Italy by design. Progettare il futuro delle organizzazioni e del lavoro

Transcript

Italy by design. Progettare il futuro delle organizzazioni e del lavoro
Working Papers
Italy by design
Progettare il futuro delle organizzazioni
e del lavoro
Federico Butera
Settembre, 2016
È consentita la copia e la distribuzione a scopo didattico, citando la fonte. Sono consentite, inoltre, le citazioni citando la fonte.
Per ogni ulteriore uso, se ne vieta l'utilizzo senza il permesso scritto degli Autori
Fondazione Irso – Via Leone XIII Milano 20145
Tel. +39 02 48016162 – +39 02 36593264
www.irso.it - [email protected]
Italy by design
Progettare il futuro delle organizzazioni e del lavoro
Federico Butera
Sommario
Il futuro del lavoro e dell’organizzazione non sarà l’effetto deterministico dei grandi cambiamenti
geopolitici, economici, tecnologici in atto ma sarà il risultato di grandissimi, grandi e piccoli
cantieri collaborativi di progettazione e riprogettazione che generino lavoro di qualità e
organizzazioni innovative capaci di affrontare quei cambiamenti e di assicurare una buona qualità
della vita alle persone.
1. La nuova società industriale
Il futuro delle organizzazioni e del lavoro sarà dominato da alcune questioni chiave:
a. il modello o i modelli di società e di modi di produzione
b. il modello o i modelli di organizzazione e di lavoro
c. la liberazione di energie intellettuali e artistiche
d. un’idea di lavoro come sintesi della nuova cultura
a. Il modello rappresentato dalla società industriale conteneva un paradigma intellegibile, governabile su
cui le persone interagivano e confliggevano. Il taylor-fordismo (la punta più avanzata della società
industriale) è stato ben più che un sistema di produzione. Fu un modello di regolazione dell’economia,
del lavoro e della società condiviso fra imprenditori, poteri pubblici, istituzioni educative, sindacati:
tutti sapevano “a che gioco si stava giocando”. Ora sembra, come scriveva Marx di fronte al primo
industrialismo, che “everything is melting into the air”. Il post fordismo non si sa cosa sarà e rischia di
essere un “fordismo aumentato” se non verranno sviluppati e progettati nuovi paradigmi di società, di
modi di produzione, di organizzazione, di lavoro. I paradigmi non sono ideologie ma linee guida di
faticosi processi di progettazione, paradigmi che si affermano solo se sono stati realizzati in progetti
concreti.
b. Le organizzazioni e il lavoro cambieranno profondamente: le nuove combinazioni di processi, strutture
organizzative, tecnologie, ruoli e professioni, culture, comportamenti non saranno la mera derivata di
profondi cambiamenti di contesto citati ma il risultato di progetti rispondenti a una pluralità di criteri
economici e sociali. I progetti riguarderanno le piattaforme produttive, le reti di imprese e istituzioni,
l’organizzazione delle singole imprese e amministrazioni, il funzionamento dei gruppi di lavoro,i
mestieri e le professioni. La rigenerazione e l’innovazione delle organizzazioni e dei lavori e lo sviluppo
di nuovi paradigmi diventerà una questione nazionale. Questa trasformazione non potrà avvenire
senza una qualche regolazione e non potrà essere affrontata per editto di un unico soggetto
(legislatore, governo, imprenditore che sia),
c. Queste trasformazioni della società, dell’organizzazione, del lavoro dovranno essere interpretate,
progettate, raccontate. Le scienze sociali, i media, l’arte avranno un ruolo fondamentale nel dar conto
di quello che avviene, per anticiparlo e possibilmente per contribuire a progettarlo: occorrerà un
nuovo rinascimento, Ma occorrerà investire e legittimare queste attività non meno di quanto i prìncipi
e gli imprenditori del 500 investirono nelle arti e nelle scienze.
d. Ciò che ha fatto grande il ‘500 è stato anche lo sviluppo di una nuova idea di lavoro. Una delle sue
espressioni più alte, irripetibile ma che agì da riferimento per tutta la civiltà del Rinascimento, fu ad
esempio la memorabile impresa della costruzione della cupola del Duomo di Firenze. Brunelleschi in
questa impresa non fu solo un grande architetto e artista ma fu insieme un grande artigiano,
2
ingegnere, imprenditore, organizzatore, uomo di relazioni, capace di dare un servizio inestimabile alla
sua città. Quella idea di lavoro si nutrì di e alimentò un ecosistema di altissima innovazione come era la
Firenze rinascimentale
Anche economisti come Marcello Messori ora dicono che il problema del deficit di innovazione e produttività
in Italia è la microeconomia, ossia l'organizzazione, Non sono richieste solo manovre economiche ma
politiche pubbliche sul sostegno organizzativo e formativo e sulla rimozione di vincoli sociali e normativi alle
imprese, alle Pubbliche Amministrazioni, al non profit, al lavoro autonomo.
La trasformazione della società e dell’economia italiane, con o senza politiche pubbliche efficaci, verrà
realizzata attraverso progetti grandi e piccoli. La società italiana sarà quella che progetteremo: Italy by
design.
I prossimi dieci anni saranno anni di progettazione delle organizzazioni e dei lavori, non contemplazione di
effetti: la loro configurazione per la loro complessità richiederà l’interazione fra più soggetti portatori di
soggetti e culture diverse. L’esito sarà profondamente diverso qualora tale interazione sarà basata
solamente sulla negoziazione degli interessi (“tavoli” in cui prevarranno gli interessi più forti) o su
metodologie e etiche di progetto (“reti organizzative” orientate a raggiungere risultati). Questa è una
questione politica che riguarda il modo di cambiare.
Emergerà in Italia una rete di soggetti pubblici e privati che lancino e supportino un percorso collaborativo,
un tale programma di potenziamento del patrimonio microeconomico, come è avvenuto in Giappone e in
Germania dopo la guerra, come hanno fatto gli Stati Uniti dalla Tenesse Valley Authority dopo il ‘29 al
Reinventig Governement di Clinton e Gore?
Eppure non sarebbe difficile: in Italia non occorrerebbe un nuovo grande programma affidato ad un
improbabile “principe” che ne faccia il proprio programma governo. Basterebbe che una rete di soggetti
pubblici e privati concordino nel portare a unità le molte iniziative disperse e far emergere l’incalcolabile
patrimonio di esperienze, best cases, progetti in corso nei sistemi di organizzazioni private e pubbliche e
diffondere modelli, soluzioni, metodi e soprattutto valorizzare e far circolare le persone che hanno fatto
queste esperienze.
2.
Il posizionamento competitivo dell’Italia: organizzazioni e lavoro di qualità
Il posizionamento dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro dipenderà dalla intensità e diffusione
delle innovazioni a 360° (tecnologia, organizzazione, management, finanza etc). Oggi ci sono in Italia imprese
e PA eccellenti, ma i loro esempi e le loro innovazioni non si trasferiscono. Questa è una della cause della
bassa produttività e del degrado dei beni comuni.
In questi anni sono emersi dalla pratica di imprese che sono cresciute e si sono internazionalizzate come
Ducati, Tecnogym, IMA, Diesel, Alessy, Illy e molte altre. Esse appartengono a nuovo paradigma, l’Italian Way
of Doing Industry, le cui caratteristiche potrebbero essere diffuse a tutto il sistema delle medie e piccole
imprese. La variabile chiave del loro successo non è stata la tecnologia labour saving ma l’efficacia
nell’andare sul mercato e focalizzare su questo tutta l’organizzazione e la cultura. Queste caratteristiche, in
tutto o in parte, possono essere assunte da gran parte di quelle imprese piccole e media le quali
rappresentano oltre il 97% delle imprese italiane che:
• sviluppano prodotti e servizi di qualità e ad alto livello di design
• hanno una cura straordinaria per il servizio al cliente
• crescono in base al continuo ascolto della clientela
• si internazionalizzano e cercano mercati non coperti
• fanno un’innovazione a 360°, non solo quindi tecnologica
3
•
•
•
•
•
•
sono radicate nel territorio, ma sono anche nodi di reti molto ampie
hanno organizzazioni costituite da strutture organiche, agili e flessibili
hanno un’“anima”, un’energia e un’identità
hanno una buona qualità di relazioni industriali
promuovono la professionalità e curano la qualità della vita di lavoro
E SOPRATTUTTO
hanno una imprenditoria taking care prevalentemente industriale.
Lo stesso vale per la Pubblica Amministrazione. Pubbliche Amministrazioni “eroiche” come il Comune di
Lampedusa, Mare Nostrum, Parco dei Nebrodi, la Regione del post-terremoto dell’Emilia e molti progetti
come l’Unificazione degli Uffici delle Entrate, il progetto Picto del Ministero dell’Università e dell’Istruzione, il
progetto Innovagiustizia degli Uffici Giudiziari della Lombardia e molti altri, hanno fatto emergere il
paradigma della Pubblica Amministrazione in rete centrata sul servizio, ad alto livello di integrazione fra
organizzazione, tecnologie e persone. Pratiche, metodi e persone potrebbero essere diffusi in tutte le
Pubbliche Amministrazioni con risultati economici e sociali di grande portata.
La valorizzazione e diffusione delle innovazioni e delle best practices è di nuovo materia di progetto su scala
almeno nazionale.
3.
Produttività e occupazione: la gara contro le macchine
L’attuale abnorme livello di disoccupazione dipende da vari fattori: dalla crisi economica mondiale, dalla
concorrenza dei paesi emergenti in cui il costo del lavoro è di gran lunga più basso, dal profondo
cambiamento dei mercati e dei sistemi d’impresa, che spazza via intere categorie di lavori e di lavoratori,
dallo sviluppo dell’economia criminale e dal lavoro nero. Ma forse la più importante - perché ha carattere
strutturale, che opera da oltre un cinquantennio e che ha avuto recentemente una straordinaria
accelerazione - è la disoccupazione tecnologica, in cui la race against the machine - la gara degli uomini
contro le macchine per chi deve fare i lavori, per alcuni autori (Brynjolfsson e Mcafee, 2011) sembra stia per
essere definitivamente persa perché le tecnologie tendenzialmente sono in grado di sostituire quasi tutti i
compiti umani.
La tecnologia sta sconvolgendo l’organizzazione e il lavoro, ma solo la progettazione li può riconfigurare,
generando risultati economici e sociali nuovi. Non esistono effetti sociali dell’automazione: essi sono
materia di progettazione, La convergenza di metodologie sociali e tecniche dovrebbe cogliere il “margine di
manovra” sempre esistente per la progettazione e sperimentazione di sistemi organizzativi e sociali:
occorre attivare progetti di Joint design of Technology, Organization and People Growth.
Automazione vuol dire infatti progettare architetture integrate di sistemi socio-tecnici, ossia modelli di
organizzazione, tecnologia e lavoro, modelli di interazione tra esseri umani e computer: ossia è il progetto
del sistema produttivo che configura le soluzioni tecniche, organizzative e anche la qualità dei ruoli e il
livello di occupazione. Tale progetetti dovrebbero, in linea di principio, essere il risultato della cooperazione
tra diverse discipline, come la tecnologia, l’economia, la scienza dell’organizzazione, la sociologia, la
psicologia. Diversi operatori dovrebbero essere coinvolti come ingegneri, informatici, psicologi, sociologi,
medici e molti altri attori sociali come: imprenditori, manager, legislatori, governo, sindacati. In una parola,
lo sviluppo dell’automazione dovrebbe essere un evento partecipativo. La qualità della vita di lavoro è e
sarà una dei parametri con cui progettare sistemi di automazione. In linea teorica ciò non è molto difficile
ed è praticato nei progetti più innovativi, da Google al tunnel del San Gottardo. Certo che
multidisciplinarietà e obiettivi multipli devono essere gestiti con appropriate metodologie di progetto.
La gara contro le macchine in realtà non è perduta: le tecnologie possono in linea teorica assorbire quasi
tutti i compiti umani operativi ma non quelli che richiedono manipolazioni fini, ossia l’”intelligenza nelle
mani”; possono assorbire gran parte dei lavori della conoscenza, della elaborazione di informazioni e anche
4
di prendere decisioni entro un frame prestabilito, ma non possono svolgere i compiti di creazione,
innovazione, relazione, servizio, non possono andare out of the box. In una economia della qualità dei
prodotti/servizi, in una economia del servizio ossia delle relazioni la centralità delle persone e delle
comunità non può essere sottovalutata. Le nuove tecnologie digitali e il web contengono una intensità di
socialità senza precedenti: ma non sostituiscono i sistemi umani e sociali.
Per essere competitivi inoltre una cosa sono le potenzialità di sostituzione degli uomini con le macchine e
una cosa diversa è l’ampiezza di applicazione di tale potenzialità. Il sistema economico italiano come
abbiamo visto è fatto di piccole e medie imprese: esse dovranno crescere e mettersi in rete, ma non
saranno sostituite dalla grande impresa degli anni 60 che a sua volta sta scomparendo. Allora le risorse
economiche e le capacità tecniche per sostituire uomini con le macchine saranno riservate solo a poche
aziende. La Pubblica Amministrazione potrebbe essere più efficiente adottando le tecnologie ma la stabilità
dei posti di lavoro limiterà l’adozione di soluzioni tecnologiche labour saving, con i limiti solo del mancato
turnover. Le dimensioni della “disoccupazione tecnologica” nei prossimi dieci anni sarà quindi limitata
perché sarà applicabile solo a un numero limitato di imprese e di PA.
Ma anche le grandi e medie imprese più performanti che si potranno permettere un impiego massiccio e
sofisticato delle tecnologie e di ridurre la manodopera, quelle cioè in grado di adottare metodologie
avanzate di WCM (ossia le evoluzione sistemiche della Lean Production), quelle che si stanno avviando a
mettere in pratica i modelli dell’Industry 4.0. (basata sull’automazione dei processi interni e di rete, sulla
simulazione, sull’impiego dei big data, sulla robotica avanzata, sull’internet of things etc.), continuano
comunque ad aver bisogno di lavoro di qualità: operai controllori dei processi, artigiani digitali,
professionisti dei servizi interni ed esterni, progettisti di sistemi e soprattutto persone a tutti i livelli capaci
di design thinking e di problem setting, ossia di chi contribuisce all’innovazione. Come hanno rilevato
Magone e Mazali nelle interviste riportate ne libro Industria 4.0., chi sta curando questi sviluppi vede
piuttosto una nuova collaborazione fra uomini e macchine più che una sostituzione.
In sintesi si perderanno certamente molti posti di lavoro, altri potenzialmente sostituibili permarranno nelle
(tante) aziende e PA più deboli, e soprattutto ne nasceranno di nuovi di più elevata qualità. Di lavoro per
unità di prodotto ce ne vorrà molto meno: ma le opportunità di sviluppare nuovi prodotti, nuove aziende,
nuovi mercati insieme con una generalizzata riduzione degli orari di lavoro potrebbero non ridurre, ma
forse aumentare i tassi di occupazione.
4.
La nuova struttura del lavoro: il futuro professionale
In Italia le percentuali di occupati in agricoltura, industria e servizi non cambieranno molto: aumenterà
invece la quota di processi e di lavoro di servizio interno alla manifattura e all’agricoltura (terziario interno).
La struttura della classe operaia cambierà radicalmente. Gli operai si distingueranno fra uomini e donne “di
fatica” che svolgono lavori che nessuno vuol fare, operai residuali che svolgono compiti che le macchine
potrebbero svolgere oppure che non è conveniente o possibile sostituirli, operai controllori di processi Gli operai e gli impiegati che diventeranno operatori di processo controlleranno il processo produttivo (fisico
o informativo) assorbendo le varianze e attivando processi di comunicazione, cooperazione, condivisione di
conoscenza con altri nodi dell’organizzazione. In alcuni casi in cui è loro affidata la responsabilità di
confezionare un prodotto che richiede la lo loro maestria, saranno gli artigiani digitali di cui parlano Micelli e
Granelli.
I knowledge workers ossia artisti, ricercatori, insegnanti, manager intermedi, professional, tecnici che oggi in
Italia sono oltre il 42% e in UK il 51% della popolazione lavorativa, nel 2025 saliranno al 60%.
Ma il loro lavoro cambierà profondamente. La proporzione fra creativi, impiegati e operai forse non cambierà
ma cambieranno profondamente i contenuti.
5
I ricercatori si dedicheranno, oltre che a scoprire cose nuove, anche a rendere utili e comunicabili le loro
ricerche, con un nuovo orientamento verso il fruitore finale del loro lavoro. Gli insegnanti dovranno
padroneggiare le nuove tecnologie applicate alla didattica.
I manager intermedi saranno sempre più dei coach e sempre meno figure gerarchiche.
Professional e tecnici saranno sempre meno “teste d’uovo” e sempre di più ruoli caratterizzati da
cooperazione, condivisione delle conoscenze, comunicazione estesa, sviluppo delle comunità (il modello 4 c).
Molti di loro diventeranno imprenditori di start up (che cresceranno di numero e avranno un tasso di
mortalità inferiore) e dovranno imparare oltre a esercitare le loro competenze specialistiche anche quelle
imprenditoriali, in particolare diventando come dice De Michelis business designers e orientando le attività
verso il mercato e i clienti.
Il ceto medio, come dice De Rita, si frantumerà in componenti con culture e interessi diversi: micro
imprenditori, knowledge workers occupati o free lance, impiegati garantiti e non faranno più parte di un
unico blocco sociale.
Il bisogno però per tutti è quello di “un centro di gravità permanente”, di una identità professionale. La
dispersione molecolare di competenze che non si agglutinano in nessun ruolo o professione definita è stata
l’eredità perniciosa di una scuola strutturata sulle materie e di sistemi di valutazione e formazione delle
competenze avulse dal ruolo, della professione, dalla persona.
Nella società industriale le figure focali e baricentriche erano quelle dell’operaio, del tecnico, dell’impiegato,
del capo intermedio riassunte dal sistema giuridico in due gradi classi, gli operai e gli impiegati: in una
estrema varietà di concrete realtà di lavoro queste “identità sintetiche” assicuravano alla persona di
rispondere alla domanda esistenziale Qui suis-je? e alle organizzazioni ssicuravano la gestibilità della forza
lavoro.
Nei prossimi dieci anni si svilupperanno nuovi modelli focali e baricentrici di lavoro che renderanno possibile
ai bambini di rispondere alla domanda “cosa fa il tuo papà” e alle istituzioni di riportare ad unità il “lavoro
liquido”, superando la presente situazione di lavoro in frantumi diverso ma più grave di quello che aveva
caratterizzato il tayloro-fordismo: in esso i frantumi erano rappresentati dalla parcellizzazione delle attività,
ora i frantumi sono quelli della identità.
Oggi non serve più la ricomposizione delle mansioni degli anni ’70, ma serve la ricomposizione del lavoro
intorno a professioni capaci di essere componenti attive di organizzazioni innovative, di governare complessi
processi di servizio e di dare identità professionale alle persone. Il lavoro non si svolge più nei “castelli”
esclusivamente in forma dipendente, ma si esprime nel lavoro autonomo, nel lavoro dipendente a diverse
condizioni, anima le reti fra imprese, amministrazioni, territori: deve possedere quindi un robusto statuto
professionale e disporre di un equilibrio tra flessibilità e sicurezza.
Nel 2025 probabilmente il paradigma dominante sarà quello dei mestieri e professioni nelle organizzazioni,
delle service professions. Mestieri e professioni di servizio all’interno delle organizzazioni sono quelle
centrate sui processi di servizio basati sulle conoscenze, sul rafforzamento delle identità professionali delle
persone, sulla protezione della Qualità della Vita di Lavoro. Questo paradigma unifica il lavoro dipendente e il
lavoro autonomo, il lavoro astratto e il lavoro artigiano, il lavoro ad alta qualificazione e il lavoro “umile”.
Questi mestieri e professioni dei servizi includono sia il lavoro della conoscenza teorica e pratica in tutte le
sue accezioni (il sapere perché, il sapere che cosa, il sapere come, il sapere per chi, il sapere usare le routine,
il sapere usare le mani, etc.), sia il lavoro di relazione con il cliente esterno o interno, sia soprattutto la
responsabilità di fornire un risultato.
6
Questi mestieri e professioni, oltre a produrre conoscenza per mezzo di conoscenza, forniscono output
economicamente e socialmente molto tangibili, ossia servizi ad alto contenuto di conoscenza agli utenti finali
(persone, famiglie, imprese) o servizi a strutture interne alle organizzazioni (servizi per la produzione di beni
e servizi, terziario interno). Esse si dividono in due grandi gruppi: mestieri e professioni autonome e mestieri
e professioni all’interno delle organizzazioni.
Al primo gruppo appartengono ad esempio - oltre alle libere professioni sempre più svolte all’interno di
organizzazioni (medici, avvocati, architetti, dottori commercialisti, geometri, giornalisti etc.) anche nuove
professioni autonome non “ordiniste” come le professioni sociali (badanti, assistenti sociali, etc.) che
occupano oltre un milione di persone e sono in crescita, i consulenti, gli informatici etc.
Al secondo gruppo di professioni dei servizi all’interno delle organizzazioni appartengono ad esempio le
professioni dell’ICT, i progettisti di prodotto e servizio, i professionisti del marketing e della comunicazione, i
pianificatori, gli esperti di amministrazioni, i venditori e soprattutto i manager come professionisti. Emergerà
nei prossimi dieci anni un repertorio di “professioni strategiche” che offrono servizi ad altissimo contenuto di
conoscenza e saranno il motore di mutazioni nel modello economico e organizzativo delle organizzazioni di
produzione (aerospazio, meccatronica, chimica, farmaceutica, fashion, etc.) e delle organizzazioni dei servizi
(sanità, istruzione, giustizia, turismo, ICT, logistica e portualità, agroalimentare, water management e molte
altre). Le abbiamo chiamato service professions, professioni dei servizi nell’oganizzazione.
Le service professions richiedono a chi le svolge di proporre le loro competenze e i loro risultati ai clienti finali
e intermedi, divenendo protagonisti della condivisione della conoscenze, della cooperazione, della
comunicazione e della promozione delle comunità richieste dalle moderne organizzazioni supportate da
tecnologie digitali, che proprio per questo divengono più flessibili, innovative e competitive.
Le service professions non copriranno tutto il mondo del lavoro ma rappresenteranno il posizionamento
baricentrico e la locomotiva del mondo del lavoro, come gli artigiani lo furono nel rinascimento, i liberi
professionisti nell’800, gli operai di fabbrica nella rivoluzione industriale. Le service professions costituiranno
la locomotiva che riqualificherà il resto del mondo del lavoro. Per i manager, professional, tecnici il loro ruolo
è quello di operare come una micro-unità dell’organizzazione che diventerà sempre più una expert
dependent organization. Per chi svolge lavoro autonomo, la professione è la cellula da cui si esprime e può
crescere una impresa reale.
Il modello dei mestieri e professioni di servizio può essere un paradigma di riferimento plausibile anche per i
lavori operativi e perfino per quelli più umili che non richiedono elevata formazione scolastica. Contribuisce a
spiegare cosa è un fair job, un good module of work (Davis) che sia esercitabile da tutti coloro che imparano o
vengono abilitati a svolgere lavori basati sulla responsabilità, ruoli che contengano contenuti operativi
continuamente migliorabili e perfezionabili, che conseguano apprezzabili risultati di servizio, che gestiscano
positivamente le relazioni, che attivino adeguate competenze: l’operatore di processi automatizzati e il
cameriere di ristorante avranno la padronanza delle tecnologie usate e attiveranno relazioni con altri membri
dell’organizzazione e con i clienti.
Non emergerà quindi un modello elitario che rafforzi l’attuale polarizzazione fra lavoro di star creative,
lavoro professionalizzato, lavoro degradato e precario. Le service professions saranno in grado di ricomporre
il lavoro e combattere la disoccupazione perché:
• costituiranno posti di lavoro che sono componenti chiave di nuovi modi di produzione e che
contribuiscono in modo prioritario alla crescita e competitività dei servizi: servizi del terziario totale e
servizi del terziario per il sistema produttivo, ossia la stragrande maggioranza delle attività produttive
• costituiranno mestieri e professioni che sono essi stessi nodi vitali delle reti di impresa e delle
imprese integrali
• valorizzeranno il potenziale di conoscenza, creatività, impegno, competenze operative delle persone
e in particolare delle giovani generazioni, the workplace within (Hirshorn)
• coglieranno le enormi opportunità degli strumenti individuali e collettivi offerti dalle tecnologie per
un lavoro senza confini e favorendo l’open innovation su scala planetaria
7
•
•
creeranno posti di lavoro della conoscenza che ne presuppongono o ne creano altri. Come
dimostrato da Enrico Moretti (2013), per ogni nuovo job della conoscenza creato (che egli definisce
in modo più restrittivo di noi) nascono altri 5 posti di lavoro
qualificheranno davvero la manodopera a tutti i livelli.
Nel 2025 si concluderà quindi un percorso , preconizzato dai sociologi e economisti degli anni 60 e già in
corso di concreta costruzione, di una professionalizzazione di tutti, di un “futuro professionale” per tutti,
knowledge workers e lavoratori operativi, dipendenti e partite iva, professionisti e artigiani, nuovi entranti
nel mercato del lavoro e senior da riconvertire.
Questi mestieri e professioni dei servizi nelle organizzazioni raccoglieranno l’eredità e supereranno sia i
caratteri di razionalizzazione delle occupazioni industriali che hanno potenziato nel XX secolo la produttività
del lavoro (aggiungendo oggi ad esse autonomia e responsabilità), sia la creatività del lavoro artigiano
vecchio e nuovo che assicura qualità e bellezza (aggiungendo ad esso capacità di fornire servizi di alto valore
insieme a tutta l’organizzazione), sia la formazione, giurisdizione e responsabilità delle libere professioni
(aggiungendo ad esse la cooperazione all’interno delle organizzazioni).
Ma anche questo scenario non scaturirà da un trend obbligato ma da un processo di progettazione che nei
prossimi dieci anni dovrà essere dotato di chiari paradigmi, sarà saldamente correlato a specifici fattori
strutturali e sociali diversi fra settori e organizzazioni diverse, disporrà di metodi di job and professional
design, attiverà programmi formativi di nuova concezione nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle
organizzazioni, vedrà cooperare soggetti diversi (centri di ricerca, artisti, istituzioni, imprese, sindacati e
soprattutto le persone stesse che attraverso le nuove tecnologie interattive co-progetteranno la loro
formazione come prosumers).
Ancora, la variabile chiave sarà la progettazione, una parte di un processo di Italy by design che determinerà
davvero cosa sarà il 2025.
5.
L’organizzazione del lavoro
L’organizzazione del lavoro è il punto di incrocio fra l’organizzazione delle imprese e delle pubbliche
amministrazioni e lo sviluppo dei lavoratori.
Abbiamo visto che oggetto dell’automazione sono nuovi sistemi socio-tecnici che richiedono di essere
progettati, manutenuti, gestiti, controllati da organizzazioni di nuova concezione e da una popolazione di
lavoratori qualificati.
Ci sono condizioni che lasciano un ampio margine di manovra per configurare nuovi sistemi produttivi e
professionali “antropocentrici”, ossia una automazione che abbia al centro l’uomo produttore e
consumatore.
Ciò avverrà per impulso delle aziende più avanzate come oggi avviene in Avio Aero, Alstom, Pirelli, Ansaldo,
Ferrari, Dallara. Ma soggetti collettivi promuovono le vision per il 2015, le piattaforme, la diffusione delle
lezioni apprese: per esempio è il caso dell’EFFRA (Europen Factory of the Future Association.
Si è sviluppato inoltre negli ultimi due decenni un vastissimo repertorio internazionale di casi e di modelli di
organizzazione del lavoro di nuova concezione in Google, Apple, Ikea, Toyota, Nasa, CERN, Harvard
University, Bethesda Hospital, Ferrero, Luxottica e in un gran numero di altre imprese e Pubbliche
Amministrazioni anche italiane che conseguono alta produttività, miglioramento continuo e innovazione e
generano nuova occupazione al loro interno e nei sistemi periferici ad essi associati. Essi sono principalmente
basati sul lavoro in team, su lavori di gruppo più o meno estesi basati su cooperazione autoregolata fra le
persone e fra esse e le macchine, su condivisione delle conoscenze delle persone e dei sistemi, su
comunicazione estesa, sulle sviluppo di ogni sorta di comunità face to face e remota: il modello 4C (Butera
2008).
8
Che fare? È sufficiente l’attuale endemico cambiamento che porta con sé profondi elementi di innovazione
nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni migliori e nelle quote di lavoratori più privilegiati, ma che
lascia indietro gran parte delle piccole e medie imprese e una grande quota di persone giovani e di
mezz’età? No. ). E solo una convergenza fra imprese istituzioni quella che riuscirà a trasformare i casi isolati
in sistemi.
In questi prossimi dieci anni sarà possibile una stagione di riprogettazione dell’organizzazione del lavoro con
la partecipazione delle persone, delle istituzioni, dei sindacati? A livello di azienda certamente si: gli esempi
di cambiamento partecipato o condiviso oggi si stanno moltiplicando. Ma questa riprogettazione
dell’organizzazione del lavoro sarà anche l’oggetto di un programma nazionale come lo fu l’introduzione
della Mitbestimmung in Germania, della Industrial Democracy in Scandinavia, dei sistemi Lean in Giappone?
La storia della contrarietà sia delle organizzazioni imprenditoriali sia dei sindacali a partire dalla metà degli
anni 70 con il fallimento del Protocollo IRI, farebbe essere molto pessimisti e non ci sono segni di cambi di
rotta significativi da entrambe le parti. Ma ora se non ci saranno azioni di sistema condivisi , la produttività
continuerà a essere sempre meno competitiva con altri paesi, con effetti nefasti anche s breve termine.
Io credo che sarà possibile nel decennio creare programmi condivisi che rappresentino il framework per
l’apertura, valorizzazione, supporto, diffusione di piccoli e grandi cantieri e di progetti esemplari da aprire
nelle imprese, nelle Pubbliche Amministrazioni che abbiano come oggetto la organizzazione del lavoro, la
progettazione e sviluppo dei mestieri e delle professioni, la gestione della mobilità, la formazione e sviluppo
delle persone. Cantieri che diano luogo a casi esemplari e best practices, abbiano la missione di migliorare in
modo significativo innovazione e produttività delle organizzazioni e creare occupazione qualificata. Questi
progetti potrebbero essere sostenuti da risorse di politica industriale a livello europeo, nazionale, regionale,
risorse oggi disperse in provvidenze a pioggia.
6. Lavoro salariato e volontario, tempo libero, occupazione: la centralità del lavoro e l’esigenza di una
formazione diversa
La disoccupazione giovanile è una delle più gravi criticità economiche e sociali del paese ed è giunta al 38 %.
2 milioni e mezzo di ragazzi tra i 15 e 29 anni, ossia il 26% dei giovani, sono Neet, ossia che non studiano e
non lavorano, e al Sud in una proporzione quasi doppia del Nord. Come denunciato recentemente anche da
Draghi rischiamo di creare una generazione perduta.
Il lavoro è creato dalle imprese e dalle organizzazioni pubbliche e private. Senza innovazione tecnologica,
organizzativa, gestionale, professionale si esce perdenti dalla durissima competizione internazionale e non si
creano posti di lavoro. Sviluppare le organizzazioni e i lavori di qualità è una precondizione per abbattere la
disoccupazione.
Il lavoro resterà centrale perché sarà alla base di una grande trasformazione del modo di produzione e della
società. Il lavoro sarà ancora la principale fonte di identità delle persone, a patto che sia di qualità e che
rispetti la qualità della vita. Come abbiamo visto i contenuti, mestieri e professioni saranno profondamente
diversi, ma in tutti i casi si tenderà a potenziare conoscenze e identità.
Si espanderà l’area del lavoro volontario, condotto in cooperazione con altri.
Si espanderanno i lavori gratuiti che il web ci costringerà a fare per rimanere nella rete: dall’open innovation,
al contributo delle valutazioni di ristoranti e case di cura, alle foto o ai video postati e una infinità di altre
attività da prosumer e producers. Vi sarà una estesa socializzazione della produzione che impegna intense
attività che non si configurano come lavoro remunerato.
9
Il rapporto fra vita di lavoro e vita verrà profondamente cambiato. Si lavorerà meno ore e meno giornate e
con cadenze diverse, si lavorerà in remoto, gli impegni di vita nella cura dei figli e dei genitori avranno
priorità.
ll tempo libero verrà valorizzato per il benessere, la crescita umana e culturale delle persone. Sarà perseguita
la felicità.
Ci sarà chi non avrà lavoro per la disoccupazione congiunturale e per l’obsolescenza dei lavori investiti dalla
rivoluzione tecnologica. Potranno essere erogati redditi di cittadinanza temporanei e che impegnano a
svolgere attività socialmente utili. Rimarrà forte la pressione per assicurare strutturalmente un reddito di
cittadinanza a chi è sotto una soglia di reddito.
Dovrà esserci un cambio radicale nella qualità della formazione per la riconversione.
Cambierà soprattutto l’antropologia delle persone in una misura e forma senza precedenti: già oggi i nostri
ragazzi che usano le nuove tecnologie e che vivono in un nuovo habitat sembrano dei mutanti; dopo la
pensione le persone non sono più anziane, hanno una vita di 20 o trent’anni davanti i cui caratteri sono
inediti e incerti e la loro identità si riconfigurerà profondamente.
La legge 107 sulla Buona Scuola assegna un rinnovato rilievo all’istruzione e alla formazione tecnica,
regolamenta e promuove iniziative di qualità in questo ambito, decreta la fine dei pregiudizi che hanno fatto
apparire alle famiglie e agli studenti l’istruzione e la formazione tecnica un canale di seconda classe rispetto
ai licei e alle università. Ci sono buone leggi e eccellenti esempi: ma la qualità media e i numeri dell’istruzione
tecnica sono da migliorare drammaticamente: L’istruzione tecnica post diploma non universitaria conta in
Italia 4.500 allievi dell’Istituti Tecnici Superiori contro gli 880.000 delle corrispondenti Fachhochschule
tedesche
Oggi finalmente diversi soggetti convergono nel rilanciare operativamente la formazione tecnica e
professionale nell’Università e nel canale parallelo dell’ITS come frontiera sulla quale investire per i giovani
che oggi subiscono questo tasso di disoccupazione insostenibile, che danneggia anche le imprese : il Governo
con la legge sulla buona scuola, il ministero dell’istruzione e le regioni con i finanziamenti e la creazione di
fondazioni, le associazioni degli imprenditori come Assolombarda e Altagamma apportando l’impegno delle
imprese e la progettualità, le università come il Politecnico di Milano, la Statale di Milano con progetti sui
trienni professionalizzanti.
10