Io, Daniel Blake - Lo Spettacolo del Veneto
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Io, Daniel Blake - Lo Spettacolo del Veneto
Federazione [email protected] Italiana Cinema d’Essai [email protected] wwww.spettacoloveneto.it Associazione Generale Italiana dello Spettacolo Palma d’oro al festival di Cannes 2016 INTERPRETII: Hayley Squires, Micky McGregor, Natalie Ann Jamieson, Dave Johnson, Colin Coombs SCENEGGIATURA: Paul Laverty FOTOGRAFIA: Robbie Ryan PRODUZIONE: BBC, BFI, Sixteen Films DISTRIBUZIONE: Cinema di Valerio De Paolis. NAZIONALITA’: Gran Bretagna, Francia, 2016 DURATA: 100 Min di Ken Loach PRESENTAZIONE E CRITICA IO, DANIEL BLAKE è l'ultimo film di Ken Loach e probabilmente anche una delle sue migliori pellicole. Nel maggio 2016 IO, DANIEL BLAKE ha conquistato la Palma d'oro a Cannes e si è trattato di un premio meritatissimo perché il film è attuale, commovente e girato magistralmente. E' uno di quei rari film in cui tutto sembra essere perfettamente dosato, dalla storia raccontata all'interpretazione degli attori. IO, DANIEL BLAKE racconta la storia di un falegname di quasi 60 anni che a seguito di un gravissimo infarto è costretto a lasciare il lavoro. Del fatto che non possa più lavorare ne sono convinti i medici che lo seguono e la naturale conseguenza di questa diagnosi dovrebbe essere l'erogazione del sussidio di invalidità. Vistosi negato l'aiuto economico per errore di una funzionaria poco competente, Daniel Blake si ritrova nella paradossale situazione di dover fare domanda per il sussidio di disoccupazione, impegnandosi per garantirsi il versamento mensile a cercare un lavoro che, per la sua salute malandata, non potrà comunque accettare. Mentre combatte con un sistema burocratico labirintico, strutturato per scoraggiare chi richiede aiuti statali, Daniel conosce Katie, mamma single di due bambini in continua lotta per la sopravvivenza. Fra i due nasce un'amicizia, Katie e Daniel sono solidali l'una con l'altro coscienti di appartenere entrambi ad una fascia della popolazione di cui l'establishment si vorrebbe dimenticare. I due si danno una mano e si sostengono, ma per quanto la loro solidarietà li aiuti e per quanto vogliano cambiare la propria situazione, il sistema in cui sono imbrigliati sembra non lasciargli molte speranze. Lo diciamo subito: IO, DANIEL BLAKE è un film bellissimo, di quelli da non perdere fra le uscite della stagione. La storia di Daniel e Katie, che facilmente avrebbe potuto assumere tratti melodrammatici, è invece raccontata in maniera asciutta, anche se non per questo meno toccante ed è, soprattutto, una storia che ci riguarda tutti. Non solo viene messa in luce l'evidente crisi del mercato lavorativo, con la quale ci confrontiamo da ormai oltre un decennio, ma anche la solitudine e l'isolamento in cui cadono i disoccupati. Un aspetto molto interessante e assolutamente vero che IO, DANIEL BLAKE affronta con grande chiarezza e senza tirarsi indietro è il continuo tentativo di colpevolizzare chi non ha lavoro, facendogli in qualche modo credere che sia comunque colpa sua. Il focus del problema viene spostato in maniera perversa, sottolineandol'inadeguatezza di chi lo cerca, anche disperatamente, piuttosto che lo stato moribondo del mercato lavorativo. E così il lavoro non si trova non perché non ci sia, ma perché il curriculum non è abbastanza buono o non ci si è impegnati a sufficienza per trovare un impiego. E intanto però le persone soffrono,combattono per sopravvivere, si sentono escluse e rifiutate da uno stato che cerca di dimenticarsi di loro. Ad interpretare Daniel Blake e Katie troviamo Dave Johns e Hayley Squires, semplicemente bravissimi e credibili nei loro rispettivi ruoli, sempre misurati e senza sbavature, anche nei momenti più commoventi del film. Tutto il cast però è notevole e a questo proposito Ken Loach ha raccontato, nella conferenza stampa che si è tenuta a Roma, che tutti coloro (tranne due attrici) che nel film recitano la parte dei dipendenti dell'inumano centro di collocamento sono stati davvero impiegati in quel ruolo e inorriditi per "la crudeltà del trattamento che veniva chiesto loro di operare" (cit.) se ne sono andati. Questo per testimoniare che ciò che vediamo nel film di Loach non è un'esagerazione della realtà, un'iperbole creata per impressionare, ma è la realtà con cui si confronta quotidianamente la working class inglese. (www.pianetadonna.it) La coerenza e la totale convinzione con la quale declina le sue storie più politiche – come è quella di questo nuovo I, Daniel Blake – sono insieme la più grande forza e la più evidente vulnerabilità del cinema ________________________________________________________________________________ di Ken Loach di Ken Loach. Sono la sua forza perché questa nuova storia di sofferenza proletaria, e di lotta moderata e faticosa per ottenere il rispetto e i diritti che sarebbero dovuti in ogni democrazia degna di questo nome contro un sistema statale sempre più burocratizzato, spersonalizzato e aziendalizzato, è indubbiamente capace di smuovere i più basilari sentimenti umani di comprensione e solidarietà. Sono la sua vulnerabilità perché, pur portando avanti battaglie sacrosante e calate in un contesto sostanzialmente aderente alla realtà delle cose, l'inglese si fa abbagliare dal mito di una solidarietà di classe e inter-classe che, purtroppo, esiste e s'incontra sempre di meno. Daniel è reduce da un attacco cardiaco che, secondo tutti i suoi medici, lo rende inadatto a riprendere il lavoro di carpentiere che ha fatto da una vita, ma questo non basta a coloro che devono decidere di dargli un sussidio per malattia. E chi invece potrebbe dargli un sussidio di disoccupazione, pretende da lui di mostrarsi attivo nella ricerca di lavoro: cosa che Daniel tenta anche di fare, nonostante il suo analfabetismo digitale – in un mondo dove oramai tutto deve passare per internet – gli renda le cose ancora più difficili. Eppure, Daniel in tutto questo trova anche il tempo di assistere e aiutare Katie, madre single di due bambini, che i servizi sociali hanno spostato da Londra a Newcastle, unico posto dove era disponibile una casa popolare. Una giovane donna anche lei alle prese con una ottusa burocrazia che, per cavilli formali, gli nega ciò che gli spetterebbe di diritto. Nel raccontare le loro storie, Loach inanella una serie di situazioni che riescono a commuovere per tema e per tono e che suscitano sacrosanti moti d'indignazione per le troppe storture e le terribili ingiustizie sociali del mondo post-capitalista. E tratteggia due personaggi dotati di grandissima dignità, che non vogliono né più ne meno di quel che è giusto, di quello che è loro diritto di cittadini e di esseri umani avere. (www.comingsoon.it) Pian piano Blake precipita inesorabilmente nella non dignità. Il film è una rivendicazione, quasi un urlo, contro questa deriva. E il titolo lo esprime al meglio, con quell’Io seguito dal nome e cognome del protagonista. I, Daniel Blake è un rovesciamento dell’individualismo reagan-thatcheriano in funzione rooseveltiana e socialista. Blake si scontra contro tutte le meccaniche e le leggi, e coloro che ciecamente le servono, ormai incapaci di capire la sostanza dell’umano. Mentre Blake rappresenta l’umano in maniera prorompente: è l’incarnazione di questa grandezza nella semplicità e nell’umiltà. Ma la macchina è implacabile, è un folletto che ci entra in casa, o nel nostro computer, e fa dispetti. Per questo Blake è costretto a combattere contro i continui intralci burocratici che cercano di ributtarlo a terra. Blake fa amicizia con una giovane madre non sposata, anche lei in difficoltà e costretta a calpestare la propria dignità per preservare quella dei figli. Se è chiaro il riferimento alla classe media e alla classe operaia che stanno sprofondando, il regista britannico non è manicheo: ci sarebbero dei burocrati diversi, più umani, ma la macchina li sovrasta. È evidente la metafora con la macchina tecnocratica internazionale, non solo quella di Bruxelles, incapace di essere al servizio delle persone. Ma Blake oppone la forza del suo essere umano e si trasforma in agit-prop, al fine di rendere pubblica la propria condizione. La testimonianza di dignità sopravvive sempre. Anche all’uomo stesso. (www.internazionale.it) ________________________________________________________________________________