gira, il mondo gira
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NUMERO 105 DIRETTORE: GIORS ONETO 13 gennaio 2006 e-mail : [email protected] – fax. : 055. 272 .9077 – tel. : 0574. 22.304 – SPIRIDON ITALIA C.P.696 – 50100 FIRENZE COPIA GRATUITA NON COMMERCIABILE IN EDIZIONE TELEMATICA GIRA, IL MONDO GIRA Girano gli anni ed i media abbozzano un bilancio. Dato che il raccolto è magro ed il format è stanco sia gli che l’altro calano in progressione geometrica ed esponenziale. Le fonti più governative ammettono che il paese è in crisi, è stanco, ma si sta rialzando, magari (guarda un po’!) proprio in coincidenza con il rilancio per le prossime elezioni. E’ lo stesso premier che accusa la stampa italiana di aver raggiunto il livello più basso di sempre, strattonando indirettamente l’opinione pubblica. Nessuno in realtà ha voglia di fare bilanci (ed i quotidiani non hanno brillato nei classici speciali di fine anno) perché il respiro è corto e non si ha voglia di confrontarsi con il “rosso” della vita e delle banche. Dunque si preferisce tirare dritto, non soffermarsi, fare finta che al 2005 non succeda il 2006, perché ci si può illudere un numero non infinito di volte. Intanto tutti gli indicatori significano l’arretramento del sistema-Italia sul piano dell’innovazione, della ricerca, della libertà di stampa, in poche parole per quella galassia di parametri che connotano un paese civile e che oggi ci situano all’altezza della Grecia, ma infinitamente dietro la Spagna. Nel 2005 per la prima volta la maggioranza degli italiani non ha risparmiato un solo euro da mettere da parte. Dunque l’universo statistico si popola di cicale più che di formiche e la colpa non è certo dei consumatori o degli utenti delle banche che hanno come personaggi di riferimento i Fiorani, i Consorte, i Ricucci od i Geronzi e come teorici strumenti di investimenti i bond argentini. L’immobilismo è anche lo specchio di un sistema elettoralistico bipolare che si paralizza troppo tempo prima dell’appuntamento delle urne. I politici non ragionano più dall’alto (o dal basso) di una coerente ideologia. No, quello è una schema superato. Ora il mercato dei voti richiede questa impostazione: “I nostri elettori cosa ci chiedono per darci il voto?”. E dunque con questa impostazione la demagogia ed il compromesso regnano sovrani all’interno dei due schieramenti del sistema bipolare. Il pessimismo in questo caso è l’antidoto all’ottimismo della volontà. Nello sport domina e regna sua maestà il calcio appiattito dal conflitto d’interesse, dal provincialismo e dalla monotonia di un campionato troppo squilibrato come valori e che fa rimpiangere i tornei con le “sette sorelle”. In fondo è anche quello un sistema bipolare (Juventus e Milan) con l’Inter che è come un Mastella che pende un po’ di qua ed un po’ di là. Torino taglierà il nastro della sua Olimpiade in qualche modo, ma la realtà di questi giorni sono appalti d’emergenza commissionati ai cinesi (manodopera compresa) per chiudere in qualche modo cantieri, trincee e buchi neri. Ed è un po’ lo spaccato di un’Italia che arriva all’ultimo momento agli appuntamenti prefissati con anni di anticipo. Daniele Poto SPIRIDON/ 2 Caro Direttore, riguardando i numeri arretrati di Spiridon mi è capitato di soffermarmi sulla lettera dell’avv. Pietro Mennea, da te pubblicata sul numero 103 del 6 dicembre 2005. E, al di là di ogni considerazione personale sul personaggio che ho avuto modo di ben conoscere nella sua grandezza di atleta e nei suoi umori di uomo, mi ha colpito il livore che trasuda nei confronti di quell’atletica e dei quei dirigenti che hanno avuto le intuizioni giuste per renderla spettacolo come mai prima era stato. Atletica alla quale il Mennea ha senz’altro dato tanto come atleta, ma dalla quale ha ricevuto anche gratificazioni e occasioni che la quasi totalità degli individui non ha avuto. D’accordo Mennea ha vinto molto, è stato un simbolo - ma prima di lui e per rimanere nell’ambito della stessa specialità lo è stato e lo è tuttora anche Livio Berruti - ma allora, perché tanta acredine? Ai tempi che correva l’opinione diffusa era che la sua rabbia fosse la molla per allenamenti e sacrifici, oggi probabilmente quell’impressione va rivista. Indubbiamente sono tanti i campioni che non riescono a spogliarsi del loro mito, una volta cessata l’attività. In più di 30 anni di frequentazione giornalistica, ho verificato che il loro rapporto con l’ambiente diventa di odio-amore. Ma questo, salvo pochissime eccezioni, resta in limiti ben definiti, perché alla fine si rendono anche loro conto che la vita continua, che con il loro ritiro dall’attività il palcoscenico che prima riempivano, viene occupato da altri. E’ la legge della vita. Di atletica si è continuato a scrivere anche dopo i plurimi ritiri di Pietro Mennea e altrettanto succederà - nella fattispecie su La Stampa - quando il sottoscritto andrà in pensione. Nessuno è eterno, nessuno è insostituibile. In occasione della festa per i 50 anni di Formia ho avuto modo di incontrare tanti campioni di ieri: amici con i quali ci siamo abbracciati, ricordando anche episodi curiosi che ci hanno legati quando, raccontando le loro imprese, a volte ho espresso giudizi poco teneri. E’ stato bello, simpatico. E già quel giorno mi è spiaciuto che, tra gli assenti, ci fosse anche Pietro Paolo Mennea da Barletta, che della Scuola di Formia è stato il frequentatore per eccellenza. Quell’assenza che ho sperato - e con me altri - fosse legata a motivi contingenti e inderogabili, adesso assume un altro significato. E mi lascia l’amaro in bocca. Soprattutto suscita la domanda e la ragione di queste righe: perché? Resterò probabilmente senza risposta, ma tutto sommato non mi dispiace. I campioni dell’atletica - ma anche i più umili praticanti - che ho avuto modo di conoscere e frequentare in questi anni sono tanti e quando capita di incontrarsi è sempre una festa. Temo che con l’avv. Mennea - a meno che non abbia frainteso il suo scritto, ma non credo proprio - sarebbe ben diverso. E questo mi infastidirebbe ulteriormente. Giorgio Barberis SAO SILVESTRE NUMERO 81 Il più vecchio evento podistico sudamericano e uno dei più straordinari nel mondo, ovvero la Corrida di San Paolo del Brasile, ha festeggiato i suo ottantunesimo genetliaco con la solita spettacolarità popolare nel miglior spirito brasiliano e soprattutto con il ritorno d’un brasiliano sul gradino più alto del podio di Avenida Paulista. Ha vinto Marilson Gomes dos Santos, carioca puro sangue che è stato capace di dar la birra, spumeggiante e gelata, degna della notte paulista, la solita brigata (anche se meno grintosa del solito causa anche le modeste borse d’ingaggio di quest’anno) di atleti del Corno d’Africa. Gomes dos Santos ha vinto in 44,21 dando quasi un minuto al keniano Robert Cheruyot mandando allo zenith, ovvero letteralmente fuori di testa la folla oceanica che ha seguito la gara ed ha aperto l’anno nuovo alla maniera che sanno coloro che conoscono questa splendida terra. Marilson aveva già vinto due anni fa ma quest’anno si è superato mentre Cheruyot si è in un certo senso adagiatio nel ruolo di sacrificale “secondo” dopo i piazzamenti del 2002 e dell’anno passato. Insensibile agli oltre 33°C., sospinto dal tifo colorito e rumoroso degli oltre 20000 spettatori assiepato lungo i cinque chilometri, sotto lo sfarfallio della “neve di carta” ed aiutato da una lepre d’eccezione, Marilson non ha lasciato spazio a nessuno. Tanto che ad un terzo di gara aveva già fatto il luogo dietro di sé. Fra le donne, che come avviene ormai da qualche anno gareggiano in orario diverso per poter essere protagoniste in toto, è stato registrato il successo di un’europea, la Olivera Javtic. La serba, alla sua seconda vittoria dopo quella del 1998, ha messo in fila tutte le avversarie a cominciare, ah, la predestinazione del prenome, da Rose Cheruyot, seconda ad una cinquantina di metri dalla Javtic. Eccellenti le prestazioni delle brasiliane Lucila de Oliveira Peres di Recife, e Marisete de Paula Rezende di Corumbà, rispettivamente quarta e sesta. Sin qui i commenti senza dimenticare che la 81° Corrida di Sao Silvestre, al di là degli esiti agonistici più o meno ovvi ed opinabili si è riconfermata come uno spettacolo umano e sportivo che non ha paragoni in nessun’ altra parte del mondo. Paulo Machado SPIRIDON/3 Fuori tema In fine di dicembre, un titolo di Repubblica, riferendosi a Giorgio Bocca, recita: “la mia finestra sul cortile del massacro”. E poi ancora,”come fu vissuta la terribile notte di Monaco di Baviera”. La testimonianza richiamata è in realtà un falso storico. Perché la finestra era lontana, e perché, mentre i terroristi palestinesi facevano strage di israeliani nella palazzina olimpica, Giorgio Bocca era in gita a Salisburgo in cerca di capriolo condito con mirtilli (raccontato da Giulio Signori, all’epoca capo servizio nel Giorno, che aveva con Mario Fossati e Gianni Brera la migliore pagina di sport dell’editoria quotidiana italiana). E lo stesso Signori dovette compiere salti mortali per risolvere il problema. Bocca, che credo detesti l’atletica perché non c’è campionato mondiale od olimpiade che non ne scriva male, si rifece mortificando dalla comodità di una tribuna il povero Renato Dionisi, bloccato sulla pedana dell’asta da tendini a pezzi. Di buona parte delle vicende di Monaco fu testimone diretto Piero Pasini, inviato Rai, che riuscì, unico giornalista, ad entrare nel villaggio, tardivamente ridotto a bunker dalle forze dell’ordine della Baviera, intruppato nel pulmino dei lottatori azzurri Qualcosa potrebbe raccontarci, se ne avesse voglia, Vanni Loriga, autore di uno spericolato tentativo di assalto al villaggio attraverso un rischioso muro di cinta, rivelatosi purtroppo tale. Dicembre porta anche la notizia del Centro Sportivo Esercito allineato agli altri gruppi sportivi militari: saranno arruolati, nel 2006, 61 atleti, donne in grande maggioranza, e 8 istruttori. Anche Aeronautica e Marina aggiusteranno la truppa. Va tutto bene, purché gli atleti arruolati sappiano, tenendone sempre conto, che faranno sport con i soldi nostri. Ma, il resto dell’atletica italiana, che fine ha fatto? Ed i centri universitari, una volta superattivi, vedi il Cus Roma d’un tempo e la penosità attuale, quanti atleti producono annualmente? Giorni fa ho raccolto lo sfogo di un inossidabile poeta dello sport che vede nell’atletica la massima espressione etica ed estetica dell’agonismo. Si chiedeva, e chiedeva, con il trasporto d’un carbonaro: ma siamo proprio obbligati a macerarci anima e fegato sulle crisi ricorrenti dell’atletica, sulla scarsità di vocazioni, sull’assenza di docenti e discenti, sulla pochezza dei dirigenti, sul disinteresse degli organi di informazione? La testimonianza rasenta Kierkegaard. Ma fa riflettere. Inizi di gennaio. Alle porte, l’accordo tra Ministero dell’Istruzione e Comitato Olimpico per una ripresa aggiornata dei Giochi della Gioventù. Si parla di numeri importanti, quasi due milioni di ragazzi censiti, test in cinquanta capoluoghi di provincia, coinvolgimento (!?) degli insegnanti (sempre di serie B rispetto ai colleghi?). L’impresa parrebbe nobile: “attività sportiva per combattere l’analfabetismo esistenziale e sportivo”. Se ne parlerà a fine anno. Sempre inizi di gennaio. Festeggiati i cinquanta anni di vita, i cancelli della Scuola di Formia si sono riaperti al cervello di Carlo Vittori. Riunione “degli 81”, così chiameremo gli iscritti al progetto talento proposto ed avviato dalla Federazione. Auspice diretto ed olografo il segretario federale Gianfranco Carabelli, riunione aperta, con Nicola Silvaggi, Elio Locatelli, Ida Nicolini. Chiarite, dal versante vittoriano, quali siano le diversità d’approccio metodologico e di criterio applicativo all’interno di una fascia d’età riguardante entità così diverse e complesse come quelle comprese tra i 14 ed i 19 anni, Vittori esce dalla Scuola con la responsabilità diretta della programmazione, dell’organizzazione e della gestione di tutti i corsi di formazione dei tecnici, a partire dai corsi periferici di primo livello. Teoria e pratica, quasi equidistanti nella distribuzione, sessanta per cento teoria, quaranta per cento pratica. Si ricomincia? E’ da sperarlo. Mentre Spiridon chiude la pagina, mentre al Coni fa drizzare i capelli la mediocrità dei documenti presentati da Roma e Milano per proporsi candidate ai Giochi del 2016, l’orecchio capta al volo l’imbecillità di un estensore che inserisce tra i titoli di testa del TG1 delle 20, tra una strage in Iraq, l’incertezza della sorte di Sharon, l’ennesima tragedia familiare ed un assalto ad una villa del nord Italia, la notizia che il regista Pieraccioni non metterà mano ad alcun film nel corso del 2006. Rimpiango l’Inquisizione. [email protected] SPIRIDON/4 Spiridon salue Spiridon par Yves Jeannotat Dans la langue universelle de la musique et de la course à pied, Spiridon Suisse salue Spiridon Italie. Aux quatre coins du monde, un soir de relâche, le musicien s’en va admirer la foulée du champion ; le lendemain, ce dernier se délecte aux arpèges du virtuose. Ils ne se connaissent pas mais, lorsque leurs regards se croisent, de petites lumières s’allument dans leurs yeux. De fait, le coureur est comme un musicien : il va de ville en ville avec, dans sa valise, ses habits d’interprète et sa réserve de gestes étudiés. Lentement, le regard tourné vers l’intérieur, l’un et l’autre pénètrent au cœur du spectacle. Les feux du soleil couchant et des projecteurs s’abattent sur eux comme mille épées, avant de rejaillir en lumière diffuse dans l’espace. Dans la confusion qui précède les grands départs, le coureur piétine et tourne en rond ; ses bras font d’énormes moulinets dans le ciel ; il lance une foulée nerveuse sur quelques lignes droites ; il assure ses gammes ! Le musicien, lui, ébauche des mesures sans suite, comme ça, pour voir ; pour se rassurer ; pour être certain que l’instrument de ses succès ne le trahira pas… Venus d’ici, venus d’ailleurs et surtout des hauts plateaux kenyans et éthiopiens, les virtuoses de la course à pied se sont succédés, en 2005, sur les scènes d’Europe, de Suisse et d’Italie, volant le plus souvent la vedette – si ce n’est sur les sentiers alpestres – à ceux et à celles venus d’ailleurs. Paul Tergat Grand maître kenyan du cross, après avoir porté le record mondial du marathon à un sommet vertigineux en 2003 (2h04’55"), Paul Tergat a démontré à New York, il y a quelques semaines, qu’il pouvait aussi réussir, sur cette distance, ce dont l’avait privé l’Ethiopien Haile Gebrselassie sur 5000 m et 10'000 m : s’imposer au sprint ! Cette exploit, signé alors que ses gains lui ont conféré depuis longtemps un statut d’homme d’affaires, prouve de façon on ne peut plus explicite qu’il a su à la fois garder les pieds sur terre et la tête sur les épaules, et que l’opulence ne lui a pas fait perdre le goût de la course à pied… Récemment, Paul Tergat est venu à Lausanne pour y présenter, au Musée olympique, le livre que lui a consacré Jürg Wirz, journaliste Suisse alémanique installé depuis 1999 à Eldoret. Dans cet ouvrage remarquable, rédigé en allemand et traduit en anglais, le champion dévoile toutes les composantes de son entraînement, ce qu’il n’avait pas fait de façon aussi détaillée jusque-là. Il y parle aussi de son regret de n’avoir pu « encore » décrocher le seul titre qui consacre vraiment un sportif dans son pays : le titre olympique ; ses duels sur 5000 m et 10'000 m avec l’Ethiopien Gebrselassie, à qui il voue une grande admiration ; la complicité qui le lie au « Dottore » Gabriele Rosa, son coach, son maître, son ami ; l’importance qu’il accorde aux divers rôles qui lui ont été conférés par les milieux officiels, celui d’ambassadeur pour la lutte contre la faim dans le monde notamment… Il avoue aussi qu’il ne lui déplairait pas d’être porté un jour à la tête de la Fédération kenyane d’athlétisme… Avec l’accord de l’éditeur (Meyer & Meyer Verlag) et de l’auteur, j’ai proposé aux éditeurs de traduire le livre en français. Aucun, hélas, n’a trouvé le sujet suffisamment attrayant pour assurer une vente d’exemplaires suffisante… Cela étant, vu les liens qui unissent le champion à l’Italie, la traduction de l’ouvrage en italien paraît couler de source… Kenya et Ethiopie : ombres et lumières Les adversaires des hauts plateaux de deux nations d’Afrique orientale (Kenya et Ethiopie) s’affrontent depuis de longues années en des luttes sans merci, à travers le monde, pour imposer leur suprématie en course à pied. Cette espèce de bataille rangée, particulièrement spectaculaire lors des championnats du monde de cross, explicite la rivalité qui existe entre les deux nations, et pas seulement au plan sportif. Cela étant, pour le reste du monde, la différence est à peine perceptible : que ce soit un Kenyan ou un Ethiopien qui gagne, c’est un noir, un point c’est tout !… Depuis quelques années, conscientes de l’impact – publicitaire également – lié aux victoires remportées et aux records battus par les monstres africains de la course à pied, d’autres nations, productrices de pétrole notamment, ont décidé d’acheter au prix fort un certain nombre de kenyans pour servir d’armature à leurs propres équipes. Dans ce contexte, l’apparition du Qatar, petit Etat du golf Persique a été spectaculaire, notamment en raison du passage, sous les couleurs de ce pays, de Stephen Cherono (recordman du monde du 3000 m steeple en 7’57"38), devenu Saïf Saaeed Shaheen pour la circonstance. Cette sorte de trafic d’esclaves de la course à pied est rebutant quand il n’a que l’argent pour enjeu… Kenya ! Cherono – Tergat : ombre et lumière ! Kenenisa Bekele L’Ethiopie, c’est Haile Gebrselassie! Absent – ou presque – de la scène du cross-country, un peu moins fort que Tergat – pour l’instant – au marathon, mais deux fois médaillé d’or olympique ! Cela dit, Gebre a d’ores et déjà trouvé meilleur que lui, dans son propre pays, avec Kenenisa Bekele (23 ans) dont le palmarès est suffisamment connu pour ne pas être détaillé. Imbattable en cross depuis 4 ans, la maîtrise avec laquelle il a battu, à Bruxelles le 26 août dernier, le record du monde du 10'000 m (26’17"53) alors qu’on pensait, en début de saison, que le traumatisme subi par la mort de son amie dans ses bras allait broyer ses forces dans la douleur, prouve une force de caractère exceptionnelle et donne l’assurance d’une longue domination sur le demi-fond long. Un aspect de sa course record a retenu mon attention : parfaitement conscient de l’inutilité des « lièvres polichinelles » imposés par les organisateurs de meetings (et parfois réclamés par des vedettes en quête d’un alibi en cas de mauvaise course), Kenenissa a demandé à son frère, avec lequel il s’entraîne souvent et qui connaît donc bien ses automatismes, de l’accompagner jusqu’à mi-parcours, question de faire passer le temps… Ce choix témoigne, chez lui, d’une intelligence fonctionnelle significative. SPIRIDON/5 Mais l’Ethiopie ne vit pas que de course à pied… La situation politique et humanitaire est catastrophique dans ce pays, d’où la tentation à laquelle « succombent » ceux et celles qui n’ont pas – ou pas encore – le gabarit de Gebre, Bekele ou autre Berhane Adere, de quitter le pays pour se réfugier… ailleurs. Beaucoup ont entendu parler de la Suisse, de son air pur et de ses banques… Il s’y faufilent, souvent avec l’aide de managers opportunistes, mais en méconnaissance totale de ses lois, qui prévoient le renvoi pur et simple des sans papiers à moyen terme et, dans le meilleur des cas, une naturalisation possible après… 12 ans de séjour dans le pays (5 ans en cas de mariage avec un Suisse ou une Suissesse). Actuellement on compte, en Suisse, une bonne trentaine de coureurs et de coureuses à pied requérants d’asile, vivant souvent avec le minimum vital de 14 francs par jour… De niveau quelconque en Ethiopie dans le domaine de la course à pied, leur domination est quasi sans partage en Suisse, sauf peut-être en montagne. Et encore, puisque Tesfaye Eticha, sept fois vainqueur du marathon de Lausanne, a aussi remporté trois fois le fameux marathon de la Jungfrau… Avec lui, d’autres comme Chengere ou Lidetu n’ont pour ainsi dire pas de concurrence, si ce n’est Christian Belz et Viktor Röthlin. Mais ceux-ci préfèrent aller courir à l’étranger, ce que ne peuvent se permettre les requérants d’asile, qui ne pourraient plus rentrer en Suisse s’ils venaient à la quitter… Les primes ? A peine de quoi mettre un peu de beurre sur leur pain sec (entre 200 et 300 francs au premier des épreuves ordinaires, un peu plus s’il s’agit de courses internationales). Ethiopie ! Requérants d’asile – Bekele : ombre et lumière ! Zenebech Tola : une perle ! On parle ! On parle ! Et il n’y en a que pour les hommes ! Le texte qui précède en témoigne et j’en demande pardon. Or, les femmes sont leurs égales ! Que ce soit Tegla Loroupe au Kenya ou Derartu Tulu en Ethiopie… Il en va de même en Suisse, dans le groupe des requérantes d’asile, où Tsige Worku est la concurrente à battre, alors que Zenebech Tola est tout simplement… imbattable ! Arrivée en Suisse à l’âge de 17ans, le 16 mars 2002, grâce au tour de passe-passe d’un manager… éthiopien installé depuis longtemps au pays, Zenebech a d’emblée gagné les 15 km de Chiètres (Fribourg). Tout à coup « sans papiers », elle a demandé l’asile. Bien que vivant dans des conditions très précaires, elle a tout gagné ce qu’il y avait à gagner dans ce pays, y compris Morat – Fribourg et la fameuse course de l’Escalade de Genève. Bien qu’ayant été le premier journaliste à parler de son potentiel extraordinaire, je n’ai pas été le seul à me rendre compte que, dans le domaine de la course à pied, cette jeune fille d’apparence fragile était une perle rare en gestation, avec une seule idée en tête déjà : les Jeux Olympiques ! C’était mal parti dans cette optique et tout a été entrepris pour obtenir une dérogation à la loi suisse sur la naturalisation : en vain ! A fin 2003, par une lettre ouverte, j’ai suggéré à Jacques Rogge, président du CIO, de créer un passeport olympique pour les champions expatriés : en vain ! Chez les techniciens de l’athlétisme suisse, seul Jacky Delapierre, grand boss d’Athletissima, s’est réellement rendu compte de la valeur de Zenebech. Sa situation le lui permettant, il a pris contact avec la France et le Bahreïn, autre petit Etat du golf Persique, leur demandant les conditions d’une éventuelle naturalisation pour Zenebech. La réponse des deux pays a été positive : - Celle de la France exigeait deux ans d’attente ce qui, en raison de la Charte olympique, mettait les JO de Pékin hors de portée de Zenebech. - Acceptation enthousiaste et immédiate, par contre, de la part du Bahreïn, avec quelques conditions simples et apparemment acceptables : changement de nom, mais pas de religion (Zenebech est chrétienne) notamment ; présence ponctuelle au Bahreïn et contacts réguliers avec sa fédération sportive ; possibilité de rester à Lausanne, où les conditions d’entraînement sont idéales ; rétribution modeste de l’ordre de 2000 francs suisses par mois, plus primes à la victoire et à la performance… Avec l’accord de Zenebech et de Mnashu, son ami et coach, cette deuxième solution a été acceptée. Une semaine plus tard, un émissaire du Bahreïn arrivait à l’aéroport de Genève, deux passeports en main : le premier faisant de Zenebech Tola, Maryam Yusuf Jamal ; le second faisant de Mnashu Tai, Tareq Saab Yaqoob ! Du jour au lendemain, la requérante d’asile bénéficiait, en Suisse, du statut de « touriste » et était en mesure de… courir le monde ! Les raisons du changement de nationalité de Zenebech n’ayant pas l’argent pour enjeu, ce transfuge n’a rien à voir avec celui d’un Cherono. D’où la possibilité de dire, en l’occurrence, que… la morale est sauve ! Marymam, libre, s’est donc installée officiellement près de Lausanne. Jacky Delapierre a créé, à son intention, un encadrement professionnel strictement bénévole (jusqu’aux Jeux de Pékin du moins). Dans ce contexte, il s’est luimême chargé des contacts internationaux, et a obtenu l’adhésion de Jean-François Pahud (qui avait amené Pierre Délèze à 3’31"75 sur 1500 m) au poste d’entraîneur. Dès lors, le monde s’ouvrait à Maryam Yusuf Jamal, totalement inconnue des milieux spécialisés de la course à pied, si ce n’est en Suisse. Sans que les experts sachent encore très bien de qui il s’agit, on a pris note de ses résultats « extraordinaires » (elle a pratiquement tout gagné, y compris la finale monégasque du Grand Prix, avec une petite exception aux Mondiaux où, littéralement balancée dans les décors par l’armada russe, elle n’a terminé que 5e) et on en attend confirmation. En un peu plus de huit mois, Maryam a participé à 30 épreuves internationales (sur et hors piste) et en a remporté 25, établissant comme suit ses records personnelles : 800 m :1’59"69 (distance courue pour la 1re fois) 1500 m :3’56"79(meilleure performance mondiale de l’année) 3000 m :8’28"87(meilleure performance mondiale de l’année) 5000 m :14’51"68 Pour moi, cela ne fait aucun doute, Maryam Yusuf Jamal a été, dans le domaine de la course à pied, la révélation et la meilleure athlète mondiale de l’année 2005. SPIRIDON/6 GLI AMICI CI SCRIVONO Egregio Direttore, Desidero innanzitutto ringraziarLa per l'invio della Sua rivista che leggo e commento sempre molto volentieri. Vorrei anche farLe i complimenti per i temi trattati e in special modo per l'attenzione al mio settore, quello dei giudici. Argomenti curiosi, interessanti, molto puntuali e precisi, che spesso mi fanno riflettere sulla "fonte" delle notizie, che risulta sempre ben informata, e che noi, "base", senza queste segnalazioni, difficilmente verremmo a conoscere. Pertanto, onde evitare malintesi ed illazioni, spesso del tutto gratuite, mi sono deciso a farLe pervenire il mio parere, come mi è stato richiesto nel n. 103, sul famoso "caso Cicoria", che secondo, me doveva essere stato composto già da tempo. Ma andiamo per gradi. Come oramai tutti sanno, la Signora Cicoria fu sollevata dall'incarico di Direttore di Riunione quasi al termine dei Campionati Mondiali Juniores di Grosseto, con decisione, presa all'unanimità, dalla Giunta Nazionale del GGG in carica, di cui anch'io facevo parte, in quanto, per motivi personali, aveva deciso di lasciare la struttura dove venivano alloggiati i giudici. Decisione che condivisi, pur con molto dispiacere, in quanto ero stato il fautore dell'assegnazione dell' importante incarico, dopo la rinuncia di altro giudice. Per me il fatto era iniziato e terminato in quella sede, e non l'ho mai ritenuto un fatto tecnico, ma solo comportamentale. Non ho condiviso, anche se potevano esserci delle profonde motivazioni, la scelta della Cicoria. Il fatto doveva esaurirsi con la fine dei Campionati. A posteriori mi sono spesso domandato se un maggiore dialogo fra le parti poteva evitare questa antipatica situazione, ma la tensione di quei giorni ha senz'altro influito molto sull'evolversi degli avvenimenti. La situazione, successivamente, si è, purtroppo complicata, a causa di una lettera un po' "forte", scritta dal giudice di Salerno a vari organi federali. Lettera che alla maggioranza della Giunta Nazionale non piacque. Io non mi sentii particolarmente colpito, anche perché, forse a causa della mia deformazione professionale, cercai di capire lo stato d'animo della collega e le vere motivazioni che avevano portato alla stesura della lettera. Tutto ciò mi portò, nell'ultima riunione della Giunta, a proporre la Cicoria per la riconferma negli albi operativi nazionali, decisione condivisa anche dal responsabile della commissione ufficiali di gara. La mia proposta però non fu accettata dagli altri componenti del suddetto organo e, a maggioranza, con il mio solo voto contrario, fu deciso di escluderla per una frase della lettera, che fu interpretata come desiderio a non far più parte degli albi operativi nazionali. Decisione questa che non ho mai condiviso. Ritengo infatti che in un organismo formato da volontari, animati solo dalla passione per l'atletica leggera, non ci devono essere esclusioni, se non per fatti molto gravi e perdere una risorsa, brava o meno brava non importa, è sempre un fatto negativo. Per questo motivo continuo a non capire l'accanimento verso questa persona, che, a quanto mi risulta, ha inviato segnali ben precisi per voler rientrare negli albi e che si è messa a disposizione, venendo eletta, del suo gruppo regionale, cosa questa, ammirevole, vista la carenza di persone che si rendono disponibili. Che dire di più? Se posso permettermi un consiglio, vorrei invitare tutti coloro che hanno la possibilità di farlo, di dare un fattivo aiuto, affinché la questione possa essere ben presto risolta. Altrimenti, sarà difficile, a parer mio, spiegare le motivazioni della mancata risoluzione, che mi auguro e spero non siano da ricercare nel far "pagare" alla Cicoria la sua autorevolezza, la sua esuberanza, la sincerità e la voglia di cambiare comportamenti e retaggi forse non più adeguati ai tempi odierni. Spero per il nostro "strano" ambiente che tutto possa risolversi felicemente e velocemente e mi auguro che di questo spiacevole rimanga presto solo un ricordo. Mi permetta infine, caro Direttore, una precisazione sulla mia attività di giudice. Anche se molti o pochi non so, speravano che con la mia uscita dalla Giunta Nazionale mi sarei ben presto ritirato, vorrei far presente, che ancora non l'ho fatto, nè ho intenzione di farlo. Sono vivo e vegeto e rimango a disposizione dei miei organi nazionali, regionali e provinciali, pronto a dare il mio aiuto se richiesto. Tutto ciò compatibilmente con i miei impegni familiari e di lavoro. Con cordialità. Paolo Giannone Carissimo Conte Stopardi, a seguito del suo cortese invito, mi appresto in qualità di suo fedele lettore a spiegarle, qualora fosse il caso, cosa in realtà è accaduto a Tilburg in occasione dei Campionati Europei di cross. In primo luogo ci tengo a testimoniarle che gli unici giornalisti accreditati come stampa scritta italiana erano, il sottoscritto e Ennio Buongiovanni, oltre a due fotografi Elio Panciera e Gianni Alvazzi (tutti accreditati con i colori del "LA CORSA") rivista che ho la bontà di seguire da ben 25 anni. Il fatto non è nuovo, dato che sia a Heringsdorf (Ex Germania Est sulle rive del Mare del Nord) nel 2004 sia a Edimburgo l'anno prima ancora, la formazione di "inviati" era sempre la stessa, anzi in Scozia, ridotta a due persone io, e Elio Panciera. Dunque, nulla è cambiato. Veniamo alla questione Giorgio Rondelli e le sue dimissioni. Prima però, come ha giustamente ribadito il Conte Stopardi nel precedente numero, mi sembra giusto evidenziare la presenza di quattro, dicasi quattro tecnici al seguito della squadra, ovvero: Rondelli, Endrizzi, Danzi, Bartoli e il tecnico di Andrea Lalli (il nome non lo ricordo) il quale ci ha tenuto a precisarmi, che era presente il loco, a spese del Comitato Molisano. Che è sempre la stessa mamma. O no? Tanto per chiarire, a lui non avevo chiesto nulla, solo una sua previsione sul risultato del suo allievo. Rondelli il giorno prima della gara mi aveva manifestato molte perplessità, annunciandomi le sue dimissioni. Pochi istanti prima della gara mi ha fatto avere copia della lettera con la quale rinunciava all'incarico, pregandomi di non farne menzione con alcuno, sino alla fine delle gare, invitandomi a non informare neppure il telecronista Franco Bragagna che trasmetteva in diretta la manifestazione. Consegnatami la missiva, Giorgio Rondelli ha iniziato a seguire i ragazzi incitandoli come lui sa fare, dannandosi lungo il percorso, proprio come suo costume. In poche parole si è comportato da gran signore, evitando polemiche inutili. Il mezzofondo da tempo immemore è un mezzo tonfo, non basta cambiare la direzione per trovare nuovi talenti, il lavoro è lungo, anzi lunghissimo, occorre avere pazienza, nella speranza che i vari Endrizzi e Danzi....... Walter Brambilla QUESTO NUMERO DELLA RIVISTA E’ CONSULTABILE SUL SITO : SPIRIDONITALIA.IT SPIRIDON/7 A MILANO, UNA MARATONA FREDDINA Per fare cassa e vincere la guerra ad una certa propensione questo keniota che si rifugia in del cronometro e dei numeri nel all’oliatura , la “diretta” c’è stata è un’auto dell’organizzazione. confronto con le altre maratone risultata parecchio ridimensionata italiche, a Milano, gli sul piano dello spettacolo per organizzatori della maratona l’impossibilità pratica di far volare omonima, quest’anno le han l’elicottero della televisione.. tentate tutte. A cominciare dalla La nebbia è stata implacabile. scelta di un nuovo tracciato che, D’altro d’altro canto nel tardo per le caratteristiche precipue, autunno la scighera, ovvero la favorisse un bel riscontro nebbia più fitta che ci sia in cronometrico. Così niente di Lombardia (fa pure rima), è meglio che dirottarla fuori città, evento normalissimo nella zona. laggiù ad occidente, sulle strade Allora i baldi organizzatori, forti In effetti il tempo fatto realizzare che furono della splendida anche del potere contrattuale del dal vincitore, un lusitano di pelle Maratona di Cesano Boscone , roseo sponsor, stanno pensando e bianca per di più alla sua prima gara uccisa per far posto alla più “lavorando”, per piazzare la loro maratona, la dice lunga ricca Maratona di Milano. creatura in data più provvida. sull’argomento. Anche se, per la Maratona che più che “di Milano” Magari sodomizzando verità il freddo eccezionale della e dei milanesi è dello sponsor che elegantemente la concorrenza e giornata ha parecchio di volta in volta viene coinvolto. soprattutto vincendo la famosa condizionato tutti. Sempre per fare cassa hanno “battaglia dei numeri”. Costi quel Un po’ meno gli automobilisti cercato,con operazioni di che costi. meneghini che si sono dimostrati marketing e di promotion (beh, in Se con la “diretta” le cose sono più che mai ostili, ed in parte forse fin dei conti siamo nella capitate, andate così così, nonostante i soliti anche giustamente nei confronti d’ se non proprio morale, almeno esploit dell’Interruttore, una manifestazione organizzata economica d’Italia), di dell’Interrotto (che si è proposto tenendo in scarsissima coinvolgere il maggior numero di come professore di storia dell’arte considerazione le esigenze di atleti possibile. Hanno fatto leva non potendo parlare di atletica) e coloro per i quali la corsa a piedi è su donne e neofiti con la politica della Polliglotta ( si è superata niente più di una siderale rottura degli sconti sui prezzi. traducendo in italiano le di gonadi. Non siamo arrivati (almeno per dichiarazioni fatte dal vincitore in Forse Insomma gli amici ora) al “paga uno e prendi due”, … italiano), per il resto è andata meneghini, con la stessa ma non si può mai dire… anche peggio .Il livello agonistico, supponenza di altre maratone di L’importante è poter acchiappare tanto per cominciare, è stato casa nostra, pensavano di far (cosa sempre più difficile con abbastanza mediocre soprattutto concorrenza a Nuova York…. questi chiari di luna) degli sponsor rispetto alle ambizioni degli Non ci sono riusciti nemmeno con e per essi o attraverso ad essi organizzatori che avevano speso il pubblico che lungo la quasi avere maggiore spazio un bel po’ di denari per lepri più totalità degli oltre 42 chilometri si ppromozionale. In primis in infreddolite che vivaci e che si è visto poco. Ed anche questo la televisione, meglio se con la sono impegnate il giusto, cioè dice lunga. “diretta”; e quest’ anno sono stati quanto bastava per rispettare Speriamo almeno che sia servito anche sfortunati. Infatti anche se , gl’impegni e che appena possibile da lezione. grazie a sicuri santi in paradiso e hanno lasciato intirizzite come SPIRIDIN/8 Il ricordo più bello. Questo Natale ho fatto un esperimento. Su un piccolo quadernetto, con la copertina rossa e i fogli argento, lo ammetto mi sono concessa tutti i lussi e i vezzi nello sceglierlo, su questo quadernetto, dicevo, ho annotato tutti i giorni un pensiero. Una sorta di diario delle feste. Così, per sottolinearle e viverle più a fondo. Ho iniziato il 22 di dicembre e terminerò domenica 8 gennaio. Gli antichi dicevano nulla dies sine linea, non lasciar passare un solo giorno senza scrivere qualcosa. Forse avevano ragione. L’annotare un pensiero, un ricordo, una riflessione o anche una preghiera aiuta a non far scivolare via l’esistenza e permette un respiro più consapevole nella vita. Comunque sia dell’esperimento mi ritengo per ora soddisfatta. Oggi, giorno dell'Epifania, ho iniziato a scorrere le pagine che ho scritto. Confesso che il vezzo di tenere in mano il mio quadernetto rosso, ormai noto come il quadernetto di Natale, mi ha conquistata. E confesso anche che alcune osservazioni che ho annotato mi tornano adesso volentieri alla mente. Posso già fare una classifica dei momenti più belli che queste feste mi hanno regalato, e anche se attendo le soprese di domani e dopo, sono pressoché sicura che il podio spetterà comunque al 31 dicembre. Alle 6 di sera sono andata alla recita del TE DEUM. Mi piace questa celebrazione. La solennità austera del canto. Il sapore arcaico che trasuda dai ritmi e dalle strofe. Il gusto ancora imperiale dei tempi di Sant’Ambrogio, cui è attribuito, ma già irrobustito dal nuovo sangue germanico e per questo ancora più affascinante. La classicità che incontra il medioevo. In questo turbinio emotivo sono entrata nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, in centro a Roma. E’ la chiesa dei Domenicani, e lì mi piace recarmi per le festività a me più care. Fra gli affreschi e gli sfarzi elegantissimi di questa basilica lasciavo andare i miei pensieri in libertà, sicura che in quegli ambienti non possono che restare nel bello e buono. Quando la celebrazione è iniziata mi è apparsa la statua di Sant’Ambrogio a Milano. Quella in via Dante, sospesa sul palazzo dei Mercanti, nell’atto di benedire la città. Quando abitavo a Milano in modo più continuativo mi recavo spesso a salutarla. E’ bella quella statua, e ritrare secondo me perfettamente la persona di Ambrogio. E’ un uomo della classicità, ancora un antico, con un gusto raffinato, ma un cuore già più forte e austero, in sintonia coi tempi che visse. In più assomiglia a mio padre. Mio padre è un altro pensiero tipico del giorno del TE DEUM. Spesso lo sogno la notte precedente o seguente. E mi piace. Il perché è presto detto. Anche lui si reca ogni anno a questa celebrazione. Da solo. Lo preferisce. Credo sia un momento di sua assoluta intimità con Dio, Padre anche Lui e altissimo, Signore del mondo. Proprio perché nel TE DEUM sta con Dio solo, sta in realtà con tutti, e in particolare con le persone che più ama, fra le quali mi metto senza dubbi né imbarazzi. Ma c’è di più. Io so che mio padre ha inteso in sé lo spirito vero del canto di ringraziamento di Ambrogio. Ringraziare Dio di tutto l’anno, di tutto quello che ci ha dato da vivere, di tutto, ma proprio di tutto, è cogliere il bene della sofferenza e l’autenticità della gioia. In questa prospettiva, e in questa soltanto, si può davvero gustare della felicità e accettare il dolore che mai abbandona l’anima o il corpo dell’uomo. Il TE DEUM è un restituire tutto, un liberarsi dalle sofferenze e uno sgravarsi dei pesi, un aprire l’anima alla felicità vera e un comunicare nella gioia autentica. Per questo, credo, mio padre apprezza andarci da solo. Quest’anno, però, il TE DEUM mi ha regalato una sorpesa in più. Al termine del canto, dopo la benedizione solenne, che è tratta direttamente dal Deuteronomio, i Padri Domenicani si sono avvicinati alla statua del bambinello che era posta sull’altare e in coro hanno intonato Tu scendi dalle stelle. E’ stato bellissimo. Il Padre Antonio, con le sue lauree e gli incarichi di governo, il Padre Daniel, consulente in Vaticano, il Padre Valentino con i suoi dottorati e i suoi 80 anni, il Padre Moreno con la sua figura imponente e le sue numerose pubblicazioni, tutti questi severi e dottissimi uomini di chiesa, tutti insieme in coro a cantare: Oh bambino, mio divino, io ti vedo lì a tremar, o Dio Beato, ahi quanto ti costò l’averci amato. Questo è per me il momento più bello di questo Natale. Il ricordo più significativo sul quadernetto rosso. Lì, a cantare al bambinello, lì è il centro della vita di quegli uomini di studio e preghiera. Lì è il centro della nostra esistenza di cristiani. Gli studi, le professioni, le responsabilità, le esperienze, i talenti e le abilità di ognuno di noi, servono solo per quello, per andare lì a guardare il bambinello di Betlemme, a cantare come i bambini. Come ha detto anche il Papa quest’anno, ricordando all’uomo di oggi di lasciarsi guidare dalla manina del bambino di Betlemme. Lasciamoci prendere per mano, prendiamoci anche noi per mano, come i bambini. Del resto Gesù ce l’ha detto che se vogliamo entrare nel suo Regno, dobbiamo essere come loro. Serena Tajé