Accogliere - Il girasole, Cremona

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Accogliere - Il girasole, Cremona
ACCOGLIERE
Etimologia e semantica del termine
Accoglienza
Il modo dell’accogliere. L’atto di ricevere un visitatore o un ospite. In particolare, si riferisce
all’atteggiamento o al comportamento assunto in tale occasione. Persona accogliente: amabile,
affabile, cordiale. (Devoto-Oli).
Dal latino:
! ad- colligere (ad+cum+lego)
raccogliere insieme
! ad (prep)
1 (moto a luogo e direzione) a, verso, fino a, da, contro
2 (vicinanza) presso, vicino a, davanti a
! cŏlo, cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre
1 coltivare, curare
2 abitare, vivere, trattenersi, frequentare
3 ornare, adornare, abbellire
4 onorare, venerare, trattare con riguardo, essere devoto a qualcuno
5 praticare, esercitare
6 celebrare, solennizzare.
! ad-colere
abitare, vivere, presso
Dal greco:
! !!!!!!!!(da leggere: sunago)
raccogliere
! !!!!!!!!!da leggere: dechomai).
ricevere, prendere
raccogliere
accettare approvare, acconsentire
La particella !!!!!indica moto, direzione;!scopo, intenzione
Significato
accògliere (poet. accòrre) v. tr. [lat. *accollĭgĕre, comp. di ad- e collĭgĕre «cogliere,
raccogliere»] (coniug. come cogliere). (Treccani).
1.
a. Ricevere, e in partic. ricevere nella propria casa, ammettere nel proprio gruppo, temporaneamente o
stabilmente; soprattutto con riguardo al modo, al sentimento, alle manifestazioni con cui si riceve: a. gli
ospiti, gli amici; a. affettuosamente, con gioia, con dimostrazioni d’affetto; fu accolto in quella casa
come un figlio.
b. Ricevere, sentire, accettare (notizie, proposte, richieste e sim.) con un determinato atteggiamento
o stato d’animo: come ha accolto la notizia?; accolsero la proposta con vera gioia; a. una richiesta con
molte riserve. Usato assol., accettare acconsentendo o approvando: a. un’idea, un consiglio, un
suggerimento, una tesi; a. una preghiera.
2.
a. Riferito a un luogo, a un ambiente, ricevere in sé, anche offrendo rifugio o ospitalità: il natio Borgo
t’accoglie lieta madre e sposa (Carducci); un ospizio che accoglie tutti i senzatetto.
b. Contenere; ricevere per contenere: un teatro che può a. tremila spettatori; preziosi Vasi accogliean
le lagrime votive(Foscolo).
3.
letter.
a. Raccogliere, radunare, riunire: Non morì già, ché sue virtuti accolse Tutte in quel punto e in
guardia al cor le mise(T.Tasso).
b. rifl. Radunarsi, riunirsi in un luogo o presso qualcuno: Tosto sotto i suoi duci ogn’uom s’accoglie (T.
Tasso); accogliersi a qualcuno, accostarsi o stringersi a lui: Lo buon maestro a me tutto s’accolse (Dante).
La parola in senso traslato è moderna e deriva dal latino ad-colligere: ad+cum+lego,
“raccogliere insieme”, ma con in più un'idea di destinazione, di finalità, di intenzione.
La particella a- di accogliere, implica la vicinanza, il movimento verso di sé, in una relazione
non tanto fisica quanto affettiva. Significa ricevere qualcuno con dimostrazione di affetto
(dizionario "Novissimo Melzi"); e per estensione: accettare, approvare, acconsentire.
Accogliere significa anche accorciare le distanze, mettere a proprio agio e dare pari
dignità a chi ti sta davanti, porsi in atteggiamento empatico. Significa entrare in una relazione
fraterna.
L'accoglienza è un'apertura: ciò che così viene raccolto o ricevuto viene fatto entrare - in una
casa, in un gruppo, in sé stessi. Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e in questo esprime una
sfumatura ulteriore rispetto al supremo buon costume dell'ospitalità.
Chi accoglie rende partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l'altro diventando
un tutt'uno con lui.
Chi si sente accolto collabora più facilmente, nel senso che darà il meglio di sé per
cercare di superare le difficoltà nelle quali si è venuto a trovare. Chi si sente solo ospitato, in
qualche modo tollerato, cercherà probabilmente di sfruttare la situazione a suo vantaggio.
Scriveva Kant in "Per la pace perpetua" del 1795: "Ospitalità significa il diritto che uno
straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un
altro. . . non è un diritto di accoglienza a cui lo straniero possa appellarsi, ma un diritto di
visita, che spetta a tutti gli uomini, il diritto di offrire la loro società in virtù del diritto della
proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non
possono disperdersi all'infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l'uno a fianco
dell'altro".
La sfericità richiama la ruota della vita che gira incessante ed ammonitrice del fatto che tutti noi
potremmo, un domani, trovarci in una situazione difficile e bisognosi di essere accolti.
Per accogliere veramente occorre, inoltre, non avere paura della diversità - dell’altro da sé - e
cercare di vedere in essa l’opportunità di migliorare noi stessi.
È doveroso raccogliere il grido di aiuto di tante persone, ma è solo la condivisione della
vita che arricchisce la vita: “Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo. Accogliere è
fare spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie. La carità è molto
più impegnativa di una beneficienza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la
seconda si accontenta di un gesto” (da CEI, Evangelizzazione e Testimonianza della Carità n.
39).
Dimensione teologica dell'accoglienza
(spunti di riflessione della Diocesi di Padova)
Nella Scrittura “accogliere” significa aprire la porta allo straniero o al viandante, far
entrare in casa propria, ospitare insomma. Qualcosa di molto visibile e tangibile. Non solo nel
mondo biblico, ma in quasi tutte le civiltà antiche si può riscontrare la grande importanza etica
attribuita all' ospitalità.
Il primo grande esempio autorevole di accoglienza nella Bibbia è quello di Abramo alle Querce
di Mamre (Gn 18), raccontato con particolare attenzione. Abramo accoglie “tre uomini”, tre
sconosciuti viandanti, ma l'autore sacro è esplicito sul fatto che accogliere quei tre equivale ad
accogliere il Signore: singolare e plurale, ospiti e Dio sembrano del tutto intercambiabili nel
racconto. E soprattutto la pronta e totale disponibilità di Abramo non solo ad accogliere i tre
viandanti, ma a onorarli con tutte le sue forze - anche quando non ha la minima idea di chi siano
in realtà -, sembra in parallelo, esistenzialmente e spiritualmente, con il suo credere-obbedire a
Dio ed è questo, in pratica, il paradigma della virtù.
Perciò, accogliere l'altro non significa dire "va bene, entra, io non ho niente in contrario": questa
nel migliore dei casi è un' accoglienza passiva, ancor più spesso una falsa accoglienza
fuorviante, generatrice di sospetti, divisioni e solitudini ancor più accentuate, tanto più funesta
poi in quanto squalifica e rende sospetta l'idea stessa di accoglienza.
Invece l'accoglienza vera è sempre attiva e significa fare spazio all'altro nel proprio ambiente
vitale, ospitarlo in sé. Significa innescare un processo di reciproca trasformazione: io accolgo
l'altro se “divento” in parte l'altro, e se l'altro a sua volta diventa in parte me.
Accogliere un altro significa quindi aprirsi al mistero della presenza e dell' agire di Dio
nell'altro, che è sorprendente in quanto “simile a me” assai più di quanto sembri, e insieme
diverso da me, anche più di quanto io possa pensare; di una differenza che non va ridotta ma
illuminata. È faticoso mettere in parole questa realtà umanissima della vocazione all'incontro e vi
è sempre il rischio che venga recepita come invito a perdere il proprio specifico, le proprie idee,
la propria identità. Niente di tutto questo. Incontrandosi, i “due” (che possono essere due
persone, due gruppi, due scelte di vita) non possono, non devono ridursi a uno, quasi che
l'elemento più forte debba per forza ingoiare l'altro o quantomeno piallarlo per renderlo
innocuo. Nell'incontro vero, nell'accoglienza reciproca, i due non diventano uno, semmai tre.
Il verbo privilegiato per esprimere questa accoglienza è dechomai (e i suoi numerosi composti)
che significa accogliere, ma anche sentire e capire, per esempio le parole dell’ospite, i suoi
desideri e i suoi bisogni. Sempre dice la compiacenza e la gentilezza. I composti sottolineano
poi l’amicizia, la stima verso l’ospite, anche se sconosciuto. E suggeriscono anche di accogliere
qualcuno facendolo entrare nella comunità e nel proprio paese.
L'accoglienza come virtù
(spunti di riflessione della Diocesi di Padova)
La virtù significa vita piena, bellezza, libertà (R. Guardini, Virtù)
L’accoglienza è virtù che dona significato alla presenza dell’altro/Altro da sé. Si tratta, dunque,
di una “scelta comprensiva”, capace di valorizzare il reciproco oggettivo significato di sé e
dell’altro: è, pertanto, una com-presenza. L’accoglienza che com-prende, attua in pieno la
reciproca oggettività senza però reciproca invasione.
È la virtù di chi sa riconoscere la diversità come una ricchezza, e lascia che la propria vita venga
cambiata dall’incontro con l’altro.
È la virtù di chi sa creare, inventare uno spazio per l’altro. La virtù di chi vuole cercare e sa
trovare un linguaggio comune, luoghi e spazi di condivisione.
È una virtù dell’arricchimento: che valorizza e mette insieme le reciproche ricchezze. Lo stile
accogliente chiede d’esercitare l’amore nell’atto d’accettare l’altro, di riconoscerlo per tutto
quello che è; comporta di rispettare l’altro, di accoglierlo nella nostra vita, prima che nel tempio
e nella nostra casa, con ospitalità piena e delicata. Ciò implica anche molte altre virtù, quali: la
capacità d’ascolto, la tolleranza, il senso sacro della persona umana, della discrezione.
Famiglie accoglienti
Fin dalle origini della lingua italiana “affidare” è stato uno dei verbi più carichi di significato
dal punto di vista affettivo e, quando non si raffredda entrando nell’uso burocratico, indica
una delle più antiche ed emotivamente ricche esperienze umane, quella di chi, non potendo,
per un tempo determinato o per sempre, provvedere a ciò che gli è caro, lo consegna alla
cura, alla custodia, alle capacità di persone di fiducia.
Nel caso in sui il bene sia quello più prezioso,
un bambino,
l’affidamento diventa un’esperienza che può segnare la vita: in positivo, se dimostra nei fatti
la possibilità di un’efficace solidarietà tra esseri umani, diventando un’occasione di crescita
per bambini, genitori e affidatari; in negativo, se la fiducia che ne sta alla base viene tradita
per ignoranza o malafede di uomini o istituzioni.
Tutti gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi voluti e accolti, tanto più un bambino, e la
buona accoglienza consiste nell’accettazione, nel contenimento e nell’ascolto, nella cura e
nell’accudimento, nell’introduzione al mondo, nella promozione delle capacità del bambino,
per evitare che, lasciato a sé, dimenticato, diventi “terra di nessuno”, dove può capitare di
tutto.
(Fulvio Scaparro - psicoterapeuta)
La famiglia accogliente non è una famiglia straordinaria o superdotata o diversa dalle
famiglie normali: è la famiglia disposta a non vivere concentrata solo sul proprio ombelico, ma
ad aprirsi, a cambiare, a mettersi in cammino, a diventare protagonista di un nuovo welfare,
perché cosciente di poter dare risposte (sul piano degli affetti e della cura) che altri non sono in
grado di dare. Sono famiglie che si mettono insieme, aiutandosi e facendosi aiutare, in primo
luogo, a crescere come famiglia, ad aprirsi all’accoglienza al proprio interno, per poter poi
aprirsi all’accoglienza di chi è in difficoltà; coloro che non se la sentono di fare accoglienza in
modo diretto, possono affiancarsi o essere di aiuto a chi sta vivendo questa esperienza.
Un esempio di famiglia accogliente è la famiglia affidataria. L’affidamento familiare è
un’accoglienza temporanea di un minore in situazione di abbandono o pre-giudizio, un tempo di
sollievo e un sostegno per una famiglia in crisi, in difficoltà educativa o altro: può essere a
tempo pieno, diurno, nei weekend o in periodi particolari (es. vacanze). Si tratta pertanto di
un’accoglienza temporanea che - secondo le situazioni, può durare qualche mese ma anche degli
anni - e che però permette di costruire legami forti che aiutino il bambino a crescere, affinché sia
in grado - nel separarsi - di percorrere la sua strada nella vita. Significa accompagnare un
bambino o un adolescente per un pezzo di strada, aiutandolo a camminare nel mondo.
L’affidamento non provoca la rottura dei legami con i genitori di origine: a loro si affianca un
altro nucleo familiare, non per mettersi in competizione, ma per accompagnare il bambino nella
sua crescita fino a quando non si siano ricreate le condizioni per un rientro nel proprio nucleo
familiare.
L’affidamento è una scelta di impegno sociale, nella comunità locale, perché nessuno debba
rimanere indietro, perché i nostri figli imparino con i fatti il dono della reciprocità e perché la
coesione ed il mutuo aiuto tra famiglie prevalgano sul giudizio e sull’indifferenza, che è
l’anticamera della marginalità.
La famiglia affidataria è, dunque, una famiglia aperta e solidale che aiuta il bambino o
l’adolescente a superare le difficoltà, accogliendolo come un proprio figlio, pur nella
consapevolezza che non lo è, assicurandogli calde relazioni affettive.
Fonti:
- "Accoglienza: spunti di riflessione", Diocesi di Padova.
- Libretto Anfaa (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie).
- "IL Castiglione Mariotti", vocabolario latino.
- "Il Devoto Oli", dizionario della lingua italiana.
- "Il Novissimo Melzi", vocabolario della lingua italiana.
- "Treccani", vocabolario della lingua italiana.
- "Lorenzo Rocci", vocabolario greco - italiano.