pennuta: nell’acqua, sguardo attento, osserva ogni suo movimento. Come la mamma d’ognuno di voi è lieta che Lella non si annoi, ma la richiama con versi strani perché da riva non si allontani. Lella continua, non ascolta, va al largo, poi ogni volta, torna veloce da mamma e dice “Non vedi come sono felice?” Quand’ecco un grosso cane spunta di colpo dal fogliame, guarda nell’acqua azzurrina, si tuffa e si lancia sulla piccina. Lella strilla spaventata, annaspa, fugge, è disperata. La mandarina vola in suo aiuto e assale il cane che resta muto. Fugge il cattivo che è sorpreso da un attacco tanto inatteso. Sorride di sollievo l’anatra Lella che capisce di esser stata monella e promette a chi l’ha salvata che domani sarà più assennata. Si stringe forte al cuore della mamma e, proprio come te, ora farà la nanna. MARIA GRAZIA FERRARIS (Gavirate, Varese) I class. POESIA SINGOLA ATTESA Le nuvole sfilacciano i grigi nel cielo opaco eppur luminoso d’aprile, la casa calma in silenzio aspetta, tace. Tu non ci sei, non ci sarai mai più. Il ciliegio a fronte, impavido sorride, torna a fiorire: lui sa dimenticare. Danza: non sa come è difficile andarsene, morire. Mi fermo muta, guardo. Mi volto, aspetto inutilmente e non so che cosa. La casa tace, tranquilla. Ci sono cose difficili, dure da dimenticare, allontanare: la delusione, la perdita, l’amore perfino il silenzio. Ci sono strade da percorrere da soli, senza parole di conforto. Eppure credo in questa natura in fiore, in questa casa quieta e bianca di sole, serena, in questa tavola apparecchiata in attesa, in questa città che lavora quieta, nonostante tutto. Non sono sola. Aspetto la morte dei morti, mentre il ciliegio fa volteggiare i fiori nel brivido di brezza che lo spoglia. I class. RACCONTO IL CROCONSUELO DA GIANNI- PIZZA D’ASPORTO: pizza margherita, quattro stagioni, bufala con pomidorini, quattro formaggi, ricotta e spinaci, prosciutto e funghi, provola e salsiccia, salame, brie e speck, acciughe ed olive, verdure miste, caprese…., focacce e… CROCONSUELO. È l’insegna multicolore analitica ed invitante che è comparsa nella piazzetta di fronte al cinema, su un negozietto, lungo e stretto, con vetrina coperta da invitanti illustrazioni dell’arte culinaria della pizza. È poco più di un bar, provvisto di pochi tavolini, con rustica tovaglia a quadretti, sedie impagliate all’ aperto, all’ombra riposante di un vecchio grande tiglio. Rileggo con qualche sorpresa l’elenco delle specialità, soprattutto per l’ultima, stravagante, inconsueta voce: croconsuelo…: quel termine sconosciuto ai più, che emozionante folla di ricordi è per me! Gianni! Quanto tempo è trascorso? Mi rivolgo a Giulio: -Ti ricordi?-, dico, facendo cenno all’insegna e all’oggetto della mia sorpresa. La pizzeria è di Gianni, così come la misteriosa trovata linguistica, che mi sorprende ancora. E dietro la parola c’è tutta una storia. Vale la pena di ricordarla, perché Gianni è un vecchio amico, una vecchia interessante conoscenza giovanile. Andavamo a scuola insieme. Gianni abitava fuori paese in una casa colonica presso la collina, una casa grande e spaziosa, con un’ampia aia ombreggiata da una vite americana. D’estate la sua ombra dava una grande frescura e un gran godimento e permetteva a noi ragazzi di giocare indisturbati. C’era però sempre vigile a mantenerci nei confini, un ordine dei genitori, cui era obbligatorio ubbidire: < Tornate a casa presto, al più tardi alle sette!> ed in genere noi ubbidivamo, nonostante i giochi ci facessero perdere la cognizione del tempo, visto il trionfante appetito che si scatenava nei pomeriggi di gare, di gridi, e di fantastici giochi e corse senza fiato. Il bosco vicino era pieno di castagni, e questo era un’altra attrattiva dei nostri autunni, quando la scuola ci lasciava il pomeriggio libero; la cerchia dei rami si chinava dolcemente fino al confine dell’aia; irradiava di tra il fogliame in primavera la sua complessa fioritura che era d’un verde bianchiccio, emanava profumo aspro e intenso, pieno di richiami, e in ottobre, quando l’uva era già raccolta, lasciava cadere al vento i frutti spinosi dalla corona ingiallita. Noi andavamo a raccogliere castagne e a caccia di funghi. Anche allora, le giornate già corte, al più tardi alle sette, eravamo di ritorno a casa, col fagottello delle castagne, dopo aver trascorso anche un po’ di tempo in chiacchiere nella cucina della cascina di Gianni, che era un covo di meraviglie e di allegria di animali, la cucina di nonna Adelina. Era grande e spaziosa, con un lungo tavolo di legno e sedie impagliate, alle pareti le pentole ed i paioli di rame luccicanti, un grande camino a lato; sul fuoco vivace si poneva la pentola bucherellata delle caldarroste. Quante chiacchiere, quanti sogni, che allegria! Le luci accese senza eccessiva invadenza accompagnavano dolcemente le nostre parole che si perdevano nelle ombre della sera imminente e noi gustavamo le mondelle, le castagne arrosto, tra risate e pettegolezzi, primi amori, sogni, in gioiosa festa. Gianni era un grande appassionato studente di letteratura e di storia. Lo è sempre stato, ma man mano crescevamo il suo interesse si raffinava e diventava prezioso, selettivo. La prima prova provata e costruttiva delle sue molte abilità pratiche e letterarie ce la diede in terza liceo, studiando la letteratura italiana. Leggevamo le novelle del Boccaccio, la novella di Calandrino, del Decamerone. È là che si parla del paese di Bengodi, dove “eravi una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi li gettavan quindi giù, e chi più ne pigliava più ne aveva”… Gianni, affascinato, interessato da sempre all’arte culinaria, cominciò a discutere sulla natura e sulla composizione di quei maccheroni. Riflettendo su certe voci dialettali venete che nonna Adelina conosceva e citava spesso, affermò che certo si trattava non di maccheroni, bensì di gnocchi: tra l’altro,osservò, solo quelli avrebbero potuto agevolmente rotolar giù dalle falde della montagna di parmigiano. Gnocchi, ovviamente, senza le patate, precisò. E con un pizzico di esibizionismo storico, un’altra delle sue caratteristiche, sostenne: -Le patate arriveranno dall’America quasi tre secoli dopo Boccaccio. Alle perplessità divertite ma interessate dell’insegnante di lettere, Gianni, ostinato più che mai, sicuro di sé e della nonna Adelina, sostenne che avrebbe consultato un dizionario storico o un ricettario di qualche grande cuoco passato alla storia. Nella nostra incredulità e divertimento, quasi per sfida, trovò, non si sa come, il ricettario dei Banchetti di Cristoforo da Messisbugo. Il giorno dopo tenne all’insegnante stupita, ma sorridente, che sapeva stare amenamente al gioco, una sua lezione storico-culinaria, cominciando dalla sua fonte, questo sconosciuto Cristoforo che visse a Ferrara nel Quattrocento alla corte degli Este, dove pubblicò il suo ampio e articolato libro dal titolo “Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale”. Un vero tratto di costume, e una miniera inesauribile di notizie, secondo Gianni. Secondo tale maestro “tali gnocchi, composti dall’impasto di farina bianca, semolino macinato, pangrattato, uova e formaggio”, vengono tagliati come dei pezzi grandi “quanto una castagna” e modellati “sul rovescio del grattacasio”… E poi fatti cuocere nel brodo. Dispostili in un piatto da portata ben caldo, si cospargono via via con il formaggio grattugiato, e nient’altro. Li si fanno rotolare poi lungo un piano inclinato cosparso di formaggio. Una prova di rispetto per Boccaccio, anche se forse un’operazione culinaria poco agevole. Eravamo tutti così ammirati dalla sua intraprendenza che Gianni, al colmo della sua beatitudine ci invitò a mangiare, per il sabato successivo, nella cucina di nonna Adelina, “i maccheroni del paese di Bengodi”. E all’insegnante, naturalmente nostra ospite, disse, facendo il verso dei nostri genitori, come un cuoco severo: -Mi raccomando, puntualissimi, al più tardi alle sette!, il piatto va servito caldissimo con burro fuso, e non ammette ritardi!>. Ubbidimmo, naturalmente. Fu un grande successo. Gianni si guadagnò un articolo (I MACCHERONI DEL PAESE di BENGODI) sul giornalino scolastico, la curiosità e l’invidia dei non invitati, e le lodi personali del Preside! E non finì lì. Gianni aveva davvero una grande passione storica per la cucina. Ci diede ancora saggi della sua doppia capacità, l’anno seguente, dopo la gita scolastica a Mantova. Si studiava il Rinascimento, la società di corte, si leggeva il Platina, e Teofilo Folengo. Gianni naturalmente si concentrò sulle loro ricette, che erano una commistione completa di prodotti di terra e d'acqua, poco diffusa nelle altre cucine tradizionali padane: agnoli, tortelli di zucca, risotto alla pilota, polenta… piatti quali il risotto con la tinca, rane, lumache… di tradizione popolare. Mai nessuno si era interessato tanto alla geografia mantovana, che a lui pareva quella del Paese di Cuccagna, dove la natura produce ogni ben di Dio, …alle venti ricette in latino maccheronico, del Baldus, e ai suoi tortelli di zucca (mox tortellorum varia de sorte cadini, ...) e alla storia affascinante della torta di rose, confezionata in occasione del matrimonio del marchese Francesco II con Isabella d'Este. Un Rinascimento a portata di bocca. Sosteneva, ispirato, che la Torta delle Rose non ammetteva fretta, velocità od urgenze. La sua realizzazione richiamava piuttosto le pause necessarie per dipingere un quadro od un affresco: dalla preparazione del fondo fino all'ultima languida pennellata… Ci sfidava, ridendo. Credo però che Gianni abbia raggiunto l’apice della sua passione il quinto anno, durante gli esami di maturità. Intrattenne la Commissione su quel capolavoro che è La Cognizione del dolore del milanese Carlo Emilio Gadda, indiscusso e iroso lombardo, ma lo fece in modo molto originale, soffermandosi sul tema culinario, stabilendo paragoni con la letteratura inglese, con il personaggio di Leopold Bloom, l’eroe di Joyce, protagonista dell’Ulisse, che si delizia del rognoncino a colazione, ed è convinto che nella mente e nel desiderio si affolla di tutto, che “la pace e la guerra dipendono dalla digestione di un individuo”. Questa sua ultima associazione lo porterà alla ricetta di Gadda, che mentre monologa di associazioni alimentari e di geni di popoli diversi, sceglie di mangiare un tramezzino al gorgonzola con olive…: strana associazione per un sano lombardo che lo vada a leggere!, commentava compunto il Gianni, davanti all’esaminatore. Ma il romanzo ha le sue leggi, anche culinarie, diceva ironico, tra lo spasso della Commissione esaminatrice. Il gorgonzola, allora…: formaggio ben conosciuto e diffuso da noi. “Il formaggio con la muffa”, originario dalle Prealpi e dalla pianura milanese… Gadda non lo cita col suo nome, spiegava compiaciuto, lo traveste in <croconsuelo>, una parola inventata dal suo genio espressionistico di natura spagnoleggiante e ne dice tutto il male che può. Ma perfino il nuovo termine non è usato con costanza, appare talvolta anche con un nome deformato, quello di <borbonzola>, più facile da decifrare, ma usato ancora in occasioni nefande o nefaste. -L’odore, il colore, la consistenza è per lui legato ad associazioni fisicamente repellenti, spiegava serio il Gianni. - È sempre visto nelle sue forme più estremizzate, sia in fatto di colore che di odore, e nell’atto del godurioso sciogliersi in bocca, saporoso: grasso, piccante, odoroso, con ricche muffe d’un verde cupo. “È una specie di Roquefort del Maradagal (designazione spagnolesca dell’Italia, nel romanzo), ma un po’ meno stagionato: grasso piccante, fetente al punto di far vomitare un azteco, con ricche muffe d’un verde cupo nella ignominia delle crepe, saporitissimo da spalmare con il coltello sulla lingua-ninfea e biascicarlo poi per dei quarti d’ora in una polpa immonda bevendoci dentro vin rosso, in restauro della parlantina adibita ai commerci e recupero saliva…”, citava divertito il Gianni, ed ancora proseguiva imperterrito: “quell’altra maialata del croconsuelo, muffo, giallo, verminoso… per biascicarlo a dovere, il fetente: il nauseabondo…» . Inutili le difese: « Ma se è il re dei formaggi!.... tant’è vero che lo hanno battezzato Rex! » -Certo C. E. Gadda non amava il gorgonzola, anche se provava uno strano viscerale attaccamento alla vivanda, consumata nelle più svariate occasioni dai suoi personaggi, -concludeva sicuro. Il Gianni invece se ne innamorò e ci intrattenne per l’ultima volta, usciti i quadri, in somma allegria, a casa sua, sotto il tiglio, con la sua favolosa pizza allo zola, il croconsuelo! La vita ci aveva poi diviso. Come è inevitabile. Sapevo che Gianni era partito per una esperienza di lavoro in Inghilterra. Ora, evidentemente, era tornato ed aveva coronato con il suo negozietto il suo sogno d’amore culinario. Era giusto, oltre che affettuoso, fargli una visita, e Giulio fu d’accordo. Ci abbracciò pieno di entusiasmo, ci complimentammo, e nell’attesa di conoscere le sue vicende e peripezie di quegli anni, prenotammo la nostra cena, in suo onore. -Tornate, ma non prima delle sette!- ci disse ironico, ridendo. Il croconsuelo va consumato subito, fragrante di forno, e non ammette di essere riscaldato. Certo Gianni, saremo puntuali col passato: “non prima delle sette!” VALENTINA GRAZIA HARÈ (Palermo) I class. SILLOGE DI POESIE IL TRIONFO DELL’OGGI Mai più sete di quel che siamo stati inverni frantumati nei nostri racconti inverni da bandire, a mai finire in chilometri e chilometri di vene. Sete di quel che siamo! Facciamo pace con le vertigini della nostra sensibilità. A ogni ora sboccio nuova per te. Sboccio anche fuori dai vestiti in modo singolarmente dolce. Sboccio fuori talvolta dalla nostalgia delle tue labbra che mi chiamano a vivere, a ritornare in ciò che vale. Oggi godiamo le risate: le figliolette caduche del tempo. Soltanto sete di noi, se no di cosa vivremo domani? IL VIALE SUL VIALE PAPÀ MI LEGGEVA LE STORIE DURANTE LA LUCE DELLE FIABE IO STAVO BENE LO FACEVA INDICANDOMI CON GLI OCCHI IL SOGNO: RE SFUGGENTE DEL MIO TEMPO INTERIORE. IL VIALE PER UN ATTIMO È STATO SOLO POI LE FIABE HANNO IMPARATO A ESSERCI. ORA MIO PADRE CON POCA VOCE MI DICE CHE LA MIA SCRITTURA È BELLISSIMA, È IL VIAGGIO CHE SI APRE CON LA BOCCA: "PAPÀ, QUESTE SONO LE FIABE CHE TI RESTITUISCO." LA VITA GLI GIRA ATTORNO ORA DOLCE ORA CATTIVA E IL PERNO DI DOLORE È IL LETTO E LUI NON SA PIÙ LE STRADE, E I VISI DELLA GENTE IO PERÒ INDOSSO IL SUO AMORE PER LA VITA INDOSSO LA SUA STELLA SMESSA CHE NON MI CHIEDE ALTRO CHE BRILLARE. COME TUTTE LE STELLE LA LUCE È DATA PER DARSI E IO GLIELA DEDICO CON DOLORE NUDO, A LUI CHE MI HA INSEGNATO LE FIABE, UN GIORNO, SUL VIALE MADDALENA LEALI (GENOVA) III CLASS. LIBRO EDITO DI POESIA Maddalena Leali Canto spezzato poesie –Ed. Studio 64 - €. 10,oo Genova maggio 2011 ISBN-978-88-7902-081-7 “Canto spezzato” è una raccolta di versi divisa in tre parti attraverso le quali ben si articolano i vari momenti creativi di Maddalena anche se, nonostante la divisione, è ben visibile l'unità di spirito che li ha generati. Maddalena Leali ci fornisce la sensazione di essere una poetessa istintiva ed impulsiva, ma a ben leggere si vede subito che così non è, i versi sono diretti e mirati ad esprimere il suo personale rapporto con la realtà, sia che si tratti di fatti, di sentimenti o di semplici annotazioni: lì dentro vi è il suo mondo e il suo modo di relazionarsi ad esso, senza indulgenze e senza mediazioni di sorta. Tutto ciò conferisce una grande sincerità alla sue parole, ma soprattutto le consente di osare accostamenti, costruzioni verbali di grande forza comunicativa. Già la poesia che dà il titolo alla raccolta è un monito: Non si finisce mai né di vivere né di morire... I titoli delle tre sezioni sono poi sono una enunciazione programmatica: Mitologica Gatto nero Spiccioli e direi che una lettura attenta li possa giustificare in pieno. Per il resto posso solo consigliare di leggere. (Guido De Marchi; Recensione pubblicata sul nr 8 del 30 settembre 2011 su BANCHINA, rivista dell’omonimo Circolo Letterario –Liberodiscrivere Edizioni) Premio Vittoria Colonna – 3^ Edizione 2011 Mi congratulo con Lei per i lavori* pervenuti all’Associazione Ampiabottiglia , interessanti, frizzanti e talvolta direi sorprendenti. […] Sono piena di emozione, ora che scrivo queste righe: mi passano nella mente flash di versi ricchi del dire artistico, simili, ma diversi nella struttura, nell’ambientazione, nella capacità sensoriale di sentirsi lì all’unisono con la mano che ha impresso quelle righe sul foglio… (Anna Apolloni, Collaboratrice del Premio, Commento pervenuto con lettera cartacea il 5 settembre 2011 da Marino/ Roma, sede del Premio) *ndr: rif. Canto Spezzato opera edita POSTFAZIONE A SPICCIOLI ( 3^ sezione di CANTO SPEZZATO – aprile 2011) E’ vero, gli spiccioli hanno un valore modesto, ma tanti, infilati come perle in una immaginaria collana che circondi il vivere, diventano capitale, capitale umano di sentimenti, di passioni, di dolori, di gioie, di dubbi, un patrimonio che non si può valutare, i sentimenti, quelli veri, hanno un prezzo inestimabile. Maddalena Leali nei suoi sparpagliati fogli, raccolti in un momento di riflessione o di distrazione dalla solita vita , ci regala versi che vanno dritti al cuore e alla pancia. Li chiama “Spiccioli” ma i temi trattati, Amicizia, Amore, Sensi, sono profondissimi e d’importanza vitale: così i fuochi piccoli e intermittenti di lucciole che si posano su fili d’erba scossi dal vento, metafora sulla precarietà dell’amicizia, così l’insicurezza di un “se” in un magico incontro con l’amore, così la follia sensuale che annichilisce e perde nell’usuale stupore per una sempre novella Butterfly. Cattura ed emoziona la lettura di Wendy, e sferza là dove il sentimento dell’autrice rivela la sua tenace passionalità che si compenetra in un susseguirsi di passi, mano nella mano e occhi negli occhi, fino all’ossessione. Poi, staccandosi dal suo privato, dall’incubo di un abbandono tanto crudele quanto improbabile, denuncia con sagacia, in “Ave Maria, gratia plena” i finti benpensanti, l’inutilità di menzognere promesse con versi che rivelano un poeta ricco di ironia, di capacità di osservazione, intenso, graffiante e lucido. Nel suo raccattare scontrini e biglietti scritti nei luoghi e nei momenti più disparati, ecco l’indagine sul grande Ludwig, lei che ama e conosce la musica e soffre al pensiero del compositore chiuso in un silenzio che, pur salvandolo dalle stupidità del mondo che può non udire, lo isola in una tragicità simile al divino. Infine, la contraddizione o meglio la dualità che l’avvicina o l’allontana da un mare, fonte di vita e di morte, che ama o detesta, senza vie di mezzo, perché Maddalena morde la vita, la sorseggia poche volte, quasi sempre la trangugia d’un fiato e poi getta il bicchiere alle spalle e non ascolta il rumore né guarda i frantumi del vetro, è già pronta a lottare e sempre per quello in cui crede, proiettata verso nuove realizzazioni, legata saldamente al suo passato, al vissuto, a tutto quello che l’ha formata. Una lettura che affascina, che fa riflettere e ci permette ancora una volta di godere d’un bene prezioso come quello della Poesia. (Anna Mazzei) FERNANDA NICOLIS (S. Martino B. A., VR): da anni coltiva un’attenta ricerca poetica che, nel tempo, si è sviluppata e approfondita fino a diventare la sua più importante occupazione: una dimensione esistenziale. Ha pubblicato: “Le voci nascoste” (2001); “Incontri nel silenzio” (2004); “La casa di vetro” (2006); “I luoghi dell’anima” (2006); “Vie di sosta e d’abbandono” (2009); "Solitudini" (2012). Vincitrice di molti riconoscimenti di prestigio, partecipa a rassegne e concorsi nazionali e internazionali di poesia, organizza e cura incontri di poesia ed è inserita in riviste e antologie di poesia contemporanea. Nel 2005 ha ottenuto il riconoscimento “Trofeo Autore dell’Anno” e il titolo di Accademico Valentiniano. Nel 2012 ha ricevuto il "Martino d'oro" onorificenza civica per l'impegno e i riconoscimenti letterari. Elenco di alcuni dei premi vinti con i libri. Le voci nascoste: 1° Premio "S. Valentino" Terni – 2002; 1° Premio " Versilia" Lucca – 2002; 1° Premio "Assisi" Perugia – 2002; 1° Premio "Duomo" Orvieto – 2003; 2° Premio "Spazio Donna" Striano (NA) – 2004; 2° Premio " Pinayrano" Torino – 2003; 3° Premio "Firenze, capitale d'Europa" FI – 2002; 3° Premio " Anco Marzio" Roma – 2002. Incontri nel silenzio: 1° Premio "Michelangelo" Ovada AL – 2005; 1° Premio "S. Valentino" Terni – 2005; 1° Premio "Assisi" Perugia – 2005; 2° Premio " A.U.P.I." Milano - 2005; 2° Premio "Pinayrano" Torino – 2005; 3° Premio "Città di Pinerolo" Pinerolo – 2005; 3° Premio "Campagnola" C. di Brugine – 2006. La casa di vetro: 1° Premio "Michelangelo" Ovada – 2008; 2° Premio "Massa" Massa Carrara – 2010; Premio speciale "Firenze, capitale d'Europa"2009. I luoghi dell'anima: Trofeo "Autore dell'Anno 2005"; Titolo di Accademico Valentiniano;1° Premio "S. Valentino" 2007; 2° Premio "Calliope" 2008. Vie di sosta e d'abbandono: 1° Premio "Città di Pinerolo" – 2009; 1° Premio "G.Gronchi" Pontedera – 2009; 1° Premio "Prato, tessuto di cultura" 2009; 1° Premio "D.Masini"Montevarchi – 2010; 2° Premio " Città di Carignano" 2009; 2° Premio " S. Valentino" – 2009. Vincitrice di molti altri riconoscimenti per la poesia inedita, è iscritta alla Società Letteraria di Verona ed è socia di diversi club letterari tra cui il club F.I.D.A.P.A. di Verona-Est, dove organizza e presenta incontri di poesia con particolare attenzione alla poesia femminile. È inserita in antologie di poesia contemporanea e su internet nel sito Literary.it. I class. LIBRO EDITO DI POESIA Forse guarderei, senza vedere, se non avessi gli occhi della solitudine. Senza nuvole, anche il cielo è più solo. Solitudine, rendimi la silenziosa pace dell’erba e il passo lento del sentiero che indaga l’orizzonte. Rendimi le voci dimenticate della pietra e del cielo che come foglie d’autunno vagano sui prati innamorati. Solitudine, bianca di neve, che attraversando il tempo parli in altro modo. GUIDO PALLOTTI (Genova) II class. POESIA IN VERNACOLO O mariölo Il pullover L’aivan misso ascì in liquidaçion L’avevan messo anche in liquidazione o me goeiciâva da drento a vedrinn-a e mi amiccava da dentro la vetrina de via Andrea Dòia, in sci-a mancinn-a di via Andrea Doria alla sinistra vegnindo da l’Ægoaverde, da-a staçion. venendo da l’Acquaverde, dalla stazione. Pe’ mi o l’êa diventòu ‘n’òsescion Per me era diventato unì’ossessione da sètte a çinquemilla o l’ea calòu, da sette a cinquemila era calato, delongo poco, però mi ho goagnòu, sempre poco, però io ho guadagnato e mai abastanza da poei fâ o stragion. e mai abbastanza da poter fare lo sprecone. A m’aiva dîto, chi a man a m’aia lezuo: Mi aveva detto, chi la mano mi aveva letto: «Finn-a a trentanni no t’aviæ dinæ, «Fino a trent’anni non avrai mai soldi, ma però dòppo… ti te gh’abitoæ». ma però dopo… ti ci abituerai». E cianta a-o posto o gh’aiva dæto de seguo. E pianta al posto ci aveva dato di sicuro. Però a-â fin me l’ò posciuo acatâ Però alla fine me l’ero potuto comprare faxendo ciù ôe mi, che’n releuio, facendo più ore io, che un orologio, mangiando solo pan e pasta a l’euio, mangiando solo pane e pasta all’olio, e pasando tutte e feste drento câ. e passando tutte le feste dentro casa. A mòdda casual de quelli anni là La moda casual di quelli anni là pe’ o mæ mariölo a paiva fæta apòsta per il mio pullover sembrava fatta apposta, me o meteivo de longo e sensa sòsta me lo mettevo sempre e senza sosta de deuviei , de fèsta e pe andâ a giâ. al lavoro, la fèsta e per andare a spasso. M’êo però acòrto ch’a l’êa ‘na dipendensa, Mi ero però accorto che era una dipendenza, o giorno che l’an dovuo lavâ quel giorno che l’hanno dovuto lavare, e son stæto seròu drento a mæ cà, e sono stato chiuso dentro casa solo perché no voeivo sciortî sensa. solo perché non volevo uscire senza. Aloa l’ò misso drento a-o guardavî Allora l’avevo messo dentro il guardaroba pe’ segoî a mòdda de quelli anni là, per seguire la moda di quelli anni là, fæta de röba streita e atilâ, fatta di roba stretta e attillata tanto da no fâ sciortî manco ‘n sospî. tanto da non fare uscire neanche un sospiro. O l’êa finio inta casa a Manesen Era finito nella casa a Manesseno no l’è che pe mì a bôra a l’êa pasà non è che per me le ristrettezze fossero passate però aia bonn-a doveimo respiâ, però dell’aria buona dovevamo respirare, perché stâmo in mêzo a-o fumme a Cornigen. perché abitavamo fra lo smog a Cornigliano. Quande o fresco da seia o l’arivâva Quando il fresca della sera arrivava o mæ mariölo o l’ea pròpio ‘n tocca sann-a il mio pullover era proprio un toccasana bèllo legêro, ascì ch’o l’ea de lann-a, bello leggero, anche se era di lana, e-e òsse e o cheu o m’arescâdava. e le ossa ed il cuore mi riscaldava. L’aivo a-a fin regalòu a mæ moæ L’ho alla fine regalato a mia madre pe’ no vedighe ciù quello scialetto per non vederle più quello scialletto ch’a l’aiva za quand’êo in garsonetto che aveva già quand’ero un ragazzino e a mondava e castagne pe’ fâ e piæ. e lei mondava le castagne per lessarle. Pòi, quande pòvia donna a l’è mancâ, Poi, quando povera donna è mancata dòppo ‘na vitta tutta sacrifiçi, dopo una vita tutta sacrifici… (a quelli tenpi e moæ no aivan viççi), a quei tempi le madri non avevan vizi, o mariölo l’ò riportòu in câ. il pullover l’ho riportato in casa. A cianto lì perché o za capio, La pianto lì perché ho già capito, vedendove sbufâ cianin, cianin, vedendovi sbuffare piano, piano, che do mæ mariölo ve ne sbatei o belin, che del mio pullover non v’interessa niente, e pe’ no stufave ciù, öua me retio. e per non stufarvi più, adesso mi ritiro. ‘N’urtima cösa però ve-a veuggio dî Un’ultima cosa però ve la voglio dire, questo mariölo o l’è ‘n tòcco do mæ cheu, questo pullover è un pezzo del mio cuore, o gh’à quarantanni e a no finisce lì… ha quarant’anni e non finisce lì… perché me o metto indosso ancon ancheu. perché me lo metto indosso ancora oggi. MARIA PERA (Savona) IV class. CALLIGRAMMA torneranno. Soltanto Quelli che se ne sono andati non torneranno più. BENEDETTA PIGNATARO (Laval, Quebec, Canada): Nata in Toscana da padre siciliano, scrive come dipinge, con spontaneità e calore, utilizzando le parole come pennelli. Il simbolismo si ritrova in tutte le sue opere. I class. SILLOGE DI POESIE CALEIDOSCOPIO RITRATTI IN VERSI INTRODUZIONE Tengo a ringraziare tutti coloro a cui ho fatto il ritratto con le sole parole, servendomene come pennello per descriverne i tratti e le qualità salienti. Queste sono persone care con cui ho intrecciato dei rapporti affettivi ed amichevoli. Infatti esse sono state la fonte della mia ispirazione ed il fiore all’occhiello di questo bel mazzetto di personalità diverse. Utilizzo lo stesso metodo “pittorico” per descrivere certi paesaggi incantevoli, momenti speciali della mia vita ed i sentimenti che a volte mi abitano. Detto questo, mi sono molto divertita a gettare giù questi versi senza rima, usciti d’un sol getto nell’ispirazione del momento. Questi poemi costituiscono per me un modo per esteriorizzarmi con eleganza, ed offrono l’occasione di una vera e propria terapia dell’anima, che spero prenderete gran piacere a condividere leggendoli. (Benedetta I. Pignataro) A MIA FIGLIA Un poema è gratuito, Non costa niente. In un mondo in cui Tutto ha un costo, Dove anche l’amore Può essere comprato, Ci sono parole Da essere allineate Per formare Una collana Speciale Senza prezzo, Con meravigliose Parole brillanti Come perle, Che esprimono I sentimenti Più profondi, Da portarsi In ogni occasione, Giorno e notte, Pensando a me, Tua madre, Per ricordarti Il nostro amore Senza fine. Il RITORNO Ancora ragazzina, sola soletta alla finestra, L'orizzonte immenso guardavo E dietro gli Appennini celesti Altri mondi da scoprire immaginavo. Mai stanca di sognare, mentre Tante cose strane mi attraversavan la mente. Partire lontanissimo volevo, Viaggiare per il vasto mondo non temevo, Poiché il mio cuore infelice era. Fra quelle pietre mediovali, eppur belle, Murata viva ! Che amaro destino ! Da quel lontano passato Il mio sogno si è realizzato Per il mondo ho viaggiato Tanta gente strana ho incrociata Ma la nostalgia mi ha sempre lancinata. Adesso io ho un sol desio Quello di tornar al paese natio Fra le colline color pastello E gli orti verde pisello Piantati nella Terra di Siena, Mentre i vigneti del Chianti allineati Ed i castagneti dal vento spettinati Sembrano cullarsi eternamente Nell’aere di profumi boscosi impregnato E di fiori primaverili e di terra bagnata. Fra il suon dei violini di grilli e cicale Che un concerto fantasioso sembran fare Coll'abbaiar dei cani ed il muggir intenso Degli immensi bovini lunari Della mia Terra natale tanto amata: l'Italia. ALICE REBOLINO (Spotorno, SV) I class. SCUOLE SUPERIORI – RACCONTO STORIA DI UNA VITA QUASI NORMALE Oreste era un uomo semplice. Non aveva alcun titolo di studio; a dirla tutta aveva frequentato le scuole elementari, ma senza portarle a termine. Sapeva, come si è soliti dire, leggere, scrivere e “far di conto”. Nonostante la sua carriera scolastica fosse stata breve e pure poco brillante, tutti in paese lo consideravano un uomo colto. In effetti, Oreste, una cultura ce l’aveva e se l’era creata da solo: quand’era piccolissimo la sua mamma, durante le lunghe serate invernali, amava raccontargli un sacco di favole. Fin da bambino Oreste si appassionò alla narrazione e quando scoprì che esistevano i libri divenne un grande appassionato di romanzi d’avventura. Continuò a leggere finché non divenne grande e nemmeno a quel punto si fermò; ecco perché la gente del suo paese, contadina e un po’ ignorante, lo aveva mitizzato come un grande intellettuale. Da ragazzo Oreste sognava la città: il brulicare di vita nei locali, le signore altezzose impellicciate, i lampioni lungo i Corsi, gli appartamenti riscaldati… quel mondo diverso e migliore che spesso incontrava nei libri. Gli toccava, invece, lavorare: faceva il taglialegna, con lo zio Sandro, fratello di suo padre, detestando le lunghe giornate nei boschi. Voleva l’ombra dei grandi viali, non quella delle fronde umide di campagna! Venne un giorno sua madre dal mercato, portava il giornale in una mano, la spesa nell’altra; gridava, agitandosi, il nome di Oreste. Sul quotidiano c’era una proposta di lavoro molto interessante; la madre vedeva il figlio così triste e pensò che quella sarebbe stata una buona occasione per dare una svolta alla sua vita. C’era un posto libero alla Grande stamperia Corelli, quella dei libri rilegati di rosso e blu, quelli che a Oreste piacevano tanto; la paga era buona, veniva offerto anche un piccolo appartamento. Sull’annuncio, purtroppo, non veniva specificato il ruolo preciso che l’operaio avrebbe dovuto assumere, ma non era il caso di mettere i puntini sulle i, pensò Oreste, qualunque compito sarebbe stato ben accetto: un colpo di fortuna del genere andava preso al balzo. Il ragazzo non stava più nella pelle, sarebbe andato a vivere in città e, per di più, a creare libri. Tutto sembrava pazzesco, frenetico, luccicante quando Oreste scese dal treno. Poco o niente dentro la vecchia valigia di suo padre, tutto il cuore, invece, ricolmo di gioia. Il ragazzo imparò a conoscere la città, capì che la condizione di operaio non gli permetteva la vita che tanto aveva desiderato e fu così che l’entusiasmo dapprima si affievolì finché non scomparve del tutto, lasciando il posto a un nuovo Oreste, disilluso, ma non per questo triste. Tutta la vita di Oreste, adesso, si svolgeva tra la fabbrica e il piccolo appartamento in centro che l’ingegner Ponzi gli affittava. Aveva cambiato casa, quella che inizialmente la Stamperia gli aveva fornito era diventata troppo piccola. Pile di romanzi occupavano ogni parete dell’appartamento; gli scaffali traboccavano di volumi, il guardaroba non conteneva più vestiti, sulle mensole della cucina non erano riposte le conserve. Tutto era invaso dalla carta stampata. Oreste lavorava dal mattino alla sera per guadagnare quel tanto che bastava a pagare l’affitto, mangiare e comprare libri, ma considerando che le prime due necessità non erano dipendenti dalla sua volontà, fondamentalmente Oreste viveva per leggere. Tutto il giorno lavorava incessantemente alla catena di montaggio: le parole scorrevano a fiumi sul nastro di fronte alla sua postazione e il minuscolo stampino che teneva in mano portava a termine pagine su pagine. Con la mente inebriata di lettura e il corpo parte integrante di un meccanismo ben lubrificato, Oreste credeva fermamente che senza il suo contributo il libro non sarebbe stato pubblicato; non si rendeva conto dell’assurdità del suo ruolo. Era un lavoratore instancabile e veramente ingenuo. Accadde che un giorno il turno in fabbrica finì qualche minuto più tardi e Oreste perse l’autobus (non guidava, certo, non ne aveva alcun bisogno. Tutto ciò che gli serviva era un abbonamento dell’autobus: casa-fabbrica, fabbrica-casa). S’incamminò, quindi, sconsolato. C’era qualcosa che turbava la sua mente, da qualche tempo. Non si sentiva più soddisfatto della sua vita, non trovava conforto nella lettura, era solo infreddolito e triste. In giro si diceva che le fabbriche “alienassero” gli operai; Oreste non capiva a fondo il significato di quella parola, ma sentiva dentro di sé che si stava parlando di lui. Si sa che camminare da soli nella nebbia sottile del crepuscolo porta a fare strani pensieri. La strada per tornare a casa era lunga, Oreste, quindi, ebbe modo di ragionare e riflettere a fondo sul senso della sua vita. Quel giorno, chissà secondo quale destino già scritto, la vita dell’uomo venne sconvolta. Quel giorno, così insignificante, così simile a tutti gli altri, cambiò la vita di Oreste. Perdere una corsa dell’autobus può diventare, bizzarro ma vero, rivoluzionario. Oreste leggeva ingordamente libri su libri perché si sentiva parte di essi: in quelle parole nere d’inchiostro appoggiate sulla carta bianca e sottile ritrovava il suo tocco, il suo apporto fondamentale; nelle trame intriganti, romantiche, talvolta noiose, ma tutte in qualche modo affascinanti, rifugiava il suo cuore infreddolito e trovava sollievo. Aveva sempre creduto di avere un ruolo importante alla stamperia, adesso, invece, si chiedeva a che scopo lavorasse in quella fabbrica, se non per un guadagno misero e un’enorme fatica. Il sospetto di non essere fondamentale iniziava a farsi largo nella sua mente. Oreste, per diciannove anni e nove mesi aveva messo i puntini sulle i: tutte le i di ogni parola contenuta in ogni pagina, a sua volta parte di ognuno dei libri prodotti dalla stamperia, erano state completate da lui. Qualcuno, qualche postazione prima, aveva in mano lo stampino con la lettera i, ma senza il maledetto puntino. Oreste era l’anello finale della catena; aveva vissuto vent’anni in modo insignificante, senza un amico, senza una donna da amare, credendo di fare qualcosa di buono, di portare a termine una sorta di missione. Non aveva fatto altro che sprecare irrimediabilmente i suoi giorni. Non si sa perché se ne rese conto proprio quel giorno, però accadde, e nulla fu più come prima. Di tutti i suoi libri rimase poca cenere: li buttò nel camino poco per volta, servirono a riscaldare la casa e alleggerire i suoi mali. Decise che non avrebbe mai più letto un libro. Non mise più piede dentro la fabbrica. Tornò al piccolo paese natale, la sua mamma, invecchiata e stanca, si prese cura di lui, come se fosse stato ancora un bimbo bisognoso di cure. Le attenzioni della madre e la vita tranquilla all’aria aperta fecero sì che l’eterno bambino diventò finalmente un uomo. Oreste rinacque, imparò ad affrontare la vita, quella vera, a testa alta, senza nascondersi nelle storie inventate dalla penna virtuosa degli scrittori. Dal momento in cui accettò il suo passato e non rinnegò più la vita contadina conobbe la felicità. Divenne anche un ottimo boscaiolo. Non si sposò mai, ma si fece molti amici con cui trascorrere le giornate. Si può affermare, con ragione, che trascorse il resto della sua esistenza in serenità. Morì una mattina di novembre, in seguito a una brutta polmonite, mentre dormiva. SILVANA ROBERTAZZI (Trappa, Garessio, CN) III class. CALLIGRAMMA BENITO RUGGIERO (Monza) III class. LIBRO EDITO PRIMA DEL DOPO Prima del dopo, autore Benito Ruggiero, Edizioni Positanonews, 2012, pp. 202, ISBN 978-88-904534-3-4 Prima del dopo raccoglie gli scritti più recenti di Benito Ruggiero. Impressioni e riflessioni in forma di dialogo, racconto e monologo in cui l’autore ripercorre, con lo stile personale che lo contraddistingue, i ricordi che lo legano ai suoi luoghi, esprimendo il valore ambivalente dello scrivere: “Non voglio dimenticare, così scrivo. E non voglio ricordare, così scrivo”. BIOGRAFIA AUTORE Benito Ruggiero è nato nel 1934 a Moiano, frazione di Vico Equense, tra il mare della Penisola Amalfitana e Sorrentina. Benito trascorre però l’infanzia e in seguito la giovinezza a Positano, nel quartiere di Liparlati, dove la sua numerosa famiglia si trasferisce. La poesia è forse il suo sogno di sempre. Sin da bambino, infatti, lasciava incisi brevi versi sulle pareti delle grotte di Positano e sul terreno umido, tracciando le parole con un legnetto. Il desiderio di scrivere non lo abbandona in tutto l’arco della sua vita, tornando sempre più marcatamente dagli inizi degli anni ’90. Da allora si dedica sempre più esclusivamente alla trasposizione dei suoi pensieri su carta. Ed è in quei pensieri tutto quello che è stato da lui attraversato; sia la vecchia casa di Moiano o il carrubo della casa a Liparlati, la montagna bucata di Montepertuso o un amore sottrattogli quando era ragazzo, i sentieri sotto i piedi nudi, le sagome nere degli aerei, il mare amico, il mare insidioso e gli effluvi, l’asperità di una corteccia di cipresso, la morbidezza di una pelle amata. La montagna, dove raccoglieva frutti selvatici, sarà il suo rifugio prediletto alla soffocante sofferenza di scoprirsi in qualcosa di inspiegabilmente diverso, una convivenza con il dolore imparata con l’amaro sapore del tempo. In fondo, la montagna divenne poesia e la poesia divenne rifugio come lo era stata la montagna. Rifugio in cui liberare e trovare sé stesso, sollievo alla tensione del suo esistere. Benito prosegue tuttora assiduamente il suo percorso di scrittura, sempre teso alla ricerca della perfetta assonanza tra il suo pensiero, l’esistenza e le parole. Attualmente vive a Monza. PREFAZIONE DELL'AUTORE Trovare qualcosa nel vuoto che lascia è trovarla in tutto quello che colmerà quel vuoto. Quindi l’assenza potrà cambiare forma, ma quell’essere pieno – riempito – sarà sempre il vuoto di qualcosa. All’inizio volevo che una parola fosse più di sé stessa. Doveva sempre averne accanto un’altra che le desse più gesto, la rendesse più parola. Quello è stato il viaggio; quando di una strada non guardi la strada, ma lo scenario. Quando sembrano non bastare gli occhi per tutto quel guardare, tutto quel colmare. È stato il viaggio; dopo il viaggio, si torna a casa. E, scrivendo, le parole diventano solo quello che sono e tutto torna in modo diverso, quando torna dentro una stanza. Il passato sale. E il racconto diviene il passatempo della mente. Parli con qualcuno come se parlassi con te stesso e, in effetti, stai parlando con te stesso. L’unica cosa che può salvare un libro è la voce che lo racconta anche quando il libro è dimenticato e l’unica cosa che può salvare una voce è un libro, anche quando la voce è dimenticata. Ma non c’è stata tristezza, c’è stato sorriso. Mi sono riordinato in ordine sparso in queste pagine, scritte quando i miei luoghi mi sono lontani. A volte un altro me stesso è venuto a farmi visita, allora per qualche istante ho lasciato lui qui, dove sono io, e io sono andato dove era stato lui. Dove sono stato anch’io, prima. Prima del dopo. Benito Ruggiero INES SCARPAROLO II class. POESIA IN VERNACOLO CHI CHE GA MANCO (CHI HA MENO) On moreto soride a la me nevodeta e ela la 'o basa, ridendo e 'a ghe fa: “Jassir, se vedemo a scola, doman”! La me conta la storia de Mohammed, de Eva Luna, de la Majka e Sebastian... La scolto inmagà. “Che belo, noneta co i me amissi sto ano a faremo na festa: la pi bela de 'a scola! Oniun parlarà de 'a so tera, 'a so lengoa, i so zughi e parfin de la so relijon. Pol vegnere le mame, tuti coanti i popà, fradeleti e sorele, e no pole mancare tiente ben inamente, none e noni. Pecà... che Jassir e Mohammed Eva Luna e la Majka i ga manco de tuti: i ga i noni distanti... Ma mi, son fortunà!” 29 luljo 2012 Traduzione letterale della poesia: Un negretto sorride / alla mia nipotina e / lei lo bacia, ridendo / e gli fa: “Jassir, ci vediamo / a scuola, domani”! / Mi racconta la storia / di Mohammed, di Eva Luna, / di Majka e di Sebastian... / L'ascolto incantata. / “Che bello, nonnina / con i miei amici quest'anno / faremo una festa: / la più bella della scuola! / Ciascuno parlerà della sua terra, / la sua lingua, i suoi giochi e perfino /della sua religione. / Possono venire le mamme, / tutti i papà, / fratellini e sorelle, / e non possono mancare / ricordati bene, / nonne e nonni. Peccato... / che Jassir e Mohammed / Eva Luna e la Majka / hanno meno di tutti: / hanno i nonni lontani... / Ma io, sono fortunata!” SCUOLA PRIMARIA “E. GINDOLI” (Riccò del Golfo, SP) I class. SCUOLE ELEMENTARI – PROSA Testo collettivo scritto dagli alunni della classe III UNO STRANO INCONTRO Un pomeriggio, dopo la mensa, per un po’ di relax, ci siamo diretti verso il parco - giochi. La giornata era soleggiata e non faceva freddo, anche se era autunno inoltrato. Attraversato il paese vecchio, ben presto siamo arrivati alla meta della nostra uscita. Stavamo decidendo a piccoli gruppi i giochi da fare, quand’ecco abbiamo sentito un rumore particolare, simile ad un fruscio di foglie. Siccome al parco ci sono diversi tipi di alberi, ci siamo guardati intorno e, proprio vicino a noi, sul tappeto erboso, abbiamo visto uno strano oggetto di grandi dimensioni. Sembrava un fungo gigante, ma doveva proprio essere una navicella spaziale! Il cappello di vetroresina era di color blu metallizzato e alla sommità si apriva una apertura scorrevole che veniva azionata premendo un pulsante speciale. Nella parte inferiore, di colore giallo fluorescente, vi erano quattro losanghe di cristallo particolare che impedivano di vedere all’interno della navicella, ma, al contrario, permettevano a chi era dentro, di vedere fuori. Samuel e Alessandro sono stati i primi ad avvicinarsi: “Non si è mai visto niente di simile!” hanno esclamato. E subito sono stati seguiti dagli altri compagni Samuele, Irene, Laura, Matilde, Lorenzo che hanno urlato di meraviglia. “ Ohhhh!” Dopo pochi istanti, tutti eravamo lì in gruppo e abbiamo sentito un ronzio incessante; si è ribaltato il portellone, ed ecco apparire davanti ai nostri occhi stupiti tre esseri alieni. Uno era di colore blu, il secondo verde, il terzo arancio. La loro testa era tonda e di grosse dimensioni, al posto delle orecchie avevano grossi buchi, i loro occhi erano tre, sporgenti, a stella, luminosissimi. La loro bocca era un cerchio perfetto, sembrava tracciata da un compasso precisissimo, si allargava, si stringeva e si ribaltava a sinistra mentre parlavano. Il naso era una piccola proboscide retrattile. Le gambe e le braccia erano sottili e si accorciavano ed allungavano secondo il bisogno. Il primo a rivolgersi a noi è stato l’alieno blu. “Lo so, vi sembriamo strani, e in effetti lo siamo, perché siamo così diversi da voi, ma vi prego, non abbiate paura! Proveniamo dal Pianeta Multicolore che si trova nella Terza Galassia, in uno sperduto buco nero. Il nome del nostro Pianeta deriva dal fatto che ogni suo abitante ha un colore diverso. Siamo venuti qui sulla Terra in una missione di pace ed abbiamo pensato di mostrarci a voi perché sappiamo che sono proprio i bambini quelli che fanno amicizia più in fretta e senza farsi troppi problemi. Vi prego, entrate nella navicella, sarete nostri ospiti!” Insieme alla maestra Anna, molto curiosi, siamo saliti a bordo della navicella. Sembravamo arrivati nel futuro! Dappertutto c’erano computer touch- screen che volteggiavano sospesi in aria, attraversati da raggi laser e luci accecanti. Dei robot erano posizionati nella plancia di comando, pronti ad ogni intervento. Altre attrezzature molto sofisticate apparivano dovunque. Noi giravamo di qua e di là cercando di capire a cosa servissero, ma era molto difficile capire! “ Allora, siete pronti al decollo?” ci ha chiesto l’alieno verde. “ Certoooo!” abbiamo risposto in coro. Il robot più grande ha azionato un computer e in men che non si dica ci siamo ritrovati nello spazio! Giovanni stava osservando interessato delle carte spaziali insieme a Nicola T. e Marco, quando Letizia ha esclamato: “Guardate laggiù la Terra, sembra un’enorme palla sospesa!” Tutti eravamo con il naso schiacciato contro le losanghe della navicella. “ Guardate quanto mare!” ha aggiunto Elisa B. “Le terre sono piene di montagne!” ha detto Sara. “Ehi, da questa parte c’è uno spicchio di luna splendente, sembra una banana gigantesca!” ha continuato Nina chiamando vicino a sé Giada, Giulia, Benedetta. “Se osservate attentamente vedete che da quel lato la luna è piena di buchi, come una enorme fetta di gruviera!” ha detto Filippo. “Maestra, ma quei punti luminosi che sembrano fuochi d’artificio sono le stelle?” ha chiesto Michela. “ Ma perché il cielo è così scuro, non è azzurro o blu?” ha domandato Leonardo. Ma tutte queste domande sono rimaste senza risposta perché roteando vorticosamente la navicella s’è catapultata in un deserto sabbioso! La cosa è stata così rapida che noi non abbiamo avuto il tempo di avere paura e ci siamo ritrovati in questa nuova realtà! Appena fuori ci siamo resi conto che la parte inferiore della navicella era guasta, dei pezzi meccanici erano fuoriusciti qua e là. Intanto i tre alieni parlavano tra loro con un linguaggio metallico che noi non potevamo certo capire. “Ma dove siamo finiti?” ha chiesto preoccupata Isabel, sforzandosi di far sentire la voce. “Qui è proprio un oceano di sabbia dove ci si perde!” ha osservato Manuel. Nicola M. e Elisa C. si sono avvicinati agli alieni e hanno chiesto: “Cosa è successo? Volete darci una risposta?” “Cari ragazzi, manteniamo la calma! Purtroppo una tempesta magnetica ci ha fatto arrivare al Punto Rosso, un sito spaziale da dove nessuno è mai riuscito a tornare. Si è rotto un cavo d’alimentazione della navicella ma, tranquilli, noi siamo in grado d’intervenire con le nostre intelligenze superiori!” “Ma anche le nostre intelligenze umane contribuiranno a risolvere il problema!” hanno esclamato Giovanni e Nicola T. e subito hanno chiamato attorno a sé tutti i compagni e le compagne schierandoli in due gruppi. Ci siamo messi subito a collaborare seguendo le istruzioni degli alieni che dopo un po’ sono riusciti a riparare il guasto. Successivamente, studiando attentamente le carte spaziali (vedete che lo studio serve sempre!) avevamo osservato che da lì a tre giorni sarebbe transitata sul deserto un’altra tempesta che avrebbe potuto aiutarci, con la sua forza e potenza, ad andare via. Siamo andati dagli alieni ed abbiamo comunicato quello che avevamo scoperto. Inizialmente perplessi, gli alieni poi si sono convinti che quella poteva essere l’ancora di salvezza. Così abbiamo aspettato fiduciosi. Al terzo giorno, serrati dentro la navicella, ci siamo sentiti spostare e mandare in orbita con una forza extra- terrestre che ci ha fatto raggiungere finalmente il Pianeta Multicolore. Lì si respirava un’aria di felicità e siamo stati accolti da grandi festeggiamenti in nostro onore. Dei grandi banchetti erano stati allestiti con ogni ben di Dio! Avevano letto nel nostro pensiero e materializzato il cibo usando delle sostanze sconosciute che si erano trasformate per noi. Erano apparsi dolcetti, torte di ogni tipo, montagne di gelati, patatine, pop corn, cioccolate, Nutella, Coca Cola, e di tutto un po’! Affamati, abbiamo fatto una grande scorpacciata insieme agli abitanti del Pianeta che per la prima volta assaggiavano delle golosità terrestri e si leccavano le grandi bocche a ribalta. Il pianeta era davvero straordinario con tutte quelle sfumature di colori degli abitanti (i Multicolor!) che si riflettevano in quella strana aria leggera. Ma dopo questa straordinaria avventura dovevamo rientrare a scuola, c’erano già i pulmini ad aspettarci! Abbiamo salutato tutti e in un tempo rapidissimo, roteando a bordo della navicella, ci siamo ritrovati al parco – giochi. Un po’ frastornati siamo ritornati a scuola e abbiamo pensato di non raccontare a nessuno del nostro viaggio perché non ci avrebbero creduto. Ma pochi giorni dopo, appena acceso il computer in classe, abbiamo visto una e-mail coloratissima: erano i nostri amici alieni che ci salutavano dallo spazio! FEDERICA SELVAGGINI (Genova): “Quando dopo nove mesi di viaggio giunsi alla mia destinazione fui piacevolmente sorpresa di trovare chi mi attendeva con trepidazione e gioia: mamma Marcella, papà Umberto e Francesco, mio fratello. Nessuno di loro aveva fantasia sufficiente per immaginare cosa avrebbe significato l’arrivo di quella che apparentemente sembrava un'innocua frugoletta con la pelle vellutata come una rosa e tanti capelli sulla testa! Così l’ignara famigliola mi accolse un tiepido sabato di aprile. Penso che l'esser nata in un giorno come il sabato, preludio della festa, sia stato in qualche modo importante per la mia vita. Sicuramente quella di aspettarmi sempre dal domani uno sviluppo positivo è un tratto caratteristico della mia personalità. Chi mi conosce dice di me che ho un'indole schietta e spontanea: talvolta queste peculiarità del mio carattere mi espongono a cocenti delusioni. Un altro aspetto del mio temperamento è la curiosità e molteplici sono i miei interessi e le mie passioni: la letteratura, il teatro, la fotografia, la modellazione e la musica, a cui mi dedico suonando il pianoforte. Ho anche grande interesse per la tecnologia. In special modo per quella che consente di rendere la vita di ogni giorno più comoda. Il mio rammarico più grande è quello di non essere stata io l’inventrice dell’ascensore, della cerniera lampo e del telecomando! Seguendo la mia passione per la scrittura e la musica, ho partecipato a molti concorsi letterari nazionali e internazionali e alcuni miei racconti sono stati premiati, come nel caso del Concorso Letterario Internazionale PENNACALAMAIO bandito dall’Associazione Culturale Zacem, che ha attribuito al mio racconto intitolato "Passione" il titolo di II classificato a pari merito nella "Sezione G – Racconto – Favola". Nel salutarvi e ringraziarvi della pazienza di essere arrivati a leggere queste mie note biografiche vi invito a visitare i miei siti web: www.federicaselvaggini.it e www.federicaselvaggini.beepworld.it.-” BIBA Una favola per i bambini di ogni età. In un'epoca come quella attuale, dove tutto si consuma a una velocità incredibile e poi si butta, il lettore scoprirà che questo volumetto è da conservare e rileggere anche in età e situazioni diverse della vita, ed ogni volta riceverà in regalo nuove emozioni. Ma non è tutto: questo libro non è solo, si fa per dire, da leggere e da ascoltare, la partitura della musica per pianoforte, originale ed evocativa, condurrà il lettore alla scoperta dell'affascinante mondo delle sette note. I lettori più giovani avranno a disposizione figure da colorare per rendere originale e del tutto personale la propria copia di Biba, quelli più grandicelli, attraverso le semplici indicazioni contenute nell'appendice impareranno a realizzare con materiali semplici il pupazzo protagonista della storia, dando inizio ad una sere infinita di giochi. RETUPMOC VOLO Come trarre beneficio dalle invenzioni proposte dalla moderna tecnologia? Non certo ignorandole o peggio avendone paura, ma semplicemente usando il cervello e il cuore. Questo è quello che suggerisce Retupmoc il sensibile computer protagonista della storia. Immancabile in questo racconto, come nello stile dell'autrice, il cd audio con lettura e musica e la sezione dedicata alla creatività con le istruzioni per realizzare il costume da computer. Un racconto dedicato ai ragazzi creativi e curiosi. Il protagonista di questa avventura è proprio come loro e la storia si dipana tra fantasia e realtà, tra passato e presente e si proietta verso il futuro. Come di consueto l'autrice vuole offrire al di là della lettura, numerosi spunti creativi: la musica presente nel cd audio, di cui è fornita anche la partitura per pianoforte, un incentivo a cimentarsi nello studio di uno strumento musicale, le occasioni di gioco e persino la proposta della ricetta per cucinare gustosi biscotti. BEATRICE TASSARA (Santa Margherita, Genova) III class. LIBRO EDITO DI POESIA UNIONE ITALIANA dei CIECHI e degli IPOVEDENTI - ONLUS Sezione Intercomunale di CHIAVARI – Via Sambuceti 22/3 Tel. 0185/307650 – Fax 0185/471357 – c.c.p. n. 13336169 Cod. Fiscale 82005230105 – e-mail: [email protected] Chiavari, 02/10/2012 Alla c.a. Sig.ra Beatrice Tassara Cara Beatrice, sono ancora immersa nella magia espressiva delle tue composizioni. Le parole, usate con maestria, s'intessono come fili intrecciati in armoniosi ricami, di luce e di passione in tutte le tue creature, una più splendida dell'altra. Le tue poesie sono un invito a immergersi nell'atmosfera del sogno, pur illustrando pienamente la realtà. Già nel titolo si preannuncia un'impronta netta di quello che la lettura regalerà: scorrono nei versi scenari vividi e intensi, in un'eco chiaramente femminile, di spessore consistente in ogni pagina. Ci si abbandona, leggendo, sulla scia della Polena che guida il percorso, vigile sentinella del viaggio, indomita e costretta ma sempre protesa verso la vita. In un incessante andare e tornare con forza e meraviglia, questa figura materna, simbolo di donna, nella quiete come nella tempesta, si misura ogni istante col mare che la sostiene, la invita, la sfida e la accarezza nel legame inscindibile che racchiude l'orizzonte nella stretta del cielo. La trama del fraseggio di ciascuna poesia é scelta con cura e crea immagini di un'intensa musicalità, ma ciò che si delinea nella mente del lettore é la definizione perfetta di uno scenario nitido cromaticamente presente e certo. Il mare, nelle numerose creazioni che s'incontrano nella prima parte della raccolta, sembra far parte delle opere illustrate da William Turner, con una carica esplosiva di espressione. Come il pittore inglese, ci si proietta in un turbinìo di sensazioni, intimamente legati all'acqua, fusi e partecipi al movimento incessante delle onde. Quando si comincia l'ascolto dei bellissimi e suggestivi sentimenti di ogni brano, non si vorrebbe mai interrompere l'atmosfera impostata così piacevolmente dai suoni melodiosi del verso. La vita prende forma, e diviene sfavillante nella metafora offerta dal circo e si dipana come in un fantastico Luna Park, divenendo prodigio delicato e potente. Si sentono nelle poesie di questo gruppo il sublime stupore infantile di sguardi incantati e, insieme, l'audacia del giostraio che fa di un luogo un'arte tra immaginario e concreto. Cosa dire poi delle emozioni suscitate dagli elementi della natura, che assumono in molte pagine umana consistenza, donando dignità e vita al mondo rappresentato dagli oggetti o dal paesaggio? Beatrice, hai saputo confezionare un autentico capolavoro, che mi permetto di sintetizzare in tutta la sua infinita capacità comunicativa, con tre aggettivi: emozionante, geniale e commovente. Dal tuo sapiente cesello lessicale emerge l'indole di una persona dolce, energica e coraggiosa. Il grande talento che sorregge il tuo magnifico libro é un dono che pochi fortunati possiedono e, in numero ancora minore, sono quelli che sanno offrirlo con la tua generosità. Grazie per aver condiviso con i tuoi lettori le preziose emozioni del tuo animo e grazie per averci destinato con tanto altruismo le pieghe più intime della tua enorme sensibilità. Spero che il tuo lavoro abbia il successo che merita e diventi bagaglio di altri viaggiatori alla ricerca di sentimenti veri, espressi con altissima pienezza verbale. I tuoi libri ci riempiono di gioioso orgoglio perché, regalandoceli, hai saputo dare con spontaneità e vigore una carezza alla nostra anima. Un forte abbraccio riconoscente Cristina ELISA TERRIBILE (Savona) II class. CALLIGRAMMA MARIELLA TISSONE (Savona) III class. CALLIGRAMMA VEGA VILLA (Savona)