L`afta epizootica aveva paralizzato la campagna. I can

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L`afta epizootica aveva paralizzato la campagna. I can
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Estratto da
M.C. Beaton, Agatha Raisin e la casa infestata
Titolo originale dell’opera
Agatha Raisin and the Haunted House
Traduzione dall’inglese
di Marina Morpurgo
© 2003, 2006 by M.C. Beaton
© 2016 astoria srl
corso C. Colombo 11 – 20144 Milano
Prima edizione: marzo 2016
ISBN 978-88-98713-37-0
In copertina: illustrazione di Alice Tait
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
L’afta epizootica aveva paralizzato la campagna. I cancelletti lungo i sentieri e i cancelli delle tenute erano tutti
chiusi con i lucchetti. La primavera era gelida e umida, le
prime giunchiglie avevano reclinato le testoline gialle sotto
i torrenti di pioggia.
La paglia del tetto sul cottage di Agatha Raisin sgocciolava mestamente. Lei era seduta sul pavimento della cucina
in compagnia dei gatti e si chiedeva come tenere a bada
quella sensazione familiare di noia incombente. E con la
noia arrivava la depressione, Agatha lo sapeva bene.
Un tizio dall’aria interessante era venuto ad abitare nel
cottage accanto, quello che un tempo era appartenuto a
James, il suo ex marito, ma ormai nel petto di Agatha l’interesse nei confronti del maschio si era spento per sempre.
Non si era unita alla processione delle altre signore di Carsely, che si erano presentate al vicino con torte e marmellate
fatte in casa. E non aveva partecipato ai pettegolezzi, perché era appena rientrata da Londra dove, nel suo ruolo di
libera professionista addetta alle pubbliche relazioni, aveva
aiutato a lanciare Mr Harry, una nuova linea di abbigliamento per giovani. L’unico risultato era stato che Agatha,
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donna di mezza età, aveva finito per sentirsi vecchia. Alcune modelle con cui aveva lavorato, ragazzette pelle e ossa –
la magrezza da eroinomane continuava a essere considerata
chic e di moda –, l’avevano fatta sentire ancora più vecchia
e ancora più grassa. E la coscienza le aveva dato il tormento perché sapeva che gli abiti erano prodotti a Taiwan con
materiali dozzinali e che le cuciture avrebbero ceduto con
l’uso.
Agatha si rialzò dal pavimento, salì in camera sua e si
osservò riflessa nello specchio a figura piena. Le restituì lo
sguardo una donna di mezza età dalla corporatura tozza,
con capelli castani lucidi, un paio di gambe niente male e
occhietti puntuti da orsetto.
Animo, si disse. Si sarebbe truccata e sarebbe andata
a far visita alla signora Bloxby, la moglie del pastore e sua
grande amica, per rimettersi in pari con i pettegolezzi del
villaggio. Si spalmò sulla faccia un velo di fondotinta chiaro, riflettendo che non era passato molto tempo dall’epoca
in cui faceva furore l’abbronzatura. Adesso che a potersi
permettere vacanze all’estero nel bel mezzo dell’inverno
erano perfino cani e porci, non era più un segno di distinzione esibire facce colorite dal sole, e neppure fondotinta scuri. Si pizzicò nervosamente la pelle sotto il mento. Stava diventando flaccida, per caso? Se la schiaffeggiò
sessanta volte, e poi si arrabbiò nel vedere un rossore sul
collo.
Si tolse i vecchi calzoni e il maglione con cui si era vestita
al mattino e optò per un completo di lino color biscotto con
un’elegante camicetta di seta. Per carità, questo mio raptus
non ha assolutamente nulla a che vedere con il nuovo vicino
di casa, si disse. Ma certo, come diceva il vecchio buonsenso
popolare, il tempo è gran dottore. Ormai era raro che le
tornasse in mente James, e aveva rinunciato a qualunque
speranza di rivederlo.
Tornata al piano di sotto, s’infilò il Burberry, prese un
ombrello da golf e si avventurò sotto la pioggia battente.
Ma perché diamine si era messa i tacchi alti, si chiese mentre procedeva cautamente tra le pozzanghere di Lilac Lane,
diretta alla canonica.
La signora Bloxby, una donna con il viso dolce e i capelli
grigi, le aprì la porta. “Agatha Raisin!” gridò. “Quando sei
tornata?”
“Ieri sera,” disse Agatha, pensando che dopo il soggiorno londinese quell’uso formale di nome e cognome suonava un po’ strano. Ma d’altronde la Società delle Dame del
villaggio, di cui Agatha faceva parte, non rinunciava a un
pizzico di formalità.
“Accomodati. Che tempaccio. E questa epidemia di afta
epizootica fa proprio paura. Ai camminatori è stato chiesto
di rinunciare alle escursioni attraverso le campagne, ma non
vogliono sentire ragioni. Io penso che ad alcune di quelle
persone la campagna e la natura non piacciano affatto.”
“Ma da questi parti l’afta è già arrivata?” s’informò Agatha, levandosi l’impermeabile e appendendolo nell’ingresso.
“No, a Carsely e dintorni nulla… per ora.”
La signora Bloxby si avviò verso il salotto e Agatha la
seguì. Poi si lasciò cadere sui cuscini di piume del vecchio
divano, si sfilò le scarpe e allungò verso il fuoco del camino
i piedi bagnati.
“Per tornare a casa ti presterò un paio di stivali di gomma,” disse la signora Bloxby. “Vado a preparare il caffè.”
Agatha si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi,
mentre la signora Bloxby andava in cucina. All’improvviso
non le dispiacque affatto di essere tornata.
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L’amica arrivò con un vassoio e due tazze.
“Che si dice, da queste parti? Qualche pettegolezzo?”
chiese Agatha.
“Ehm… James è stato qui, mentre tu eri a Londra.”
Agatha si tirò su di scatto. “E adesso dov’è?”
“Non lo so, purtroppo. Si è trattenuto solo per il pomeriggio. Ha detto di essere in partenza per l’estero.”
“Accidenti!” esclamò Agatha, incupita, mentre il vecchio
dolore tornava a fare male. “Gli hai detto dov’ero?”
“Sì,” disse la moglie del pastore, a disagio. “Gli ho detto
che eri a Londra e gli ho dato il tuo numero di telefono.”
“Non mi ha chiamata,” osservò Agatha, tristemente.
“Mi sembrava che andasse di fretta. Ha detto che ti
manda tutto il suo affetto.”
“Questa è una presa in giro,” disse Agatha, amareggiata.
“Adesso bevi quel caffè. Lo so che è presto, ma magari ti
va qualcosa di più fortino?”
“Non voglio prendere la strada dell’alcolismo, specie per
un mostro come James,” dichiarò Agatha.
“Hai già incontrato il nuovo vicino?”
“No. L’ho visto quando ha fatto il trasloco, insomma, da
lontano, ma poi mi è capitata quell’occasione di lavoro e
sono partita per Londra. Che tipo è?”
“Sembra simpatico e in gamba.”
“Che cosa fa?”
“L’informatico. Lavora in proprio. Ha appena chiuso un
grosso contratto. Dice di essere felice che quel lavoro sia
finito. Gli toccava fare il pendolare su Milton Keynes tutti
i giorni.”
“Una bella distanza. Non ci sono stati omicidi?”
“No, Agatha. Ma avrei creduto che tu ne avessi abbastanza. Tuttavia, un piccolo mistero lo abbiamo.”
“E sarebbe?”
“Di recente hanno chiesto ad Alf di fare un esorcismo,
ma lui si è rifiutato.” Alf era il pastore. “Crede solo nello
Spirito Santo, e non in spiriti di altro genere, così ha detto.”
“E dove sta questo spirito, questo fantasma?”
“In una casa di Hebberdon; sai, quel villaggetto oltre
Ancombe. La casa appartiene a un’anziana, la vedova Witherspoon. La signora ha sentito strane voci e visto delle
luci nel buio della notte. Alf è convinto che i bambini del
paese le stiano facendo degli scherzi e le ha suggerito di telefonare alla polizia. Così è stato fatto, ma la polizia non è
riuscita a trovare nulla di anomalo. La signora Witherspoon
è fermamente convinta che la casa sia infestata dai fantasmi. Allora, hai voglia di indagare un po’?”
Agatha rifletté per un istante e poi disse: “No. Credo che
Alf abbia ragione. Sai, ho deciso di smetterla di agitarmi, di
andare alla ricerca di emozioni per tenere a bada la noia.
Basta con questa coazione a ripetere, voglio cambiare. Ho
intenzione di diventare una casalinga”.
La signora Bloxby la guardò, a disagio.
“Tu? Sei proprio convinta che sia una buona idea?”
“Il giardino è invaso dalle erbacce e questa pioggia non
può durare per sempre. Me ne starò in casa a fare qualche
faccenduola e un po’ di giardinaggio.”
“Ti stuferai presto.”
“Non mi conosci,” ribatté seccamente Agatha.
“Forse no, è vero. Quando l’hai presa, questa decisione?”
Agatha sorrise suo malgrado. “Cinque minuti fa.”
Il suo orgoglio irriducibile le impediva di confessare che
la visita di James e il fatto che lui non avesse tentato di mettersi in contatto con lei l’avevano ferita profondamente.
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La primavera bagnata finalmente si asciugò, e a quel
punto pareva proprio che Agatha Raisin si fosse adagiata
nel tran-tran domestico. Stufa di avere tra i piedi giardinieri
indolenti aveva deciso di arrangiarsi da sola, scoprendo che
il lavoro alleviava il dolore tuttora provocatole dal ricordo
di James. Le signore del villaggio di Carsely informarono
Agatha che il suo vicino, Paul Chatterton, era un tipo affascinante ma assai poco socievole. Per un attimo l’istinto
di competizione di Agatha si ridestò, ma poi rifletté mestamente che gli uomini significavano solo sofferenze e complicazioni. Meglio lasciarli perdere.
In un bel giorno di sole era spaparanzata su una sedia a
sdraio in giardino, con i due gatti Hodge e Boswell accovacciati ai piedi e una prudente corazza di crema a schermo
totale, quando una voce esitante disse: “Buongiorno”.
Agatha aprì gli occhi. Il vicino si era affacciato oltre la
recinzione. Aveva una folta chioma di capelli candidi e occhi neri scintillanti nel viso magro e intelligente.
“Sì?” chiese sgarbatamente Agatha.
“Sono il suo nuovo vicino, Paul Chatterton.”
“Embè? Che vuole?” chiese Agatha, richiudendo gli occhi.
“Volevo solo dirle buongiorno.”
“Lo ha già detto.” Aprì di nuovo gli occhi e lo guardò
storto. “Perché non prova a dirmi arrivederci?”
Chiuse gli occhi per il tempo a suo parere necessario per
farlo sentire pienamente snobbato e poi risollevò cautamente le palpebre. Il vicino era ancora lì, e sogghignava.
“Devo ammettere che lei è una ventata di aria fresca,”
disse. “Fin dal mio arrivo sono stato assediato dalle signore
del villaggio, e adesso che ho deciso di mostrarmi socievole,
guarda tu se non vado a beccare l’unica persona che non
ha nessuna voglia di conoscermi.”
“Vada a scocciare qualcun altro,” disse Agatha. “Perché
me?”
“È la più vicina. E poi ho saputo che lei è l’investigatrice
del villaggio.”
“E questo cosa c’entra?”
“Ho letto sui giornali locali che a Hebberdon c’è una
vecchia spaventata a morte dagli spettri. Sto andando laggiù a offrirle i miei servigi di acchiappafantasmi.”
Lo spirito di competizione di Agatha, che di recente aveva dormicchiato, si ridestò. Raddrizzò la schiena. “Faccia il
giro da davanti, le apro il cancello e ne parliamo.”
“Ci vediamo tra qualche minuto.” Fece un cenno con la
mano e si avviò con passi decisi.
Agatha tentò faticosamente di rimettersi in piedi, pensando che quelle antiquate sedie a sdraio in tela, simili
a quelle di Green Park a Londra, dovevano essere state
espressamente concepite per far sentire vecchie le persone.
Si rese conto che non ce l’avrebbe mai fatta a uscire dalla
trappola e per alzarsi fu costretta a ribaltarsi su un fianco,
rotolando sull’erba. Diede un calcio furibondo alla sedia.
“Sei destinata a un falò,” disse. “Domani ti rimpiazzo con
un lettino.”
Si precipitò dentro casa, fermandosi appena un attimo
in cucina per levarsi dalla faccia lo strato bianco di crema
solare.
Prima di aprire la porta ebbe un’esitazione. Aveva addosso un vestituccio da casa sbiadito e un paio di mocassini. Poi scrollò le spalle. Uomini! Perché mai disturbarsi per
loro.
Aprì. “Entri,” disse. “Prenderemo un caffè in cucina.”
“Preferirei un tè,” fece lui, trotterellandole dietro.
“Di che tipo?” chiese Agatha. “Ho del Darjeeling, dell’As-
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sam, dell’Earl Grey e anche una cosa che si chiama Tè del
Pomeriggio.”
“Il Darjeeling va benissimo.”
Agatha mise su il bollitore. “Non sta lavorando, in questo periodo?”
“No, sono tra un contratto e l’altro. Ho intenzione di
concedermi un breve periodo di vacanza.”
Agatha si appoggiò contro il bancone della cucina. Gli
occhi intelligenti di Paul la osservarono e lei all’improvviso
si dispiacque di non aver indossato qualcosa di più attraente, o di non essersi truccata almeno un po’. Non era propriamente bello, eppure in quei capelli bianchi uniti agli
occhi neri nella faccia pallida, e a un corpo longilineo e
atletico, c’era un certo non so che in grado di turbare più
di una donna: a eccezione di Agatha Raisin, ovvio, come
dovette ricordare a se stessa.
“Mi pare di aver capito che il mio cottage un tempo
appartenesse al suo ex marito, James Lacey,” disse il vicino.
Il bollitore cominciò a fischiare. Agatha tirò fuori due tazze
e mise in una la bustina di tè e nell’altra una cucchiaiata di
caffè istantaneo.
“Sì,” disse. Agitò la bustina di tè, la levò e posò la tazza
davanti a Paul. “Lo zucchero e il latte ce li ha lì.”
“Grazie. Perché Raisin? Si è risposata?”
“No, quello era il cognome del mio primo marito. Ho
continuato a usarlo anche quando ero sposata con James.
È sposato, lei?”
Ci fu un breve silenzio mentre Paul aggiungeva con attenzione latte e zucchero. Mescolò il tè. “Sì, sono sposato,” disse.
“E dov’è la signora Chatterton?”
Un altro silenzio. Poi lui rispose: “È a trovare certi parenti in Spagna”.
“È spagnola?”
“Sì.”
“Come si chiama?”
“Ehm… Juanita.”
Gli occhietti da orso di Agatha si strinsero. “Sa cosa penso? Che lei non sia affatto sposato. Che non ci sia alcuna
Juanita. Senta, io non l’ho invitata qui per infilarmi nelle
sue mutande, ma perché m’interessa quella faccenda dei
fantasmi.”
Gli occhi neri brillarono divertiti. “Lei è sempre così diretta?”
“Quando mi mentono, sì.”
“Ma c’è una Juanita. Ha i capelli neri lunghi…”
“E suona le nacchere e ha una rosa tra i denti. Lasci
perdere,” lo rimbeccò Agatha. “Allora, che intende fare con
quei fantasmi?”
“Pensavo di andare lì a offrire i miei servigi. Le va di
venire con me?”
“Non vedo perché no,” disse Agatha. “Quando andiamo?”
“Se ci andassimo subito?”
“Okay. Finisca il suo tè, io vado a cambiarmi.”
“Non ce n’è bisogno. La sua aria da casalinga potrebbe
rassicurare la signora Witherspoon.”
“Pfff !” disse Agatha. Uscì dalla cucina e corse al piano di
sopra. Si mise un fresco camicione a righe rosa e bianche,
e si truccò con cura. Avrebbe tanto voluto mettersi i tacchi
alti, ma la giornata era calda e le caviglie gonfie non sarebbero state per nulla chic. Sospirò e infilò i piedi in un paio
di sandali bassi.
Era a metà delle scale quando si rese conto di essersi
dimenticata delle calze. Una giornata calda senza calze
avrebbe significato solchi sui piedi provocati dalle cinghiette
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dei sandali, e la pelle delle cosce lasciate scoperte dal vestito
corto si sarebbe incollata ai sedili. Tornò in camera da letto
e s’infilò a fatica in un paio di calze con la dicitura taglia
unica, riflettendo che chi aveva appiccicato quello slogan
sulla confezione doveva avere in mente una quattordicenne
pelle e ossa. Si guardò allo specchio. Lo sforzo d’insaccarsi
dentro le calze, compiuto in una stanza calda, le aveva fatto
venire il naso lucido. Se lo incipriò con foga eccessiva e fu
colta da un attacco convulso di sternuti. Quando le passò,
il trucco era ormai un disastro, così le toccò rifarlo. A posto!
Un’ultima occhiata nello specchio a figura piena. Oddio! I
bottoni sul petto del camicione tiravano. Se lo levò e si vestì
tutta di bianco, con una blusa di cotone e una gonna con
l’elastico in vita.
Ottimo. Pronta ad andare. Un’altra occhiatina allo specchio. Oh, cacchio. Il reggiseno era nero e si vedeva in trasparenza. Via la blusa, cambia il reggiseno con uno bianco,
rimetti la blusa.
Evitando risolutamente di guardarsi allo specchio, stavolta Agatha si precipitò giù per le scale.
“Non c’era bisogno di sbattersi così tanto,” disse Paul.
“Non mi sono sbattuta affatto,” ringhiò Agatha.
“Ci ha messo un secolo e pensavo… Va bene, lasciamo
perdere. Andiamo. Farebbe bene a prendere un paio di stivaloni.”
“Perché?”
“Perché c’è in giro ancora l’afta epizootica e la signora
potrebbe abitare nei pressi di una fattoria e il tal caso probabilmente saremmo costretti a guadare vasche di disinfettante.”
“Giusto,” disse Agatha. “Ne tengo un paio accanto alla
porta. Che macchina prendiamo? La sua o la mia?”
“Guido io.”
L’auto del vicino era una mg d’epoca. Agatha gemette
interiormente nel calarsi sul sedile basso. Le pareva di essere seduta sull’asfalto. Lui mise in moto, partì rombando e i
capelli di Agatha le volarono in faccia.
“Come mai,” disse, “nei film alle eroine svolazzano elegantemente i capelli all’indietro, durante le corse sulle decappottabili?”
“Perché le scene sono filmate con auto ferme in uno
studio, e dietro di loro scorre uno schermo con immagini
di paesaggi, e le eroine hanno un ventilatore puntato sui
capelli. Se le dà fastidio, posso fermarmi e tirare su la capote.”
“No,” disse acidamente Agatha. “Ormai il danno è fatto. Questa signora Witherspoon dove sta di preciso a Hebberdon?”
“Cottage dell’Edera, Bag End.”
Agatha rimase in silenzio mentre attraversavano la campagna, la campagna in rovina, la campagna distrutta dall’afta epizootica. Se fosse stata ancora a Londra non gliene sarebbe importato un fico secco. Ma in qualche modo ormai
sentiva di appartenere alla campagna, e tutto quello che vi
succedeva la toccava profondamente.
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Hebberdon era un villaggetto pittoresco annidato in un
fondovalle. Non c’erano negozi, possedeva un unico pub e
un pugno di cottage. Paul fermò l’auto e si guardò attorno.
“Busserò a una di quelle porte e chiederò dov’è Bag End”.
Agatha pescò una sigaretta e se l’accese. Al posto del
posacenere – almeno le pareva che la collocazione fosse
quella – c’era un buco. Tuttavia era una macchina scoperta.
Paul non avrebbe avuto motivo di protestare.
Lui tornò. “Possiamo lasciare qui la macchina. Bag End
è appena dietro l’angolo.”
L’uscita dall’auto ricordò ad Agatha quella dalla sedia
a sdraio, però se la cavò senza essere costretta a rotolarsi
sull’asfalto.
S’infilarono in Bag End, un vicolo con un’unica casa in
fondo. Agatha fece un ultimo tiro di sigaretta e gettò il mozzicone sul ciglio della strada. Paul lo recuperò e lo spense.
“Con questo tempo rischia di provocare un incendio,” si
lagnò.
“Scusi,” borbottò lei, riflettendo che forse non era quella
donna di campagna che credeva di essere. “Quanti anni ha
la signora Witherspoon?”
“Novantadue, a quel che dicono i giornali.”
“Potrebbe essere rimbambita.”
“Non credo. In ogni caso, lo vedremo.”
Il Cottage dell’Edera era in effetti coperto di edera, che
si muoveva dolcemente nella brezza estiva. Il tetto era di
paglia. Paul afferrò il batacchio di ottone e gli diede alcuni
colpi energici. Dopo pochi istanti la buca delle lettere si aprì
e una voce di donna gridò: “Andatevene”.
“Siamo qui per aiutarla,” disse Paul, accovacciato davanti alla buca. “Vogliamo catturare il fantasma.”
“Sono stufa marcia di svitati. Andate a farvi fottere!”
Paul si girò verso Agatha, per un rapido sogghigno.
“Sembra la sua anima gemella.” Tornò a rivolgersi alla
buca delle lettere. “Non siamo degli svitati, signora Witherspoon. Vogliamo davvero aiutarla.”
“E come potete aiutarmi?”
“Io sono Paul Chatterton, e lei è Agatha Raisin. Abitiamo a Carsely. Potremmo passare una notte a casa sua e
acchiappare il fantasma.”
Ci fu un lungo silenzio e poi uno sferragliare di serrature
e catenacci. La porta si aprì. Agatha si ritrovò a guardare in
alto. La signora Witherspoon se l’era immaginata come una
vecchiettina fragile e ingobbita. Davanti a sé aveva invece
una gigantessa. La signora Witherspoon era un donnone
poderoso, alta almeno uno e ottanta, con i capelli tinti di
rosso e due mani che parevano badili.
Fece un cenno con il capo a mo’ di benvenuto e Agatha
e Paul la seguirono in un salottino piccolo e buio. L’edera
che ricadeva attorno alle finestre piombate tagliava fuori
quasi tutta la luce.
“E allora, cosa vi fa pensare di essere in grado di scoprire chi mi infesta la casa?” chiese la signora Witherspoon.
Con la testa quasi toccava il soffitto a travi. Agatha, che si
era seduta, si alzò di nuovo, perché non le piaceva sentirsi
incombere addosso quel colosso.
“Vale la pena tentare,” disse tranquillamente Paul. “Insomma, che cosa ha da perdere?”
La signora Witherspoon fissò Agatha con occhi svegli.
“Ha detto di chiamarsi Raisin?”
“Lo ha detto lui. E sì, mi chiamo Raisin.”
“Ah, lei è la tipa di Carsely che si picca di essere un’investigatrice. Suo marito è scappato e l’ha piantata. Non mi
stupisco.”
Agatha serrò i pugni. “E il suo che fine ha fatto?”
“È morto vent’anni fa.”
Agatha si girò verso Paul e cominciò a dire: “Forse questa è un’idea sciocca, dopotutto…”. Ma lui sibilò: “Lasci
che me ne occupi io”.
Si rivolse alla signora Witherspoon. “Non le daremo alcun disturbo,” la blandì. “Potremmo passare la notte qui,
svegli, e aspettare.”
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“Non aspettatevi che vi dia da mangiare,” disse lei.
“Ma non ci era proprio venuto in mente. Arriveremo
verso le dieci.”
“Oh, d’accordo. Ho sempre vissuto in questo cottage e
non ho intenzione di lasciarmi cacciare via.”
“Che forma prendono queste apparizioni?”
“Si sentono sussurri, rumori di passi, da sotto la porta
della stanza da letto esce una specie di nebbiolina grigia. La
polizia ha controllato l’intera casa, ma non ha trovato alcun
segno di effrazione.”
“Ha qualche nemico?” chiese Agatha.
“Che io sappia, no. Sono una persona cordiale, io. Non
irrito la gente.” Piantò gli occhi in faccia ad Agatha, con
sguardo sprezzante, come a dire che in Agatha Raisin di
cose in grado di irritare la gente ce n’erano parecchie.
Paul spinse Agatha verso la porta, essendosi reso conto
che lei stava per esplodere in una rispostaccia. “Saremo di
ritorno per le dieci,” disse.
“Una tavola ouija sarebbe meglio.”
“Non ne posseggo. Cosa le andrebbe di mangiare?”
“Mangerò prima di uscire. Sarebbe bene avere una grossa scorta di caffè nero. Ne porterò un bel thermos.”
“Benone. Allora siamo pronti.”
Rientrarono a Carsely sotto gli occhi indagatori di vari
abitanti del villaggio.
“Non voglio aiutare quella vecchia stronza,” protestò
Agatha, quando salirono in macchina. “Mi creda, quella
non la spaventerebbe neppure il conte Dracula in persona.”
“Ma è una faccenda interessante,” si ribellò lui. “Da
bambina non ha mai desiderato trascorrere la notte in una
casa infestata?”
Agatha ripensò fugacemente ai bassifondi di Birmingham in cui era cresciuta. Da bambina aveva assistito a orrori e violenze reali, e così non aveva sentito un gran bisogno
di spaventarsi ulteriormente con fatti soprannaturali.
Sospirò e poi capitolò. “E va bene, proviamoci.”
“Porto qualcosa per uno spuntino serale e il tabellone
per giocare a Scarabeo, tanto per ingannare il tempo.”
“Ho visto la signora Raisin in giro con quel Paul Chatterton,” si lagnò qualche ora più tardi la signorina Simms,
segretaria della Società delle Dame, parlando con la signora
Bloxby che aveva incontrato per strada, davanti ai negozi di
Carsely. “Io non so come faccia! Noi siamo qui che ci affanniamo per ottenere qualcosina e lei arriva e se lo porta via.
Insomma, non è neanche un fiorellino di gioventù!”
“Io credo che gli uomini trovino sexy la signora Raisin,” disse la moglie del pastore, e si allontanò con la sporta
della spesa appesa al braccio, lasciando basìta la signorina
Simms.
“Ma è incredibile, non trova?” si lagnò dieci minuti dopo
la signorina Simms, parlando con la signora Davenport, che
era da poco venuta a stare a Carsely e ormai frequentava
regolarmente la Società delle Dame. “La signora Bloxby,
moglie del pastore, si badi bene, dice che la signora Raisin
è sexy.”
“E come ci siete arrivate a questa affermazione?” s’informò la signora Davenport, incarnazione perfetta dell’espatriata britannica quale di recente era stata: abito stampato
a fiori, grosse scarpe bianche da Minnie, guantini bianchi e
un cappello terrificante.
“Molto semplice, la nostra signora Raisin è stata vista in
macchina con Paul Chatterton, e i due parevano una cop-
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pia.” All’ombra della larga tesa del cappello, la faccia della
signora Davenport assunse un’arcigna aria di disapprovazione. Non aveva forse omaggiato il signor Chatterton con
una delle sue torte al cioccolato più squisite, seguita da due
vasetti di marmellata fatta in casa? E lui non si era limitato
ad accettare educatamente il dono senza neppure invitarla
a entrare a bere un caffè?
La signora Davenport proseguì per la propria strada. La
notizia era scottante. Nello stile degli expat britannici abituati a campare nutrendosi di pettegolezzi, fermò parecchie
persone, e via via ricamò sempre più sulla faccenda. Ora di
sera tutta Carsely sapeva che tra Agatha e Paul Chatterton
c’era una tresca.
Alle sei di quella sera, qualcuno suonò alla porta di Agatha. Lei sperò che si trattasse di Paul, intenzionato a invitarla fuori a cena. Sulla soglia trovò invece il sergente di polizia
Bill Wong. Agatha provò un senso di colpa istantaneo. Bill
era stato il suo primo amico quando era venuta ad abitare
in campagna. Non voleva metterlo al corrente della caccia
al fantasma per timore che potesse cercare di fermarla.
“Accomodati,” disse, “non ti vedo da un pezzo. Come
va la vita?”
“A parte inseguire e multare i camminatori che tentano
di portare a passeggio i cani nei campi coltivati, non molto.
E tu che hai combinato?”
Entrarono in cucina. “Ho appena preparato del caffè.
Ne vuoi?”
“Grazie. Accipicchia, non avevo mai visto un thermos
così grosso.”
“Stavo preparando un po’ di caffè per la Società delle
Dame,” mentì Agatha.
“Ho saputo che James era tornato a Carsely, di passaggio…”
“Sì,” disse Agatha. “Non mi va di parlarne.”
“Brucia ancora?”
“Ho detto che non mi va di parlarne.”
“Okay. Com’è il nuovo vicino?”
“Paul Chatterton? Mi pare un tipo simpatico.”
La faccia tonda di Bill, un miscuglio di tratti asiatici e
occidentali, osservò quella di Agatha con curiosità. Era leggermente arrossita.
“Quindi negli ultimi tempi non hai fatto nulla di speciale?”
“Ah no, io no,” disse Agatha. “Ho lavorato un po’ come
pr a Londra, ma qui mi sono concentrata sul giardino. Ho
preparato un po’ di scones. Ne vuoi uno, insieme al caffè?”
Bill sapeva che Agatha in cucina era a dir poco una frana. Sembrò dubbioso. “Avanti,” lo incalzò Agatha. “Sono
fantastici.”
“D’accordo.”
Agatha mise uno scone in un piatto e poi piazzò davanti
a Bill burro e marmellata.
Bill lo addentò con cautela. Era delizioso, leggero come
una piuma. “Ti sei davvero superata, Agatha,” disse.
E Agatha, che aveva ricevuto i dolci in regalo dalla signora Bloxby, gli sorrise soavemente. “Non crederesti mai che
brava casalinga sono diventata. Oh, suonano alla porta.”
Si affrettò ad aprire, augurandosi che non fosse Paul
Chatterton e che non cominciasse a parlare della veglia
nella casa dei fantasmi. Ma era la signora Bloxby.
“Accomodati,” disse Agatha. “C’è anche Bill.” Sperò che
l’amico poliziotto avesse finito di mangiare il suo scone.
Invece, per suo sommo orrore, nell’entrare in cucina con
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la signora Bloxby, fu accolta da Bill con: “Non mi dispiacerebbe un altro dei tuoi dolcetti, Agatha”.
“Oh, le piacciono?” chiese la signora Bloxby. “Ne ho
regalati alcuni alla signora Raisin, stamattina, perché ne
avevo fatti troppi.”
“Caffè?” chiese Agatha alla moglie del pastore.
“Per me no, grazie. La partecipazione alla Società delle
Dame non è molto elevata, così sono passata a sincerarmi
che tu venissi, questa sera.”
“Non posso,” disse Agatha, in imbarazzo per lo sguardo
divertito di Bill.
“Perché no?”
“Devo incontrare un tizio per un lavoro di pr.”
“Torni al lavoro così presto? Avevo capito che volessi
passare un’estate in santa pace.”
“Oh, insomma, è solo un lavoretto.”
“Di che si tratta, questa volta? Moda?”
“È una nuova crema antirughe.”
“Davvero? Secondo te funzionano?”
“Non lo so,” disse Agatha a voce alta. “Ma che noia, non
possiamo parlare d’altro?”
Silenzio. Agatha si sentì arrossire.
“Ti stai facendo una bella nomea nel villaggio,” la canzonò la signora Bloxby. “Ormai tutti dicono che tu e Paul
Chatterton siete una coppietta.”
“Sciocchezze.”
“Vi hanno visti insieme in macchina.”
“Mi stava dando un passaggio.”
“La tua auto è fuori uso?”
“Senti,” disse Agatha, “stavo uscendo per andare a Moreton, e nello stesso momento è uscito anche lui e mi ha
detto che stava andando a Moreton e se volevo un passag-
gio. Tutto qui. Sinceramente, la gente di Carsely spettegola
un po’ troppo.”
“Insomma,” disse la moglie del pastore, “parecchie signore si sono irritate vedendo che siete diventati amici, perché sei riuscita dove tante altre hanno fallito. Bene, ora devo
andare.”
Agatha l’accompagnò alla porta e tornò a malincuore in
cucina. “Non mi hai ancora offerto un altro scone,” disse Bill.
“Devo essermi sbagliata e averti offerto uno di quelli della signora Bloxby, al posto di uno dei miei,” disse Agatha,
che una volta finita in un buco, non capiva mai quando era
il caso di smetterla di scavare.
“Allora ne assaggerò uno dei tuoi.”
Agatha si esibì in una pantomima, affannandosi ad aprire una latta rigorosamente vuota. “Oh, che peccato,” disse.
“I miei sono finiti. Mi dispiace.”
Mise davanti a Bill un altro scone della signora Bloxby.
“Hai sentito parlare di una certa signora Witherspoon che
sostiene di avere la casa infestata da fantasmi?” chiese Bill.
“Sì, era sulle pagine di cronaca locali.”
“E non ti sei sentita in dovere d’intervenire?”
“No, voglio campare tranquilla. Quella donna probabilmente è rincitrullita.”
“No, non lo è. Sono stato lì un paio di volte, per capirci
qualcosa. La polizia non è riuscita a trovare nulla. Agatha,
ho la strana sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa.
“Non essere sciocco.”
“Insomma, ti chiedo del tuo nuovo vicino e tu non mi
racconti che ti ha portata a Moreton.”
“Ma che cosa vuoi?” chiese Agatha. “È un terzo grado,
questo?”
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Bill rise. “Resto convinto che tu mi stia eludendo. Oh,
beh, un po’ di caccia ai fantasmi non ti farà male.”
“Non ho mai detto…”
“No, non lo hai detto, vero? Ti chiederei di quella crema
antirughe, e dove hai appuntamento stasera con quel tizio,
ma non voglio affaticare ulteriormente la tua immaginazione.”
“Bill!”
Lui sogghignò. “Ci vedremo presto.”
Uscito Bill, Agatha tirò un sospiro di sollievo e salì al
piano di sopra a farsi una doccia. Dopo tutte quelle frottole,
si sentiva accaldata e sudaticcia.
Ma come ci si doveva vestire per dare la caccia ai fantasmi?
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